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Le attività primarie

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Le attività primarie
EGI
Economia e
gestione delle
imprese
A cura di Nazarena Tudisco
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Parte I
Capitolo II
Le attività primarie
o La logistica
L’attività di logistica è volta al controllo e alla gestione delle merci in entrata e dei semilavorati e
prodotti finiti in uscita, nonché dei flussi informativi connessi a queste attività; opera quindi sia nel
mercato a monte (approvvigionamento), sia nel mercato a valle e perdura fino alla fase di
consegna del prodotto finito.
Essa riguarda le problematiche relative alla gestione dei magazzini, delle forniture in ingresso e in
uscita e della movimentazione interna, ovvero tutte quelle azioni che permettono di creare un
collegamento tra attività di produzione e gestione dei magazzini. Ovviamente l’incisione dei
problemi di logistica varia al variare delle dimensioni dell’impresa; un impresa che opera a livello
internazionale avrà più problemi di logistica di un impresa che opera a livello locale.
Possiamo definire la logistica come l’attività che collega il mercato con l’ambiente in cui l’impresa
opera.
Come tutte le attività dell’impresa anche la logistica genera una serie di costi che possono essere
suddivisi in:
 Costi di mantenimento delle scorte;
 Costi di magazzinaggio;
 Costi di trasporto e distribuzione;
 Costi inerenti ai lotti;
 Costi di processazione e dei sistemi informativi;
La logistica attraversa tutta l’organizzazione aziendale, dalla fornitura delle merci alla consegna del
prodotto finito.
Il magazzino svolge un ruolo fondamentale all’interno dell’attività di logistica: è un contenitore dei
flussi in entrata e trasformatore dei flussi in uscita; è necessario applicare una distinzione ai diversi
tipi di depositi (depositi di fabbrica e depositi di distribuzione):
 Depositi di fabbrica, a loro volta divisi in:
 Depositi di materie prime, in cui vengono stoccate le materie prime in entrata
in attesa di essere impiegate nel processo di trasformazione.
 Magazzini interoperazionali, sono depositi collocati tra due fasi successive
dell’attività di produzione per rispondere a esigenze quali il controllo delle
scorte; essi si possono distinguere in stoccaggio di semilavorati tra due fasi di
lavorazione e accumulo dei semilavorati a monte prima dell’imballaggio.
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 Depositi di prodotti finiti in attesa di essere consegnati.
 Depositi distributivi: fanno parte del sistema distributivo; sono distribuiti nel territorio a
struttura capillare, in modo da permettere all’azienda di rifornire una serie di punti vendita
garantendo un miglior servizio a minor costo. In questo caso l’azienda si definisce
producion oriented, in quanto cerca di minimizzare i costi di produzione e i costi di
trasporto, per esempio trasportando un maggior numero di lotti . Negli ultimi anni si è
assistito a una modifica di questo sistema: le imprese hanno aumentato il vantaggio
competitivo puntando sulla qualità del servizio e riducendo le scorte, hanno puntato
sull’efficienza del servizio riuscendo a renderlo nel momento in cui il bisogno del servizio
stesso sorge, evitando così il mantenimento delle scorte. Sono stati quindi ridotti i depositi
centrali e periferici e si è cercato di ridurre la loro funzione allo smistamento e non allo
stoccaggio delle merci; i primi nella terminologia moderna non sono più definiti come
depositi o magazzini ma come veri e propri centri di smistamento per sottolineare la loro
funzione che non è più lo stoccaggio delle merci ma il loro smistamento. Lo stesso vale per i
depositi periferici, se non in modo più accentuato, che si stanno via via trasformando in
transit point, in cui viene meno la funzione di stoccaggio (o comunque è ridotta al minimo
indispensabile per il tempo necessario allo smistamento). La logica di sistema è di tipo pull,
i punti vendita ordinano direttamente ai depositi centrali e periferici.
Abbiamo già detto che il magazzino contribuisce in grande misura alla realizzazione della fase della
logistica e le operazioni di magazzino sono numerosissime.
La prima attività di magazzino è il ricevimento delle merci, nella quale si verifica la corrispondenza
tra l’ordine effettuato e la merce ricevuta; gli operatori devono comparare l’ordine con la bolla di
trasporto per controllare che le merci in arrivano corrispondano a quelle ordinate al fine di evitare
problemi futuri (mancanza di materiali necessari per la realizzazione di un lotto, qualità dei
materiali inferiore a quella richiesta e ciò comporterebbe la realizzazione di un prodotto diverso
dagli standard qualitativi ecc), dopodiché si crea la bolla di entrata merci.
Seguono poi le operazioni di stoccaggio e movimentazione interna, che consistono nel posizionare
le merci in entrata in specifiche strutture in un area del magazzino; è necessario fornire agli
addetti al magazzino soluzioni efficaci per il ritrovamento della merce, vengono quindi create
mappe di magazzino, in cui il magazzino stesso viene diviso in aree in base a una serie di parametri
(caratteristiche della struttura, facilità di accesso) e ciò è utile anche per stabilire l’allocazione della
merce. Oltre alle caratteristiche della struttura di stoccaggio contribuiscono a stabilire la posizione
della merce in magazzino anche le caratteristiche dei singoli prodotti (entità dei flussi, dimensione
dei lotti, peso delle unità, esigenze di climatizzazione e refrigerazione).
La mappa di magazzino prevede l’identificazione:
 del tipo di magazzino: una struttura fisica o una parte di essa caratterizzata da un
determinato sistema di stoccaggio (per unità di carico, per contenitori) o dalla funzione
assolta (climatizzazione).
 Dell’area: sottoinsieme del tipo di magazzino in cui sono raggruppate le celle con uguali
caratteristiche.
 Delle celle: le aree più piccole del magazzino in cui il materiale viene immagazzinato.
Per la ricerca delle celle di magazzino possono essere utilizzati una serie di sistemi, ognuno dei
quali con effetti differenti sull’efficienza dello stoccaggio merci: allocazione per singolo prodotto,
allocazione per classi di prodotto e allocazione casuale.
L’allocazione per singolo prodotto (dedicated storage), prevede che a ogni cella del magazzino
venga assegnato uno specifico codice prodotto cosicché gli operatori di magazzino possano
reperirlo facilmente e memorizzarne la posizione. Questo sistema compromette la potenzialità
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recettiva del magazzino in quanto per ogni codice di prodotto deve essere riservato uno spazio
pari alla giacenza massima prevista , ne consegue che la potenzialità ricettiva del magazzino deve
essere pari alla somma delle giacenze massime previste.
L’allocazione per classi (class – based storage) prevede che i prodotti siano divisi in classi
caratterizzate da indici di rotazione decrescente e che i prodotti con maggiore rotazione siano
disposti nelle zone più accessibili del magazzino (le merci sono stoccate nelle zone in modo
casuale) . Questo sistema compromette la recettività del magazzino in quanto il numero di celle
per ogni zona è pari alla giacenza massima prevista per ogni classe (il che è inferiore alla giacenza
massima prevista per ogni articolo).
L’allocazione casuale (random storage) prevede la disposizione casuale della merce in magazzino;
questo sistema ovvia al problema della riduzione della potenzialità recettiva del magazzino ma
rende più difficile reperire la merce all’interno del magazzino stesso.
L’utilizzo del primo sistema non richiede applicazioni di tipo informatico in quanto i materiali sono
disposti in posizione fissa e questo facilita la memorizzazione da parte degli operatori, il secondo e
terzo sistema necessitano invece un applicazione informatica.
Il picking consiste nel prelievo di un numero limitato di beni per rispondere alle esigenze
provenienti dai sistemi esterni al magazzino, ad’esempio si prelevano alcuni articoli per la
realizzazione di un ordine proveniente da un cliente. Questo tipo di operazione può avvenire in
modo più o meno automizzato realizzando così due situazioni:
 Operatore verso materiali: l’utilizzo di automi avviene solo per lo spostamento di grossi
carichi, mentre per il prelievo di piccoli quantitativi è l’operatore che si sposta verso il
magazzino (anche eventualmente su appositi mezzi). In questo caso abbiamo una forte
prevalenza di manodopera.
 Materiali verso operatore: è il caso delle imprese dotate di magazzini automatici, le merci
sono richieste da una postazione fissa e i materiali raggiungono la postazione; in questo
caso si riduce l’impiego della manodopera e della perdita di tempo dello spostamento
dell’operatore, ma aumenta il livello di investimento.
Nelle applicazioni informatiche è previsto un set di opzioni tra le quali è possibile scegliere il
metodo di gestione dell’attività di picking:
 Picking per ordine: da ogni cella sono prelevati i materiali necessari per la realizzazione
dell’ordine. Problema: gli ordini sono evasi in sequenza e gli operatori potrebbero ritrovarsi
a fare gli stessi percorsi più volte.
 Picking per lotti: da ogni cella è prelevato un numero di lotti in base alla quantità richiesta
da un insieme di ordini, in questo modo le operazioni di prelievo sono più lunghe, ma si
evita di ripetere inutilmente gli stessi percorsi.
 Picking a zone: gli ordini sono suddivisi per zone di prelievo e le singole frazioni di ordine
vengono inviate a una postazione prima della fase di imballaggio per essere riunite alle
altre frazioni di ordine; ogni operatore addetto a una determinata zona preleva quindi il
materiale della propria zona e invia la merce alla postazione accompagnata dall’ordine
parziale. I prelievi delle diverse zone vengono poi riuniti e imballati.
Nelle imprese più evolute si parla di paperless picking, ovvero il picking senza cartaceo; i
documenti cartacei sono sostituiti da display posizionati sugli scaffali, nei quali appare l’indicazione
del materiale da prelevare. Come tutte le operazioni con grande impiego di tecnologia sono ridotti
i tempi ma si aumentano gli investimenti.
Abbiamo infine la fase della spedizione che, se intesa come consegna della merce al cliente è la
fase che termina l’operazione di logistica. Accade però che per spedizione si intenda anche lo
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spostamento dei materiali dal magazzino a una zona dell’attività produttiva o a un altro magazzino
o a soggetti esterni che operano per conto dell’azienda, in questo secondo caso la spedizione fa
ancora parte dell’attività di logistica.
Gestione delle scorte di materie prime.
La gestione delle scorte è uno dei compiti fondamentali all’interno dell’attività di logistica e
consiste nello stabilire il livello dei materiali in magazzino per rispondere nel modo più efficiente
alla domanda utilizzando le risorse a disposizione.
Le scorte sono classificate in:
 Scorte di transito, sono quelle che si creano nel lasso di tempo necessario al trasferimento
di un prodotto da una fase di fabbricazione a quella successiva o da un punto di stoccaggio
a quello successivo.
 Scorte di ciclo, che si manifestano quando si produce in misura maggiore rispetto al
fabbisogno immediato.
 Scorte di sicurezza, costituite per fare fronte a incertezze e irregolarità dei flussi della
catena logistica.
 Scorte di disaccoppiamento, per fornire indipendenza a ogni stadio della logistica.
 Scorte stagionali, costituite per far fronte agli incrementi stagionali di domanda.
Le scorte implicano problemi di gestione operativa e rappresentano una parte del capitale
circolante; sono state formulate due teorie a riguardo, il look back e il look ahead.
In base alla prima modalità le scorte devono essere reintegrate ogni volta che scendono al di sotto
di un livello stabilito; secondo il secondo sistema non dovrebbe esistere alcun tipo di scorta, a
eccezione delle scorte di transito. È un sistema basato sulla pianificazione della domanda, i
materiali sono ordinati in base alla domanda che si prevede. L’assenza di scorte è però relativa in
quanto si realizza se le previsioni della domanda sono corrette, in caso contrario si verrebbero a
formare stock. Per realizzare una produzione senza scorte bisognerebbe poter prevedere la misura
esatta della domanda, anticipare la produzione e l’approvvigionamento, ma questa è una
situazione non realistica. Tuttavia se anche ciò fosse possibile, la presenza di scorte potrebbe
sempre manifestarsi a causa delle variabili esogene e endogene che impattano sull’impresa.
Per realizzare un modello di gestione che non comporti la formazione di stock, l’azienda potrebbe
utilizzare il metodo del fabbisogno (applicando il MRP, Material Requiriment Planning), ovvero
acquistare le materie prime nella misura in cui esse servono a realizzare un ordine.
Il sistema MRP è in particolare usato per prodotti costituiti da più componenti, per gestire
materiali ad’alto consumo.
Quali sono i motivi che spingono un impresa a tenere degli stock?
 Alimentare le lavorazioni in corso, evitando di interromperle per mancanza di materiale.
 Ovviare al problema dei tempi di approvvigionamento.
 Mantenere bassi i costi (comprando grandi quantitativi si ottengono gli sconti quantità).
 Fare fronte alla variabilità della domanda.
 Ovviare alle speculazioni sui prezzi (i prezzi di alcuni prodotti aumentano e diminuiscono
nel tempo).
Spesso la gestione delle scorte è operata sulla base di previsioni della domanda attraverso un
software che analizzando le serie storiche riesce a fornire una previsione dei volumi di vendita per
i 12 mesi successivi.
Gestione delle scorte centralizzate.
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La gestione delle scorte centralizzate avviene allo stesso modo per quanto riguarda sia le scorte
prodotti finiti di produzione interna, sia riguardo ai prodotti finiti commercializzati. La
differenziazione delle scorte avviene invece in base a criteri di prevedibilità e regolarità nel tempo
della domanda. Possono essere quindi adottati tre diversi modelli:
 A intervallo fisso.
 A punto di riordino.
 A ripristino.
Il metodo a intervallo fisso è utilizzato per prodotti con domanda facilmente prevedibile e regolare
nel tempo. Ogni articolo viene ordinato in quantitativi variabili ma a intervalli prefissati e costanti,
determinati tenendo conto del trade off tra il costo di emissione dell’ordine e il mantenimento
delle scorte; a riguardo del costo dell’ordine sarebbe preferibile un intervallo di riordino più lungo
mentre a riguardo del costo di mantenimento sarebbero preferibili intervalli di riordino più ridotto.
T = *√(2 * Ce)+ / *√ (p * Cp * Dpr)+
Dove:
T = intervallo di riordino.
Ce = costo di emissione di un ordine.
P = prezzo unitario annuo dell’articolo.
Cp = costo percentuale annuo di mantenimento delle scorte.
Dpr = vendite annue previste.
Trascorso l’intervallo di riordino T dall’ultimo ordine, viene riordinato un quantitativo di merce Q
pari alla differenza tra la scorta massima (S max) desiderata e la scorta disponibile (Sd)
Q = S max – Sd
Sd = scorta in mano + scorta ordinata – scorta impegnata
La scorta in mano è quella fisicamente disponibile all’interno del sistema logistico, la scorta
ordinata è quella già ordinata ma che non è ancora giunta al sistema logistico e che sarà
disponibile in futuro e la scorta impegnata è quella già in previsione di utilizzo ma che non è
ancora uscita dal sistema logistico.
La scorta massima è data da:
S max = Dpr (T + t) + SS
SS = k * e (T + t)
Ovvero dipende oltre che dalla previsione sulla domanda nell’intervallo di riordino T e nel tempo
di reintegro t, anche da un quantitativo di scorta SS.
Dove:
Dpr (T – t) = vendite previste nel tempo di riordino e reintegro.
K = coefficiente di sicurezza.
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e (T + t) = errore previsionale mediamente commesso dal programma di previsione vendite in
riferimento ai tempi di riordino e reintegro.
Il coefficiente di sicurezza dipende dal livello di servizio che si vuole offrire: se l’impresa vuole
sempre rendere disponibili i propri prodotti ai clienti, k sarà elevato e di conseguenza ci sarà un
maggior quantitativo di scorte.
K non è uguale per tutti gli articoli, sarà maggiore per gli articoli con volume di vendita più elevato
e minore per quelli meno richiesti (il tutto calcolato sulla base di un analisi che individua in che
modo ogni articolo influisce sul fatturato annuo).
MODELLO A INTERVALLO FISSO
Punti di forza
Punti di debolezza
Pianificazione degli ordini elevata con Alto livello medio delle scorte.
possibilità di unire in un'unica data le forniture
da uno stesso fornitore riducendo così il
numero di ordini e migliorando l’organizzazione
delle attività di acquisto e ricevimento merci.
Ordini in base alle previsioni di vendita.
Minore reattività agli sbalzi della domanda.
SS variabile in funzione della domanda.
Il metodo a punto di riordino
È un modello in base al quale viene determinato un livello di stock (punto d’ordine) al di sotto del
quale è necessario effettuare un ordine per ripristinare la scorta in magazzino; l’intervallo di
tempo è variabile (a differenza del modello precedente), ma la quantità ordinata è fissa. La
quantità Q viene determinata bilanciando il costo di mantenimento dello stock e il costo di
emissione dell’ordine: un ordine grande comporta maggiori spese di mantenimento mentre un
ordine piccolo comporta la necessità di emettere successivamente una serie di altri piccoli ordini
incrementando il costo di emissione (maggiori costi amministrativi e di consegna).
EOQ =* √ (2Dpr * Ce) + / *√ (p * Cp) +
Dove:
Dpr = vendite annue previste.
Ce = costo di emissione di una riga d’ordine.
P = prezzo unitario annuo di un articolo
Cp = costo percentuale annuo di mantenimento delle scorte.
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La dimensione del lotto d’ordine (EOQ) non è una funzione lineare dei parametri in quanto essi
sono sotto radice; il valore del punto d’ordine invece viene determinato con la formula:
So = Dpr(t) + SS
SS = k e(t)
Dove:
e(t) = errore previsionale mediamente commesso dal programma di previsione vendite in
riferimento al tempo di reintegro.
k = coefficiente di sicurezza.
MODELLO A PUNTO D’ORDINE
Punti di forza
Punti di debolezza
Idem sistema a intervallo fisso ma si perde la Continuo controllo delle scorte (molto
possibilità di un efficace programmazione degli dispendioso)
articoli.
Buona reattività alle variazioni della domanda.
Le versioni tradizionali di questi due modelli per dimensionare le componenti si basano sulle
vendite storiche mentre la aziende si basano sulle previsioni della domanda.
Modello a ripristino
È il modello utilizzato per prodotti a domanda irregolare e/o estremamente ridotta e consiste
nell’effettuare un ordine minimo ogni qual volta la scorta scende al di sotto di un determinato
livello.
Il funzionamento è analogo al modello a punto d’ordine ma differisce per alcuni aspetti:
 Il punto d’ordine è molto basso, solitamente 0, ovvero quando terminano le scorte (il
prodotto è poco richiesto ma l’azienda intende comunque offrire il servizio) e è fissato
senza tenere conto della domanda nel tempo di riordino.
 L’entità dell’ordine è data dal minimo imposto dal fornitore (se si effettuasse un ordine
grande, si avrebbero maggiori spese di mantenimento dello stock dato il basso livello di
domanda).
Gestione delle scorte periferiche.
Gli impegni a clienti e il prelievo di scorte impegnano e riducono lo stock. Per la gestione delle
scorte periferiche su utilizza il Piano di reintegro scorte depositi il quale prevede che a ogni
articolo sia assegnato un livello di stock in base agli impegni e scarichi e domanda prevista
(previsioni mensili che si basano sulla serie storica degli ultimi 12 mesi).
Reintegro scorte a depositi = reintegro teorico – scorte disponibili nel deposito
Il reintegro teorico è dato dalle vendite previste in un determinato periodo di tempo dato
dall’intervallo di reintegro e dalla copertura delle scorte di sicurezza.
Un altro modello è quello del just in time che è però di difficile applicazione e particolarmente
rischioso; esso prevede l’inesistenza di scorte e l’emissione dell’ordine in base alle richieste dei
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clienti (il cliente ordina un prodotto e l’azienda emette l’ordine al fornitore con gli articoli
necessari per creare quel prodotto).
I fornitori però devono essere puntuali e affidabili perché la produzione non si deve mai fermare
(non devono esistere ritardi di consegna ad esempio); oltre al rischio fornitori, che è esterno
all’azienda, esiste anche un rischio interno dato dal mal funzionamento di impianti e macchinari
che potrebbero compromettere la realizzazione dell’ordine del cliente. Anche la rigidità
dell’azienda è un fattore compromettente, si pensi a un’impresa che utilizza uno stesso
macchinario per la produzione di più prodotti, questo comporterebbe una perdita di tempo; in
questo caso l’azienda potrebbe ovviare al problema della perdita di tempo riducendo gli altri
fattori di rischio (per esempio aumentando lo stock di magazzino in modo da evitare anche
eventuali ritardi di fornitura).
o Le attività produttive.
Tutte le aziende produttrici di beni e servizi svolgono un’attività di trasformazione di input in
output con caratteristiche differenti. Il concetto di trasformazione è strettamente connesso con
quello di produzione in quanto quest’ultima è la trasformazione chimico – fisica delle risorse; non
in tutte le attività di produzione vi è però trasformazione chimico – fisica: l’impresa commerciale
ad’esempio acquista beni e li rivende senza averli trasformati, si verifica però una variazione del
prezzo di vendita.
Differisce inoltre la produzione di beni dalla produzione di servizi: i beni sono dotati di fisicità, di
conseguenza possono essere imballati e stoccati, il luogo di produzione può essere distante dal
luogo di consumo; la produzione di servizi prevede invece che il servizio sia erogato in
corrispondenza dal luogo in cui è prodotto e coinvolge direttamente l’utente. Ne consegue che per
i servizi c’è simultaneità tra erogazione e consumo, per i beni invece no (il bene prima viene
prodotto e in seguito consumato).
I beni possono quindi dare origine a scorte di magazzino, con la conseguente possibilità di
affrontare eventuali picchi di domanda, i servizi non generano scorte e le aziende di erogazione
devono essere in grado nonostante ciò di affrontare l’aumento della domanda senza
compromettere il servizio offerto.
Altra differenza riguarda il controllo qualità di quanto offerto dall’impresa: le imprese industriali,
data la non simultaneità tra produzione e consumo, possono controllare la qualità del prodotto
offerto prima che questo sia lanciato sul mercato, provvedendo alla riparazione e sostituzione del
bene. Per i servizi questo non è possibile data la coincidenza tra erogazione e consumo; eventuali
difetti possono essere modificati solo in seguito all’erogazione del servizio, le imprese di
erogazione quindi devono fare in modo che il servizio offerto sia sempre impeccabile, in caso
contrario si rovinerebbe l’immagine dell’azienda con conseguente perdita di
Straregia
aziendale
Strategia di
area di affari
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Politica di
marketing
Politica di
produzione
Politica di R&S
clienti
Nello schema sono rappresentate le diverse caratteristiche della funzione di produzione; l’impresa
deve scegliere in che modo combinare gli aspetti dei diversi ambiti.
Per un adeguata politica di produzione è necessario l’intervento di tutte le aree della catena del
valore, il tutto combinato con una buona strategia aziendale.
Analizziamo le principali problematiche della funzione di produzione.
Tipologie di processi produttivi.
I processi produttivi possono essere classificati in:
 Produzione continua.
 Produzione in serie.
 Produzione unitaria.
È una classificazione basata sulla produttività (quantità di beni effettivamente prodotti o che si
intendono produrre) e sulla varietà della produzione (famiglie di beni che l’impresa produce). Tra
produttività e varietà esiste una relazione inversa, trade off, all’aumentare della varietà si riduce la
produttività (se con uno stesso macchinario si producono 10 modelli diversi dello stesso bene ogni
volta che si cambia modello si dovrà riorganizzare l’impianto e interrompere il processo
compromettendo
la
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produttività).
Continue
Produttività
Alta
Grandi serie
Medie serie
Media
Piccole serie
Bassa
Unitarie o su
commessa
Varietà
Come rappresentato graficamente, i processi continui o in grande serie hanno maggiore
produttività (es. produzione della carta), in quanto sono caratterizzati dall’utilizzo di un unico
grande impianto, anche complesso, per la produzione di un prodotto relativamente semplice; i
processi di produzione unitaria o su commessa hanno invece una produttività bassa ma una
grande varietà (es. artigianato). L’artigiano non utilizza grandi macchinari, ma ogni singolo
prodotto spesso ha una particolare caratteristica, in base alle richieste del cliente e non è ripetibile.
Per le produzioni in piccola e media serie è necessario invece di disporre di macchinari con una
certa flessibilità tecnica, ovvero la capacità di passare dalla produzione di un determinato bene a
un altro in tempi ristretti e senza richiedere modificazioni del processo (eccetto quelle di
riprogrammazione e riattrezzaggio).
La produzione continua è quindi caratterizzata dalla produzione di grandi volumi di prodotto ma
dalla scarsa capacità di adattarsi alle variazioni qualitative della domanda. C’è standardizzazione
degli input, degli output e delle condizioni di funzionamento degli impianti.
La produzione in serie è costituita da una serie di sottoinsiemi diversi (piccola, media, grande),
caratterizzati da diversi livelli di produttività e flessibilità (grado di interconnessione tra le diverse
macchine che partecipano al processo produttivo). La produzione in grande serie è caratterizzata
da un basso livello di flessibilità, in quanto i macchinari sono strettamente connessi tra di loro o
esiste un solo macchinario, da un elevata produttività dovuta alla produzione grandi volumi di
prodotti, sfruttando le economie di scala. Per le produzioni piccole e medie si utilizzano invece
impianti diversi (solitamente a controllo numerico) e più o meno interconnessi tra loro.
Nella produzione di media serie abbiamo diverse sottoclassi:
 Produzione in serie flessibile a sistemi integrati: alti livelli di produttività con sistemi che
integrano più macchine e trasporto automatico dei pezzi sui quali si lavora.
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
Produzione flessibile a celle: buoni livelli di produttività e alti livelli di flessibilità; le singole
celle sono costituite da più macchine (due o tre) tra loro connesse mentre l’insieme delle
varie celle risulta disconnesso (maggiore flessibilità).
 Produzione job shop automatizzata: livelli di produttività e flessibilità inferiori ai modelli
precedenti; le macchine sono integrate con software di controllo e sistemi di
programmazione della produzione.
 Produzioni job shop: la produzione è costituita da insiemi di macchine non interconnessi
quindi alta flessibilità ma bassa produttività.
Nella produzione in piccola serie o per unità distinte abbiamo un elevatissimo livello di flessibilità
ma scarsa produttività; alcune caratteristiche particolari del prodotto sono realizzate su richiesta
del cliente e difficilmente verranno realizzate; la progettazione del prodotto diventa parte
integrante del processo produttivo. La fase di assemblaggio è separata e distinta dalle altre fasi del
processo produttivo.
Livello di automazione e integrazione delle apparecchiature.
Negli ultimi decenni si è verificato un elevato aumento del livello di automazione (sostituzione
dell’uomo con macchine) nelle produzioni industriali dovuto alla:
 Meccanizzazione delle operazioni, ovvero sostituzione del lavoro manuale con il lavoro
delle macchine, reso possibile dalla standardizzazione delle produzioni.
 Progresso dell’informatica e delle telecomunicazioni, che ha reso possibile automatizzato
anche per processi molto complessi e dispersi sul territorio (le macchine sono sempre più
precise e riescono a realizzare tutti i movimenti necessari per la realizzazione del prodotto).
 Progresso nel settore della costruzione delle macchine utensili (le macchine sono sempre
più versatili e se comandate correttamente riescono a svolgere molteplici funzioni, al punto
di configurarsi in un'unica macchina in grado di svolgere tutte le operazioni di interi cicli
produttivi)
Distinguiamo:
Apparecchiature per la progettazione dei prodotti e dei processi produttivi:
Le principali sono il CAD (Computer Aided Design), ovvero il sistema per la progettazione
attraverso il computer e il CAE ( Computer Aided Engineering ), sistema di progettazione e
creazione di prototipi con un unico elaboratore. Attraverso il sistema CAD è possibile progettare i
prodotti attraverso l’utilizzo di un software e della grafica computer; sono progettazioni
bidimensionali e tridimensionali che facilitano il progettista, è inoltre possibile adattare l’idea
originale alle specifiche richieste del cliente e archiviare le diverse idee nella memoria, nonché
richiamarle quando necessario. I programmi più avanzati permettono inoltre di ruotare l’immagine,
vedere l’interno, cambiare le misure e visualizzare la distinta dei materiali. I dati CAD possono
essere importati in sistemi CAE, ma anche in sistemi CAM (Computer Aided Menagement), che
traducono i dati CAD in comandi per il controllo delle macchine.
Il sistema CAE è l’insieme di software e hardware che permette la simulazione, progettazione e
collaudo dei modelli elaborati con il sistema CAD; possono essere effettuate simulazioni sulla
resistenza del prodotto e sulle sollecitazioni meccaniche per conoscere preventivamente le
risposte dei prodotti permettendo eventuali modifiche.
Il sistema CAPP (Computer Aided Process Planning) elabora i dati provenienti dai sistemi CAD e
CAE e definisce i metodi per la realizzazione del prodotto. Definisce le macchine da impiegare.
Attraverso questi sistemi la progettazione del prodotto viene resa più semplice e la produzione più
efficace e efficiente.
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Sistemi di governo del processo produttivo.
I sistemi di governo permettono, attraverso l’utilizzo di software e hardware, di controllare gli
impianti, non solo le singole celle, ma anche l’intero stabilimento o un sottoinsieme di esso;
Consistono in un calcolatore posto all’interno dello stabilimento, collegato ai sistemi di controllo
dei sottoinsiemi; il calcolatore raccoglie e elabora i dati provenienti dai sottosistemi, producendo
rapporti in tempo reale e segnalando eventuali anomalie e inviando ordini ai sottosistemi
(provenenti dall’elaboratore o da un operatore).
I sistemi di controllo principali sono quelli a controllo numerico. I CN sono macchine dotate di un
supporto magnetico sul quale vengono memorizzati i programmi che specificano i movimenti che
la macchina deve eseguire; I movimenti sono ripetuti ciclicamente secondo una sequenza ordinata,
la macchina quindi non può prendere decisioni autonomamente ma il tutto deve essere
supervisionato da un operatore. A livello più avanzato abbiamo il CNC (Computing Numerical
Control), questo sistema è dotato di più programmi, a differenza del CN che ne ha solo uno, e il
passaggio da un programma all’altro non richiede l’intervento dell’operatore.
Apparecchiature per la lavorazione.
Possiamo distinguere una serie di apparecchiature nel processo produttivo: la macchine utensili
(Machining Center, MU) e le celle flessibili di produzione (Flexible Manufacturing System, FMS). Le
macchine utensili permettono di trasformare oggetti di materiale metallico attraverso il tagli e la
deformazione; esse sono classificate in base al moto di lavoro in:
 Macchine a moto circolare: trapano, fresatrice.
 Macchine a moto rettilineo: piallatrice, limatrice.
 Macchine utensili a moto speciale: mola.
L’MC, Machining Center, permette di unire in un unico ciclo di lavoro tutte le operazioni delle
macchine utensili, con conseguente risparmio di tempo data l’eliminazione del trasporto del
prodotto da una macchine utensile a un'altra e riduzione dello spazio occupato. L’MC ha un
magazzino utensili e un sistema automatico di cambio utensili. Dall’evoluzione dell’MC nascono le
FMC (Flexible Manufacturing Center), che consistono in più MC governate da un unità di controllo
in comune.
L’FMS è molto simile all’FMC, ma è un sistema altamente automatizzato costituito anch’esso da
più MC, collegate tra loro da un sistema di movimentazione e immagazzinamento controllato da
un sistema computerizzato. Sono sistemi avanzati che permettono di velocizzare la lavorazione di
piccoli lotti sfruttando i costi ridotti delle produzioni di grosso volume.
Gli FMS possono essere distinti in base all’operazione eseguita in FMS per le operazioni di
processo e FAS per le operazioni di assemblaggio, solitamente un sistema flessibile realizza solo
una di queste due ipotesi; in base al livello di flessibilità distinguiamo celle e sistemi flessibili
dedicati, quando sono utilizzati per produrre una limitata varietà di parti del prodotto e celle e
sistemi flessibili generali, utilizzati per la produzione di una molteplicità di parti anche complesse e
diverse tra loro.
Gli FMS permettono:
 Funzionamento 24 su 24 delle macchine.
 Riduzione del numero delle macchine.
 Grande flessibilità in caso di variazioni delle parti del prodotto.
 Ottimizzazione del consumo degli utensili.
 Riduzione della manodopera e aumento della produttività.
Con il progresso tecnologico si è assistito alla creazione di robot, che a differenza delle macchine,
finalizzate a una determinata operazione, sono in grado di svolgere una serie diversa di attività. I
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robot sono classificati in robot monofunzione, ovvero macchine capaci di lavorare semilavorati
senza l’intervento dell’uomo (robot traslatori, ribaltatori e posizionatori); essi eseguono lavori
ripetitivi e per eventuale modifica delle lavorazioni è necessario l’intervento dell’uomo. I robot
multifunzione a differenza dei precedenti, eseguono lavorazioni e sono in grado di modificare le
lavorazioni programmate. Il robot è costituito da due componenti, il sistema di manipolazione, che
è la parte che esegue il lavoro e il sistema di governo, che è quello che controlla e gestisce i
movimenti.
Sistemi di supporto dell’attività di programmazione e controllo.
Data la complessità delle informazione e delle procedure di programmazione della produzione,
sorge la necessità di sistemi di supporto; i principali sono:
 MRP (Material Requiriment Planing): determina il fabbisogno delle materie prime sia a
livello quantitativo che temporale, garantendone la disponibilità costante. Per il loro
corretto funzionamento è necessario disporre della distinta base relativa a ogni prodotto,
del livello di scorte, del lead time, ovvero il lasso di tempo tra il momento dell’ordine e il
momento in cui la merce è disponibile, del production time, ovvero il tempo che intercorre
dal momento in cui le materie vengono ordinate e il momento in cui esse vengono
trasformate, il programma di assemblaggio ecc. Attraverso questi dati è possibile calcolare
le quantità e i tempi di ordine.
 MRP II: svolge tutte le funzioni dell’MRP coordinandole con tutte le altre funzioni che
vengono normalmente svolte durante il processo produttivo; non si limita quindi solo
all’approvvigionamento, ma anche alle politiche di marketing, progettazione ecc.
Sempre più sfruttati dalle imprese di dimensioni medio grandi sono i sistemi ERP (Enterprise
Resource Planing) che attraverso una struttura software integrano tutti i processi dell’impresa; le
diverse aree gestionali una volta gestite da sistemi separati, vengono riunificate sotto un unico
grande e complesso sistema. Sono però sistemi molto costosi, di conseguenza sono necessari
grandi investimenti di tempo e risorse.
Dimensionamento della capacità produttiva.
La capacità produttiva dell’impresa è condizionata dalla struttura dell’impresa stessa: le
immobilizzazioni, essendo idonee a perdurare per un medio lungo periodo, costituiscono una
fonte di rigidità per l’azienda. In caso di variazioni della domanda, per adattarsi l’impresa dovrebbe
modificare la sua struttura, sostenendo costi molto elevati. La determinazione della struttura
quindi è importante in quanto influenza la capacità produttiva di breve periodo.
Capacità produttiva di breve periodo: quantità massima teorica di beni e servizi che può essere
ottenuta da un singolo impianto o da un aggregato di impianti in un arco di tempo calcolato in
funzione del tipo di processo produttivo considerato.
Il significato di capacità produttiva può essere inteso in diversi modi:
 Capacità teorico – nominale: massimo flusso fisico di beni e servizi ottenibili in un
determinato periodo di tempo (ora, giorno, settimana), dichiarato dal produttore
dell’apparecchiatura.
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
Capacità teorico – effettiva: massimo flusso di beni e servizi ottenibili in un determinato
periodo di tempo, in condizioni di massimo funzionamento stesso, senza interruzioni e
rallentamenti. Questo flusso risulta inferiore al precedente.
 Capacità ottimale o economica: flusso di beni e servizi ottenibili in un determinato periodo
di tempo al costo minimo.
Legato al concetto di capacità produttiva c’è quello di produttività, ovvero il flusso di beni e servizi
che si intende raggiungere o quello effettivamente raggiunto in un determinato periodo di tempo.
La capacità produttiva è un valore legato al funzionamento dell’impianto e alla sua dimensione, la
produttività è un valore legato alla capacità produttiva e dipende dal grado di utilizzo dell’impianto.
In questo ambito di discussione il concetto di breve, medio e lungo periodo non è riferito a un arco
di tempo, ma alla possibilità dell’impresa di modificare l’impianto: nel breve periodo, in caso di
variazioni della domanda, l’impresa può modificare solo i fattori variabili (input, risorse umane),
nel lungo periodo invece può modificare direttamente gli impianti.
Per analizzare al meglio la capacità produttiva è necessario analizzare i costi che l’impresa deve
sostenere; focalizzando l’attenzione sul breve periodo si può dire che i costi fissi sono costituiti
dalla quote di ammortamento delle immobilizzazioni mentre i costi variabili sono costituiti da
materie prime, manodopera. La loro somma genera il costo totale (CT).
CF + CV = CT
Possiamo rappresentare la funzione dei costi graficamente:
Analizziamo
il
grafico;
sull’asse
CT
Costo
delle x abbiamo la
quantità mentre
sull’asse delle y il
costo; i CF sono
CV
rappresentati da
una retta che
parte da un punti
dell’asse y ma
CF
non dall’origine in
quanto i CF non
sono pari a zero. I
a
CV
invece
partono
dall’origine
in
CTE
Quantità (q)
quanto
in
corrispondenza di
una produzione
pari a zero anche il CV è zero, essi sono in funzione direttamente proporzionale della quantità
prodotta. I CT sono rappresentati da una linea retta parallela a quella dei CV che parte dallo stesso
livello della retta dei CF.
CTE è la capacità produttiva teorico effettiva; Il rapporto CF/q diminuisce all’aumentare della
quantità, fino a raggiungere il valore CF/CTE.
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Il cvu è un
valore
Andamento dei costi unitari in funzione
costante pari
del grado di utilizzo dell’impianto.
Costo
alla tangente
dell’angolo
alfa.
La
somma
dei
valori
decrescenti
fino a q = CTE
e del valore
cfu
costante CV/q
è decrescente
CUM
e ha il minimo
cvu
nel punto CTE.
Il
CV
è
considerato
costante, cosa
CTE
quantità
che non si
verifica
spesso nella realtà in quanto inizialmente il CV varia in modo più che proporzionale diminuendo la
proporzionalità all’aumentare della quantità.
Questo
grafico
rappresenta
Andamento reale dei costi in funzione del
l’andamento reale
grado di utilizzo dell’impianto.
Costo
dei
costi.
L’andamento dei
CV
è
legato
CT
all’effetto learning,
ovvero
allo
svilupparsi
di
ctr
economie
di
CV
apprendimento e
funzionamento
cvr
dell’impianto. Al
realizzarsi
di
CF
queste economie il
punto minimo dei
CV non coincide
con quello della
capacità produttiva
CTE quantità
ma si colloca in un
valore tra il 60% e l’80% di essa. La possibilità di operare a costo unitario minimo è data dalla
capacità di sfruttare, nel breve periodo, queste economie.
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Andamento dei costi nel lungo
periodo.
D
C
B
A
Nel lungo periodo l’impresa può migliorare la
propria struttura e quindi effettuare investimenti
ampliando gli impianti; Sostituendo l’impianto A
con l’impianto B la capacità produttiva teorico –
effettiva passa da CTEA a CTEB che è il doppio della
prima; i CF assumono un andamento a scala ma,
con le economie di scala, non saranno mai il doppio.
All’aumentare delle dimensioni dell’impianto si
verificano effetti anche sui costi variabili unitari:
acquistando quantità maggiori si possono ottenere
sconti presso i fornitori.
Nel momento in cui si realizza un’economia di scala,
si verifica una riduzione dei CF, CV e quindi del
costo unitario medio nonché un aumento più che
proporzionale
della
produzione
rispetto
all’aumento dei costi.
Al
passaggio
dall’impianto
A
A
B
C
D
c
all’impianto
B
si
verifica quindi una
diminuzione del costo
medio unitario e un
spostamento
della
curva di costo medio
unitario verso destra e
verso il basso. La curva
che unisce i minimi di
costo medio unitario
rappresenta
la
tendenza dell’impresa
nel lungo periodo ad
adottare impianti di
maggiore dimensione
CEA
CEB
CEC
CED
q
aumentando
la
capacità produttiva;
questa curva prende il nome di curva dei costi unitari di lungo periodo. Ci sono pero due situazioni
(impianto B e impianto C) in cui le curve di costo unitario medio hanno uguale punto minimo:
questi punti prendono il nome di DOM (dimensione ottima minima) e DEM (dimensione efficiente
massima). Il DOM rappresenta la situazione in corrispondenza della quale l’impianto ha capacità
produttiva ottima, permettendo di produrre a costo minimo; il DEM rappresenta il punto in
corrispondenza del quale si verifica la massima efficienza dell’impianto, oltre quel punto la curva
dei costi unitari di lungo periodo inizia a crescere per il verificarsi di diseconomie di scala, dovute
in prevalenza a:
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
Incremento di costi per la realizzazione dell’impianto: spesso impianti di elevate dimensioni
hanno componenti che devono essere realizzate su misura per l’impresa richiedente.
 Maggiori costi di coordinamento data la complessità organizzativa.
 Maggiori costi di gestione magazzino.
La tendenza dell’impresa a raggiungere una situazione ottimale di costo e produttività è
facilmente riscontrabile nei cosiddetti mercati del venditore, ovvero quei mercati in grado di
assorbire interamente l’offerta (solitamente di pochi prodotti poco differenziati tra loro prodotti in
grandi serie o serie continue); ci sono però situazioni in cui anche circostanze ottimali di mercato,
l’impresa incontra ostacoli che scoraggiano l’espansione (ad esempio per un impresa che produce
ferro gli altoforni diventano instabili dopo una certa dimensione o come nell’esempio precedente,
gli impianti sono di dimensioni standardizzate e oltre una certa dimensione devono essere
realizzati su misura). L’impresa quindi tende a non superare il DEM per due ragioni:
 Vincolo di mercato: la domanda non assorbe l’offerta.
 Vincolo tecnico – economico.
Diversa è la situazione per le aziende produttrici di servizi, che hanno caratteristiche differenti
dalle imprese industriali (no magazzino, simultaneità tra offerta e consumo ecc). Un impresa di
trasporti deve fare in modo di riuscire a rendere il servizio anche nelle ore di punta, rendendo
sempre disponibile i mezzi di trasporto, pena la perdita dei clienti. Ciò implica che l’impresa deve
avere un numero di mezzi tali da soddisfare tutti i clienti delle ore di punta, numero però eccessivo
nelle altre ore della giornata.
o Attività di marketing e vendite.
L’attività di marketing consiste in un analisi di mercato effettuata al fine di operare le migliori
scelte per il soddisfacimento del cliente.
Principali leve di marketing:
 Scelta delle caratteristiche del prodotto.
 Scelta del prezzo di vendita.
 Scelta del canale di sbocco.
 Pianificazione di attività promozionali e di comunicazione commerciale.
Nel momento in cui il prodotto è acquistato o consegnato al cliente, inizia l’attività dei servizi post
– vendita volta a valutare il soddisfacimento del cliente stesso.
Il processo decisionale dell’impresa inizia con la fase di analisi alla quale segue quella strategica e
infine l’attuazione delle politiche stabilite; Le fasi di marketing e di servizi post vendita rientrano
nell’implementazione delle politiche strategiche, mentre la fase di analisi e quella strategica fanno
parte dell’attività infrastrutturale (secondaria).
Le informazioni generate dal sistema marketing contribuiscono alla formazione delle strategie; a
influire sul sistema azienda sono le variabili esogene, che comportano effetti positivi e negativi a
secondo del modo in cui impattano sull’azienda. Attraverso l’analisi dei punti di forza e di
debolezza dell’impresa e delle conseguenze subite dall’impatto dei fattori esogeni, è possibile
formulare alternative strategiche. Le decisioni di marketing sono riferite a cinque fasi:
 Definizione del mercato.
 Segmentazione del mercato: individuazione dei segmenti e scelta del target: suddivisione
degli acquirenti relativamente ai prodotti in gruppi che presentano caratteristiche e bisogni
omogenei. L’obiettivo è quello di dividere le diverse categorie di consumatori per poi
18
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


