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DÈI ED EROI - Palazzo Reale
IL SOPRINTENDENTE PER I BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI PER LE PROVINCE DI TORINO,ASTI, CUNEO, BIELLA E VERCELLI Luca Rinaldi IL DIRETTORE DEL PALAZZO REALE DI TORINO Maria Carla Visconti presentano DÈI ED EROI CAPOLAVORI DI PALAZZO REALE a cura della Direzione dei Servizi educativi Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino PRESENTAZIONE E’ con molta soddisfazione che la Direzione di Palazzo Reale presenta al pubblico, scolastico e non, il primo dei percorsi tematici promossi dalla nostra Soprintendenza e curati da Jennifer Celani, responsabile dei Servizi Educativi, che coordina lo staff degli Assistenti di Palazzo specificatamente dedicato all’accoglienza e alla didattica. L’attività in convenzione con un gruppo di scuole piemontesi avviata nel passato anno scolastico 2012-2013 ha dato ottimi risultati che sono stati presentati in occasione del workshop organizzato lo scorso 25 settembre e 2 ottobre nella Sala della “piglia” dell’Appartamento del Re a Palazzo Reale. Da questo è nata l’iniziativa di predisporre il materiale scientifico elaborato mettendolo a disposizione di tutti sul nostro sito informativo. Pur nelle difficoltà che caratterizzano in genere tutte le istituzioni culturali del nostro Paese, ma in particolare quelle statali, dovute alla difficile situazione contingente, Palazzo Reale ha inteso offrire uno strumento “speciale” per stimolare le nuove generazioni ad un sempre più cosciente approccio al nostro infinito e meraviglioso patrimonio culturale fornendo anche agli “educatori” intesi in senso lato – dai genitori agli insegnanti – un piacevole, ma assolutamente affidabile sotto il profilo storico-artistico, “strumento di lavoro” per l’avvicinamento alle varie sfaccettature “narrative” che la nostra Residenza propone. Una Residenza la cui storia si è dipanata nel corso di oltre quattro secoli e che è diventata un grandioso palinsesto di eccezionali forme artistiche che la dinastia sabauda ha commissionato e aggiornato secondo il gusto dei vari tempi e dei numerosi sovrani che si sono avvicendati. Il Palazzo, infatti, sorto alla fine del Cinquecento nell’angolo nord-est della quadrata cinta romana, è andato sviluppandosi e accrescendosi fino a raggiungere nel pieno Settecento la sua connotazione precipua di “città in forma di palazzo” in un indissolubile legame con la città magistralmente condotto dagli architetti di corte: da Ascanio Vittozzi ai due Castellamonte, Carlo e Amedeo, da Carlo Morello a Carlo Emanuele Lanfranchi per arrivare alla genialità di Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri che operarono principalmente nelle raffinate trasformazioni interne. L’Ottocento vede Pelagio Palagi interprete delle intenzioni carloalbertine mentre gli ultimi aggiornamenti interni e l’aggiunta della nuova manica su via XX Settembre si devono ancora a Emilio Stramucci all’inizio del Novecento. Insieme agli architetti, generazioni di artisti hanno contribuito ad arricchire gli ambienti di segni preziosi: dagli stucchi – opere di sapienti famiglie perlopiù luganesi – ai sontuosi soffitti lignei dorati seicenteschi, dalle volte affrescate – due nomi su tutti: Daniel Seiter e Claudio Francesco Beaumont – alle tele e tavole, dipinte da pittori come Jean Miel, Charles Dauphin, inserite come gemme preziose – dalle sculture (Francesco Ladatte, i Martinez e i Collino, a campione) alle eccezionali opere ebanistiche sulle quali primeggiano certamente i lavori di Pietro Piffetti ma anche l’opera di Gabriele Capello nell’aggiornamento ottocentesco degli arredi. Appunto questa grande varietà di arti decorative è una delle ricchezze del Palazzo che dà agio allo studio ed elaborazione di percorsi tematici “speciali” che si è inteso fornire al pubblico come atout particolare per percorsi di visita mirati e per sollecitare curiosità e approfondimenti ulteriori. Come si è già detto, questo non è che il primo passo in questa direzione e a breve seguiranno altri temi già sperimentati con successo dal team didattico, nella concreta speranza di poterne presentare tanti altri ancora che il nostro Palazzo generosamente racchiude. Maria Carla Visconti Direttore di Palazzo Reale Gennaio 2015 2 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi INTRODUZIONE Il percorso Dèi ed eroi è stato ideato per gli adulti nel loro compito di avvicinare i giovani alla conoscenza della prima residenza sabauda attraverso le opere d’arte che riprendono i grandi miti e le figure eroiche. Le opere d’arte individuate nel percorso (dipinti su tela e affreschi, arazzi e statue, arredi) offrono occasioni di lettura sia sul piano simbolico, sia sul piano della narrazione. Intesi come elementi conoscitivi e rassicuranti dell’Uomo antico, gli déi e gli eroi furono ‘riusati’ dai Savoia per celebrare il loro potere e il prestigio del loro dominio. Soffermandosi nel Salone degli Svizzeri, salito lo Scalone d’onore (realizzato nel periodo dell’Unità d’Italia), lo sguardo è catturato dal grandioso ciclo di affreschi sulle pareti in alto: illustra la discendenza sassone dei Savoia, un mito promosso verso la fine del Seicento per testimoniare legami con la stirpe dell’imperatore del Sacro Romano Impero, figura egemone in Europa accanto a quella del Papa, e vantare una supremazia rispetto ad altre famiglie nobili italiane. La grande tela dai colori scuri e dalla scena convulsa posta sulla parete di fronte al massiccio camino è intitolata La Battaglia di San Quintino (1580-1585) e rappresenta Emanuele Filiberto rivolto verso il pubblico col bastone di comando in mano e pennacchi bianchi sull’elmo. Il dipinto fu commissionato dopo la sua morte (1580) al pittore Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (Venezia, 1544 o 1548 – 1628), dal figlio Carlo Emanuele I. Fra assalitori e assaliti, appena leggibile sullo sfondo scuro del terreno in primissimo piano, la firma “JACOBUS PALMA F(ECIT).” Il duca è ritratto sul destriero rampante in una splendida armatura che potrete ammirare poi nell’Armeria Reale. Il titolo di “battaglia” probabilmente usato nel periodo risorgimentale non rappresenta esattamente la scena dipinta: è piuttosto la presa di San Quintino ormai assediata e la vittoria ottenuta in quell’occasione segnerà l’inizio del legame fra la dinastia e Torino, giacché nel 1563 Emanuele Filiberto qui farà trasferire la capitale del suo ducato dall’antica Chambéry. Jacopo Palma il Giovane, Battaglia di San Quintino, 1582-1585, olio su tela. