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Diapositiva 1 - ARMIDA@UniMi
sex ego Fastorum scripsi totidemque libellos, cumque suo finem mense volumen habet, idque tuo nuper scriptum sub nomine, Caesar, et tibi sacratum sors mea rupit opus; et dedimus tragicis sceptrum regale tyrannis, quaeque gravis debet verba cothurnus habet; dictaque sunt nobis, quamvis manus ultima coeptis defuit, in facies corpora versa novas. Ov. trist. 2.549-556 Nunc primum velis, elegi, maioribus itis: exiguum, memini, nuper eratis opus. Ipse ego vos habui faciles in amore ministros, cum lusit numeris prima iuventa suis. Idem sacra cano signataque tempora fastis. Ecquis ad haec illinc crederet esse viam? Haec mea militia est: ferimus quae possumus arma Dextraque non omni munere nostra vacat. Si mihi non valido torquentur pila lacerto nec bellatoris terga premuntur equi nec galea tegimur nec acuto cingimur ense (his habilis telis quilibet esse potest) at tua prosequimur studioso pectore, Caesar, nomina, per titulos ingredimurque tuos. Ov. Fast. 2.3-16 R. Heinze, Ovids elegische Erzählung, 1919 S. Hinds, Arma in Ovid’s Fasti, «Arethusa» 25 (1992), pp. 81-112 E. Fantham, Ovid. Fasti. Book IV, Cambridge 1996 A. Barchiesi, Il poeta e il principe. Ovidio e il discorso augusteo, Bari-Roma 1994. A. Tabucchi, Sogni di sogni (1992) C. Ransmayr, Die letzte Welt (= Il mondo estremo trad. it. 1988) D. Malouf, An Imaginary Life (1978) Tempora cum causis Latium digesta per annum lapsaque sub terras ortaque signa canam. excipe pacato, Caesar Germanice, voltu hoc opus et timidae derige navis iter, officioque, levem non aversatus honorem, en tibi devoto numine dexter ades. sacra recognosces annalibus eruta priscis et quo sit merito quaeque notata dies. invenies illic et festa domestica vobis; saepe tibi pater est, saepe legendus avus, quaeque ferunt illi, pictos signantia fastos, tu quoque cum Druso praemia fratre feres. Caesaris arma canant alii: nos Caesaris aras et quoscumque sacris addidit ille dies. Ov. Fast. 1.1-14 Vale la pena di rileggere i testi ovidiani senza troppo preoccuparsi di distinzioni preventive, confini sicuri tra poesia e politica, serietà e ludico, poesia galante / cortigiana / dell’esilio. I nostri primi sondaggi fanno pensare che la poesia di Ovidio lavori a rendere insicuri e problematici questi solchi. La critica che accetta come sua premessa, senza discutere, le gerarchie del discorso augusteo rischia di vedere troppo poco, perché da un lato questo discorso non è solo uno sforzo indipendente ma anche un prodotto della poesia augustea, e dall’altro, nel caso particolare di Ovidio, c’è il sospetto che si tratti di una citazione, di un effetto coinvolto in una pratica intertestuale, e non in un lineare processo di rispecchiamento […]. Ed è un tema fascinoso per il poeta delle metamorfosi: il discorso politico costruisce Augusto come una figura mutevole, che fluttua secondo i bisogni tra concittadino e dio in terra, e il poeta ha così tra le mani un personaggio dalla flessibilità nuova […] L’avvento di «Augusto» porta con sé una sfida che arricchisce la poetica di Ovidio. Se si parte da una lettura molto ravvicinata dei testi (la strada che più ci interessa in questo libro), alternative secche come «conformismo» e «sovversione» cominciano ad apparire inadeguate A. Barchiesi, Il poeta e il principe. Ovidio e il discorso augusteo, Roma-Bari 1993, pp. 34-35. Creusa trasformata in simulacrum nell’Eneide virgiliana la metamorfosi di Creusa nel simulacrum di Cibele (e viceversa) nei Fasti di Ovidio [da C. Torre, Ritratti di signora (per un’interpretazione di Ovidio, Fasti IV 247-349), in Debita dona, volume miscellaneo a cura di G. Zanetto, P.F. Moretti, C. Torre