studiarli e soddisfare al meglio i loro bisogni e richieste. È necessario stabilire i criteri da
utilizzare per l’individuazione dei segmenti (criteri soggettivi, ogni impresa ha i propri), una
volta individuati segmenti presentarne le caratteristiche e valutarne l’attrattività e infine
stabilire quali segmenti utilizzare come target. Esistono una serie di variabili per la
segmentazione dei consumatori; variabili descrittive, quali variabili demografiche,
geografiche, economiche (sesso, età, livello di istruzione, reddito). Un'altra variabile è la
conoscenza del comportamento d’acquisto del consumatore, esempio tipico sono le
aziende distributive che si basano principalmente su questo criterio (il supermercato sa che
ogni famiglia acquista con una certa costanza, il mini market invece non ha la stessa
affluenza del supermercato ma gioca sull’ubicazione del negozio per soddisfare i cosiddetti
acquisti di emergenza). Il beneficio di mercato, il consumatore acquista un determinato
bene in base al beneficio che quel bene gli da rispetto a un altro bene. Una volta stabilite le
variabili da utilizzare per la segmentazione e individuati i segmenti, si procede alla fase di:
Selezione dei segmenti – obiettivo: i segmenti che presentano maggiore attrattività saranno
quelli scelti dall’impresa, sono quei segmenti di consumatori che assorbiranno al meglio
l’offerta dell’impresa. Il segmento diventa quindi il target al quale l’impresa intende offrire
il proprio prodotto.
Definizione del posizionamento del prodotto: il prodotto offerto dall’impresa deve
rappresentare per il consumatore una fonte di valore d’uso (deve soddisfare i bisogni del
consumatore), la proposta di valore da parte dell’impresa deve risultare al consumatore
diversa da quella delle altre imprese (il consumatore deve preferire quel bene a quello
offerto dalle altre imprese), l’immagine della proposta deve essere facilmente
memorizzabile dal consumatore. Per posizionamento si intende la posizione che il prodotto
prende nella mente del consumatore, non è un posizionamento fisico ma psicologico. Il
consumatore nella scelta del prodotto da acquistare si baserà sull’utilità che può trarre da
quel bene rispetto a un altro bene; l’analisi sull’utilità di un bene viene effettuata dal
consumatore scomponendo quel bene in una serie di attributi (il prodotto è considerato
come un insieme di attributi) e verificando come ogni attributo risponde a aspetti specifici
del bisogno. L’impresa deve cercare di essere preferita rispetto alle altre imprese, fare in
modo che il consumatore acquisti il un determinato bene piuttosto che quello offerto dalle
altre imprese, mettendo in evidenza gli attributi tangibili (ovvero quelli visibili e valutabili
fisicamente dal consumatore) e quelli intangibili. L’impresa deve stabilire un immagine del
prodotto e fare in modo che questa sostituisca l’immagine di prodotti concorrenti nella
mente del consumatore (stabilendo gli attributi fisici, i benefici promessi al consumatore,
l’occasione d’uso). Il posizionamento è il punto di riferimento per la formulazione del
marketing mix.
Progettazione e implementazione delle azioni di marketing.
Variabili del marketing mix.
Come già detto, l’obiettivo dell’impresa è quello di offrire sul mercato un prodotto che non è
ancora offerto dalle altre imprese oppure un prodotto che è già offerto ma a condizioni meno
vantaggiose; l’impresa deve essere in grado di fare percepire al consumatore la sua proposta di
valore come differente dalle proposte di valore delle altre imprese. Nel perseguire quest’obiettivo
è necessario agire sulle principali leve di marketing.
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Politica del prodotto.
Quando si parla di prodotto in ambito commerciale non lo si intende come un insieme di
caratteristiche fisiche, ma come un insieme di attributi tangibili e intangibili ognuno dei quali
risponde a caratteristiche specifiche del bisogno avvertito dal consumatore. Ogni singolo attributo
può essere essenziale per la determinazione dell’utilità che quel bene reca al consumatore.
Le scelte relative alle caratteristiche del bene devono essere effettuate tenendo conto delle
esigenze del consumatore e in secondo luogo dei gusti soggettivi del menagemet (in caso
contrario si cadrebbe nella cosiddetta Miopia del Marketing, quando nel processo decisionale non
si tiene conto delle preferenze del target di riferimento).
Si può affermare che esiste un legame tra complessità del prodotto e diversità comportamentali
del consumatore, più il bene è complesso, più l’acquirente è spinto a cercare informazioni su quel
bene. In base alla classificazione dell’ American Marketing Association, distinguiamo:
 Beni convenience e preference: sono beni di largo consumo e a basso prezzo, l’unica
differenza tra le due categorie sta nella marca; per i beni preference l’impresa investe in
attività di comunicazione (pubblicità) per creare un immagine del prodotto che colpisca il
consumatore (marca). Per queste categorie di beni il consumatore non perde tempo a
cercare informazioni e sono beni facilmente reperibili su tutto il territorio.
 Beni shopping: sono beni ad’acquisto sporadico, il cui prezzo è sicuramente maggiore
rispetto alla categoria precedente. Il consumatore, dato il rischio (acquistare un bene a
prezzo elevato rischiando di non esserne pienamente soddisfatto), è disposto a dedicare
tempo alla ricerca di informazioni, confronto tra le diverse alternative ecc. Rientrano in
questa categoria l’abbigliamento, i servizi bancari, i viaggi, automobili.
 Beni specialty: sono beni di lusso, molto costosi, quindi massimo impegno da parte del
consumatore a ricercare informazioni.
Politica del prezzo.
La fase di scelta del prezzo è il momento più critico del processo decisionale, dal momento che è
l’unica decisione attraverso la quale l’impresa determina i propri ricavi. Il prezzo è per il
consumatore l’elemento fondamentale al momento dell’acquisto; il prezzo influisce sulla
psicologia del consumatore in quanto egli attribuisce a beni con prezzo superiore un livello
qualitativamente superiore.
Nel momento in cui il consumatore si trova di fronte alla possibilità di acquistare un bene, il primo
elemento di valutazione sarà il prezzo. È necessario però analizzare se il prezzo influisce in modo
positivo o negativo:
 Per i beni convenience, è un elemento di scelta rilevante verso il basso, ovvero il
consumatore tenderà ad’acquistare il bene più conveniente, indipendentemente dalla sua
qualità; se per un consumatore due beni sono apparentemente uguali, nel senso che gli
recano la stessa utilità, acquisterà quello a prezzo inferiore.
 Per i beni specialty, il consumatore tenderà ad’attribuire al bene con prezzo maggiore una
qualità superiore, il prezzo rispecchia quindi l’esclusività di quel bene.
Nel fissare il prezzo, l’impresa può scegliere tra due alternative:
 Vendere il prodotto a prezzo elevato a una parte limitata del mercato.
 Ricercare la massimizzazione dei volumi di vendita.
Nel primo caso si parla di scrematura del mercato; L’impresa offre un determinato bene a un
prezzo elevato per attirare l’attenzione solo di una parte limitata di consumatori, i cosiddetti
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pionieri del mercato, quelli più sensibili alle innovazioni e con maggiore disponibilità di reddito.
Nel tempo il prezzo di quel bene sarà ridotto per renderlo accessibile anche alle altre categorie di
consumatori. Attraverso questo sistema si garantisce una copertura graduale del mercato
(solitamente i beni in questione sono quelle con elevato contenuto tecnologico).
Nel secondo caso si parla di penetrazione del mercato, l’impresa cerca di massimizzare le quantità
vendute nel minor tempo possibile, per esempio attraverso la produzione continua o in grande
serie, minimizzando i costi unitari.
Configurazione del canale distributivo.
In questa fase l’imprese prende decisioni sulla lunghezza del canale distributivo e sulla pressione
distributiva del prodotto.
Il canale distributivo è costituito da una serie di passaggi dall’impresa al mercato finale; maggiore
è il numero degli intermediari che intervengono maggiore sarà la lunghezza del canale.
Distinguiamo:
 canale indiretto lungo: elevato numero di intermediari sia a livello di ingrosso che di
dettaglio, essi intervengono in due fasi della distribuzione (impresa – ingrosso e ingrosso –
dettaglio). Questo tipo di canale permette la distribuzione capillare in tutto il territorio e è
tipicamente utilizzato per i beni convenience difficilmente deperibili (non sarebbe logico
fare attraversare una serie lunga di passaggi a un bene deperibile). Il costo di questo canale
è rappresentato dal margine richiesto in ogni fase di intermediazione, che è variabile
(quanto vogliono guadagnare gli intermediari).
 Indiretto breve: si verifica l’eliminazione del grossista. L’impresa deve entrare in contatto
con un numero elevatissimo di negozi al dettaglio e consegnarvi direttamente la merce. I
costi sono quindi rappresentati sia da costi variabili, quali il margine all’intermediario, sia
da costi fissi derivanti dall’utilizzo i una struttura logistica (per esempio mezzi di trasporto).
È il canale utilizzato per i beni deperibili e per alcuni beni shopping per i quali l’impresa
vuole incontrare il dettagliante per fornirgli informazioni sul prodotto affinché egli le
trasmetta al consumatore finale.
 Diretto: l’impresa non usufruisce di intermediari ma si mette direttamente in contatto con
il mercato finale; ne sono un esempio i casi di B2B. Il tutto è favorito dall’utilizzo di internet
come mezzo di comunicazione tra venditore e acquirente.
La pressione distributiva riguarda l’entità dei numeri di punti vendita che trattano il prodotto e
può essere:
 Intensiva: il bene è distribuito in modo capillare nel territorio, è presente in un numero
elevatissimo di punti vendita. È il caso dei beni convenience e preference, che hanno bassi
costi unitari e sono poco differenziati, per i quali la vendita non necessita di fabbisogno
informativo.
 Selettiva: il bene è distribuito in un numero limitato i punti vendita, l’impresa ha così
maggiore controllo sul canale distributivo. È il caso di beni shopping.
 Esclusivo: l’impresa affida a pochi punti vendita l’esclusività territoriale per la vendita del
prodotto (settore automibiloistico, franchising).
Comunicazione commerciale.
Come già detto, tra impresa e mercato si verifica uno scambio di flussi, non solo fisici ma anche
informativi: l’impresa analizza il mercato e lo segmenta per poi rivolgere i propri prodotti al target
prescelto.
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L’informazione commerciale ha lo scopo di fornire al target informazioni sulla differenzazione del
proprio prodotto rispetto a quelli offerti dalle altre imprese, evidenziando la superiorità del
prodotto e fissandone l’immagine nella mente del cliente.
L’impresa utilizza una serie di strumenti, il più noto è la pubblicità ma negli ultimi anni è
incrementato l’uso del direct marketing, pubbliche relazioni, sponsorizzazioni, promozioni.
Il modello AIDA (Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione), mira, attraverso operazioni di
comunicazione, a suscitare tutte queste situazioni nel consumatore, in ordine gerarchico.
Quindi:
 Attenzione: l’impresa deve portare a conoscenza del consumatore il prodotto e fare in
modo che alcune caratteristiche fondamentali rimangano impresse nella sua mente.
 Interesse: una volta suscitata l’attenzione del consumatore, si presume che questo si
interessi al prodotto (anche attraverso la ricerca di informazioni).
 Desiderio: è la fase in cui l’impresa cerca di fare desiderare il prodotto al mercato,
stimolandone un successivo acquisto.
 Azione: la fase in cui l’impresa induce il consumatore ad’acquistare quel bene.
o Servizi post – vendita.
Anche i servizi post – vendita assumono grande rilevanza nel processo di creazione del valore,
specialmente in questi ultimi anni dove, in un mercato caratterizzato da contrazione della
domanda, le imprese hanno concentrato la loro attenzione non più sulla leva prezzo ma sulla leva
servizi pre e post vendita allo scopo di differenziare il prodotto offerto e renderlo preferito
rispetto agli altri. Come già detto il prodotto è un insieme di caratteristiche tangibili e intangibili e
il servizio post vendita offerto dall’impresa va a incrementare le caratteristiche intangibili;
correlare a un prodotto una serie di servizi permette maggiore soddisfacimento dei bisogni del
clienti sia nell’acquisto che nell’utilizzo del prodotto.
Il cliente è affiancato durante tutto il tempo di utilizzo del prodotto, basti pensare ai servizi di
garanzia di beni durevoli o semi durevoli, in questo modo l’impresa rimane sempre a contatto con
il cliente, aumentando la fidelizzazione. L’azienda che produce beni durevoli, tiene già in conto che
il cliente prima o poi avrà bisogno dell’intervento dell’assistenza tecnica (sono beni costituiti da
una molteplicità di componenti, ovviamente soggette a guasti), e questo è un fattore positivo:
l’azienda non perde mai di vista il cliente, può chiedere pareri sul prodotto per migliorare la
produzione di quelli successivi. Ci sono ancora casi in cui il servizio post – vendita è la maggior
fonte di reddito di un’impresa (il prodotto venduto potrebbe essere estremamente vantaggioso
per il cliente, quindi poco reddito per l’impresa, ma dall’altra parte l’impresa gioca sui servizi
correlati offerti).
I servizi post – vendita quindi hanno valenza strategica come:
 Leva di fidelizzazione.
 Fonte di vantaggio competitivo.
 Buiseness autonomo redditizio.
E funzione di:
 Rafforzare il legame impresa – cliente.
 Assistere il cliente per tutto il tempo.
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Il prodotto viene arricchito con una serie di servizi tangibili e intangibili, anche la distribuzione del
prodotto in maniera capillare garantisce una totale presenza sul territorio e il rafforzamento del
marchio. La comunicazione rafforza il rapporto impresa cliente (attraverso cartelloni, pubblicità,
inserzioni sull’elenco telefonico).
Capitolo III
Le attività di supporto.
o Attività di approvvigionamento.
È la fase in cui l’impresa acquisisce le risorse necessarie per lo svolgimento della produzione; è una
fase critica della gestione strategica, che deve essere svolta in funzione non solo dell’attività di
produzione, ma di tutte le altre attività primarie. Essa si articola in due sub- attività:
Se un impresa acquistasse materie solo in funzione della fase di produzione, potrebbero verificarsi
situazioni si sovra scorta o sottoscorta, in quanto la produzione (effettiva e programmatica) risente
dell’andamento dell’attività di logistica e di marketing. Supponiamo che un impresa acquisti una
determinata quantità di materiali necessari per la realizzazione di 100 prodotti (pari alla capacità
produttiva di un impianto), ma che attraverso le attività di marketing e logistica in uscita si
riescano a vendere solo 80 prodotti, si verrebbe a creare una sovra scorta di 20.
Allo stesso modo, l’impresa non può basare l’attività di approvvigionamento in funzione delle
esigenze del mercato: se il mercato può assorbire solo una certa quantità di prodotto ma l’impresa,
in base alla produttività degli impianti, ha convenienza a produrre una quantità maggiore, non può
ridurre la quantità prodotta per rispondere alle esigenze del mercato rischiando il blocco degli
impianti o la mancanza del prodotto sugli scaffali dei punti vendita.
La fase di approvvigionamento ha quindi ripercussione su tutte le attività primarie della catena del
valore; prendendo per esempio in analisi la riduzione dei costi, gli acquisti influenzano
l’andamento dei costi attraverso:
 Il prezzo delle merci.
 La qualità delle merci (maggiore è la qualità, minori sono gli scarti, le riparazioni dei
prodotti ecc).
 I tempi di attraversamento, che influenzano il livello delle scorte.
Non è possibile agire su una di queste tre leve senza avere ripercussioni sulle altre;
Programmazione degli approvvigionamenti.
In questa fase, sulla base di una previsione, viene sviluppato un programma aggregato di
produzione contenente per ogni linea e famiglia di prodotto la quantità venduta prevista, la
quantità che dovrà essere prodotta da ogni singolo impianto, il livello delle scorte. Il programma
ha riferimento mensile e riguarda un periodo di tempo che può variare dall’anno ai due anni.
Nello sviluppo del programma, l’impresa deve tenere conto della produttività degli impianti, del
personale, dell’andamento economico e finanziario dell’azienda.
Il programma definisce:
 La quantità da produrre e vendere per ogni periodo dell’arco temporale considerato
(quindi per ogni singolo mese nell’arco di tempo che varia da uno a due anni).
 I livelli di capacità produttiva richiesti per la realizzazione del programma e gli interventi
necessari per garantire la disponibilità di tale capacità produttiva.
23
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
Le azioni commerciali da mettere in atto per influenzare l’andamento della domanda (se la
domanda scende a un livello inferiore rispetto a quello previsto dal piano, sarà necessario
intervenire con pubblicità e promozioni).
 Andamento della redditività economica nell’arco temporale considerato.
Più complessa rispetto alla programmazione aggregata è la programmazione al dettaglio; in primo
luogo perché prevedere l’andamento della domanda nel lungo periodo è più semplice, mentre nel
breve periodo la domanda è soggetta a continue variazioni difficilmente prevedibili. La
pianificazione al dettaglio deve tenere conto di queste variazioni e programmare
l’approvvigionamento anche in funzione della produttività degli impianti.
Le modalità di programmazione possono essere distinte in:
 Programmazione per scorta: la produzione avviene sulla base delle vendite previste;
l’impresa produce una serie di articoli e li immagazzina per poi prelevarli nel momento in
cui il cliente li richiede (una volta prelevati si provvede alla realizzazione della quantità di
prodotti necessaria per il reintegro del magazzino). Da una parte, si riducono i tempi di
attesa del cliente (i prodotti sono già realizzati nel momento in cui il cliente li richiede, il
tempo di attesa dipende dalla velocità di evasione dell’ordine, quindi dal prelevamento del
prodotto, dai tempi di spedizione e di consegna), ma dall’altra si aumenta il rischio di un
sovra scorta in magazzino.
 Programmazione per ordine: in questo tipo di programmazione, non sono previste scorte di
magazzino; l’impresa ordina la merce nel momento in cui riceve un ordine dal cliente, è il
caso opposto al precedente. Non c’è rischio di sovra scorta ma aumentano i tempi di attesa
del cliente.
 Assemblaggio su ordine: è una via di mezzo tra la prima e la seconda modalità e prevede
l’approvvigionamento dei materiali e la fabbricazione di alcuni sottogruppi del prodotto (il
tutto basato sulla previsione delle vendite), mentre la fase di realizzazione degli ultimi stadi
del prodotto e dell’assemblaggio avvengono nel momento in cui il cliente richiede il
prodotto. In questo modo si riducono sia il rischio delle scorte in magazzino (rispetto alla
programmazione per scorta) sia i tempi di realizzazione dell’ordine (rispetto alla
programmazione su ordine).
Gestione dei flussi di materiali: il Supply Chain Management (SCM).
La gestione dei materiali ha grande rilevanza nella gestione aziendale in quanto il costo delle
materie prime ha un incidenza percentuale rilevante sui costi totali dell’impresa (questo spinge le
imprese a cercare nella gestione dei flussi di materiali aree di possibile riduzione dei costi). Molte
impresa acquistano molteplicità di prodotti da una molteplicità di fornitori diversi, allo scopo di
ridurre i costi; La suppliy chain è una filiera di fornitura, che coinvolge più aziende integrate tra
loro e riguarda le fasi di approvvigionamento, magazzino e produzione (queste sono le aree
comuni). La SCM gestisce tutte le operazioni con sub fornitori, fornitori, intermediari, distributori e
cliente finale, allo scopo di migliorare la reattività dell’impresa ai cambiamenti di mercato;
La riduzione dei costi e l’ottimizzazione si realizza attraverso:
 Riduzione dei costi di inventario, legando produzione alla domanda.
 Riduzione dei costi totali, velocizzando il flusso di merci nel processo produttivo.
 Miglioramento della soddisfazione del cliente.
Nel modello più semplificato della SCM le imprese della stessa filiera operano come un unità
integrata, gestendo in comune tutte le fasi della produzione, dalla gestione dei materiali, alla
produzione stessa fino alla distribuzione. L’integrazione tra più aziende è possibile attraverso:
24
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
l’integrazione delle informazioni: tra le imprese si realizza un continuo scambio di
informazioni relative alla domanda, alla situazione di magazzino, ai piani produttivi, ai piani
di promozione.
 il coordinamento: assegnare le risorse e le capacità decisionali all’anello della SC che si
trova nella posizione migliore per gestirle.
 la connessione organizzativa: mantenimento di canali di comunicazione; l’integrazione
delle informazioni è stata semplificata dalle nuove tecnologie, molte imprese scambiano
informazioni via internet, attraverso l’EDI (Electronic Data Interchange).
Negli ultimi anno si sta assistendo alla creazione di un sistema di integrazione che coinvolge non
solo le aziende, ma anche fornitori e clienti, dando origine al market place o mercato virtuale.
L’ampliamento della SC e delle funzionalità da essa svolte è dovuto a:
 Sempre più evidente focalizzazione sul cliente, tutte le decisioni prese dall’azienda tengono
in considerazione i bisogni del cliente.
 Utilizzo della tecnologia.
 Misurazione delle performance, in ogni fase sono monitorati tempi e costi.
 La globalizzazione, che ha permesso l’ampliamento del mercato sia a monte che a valle,
grazie alle nuove imprese emergenti dalle quali l’impresa acquista materie prime a basso
costo e alla creazione di nuovi mercati di vendita.
L’organizzazione della SCM può essere distinta in:
 Organizzazione tradizionale: ogni funzione aziendale è indipendente dalle altre
(ad’esempio la funzione produzione si realizza attraverso lunghi cicli per ottimizzare i costi,
a discapito del magazzino, dato l’aumento delle scorte di prodotto finito).
 Organizzazione funzionale: le imprese riconoscono la necessita di un integrazione minima
tra le diverse aree.
 Integrazione interna: tutte le fasi sono integrate.
 Integrazione esterna: è lo staio avanzato della precedente esteso alle relazioni esterne,
quindi comprende anche fornitori e clienti.
L’ultimo modello nasce dalla combinazione di tre parole chiave: comprensione, cioè la velocità con
cui l’impresa soddisfa le esigenze del mercato (i vincitori sono coloro che riescono a capire le
necessita del cliente prima che queste si manifestino), agilità, ovvero il modo in cui l’impresa si
adatta all’ambiente esterno mantenendo invariati costi e struttura, affidabilità, ovvero ottenere
massimo output da minimo input (riduzione degli sprechi).
L’adozione del metodo della SCM da parte delle imprese permette:
 Riduzione del capitale circolante attraverso la riduzione delle scorte.
 Efficienza degli investimenti, grazie al coordinamento del sistema informativo, nel processo
di produzione (scelta del make or buy).
 Miglioramento del servizio al cliente finale.
 Riduzione dei costi automatizzando i processi ripetitivi.
 Aumento dei ricavi, attraverso la personalizzazione del cliente.
L’attuazione della SC è però complessa perche oltre a coinvolgere le diverse aziende e le loro aree,
coinvolge anche attori esterni (fornitori). I risultati in termine di ROI spesso non sono soddisfacenti
(l’impresa investe per soddisfare principalmente il cliente), di conseguenza molte aziende non