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 3 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino Avvicinandosi ora ai busti in marmo presenti in sala si trova quello del re Carlo Alberto (1798 - 1849), un sovrano che lascerà una cospicua serie di modifiche al Palazzo grazie alla genialità dell’artista bolognese Pelagio Palagi (1775 - 1860), architetto di corte dagli anni Trenta dell’Ottocento. Faremo riferimenti a miti, leggende, armi e guerre, e spesso anche alla raffinatezza del gusto di Carlo Alberto che fu sensibile collezionista e grande intenditore d’arte. Farà rimodernare le sale di rappresentanza – oggetto di questo percorso di visita – secondo la propria sensibilità artistica senza annullare del tutto le testimonianze più antiche ma integrandole nel nuovo arredo. Come avrete capito, i sovrani sabaudi hanno sempre avuto una passione per le antichità. Bisogna infatti ricordare che fu proprio un Savoia – il re Carlo Felice – a acquistare (1824) la collezione che renderà la nostra città celebre, quella del Museo Egizio. Perché il mondo classico o quello dei cavalieri e non quello del loro tempo? Quale fascino esercitavano sui frequentatori delle sale sontuose le Giuseppe Albertoni, Carlo figure di Ercole o di Enea, dei Crociati a Gerusalemme o uno stuolo di belle Alberto, 1850, marmo. danzatrici vestite alla moda etrusco-romana? Perché Carlo Alberto si fece ritrarre nelle vesti di un imperatore di Roma? Una risposta c’è, fra le tante, e non è legata solamente alla storia del gusto. Possiamo dire che tale scelta risponde ad una esigenza più profonda: si usa il repertorio del mondo antico per esprimere precisi concetti attraverso il linguaggio dei simboli e delle allegorie. Per allegoria si intende una rappresentazione figurativa che corrisponde ad un’idea. È come se il sovrano avesse voluto dire al suo popolo che dietro la figura di quell’eroe mitologico in realtà c’era lui. Di conseguenza, il popolo capiva che, proprio come un eroe, il sovrano avrebbe avuto nei suoi obiettivi il benessere, la sicurezza e la pace del suo regno. Un concetto di superiorità ‘traslata’ per mantenere forte il sentimento patriottico e l’obbedienza popolare. In pratica, attraverso l’immagine si realizzava un dialogo continuo fra sovrano e suddito. Ma anche fra i Savoia e le altre corti che, in continua gara fra loro, usavano l’arte figurativa per aumentare il proprio prestigio sulla cosiddetta “scacchiera internazionale”. Cosa c’è di meglio che rifarsi agli déi e ai grandi eroi che tutti conoscevano a quei tempi, abitanti di un mondo lontano ma felicissimo? E anche oggi non amiamo ricordarli attraverso libri, films e, perché no, video giochi? Con loro i virtuosi vincono e i malvagi perdono. Scopriamoli insieme, allora, con i Servizi educativi statali di Palazzo Reale! 4 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi GUIDA AL PERCORSO PARTE 1 1. SALA DELLA GUARDIA SVIZZERA Dalle grandi finestre del Salone ci si affaccia sulla Piazzetta Reale dove si erge la grande cancellata in bronzo ideata da Pelagio Palagi per separare l’area del Palazzo da Piazza Castello: come in altre occasioni, Palagi recupera nella realizzazione dell’opera elementi propri della mitologia. È il caso delle grandi statue in bronzo che Pelagio Palagi e Abbondio Sangiorgio, Medusa e Dioscuro sormontano la cancellata, disegnate – su (part.), 1835-1862. ispirazione di Palagi – dallo scultore milanese Abbondio Sangiorgio (Milano, 1798 – 1879) a rappresentare i Dioscuri (dal greco Dios 'di Giove' e Kouros 'fanciullo, figlio'): come narra il mito, nati da Zeus, Castore e Polluce presero parte alla spedizione degli Argonauti nella Colchide per recuperare il vello d’oro. Già in epoca romana sono protettori degli equites (l’iconografia infatti li vuole a cavallo) e probabilmente la loro presenza a Palazzo si spiega perché sono collocati a distinguere la piazza pubblica dalla piazza d’armi, destinata ovviamente anche alle truppe a cavallo. La grande cancellata in bronzo, poi, si arricchisce di un ulteriore elemento ispirato dalla classicità: essa infatti è adornata con teste dorate di Medusa, il mostro dallo sguardo pietrificante sconfitto da Perséo (secondo l’uso antico, l’effigie della testa della Gorgone veniva applicata sui pettorali degli antichi condottieri per scongiurare la morte ed intimorire i nemici). 2. PRIMA ANTICAMERA - SALA DEI CORAZZIERI Attraversato il Salone si accede alla prima anticamera detta dei Corazzieri: qui, dove gli ospiti attendevano di essere ricevuti, domina, sulla parete sinistra verso il Salone, una tela di notevoli dimensioni. È opera del pittore veneziano Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882) e rappresenta La sete patita dai primi Crociati sotto Gerusalemme. L’opera (altezza cm 363; larghezza cm 589) è realizzata da Hayez a partire dal 1833; solo successivamente, nel 1838, Carlo Alberto la commissiona al pittore veneziano destinandola specificamente per la prima anticamera di Palazzo Reale. Il tema storico – caro all’Ottocento – è in parte tratto dalla Gerusalemme Liberata del Tasso (canto XIII), dalle fonti storiche (ad Francesco Hayez, La sete patita dai primi Crociati sotto Gerusalemme, (part.), 1833-1850, olio esempio Guglielmo di Tiro) e dal poema di Tommaso su tela. Grossi I Lombardi alla prima Crociata (pubblicato nel 1826, ispirerà l’omonimo melodramma di Verdi del 1843): non è un caso che Hayez e Grossi frequentino a Milano la cerchia di Manzoni, particolarmente ricettiva sulle potenzialità del “riuso della Storia”, spesso reinterpretata in chiave metaforica alla luce delle coeve guerre d’Indipendenza. Di questa stessa cerchia fa parte anche Massimo d’Azeglio il quale nel 1833 pubblica, con intenti affini a quelli che mossero Hayez e Grossi, l’Ettore Fieramosca. La tela di Hayez arriva a Palazzo solo nel 1849 e viene collocata nel 1850, quando ormai Carlo Alberto è © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 5 