in corso di stampa (D’Auria, Napoli 2008)]. Verg. Aen. 2.772-773 Infelix simulacrum atque ipsius umbra Creusae / visa mihi ante oculos et nota maior imago. Ov. fast. 4.250-254 semper et Iliacas Mater amavit opes: / cum Troiam Aeneas Italos portaret in agros, / est dea sacriferas paene secuta rates, sed nondum fatis Latio sua numina posci / senserat, adsuetis substiteratque locis. Verg. Aen. 2.737-739 dum sequor et nota excedo regione viarum, /[…] Creusa / substitit). “Lineamenti elegiaci” di Claudia Quinta: Prop. 1.2.1 quid iuvat ornatis procedere, vita, capillis? Catull. 5.1-3 Vivamus mea Lesbia atque amemus / rumoresque senum severiorum / omnes unius aestimemus assis Ov. fast. 4.305-312 Claudia Quinta genus Clauso referebat ab alto / nec facies impar nobilitate fuit: / casta quidem, sed non et credita: rumor iniquus / laeserat, et falsi criminis acta rea est; / cultus et ornatis varie prodisse capillis / obfuit, ad rigidos promptaque lingua senes. /conscia mens recti famae mendacia risit, / sed nos in vitium credula turba sumus da A. Cavarzere, Introduzione a Cicerone, In difesa di Marco Celio (Pro Caelio), Venezia 1987 Era festa il 4 aprile del 56 a.C., quando Cicerone si presentò davanti alla quaestio de vi, il tribunale speciale con giurisdizione sui reati di violenza, per perorare la causa di Marco Celio Rufo. Proprio in quel giorno si aprivano a Roma i Ludi Megalenses, e gli spettacoli scenici quell’anno si preannunciavano particolarmente fastosi. Li presiedeva infatti Publio Clodio, in veste di edile curule; e c’era da aspettarsi che egli cogliesse l’occasione per celebrare con speciale solennità la festa della Grande Madre Idea, il cui trasferimento dalla Frigia a Roma nel 204 a.C. era legato ai fasti della sua gens. Fin dall’inizio della sua arringa Cicerone ha cura di sottolineare l’eccezionalità del momento in cui si svolge il processo: §1 «Immaginiamo qui ora presente, giudici, qualcuno che non sia al corrente delle nostre leggi, dei nostri tribunali, insomma della nostra prassi giudiziaria. Costui, ne sono certo, starebbe a chiedersi perplesso quale particolare gravità rivesta la causa in corso: l’unica dibattuta in giudizio durante questi giorni di festa e di pubblici spettacoli, quando l’intera attività del foro è sospesa; e non potrebbe dubitare che l’imputato sia accusato d’un delitto così grave che, a trascurarlo, ne verrebbe addirittura compromessa la stabilità dello Stato». Non pago d’aver ottenuto la solidarietà dei giudici contrapponendo l’otium dell’intera Roma al loro labor, l’oratore moltiplica poi le allusioni agli spettacoli teatrali, vero e proprio filo conduttore che si dipana lungo l’intera orazione: al §18 l’atmosfera dei ludi e della scaena viene portata direttamente davanti ai giudici grazie alla citazione dei versi della Medea enniana; al §25 l’oratoria di Erennio, uno degli accusatori, è caratterizzata come quella di un pertristis patruus, lo zio brontolone della commedia; maschere sceniche, personae, sono le due personificazioni di Appio Claudio Cieco e Publio Clodio Pulcro (§§33-36); e sempre al repertorio teatrale si attinge per il paragone dei due padri dei §§ 37-38: là quello severo, durus di Cecilio, qui quello tollerante, bonario, comprensivo della commedia terenziana […]. Con questa fitta trama di allusioni, l’oratore si propone certo di trasportare il clima festivo nel foro, di trasformare il tribunale in un teatro comico; e ancora di richiamare agli ascoltatori le rappresentazioni sceniche dei ludi Megalenses, che essi stavano perdendo proprio per via di quel processo; ma soprattutto egli intende sottolineare il divario tra l’inconsistenza – a suo dire – delle manovre