sono disposte a investire senza ottenere un evidente ritorno economico, ma solo maggiore
soddisfazione del cliente. Altro elemento di complessità riguarda il coordinamento interno tra le
diverse fasi: ogni dipartimento interno (magazzino, produzione, marketing), cerca di massimizzare
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la propria efficienza, a discapito degli altri (ad esempio l’ufficio marketing vuole maggiori scorte in
magazzino per prodotti con grande volume di vendita, senza tenere conto che tante scorte
equivalgono a maggiori spese di tenuta magazzino, maggiore spazio occupato ecc).
A capo della SCM è necessario un manager in grado di coordinare le diverse esigenze delle aree
interne, affiancato da una buona gestione delle risorse umane (sono gli individui che operano
nell’azienda a determinarne il successo).
o Sviluppo della tecnologia.
L’attività i sviluppo della tecnologia è una delle attività di supporto della catena del valore (perché
fornisce conoscenze alle altre attività e perché deve continuamente dialogare con esse per capire
quali sono le necessità all’interno dell’impresa) e riguarda tutte quelle operazioni a creare
miglioramenti di prodotto e di processo. Per questo motivo a questa attività sono imputati sia i
costi generati dall’attività di R&S, sia i costi relativi alla creazione di know-how, delle procedure
informatiche, delle tecnologie di produzione.
In quest’attività intervengono una molteplicità di risorse materiali (strumentazioni scientifiche),
immateriali (conoscenze) e umane; non necessariamente queste risorse sono reperibili però
all’interno dell’azienda, sono poche le aziende che possiedono un vero e proprio laboratorio di
ricerca, sotto questo profilo lo sviluppo della tecnologia potrebbe essere visto come una fase
esterna, ma non è così: l’attività R&S collabora con le altre attività della catena del valore e questa
caratteristica non può essere esternalizzata.
Lo sviluppo della tecnologia è una competenza di base che può classificarsi come competenza
distintiva nel momento in cui genera un vantaggio competitivo per l’impresa facendole ottenere
una leadership di costo o di differenziazione sostenibile e difendibile nel lungo periodo.
Sviluppo della tecnologia e attività di R&S.
La realizzazione di un nuovo processo o prodotto o il miglioramento di un processo o prodotto
preesistente implica analisi e valutazioni, la creazione di un progetto teorico e la sua
sperimentazione. Tutto questo è affidato alla fase di ricerca e sviluppo, che comprende le attività
attraverso le quali l’impresa progetta un prodotto o un processo e traduce queste conoscenze in
una forma organizzativa per la loro realizzazione.
Nella Catena del Valore Porter non utilizza il termine R&S ma parla di sviluppo della tecnologia
ormai diffusa in tutta l’impresa e nei rapporti con fornitori e clienti.
La R&S nasce nell’industria delle sostanze coloranti in Germania nella seconda metà del
diciannovesimo secolo ma l’istituzione di veri e propri laboratori si ha all’inizio del ventesimo
secolo.
L’attività di R&S ha seguito un iter iniziato negli anni ‘50 e concluso intorno agli anno ’90.:
 R&S di prima generazione: siamo negli anni ’50 – ’60 e le imprese iniziano ad’affidarsi a enti
di ricerca per la realizzazione di nuovi prodotti e tecnologie con caratteristiche
straordinarie (per quel tempo).
 R&S di seconda generazione: anni ’70, riflessioni e critiche sul primo modello, nonostante
fosse indispensabile affidarsi a centri di ricerca si avvertiva la necessità elaborare uno
sviluppo di prodotti e tecnologie basati sulle esigenze del cliente.
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
R&S di terza generazione: anni ’80 – ’90, è un evoluzione del modello precedente; la
realizzazione di un prodotto deve rispondere oltre che alle esigenze del cliente, anche alle
esigenze di strategia aziendale.
Negli ultimi anni la funzione R&S ha assunto grande importanza, quasi vitale, tanto da parlare di
Dinamic R&S: capacità di trasformare gli investimenti in risultato. Le strategie di R&S diventano
fondamentali per il conseguimento di un vantaggio competitivo.
Sono state individuate dagli economisti diverse tipologie di ricerca e sviluppo; Gilardoni definisce
la ricerca base come la produzione di ipotesi e nuove teorie generali ma non diretta al
conseguimento di risultati pratici e applicativi; distingue al suo interno la ricerca pura, quando è il
ricercatore che stabilisce l’oggetto di studio (che ha un determinato interesse scientifico) e la
ricerca orientata, quando è l’azienda che impiega l’investigatore a orientarsi verso un determinato
campo di ricerca. I risultati della ricerca di base sono negoziabili e pubblicabili quindi sono
facilmente trasmissibili.
L’autore riconosce poi la ricerca applicata che parte dalla formulazione di una teoria per poi
arrivare alla sua applicazione pratica.
L’attività R&S genera due tipi di conoscenze, una relativa allo specifico prodotto e una conoscenza
esternalizzata (esternalità positiva), dalla quale possono trarre vantaggio altri soggetti, riducendo il
costo delle innovazioni future.
Strettamente connessa alla R&S è l’attività di sperimentazione dei nuovi prodotti, definita da
Thomke un attività articolata in una serie di fasi, ognuna delle quali indispensabile per realizzare lo
scopo finale. La realizzazione di un prodotto deve seguire un iter preciso, è fondamentale la
velocità di test del prodotto e a tale proposito la tecnologia ha contribuito alla riduzione dei tempi
permettendo test direttamente sul computer senza realizzare materialmente il prodotto. Anche gli
errori commessi in fase di sperimentazione e realizzazione sono fondamentali per migliorare i
prodotto successivi.
I processi di sviluppo della tecnologia possono seguire percorsi diversi a seconda degli obiettivi che
l’azienda intende perseguire e delle risorse che essa ha a disposizione. Lo sviluppo
dell’innovazione può seguire tre percorsi:
 Sviluppo attraverso risorse interne.
 Sviluppo attraverso risorse esterne.
 Combinazione tra sviluppo interno e esterno.
Processo di generazione dell’innovazione tecnologica.
L’innovazione tecnologica è articolata in due fasi, quella dell’invenzione che consiste nella
creazione teorica del prodotto o processo (è l’uso creativo della conoscenza) e può non implicare
l’investimento di grandi risorse (non tutte le invenzioni diventano necessariamente innovazioni) e
la fase dell’innovazione propriamente detta, che consiste nella messa in pratica dell’invenzione e
quindi nell’impiego di risorse per la realizzazione del prodotto o processo, dello sviluppo del
prototipo e della distribuzione al cliente.
Teorie:
 Shumpeter: distingue la fase inventiva come atto di concepire un prodotto o processo e la
fase innovativa che comprende le funzioni imprenditoriali richieste per tradurre il in pratica
il progetto, valutare il mercato, raccogliere i fondi necessari. Considera distintamente la
fase inventiva da quella innovativa; la prima è una fase esogena, mentre è di competenza
economica e quindi endogena solo la fase dell’innovazione. In ultimo aggiunge la fase della
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diffusione e la descrive come una fase statica, nella quale il prodotto non viene modificato
(viene adottato o imitato).
 Mansfield: attribuisce a chi adotta l’innovazione un ruolo passivo, dal momento che
l’innovazione non può essere modificata (al contrario è stato provato che chi adotta
l’innovazione è soggetto attivo, in quanto l’adatta alle proprie esigenze i processi produttivi,
di conseguenza anche le imprese diventano inconsapevoli inventori). Definisce come
elementi determinanti della diffusione la dimensione delle aziende che l’hanno adottata, la
redditività del processo e l’ammontare dell’investimento necessario.
 Rosenberg e Metcalife: hanno evidenziato che una analisi condotta solo sulla fase di
invenzione, innovazione e diffusione non renda a pieno l’idea e non prenda in
considerazione alcuni elementi quale la fase post – adozione; la fase di diffusione viene
definita quindi dinamica, perché l’attività inventiva continua a ideare modelli di prodotto e
processo sempre più avanzati e la fase post – adozione porta alla creazione di nuove
innovazioni da parte degli utilizzatori.
 Von Hippel concorda con la teoria precedente e enfatizza il ruolo dell’utilizzatore quale
inventore; in uno studio condotto con Riggs, sono stati presi n esame 62 campioni di
innovazione e dall’analisi è risultata la differenza tra innovazioni delle aziende produttrici e
innovazioni delle aziende utilizzatrici; le prime danno maggiore importanza all’impatto
commerciale, le seconde curano maggiormente l’aspetto scientifico.
Si è giunti così alla collaborazione tra impresa produttrice e utilizzatrice per la realizzazione del
prodotto (più l’utilizzatore è sofisticato ed’esigente più riesce a fornire idee e soluzioni al
produttore); l’impresa produttrice affida la fase di generazione dell’idea e identificazione delle
soluzioni preliminari all’impresa utilizzatrice, mentre la realizzazione del prodotto è affidata al
produrre per poi rimettere il collaudo e la messa a punto all’utilizzatore.
Tipologie di innovazioni.
Possiamo distinguere:
 Innovazioni i processo: interventi per migliorare i processi produttivi, di gestione, della
logistica, introduzione di sistemi informativi. Queste innovazioni migliorano l’efficienza
dell’impresa (meno sprechi, meno difetti di produzione = meno costi) e incrementano la
sincronia tra le funzioni aziendali nonché la produttività.
 Innovazione di prodotto: lancio sul mercato di prodotti totalmente nuovi o interventi su
prodotti già esistenti per ampliarne la gamma.
Uterback e Abernathy dimostrano quanto entrambe le innovazioni siano interdipendenti tra loro;
nella prima fase giocano un ruolo determinante le innovazioni di prodotto, per la creazione di
prodotti innovativi al fine di fare conquistare all’impresa una quota di mercato (performance
maximizing) e conseguire un vantaggio competitivo. Gli stimoli all’innovazione sono dati da
informazioni riguardo ai bisogni degli impianti e ai relativi input tecnici.
Segue la fase di sales maximizing, applicata per migliorare la qualità del prodotto e per ampliare la
gamma di prodotti; in ultimo abbiamo la fase cost minimizing, in quanto una volta conquistato il
mercato e ampliato la gamma di prodotti, l’impresa necessita di ridurre i costi di produzione,
vengono quindi applicate innovazioni di processo.
Anche la R&S è suddivisa in R&S di prodotto e R&S di processo, la prima mira all’innovazione
dell’offerta di mercato, la seconda a incrementare l’efficienza. Vengono adottate a seconda delle
strategie d’impresa: un impresa che punta sulla differenziazione del prodotto per conquistare il
cliente adotterà la R&S di prodotto, l’impresa che invece non punta sulla differenziazione ma
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sull’offerta di un prodotto economicamente conveniente, adotterà la R&S di processo. Possiamo
inoltre dire che entrambe assumono importanza rilevante a seconda delle fasi di vita di un
prodotto, nella fase iniziale interviene maggiormente la R&S di prodotto, nella seconda quella di
processo.
Freman alcune categorie di innovazioni:
 Innovazioni incrementali: avvengono con una certa costanza all’interno dell’impresa e sono
volte a migliorare le caratteristiche di un prodotto; sono innovazioni stimolate dalla
domanda (altri autori invece sostengono che siano stimolate dalla creatività
dell’imprenditore). Queste innovazioni non richiedono eccessivi investimenti e non
implicano l’acquisizione di risorse significativamente diverse da quelle già a disposizione
dell’impresa.
 Innovazioni radicali andamento non costante e nella maggior parte dei casi dipendono
dalla R&S; sono volte ha portare cambiamenti radicali nei costi, nei prodotti e nei processi
(aprono nuove opportunità di sviluppo); si parla di “distruzione creatrice”, l’innovazione ha
un impatto enorme sul mercato e chi non innova non sopravvive. Non è però detto che le
innovazioni radicali siano migliori di quelle incrementali, è stato constatato che alcune
piccole modifiche a prodotti e processi già esistenti hanno prodotto effetti positivi sulla
dinamica aziendale.
Innovazioni incrementali e radicali non devono essere considerate separate ma complementari: le
innovazioni incrementali contribuiscono a migliorare nel tempo un innovazione radicale.
Altri autori addirittura sostengono che eccessive innovazioni possano portare effetti negativi per
l’impresa: l’innovazione fa entrare l’impresa in un mondo sconosciuto e comporta numerosi rischi
se l’impresa non è in possesso delle giuste conoscenze e competenze. È necessario quindi
alternare fasi di grande innovazioni a fasi di minore innovazione (anche se in un mercato in
continua evoluzione forze esterne all’impresa spingono l’impresa stessa a dirigersi verso
l’innovazione).
Alternative di sviluppo delle tecnologie: utilizzo di risorse interne e ricorso alle risorse esterne.
Possono essere definite risorse interne:
 Le conoscenze tacite.
 Il reparto R&S.
Le conoscenze tacite sono l’elemento fondamentale per lo sviluppo dell’azienda e sono qualità
intrinseche alla persona impegnata nell’azienda stessa e vengono trasferite tra dipendenti
attraverso meccanismi (job rotation e lavoro di gruppo) e routine organizzative; sono patrimonio
esclusivo dell’impresa che le possiede e non sono imitabili. A differenza del reparto R&S, le
conoscenze tacite implicano bassi costi, in quanto solitamente sono frutto di esperienze passate.
Lo sviluppo attraverso il reparto R&S è più sofisticato e complesso, di conseguenza richiede
maggiori investimenti; non significa necessariamente che l’azienda generi il processo innovativo al
proprio interno, ma che ne gestisca una buona parte.
Organizzare un reparto di R&S richiede ingenti investimenti, alto livello tecnologico, numerose
risorse umane e è particolarmente rischioso, per questo motivo sono solitamente le grandi
imprese ad’adottarlo; le piccole e medie imprese hanno limitate risorse tecniche, umane e
finanziarie, ma nonostante ciò alcune di esse riescono a creare al loro interno un reparto R&S che
permette loro di mantenere una posizione competitiva sul mercato.
R&S
Vantaggi
Svantaggi
Pieno controllo sull’innovazione sviluppata.
Elevati costi e tempi molto lunghi.
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Elevate rendite temporanee.
La conoscenza della tecnologia sviluppata
permette all’impresa di adattarsi a eventuali
cambiamenti del mercato.
In molti paesi l’attività R&S è promossa a livello
governativo (in Italia sia a livello centrale dal
Ministero dell’Istruzione e dal Ministero delle
attività produttive sia a livello regionale dagli
Assessorati all’innovazione tecnologica).
Elevato rischio.
Particolare difficoltà per le PMI che
difficilmente investono elevate risorse in
condizioni di massimo rischio.
Risorse esterne:
 Contratti di licenza.
 Acquisto di tecnologie.
 Acquisto di aziende con tecnologia propria.
 Reverse Engineering.
Il contratto di licenza prevede l’utilizzo di un innovazione sviluppata da un’altra impresa e può
prevedere forme di licenza esclusiva temporale e/o geografica.
Il vantaggio di questi contratti per l’azienda utilizzatrice derivano dalla riduzione di costi e tempi di
sviluppo, dal momento che l’impresa evita totalmente la fase di sviluppo della tecnologia e passa
direttamente all’utilizzo (per questo motivo le PMI li adottano spesso). Inoltre acquistando la
tecnologia il costo viene ripartito per tutta la durata del contratto (di solito il pagamento prevede
rate in base al fatturato annuo).
Gli svantaggi derivano dal fatto che chi acquista la tecnologia non ne ha la piena conoscenza (dal
momento che non l’ha sviluppata) e le rendite sono limitate nel tempo data la scadenza dei
contratti di licenza e delle condizioni rinegoziabili in caso di rinnovo, inoltre il titolare
dell’innovazione può offrire contratti non esclusivi.
L’acquisto di tecnologie è la forma più immediata e duratura di ottenere la disponibilità di
innovazioni; comporta gli stessi vantaggi del contratto di licenza, in più l’impresa acquirente ha il
supporto dell’impresa fornitrice nella fase di utilizzo della tecnologia (per es. l’assistenza tecnica).
L’impresa ricorre a questa forma di risorsa esterna quando l’innovazione acquistata richiede
competenze altamente specializzate non reperibili all’interno dell’azienda (l’azienda produttrice
affianca l’azienda acquirente della tecnologia nella fase di implementazione) e quando dalla la
tecnologia acquistata non rappresenta un fattore critico di successo dell’impresa.
L’acquisto di aziende con tecnologia propria può riguardare o il trasferimento del pacchetto di
controllo o l’acquisto dell’intera azienda; in questo modo l’impresa acquisitrice entra in possesso
dell’intero patrimonio di conoscenze dell’azienda acquisita. L’azienda che si acquisisce solitamente
dispone di una propria tecnologia e di un proprio mercato, quindi minori rischi; il problema
riguarda l’acquisto di un azienda con conoscenze intangibili (ovvero le conoscenze tacite), in
questo caso è necessario che l’impresa acquirente approfondisca la conoscenza delle tecnologia
dell’altra impresa.
Il Reverse Engineering consiste nell’analisi di un prodotto realizzato da un'altra impresa,
studiandone le caratteristiche fondamentali e le tecnologie; solitamente è uno studio realizzato da
ingegneri esperti che analizzano il prodotto e risalgono ai processi necessari per la sua
realizzazione, alle tecnologie da utilizzare e ai criteri da seguire per lo sviluppo. È una forma di
acquisizione della tecnologia vantaggiosa in quanto il rischio di fallimento è a carico dell’impresa
che per prima ha ideato il prodotto e il costo per la realizzazione è inferiore rispetto a quello
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sostenuto dall’impresa innovatrice (che ha creato il prodotto per la prima volta). Svantaggi: chi
utilizza la Reverse Engineering non acquista il ruolo di leader del mercato, perché il prodotto è già
stato realizzato da un'altra impresa; si corre il rischio di battaglie legali, spesso molto costose,
dovute alla violazione di un brevetto.
Il RE è molto diffuso anche tra aziende che hanno un proprio reparto di R&S e tra le industrie di
prodotto, meno diffuso è nelle industrie di processo.
Simile al RE è lo sviluppo attraverso imitazione: l’impresa acquista un prodotto da un'altra impresa,
lo analizza e ne crea uno simili ma tecnologicamente più avanzato, quindi l’imitatore migliora il
prodotto originario diventando così più competitivo sul mercato. Questa tecnica però comporta
svantaggi dal punto di vista:
 Morale: imitare un prodotto di un'altra azienda può recare danno all’immagine
dell’impresa imitatrice e può portare a battaglie legali.
 Strategico: l’azienda agisce come follower, quindi segue le orme dell’azienda ideatrice
dell’innovazione.
 Tecnico: l’azienda che imita un prodotto altrui non ne ha la piena conoscenza tecnica, non
ha un forte know how e ciò non permette di essere competitivi nel lungo periodo.
Combinazioni tra sviluppo interno e esterno.
Come già detto, il trasferimento di tecnologie presenta vantaggi e svantaggi; da un lato, acquisire
tecnologie permette di ridurre i costi e i tempi che dovrebbero essere impiegati per la creazione di
una tecnologia, dall’altro, l’impresa che acquista una tecnologia non ne conosce tutti gli elementi e
le informazioni; da una parte abbiamo quindi le imprese donor, ovvero quelle che cedono il loro
know how, dall’altra le imprese receiver che devono avere nel proprio staff persone competenti in
grado di sviluppare le conoscenze ottenute e applicarle all’interno dell’azienda.
Contratti esterni di R&S
Sono molto utilizzati dalle PMI che non dispongono di centri di R&S ma anche da grandi imprese
che scelgono di affidare una parte della ricerca a centri esterni specializzati, pubblici o privati; le
PMI quindi ricorrono a questo sistema perché non dispongono dei mezzi interni necessari, le
grandi imprese invece ricorrono quando mancano di determinate competenze nei loro centri di
ricerca.
Svantaggi:
 L’impresa non ha il pieno controllo dell’innovazione.
 In molti casi tempi e costi sono simili a quelli che si sarebbero sostenuti con un proprio
reparto R&S.
 L’ente che sviluppa l’innovazione potrebbe proporre un idea analoga a altri clienti.
Ne sono un esempio i consorzi di ricerca, le concessioni di licenza, i contratti di ricerca.
Contratti esterni di R&S con partnership.
Funzionano allo stesso modo dei precedenti, la differenza è che ci sono più aziende in alleanza a
stipulare un contratto con l’ente esterno; le imprese possono anche essere tra loro concorrenti,
ma decidere di operare in alleanza per dividersi il costo della ricerca e soprattutto il rischio che ne
deriva. Lo svantaggio è dato dal fatto che le imprese si trovano a dover condividere i risultati della
ricerca con gli altri partner e devono in seguito adattare il risultato alla propria realtà aziendale.
Joint venture e consorzi.
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Sono forme di acquisizione esterna della tecnologia e possono essere costituite o sotto forma di
società o sottoforma di contratto; se l’accordo coinvolge un numero elevato di imprese non si
parla di joint venture ma di consorzi.
Attraverso il sistema joint venture due o più aziende uniscono e sfruttano i loro punti di forza per
la creazione di una nuova tecnologia o innovazione. Per la buona riuscita di una joint venture è
fondamentale la comunicazione tra i partner, attraverso un linguaggio omogeneo.
o La gestione delle risorse umane.
La funzione gestione delle risorse umane si occupa del reclutamento, addestramento e formazione
del personale impiegato in tutti i livelli gerarchici; essa gioca un ruolo determinante non solo nella
riduzione dei costi, ma anche nel perseguimento delle strategie aziendali nonché nella creazione di
un vantaggio competitivo.
Le risorse umane selezionate sono portatrici delle conoscenze necessarie per la gestione e lo
svolgimento delle attività aziendali. Il management strategico stabilisce le risorse umane da
impiegare in funzione del tipo di buiseness e delle scelte strategiche da perseguire, ma la capacità
di raggiungere gli obiettivi prefissati è fortemente condizionata dalla capacità degli individui di
sviluppare con successo le capacità e le competenze necessarie.
Altro elemento fondamentale per il perseguimento delle strategie aziendali è la capacità degli
individui di cooperare, ovvero di condividere gli obiettivi; questo dipende dalla capacità del
menagement di coinvolgere le risorse umane e di stimolare in esse un senso di appartenenza
all’azienda. Per favorire la lealtà dei dipendenti e la loro motivazione al perseguimento degli
obiettivi, il management strategico deve stabilire le attraverso le decisioni riguardanti la struttura
gerarchica dell’organizzazione e i meccanismi di coordinamento, il grado di autonomia delle
risorse umane. È necessario inoltre stabilire il livello di retribuzione idoneo per evitare che i
dipendenti, sentendosi poco gratificati, assumano un atteggiamento ostile nei confronti
dell’azienda.
Le mansioni sono suddivise in base a una serie di parametri:
 Varietà: definisce il grado di divisione orizzontale del lavoro (insieme dei compiti previsti
per ogni mansione).
 Autonomia: definisce il grado di divisione verticale del lavoro.
 Contribuzione: capacità del lavoratore di identificare il contributo che il suo lavoro porta
all’azienda.
Data la continua sofisticazione della domanda, l’azienda avverte la necessità di offrire nei propri
prodotti elevati servizi; le aziende devono quindi adottare tecniche per aumentare la varietà delle
mansioni senza compromettere il livello di specializzazione. Ne sono esempi:
32
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