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino morto in esilio. Il dipinto si carica delle istanze risorgimentali del patimento dei Regni preunitari sotto la dominazione straniera, sebbene non venga accolto da unanime consenso. Ad esempio, il contemporaneo Giuseppe Rovani, autore dei Cento anni (1859-1864), scriverà in merito alla Sete: «c’è mancanza assoluta di un concetto generale. La grande tela si riduce a una raccolta di moltissime figure che fanno quello che vogliono senza che lo spettatore ne comprenda bene la ragione; si direbbe anzi che un committente bizzarro abbia detto all’artista: fatemi una cinquantina di figure eseguite con meravigliosa potenza, ma delle quali nessuno dà un esatto indizio della sete del campo cristiano» (G. Rovani, Francesco Hayez, in P. Barocchi,Testimonanze e polemiche figurative in Italia. L'Ottocento: dal bello ideale al Preraffaellismo, Firenze, D'Anna, 1974, p. 350). La tela presenta però la figura di un eroe che troverà piena risonanza nell’Ottocento: la folla, in particolare la folla che si ribella ad un oppressore. Del resto notevole rilevanza hanno nelle tragedie manzoniane (il Carmagnola del 1820, l’Adelchi del 1822) i cori, in cui l’autore dà spazio alla propria voce: particolarmente significativo il coro dell’atto terzo dell’Adelchi, dove si esprime il lamento dei popoli sottomessi per le invasioni subite: «Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti, / Dai boschi, dall’arse fucine stridenti, / Dai solchi bagnati di servo sudor, / Un volgo disperso (= i Latini, cui è rimasta solo l’antica gloria del passato) repente si desta; / Intende l’orecchio, solleva la testa / Percosso da novo crescente romor (la prossima invasione dei Franchi)». 3.TERZA ANTICAMERA - SALA DEI PAGGI Entrando nella terza anticamera, si scorgono tre tele alle pareti, accomunate a quelle già viste nella prima anticamera da temi e suggestioni squisitamente romantico-risorgimentali, secondo un percorso per immagini voluto da Carlo Alberto. Sulla parete verso la seconda anticamera si trova L’Imperatore Federico Barbarossa, durante il lungo assedio di Alessandria, avendo tentato d’impadronirsi per sorpresa della città, ne viene cacciato dal popolo. La tela (altezza cm 310; larghezza cm 510) viene realizzata da Carlo Arienti (Arcore, 1801 – Bologna, 1873) a partire dal 1845, dietro commissione di Carlo Alberto, ma è collocata in Palazzo soltanto nel 1851. Il tema è dichiaratamente patriottico e recupera – come è proprio del gusto dell’epoca – un episodio di storia medievale, piemontese in specifico, con la cacciata dell’invasore straniero, il tedesco imperatore Barbarossa nelle sue lotte contro i Comuni. Il soggetto è perfetto per alimentare un forte sentimento nazionale all’indomani della Prima guerra di Indipendenza. All’epoca desta invece qualche perplessità l’autoritratto dell’autore nella tela, che si rappresenta con berretto frigio di colore rosso sul capo, in atto di passare pietre a un caporivolta: sospettato di essere filomazziniano con tale autorappresentazione, non viene ricevuto da Vittorio Emanuele II quando l’opera è collocata in Palazzo, nonostante l’ampio consenso suscitato. Carlo Arienti, L’Imperatore Federico Barbarossa, durante il lungo assedio di Alessandria, avendo tentato d'impadronirsi per sorpresa della città, ne viene cacciato dal popolo (part.), 18451851, olio su tela. Davanti alla figura centrale dell’imperatore e del suo destriero, esplode la mischia fra i soldati e i popolani: «nello sguardo del Barbarossa trapela la paura insieme all’incredulità di vedersi aggredito e sconfitto dal semplice popolo, mentre nell’occhio del cavallo, a stento trattenuto, brilla il terrore. Al gruppo centrale, che termina con il primo piano dell’autoritratto dell’autore, fanno da contrappunto gli altri due gruppi sui lati della tela che rappresentano le donne che accorrono e le altre difese col pugnale dalla più coraggiosa» (da P. Dragone, Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1830-1865, Torino 2001, p. 168). Ancora una volta l’eroe è la folla entro la quale addirittura si colloca l’autoritratto del pittore, evidentemente mosso e coinvolto dal messaggio che il soggetto reca con sé. Nella folla poi, come si è detto, si distinguono le donne. La 6 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi letteratura coeva, del resto, è ricca di numerose eroine femminili che lottano e “patiscono” sofferenze in nome di un ideale (l’amore, la patria, la fede): ancora una volta facile è il rimando a Manzoni, con Ermengarda o Lucia. Nella stessa sala si colloca poi, tra le finestre, l’opera di Francesco Gonin (Torino, 1808 – 1889), Gli abitanti di Aisone in Val di Stura assalgono valorosamente i Francesi capitanati dal Principe di Conti e ne incendiano le tende. La tela (altezza cm 300; larghezza cm 219) richiama, come la tela di Arienti, un episodio in cui protagonista è ancora una volta una popolazione piemontese, gli abitanti di Aisone nei pressi di Vinadio. Costoro si ribellano nel 1746 ai francesi che in Aisone hanno il loro quartier generale (il contesto è quello della guerra di successione dell’Austria nella quale Carlo Emanuele III si schiera contro le truppe francoispaniche): i popolani danno fuoco all’accampamento straniero mettendo in fuga il Principe di Conti, rappresentato sulla sinistra, sconfitto e soccorso da alcuni soldati. È possibile individuare un singolo eroe nel condottiero del popolo che guida la rivolta: egli è delimitato anche spazialmente nella tela, la folla infatti è divisa e lascia spazio al personaggio rappresentato in primo piano. Egli gesticola, si dimena, ha lo sguardo del ‘posseduto’ dal furore del coraggio e si sente invincibile, mentre la sua sofferenza è già annuncio della gloria successiva. Il pittore mette in scena la rivolta, a significare la ribellione dei piemontesi contro un usurpatore: l’eroe pare quindi incarnare un sentimento assai vivo negli anni in cui la tela è realizzata, il 1846 (siamo a ridosso della Prima guerra di Indipendenza). Francesco Gonin, Gli abitanti di Aisone in Val di Stura assalgono valorosamente i Francesi capitanati dal Principe di Conti e ne incendiano le tende 1746 (part.), 1846, olio su tela. 4. SALA DEL TRONO La meraviglia che si può provare entrando in questa