ordite dalla meretrix [Clodia] nascosta dietro le quinte, e la gravità enorme dell’accusa de vi, che costringeva i giudici a sentenziare mentre tutte le altre corti criminali erano chiuse. Gravissima invero era l’accusa che si muoveva a Celio […]. Lo si imputava insomma del delitto di violenza politica, di un crimine che, trascurato, poteva addirittura compromettere la stabilità dello stato. Alcuni esempi di richiami intertestuali Ovidio Cicerone Ov. fast. 4.307-308.312: casta quidem, sed non et credita: rumor iniquus / laaeserat, et falsi criminis acta rea est […] / sed nos in vitium credula turba sumus Cic. Cael. § 6 Ma una cosa è fare della maldicenza, altra cosa formulare un’accusa. Questa richiede un’imputazione precisa, che definisca la fattispecie criminosa e ne identifichi il reo, poi argomentazioni che la comprovino e testimoni che la confermino; la maldicenza invece non si propone nient’altro che offendere: buttata là con sguaiataggine, la si chiama ingiuria; con arguzia, spirito. § 29 È facile dare addosso alla dissolutezza. Non mi basterebbe un giorno intero, se cercassi di tirar fuori tutto quanto si può dire in proposito: perversioni, adulteri, scostumatezza, sperperi; ci sarebbe di che parlare all’infinito. (trad. A. Cavarzere) Ov. fast. 4.309-310; 317-318 (cultus et ornatis varie prodisse capillis […] prompta lingua […] risit […] voltus […] figit ) Cic. Cael. § 49 Supponiamo che una donna senza marito abbia spalancato la sua casa alle voglie di tutti, che si sia messa apertamente a condurre vita da puttana, a frequentare bagordi di uomini a lei del tutto estranei; supponiamo che si comporti così in città, nei giardini, nell’affollata stazione balneare di Baia; supponiamo infine che non solo l’incedere ma pure il modo di agghindarsi e il genere di persone che l’accompagna, non solo il dardeggiare degli occhi e la libertà di linguaggio, ma pure gli abbracci, lo sbaciucchiarsi, i festini sulle spiagge, le gite in battello, i banchetti la rivelino per una puttana; anzi, per una puttana sfrontata e provocante. (trad. A. Cavarzere) Cic. Cael. 33-34 passim Sed tamen ex ipsa quaeram prius utrum me secum severe et graviter et prisce agere malit, an remisse et leniter et urbane. Si illo austero more ac modo, aliquis mihi ab inferis excitandus est ex barbatis illis (non hac barbula qua ista delectatur sed illa horrida quam in statuis antiquis atque imaginibus videmus), qui obiurget mulierem et qui pro me loquatur ne mihi ista forte suscenseat. Exsistat igitur ex hac ipsa familia aliquis ac potissimum Caecus ille; minimum enim dolorem capiet qui istam non videbit. Qui profecto, si exstiterit, sic aget ac sic loquetur: 'Mulier, quid tibi cum Caelio, quid cum homine adulescentulo, quid cum alieno? […] Non patrem tuum videras, non patruum, non avum, non proavum, non <abavum, non> atavum audieras consules fuisse; […] Cum ex amplissimo genere in familiam clarissimam nupsisses, cur tibi Caelius tam coniunctus fuit? Cognatus, adfiniis, viri tui familiaris? Nihil eorum. Quid igitur fuit nisi quaedam temeritas ac libido? Nonne te, si nostrae imagines viriles non commovebant, ne progenies quidem mea, Q. illa Claudia, aemulam domesticae laudis in gloria muliebri esse admonebat […] Cur te fraterna vitia potius quam bona paterna et avita et usque a nobis cum in viris tum etiam in feminis repetita moverunt? Ideone ego pacem Pyrrhi diremi ut tu amorum turpissimorum cotidie foedera ferires, ideo aquam adduxi ut ea tu inceste uterere, ideo viam munivi ut eam tu alienis viris comitata celebrares?' §§ 33-34 passim Pur tuttavia comincerò col chiederle: preferisce che nel trattare con lei io adotti un tono severo, solenne, all’antica, oppure affabile