Job enlargement: ampliamento orizzontale dei confini della mansione.
Job rotation: passaggio periodico dei dipendenti a compiti diversi, per evitare la loro
demotivazione.
 Job enrichiment: ampliamento dei confini, oltre a livello orizzontale, anche verticale,
attribuendo al lavoratore maggiori responsabilità.
 Lavoro di gruppo: che consiste nell’uso combinato delle precedenti tecniche.
Il processo di reclutamento, selezione e addestramento implica una serie di costi e rischi, per
questo motivo molte aziende decidono di trasferire quest’attività all’esterno affidandola a società
private o a organismi pubblici specializzati. Le grandi imprese tendono a suddividere tra interno e
esterno il reclutamento del personale: il reclutamento dei manager e dei dirigenti è effettuato
all’interno, mentre il reclutamento delle figure che occupano cariche gerarchicamente inferiori
viene affidato all’esterno.
Le PMI date le dimensioni e la scarsità di risorse finanziarie tendono a eliminare la fase di
formazione, che implica un elevato investimento, sostituendola con una sorta di trasferimento
delle informazioni e conoscenze riguardanti le pratiche operative e le tecniche produttive.
Reclutamento e selezione delle risorse umane.
Le caratteristiche e la qualità delle risorse umane dipendono sempre più dai processi di
formazione e reclutamento; dati i continui cambiamenti dell’ambiente, l’impresa deve possedere
risorse umane in grado di ampliare il proprio capitale cognitivo e adattarsi a nuove situazioni che
possono richiedere una ampliamento verticale o orizzontale dei confini delle mansioni. Lo stesso
discorso vale per le figure manageriali, che devono possedere qualità e caratteristiche tali da
permettere loro di adattarsi alle nuove esigenze dell’azienda.
I successi conseguibili dall’attività di formazione e addestramento dipendono fondamentalmente
dalla qualità del capitale umano.
Il reclutamento è lo strumento attraverso il quale l’impresa esprime la propria domanda di lavoro
e attiva di conseguenza l’offerta di lavoro. Le scelte relative al reclutamento dipendono dalle
posizioni da coprire all’interno dell’azienda, dalle caratteristiche del mercato del lavoro, inoltre
dipendono dalla disponibilità all’interno dell’impresa di una struttura da adibire a tale attività o
dalla tendenza dell’impresa di esternalizzare il reclutamento, affidandolo a soggetti pubblici o
privati specializzati.
Possiamo distinguere gli strumenti di reclutamento in interni e esterni; tra i primi ricordiamo il job
posting , attraverso il quale il management posta a conoscenza dei dipendenti le mansioni da
coprire e le caratteristiche necessarie per coprirle. Per quanto riguarda gli strumenti esterni il loro
utilizzo è condizionato da normative e relazioni sindacali, quindi l’impresa ha una discrezionalità
limitata. I più utilizzati sono:
 Autocandidature: sono presentate direttamente dai soggetti interessati i quali inviano il
curriculum all’azienda o a un intermediario specializzato; sempre più diffuso e utilizzato
soprattutto dalle multinazionali è l’ e – recruting, che permette la ricezione dei curriculum
via internet.
 Ricerca dei talenti presso scuole, istituti di ricerca e università.
 Ricorso a agenzie che si occupano della raccolta di curriculum di persone in cerca di lavoro.
 Ricorso a associazioni professionali e sindacati.
La fase di reclutamento a articolata in una serie si microfasi; nella prima vengono visualizzati i
curriculum ricevuti e la prima selezione avviene sulla base dei dati contenuti nei curriculum
(parametri generali, conoscenza delle lingue, esperienza lavorativa). La scelta finale si basa invece
sulla motivazione dei candidati e sulla rispondenza delle loro caratteristiche all’esigenza
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dell’azienda e sono elementi che solitamente sono valutati attraverso test attitudinali e colloqui.
Questa fase può essere esternalizzata, in tal caso l’impresa procederà alla fine al colloquio diretto
con i candidati selezionati.
Le principali tecniche di selezione sono:
 Colloqui, finalizzati a approfondire la conoscenza del candidato e le informazioni contenute
nel curriculum.
 Prove professionali, utilizzate per verificare le abilità dei candidati.
 Test psicologici, tra cui test di intelligenza per valutare le capacità di apprendimento e
ragionamento del candidato, test psico attitudinali, per valutare l’attitudine a ricoprire
determinati incarichi, test di conoscenza.
Tutte queste tecniche, eccetto i colloqui, sono utilizzate in prevalenza dalle grandi imprese, dal
momento che esse implicano una serie di costi (relativi alla raccolta e diffusione delle informazioni
nel mercato del lavoro, costi di reclutamento che aumentano all’aumentare dei candidati come i
costi di selezione, costi di attivazione dei flussi in entrata e in uscita riguardanti la retribuzione e
l’aggiustamento tra retribuzione domandata e offerta, costi di conflittualità che insorgono qualora
intervengano nel processo sindacati .
Per le posizioni gerarchicamente più elevate le imprese spesso ricorrono a strumenti interni di
selezione e reclutamento, ricercando i candidati al proprio interno e selezionandoli in base alle
possibilità di carriera delle persone già impiegate. Questo permette di ridurre i costi derivanti
dall’esternalizzazione di tale compito all’esterno, ma implica altri costi e responsabilità:
programmazione e controllo delle carriere, controllo dei risultati dei processi di trasformazione del
lavoro, rischi di obsolescenza del capitale umano.
Per questo motivo sempre più imprese ricorrono al mercato esterno per il reclutamento e la
formazione del personale o ricorrono a scelte di autosourcing.
L’autosourcing inizialmente veniva utilizzato per attività di natura amministrativa (per esempio
gestione delle buste paga), mentre oggi le imprese affidano a società esterne (agenzie interinali) il
reclutamento del personale, la selezione e la programmazione delle carriere (riducendo anche i
costi relativi all’addestramento).
L’impresa deve scegliere se reclutare il personale al proprio interno o ricorrere all’autosourcing,
tenendo conto che:
 Utilizzare risorse umane già all’interno dell’impresa permette al menagement di effettuare
una scelta più accurata, data la conoscenza delle capacità e delle competenze delle
persone gi impiegate nell’impresa. Sono eliminati inoltre i costi di transazione sostenuti
dall’impresa, che sono molto elevati in caso di personale altamente specializzato.
 Il ricorso a risorse umane esterne invece riduce i costi amministrativi e aumenta la
flessibilità dell’impresa (i lavoratori sono assunti temporaneamente per determinate
esigenze).
Per ovviare al problema della scelta tra interno e esterno, Lepak e Snell hanno proposto di
scegliere in base al valore delle risorse umane (contributo potenziale che le risorse possono offrire
al raggiungimento del vantaggio competitivo) e alla loro unicità (livello di specificità e grado di loro
utilizzo). Ne consegue che:
 Elevato valore e unicità delle risorse umane: risorse reclutate all’interno per garantire
maggiore stabilità del rapporto di lavoro e evitare la dispersione di conoscenze all’esterno.
 Bassa unicità e basso valore: risorse umane reclutate all’esterno in quanto data la loro
scarsa specializzazione, hanno costi di transazione molto bassi per i quali risulta
conveniente l’autosourcing.
34
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