sala quasi impedisce di trovare quelli che sono gli elementi iconografici legati alla simbologia del potere e della regalità. Il colore rosso che predomina, insieme all’oro sfavillante, richiama al colore usato sin dall’antichità per il potere civile, ma anche si rifà al sangue del martirio e del sacrificio. È il colore della passione ma anche della santità. I richiami decorativi del leone e della corona rimandano più direttamente alla regalità del sovrano, mentre le iniziali CA presenti negli originali parati ottocenteschi indicano in Carlo Alberto il committente del rinnovamento della Sala. La tela ovale incastonata come una gemma preziosa nel soffitto in legno intagliato e dorato è una composizione allegorica commissionata al pittore fiammingo Jan Miel (Beveren-Waas, 1599 – Torino, 1663) dal duca Carlo Emanuele II, secondo uno stile di tipo monumentale e dinamico promosso a corte. La figura femminile in bianco rappresenta la pace, completa di rami d’olivo e guarda la figura bifronte (uomo-donna) che sta per la Prudenza che tiene legato con grosse catene colui che simboleggia il ‘furore guerriero’. Dietro queste due figure si trovano l’Abbondanza (spicchi di grano) e la Verità (nuda) e sotto di loro un Mercurio che pare pronto a portare il messaggio pacifico in terra, dove giace un uomo addormentato: è Ercole (riconoscibile dalla pelle del leone di Nemea, poco visibile) che per ora ha riposto le sue armi e la forza. Jan Miel, L’allegoria della Pace, 1660, olio su tela. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 7 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino La scena è paragonabile ad un’altra allegoria, quella della celebre sala consigliare decorata dai fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti prima della peste del 1348 per il Comune di Siena: la veste è sempre candida, il ramo d’ulivo c’è e la giovane donna è adagiata su alcune armature. Nel particolare a fianco riportato la si vede in compagnia della Fortezza e della Prudenza, grandi consigliere per un governante. Ambrogio e Pietro Lorenzetti, Il buon governo (part.), 1334 ca., affresco, Palazzo Comunale di Siena. 5. SALA DI UDIENZA Il trionfo cui veniva preferita la Pace nella sala precedente è il tema conduttore dell’apparato decorativo ottocentesco di questo ambiente, realizzato su progetti di Pelagio Palagi tra il 1837 e l’anno successivo. La preziosa boiserie in legno dorato degli sguinci delle finestre è divisa in tre registri, di cui il superiore e l’inferiore sono ornati da panoplie, cumuli di armi che nell’antica Roma venivano sottratte agli avversari per essere portate come trofei durante il trionfo, ovvero la cerimonia in cui veniva celebrato il generale vittorioso con la sfilata delle legioni e l’esposizione dei bottini di guerra. Altre armi di età imperiale elmi, spade (gladii), corazze anatomiche (loricae) e scudi rotondi (parmae) sono portate dai putti scolpiti da Francesco Somaini a «tre quarti di rilievo» nel fregio del camino in marmo bianco di Carrara. Armi classiche negli sguinci delle finestre (Gabriele Capello e Giovanni Boggio, 1838, legno intagliato e dorato). Armi classiche nel fregio del camino (Francesco Somaini, 1838, marmo). 8 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Al trionfo è dedicata anche la decorazione delle consolles: le gambe sono costituite dall’emblema delle legioni romane, caratterizzato da un’aquila dalle ali spiegate ed un serto d’alloro, che in battaglia fungeva da punto di riferimento per i soldati che combattevano alla sua ombra e lo difendevano a costo della vita. Questo è affiancato ai lati da due cariatidi, ovvero sculture effigianti figure femminili che in architettura e, come in questo caso, nelle arti applicate, fungono da elementi di sostegno: tristi e inginocchiate, esse raffigurano donne assoggettate in schiavitù. Era frequente nell’antica Roma la raffigurazione scultorea dei nemici vinti, ispirati ai prigionieri di guerra che venivano esposti insieme ai bottini durante il trionfo, dai fieri daci del Foro Traiano (112 d. C., reimpiegati nell’Arco di Costantino, 315) alla pensierosa Thusnelda (I sec. d. C., Firenze, Loggia dei Lanzi). Non è da dimenticare inoltre che le cariatidi già in origine raffiguravano donne in condizione di cattività: secondo Vitruvio (De Architectura, Libro I, 4) esse erano ispirate alle matrone di Caria, città traditrice dell’alleanza greca, che vennero schiavizzate dagli ateniesi e raffigurate in atto di portar pesi sulla testa, perché «cariche di vergogna sembrassero pagare la colpa della loro città» - in realtà i pesi servivano come raccordo per l’architrave da esse supportato. Come elemento architettonico le cariatidi ebbero una solida fortuna: utilizzate già nel VI secolo a.C., esse trovarono una codificazione figurativa nella celebre Loggia delle Cariatidi dell’Eretteo (Acropoli di Atene, 406 – 421 a.C.) e da allora vennero riproposte in forme più o meno aderenti agli originali classici. Loggetta delle Cariatidi, Eretteo, Acropoli di Atene, 421-406 a.C. Tesoro dei Sifni, Delfi, 525 a.C. Jean Goujon, 1550, Parigi, Palazzo del Louvre, Sala delle Guardie. Giuseppe Piermarini e Gaetano Callani, Sala delle Cariatidi, 17741776, Milano, Palazzo Reale. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 9 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino Cariatidi del camino (Francesco Somaini, 1838, marmo). Le prigioniere che reggono la mensa delle consolles, ripetute come stipiti del camino, vestono abiti classici e portano sulla testa, invece di un copricapo o un cesto, un particolare tipo di corona ornata di torri stilizzate, la corona turrita, simbolo di autorità comunale ed attributo delle figure allegoriche rappresentanti le città: si può vedere una simile corona in questo stesso Palazzo, nella Sala dei Corazzieri, cingere il capo delle figure femminili in stucco dorato raffiguranti Chambéry e Torino (1847, Luigi Cauda e Giuseppe Gaggini); la capitale sabauda è coronata anche in un ovale dei fratelli Collino che campeggia nella Galleria della Regina, oggi Armeria Reale, La città di Torino riceve dalla Fama le insegne della pace e del commercio (1767). Cariatidi delle consolles (Francesco Rueff, Pietro Monelli e Giuseppe Collenghi 1838, legno dorato). Luigi Cauda, Giuseppe Gaggini,Allegorie civiche, 1847,Torino, Palazzo Reale, Sala dei Corazzieri, stucco dorato. 