pacato mondano? Se preferisce le maniere asciutte e i toni di altri tempi, allora dovrò destare dagli inferi una di quelle barbe – no, non già di queste barbette che le piacciono tanto, ma di quelle barbone irsute che si vedono in statue e ritratti d’una volta -, perché la strapazzi e parli al posto mio. Che poi non abbia a pigliarsela con me! Immaginiamo dunque che spunti fuori uno della sua stessa famiglia: magari il famoso Cieco (che, non potendo vederla, ne avrà meno dolore!). Lui certo, sempre che spunti fuori, la tratterà e le parlerà pressapoco così: «Donna, che hai da spartire tu con Celio? che hai da spartire con un giovincello, con un estraneo? Come mai gli eri tanto intima da prestargli l’oro, o tanto nemica da temerne il veleno? non avevi visto tuo padre console? non ti era stato detto che tuo zio, tuo nonno, il tuo bisnonno, il tuo trisavolo, il padre di lui lo erano stati? […] nata da nobilissima schiatta, entrata per matrimonio in una casata altrettanto illustre, come hai potuto confonderti così con un Celio? È tuo parente? È imparentato con te? È amico di tuo marito? No; niente di tutto ciò. Di che altro si trattava allora, se non di sfrenata lussuria? Se i ritratti degli uomini della nostra stirpe non toccavano il tuo cuore, nemmeno Claudia Quinta, la mia illustre discendente, ti spingeva a rivaleggiare in virtù domestiche con le donne che hanno recato lustro alla nostra casa? […] Per questo dunque io ho impedito che si venisse a patti con Pirro, perché tu ogni giorno stringessi patti di scandalosi amori? Per questo ho condotto l’acqua in città, perché tu te ne servissi sconciamente? Per questo ho costruito la via, perché tu la battessi in compagnia dei mariti altrui?» Macr. Sat. 2.5.6. Blandiebatur sibi Augustus laetum in filia animum usque ad speciem procacitatis sed reatu liberum, et talem fuisse apud maiores Claudiam credere audebat. Itaque inter amicos dixit duas habere se filias delicatas, quas necesse haberet ferre, rem publicam et Iuliam. Quindi Augusto amava cullarsi nell’illusione che sua figlia avesse un temperamento esuberante fino a dare l’impressione di procace sfrontatezza, ma esente da colpa. E così osava credere che fosse come Claudia nei tempi antichi. Perciò con gli amici diceva di avere due figlie viziate che doveva per forza sopportare, lo stato e Giulia. (trad. N. Marinone) Ov. fast. 4. 155-156 Supplicibus versibus illam placate: sub illa / et forma et mores et bona fama manet. / . 1-2. La stele di Ostia con la raffigurazione del miraculum di Claudia Quinta 3-4-5. Livia, un’elegante First Lady (immagini tratte The Cambridge Companion to the Age of Augustus, ed. K. Galinsky, Cambridge 2005, pp.133,143, 211) 6. Livia come Cibele: il cammeo conservato a Vienna (Kunsthistorisches Museum IX A 95). The relocation during the 1990’s – whether permanent or merely temporary – of many items of sculpture from the Capitoline collections in the Museum of the Power Plant Montemartini has given a new visibility to several items as interesting for their cultural significance as for their artistry. One of these is a marble relief altar discovered on the bank of the Tiber below the Aventine under the papacy of Clement XI at some time between 1700 and 1721. The face of the altar bears a dedicatory inscription and a pictorial allusion to the arrival by ship at Rome of the goddess Cybele. Eleanor Winsor Leach, Claudia Quinta (Pro Caelio 34) and an altar to Magna Mater, “Dictynna” 4 (2007). matri.deum.et navi salviae salviae voto suscepto claudia synthyche d. d. To the mother of the gods and the ship salvia As in a vow made to Salvia Claudia Syntyche dedicates this gift Although the event represented (CIL VI 492)