Elevato valore e bassa unicità: si ricorre a alleanze, ovvero si ricorre a personale esterno
selezionato attraverso società partner dell’impresa (evitando rischi di scarsa preparazione
del personale).
Basso valore e alta unicità: acquisire risorse umane già formate esternamente in modo da
sfruttare subito le loro capacità.
Addestramento e formazione.
È necessario addestrare il capitale umano per adattarlo alle esigenze dell’azienda, è previsto
quindi un percorso di formazione e addestramento; per addestramento si intende lo sviluppo e
l’incremento di capacità già presenti nelle risorse umane attraverso strumenti didattici e
esperienze operative, mentre per formazione si intende un processo finalizzato allo sviluppo di
nuove capacità e conoscenze del capitale umano. Il processo di addestramento e formazione
implica una serie di costi e rischi che l’impresa deve sopportare: solitamente l’addestramento è
utilizzato per i livelli gerarchici medio bassi, mentre la formazione per le persone che ricoprono
ruoli chiave per il successo dell’impresa.
La formazione può avvenire per:
 Lezione frontale: utilizzata per il trasferimento di informazioni e contenuti.
 Metodo dei casi: vengono presentati una serie di casi e situazioni ipotetiche che
potrebbero verificarsi nell’azienda e viene chiesto agli allievi di analizzare le diverse
situazioni e risolvere i casi (varianti: incident, che prevede anche la scelta delle
informazioni necessarie per la risoluzione del caso e il role playng, nel quale gli allievi si
immedesimano nelle diverse parti).
 L’in basket: altra tecnica di simulazione che prevede che i partecipanti risolvano una serie
di difficoltà che si verificano nel corso di una giornata all’interno dell’impresa.
 Il buisiness game: simulazione nella quale gli allievi si dividono in gruppi rappresentanti
imprese diverse.
 T – group: è utilizzato al fine di stimolare e analizzare le relazioni interpersonali, verificare e
migliorare le capacità di autocontrollo e apprendimento dei partecipanti.
 Action learning: è utilizzato in particolar modo per la formazione di personale elevato e
consiste nel richiedere ai partecipanti la realizzazione di un progetto che richiede capacità
e competenze diverse da quelle che già possiedono.
 Lavoro di gruppo: mira a incrementare le capacità di apprendimento del gruppo stesso
nonché lo scambio di informazioni.
 Metodi riflessivi: mirano ad’abbattere le barriere mentali degli individui.
La formazione assume caratteristiche diverse a seconda che avvenga in una piccola o grande
impresa; nella piccola impresa è una formazione non formalizzata, che si configura come una
learning by doing, ovvero imparare mentre si pratica sul campo. Nelle grandi imprese la
formazione è formalizzata e si realizza attraverso la partecipazione degli individui a corsi periodici
(il tutto per l’impresa rappresenta un costo, che deve essere inferiore al beneficio che essa trae
dall’incremento delle conoscenze degli individui). La discussione tra input conoscitivi già posseduti
e input conoscitivi esterni permette di avviare un processo learning from analysis , che parte
dall’elaborazione di un opinione assunta dall’impresa e si esplica in una raccolta di dati e
informazioni al fine di valutare se effettivamente l’opinione assunta è valida.
o Le attività infrastrutturali: la finanza.
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La finanza in economia viene definita come l’attività volta a studiare l’allocazione delle risorse
limitate tra una molteplicità di usi alternativi, allo scopo di realizzare una gestione efficace e
efficiente.
Il ruolo della finanza ha subito un evoluzione nel tempo, passando da una finanza subordinata a
una finanza allargata o integrata; tradizionalmente la finanza si occupava di soddisfare il
fabbisogno di finanziamento degli investimenti (finanza subordinata) ed’era quindi solo legata alle
politiche di finanziamento. Con il tempo il ruolo della finanza si è esteso, arrivando a ricoprire ruoli
decisionali, quali decisioni relative all’efficace impiego del capitale (finanza allargata). La finanza
deve quindi valutare la convenienza economica dell’investimento senza compromettere
l’equilibrio finanziario.
L’ultimo livello di evoluzione è quello della finanza strategica; essa si integra con tutte le altre
attività della catena del valore e supporta le strategie aziendali.
 Partecipazione alle decisioni strategiche.
 Definizione della struttura finanziaria di copertura.
 Reperimento delle risorse finanziarie.
Il primo punto riguarda l’intervento della finanza nella valutazione di un investimento, ovvero un
impiego di mezzi finanziari per ottenere risultati futuri; l’investimento presenta alcune
caratteristiche tipiche:
 Riguarda l’acquisizione di immobilizzazioni tecniche.
 Su di esso si concentra il rischio dell’impresa: si verifica un uscita certa per ottenere entrate
future e incerte.
 Implica un ciclo finanziario che intercorre dal momento in cui si effettua l’investimento
(uscita) al momento in cui si realizzano delle entrate (anche diluite nel tempo).
Il metodo più utilizzato per valutare un investimento è il Capital Budgeting, che consiste in un
analisi delle decisioni strategiche dalle quali derivano le diverse necessità di investimento in
capitale fisso e circolante. La valutazione degli investimenti si articola in quattro fasi:
 Produzione di proposte di investimento.
 Quantificazione dei flussi di cassa per ogni investimento.
 Valutazione dei flussi di cassa attualizzati.
 Selezione delle proposte sulla base di un criterio di accettazione.
L’ applicazione di questo metodo prevede la fissazione dell’orizzonte temporale di analisi dato
dalla vita economica del bene oggetto di investimento (numero di anni in cui il bene sarà in grado
di produrr flussi finanziari futuri). In seguito viene calcolato il rendimento atteso di ciascun
progetto di investimento attraverso il discounted Cash Flow Analysis (analisi dei flussi di cassa
attualizzati), attraverso il quale i flussi di cassa futuri generati dall’investimento vengono
attualizzati in base a un fattore di attualizzazione che tiene conto del costo del capitale impiegato
e del grado di rischio derivante dall’investimento. In questa fase si tiene conto di tutti i flussi
finanziari futuri e di tutti i flussi differenziali, i cosiddetti flussi incrementali (la logica differenziale
consiste nel valutare i flussi finanziari generrati dall’investimento oggetto di analisi e quelli di
un’alternativa che può essere un’altra ipotesi di investimento o il mantenimento dello stato
corrente) ovvero tutti i flussi di cassa in entrata e in uscita generati dall’investimento che si sta
valutando; i flussi incrementali sono:
 I flussi generati dall’acquisto del bene (in uscita).
 Il cash flow generato dalla gestione caratteristica (differenza tra entrate monetarie e uscite
monetarie relativi alla gestione caratteristica
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
I flussi generati dall’impiego di CCN operativo, delle sue variazioni anno per anno e del suo
recupero finale. Nel momento in cui si effettua un investimento, si avranno anche impieghi
di CC legati all’investimento (ad’esempio incremento delle materie prime e semilavorati,
incremento dei crediti)
 I flussi ottenibili dal valore residuo dell’investimento alla fine della sua vita economica
(valore che deriva sia da una competenza materiale, data dal ricavato della vendita del
bene sia da una componente immateriale, ovvero tutte quelle competenze e conoscenze
che rimarranno all’interno dell’impresa anche dopo la vendita del bene).
Una volta valutato il rischio dell’investimento, si deve procedere alla valutazione della redditività,
che deve essere superiore al costo del capitale impiegato per l’investimento in misura tale da
rimborsare il costo e remunerare il rischio. Tra i metodi più utilizzati abbiamo:
 VAN (Valore attuale netto): differenza tra flussi in entrata e flussi in uscita attualizzati
generati dall’investimento.
 TIR (Tasso interno di rendimento): è un tasso che rende equivalenti dal punto di vista
finanziario i flussi in entrata e quelli in uscita.
n
VAN = - F0 + ∑ Fi (1 + r ) –i
I=1
Dove:
F0 flusso in uscita .
Fi flusso finanziario al tempo i.
r soglia di accettazione.
L’investimento è accettabile se il VAN è maggiore di 0, quindi se l’impresa dovesse scegliere tra
due investimenti alternativi sceglierà quello con il VAN maggiore.
Il TIR in formula:
n
F0 + ∑ Fi (1 + x ) –i = 0
I=1
Dove:
x tasso interno di rendimento.
Se il TIR è superiore al tasso soglia di accettazione, l’investimento è accettabile; Il problema si
verifica quando un investimento presenta più tassi interni di redditività o non ne presenti nessuno,
in questi casi può essere utilizzato il payback period (metodologia del tempo di recupero):
capitale investito/media annuale incassi
il capitale investito è rappresentato dall’uscita di cassa che si verifica al momento
dell’effettuazione dell’investimento mentre la media annuale degli incassi si calcola dividendo gli
incassi totali generati dall’investimento per il numero di anni in cui essi sono generati.
ES
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Investimento 3000 euro.
Incassi 6000 euro in sei anni
Incasso medio annuale 1000
3000/1000 = 3 anni
In caso di scelta tra due investimenti alternativi, verrà scelto quello con il tempo di recupero più
basso; questo metodo è molto semplice da calcolare, ma non fornisce una valutazione
quantitativa precisa. Maggiore è la differenza tra il tempo di recupero e l’orizzonte temporale in
cui l’investimento è suscettibile a generare reddito, più l’investimento è redditizio perché
rimangono più anni di vita utile in cui è possibile ottenere reddito.
Difetti del metodo:
 Non considera il valore finanziario del tempo.
 Non tiene conto dei flussi finanziari successivi alla scadenza del tempo.
 Non misura la redditività in modo da poterla confrontare con il costo del capitale impiegato
(in quanto il valore è espresso in anni).
Nella gestione aziendale ci sono una serie di decisioni che comportano fabbisogni finanziari,
derivanti dal lasso di tempo che intercorre tra l’uscita di liquidità e il ritorno in forma liquida del
capitale investito; il ciclo finanziario può quindi essere distinto in breve, medio e lungo a seconda
del tempo necessario per il ritorno in forma liquida. Il ciclo breve è solitamente inferiore all’anno e
riguarda il capitale circolante formato dai crediti verso clienti e dalle scorte; la durata del ciclo
finanziario dei crediti dipende dalle dilazioni di pagamento a essi accordate dall’impresa mentre
per quanto riguarda le scorte è necessario distinguere tra scorte di materie prime e semilavorati,
le quali hanno un ciclo di maggiore durata data la loro permanenza in magazzino e scorte di
prodotti finiti, che solitamene permangono in magazzino poco tempo prima di essere vendute.
Le immobilizzazioni materiali e immateriali hanno un ciclo finanziario più lungo, solitamente
pluriennale e il loro ritorno in forma liquida è indiretto, nel senso che esse partecipano al processo
produttivo e quindi la loro remunerazione è compresa nel prezzo del prodotto.
Le immobilizzazioni finanziarie invece hanno un ritorno in forma liquida diretto che avviene al
momento della loro vendita.
La copertura finanziaria non è un fatto solo quantitativo , ma anche qualitativo, nel senso che
l’impresa deve scegliere qual è la fonte di finanziamento più adatta a finanziare i diversi tipi di
investimento, in modo tale da mantenere l’impresa in una situazione di equilibrio finanziario. È
quindi necessario che il rientro degli impieghi avvenga prima dell’uscita derivante dalle fonti.
Per operare in condizioni di equilibrio finanziario l’impresa deve finanziare le attività a medio
lungo termine con fonti durevoli (proprie o di terzi), mentre le attività circolanti con fonti a breve,
inoltre deve fare in n modo che l’esigibilità delle fonti sia successiva al ritorno in forma liquida
degli impieghi.
Per tenere sotto controllo l’equilibrio finanziario si può utilizzare la tecnica del CCN, ovvero la
differenza tra il CCL (liquidità, crediti e scorte) e i debiti a breve; se questa differenza è maggiore di
0 l’impresa è in equilibrio finanziario. Un altro strumento è l’hedging, in base al quale per ogni
posta attiva deve contrapporsi uno strumento di finanziamento avente più o meno la stessa
scadenza, così le attività a breve devono essere finanziate da debiti a breve mentre le attività
pluriennali da debiti a medio lungo termine.
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Le fonti di finanziamento si distinguono in esterne, se provengono da economie terze e interne
quali autofinanziamento e disinvestimenti; le fonti esterne possono riguardare sia il capitale di
credito che il capitale proprio.
Caratteristiche del capitale proprio:
 Stabilità (resta in azienda a tempo indeterminato).
 No obbligo di rimborso.
 No obbligo formale di remunerazione.
Non è però propriamente giusto dire che il capitale proprio non ha remunerazione: chi investe in
capitale di rischio si aspetta una remunerazione soddisfacente, anche se con scadenze meno rigide
di quelle previste per il capitale di rischio.
A parità di importo, però, il capitale di rischio comporta uscite future maggiori rispetto al capitale
proprio (tra remunerazioni e rimborsi a scadenze fisse predeterminate da contratto)..
I finanziamenti attraverso capitale di credito possono essere classificati in finanziamenti a breve e
finanziamenti a medio lungo termine; i primi sono costituiti dalle passività estinte entro un anno
dalla data della loro registrazione in bilancio (ne sono un esempio le aperture di credito in conto
correnti attraverso le quali l’impresa può prelevare somme di denaro eccedenti a quelle
effettivamente disponibili sul conto). I debiti a medio termine sono quelli con scadenza entro i
cinque anni mentre quelli a lungo termine hanno scadenza superiore ai cinque anni; questi ultimi
possono essere negoziati in via diretta (emissione obbligazionaria diretta) o in via indiretta
(accensione di un mutuo).
Come già detto la finanza si è evoluta nel tempo, fino a diventare uno degli aspetti fondamentali
dell’impresa; oltre a compiti di tipo strategico, però, svolge anche compiti di tipo operativo:
 Gestione della tesoreria: l’impresa deve scegliere in che misura detenere liquidità e in che
misura investire il denaro in strumenti finanziari; le liquidità non devono essere ne troppo
elevate (compromettendo la possibilità di ottenere interessi dall’investimento in titoli), ne
troppo ridotta (per evitare di vendere continuamente titoli per fronteggiare eventuali
spese con conseguente sostenimento di costi amministrativi). Solitamente se i tassi di
interesse sono elevati l’impresa tenderà a incrementare l’investimento in titoli, viceversa
propenderà a tenere liquidità. Un altro problema della gestione della tesoreria riguarda la
possibilità di utilizzare fondi a prestito o smobilizzare i propri fondi per la copertura dei
fabbisogni finanziari; l’impresa deve valutare se è più conveniente liquidare i propri titoli
perdendo però i relativi interessi o utilizzare fondi a prestito pagando gli interessi passivi
(se gli interessi passivi sono inferiori agli interessi attivi all’impresa conviene usufruire del
fondo a prestito).
 Gestione dei rischi: nella scelta tra le diverse tipologia di investimenti finanziari l’impresa
deve valutare i rischi derivanti dall’investimento stesso, rischi derivanti dall’andamento dei
tassi di interesse, dalle oscillazioni del mercato dei cambi ecc. L’impresa può scegliere se
effettuare un investimento a tasso fisso o a tasso variabile; se le prospettive
sull’andamento futuro dei tassi sono positive, e quindi si presuppone che questi
diminuiscano, si tenderà a effettuare investimenti a tasso variabile, in caso contrario si
privilegeranno quelli a tasso fisso. Non sempre queste previsioni sono però corrette, sono
basate su poste future e incerte e di conseguenza comportano un rischio: l’impresa può
quindi decidere di trasferire il rischio a carico di imprese assicuratrici specializzate, che
hanno maggiori competenze e esperienze nella stima del rischio. Altri strumenti sono i
cosiddetti derivati, perché il loro valore è derivato da quello di altri beni (ne sono un
esempio i futures, forward, le opzioni).
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o Le attività infrastrutturali: l’organizzazione.
L’organizzazione può essere vista sotto due punti di vista: in senso ampio si intende organizzazione
il coordinamento di tutti i fattori, le risorse e le componenti che permettono lo svolgimento
dell’attività aziendale, in senso stretto si definisce organizzazione il processo decisionale. In questo
senso viene attribuita all’organizzazione la responsabilità di definire compiti, mansioni e regolare
le relazioni tra le risorse umane. La funzione organizzativa deve definire:
 Centri decisionali, di controllo e esecutivi all’interno dell’impresa.
 Autorità e responsabilità per ognuno di essi.
 Relazioni tra ogni centro.
 Procedure per lo svolgimento della gestione.
In questo modo si definisce la configurazione dell’impresa, a sua volta influenzata dal sistema
ambiente in cui essa opera; il dinamismo ambientale implica una serie di cambiamenti e
adattamenti all’interno dell’impresa.
L’impresa deve scegliere la configurazione organizzativa tra una serie di modelli differenti, in base
a criteri di efficacia e efficienza; Principali criteri di valutazione:
 Coerenza tra obiettivi e fattori critici di successo;
 Impatto sulla struttura dei costi.
 Livello di autonomia e di integrazione tra le unità.
 Numero di livelli gerarchici.
 Elasticità della struttura.
 Capacità di reazione e adattamento ai cambiamenti di mercato.
Questi criteri portano alla scelta della configurazione più adatta in base alla situazione ambientale,
agli obiettivi strategici e alle risorse aziendali.
L’obiettivo primario della funzione organizzazione è quindi quello di stabilire il modello gestionale
più efficace ed’efficiente per il tipo di impresa.
La struttura organizzativa varia da impresa a impresa; una prima distinzione avviene sulla base del
numero dei poli di comando, solitamente nelle piccole imprese abbiamo un solo polo di comando,
mentre nelle grandi imprese abbiamo un polo di comando diviso in vari livelli gerarchici. Per
procedere alla progettazione organizzativa si può fare riferimento a quattro macro – situazioni
gestionali che portano a quattro configurazioni organizzative (del processo produttivo e
gestionale).
La gestione può svolgersi in condizioni di:
 stabilità, quando il livello e il tipo di prestazioni tendono a essere costanti.
 Elasticità operativa, quando le caratteristiche qualitative e quantitative della produzione si
modificano rapidamente.
 Elasticità strategica, quando i cambiamenti aziendali richiedono una modifica della
strategia aziendale.
 Elasticità strutturale, quando a cambiamenti della strategia devono essere affiancati
cambiamenti della struttura aziendale.
La pianificazione organizzativa si esplica invece attraverso una serie di fasi:
40
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
Definizione degli obiettivi, dei traguardi da raggiungere in termini qualitativi e quantitativi.
La configurazione organizzativa deve essere tale da permettere il perseguimento di tali
obiettivi.
 Scelta del modello per la ripartizione della responsabilità; in questo modo è possibile
definire le unità primarie e affiancare a esse quelle ausiliarie.
 Articolazione gerarchica delle unità primarie.
 Definizione del sistema di relazioni (verticali, orizzontali e trasversali) da instaurare tra i
diversi livelli gerarchici per garantire un continuo scambio di informazioni al fine di
fluidificare i processi.
Le unità possono essere semplici se non fanno capo ad’altre unità, oppure principali se
sovraintendono a altre unità dette subalterne; in base alla loro funzione esse sono classificate in:
 Operative, quelle che svolgono le attività principali dell’azienda, ovvero le attività gestionali.
 Funzionali,quelle che svolgono funzioni aziendali complementari a all’attività produttiva.
 Di servizio, quelle che svolgono attività di supporto.
Tutte le unità, pur svolgendo attività diverse, sonno collegate da una serie di relazioni e legami:
 Gerarchici, tra unità principali e subordinate.
 Funzionali, tra autorità non dipendenti gerarchicamente, ma tra unità in cui una esprime
potere decisionale sull’altra.
 Ausiliari, tra unità al di fuori di ogni vincolo gerarchico.
 Sinergici, tra unità collaborative.
 Laterali,
Tipologie di strutture organizzative.
o Struttura organizzativa elementare o semplice.
È la struttura tipica
delle piccole imprese,
caratterizzate
da
processi
produttivi
semplici e essenziali,
Segreteria
solitamente destinati
alla produzione di un
unico prodotto; a
capo
dell’impresa
l’imprenditore
è
anche
proprietario
Lavorazione
Lavorazione
Lavorazione
(impresa
a
conduzione familiare).
Le
strutture
elementari possono eventualmente trasformarsi in strutture complesse in ragione di politiche di
mercato, stipulando accordi con imprese di dimensioni simili, al fine di realizzare congiuntamente
un attività di produzione per la quale una sola impresa non sarebbe adatta perché
sottodimensionata.
Caratteristiche della struttura:
Imprenditore
41
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
Divisione del lavoro in base alla competenza tecnica (reparti di produzione per tipo di
lavorazione, unità amministrative, unità di vendita).
 Due livelli gerarchici, quello sovraordinato, dove si concentra il potere decisionale e quello
subordinato, dove si trovano le unità operative.
Questo tipo di struttura presenta una serie di vantaggi e svantaggi; da un lato è una struttura
molto flessibile, in grado di svolgere una pluralità di funzioni in caso di emergenza (dato il basso
livello di specializzazione e divisione del lavoro, tutti fanno tutto), dall’altro però l’organizzazione è
poco formalizzata e tutte le decisioni sono prese da un'unica persona.
Imprenditore/Direttore generale.
Funzioni di
staff.
Funzione A
Funzione B
Funzione C
Attività X
Attività Y
o Struttura
organizzativa
funzionale.
Il modello funzionale è adatto a imprese medio piccole; tutte le operazioni aventi la stessa natura
sono raggruppate sotto un unico imprenditore o manager. Le unità subalterne (funzione A,B e C)
corrispondono alle fasi del processo produttivo (input/trasformazione/output).
È una struttura a tre livelli: la direzione generale coordina le diverse aree funzionali, ogni area a
sua volta è specializzata in una determinata attività e al suo interno contiene unità operative con
compiti esecutivi. La struttura è efficace se la variabile esperienza è fondamentale per il successo
dell’impresa, l’imprenditore deve essere in grado di coordinare al meglio le aree.
Vantaggi:
 Specializzazione delle risorse e sviluppo delle conoscenze.
 Miglioramento dei prodotti e processi.
 Efficienza nella direzione.
Svantaggi:
 Problemi di coordinamento dovuto alle maggiori dimensioni.
 Problemi nella gestione dei prodotti dovuti alla diversificazione (più linee di prodotto
rispetto al precedente modello).
 Maggiore rigidità quindi difficoltà ad’adattarsi ai cambiamenti esterni.