10 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Oltre ad indicare l’entità urbana la corona turrita è attributo dell’Italia già dall’epoca dell’imperatore Antonino Pio (138-161): tale serto venne riutilizzato in modo sistematico in epoca moderna fino alla celeberrima Italia piangente sulla tomba di Alfieri (1810) di Antonio Canova, collocata nella Basilica di S. Croce a Firenze, che ebbe in epoca risorgimentale uno strepitoso successo iconografico, al punto di diventare icona di un’Italia sofferente per la divisione e la dominazione straniera. È forse da vedere anche in questa sala, oltre che un riferimento alle città conquistate, un’allegoria dell’Italia oppressa in attesa di un riscatto da parte di Carlo Alberto e della sua discendenza? Antonio Canova,Tomba di Vittorio Alfieri, particolare dell’Italia piangente,1810, Firenze, Santa Croce, marmo. Il campo centrale degli sguinci è invece dominato da una figura femminile ripetuta ben quattro volte ad affiancare i lati delle due finestre: una donna alata identificabile in Nike, dea della Vittoria, che poggiando il piede sul Mondo incide su uno scudo la gloria delle imprese belliche per tramandarla ai posteri e renderla immortale. Tale raffigurazione costituisce l’allegoria della Storia: essa ha svariati precedenti, ed il suo archetipo appare sulla Colonna Traiana a separare la narrazione delle due campagne daciche di Traiano del 101 e del 105 d.C. Nella boiserie la Nike registra sugli scudi ovali la memoria di quattro battaglie vittoriose di Casa Savoia: da sinistra a destra si incontrano Amedeo VI libera l’imperatore di Costantinopoli nell’anno MCCCLXVII, Gli Imperiali battuti a Guastalla da Carlo Emanuele III nell’anno MDCCXXXIV,Vittoria di S. Quintino ottenuta da Emanuele Filiberto nell’anno MDLVII e Torino liberata da Eugenio lì V sett. MDCCVI. Gabriele Capello e Giovanni Boggio, sguinci delle finestre, 1838, legno intagliato e dorato. La Storia registra le Vittorie. Roma, Colonna Traiana, 113 d.C. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 11 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino 6. SALA DEL CONSIGLIO L’iconografia classica continua ad essere spiegata nella sala in cui Carlo Alberto riuniva il Consiglio dei Ministri: segno dell’autorità delle civiltà greca e romana e dei valori di integrità morale, di bellezza ideale e di monumentalità che in esse erano visti, aggiunti alla preziosità dello Stile Impero, stile sorto nell’epoca napoleonica che sarebbe rimasto in voga per tutta la prima metà dell’Ottocento. Gli arredi bronzei, fusi dalla ditta Viscardi verso il 1840, sono ispirati all’architettura ed alla scultura greca: il tavolo al centro, su cui Carlo Alberto firmò lo Statuto, è retto da quattro Vittorie alate ed i candelabri in bronzo sono ornati da fanciulle (in greco Korai) in chitone e putti alati. Sulle basi di questi sono effigiati i partecipanti ad un sacrificio dedicato al dio greco del vino, Dioniso: il sacerdote si presenta con una corona d’alloro ed un tirso (il bastone dei seguaci del dio, ornato da pampini di vite) e due offerenti, una velata ed una portatrice di fiaccola che porta un cofano all’ara sacrificale. I tre personaggi ricorrono sul controfornello del camino della Sala da Ballo e sono ispirati ad un rilievo neoattico perduto, conservato all’epoca di Carlo Alberto presso le collezioni del Castello di Pollenzo. Progetto di Pelagio Palagi, arredi della Sala del Consiglio, 1838-1840. Ditta Viscardi (Milano), tavolo e candelieri, parti, 1840, bronzo dorato. Ditta Viscardi, su disegno di Pelagio Palagi, candelieri (parti) 1840. 12 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Gabriele Capello (su disegno di Pelagio Palagi), controfornello, Sala da Ballo, 1842. I braccioli delle sedute che circondano il tavolo sono retti da centauri marini: questa figura mitica era l’accompagnatore di Nettuno, incaricato di suonare il corno per controllare le tempeste marine. Anche l’apparato ornamentale è ispirato alla pittura vascolare greca, dai meandri alle palmette, già presenti nella pittura vascolare greca del VI sec. a.C, poi adottate in Magna Grecia e dagli Etruschi: riscoperte dal gusto neoclassico, vennero impiegate in modo massivo da Pelagio Palagi, ed il suo Gabinetto Etrusco del Castello di Racconigi ne fornisce un valido esempio. Francesco Rueff e Pietro Monelli, Giuseppe Collenghi, seggioloni, 1837, legno dorato. Gabriele Capello (su disegno di Pelagio Palagi), arredi del Gabinetto Etrusco, 1834, Castello di Racconigi, legni intarsiati (ebano, cedro, noce, pero ed agrifoglio). © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 13 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino Anche l’immagine di Carlo Alberto viene rivisitata alla luce dell’antico: il busto in marmo scolpito da Benedetto Cacciatori (Carrara, 1794 – 1871) lo ritrae infatti in veste di imperatore romano (1839). La precisione con cui i tratti fisici del re di Sardegna sono indagati deriva dal naturalismo della ritrattistica romana e l’imperturbabilità che ne pervade il volto veicola un’idea di gravezza e dignità. La toga e la spilla che ne ferma il panneggio sulla spalla sono iscritte con il motto sabaudo «FERT». Benedetto Cacciatori, Busto di Carlo Alberto, 1839, marmo. 