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Struttura
divisionale.
Direzione generale
Funzioni di staff
Prodotto X
Prodotto Y
Funzione A
Funzione A
Funzione B
Funzione B
organizzativa
Questo
modello
è
caratterizzato
da
una
suddivisione del lavoro in
senso
orizzontale;
la
differenza
rispetto
al
modello
precedente
riguarda la divisione di
responsabilità: nel modello
funzionale le responsabilità
sono
assegnate
per
funzione, in questo modello
invece sono assegnate per
prodotto, di conseguenza a
ogni linea di prodotto o
famiglia di prodotti fa a
capo un direttore di
divisione.
In questa struttura abbiamo cinque livelli:
 Direzione generale : stabilisce cosa produrre, per chi produrre e quali risorse assegnare alle
diverse divisioni.
 Staff centrali: comprende specialisti che offrono supporto alla direzione generale.
 Divisioni: sono dotate di responsabilità diretta di gestione.
 Aree funzionali: hanno competenze specializzate (produzione, marketing).
 Unità operative: hanno solo funzione operativa.
Sotto un certo punto di vista l’organizzazione divisionale può essere vista come un’insieme di
“quasi imprese”, in quanto ogni area divisionale ha propri centri di costo e di profitto e è
indipendente da tutte le altre; questo permette di tenere sotto controllo l’andamento delle
singole divisioni, verificare se ognuna di esse è efficiente, valutare quale di esse contribuisce
maggiormente alla creazione di profitto ecc.
Vantaggi:
 Maggiore controllo sui singoli prodotti quindi maggiore soddisfacimento del cliente.
 Maggiori responsabilità ai dirigenti divisionali.
 Maggiore capacità di adattamento ai cambiamenti di mercato.
 Decentramento del processo decisionale.
Svantaggi:
 Minore efficienza dato l’elevato costo di gestione e la ripartizione delle risorse tra più aree
funzionali.
 Difficoltà nel reperire manager competenti.
 Competizione tra manager delle diverse aree funzionali.
 Tanta attenzione alla redditività di breve periodo ma poca attenzione a quella di medio
lungo periodo.
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o Struttura organizzativa multifunzionale.
Direzione generale
Pianificazione
Marketing
Personale
DIVISIONE A
…………..
R&S
DIVISIONE B
Funzioni
sopraindicate
Funzioni
sopraindicate
E’ il modello adatto alle imprese diversificate per prodotti e mercati; per ogni prodotto o mercato
è creata una divisione specializzata.
Livelli:
 Direzione generale: si occupa delle strategie.
 Staff centrali: (pianificazione, marketing…) supportano la direzione generale e le divisioni
sottostanti.
 Divisioni: sono delle quasi imprese con a capo un direttore che riceve poteri in delega dalla
direzione generale.
 Unità operative con compiti esecutivi.
I vantaggi sono uguali a quelli del modello divisionale più l’efficacia di coordinamento tra le diverse
divisioni per il perseguimento degli obiettivi. Gli svantaggi sono uguali al modello divisionale in più
la perdita dell’efficienza tecnica.
o Struttura organizzativa a matrice.
Direzione generale
Funzione A
Progetto X
Progetto Y
Progetto z
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Funzione B
Funzione C
E’
la
struttura che
caratterizza
le imprese
che lavorano
a progetto;
per
ogni
prodotto o
mercato
esiste
un
centro
di
costo e di
profitto.
A ogni funzione è assegnato un responsabile, e lo stesso vale per i progetti, abbiamo quindi tre
livelli:
 La direzione generale.
 I responsabili funzionali: che curano l’efficacia e l’efficienza delle diverse funzioni
indipendentemente dal progetto.
 Responsabili di progetto: coordinano lo specifico progetto.
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Parte II
L’analisi dell’ambiente esterno
L’impresa è un sistema aperto, ovvero un sistema che interagisce con l’ambiente in cui opera, dal
quale riceve input e nel quale emette output; ambiente e impresa si influenzano reciprocamente:
l’impresa sfrutta le risorse e le potenzialità dell’ambiente in cui opera e attraverso il suo agire e
operare influenza l’ambiente stesso, che evolve a seconda di come gli attori in esso presente
utilizzano le risorse e le potenzialità in esso presenti.
L’ambiente è una delle variabili che più condizionano il successo dell’impresa, al suo interno infatti
si creano forze, eventi e fenomeni che l’impresa deve analizzare al fine di cogliere al meglio le
opportunità e fronteggiare le eventuali minacce.
L’analisi ambientale assume quindi un ruolo determinante in un sistema aperto come l’impresa,
tutte le informazioni devono essere raccolte e elaborate per stabilire un piano attuale e
prospettico utile a valutare le strategie attuate.
Come già detto l’ambiente è un insieme di forze, eventi e trend, variabili che influenzano o
potrebbero influenzare il successo dell’impresa. Possiamo distinguere due strati ambientali:
 Macroambiente: è l’insieme di variabili e forze di carattere generale che influenzano il
sistema competitivo in cui opera l’azienda; queste variabili non sono direttamente
controllabili ma l’impresa attraverso il suo agire può influenzarne l’intensità e la direzione.
 Microambiente: insieme di forze, fenomeni e attori presenti nel campo in cui opera
l’impresa; esse influenzano direttamente la strategia dell’impresa e le sue performance e
determinano l’intensità della concorrenza.
o Analisi del macroambiente.
Nell’analizzare il sistema ambiente, l’impresa deve partire dallo strato più generale, ovvero dal
macroambiente, che rappresenta lo stato culturale e economico dell’area geografica in cui
l’impresa stessa opera. Tutti gli eventi e le forze provenienti dal macroambiente influenzano non
solo la singola impresa, ma anche tutti gli altri attori che appartengono alla stessa area
competitiva. Le principali forze del macroambiente sono:
 Ambiente economico.
 Ambiente politico – istituzionale.
 Ambiente naturale.
 Ambiente strutturale nazionale.
 Ambiente socio culturale.
 Ambiente demografico.
 Ambiente tecnologico.
La dottrina non può offrire uno specifico metodo di studio del macroambiente, è l’impresa stessa
che deve stabilire in base alle proprie necessità e al tipo di attività svolta quali tra queste variabili
influenzano maggiormente il suo successo e di conseguenza quali tra esse devono essere valutate
e studiate al meglio. È proprio l’individuazione delle forze che più influiscono sulla realtà aziendale
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la parte più difficile dell’analisi ambientale, tenuto conto dei continui cambiamenti ai quali
l’ambiente è assoggettato.
La dottrina e la letteratura, però, hanno stabilito i compiti dell’analisi ambientale:
 Monitorare le forze e le tendenze dei sub sistemi (quelli indicati sopra).
 Selezionare le variabili più rilevanti per la vita dell’impresa.
 Individuare gli scenari futuri di tali fenomeni.
 Prevedere il loro impatto sulla strategia d’impresa e sulla sua competitività.
Per condurre l’analisi, l’impresa può avvalersi di documenti e statistiche elaborate da enti di
ricerca (proiezioni demografiche, economiche e tecnologiche, sondaggi sugli attori del mercato.
Ambiente economico.
L’analisi dell’ambiente economico ha come obbiettivo l’individuazione della posizione attuale e
futura delle principali variabili macroeconomiche nazionali e internazionali. Si può ricorrere a
indicatori quali l’andamento delle diverse tipologie di produzione (settore primario, secondario e
terziario), il reddito disponibile delle famiglie, l’andamento dei consumi, l’andamento dei tassi di
interesse, il saldo della bilancia dei pagamenti, l’andamento dei tassi di cambio, l’andamento
dell’inflazione, tutte variabili tra loro collegate che influenzano la strategia e la competitività
dell’impresa.
Se, ad’esempio, si verificasse una crescita economica e quindi un aumento del PIL e del PNL, in
linea teorica dovrebbero crescere gli elementi che compongono il PIL, quindi consumi (C),
investimenti (I), spesa pubblica (G) e saldo import/export. Un incremento dei consumi avrà
sicuramente un effetto positivo sulla vita aziendale, maggiori consumi = maggiore domanda; un
aumento degli investimenti porterebbe a una crescita economica.
Se invece si verificasse una riduzione del PIL, l’impresa dovrebbe modificare il sua assetto,
riducendo gli investimenti e contenendo la produzione.
La variazione dei tassi di cambio dell’euro rispetto alle principali valute estere può avere effetti
positivi o negativi soprattutto per le imprese internazionali che hanno quindi rapporti di scambio
con l’estero. Se l’euro acquista valore rispetto alle altre valute, diminuisce il costo delle
importazioni, che di conseguenza aumentano, ma aumenta quello delle esportazioni, che si
riducono, viceversa se l’euro si svaluta, aumenta il costo delle importazioni, che diminuiscono ma
diminuisce il costo delle esportazioni, che aumentano.
Anche l’andamento dei tassi di inflazione ha una particolare incidenza sulla competitività
dell’impresa; se il tasso di inflazione cresce, questo si rifletterà sui prezzi dei prodotti. Maggiore è il
tasso di inflazione, maggiore è l’incremento dei prezzi.
I differenziali del costo del lavoro e del denaro influenzano la strategia d’impresa, che potrebbe
decidere di de localizzare la produzione in aree geografiche in cui il costo del lavoro è più ridotto
(vedi le grandi multinazionali che producono in Cina o in Taiwan dove il costo della manodopera è
molto basso).
L’analisi di tutte queste variabili dovrebbe permettere all’impresa di valutare quali sono le
prospettive future del sistema economico, se ci si sta avviando verso una fase di espansione o
verso una fase di recessione e quindi di modificare la propria strategia per fronteggiare la futura
situazione economica.
Analisi dell’ambiente politico – istituzionale.
Consiste nell’individuare le politiche economiche attuate dal Governo e valutare gli effetti positivi
e negativi che esse potrebbero avere sul sistema economico e in particolare modo sull’area in cui
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opera l’impresa. Si tratta in particolar modo di regolamentazioni governative e politiche fiscali i cui
effetti si ripercuotono sulla vita dell’impresa.
In Italia negli ultimi anni si sta assistendo a una deregulation, ovvero a una liberalizzazione di
alcune attività, con conseguente riduzione di vincoli e misure protezionistiche (è il caso delle
telecomunicazioni, che prima erano sotto regime di monopolio, adesso no).
Anche le norme regolamentatrici della concorrenza influenzano la vita dell’impresa, basti pensare
ai casi di fusione o acquisizione che sono stati ostacolati dalle politiche Antitrust.
Analizzare quindi l’ambiente economico dovrebbe permettere all’impresa di capire i possibili
cambiamenti nella politica economica nazionale e internazionale, quale sarà il loro impatto nei
diversi settori, quali stati incentivano l’ingresso di imprese estere attraverso l’abbassamento di
tariffe o l’introduzione di incentivi fiscali e misure di tutela del capitale estero.
L’ambiente naturale.
L’ambiente naturale è l’insieme delle dotazioni e delle risorse presenti in una determinata area
geografica; per molti anni è stata una variabile trascurata, ma negli anni ’80 è riemerso l’interesse
della letteratura economico – aziendale per questa variabile, definita come il bacino di dotazioni
materiali e immateriali.
L’impresa utilizza risorse materiali e immateriali rese disponibili da una data società; alcuni
territori più ricchi di queste risorse possono offrirle a condizioni più vantaggiose, offrendo un
vantaggio competitivo alle imprese li localizzate.
Negli anni ’60 sono sorti in Italia i distretti industriali, ovvero sistemi produttivi geograficamente
definiti, costituiti da un numero di imprese geograficamente concentrate, impegnate in diversi
stadi della produzione di un prodotto omogeneo. Queste imprese godono di informazioni e risorse
umane che si diffondono tramite rapporti spontanei tra esse instaurati.
Ogni ambiente naturale offre quindi diverse opportunità alle imprese in esso operanti e ogni
ambiente naturale è caratterizzato da una specificità che favorisce l’instaurazione di alcuni
determinati tipi di impresa. Oltre alle risorse reperibili in una determinata area geografica,
contribuiscono allo sviluppo delle imprese i servizi di supporto radicati in quell’area.
L’ambiente viene enfatizzato sia come bacino di risorse rese disponibili per lo svolgimento
dell’attività aziendale, sia come recettore dei prodotti offerti dall’impresa.
Per molti anni però l’attività aziendale si è svolta sfruttando in modo indiscriminato le risorse
aziendali, l’obiettivo primario delle imprese era quello di incrementare la produttività e ridurre i
costi di produzione, senza tenere conto dell’impatto della produzione sull’ambiente, che veniva
considerato come un male necessario per il soddisfacimento dei molteplici bisogni.
Solo di recente si è compresa l’importanza della salvaguardia dell’ambiente e del ripristino dei
danni ambientali, è emerso così il concetto di sviluppo sostenibile, ovvero il conseguimento di un
vantaggio competitivo soddisfacente e duraturo con un utilizzo moderato delle risorse naturali,
facendo in modo che ce ne sia a sufficienza per le generazioni future.
Le problematiche ambientali, e i relativi vincoli, possono essere sfruttate dalle imprese come
opportunità di business, nella misura in cui esse riescono ad’adattarsi tempestivamente ai vincoli,
offrendo prodotti eco- compatibili per i quali i consumatori più sensibili sono disposti a pagare un
rezzo più elevato; inoltre le imprese che rispettano l’ambiente rafforzano la loro immagine.
A tutela dell’ambiente sono stati predisposti incentivi e vincoli alle imprese; i primi, quali
contributi e finanziamenti agevolati, hanno lo scopo di indurre le imprese ad’attuare strategie
compatibili con le norme di tutela ambientale, i secondi sono volti a limitare le attività con effetti
nocivi sull’ambiente.
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Provvedimento di natura vincolistica: il protocollo di Kyoto.
Il protocollo di Kyoto viene firmato nel dicembre 1997 ed’entra in vigore il 16 febbraio
2005, definendo gli obiettivi vincolanti e i meccanismi di attuazione di alcuni impegni
stabiliti dalla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici. In particolare impegna i
Paesi industrializzati e quelli in via di industrializzazione a ridurre del 5,2 %
complessivamente le emissioni di gas serra nel periodo compreso tra il 2008 e il
2012.
Le minacce impattano direttamente sulle aziende, le quali devono acquistare impianti
produttivi tecnologicamente avanzati, sostenendo i relativi costi e indirettamente, in
quanto la mancata riuscita di alcune aziende a ridurre le emissioni di gas nocivi
potrebbe compromettere la loro immagine. Al contrario, alcune imprese potrebbero
cogliere positivamente questi vincoli adattandosi tempestivamente.
Il caso italiano:
La TCK è un azienda nata a Maranello nel 1996 specializzata nella produzione di
forni, bruciatori e essiccatori per la lavorazione della ceramica. L’impresa ha sempre
destinato i propri investimenti nell’ottimizzazione degli impianti, per realizzare
prodotto a basso impatto ambientale.
Ambiente strutturale nazionale.
Lo studio dell’ambiente strutturale consiste nell’individuazione dei fattori strutturali materiali e
immateriali attuali e futuri del sistema in cui l’impresa opera o ha intenzione di operare. Variabili
fondamentali sono le infrastrutture materiali e non, gli investimenti nel sistema formativo e nella
ricerca scientifica, il costo e la produttività dei fattori e il grado di diffusione della tecnologa.
La carenza di infrastrutture pubbliche implica un aggravamento dei costi sostenuti dalle imprese,
che dovrebbero sostenere spese aggiuntive per acquisire servizi sostitutivi a quelli pubblici. Il
livello di formazione e la ricerca scientifica invece contribuiscono alla nascita di imprese in grado di
competere a livello internazionale.
L’ambiente socio – culturale.
Lo studio dell’ambiente socio culturale ha lo scopo di individuare le evoluzione delle tendenze, dei
gusti, dei modelli culturali e degli stili di vita nelle diverse aree geografiche. Il contesto socio
culturale è in continua evoluzione ed’è per questo motivo che la sua analisi è particolarmente
complessa.
La nascita di nuovi bisogni ed’esigenze del consumatore è influenzata da una serie di variabili,
quali lo sviluppo tecnologico (l’esigenza di acquistare beni tecnologicamente avanzati), maggiore
interesse per il bene personale. Anche le nuove tendenze e le mode hanno conseguenze sullo stile
di vita e di conseguenza sul consumo.
L’ambiente socio – demografico.
L’analisi dell’ambiente socio demografico individua la struttura demografica dell’area in cui
l’impresa opera; l’analisi delle variabili fondamentali quali tasso di natalità e mortalità, tasso di
occupazione femminile, numero medio di componenti per famiglia, tasso di crescita della
popolazione, permette all’impresa di creare prodotti sempre più indirizzati a un determinato
target.
Negli ultimi anni si è assistito a una riduzione del tasso di natalità e a un incremento del tasso di
invecchiamento, questo ha portato a una propensione a investire in imprese che offrono servizi
agli anziani piuttosto che in imprese che vendono prodotti per la prima infanzia. L’aumento del
tasso di occupazione femminile ha portato alla nascita di grandi supermercati e shopping center
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dotati di una grande varietà di prodotti in modo da concentrare gli acquisti in un unico posto data
la mancanza di tempo.
La riduzione del numero di componenti famigliari invece ha contribuito alla produzione di beni in
mono dose.
L’ambiente tecnologico.
Il livello di tecnologia è una delle variabili che contribuisce maggiormente allo sviluppo economico;
l’ambiente tecnologico viene analizzato in particolare modo per la sua incidenza sulle fonti di
vantaggio competitivo; le nuove tecnologie hanno permesso la realizzazione di impianti avanzati
che permettono la riduzione di scarti, di errori, l’incremento della produttività e l’aumento delle
soglie di economie di scala (di conseguenza le imprese devono espandere i loro mercati di sbocco
per riuscire a piazzare le eccedenze di prodotti). Lo sviluppo tecnologico ha inoltre contribuito al
miglioramento dei trasporti, rendendoli meno rischiosi.
Le innovazioni tecnologiche che hanno contribuito maggiormente allo sviluppo tecnologico sono
ricondotte a tre ambiti:
 Automazione e sviluppo dell’Information and Comunication Tecnology, ha modificato il
modo di gestire gli affari e le informazioni, che oggi costituiscono una delle principali fonti
di vantaggio competitivo.
 Sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, che ha permesso di velocizzare i flussi di
scambio.
 Sviluppo generale del sistema industriale.
o Analisi del microambiente.
Il microambiente comprende tutte le forze, i fenomeni e gli attori che operando nel settore
specifico dell’impresa influenzano le sue scelte strategiche e le performance, determinando
l’intensità della concorrenza e la redditività dell’impresa. Lo studio del microambiente aiuta a
definire le forze che impattano sulla competitività delle imprese.
Metodo di studio del microambiente:
 Definizione del campo di indagine mediante identificazione del settore e delle aree
strategiche (ASA) in cui l’impresa opera.
 Analisi delle caratteristiche strutturali dell’area individuata e delle dinamiche competitive.
 Ricostruzione dei principali raggruppamenti strategici.
 Individuazione all’interno dei raggruppamenti strategici, dei principali concorrenti, per
studiarne il comportamento attuale e potenziale.
Ogni singola impresa avrà una visuale della concorrenza diversa, perché ogni impresa osserva le
imprese concorrenti di un’angolazione diversa, in quanto le osserva negli aspetti che la
interessano maggiormente.
Identificare il settore è fondamentale per l’analisi dell’ambiente competitivo; gli studi di settore
hanno lo scopo di identificare un insieme omogeneo di imprese al fine di studiarne i
comportamenti competitivi, le modalità e le capacità di soddisfazione della domanda.
Il settore viene considerato come luogo dell’offerta, a differenza del mercato che viene
considerato come luogo della domanda; esso è costituito da un insieme di imprese omogenee che
concorrono nello stesso mercato per il soddisfacimento di un gruppo di consumatori.
Esistono due criteri per l’individuazione del settore:
50
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
Criterio focalizzato sull’offerta: vengono considerate appartenenti allo stesso settore le
imprese che producono lo stesso prodotto, con uguali caratteristiche merceologiche o
tecnologiche. Si parla di settore merceologico – manifatturiero.
 Criterio focalizzato sulla domanda: vengono considerate appartenenti allo stesso settore le
imprese che producono beni che, anche se diversi, soddisfano lo stesso bisogno. Si parla di
settore economico.
Possiamo dire che il primo criterio, focalizzandosi su imprese che producono un bene omogeneo,
associa a quelle imprese uno stesso processo di produzione, detto procedimento terminale
settoriale, ed’estende l’omogeneità anche alle tecnologie impiegate e agli input. Secondo questo
criterio il settore è costituito da imprese che producono beni omogenei, acquistando uguali input,
realizzando i beni attraverso un uguale processo produttivo in cui sono impiegate uguali
tecnologie produttive.
È un criterio discutibile, nel senso che non è detto che imprese che producono uguali beni
utilizzino necessariamente uguali input e uguali tecnologie, per questo motivo è possibile
concentrare lo studio di settore sul settore economico, ovvero quello costituito da imprese che
producono beni diversi per soddisfare lo stesso bisogno.
La sostituibilità tra prodotti può essere valutata attraverso l’elasticità incrociata tra i prodotti di un
impresa e quelli delle altre:
Δ% domanda A/ Δ% prezzo B
Indica in che misura varia la domanda del bene A al variare del prezzo del bene B.
Identificazione dei confini del settore.
Imprese con omogeneità
tecnologica.
Imprese con omogeneità
di input.
Imprese con omogeneità
del bisogno.
IMPRESE DEL
SETTORE.
Imprese con omogeneità
commerciali.
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La scelta del settore è oggettiva in quanto l’impresa non la può determinare in base a proprie
scelte, al contrario l’impresa subisce il settore passivamente (il settore è definito in base a criteri di
omogeneità prestabiliti).
L’ambito competitivo invece è determinato dall’impresa, dipende quindi da una scelta soggettiva,
l’impresa identifica i suoi concorrenti e agisce di conseguenza.
La visione del settore è quindi più limitata rispetto a quella dell’ambito competitivo, perché si
concentra solo sulle caratteristiche del prodotto trascurando gli elementi del prodotto servito sul
mercato.
Definire l’ambito competitivo permette di integrare la prospettiva dell’offerta con quella della
domanda considerando le modalità di soddisfazione dei bisogni di un determinato segmento; in
base a questo possiamo identificare un particolare ambito competitivo costituito dall’Area
Strategica Affari, definita attraverso un modello tridimensionale basato su:
 gruppi di clienti (suddivisi per aree geografiche, stili di vita, comportamento d’acquisto)
(CHI).
 Funzioni del prodotto per il cliente (COSA, ovvero identifica i bisogni che possono essere
soddisfatti con un determinato bene).
 Tecnologie che esprimono (COME, ovvero le modalità per il soddisfacimento di determinati
bisogni di un gruppo di clienti).
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B Potere dei fornitori:
Schema di Porter
i fattori che determinano il potere dei fornitori rispetto ai
produttori sono analoghi a quelli che determinano il potere dei
produttori rispetto agli acquirenti
D Minaccia di nuove
imprese nel settore:

Economie di scala

Vantaggi assoluti di costo
A Rivalità tra i concorrenti

Fabbisogno capitale
esistenti:

Differenziazione prodotto



E Minaccia dei

Concentrazione

Differenziazione dei prodotti
Accesso ai canali di
distribuzione

Capacità in eccesso e barriere
all’uscita
Barriere istituzionali e
legali

Condizioni di costo
Reazione da parte delle
imprese già esistenti
C Potere dei clienti:
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
sensibilità di prezzo: costo del prodotto rispetto al costo totale,
concorrenza tra gli acquirenti;

potere contrattuale: dimensione e concentrazione acquirenti,
costi sostituzione per l’acquirente,informazione degli acquirenti,
capacità di integrazione a monte degli acquirenti.
prodotti sostitutivi:
 Propensione degli
acquirenti alla
sostituzione
 Prezzi dei prodotti
sostitutivi
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Una volta determinati i confini dell’ambiente competitivo attraverso i concetti di settore e di ASA,
possiamo analizzare le caratteristiche delle imprese che vi appartengono, attraverso il modello
della concorrenza allargata di Porter. La redditività di un ambito competitivo dipende
dall’interazione di cinque forze, ovvero:
 Rivalità tra concorrenti esistenti.
 Potere dei clienti.
 Potere dei fornitori.
 Minaccia di nuove imprese nel settore.
 Minaccia di prodotti sostitutivi.
Analizziamo le cinque forze:
A: rivalità tra concorrenti già esistenti.
Riguarda la rivalità tra i concorrenti diretti dell’impresa, ovvero tutte le altre imprese che
producono lo stesso prodotto o servizio. L’intensità della competizione è uno dei principali fattori
che determina la redditività e l’attrattività del settore, in quanto maggiore è la rivalità tra i
concorrenti, minori saranno le prospettive di guadagno e di conseguenza minore l’attrattività di
quel settore.
La rivalità tra imprese può essere espressa in termini di:
 Competizione basata sul prezzo (a volte talmente esagerate da portare le imprese a
vendere a prezzi inferiori ai costi).
 Incrementi negli investimenti in pubblicità (quindi incremento de costi).
Sulla base di questi due elementi, è possibile analizzare la concorrenza e valutarne il grado di
intensità; sono segnali di elevata concorrenza:
 Frequenti cambiamenti nei prezzi.
 Frequenti lanci di nuovi prodotti o servizi e innovazioni ai prodotti già esistenti.
 Aumento degli investimenti in pubblicità.
 Frequenti sforzi per rendere i prodotti offerti più accessibili, intensificando le reti di
scambio.
È necessario valutare il grado di concentrazione del business; il numero di concorrenti pressenti in
un determinato ambito competitivo non è sufficiente per indicare il grado di concentrazione.
Questo dato deve essere integrato con indici di concentrazione che rappresentano la distribuzione
delle quote di mercato dell’impresa (il più utilizzato è l’indice di concentrazione industriale dato
dalle quote di mercato dei produttori principali, in genere i primi quattro).
In sintesi quando poche imprese detengono una quota di mercato molto alta, si verifica una
situazione di elevata concentrazione, al contrario, se l’indice è basso, non c’è forte concentrazione
di mercato. A parità di indice bisogna vedere tra quante imprese è distribuita la maggior parte
della quota di mercato:
 Il 75% è distribuito tra 3 imprese: concentrazione alta.
 Il 75% è distribuito tra 10 imprese: concentrazione bassa (ogni impresa detiene il 7,5%).
Se il livello di concentrazione è basso, le singole imprese non potranno influire sulle dinamiche di
mercato, al contrario si.
Conseguenze della concentrazione:
 Basso livello di concentrazione: le imprese tenderanno ad’attuare una competizione basata
sulla riduzione del prezzo.
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
Alto livello di concentrazione: la competizione sui prezzi è relativa, le imprese
propenderanno più per una competizione basata su altri fattori quali l’immagine del
prodotto e dell’impresa, la pubblicità, il servizio offerto.
L’intensità della concorrenza dipende anche dalle somiglianze tra le imprese: imprese con
caratteristiche omogenee tenderanno maggiormente a competere tra di loro (dal momento che
offrono un servizio o prodotto molto simile), tra imprese molto diverse invece la concorrenza è
meno accentuata. È però possibile che dove le imprese presentano una struttura quasi omogenea
il settore mantenga una certa stabilità, viceversa potrebbero verificarsi frequenti variazioni sui
prezzi e sulle quote di mercato.
Anche la struttura dei costi influisce sulla concorrenza; se un impresa ha un elevata percentuale di
costi fissi, la competizione basata sul prezzo sarà maggiore, in quanto la leva operativa è molto
elevata e l’impresa tenderà a sfruttare la capacità produttiva al massimo, realizzando numerosi
prodotti.
Leva operativa = Δ% Margine operativo /Δ% quantità prodotta
Essa indica in che modo una variazione della quantità prodotta influisce sul margine operativo; in
un impresa con una struttura rigida, la variazione della quantità prodotto porterà più velocemente
a un aumento del margine operativo, in un impresa invece con una struttura flessibile e quindi
ridotti costi fissi la variazione della quantità non porterà grandi cambiamenti al margine operativo.
Se si verificasse inoltre una situazione di eccesso dell’offerta rispetto alla domanda le imprese con
struttura rigida potrebbero spingere il livello del prezzo fino al livello di costo, rinunciando al
guadagno.
Quindi:
 Struttura rigida: maggiore competizione sul prezzo.
 Struttura flessibile: poca competizione sul prezzo.
Un altro fattore determinante del livello di concorrenza è la differenziazione del prodotto.
Se i prodotti delle imprese appaiono sostanzialmente omogenei, il cliente tenderà ad’acquistare il
prodotto a prezzo più basso, ne consegue che in tali situazioni le imprese tenderanno a giocare sui
prezzi dei prodotto. Se invece i prodotti offerti sono molto differenziati, il cliente tenderà
ad’acquistare quello che soddisfa al meglio il suo bisogno e valuterà quindi altre caratteristiche
oltre al prezzo (immagine, la marca). Le imprese che riescono a differenziare il prodotto hanno più
possibilità di attirare l’attenzione di nuovi clienti.
Quindi:
 Omogeneità dei prodotti: elevata competizione sul prezzo.
 Differenziazione dei prodotti: bassa competizione sul prezzo.
L’intensità della concorrenza dipende anche dalla dimensione della domanda rispetto alla
dimensione dell’offerta, ovvero dipende dal verificarsi o meno di una situazione di eccedenza
dell’offerta rispetto alla domanda.
Se l’impresa offre più di quanto il mercato è capace di assorbire, si ritroverà con una quantità di
prodotti in eccesso, che dovrà vendere a prezzo inferiore per attirare l’attenzione del consumatore.
Per le imprese dotate di struttura rigida e quindi elevati costi fissi, non sarebbe conveniente
ridurre la quantità prodotta, in quanto ciò porterebbe a un aumento dei costi medi unitari, l’unica
soluzione è ridurre il prezzo di vendita del prodotto in eccesso.
Maggiore è la rigidità della struttura dell’impresa, maggiore è la competizione sul prezzo.
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La politica di prezzo potrebbe avere effetti negativi sulla redditività dell’impresa se esistono
barriere all’uscita, ovvero ostacoli di natura economica o sociale (costi) che l’impresa deve
sostenere quando intende uscire dal mercato. Le barriere all’uscita sono numerose se:
 L’impresa utilizza impianti altamente specializzati che non possono essere utilizzati per la
produzione di altri prodotti.
 Sono alti i costi d’uscita, ovvero quelli relativi all’interruzione di contratti di lavoro o alla
ricostruzione dell’attività.
 All’interno dell’impresa sono presenti due o più business e uno di essi è funzionale agli altri,
ne consegue che l’interruzione di quel business potrebbe compromettere la competitività
dell’impresa.
 Esistono barriere istituzionali.
Porter parla anche di barriere emotive:
 L’impresa non vuole abbandonare il business per ragioni storiche relative alla fondazione
dell’impresa o alla tradizione, o per lealtà verso i dipendenti o per orgoglio.
Ultimo elemento a influenzare la competizione è il tasso di crescita della domanda:
 Tasso di crescita bassa: elevata concorrenza basata sul prezzo (fase maturità prodotto).
 Tasso di crescita alta: bassa concorrenza (prime fasi ciclo di vita).
B: Potere dei fornitori.
Ogni impresa per lo svolgimento della propria attività ha bisogno di acquisire input, di crearsi
quindi un proprio mercato di approvvigionamento nel quale si relaziona con i diversi fornitori. Il
potere dei fornitori influenza i costi dell’impresa, esercitando quindi una concorrenza verticale.
Se i fornitori offrono input presenti in grande quantità nel mercato e facilmente reperibili, il loro
potere contrattuale è basso, al contrario se offrono prodotti difficilmente reperibili (e quindi
l’impresa è praticamente obbligata ad’acquistarli da loro), il potere contrattuale è alto.
C: Potere dei clienti.
Il potere contrattuale dei clienti influenza l’ambiente competitivo dell’impresa, in quanto essi
costituiscono il mercato di sbocco del prodotto. Essi influenzano quindi la redditività di lungo
periodo dell’impresa e l’attrattività del settore in cui essa opera; l’intensità della pressione
competitiva esercitata dai clienti dipende dal loro potere economico, dal tipo di bene oggetto di
scambio e dal livello di concorrenza orizzontale.
Maggiore è il potere contrattuale dei clienti, maggiore è la loro capacità di ottenere condizioni
negoziali favorevoli quali riduzione dei prezzi, dilazioni di pagamento, riduzione dei lotti minimi di
ordine, consegne più frequenti (tutto questo comporta un aumento dei costi per l’impresa). Il
potere contrattuale dipende da due fattori:
 La sensibilità al prezzo: se i prodotti offerti dalle diverse imprese sono simili, il prezzo gioca
un ruolo fondamentale nella decisione del cliente, se invece i prodotti sono altamente
differenziati non è il prezzo a spingere il cliente all’acquisto di un prodotto offerto da un
impresa piuttosto che quello offerto da un'altra.
 Potere contrattuale relativo: è determinato dalla capacità di una parte di rifiutare la
conclusione di una transazione con l’altra parte.
Il potere contrattuale dipende da una serie di altri fattori:
 Struttura della domanda: maggiore è la concentrazione dei clienti, maggiore è il loro potere
contrattuale; inoltre al verificarsi della situazione di offerta superiore alla domanda, il
potere contrattuale dei clienti è maggiore.
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


Informazioni in possesso dei clienti: maggiori sono le informazioni detenute dai clienti, più
questi confronteranno le condizioni offerte dai diversi fornitori e saranno in grado di
negoziare le condizioni migliori.
Capacità di integrazione verticale: maggiore è la capacità del cliente di entrare nel mercato
in cui opera l’impresa, maggiore sarà il suo potere contrattuale.
Presenza di prodotti sostitutivi: se nel mercato esistono numerosi prodotti sostitutivi, il
potere contrattuale del cliente aumenta.
D: concorrenza potenziale.
La concorrenza potenziale riguarda gli eventuali nuovi concorrenti che, attratti dalla redditività del
settore, tentano di entrare nel settore stesso alternandone gli equilibri. Per evitare questo rischio,
le imprese già operanti devono ridurre l’attrattività del settore aumentando le barriere all’entrata,
ovvero differenziali di costo a carico delle nuove imprese che hanno intenzione di entrare in quel
settore (le quali devono sostenere costi aggiuntivi rispetto alle imprese già operanti).
Le barriere all’entrata possono essere di natura:
 Istituzionale: norme, regole che limitano l’attività dei potenziali concorrenti (norme
protezionistiche, concessioni amministrative, brevetti, copyright).
 Strutturale: derivano dalle scelte attuate dalle imprese già operanti nel settore.
 Strategiche: derivano dal comportamento che le imprese già operanti adottano nei
confronti dei potenziali concorrenti. Ne sono un esempio le ritorsioni, ovvero
abbassamento dei prezzi di vendita, aumento degli investimenti promozionali, azioni legali.
Per evitare le ritorsioni i concorrenti potenziali possono decidere di rivolgere i loro prodotti
a una fetta di mercato considerata poco attrattiva dalle imprese già operanti.
Le principali barriere strutturali riguardano:
 Fabbisogno di capitale: se l’entrata nel settore richiede elevato fabbisogno finanziario,
questo costituisce un disincentivo per i potenziali concorrenti (o meglio lo costituisce per le
piccole e medie imprese potenziali, che hanno risorse limitate mentre le grandi imprese
giustificano l’investimento con buone prospettive di medio lungo periodo).
 Economie di scala: se le imprese già operanti producono beni in grande quantità in modo
da sfruttare le economie di scala, riducendo il costo medio unitario e di conseguenza il
prezzo di vendita, i concorrenti potenziali sono obbligati a produrre sulla stessa scala
(uguale quantità). Non è detto però che essi ci riescano, potranno quindi entrare in una
scala inferiore decidendo di non competere sul prezzo ma su altre caratteristiche del
prodotto offerto.
 Differenziazione: la capacità delle imprese del settore di offrire una vasta gamma di
prodotti e di differenziarli rispetto a quelli degli altri concorrenti attirando l’attenzione dei
clienti, costringe i concorrenti potenziali a effettuare grandi investimenti in pubblicità per
affermare il loro prodotto sul mercato.
 Difficile accesso ai canali distributivi: la scarsa propensione dei dettaglianti al rischio spinge
le nuove imprese a vendere il proprio prodotto a prezzi inferiori e a concedere ai
dettaglianti margini più elevati, compromettendo però il loro profitto.
 Vantaggi di costo per le imprese già operanti: sono vantaggi derivanti dall’accesso
privilegiato a materie prime scarse acquistate a prezzi più bassi di quelli attuali, dall’aver
sfruttato sovvenzioni pubbliche ora non più disponibili, dall’esperienza maturata nel tempo
che permette all’impresa di ridurre i suoi costi.
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
Diversificazione dell’offerta: se le imprese diversificano i loro prodotti offrendone un ampia
gamma, difficilmente i concorrenti potenziali riusciranno a offrire gli stessi prodotti a
condizioni più favorevoli.
E: Minaccia di prodotti sostitutivi (concorrenza indiretta).
La presenza di imprese fuori dal settore che offrono beni e servizi sostitutivi rispetto a quelli offerti
nel settore rende quest’ultimo meno attrattivo. I clienti infatti potrebbero essere propensi
all’acquisto di un prodotto sostitutivo per il soddisfacimento del loro bisogno qualora il prezzo di
questo fosse più basso; si può quindi dire che la presenza dei prodotti sostitutivi incrementa la
sensibilità al prezzo. Le imprese operanti nel settore possono ovviare a tale problema attraverso:
 Differenziazione del prodotto in modo da renderlo meno sostituibile.
 Rafforzamento dei legami con il cliente quindi forte politica di marca.
 Miglioramento del sistema distributivo.
 Miglioramento del rapporto qualità prezzo.
Raggruppamenti strategici.
Analizzare la concorrenza attraverso gli strumenti descritti (presupposto che le imprese abbiano le
stesse caratteristiche e le stesse modalità di competizione) è poco realistico, in quanto se le
imprese operassero allo stesso modo avrebbero gli stessi livelli di profitto.
La concorrenza può essere analizzata attraverso il modello del raggruppamento strategico,
definito come un insieme di imprese operanti nello stesso business che perseguono le stesse
strategie o strategie simili. Attraverso questo sistema possono essere identificati i principali
concorrenti dell’impresa e di monitorare le altre imprese che, pur appartenendo a un
raggruppamento strategico diverso, potrebbero influenzare gli scenari competitivi.
Le imprese appartenenti allo stesso raggruppamento strategico solitamente hanno simili assetti
strutturali, simili quote di mercato e reagiscono ai cambiamenti di mercato allo stesso modo.
Tra le variabili utilizzate per definire un raggruppamento strategico troviamo:
 Gamma di prodotti offerti.
 Estensione geografica dell’offerta.
 Livello di servizio offerto.
 Qualità del servizio offerto.
 Politica di prezzo.
 Grado di integrazione verticale.
 Tipologia di cliente fornito.
 Livello di diffusione della marca.
 Livello di innovazione tecnologica e tipologia di tecnologia utilizzata.
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Internazionale
B
A
Estensione
geografica
dell’offerta
C
D
Nazionale
Basso
Grado di
integrazione
verticale
Elevato
Graficamente possiamo rappresentare i raggruppamenti strategici attraverso una mappa: nello
spazio cartesiano i raggruppamenti strategici sono costituiti da figure geometriche e le dimensioni
indicano la fetta di mercato che occupano. Questa mappa permette alle imprese di individuare i
concorrenti con cui esse si confrontano, concentrando l’attenzione sui concorrenti dello stesso
raggruppamento. L’attenzione prestata alle imprese appartenenti agli altri raggruppamenti
strategici dipende dalle barriere alla mobilità, ovvero quei fattori che rendono difficile lo
spostamento di un impresa da un raggruppamento a un altro; se tali barriere sono alte,
difficilmente imprese appartenenti a un raggruppamento strategico potranno entrare a fare parte
di un altro raggruppamento, di conseguenza le imprese di un determinato raggruppamento
presteranno loro poca attenzione.
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Capitolo V
Risorse e competenze dell’impresa.
L’analisi dell’ambiente interno mira a comprendere il legame tra risorse e competenze
dell’impresa, le scelte strategiche e l’ottenimento di vantaggi competitivi sostenibili.
L’analisi della strategia d’impresa si è sempre focalizzata sull’ambiente esterno (studio del settore
e dell’ambiente competitivo), mentre l’analisi dell’ambiente interno si limitava ai problemi relativi
all’allocazione delle risorse e alla massimizzazione della performance delle funzioni aziendali in
termini di efficacia e efficienza; solo negli anni novanta si inizia ad’analizzare l’ambiente interno
come elemento fondamentale per la formulazione di una strategia.
Risorse e competenze a disposizione dell’impresa sono fondamentali per l’elaborazione delle
strategie aziendali, in un ambiente in cui l’aspra concorrenza spinge le imprese a specializzarsi
nelle attività per le quali possiedono competenze superiori a quelle dei concorrenti e che quindi
possono essere fonti di vantaggio competitivo.
Il successo dell’impresa dipende in grande misura dal possesso di risorse immateriali, ovvero le
conoscenze, che risultano difficilmente trasferibili in quanto incorporate negli individui e nelle
routine organizzative all’interno dell’impresa e dalla capacità del management strategico di
coordinarle con le altre risorse presenti nell’organizzazione. L’impresa si configura come un
insieme eterogeneo di risorse e competenze che sono alla base della creazione di un vantaggio
competitivo, nonché determinanti della redditività.
L’approccio alla strategia fondata sulle risorse (Resource Based View) consiste in una valutazione
competitiva dell’impresa basata su ciò che essa è in grado di fare prima che sui bisogni in grado di
soddisfare. La competitività dell’impresa è determinata dalle risorse interne (in grado di rendere
l’impresa unica) , in rapporto con l’ambiente esterno: l’ambiente esterno cambia continuamente,
l’impresa deve possedere risorse interne tali da sostenere una strategia di lungo periodo.
Ne consegue che le scelte strategiche sono determinate sia dalle opportunità che emergono
dall’ambiente esterno, sia dai punti di forza e debolezza dell’ambiente interno dell’impresa come
fonte di vantaggio competitivo sostenibile: l’impresa non deve solo porsi come obiettivo
l’abbattimento della concorrenza (che è sempre meno individuabile) e il posizionamento in un
determinato segmento (i cui confini cambiano), deve anche e soprattutto basarsi su elementi a
propria disposizione e difficilmente imitabili dalla concorrenza per la realizzazione di una strategia
valida nel lungo periodo.
Le risorse sono all’origine della profittabilità dell’impresa, ovvero della sua capacità di guadagnare
a un tasso superiore al costo del capitale, la quale dipende da due fattori:
1. attrattività del business in cui opera l’impresa.
2. perseguimento di un vantaggio competitivo sui concorrenti dello steso business (secondo
Porter: “il vantaggio competitivo nasce dal valore che un’azienda è in grado di creare per i
suoi acquirenti, che fornisca risultati superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo.
Il valore è quello che gli acquirenti sono disposti a pagare e può derivare dall’offrire
prodotti simili alla concorrenza a prezzi inferiori o prodotti unici a un prezzo superiore).
Le risorse sono gli asset specifici a disposizione dell’impresa, composti da tutto ciò che l’impresa
utilizza per creare, produrre e offrire i suoi prodotti e che si differenziano dai fattori produttivi
(terra, lavoro e capitale). Il termine risorse deriva dal latino resurgere e significa risorgere, indica la
loro capacità di auto alimentazione e dalla loro capacità di permettere all’impresa una continua
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rigenerazione (capacità dell’impresa di generare le proprie risorse a partire da quelle possedute).
Hofer e Shendler hanno identificato cinque tipi di risorse:
1. finanziarie.
2. fisiche.
3. umane.
4. organizzative.
5. tecnologiche.
Le risorse possono essere classificate in base alla loro tangibilità in:
1. risorse tangibili (fisiche e finanziarie), che sono supportate da un elemento fisico e che
possono essere quantificate e inserite nel patrimonio dell’impresa, nell’attivo di bilancio.
2. intangibili (tecnologiche, conoscitive e di reputazione), il cui valore dipende dalla
complementarietà con gli altri elementi del sistema aziendale. Anche se alcune sono
suscettibili a valutazione monetaria, sono tradotte solo in parte in termini patrimoniali e in
modo convenzionale (avviamento), altre non possono essere collocate nel patrimonio
(fiducia del consumatore, valori aziendali, motivazione personale).
Il valore delle risorse è determinato dai servizi che esse possono offrire; la stessa risorsa può
essere utilizzata in modi diversi e per scopi diversi e combinata con quantitativi diversi di altre
risorse per fornire un servizio diverso o una combinazione di servizi.
Le risorse immateriali.
A differenza delle altre, le risorse immateriali sono difficilmente imitabili (è per questo motivo che
giocano un ruolo determinante nel conseguimento di un vantaggio competitivo) e sono
caratterizzate da un elevata specificità, in quanto derivano dalla storia dell’impresa.
Sono risorse accumulabili, perché si sedimentano nel tempo attraverso processi realizzati
all’interno dell’impresa (per esempio i processi di esperienza) e si sviluppano grazie al loro utilizzo
mentre deperiscono se non utilizzate; se l’impresa investe somme ingenti in pubblicità per
rafforzare il marchio, le risorse immateriali si sviluppano perché la conoscenza del marchio
aumenta, al contrario, se l’impresa non investe in pubblicità, la marca con il tempo viene
dimenticata.
Esse possono costituire barriere all’entrata (forza del marchio, fedeltà della marca).
Ultima caratteristica è la loro imperfetta trasferibilità, in quanto esse generalmente non hanno un
mercato di scambio (ma anche se fossero trasferite sarebbero difficilmente sviluppabili).
Queste caratteristiche rendono difficile la loro imitazione o acquisizione.
Quando si parla di risorse intangibili solitamente si fa riferimento al concetto di capitale
intellettuale, ovvero quell’insieme di conoscenze, competenze, esperienze di tutti i soggetti della
proprietà intellettuale dell’impresa; esso si articola in:
 Capitale umano: insieme di conoscenze proprie delle persone che operano all’interno
dell’impresa. Non è quindi capitale dell’impresa ma delle persone operanti al suo interno e
può essere diffuso nell’organizzazione attraverso la collaborazione. Le risorse umane
presentano quindi una valenza fisica e una immateriale.
 Capitale dell’organizzazione: attività e procedure che permettono il funzionamento
dell’impresa. È l’insieme di interazioni e procedure e strumenti di comunicazione che
permettono la diffusione del sapere individuale trasformandolo in sapere
dell’organizzazione (database, software, sistemi informativi e asset intangibili protetti
come brevetti, diritti d’autore e marchi).
64
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
Capitale relazionale: insieme di rapporti tra impresa e gli altri soggetti interni e esterni. È
l’insieme delle relazioni intrattenute dall’impresa con altri soggetti (dipendenti, fornitori,
clienti), alla base delle quali sta la fiducia, una risorsa immateriale sempre più importante.
Tra le risorse immateriale meritano particolare attenzione la fiducia e la conoscenza; la conoscenza
è l’insieme degli schemi cognitivi a disposizione dell’impresa e ricopre la maggior parte del valore
aggiunto. Essa si articola in conoscenza superficiale e conoscenza e conoscenza profonda; la prima
deriva dalla routine organizzativa e rientra nel know how dell’impresa e permette di evitare
comportamenti destabilizzanti, la seconda è quella conoscenza che permette di trovare soluzioni a
problemi nuovi, sia seguendo i rimedi sperimentali sia elaborando nuovi rimedi.
La fiducia è l’insieme degli schemi cognitivi grazie ai quali soggetti interni e esterni danno una
rappresentazione dell’impresa quale entità stabile e definita nel tempo. Essa è alla base delle
relazioni che l’impresa intrattiene sia con i soggetti interni che esterni e permette di ampliarle.
Fiducia e conoscenza sono strettamente interdipendenti: il patrimonio cognitivo permette di
alimentare la fiducia e viceversa (ad’ esempio la fiducia del personale nei confronti dell’impresa
permette lo sviluppo di nuove conoscenze, la fiducia che i clienti ripongono nell’impresa dipende
dalle conoscenze di marketing dell’impresa stessa)
Il termine risorse riguarda lo stock presente all’interno dell’impresa che verrà poi impiegato nei
diversi processi per la realizzazione dell’attività dell’impresa; il termine competenze riguarda
invece l’abilità dell’impresa di organizzare le diverse risorse in maniera efficace e efficiente. Se tali
competenze permettono all’impresa di raggiungere un vantaggio competitivo sostenibile rispetto
a quello delle altre imprese esse vengono definite core competence.
Per individuare le competenze si possono seguire due criteri:
 Criterio funzionale: si individuano le diverse funzioni all’interno dell’impresa e si verificano
le competenze presenti all’interno delle singole funzioni (per esempio sono competenze
dell’area marketing la gestione del marchio, la valutazione delle tendenze di mercato
mentre è competenza della funzione produzione il miglioramento dei processi produttivi).
Questo criterio presenta però dei limiti; tutte le diverse funzioni sono tra loro
interdipendenti e analizzare le singole competenze di ogni funzione in modo separato non
fornisce un quadro del tutto corretto (ad esempio le competenze della funzione
produzione quali velocità di realizzazione del prodotto e qualità del prodotto sono
influenzate dalle competenze della funzione R&S e Marketing).
 Criterio basato sulla catena del valore: identifica le competenze attraverso l’analisi delle
attività della catena del valore e definisce quali di esse sono competenze distintive (quelle
che permettono di coordinare le diverse attività in modo da creare maggiore valore finale
per il cliente). Ad’esempio, un impresa può avere un attività di produzione molto efficace e
efficiente e quindi produrre grandi quantitativi a bassi costi, ma non è detto che abbia al
leadership nel mercato; il prodotto deve essere reso noto ai clienti attraverso una buona
attività di marketing che induca il cliente all’acquisto, deve inoltre essere stabilito il giusto
mercato di sbocco (anch’esso analizzato dalla funzione marketing).
Hamel e Prahalad definiscono le core competence come quelle competenze che:

contribuiscono in maniera determinante alla creazione di vantaggio competitivo.

Sono difficilmente imitabili.