7.ARMERIA REALE Da sempre le armi sono associate al mondo mitologico e, spesso, sono le armi a identificare i singoli eroi. Nell’Armeria, sotto la volta affrescata da Claudio Francesco Beaumont (Torino, 1694 – 1766) con episodi del mito di Enea, si possono ammirare spade, pugnali, scudi, armature, armi da fuoco di varie epoche, perlopiù utilizzate in parate o con funzione esclusivamente ornamentale. Acquistate da Casa Savoia o donate al Casato da potenze e da sovrani stranieri, le armi presentano spesso raffinati decori mitologici: ne sono esempio lo scudo “a rotella” presente nella vetrina 36 (il pezzo è il n. 5) con, nel comparto centrale, Nettuno e la sua sposa Anfitrite; nella vetrina 37 lo scudo “a rotella” ove sono effigiate le fatiche di Ercole (n. 4), il piccolo scudo “a placchetta” (n. 9) con al centro la testa di Medusa e, infine, la targhetta da pugno con Marte e Venere sorpresi da Vulcano (n. 11); nella vetrina 40 lo scudo con al centro il trionfo della ninfa Galatea. Tra le varie curiosità presenti in Armeria si segnalano, nell’ultima sala verso Piazza Castello, la spada e la sciabola riposte nell’ultima vetrina (n. 5) a sinistra guardando la Piazza donate a Vittorio Emanuele II dagli italiani di California per celebrare il neonato regno d’Italia: queste recano il simbolo dell’Italia, ancora una volta nelle vesti di una donna che reca sul capo la corona turrita (sono numerate T27 e T34) 8. SALA DELLA COLAZIONE Il Grande Gabinetto dell’Appartamento di Carlo Emanuele II, divenuto camera d’Udienza per il figlio Vittorio Amedeo II, è noto come la Sala del Tempo per i decori pittorici incassati nella volta (1662-1663): nei quattro tondi che circondano lo spazio centrale vuoto (già occupato da un perduto dipinto raffigurante un orologio con il motto «A suo tempo») sono rappresentate le allegorie del Giorno e della Notte. Il Giorno è un giovane con una stella in fronte, seduto sul globo del mondo, reggente con entrambe le mani un corpo celeste splendente, il sole; la Notte, una fanciulla coperta dal manto stellato, coronata di stelle con la luna nelle mani, è insolitamente accompagnata dal gallo: animale denominato da Plinio il Vecchio «sentinella della notte» (Naturalis historia, X, 46-47), esso allude al mito di Alettrione, soldato al servizio di Marte trasformato in gallo e condannato ad annunciare lo spuntare del giorno per aver svolto in modo negligente il compito di guardia notturna.Verso le finestre è rappresentato l’Anno nelle vesti del Tempo, un vecchio con la falce seduto presso il Circolo dello Zodiaco, «Re, e Signore dell’Anno, e delle Stagioni» secondo Cesare Ripa, autore dell’Iconologia (Roma 1593), il testo che codificò le caratteristiche e gli attributi delle figure allegoriche, fornendo un manuale asservito alle esigenze di letterati ed artisti. In direzione dell’adiacente Camera Orba si trova l’Eternità, una donna coronata d’alloro, reggente nella sinistra l’ouroboros, il serpente che si morde la coda creando un cerchio senza inizio né fine, simbolo della ciclicità infinita del tempo. 14 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Sala della Colazione, volta, 1663 ca. Gian Lorenzo Bernini, La Verità scoperta dal Tempo, 1645-1652, Roma, Galleria Borghese. Sulla specchiera che sovrasta il camino, l’orologio dalla cassa in bronzo dorato illustra un effetto positivo dell’entità protagonista della sala: Il Tempo scopre la Verità, eseguito dal bronzista di corte Francesco Ladatte e datato 1775. La nuda Verità tiene nella mano destra il sole, alla luce del quale essa splende, appoggiata al mondo su cui regna e seduta tra cumuli di armi, libri che infondono scienza e le onorificenze sabaude quali il Collare dell’Annunziata e la doppia croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Un putto allontana da essa una maschera, attributo dell’Inganno e del Tradimento, ed il Tempo solleva in alto un serto di alloro, la pianta mediterranea sempreverde utilizzata come simbolo di immortalità, indicando la propria tensione verso la gloria e l’eternità. Francesco Ladatte, Il tempo scopre la Verità, 1775 ca., bronzo dorato. Jean-François De Troy, Il tempo scopre la Verità, 1733, Londra, National Gallery. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 15 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino Lo stesso tema iconografico è raffigurato anche sulla volta dell’ambiente di passaggio tra la Galleria del Daniel e la Sala del Caffè, questa volta interpretato dal pennello dall’austriaco Daniel Seiter: in questa versione vediamo il Tempo reggere in luogo del serto l’ouroboros e l’aggiunta di una terza figura, l’orrenda vecchia con i serpenti tra i capelli che fugge alla vista della bellezza della Verità: l’Invidia. Daniel Seiter, Il tempo scopre la Verità, 1690, Gabinetto di Passaggio tra la Galleria e la Sala del Caffè, affresco 9. GALLERIA DEL DANIEL La volta di questo ambiente, tra i più sfarzosi del Palazzo, presenta un affresco realizzato tra il 1690 e il 1694 dal primo pittore di corte, l’austriaco Daniel Seiter (Vienna, 1642/1647 – Torino, 1705) per il giovane duca Vittorio Amedeo II: esso costituisce una narrazione per immagini tesa a condensare il significato del potere e la celebrazione della figura del sovrano. Negli stucchi dorati negli angoli, si scorgono incrociati lo scettro, simbolo del potere politico, ed il bastone di comando, simbolo dei vertici della gerarchia militare, nella cooperazione delle due facce dell’azione di un governante: l’amministrazione della cosa pubblica e la difesa della nazione. Nell’affresco, al di sopra della porta appena varcata, si può quindi scorgere l’effetto di un buon governo: le due donne abbracciate rappresentano la Pace, accompagnata dal putto con il ramo d’ulivo, la Daniel Seiter, La Pace, la Giustizia e l’Abbondanza, 1690cui importanza è celebrata nella Sala del Trono, e 1694, affresco la Giustizia. Il suo attributo è il fascio, una scure tenuta stretta da verghe che nell’antica Roma veniva portata dai littori, i funzionari che proteggevano il magistrato incaricato di amministrare appunto la giustizia. 16 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Washington D.C., United States Congress. Come si può vedere ai lati della Bandiera a Stelle e Strisce, i due fasci littori continuano a fungere da simbolo di Giustizia ancora nei giorni nostri. Corrado Giaquinto, La Pace e la Giustizia, 1759-1762, Madrid, Museo del Prado, olio su tela. Pietro da Cortona, La Pace e la Giustizia, 1646 Firenze, Palazzo Pitti, Sala di Marte, affresco. L’appaiamento di Pace e Giustizia è un riferimento biblico, come si legge nel libro dei Salmi, 84: «Pax et Iustitia osculatae sunt» ed è un tema che ritorna frequentemente nella Storia dell’Arte. Attraversa il cielo Iris, la messaggera divina che appariva sull’arcobaleno, per annunciare al mondo le due virtù ed in questo clima sereno fioriscono le attività artistiche ed economiche: di spalle, con le spighe in mano, è rappresentata l’Abbondanza, una condizione che è descritta da Cesare Ripa: «madre, e figliuola della Pace [...] terrà un fascio di Spighe di Grano [...] sono segno di Pace, essendo questi frutti in