Costituiscono la base per l’ingresso in nuovi business.
Le core competence si distinguono in competenze tecnologiche, competenze di mercato,
competenze organizzative, competenze finanziarie e competenze di general management, le
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ultime due sono collegate a tutti i processi di sviluppo o riduzione del patrimonio dell’impresa. La
capacità di un impresa di conseguire vantaggi competitivi dipende dalle performance e dalle
competenze del general management, ovvero coloro che organizzano l’attività dei manager delle
singole funzioni.
L’importanza delle risorse interne però non deve prevaricare sull’importanza delle risorse esterne.
Proprietà delle core competence:
 Durevoli: devono offrire opportunità che durano nel tempo e non legate solo a una
situazione che si verifica sul mercato.
 Non trasferibili: non possono essere semplicemente acquistate da altre imprese; le meno
trasferibili sono quelle firm-specific, ovvero quelle radicate all’interno dell’impresa e che
derivano dalla collaborazione tra individui diversi. Quanto più derivano dalla collaborazione
tra individui diversi tanto più sono meno trasferibili. Ne è un esempio la capacità di
innovazione di un team molto affiatato; questa capacità dipende dalle competenze delle
persone che compongono il team. Un'altra impresa potrebbe acquistare l’intero team, ma
senza la garanzia che questo renda al massimo, a causa del cambio di ambiente (adattarsi a
un nuovo ambiente e alla sua routin esercita pressioni sulla capacità di concentrazione
degli individui).
 Difficile replicabilità: difficoltà da parte dei concorrenti di imitare le competenze. Questa
difficoltà può derivare dal fatto che le competenze sono basate su routine organizzative, su
credi culturali forti o che derivano da investimenti di lungo periodo che molte imprese non
sono in grado di sostenere.
Partendo dallo schema di Porter della Catena del Valore è possibile individuare le competenze
delle diverse attività.
Competenze di general management
Competenze per lo sviluppo della tecnologia
Competenze per la valorizzazione delle risorse umane
Competenze per l’approvvigionamento
Competenz
e logistiche:
Magazzino
e input.
Scorte.
Vettori.
Competenz
e produttive.
Competenz
e logistiche:
Magazzino
e output.
Scorte.
Vettori.
Competenz
e
commerciali
.
Competenz
e
commerciali
Nello schema sono rappresentate le diverse attività all’interno di un impresa, ognuna delle quali
ha confini ben definiti; i confini dell’attività (entità fisicamente e tecnologicamente avanzata) non
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sempre corrispondono ai confini delle competenze, è il caso della logistica in entrata e logistica in
uscita che richiedono competenze simili e quindi possono essere affidate alla gestione di un unico
manager, altro esempio sono le competenze relative all’attività di marketing e quella di servizi
post vendita.
Lo schema viene quindi rivisto e le attività primarie si riducono a tre invece di cinque.
Le competenze distintive, nella maggior parte dei casi, riguardano le attività di supporto, dal
momento che alcune di esse (general management, sviluppo della tecnologia e risorse umane)
hanno la funzione di coordinare e supportare le attività mentre altre (approvvigionamento),
gestiscono relazioni con altre imprese.
L’attività di marketing e quella dei servizi post vendita si avvalgono di competenze commerciali, in
quanto mettono in relazione la catena del valore dell’impresa con quella del consumatore finale;
pur essendo attività distinte (il marketing si occupa di tutte le attività volte a spingere il
consumatore all’acquisto del prodotto mentre i servizi post vendita sono volti a mantenere e
migliorare il valore del prodotto anche dopo che questo è stato venduto) dal punto di vista fisico e
tecnologico, richiedono competenze simili al fine di rafforzare le relazioni con il cliente. Sono
inoltre attività aperte, perche non hanno confini definiti e limitati (consistono in un continuo
scambio di informazioni con i soggetti esterni).
Entrambe possono contribuire alla creazione di un vantaggio competitivo: l’attività di marketing lo
fa attraverso politiche di marca, campagne pubblicitarie, scelta dei canali di distribuzione, politiche
di prezzo, mentre i servizi post vendita contribuiscono per esempio attraverso la buona gestione
del mercato dei pezzi di ricambio.
Da queste attività possono scaturire anche vantaggi di costo, attraverso la creazione di economie
di scala; ne è un esempio una campagna pubblicitaria distribuita tra più prodotti.
Le competenze commerciali però non possono essere considerate core competence in quanto non
garantiscono sempre la sostenibilità del vantaggio competitivo nel temo (per esempio un impresa
investe in una campagna pubblicitaria per rafforzare la sua immagine ma non investe nell’attività
di produzione per garantire un livello quantitativo minimo di prodotto, a discapito dell’immagine).
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Capitolo VI
Strategie per il vantaggio competitivo.
Il vantaggio competitivo è il vantaggio differenziale che un impresa ottiene rispetto ai suoi
concorrenti, nonché il valore che l’impresa riesce a creare per i suoi stakeolder e si traduce in un
maggiore livello di redditività rispetto ai concorrenti o in un aumento della quota di mercato. Esso
dipende dall’ampiezza dell’ambiente concorrenziale in cui l’impresa opera e dalla strategia che
l’impresa adotta, ovvero dall’incremento di determinate competenze distintive sia per perseguire
obiettivi di differenziazione o di minimizzazione di costo.
L’impresa può perseguire un vantaggio competitivo attraverso la realizzazione delle attività della
catena del valore a un costo inferiore rispetto a quello della concorrenza o attraverso la
differenziazione dell’offerta, puntando quindi sulle caratteristiche distintive del prodotto.
È possibile quindi che un impresa offra un prodotto simile a quello offerto da altre imprese ma a
un prezzo inferiore, oppure che offra un prodotto diverso ma di qualità superiore per il quale i
consumatori sono disposti a pagare un prezzo superiore.
Nel perseguire il vantaggio competitivo l’impresa concentra le strategia su una fetta delimitata di
mercato, realizzando una strategia di focalizzazione.
Gli studiosi della Business Strategy ipotizzano che la redditività dell’impresa dipenda sia
dall’attrattività del settore, sia dalla posizione che essa occupa al suo interno e che quindi le scelte
strategiche dipendono da fattori esterni. Si ipotizza inoltre che l’ambiente esterno assuma una
posizione statica e che quindi resti stabile nel tempo, ma così non è. L’ambiente esterno muta
continuamente, mettendo le imprese a dura prova e rendendo più complicato sostenere le
posizioni raggiunte. È necessario capire quali elementi permettono di perseguire un vantaggio
competitivo attraverso lo sfruttamento delle opportunità offerte dall’ambiente esterni, ma anche
quali elementi permettono di mantenere un vantaggio duraturo nel tempo; è grazie alla struttura
interna che l’impresa riesce a mantenere posizioni di vantaggio.
Il conseguimento di un vantaggio competitivo dipende dalla formulazione di una strategia che
sviluppi le competenze distintive per affrontare e sopravvivere all’ambiente esterno.
Dalle risorse interne dipendono anche le scelte dell’impresa relative a vantaggi di costo o di
differenziazione; un impresa che ha a disposizione impianti che le permettono di ottenere grandi
economie di scala, tenderanno a propendere per un vantaggio di costo.
Nella formulazione delle strategie uno strumento utile è la Catena del Valore, che permette di
valutare quale delle diverse attività contribuisce maggiormente alla creazione di valore e quali
competenze distintive l’impresa possiede e non. Se un impresa non possiede competenze
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distintive per una determinata attività e non ha convenienza ad’acquisire, può decidere di
esternalizzare quell’attività.
Un impresa con competenze distintive nelle attività di marketing e servizi post vendita punterà su
strategie di differenziazione del prodotto, un impresa con competenze distintive nelle attività di
produzione tenderà a perseguire strategie di costo.
Attuare una strategia comporta relazioni con gli attori esterni e interni all’impresa e quindi
occasioni di apprendimento per l’impresa e accrescimento delle competenze.
Il successo della strategia d’impresa, secondo l’ipotesi tradizionale, dipende dalla coerenza tra
obiettivi strategici e organizzazione delle risorse e competenze a disposizione; se c’è incoerenza
c’è fallimento. L’ipotesi può essere vista:
 In ottica statica: come coerenza tra obiettivi strategici e risorse e competenze possedute
dall’impresa i un determinato momento.
 In ottica dinamica: le competenze distintive evolvono in linea con gli obiettivi prefissati.
Il problema sorge nel momento in cui l’impresa non possiede le risorse e le competenze
necessario per il perseguimento degli obiettivi e ciò può avvenire per una serie di ragioni:
 L’impresa non è in grado di acquisire le risorse necessarie per lo sviluppo delle competenze;
questo può verificarsi se l’impresa è localizzata in zone depresse dove la mancanza di
servizi di supporto compromette la redditività.
 L’impresa possiede le risorse necessarie, ma non è in grado di organizzarle al fine di
sviluppare competenze. È il caso delle imprese che al loro interno non riescono a
sviluppare sinergie tra i collaboratori.
 L’impresa è in grado di sviluppare competenze, ma non di indirizzarle verso il
perseguimento di obiettivi strategici. È il caso delle imprese che offrono prodotti innovativi,
ma non sono in grado di relazionarsi con il mercato esterno.
Leadership di costo (ottica resource based).
Quando si verifica coerenza tra le competenze distintive sviluppate e l’obiettivo di minimizzazione
dei costi, si parla di leadership di costo: l’impresa produce beni a costi sostenuti, più bassi rispetto
ai costi medi delle imprese concorrenti, sfruttando e organizzando al meglio le risorse e le
competenze a disposizione. L’impresa ha un vantaggio di costo quando opera in condizioni di
costo tali da:
 Applicare prezzi uguali a quelli della concorrenza, ma ottenendo una redditività superiore
alla media ASA.
 Applicare prezzi inferiori a quelli della concorrenza, ampliando la propria quota di mercato.
L’impresa che ha la capacità di produrre a costi inferiori potrà utilizzare il prezzo di vendita come
principale leva competitiva, riducendo il prezzo al di sotto di quello praticato dalle imprese
concorrenti.
Questa capacità dell’impresa le permette di utilizzare il prezzo come principale leva competitiva; il
vantaggio di costo è anche un utile strumento per combattere le cinque forze di mercato:
 Concorrenti diretti: l’impresa riesce a sopportare eventuali guerre di prezzo, potendo
vendere i propri beni a prezzi molto bassi (che per i concorrenti rappresentano il minimo
praticabile), ottenendo comunque un profitto.
 Clienti e fornitori: l’impresa riesce a battere il potere contrattuale dei clienti, che non
riescono ad’abbassare il prezzo del prodotto al di sotto del livello fissato dal leader di costo
e riesce ad’abbattere il potere dei fornitori fronteggiando eventuali rialzi dei prezzi di
approvvigionamento.
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
Concorrenti potenziali: i bassi prezzi dei prodotti offerti dall’impresa leader scoraggiano
l’ingresso di nuovi concorrenti che non sarebbero in grado di vendere il prodotto a prezzo
così contenuto.
Le variabili che influenzano il contenimento dei costi sono numerosissime e l’influenza che
esercitano sulle opportunità di riduzione dei costi dipendono dalle caratteristiche dell’impresa e
dall’ambito competitivo:
 Capacità dell’impresa di creare economie di scala: dipende dalle dimensioni dell’impresa.
 Economie di scopo: se l’impresa nell’ampliare la propria attività riesce a condividere alcuni
costi generali con le nuove aree di business, riesce automaticamente anche a ridurre i costi
(anche l’utilizzo della marca ombrello per diverse tipologie di prodotti).
In questi casi la sostenibilità del vantaggio di costo dipende dalla capacità dell’impresa di
controllare in modo esclusivo il costo delle attività che maggiormente incidono sul costo
complessivo del prodotto.
 Caratteristiche della tecnologia produttiva e modalità di progettazione del prodotto:
influenza notevolmente il livello dei costi. Ci sono settori sensibili all’innovazione
tecnologia, quale il settore automobilistico, altri invece meno sensibili, quali il settore della
torrefazione (un settore è sensibile alla tecnologia quando un innovazione tecnologica può
notevolmente ridurre i suoi costi). La progettazione del prodotto si riferisce alla
complessità della fase di assemblaggio, al livello di standardizzazione dei componenti
(ad’esempio Volkswagen condivide i componenti e i motori con i quattro membri del
gruppo)
 Localizzazione produttiva: localizzare la produzione in zone dove il costo della manodopera
è molto basso, dove i fattori sono maggiormente disponibili o nelle zone più vicine ai
mercati di sbocco (si riduce la lunghezza della distribuzione), permette di conseguire un
vantaggio di costo.
 Potere contrattuale dell’impresa nei mercati a monte e a valle: l’impresa in grado di
contrattare con i fornitori riuscirà ad’acquistare input a prezzi inferiore, l’impresa in grado
di contrattare con i mercati di sbocco riuscirà invece a ridurre i costi del canale distributivo.
A parità di valore offerto, le imprese che producono a costo inferiore possono praticare prezzi
inferiori rispetto alla concorrenza, guadagnando quote di mercato. Potrebbe scaturire un circolo
virtuoso in quanto un ampliamento della quota di mercato significa incremento della domanda e
di conseguenza del livello di produzione, quindi riduzione del costo medio. L’impresa
accrescerebbe inoltre il proprio potere di mercato e di conseguenza il proprio potere contrattuale
nei confronti di clienti e fornitori.
In un ottica resource based la realizzazione di un vantaggio di costo può derivare dal migliore
utilizzo delle risorse e delle attività generatrici di valore. Ottenere un vantaggio di costo dipende
dalla capacità dell’impresa di sviluppare competenze distintive per individuare occasioni di
riduzione di costo in tutte le attività della catena del valore; l’impresa oltre alle competenze
specifiche deve sviluppare competenze trasversali atte a organizzare al meglio tutte le attività (un
impresa con competenze produttive tali da permetterle di realizzare economie di scala non è detto
che riesca a porsi come leader di costo, è necessario che sia in grado di controllare le determinanti
di costo delle diverse attività e che sfrutti i collegamenti tra esse).
Inoltre la minimizzazione dei costi non deve escludere qualunque elemento di differenziazione: se
il prodotto o servizio non venisse percepito dai consumatori come paragonabile o equivalente a
quello offerto dalle imprese concorrenti, l’impresa dovrebbe ridurre ulteriormente il prezzo
annullando il vantaggio di costo.
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La strategia di leadership di costo è maggiormente utilizzata dalle imprese che operano in contesti
competitivi caratterizzati da basso livello di differenziazione (beni commodity), quelli che hanno
caratterizzato gli anni 50-60 quando la domanda era superiore all’offerta le imprese
concentravano la loro attenzione sull’adeguamento della capacità produttiva alla domanda senza
tenere conto delle differenze nei bisogni dei consumatori. Negli attuali contesti competitivi,
caratterizzati da varietà e variabilità (dovuta all’evoluzione dei gusti, esigenze e bisogni del
consumatore) la leadership di costo è utile ma non sufficiente per il perseguimento di un
vantaggio competitivo sostenibile.
Differenziazione (ottica competence based).
In un ottica competence based l’impresa persegue una strategia di differenziazione quando
realizza uno sviluppo di competenze coerente con l’obiettivo di differenziazione.
L’impresa attua strategie di differenziazione quando offre ai consumatori finali un prodotto con
caratteristiche superiori rispetto ai prodotti offerti dai concorrenti e per il quale il cliente è
disposto a pagare un prezzo superiore se ritiene che quel prodotto soddisfi al meglio il suo bisogno.
La differenziazione produce risultati se il vantaggio di prezzo realizzato è superiore al costo
addizionale sostenuto per rendere unico quel prodotto. Esiste un divario tra valore reale della
differenziazione e valore percepito dal consumatore, il quale dipende dall’efficacia dei segnali di
valore posti in essere all’impresa (pubblicità, notorietà dell’impresa, immagine del prodotto;
l’obiettivo è quello di fare percepire il prodotto come unico, l’analisi del differenziale di valore
deve essere condotta nella prospettiva dell’acquirente e presuppone quindi un’accurata analisi e
interpretazione dei bisogni espressi del mercato.
Se il prodotto viene percepito come superiore rispetto a quelli offerti dalla concorrenza, l’impresa
potrà applicare un prezzo superiore alla media, dovuto all’incremento di costo per la realizzazione
del differenziale.
Il costo della differenziazione dipende dai vettori di costo che influenzano l’attività di
differenziazione mentre il valore della differenziazione dipende dalla percezione che i consumatori
hanno delle caratteristiche distintive (se il prodotto permette di ridurre i costi del consumatore o
se ha migliori performance nell’utilizzo).
Il valore del bene percepito dal mercato dipende dalle caratteristiche tangibili e intangibili
distintive che l’impresa applica a un determinato prodotto; tra le caratteristiche tangibili rientrano
la tecnologia utilizzata (maggiore accuratezza nella realizzazione del prodotto), qualità dei
materiali, design del prodotto mentre tra le caratteristiche intangibili rientrano la marca,
l’efficienza dei servizi post vendita.
Non tutti i beni e servizi possono essere oggetto della stessa differenziazione, che viene attuata
aggiungendo caratteristiche tangibili e intangibili a beni e servizi; la differenziazione può quindi
basarsi su componenti tangibili del prodotto, quali la tecnologia (accuratezza nella realizzazione
del prodotto), efficienza (servizi tangibili aggiuntivi quali consegna, credito), qualità intrinseca dei
materiali utilizzati, design. Negli attuali contesti competitivi si sta assistendo a una de
materializzazione dell’offerta, motivata da un’efficacia decrescente della differenziazione. Nel
settore dei servizi invece la tendenza è opposta, i servizi sono caratterizzati dall’intangibilità.
Prodotti e servizi molto simili possono essere percepiti in modo differente dai consumatori, per
una serie di elementi:
1. immagine della marca, che rende il prodotto unico e permette di soddisfare alcuni bisogni
sociali o risponde a valori dell’acquirente.
2. reputazione dell’impresa, ovvero la capacità di mantenere le promesse di valore proposte.
3. ambiente in cui avviene la transazione: per i servizi è l’ambiente in cui il servizio è erogato
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Se l’impresa acquisisce competenze distintive coerenti sia con obiettivi di costo che con obiettivi di
differenziazione, si configura la strategia ibrida. La teoria di Porter non ammette però tale
situazione, essa ipotizza che le imprese debbano sviluppare solo una delle tre strategie (di costo, di
differenziazione e di focalizzazione; quest’ultima ha come obiettivo una delle prime due).
Porter definisce le imprese che cercano di seguire tutte le strategie senza riuscire a realizzarne
alcuna come “bloccate a metà del guado”. Perseguire tutti e due gli obiettivi conduce
all’insuccesso. La possibilità di ottenere vantaggi seguendo contemporaneamente leadership di
costo e di differenziazione può concretizzarsi solo se si verificano le seguenti situazioni:
 La concorrenza è bloccata a metà del guado: nessun impresa è abbastanza forte da
spingere le altre a scegliere una strategia.
 I costi sono condizionati dalla quota di mercato: attraverso la differenziazione del prodotto
l’impresa acquista quote di mercato riducendo i costi.
 l‘impresa introduce un innovazione tecnologica: essa si pone come detentrice di
innovazione e riesce a combinare obiettivi di costo con obiettivi di differenziazione. Presto
però le altre imprese imiteranno la tecnologia e l’impresa innovatrice dovrà comunque
scegliere tra una delle strategie.
Second Grant, anche se le due strategie richiedono competenze diverse, sono convergenti; se un
impresa opta per la differenziazione, concentrando la sua attenzione sulle qualità del prodotto
offerto, non deve del tutto trascurare il contenimento dei costi, viceversa se l’impresa opta per
una strategia di costo deve comunque mantenere livelli minimi di servizio offerto. La coesistenza
tra le due strategie è necessaria nell’attuale contesto competitivo (caso IKEA).
Strategie di sviluppo nell’ottica delle competenze distintive.
L’impresa può puntare al perseguimento di tre strategie:
 sviluppo dimensionale dell’impresa: entrata in nuovi mercati.
 Risanamento: attuata in caso di crisi o quando l’impresa realizza che la competizione in un
determinato settore risulta difficile per mancanza delle competenze o perché poco
remunerativa.
 Rafforzamento o assestamento della propria posizione rispetto a concorrenti attuali e
potenziali.
Lo sviluppo dimensionale può essere in senso stretto, quando l’impresa amplia la propria struttura
tecnica o patrimoniale e in termini di mercato, quando cerca di entrare in mercati nuovi o di
acquistare nuove quote di mercato. Lo sviluppo può avvenire in senso verticale, quando si
internalizzano fasi della filiera a monte o a valle rispetto a quelle svolte all’interno dell’impresa (si
acquisiscono imprese che svolgono attività funzionali rispetto a quelle svolte dall’impresa
acquisitrice, o in senso orizzontale, quando si acquisiscono imprese concorrenti che operano nelle
stesse fasi della filiera.
Le continue variazioni dell’ambente esterno spingono il management di fronte a decisioni
strategiche (ampliare la produzione di un prodotto, interrompere la produzione di un altro
prodotto), analizzandole sia dal punto di vista oggettivo, che dal punto di vista soggettivo della
singola impresa (in termini di risorse e competenze disponibili).
Teorie sulle strategie di sviluppo dell’impresa:
 Penrose: considera l’impresa come un insieme di risorse produttive, umane e fisiche che
diversamente combinate danno luogo a una serie di servizi da impiegare nel processo di
produzione. La massimizzazione nell’utilizzo dei servizi dipende dalle conoscenze che i
soggetti interni riescono a sviluppare riguardo alle risorse. Se ci sono risorse non
72
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
pienamente utilizzate, questa è la premessa per l’espansione dell’impresa sia in senso
stretto che in termini di mercato.
Ansoff: fornisce una classificazione delle strategie sulla base di due dimensioni, il prodotto
e la missione.
Missioni
attuali
Prodotti
attuali
nuovi
Penetrazione del mercato
Sviluppo del prodotto
nuove
Sviluppo del mercato
Diversificazione
 Penetrazione del mercato: l’impresa produce gli stessi prodotto con uguali missioni ma
amplia le quote di mercato.
 Sviluppo del prodotto :nuovi prodotti ma stesso mercato.
 Sviluppo del mercato: l’impresa produce gli stessi prodotti ma ne amplia le missioni,
cercando quindi di colpire nuovi clienti.
 Diversificazione: nuovi prodotti e nuove missioni.
Secondo la Penrose la diversificazione è una strategia di espansione che spinge l’impresa a
produrre nuovi prodotti, senza abbandonare i precedenti e può prevedere o meno
l’allontanamento dalle aree specializzate (se c’è allontanamento saranno necessarie nuove risorse
e nuove competenze).
Ansoff individua invece le diverse strategie di diversificazione in base della tipologia delle nuove
missioni e della tecnologia dei nuovi prodotti:
Nuove missioni
Clienti:
Nuovi prodotti
Tecnologia correlata
Tecnologia non correlata
Dello stesso tipo
Diversificazione orizzontale
Impresa cliente di se stessa
Integrazione verticale
Di tipo analogo
Diversificazione concentrica
Di tipo nuovo.
Diversificazione concentrica
Diversificazione conglomerale
Questa distinzione presenta però zone poco chiare, ad’esempio la differenza tra clienti dello
stesso tipo e clienti analoghi.
Un concetto utilizzato per superare questi problemi interpretativi è quello di Strategic Business
Unit (SBU): unità operativa o centro di pianificazione adibito alla gestione di una serie ben definita
di prodotti e servizi venduti a un gruppo definito di clienti in competizione con un gruppo di
concorrenti ben definito. Esse hanno il compito di promuovere lo sviluppo di una o più ASA.
Una modifica alle strategie di impresa non implica solo una modifica dell’ambiente competitivo,
ma anche una modifica dell’ambiente interno dell’impresa dovuta allo sviluppo delle competenze
necessarie a gestire il nuovo business. L’impresa che intende entrare in business diversi per
tecnologia o processi produttivi deve essere in grado di sviluppare le competenze necessarie; lo
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sviluppo di tale competenze può avvenire in maniere discontinua se le competenze sviluppate
sono significativamente diverse o tendenziale se sono simili.
Le competenze sviluppate possono cumularsi alle precedenti (e quindi aggiungersi) o possono
sostituirsi; lo sviluppo può essere considerato come processo di diversificazione quando
nell’impresa si realizza un incremento discontinuo e a somma positiva dei core factor, ovvero
quando nuove e diverse competenze distintive si aggiungono e non sostituiscono alle precedenti.
È la situazione che si verifica sia quando l’impresa amplia la produzione con prodotti che
richiedono una diversa tecnologia di processo (e possono cambiare anche i mercati di sbocco e i
concorrenti), sia quando l’impresa entra in un mercato nuovo dal punto di vista del gioco della
concorrenza.
Le competenze distintive sviluppate possono essere sinergiche a alle competenze distintive
immateriali già presenti all’interno dell’impresa e in questo caso si parla di diversificazione
concentrica, al contrario possono essere disconnesse da quelle già presenti e allora si parla di
diversificazione conglomerata.
Se lo sviluppo delle competitive è accompagnato da una variazione a somma zero o negativa,
l’impresa sta attuando una strategia di riconversione che prevede un riposizionamento strategico
dell’impresa; è la strategia adottata in seguito a crisi settoriali o dettata dall’impossibilità di
competere in alcuni mercati.
Se lo sviluppo delle competenze è tendenziale e a somma positiva l’impresa sta perseguendo una
strategia di espansione.
Se lo sviluppo delle competenze è tendenziale e la variazione del patrimonio cumulato è somma
zero o negativa, l’impresa sta perseguendo una strategia di ricentraggio, volta all’eliminazione
delle attività di business poco attrattive e per le quali non si possiedono le competenze distintive
necessarie.
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