abondanza solo dove la Pace reca a gli uomini commodità di coltivar la terra, la quale per la guerra rimane infeconda, e disutile». © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 17 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino Nei due campi ellittici, si hanno il carro del Sole e l’Aurora che sparge fiori: due allegorie che mostrano la luce del giorno allo spuntare ed al suo massimo splendore. Il sole è personificato dal dio Apollo, di cui sono illustrate due vicende a monocromo ai lati dell’ovato: Apollo con Dafne, la ninfa che per sfuggire alle lusinghe del dio si trasformò in alloro, di cui Apollo si cinse il capo, e Apollo uccide Pitone, il drago che aveva perseguitato la madre Latona: l’uccisione del mostro è metafora degli effetti benefici del Sole. Al di sotto del carro, la donna con il manto stellato che fugge la luce è la Notte, ed il neonato portato in braccio è suo figlio il Sonno. Nell’ovato opposto al Sole l’Aurora sparge fiori colorando di rosa il cielo, impersonata da Venere, dea della bellezza. Un’identificazione insolita che trova le sue ragioni nelle scienze astronomiche: il pianeta Venere, infatti, è il primo astro che spunta al mattino ad annunciare il giorno, nell’affresco la stella portata in mano dalla dea, la cui luce è altresì indicata dal putto che porta una fiaccola (l’astro di Venere era anche detto Lucifero, «Portatore di luce»: dal latino lucem «luce» e fero «io porto»). Anche Venere è protagonista di due imprese a monocromo che profetizzano una gloria futura:Venere con le armi di Enea, in cui la dea commissiona a Vulcano lo scudo destinato al figlio, su cui è incisa la futura grandezza di Roma e Venere aiuta Enea a prendere il ramo d’oro, che permetterà all’eroe di scendere all’Ade, dove conoscerà i gloriosi eventi di Roma. Daniel Seiter, L’Aurora sparge fiori, 16901694, affresco. In tale occasione, dunque, non si ha in opposizione al Sole, come nella sala precedente, la Luna, la cui presenza implicherebbe un tramonto: in questo affresco esiste solo il giorno eterno che spunta ed è destinato a non tramontare mai. La metafora barocca favorisce l’assimilazione dell’immagine del potere agli astri: ad esempio, Luigi XIV di Francia, a ribadire il ruolo di fulcro attorno a cui ruotava la sua corte, fu denominato il Re Sole, ed il suo appartamento presso la Reggia di Versailles rispecchiava questa funzione: l’Appartamento dei Pianeti (1671-1681) gravitanti attorno al Salone d’Apollo, la Sala del Trono dove, tra raffigurazioni su tela ed affresco di dei ed eroi antichi, il re appariva in tutto il suo splendore. Le metafore cosmologiche di queste sale possono essere confrontate con altri cicli, quali le Sale dei Pianeti di Palazzo Pitti (1641-1655, lavoro iniziato da Pietro Berrettini da Cortona, di cui è evidente l’influenza sull’opera di Seiter, e terminato da Ciro Ferri) o la Sala dei Pianeti nel castello di Eggenberg a Graz (Hans Adam Weissenkircher, 1678 - 1685). Daniel Seiter, ll Carro del Sole, 1690-1694, affresco. 18 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino In testa alla galleria verso nord troviamo l’ascesa di Ercole all’Olimpo: l’eroe viene sottratto al Piacere Vano, un angelo adolescente cinto di fiori e perle, adagiato su un ricco letto accompagnato da un putto che suona soavemente un’arpa su cui è scolpita una figura femminile, la Sirena. Il Piacere Vano è adolescente, poiché si trova nell’età in cui si inizia a “gustare i piaceri”, è alato poiché il Piacere fugge in fretta e la Sirena scolpita sull’arpa ricorda che il piacere è ingannevole e pericoloso, come il bellissimo mostro mitologico che attirava i naviganti con il suo canto per condurli alla morte. Ercole è portato in cielo da Minerva, dea della saggezza, mentre un putto che regge la lancia della dea gli mostra la corona d’alloro destinata ai vittoriosi. L’ingresso del semidio figlio di Giove nell’Olimpo è metafora della glorificazione del sovrano, destinato, grazie alle proprie virtù ed imprese eroiche, a lasciare la condizione terrena per trovare il suo luogo in un Pantheon di eroi. Dei ed eroi Daniel Seiter, Ercole sale all’Olimpo, 1690-1694, affresco Daniel Seiter,Apoteosi dell’Eroe, 1690-1694, affresco Nell’ovato centrale si ha infine l’apice dell’omaggio reso al sovrano: l’Apoteosi dell’Eroe. Davanti a Giove, re degli Dei, compare un “generale antico”: ai suoi piedi i putti reggono la sue armi, lo scudo ornato dalla testa di Medusa (il cui capo reciso venne donato da Perséo a Minerva, che lo pose sullo scudo per atterrire i nemici in battaglia), simbolo di saggezza, e l’elmo coronato che ne indica la nobiltà. In diagonale, nell’angolo opposto, troviamo ulteriori armi che servono ad identificare l’eroe: la corona ducale, il collare dell’Ordine della Santissima Annunziata, massima onorificenza sabauda, e uno scudo fregiato del monogramma V.A.: il nome dell’eroe è dunque Vittorio Amedeo. Giove, con la mano aperta verso Vittorio, lo accoglie nel suo regno ed egli, mentre i putti gli posano sul capo la corona stellata simbolo dell’Immortalità, presenta al re degli dei le © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 19 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino virtù che gli hanno permesso l’ascesa all’Olimpo: l’Ardimento (la donna a cavallo), la Provvidenza (con le chiavi ed il timone: secondo il Ripa «le Chiavi mostrano, che non basta il provedere le cose, ma bisogna ancora operare per essere perfetto […] la Providenza regge il Timone di noi stessi, e dà speranza al viver nostro»), la Buona Fama (con l’alloro e la tromba che diffonde ovunque le imprese degli eroi), una donna con le folgori in mano, l’Ampiezza della Gloria (indossa il turbante perché è un’allegoria di origine orientale: secondo il Ripa «gli Antichi Egitij intendevano la fama per tutto il mondo distesa»), la Carità (che versa il suo latte come una madre ed ha in fronte la fiamma dell’amore divino) e la Magnanimità («Virtù che consiste in una nobile moderatione d’affetti, e si trova solo in quelli degni d’esser honorati. Vestesi d’oro […] porta in capo la corona, e in mano lo Scettro, perché l’uno dimostra nobiltà di pensieri, l’altro potenza d’esseguirli […] Al Leone da’ Poeti sono assimigliati i Magnanimi, perché non teme questo animale le forze de gli animali grandi, non degna esso i piccioli, e non mai si nasconde da’ cacciatori»). Seduta all’angolo, la Storia, indicando le armi di Vittorio Amedeo, scrive le gesta del duca sul suo libro, sottraendone la memoria all’azione distruttiva del Tempo: al lato opposto, infatti, è scacciato il Tempo con la falce, che inghiotte un putto, dal momento che esso “divora i propri figli”, ossia fa perire le opere umane che con impiego di mezzi e tempo vengono realizzate. I Titani, superbi rivali degli dei e simbolo del Furore, sono incatenati nell’angolo opposto a quello occupato dalle Virtù e vicino ad essi Marte, dio della guerra, si spoglia dell’armatura, inutilizzata in tempo di pace.Vittorio è comparato anche a Paride, poiché Mercurio con la destra ripete il gesto che eseguì davanti all’eroe troiano offrendogli il pomo d’oro che egli avrebbe dovuto destinare “alla più bella”: l'oggetto che il dio tiene nella sinistra è l'unione del caduceo, il bastone alato del messaggero divino, simbolo di alleanza poiché circondato dai due serpenti da lui pacificati, e di una tromba guerriera, dal momento che «il pomo sarebbe stato cagione di guerra, e non di pace» (Giovanni Pietro Bellori, Le Vite de' Pittori, Scultori ed Architetti moderni.Vita di Annibale Carracci, Roma 1672). Annibale Carracci, Mercurio e Paride, 1597, Roma, Galleria Farnese. L’apoteosi viene annunciata al mondo intero, rappresentato nei suoi elementi territoriali e naturali, riassumendo il cosmo in una sola stanza, Niccolò Lapi, Mercurio e così come avveniva nella reggia del Sole, il palazzo in cui «l'arte eclissava Paride, 1707, Firenze, Palazzo la materia, perché il dio del fuoco [Vulcano, n.d.r.]/ vi aveva cesellato i Capponi. mari che circondano la terra,/ l'universo intero e il cielo che lo sovrasta» (Ovidio, Le Metamorfosi, 2, 15). Nelle partizioni laterali appaiono infatti, tra i comparti in testata e gli ovati, i Fiumi ed ai lati del campo centrale i Quattro Elementi. Le otto figure fluviali sono di difficile riconoscimento poiché non presentano attributi: uno solo, a fianco della Pace, è affiancato dal toro e il cigno: l’uccello ricorda Cicno, mitico re della Liguria, regione che all’epoca dell’imperatore Augusto indicava la parte dell’Italia del Nord-Ovest a sud del Po, mentre il bovino evoca il fiume dallo scroscio sordo che quasi “muggisce” e che attraversa la città il cui animale-simbolo è il toro. Ovviamente il riferimento va a Torino ed al Po: egli regge in mano una cornucopia piena di frutti come augurio di fertilità e abbondanza per il territorio governato da Vittorio Amedeo. 20 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi Daniel Seiter, Allegoria fluviale, 1690-1694, affresco. I quattro elementi rappresentati sono il Fuoco, identificato nella fucina di Vulcano, il dio che forgiava le armi degli eroi e degli abitanti dell’Olimpo abitante nelle viscere della terra; l’Acqua, effigiata nel trionfo della ninfa marina Galatea seduta su una conchiglia e ornata di perle; la Terra con Bacco, il dio del vino, vestito della pelle di un leopardo accompagnato da un satiretto che suona il cembalo, e Cerere, dea dei raccolti e delle messi, simboli dei prodotti dell’agricoltura e dell’avvicendarsi delle stagioni tra il rigoglio dell’estate ed i freddi autunnali, e l’Aria, Giunone matrona con lo scettro, vestita con abiti cangianti come il tempo atmosferico, portata in trionfo da Borea, il vento invernale figurato come un vecchio scontroso e Zefiro, il vento primaverile coronato di fiori. Daniel Seiter, I quattro Elementi, 1690-1694, affresco. © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT 21 Dei ed eroi Palazzo Reale di Torino PARTE 2 Pelagio Palagi, La festa degli dèi, 1845 ca., olio su tela. INDOVINA CHI? Nella Sala da Ballo allestita da Palagi per Carlo Alberto si colloca, nella volta del soffitto, una grande tela centrale opera dello stesso Palagi in cui sono rappresentate numerose divinità dell’Olimpo. Si riconoscono, da sinistra verso destra: - in alto:Aurora, i Dioscuri a cavallo, lo Zodiaco (Ariete,Toro); - nella fascia centrale: Pan (con zampe di capra), Mercurio,Vulcano, Marte,Venere, Anfitrite (è la sposa di Nettuno, qui non è contraddistinta da alcun attributo), Nettuno, Giove, Giunone, Cibele (riconoscibile dalla corona turrita), Prosèrpina (come Anfitrite non è distinta da alcun attributo ma è identificabile dalla vicinanza dello sposo), Plutone, Minerva, Ercole, Diana (l’identificazione è resa possibile dall’arco), Giano, Ganimede, Ebe (coppieri degli dei); - nella fascia sottostante: Calliope (musa dell’epica, regge la tavoletta e lo stilo), Urania (musa dell’astronomia, è resa riconoscibile dal globo), Clio (musa della storia, regge la tromba), Apollo, Euterpe (musa della lirica, reca il flauto aulos),Talia (musa della commedia, è rappresentata con la maschera che gli attori della commedia classica indossavano e dal lituo, il bastone augurale dell’antica Roma); Melpòmene (musa della tragedia, regge una spada e, come Talia, una maschera), Erato (musa della poesia amorosa, è effigiata con la cetra e accanto Cupido) Tersicore (musa della Danza, regge la lira), Polimnia (con l’orchestica, il bastone della danza), le tre Grazie. - al centro: le Ore (custodi della regolarità del tempo) danzano attorno al Tempo. Non hanno gli attributi propri, ma simboleggiano il tempo che passa in modo spensierato grazie alla musica (il Tempo regge infatti la lira), in riferimento alla funzione della Sala. Quale attività conclusiva del percorso, si può proporre agli studenti di riconoscere le divinità più facilmente identificabili, specificando gli attributi attraverso i quali l’identificazione è stata resa possibile: Dioscuri / Marte / Nettuno / Minerva / Apollo / le tre Grazie / il Tempo. Infine si può riflettere sul valore della scritta che cinge la tela in relazione all’uso della Sala. 22 © 2015 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli - MiBACT Palazzo Reale di Torino Dei ed eroi BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA P. BAROCCHI,Testimonianze e polemiche figurative in Italia - L'Ottocento: dal bello ideale al Preraffaellismo, Firenze, D'Anna z<1974. P. BAROCCHI, F. NICOLODI, S. 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