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TAIS00600G - Montale non chiederci la parola

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TAIS00600G - Montale non chiederci la parola
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Tratto dalla raccolta “Ossi di Seppia”)
Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896 da un famiglia di ceto medio. Consegue con risultati brillanti
il diploma di ragioniere e lavora per qualche anno come impiegato, dedicandosi contemporaneamente
alle sue due grandi passioni: la musica lirica e la poesia. Dopo aver preso parte alla prima guerra
mondiale collabora con alcune riviste letterarie e nel 1925 pubblica la sua prima raccolta di poesie “Ossi
di Seppia ”. A Firenze collabora con la rivista “Solaria” ed in seguito viene assunto come direttore del
Gabinetto Viesseux, noto centro di cultura fiorentina, dal quale sarà allontanato perché non iscritto al
partito fascista. In questo periodo matura la sua seconda raccolta di poesie “Le Occasioni” pubblicata nel
1939. Nel 1948 si trasferisce a Milano, dove comincia una collaborazione professionale con il “Corriere
della Sera” in qualità di critico letterario e musicale. Nel 1956 pubblica la sua terza raccolta, “La Bufera e
altro”, e le prose creative riunite sotto il titolo La “Farfalla di Dinard ”. Nel 1962 sposa Drusilla Danzi alla
quale era legato da tempo e che morirà un anno dopo, lasciando un profondo vuoto nell’esistenza del
poeta. Nominato senatore a vita per meriti letterari, nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura.
Trascorre gli ultimi anni a Milano, nel 1971 pubblica la raccolta “Satura” a cui seguiranno “Quaderno
del ‘71 e del ’72”(1974), “Quaderno dei quattro anni”(1977) e “Altri versi”(1980).Muore a Milano nel
1981, all’età di ottantacinque anni.
Ossi di Seppia, la prima raccolta, che Montale rimaneggerà e ripubblicherà nel 1928 e poi nel 1931, è
per certi aspetti la più emblematica della poetica di Montale. Presenta tutti i temi e i modi espressivi che
caratterizzano la visione del mondo del’autore, un pessimismo che prende corpo attraverso la
rappresentazione di oggetti e paesaggi. Gi ambienti che fanno da sfondo alla raccolta sono quelli tipici
del paesaggio ligure, caratterizzato dall’asprezza delle coste, dai colori forti, dalla luce violenta del sole di
mezzogiorno e dal vento che scaglia le onde contro gli scogli; questo scenario è il correlativo oggettivo
della situazione di aridità e di disarmonia interiore che il poeta vuole esprimere nei suoi versi. Cosicché
Il paesaggio delle liriche di questa raccolta non è certo accogliente e lussureggiante, ma scabro,
essenziale e riarso. Il poeta osserva la realtà come se fosse uno spettatore estraneo, e questo distacco
emotivo gli permette di conquistare un punto di osservazione neutrale e di cogliere aspetti della realtà
altrimenti invisibili.
La poesia di Montale mette in atto quello che il poeta britannico T. S. Eliot aveva chiamato “correlativo
oggettivo”, definendo in questo modo il procedimento che consiste nel rappresentare la condizione e i
sentimenti dell’uomo riferendosi a realtà oggettive (cose, fatti, situazioni). Montale indica nel testo degli
oggetti che sono la materializzazione di uno stato d’animo, stabilisce un’equivalenza completa tra
sentimento e oggetto.
Non chiederci di spiegare con precisione, sotto tutti gli aspetti il nostro animo privo di certezze e di dichiararne
l’identità con parole chiare e indelebili, che risplendano come un croco in un campo grigio e polveroso. Ah l’uomo
che vive sicuro e si sente in armonia con se stesso e con gli altri, e non ha paura della sua ombra proiettata dal sole
ardente su un muro sgretolato. Non domandarci la formula magica o scientifica che possa darti una piena
conoscenza della realtà e certezze sulle quali basare la tua esistenza, ma solo qualche parola incerta e scarna come
un ramo secco, solo questo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.
Il tema e il messaggio:
Questa lirica risale al 1923 e rappresenta una decisa dichiarazione di poetica da parte dell’autore. È senza dubbio
una delle poesie più celebri ed è divenuta uno dei maggiori emblemi della concezione pessimistica montaliana.
L’autore instaura un dialogo con il lettore parlando a nome dei poeti, come si deduce dall’uso del plurale “Non
chiederci”, e negando la possibilità per essi di affermare verità assolute e definitive. Lo invita a non chiedergli
alcuna definizione precisa né su stesso né sull'uomo in genere, e nemmeno sul significato del mondo e della vita.
Egli infatti, a differenza dell'uomo "che se ne va sicuro" perché ignaro ed insieme incurante del senso della propria
esistenza, non ha alcuna "formula" risolutiva, ma solo dubbi e incertezze. Il poeta non si considera più un “vate”, ma
solo un uomo comune che, di fronte al vuoto dell’esistenza, può soltanto rappresentare, con poche scarne parole, la
precarietà della condizione umana e affermare solo ciò che non è e che non vuole.
L’itinerario poetico di Montale, dalla sua prima raccolta fino alle ultime opere, è incentrato sul tema
della negatività. La partecipazione viva e sofferta ai momenti tragici della nostra storia – le guerre
mondiali, il fascismo, le forti tensioni politiche degli anni Settanta – è certo all’origine del senso di
angoscia e di desolato pessimismo del poeta sulla condizione umana, di quel “male di vivere” che
trascende la contingenza storica e assume valore universale. In maniera programmatica Montale
sostiene di non voler essere e di non ritenersi un illuminato interprete dell’oscuro mistero della vita
umana, un “vate”, come altri avevano pomposamente voluto essere definiti. In altri termini la poesia di
Montale non propone certezze positive ma vive la condizione di ogni uomo della sua epoca che gli
consente di sapere solo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”.Questo realismo negativo non lo
conduce verso un pessimismo senza speranza, ma lo spinge a vivere consapevolmente la propria
esistenza. La vita di ciascuno può essere improvvisamente riscattata da particolari momenti che offrono
la possibilità di uscire dall’angoscia della quotidianità, rari e gratuiti “stati di grazia” nei quali ci si aspetta
di cogliere un segno che indichi la via d’uscita da un dolore apparentemente immutabile. La posizione di
Montale nei confronti della vita non è quindi rinunciataria e statica, rivela piuttosto un temperamento
attivo e consapevole, alla costante ricerca di un equilibrio fra il male di vivere e la speranza che, pur
condannata ad un’ inevitabile sconfitta, sempre risorge nell’uomo.
Sono strumenti linguistici che consentono al poeta di esaltare il potere espressivo delle parole;permettono di
estrarre dal linguaggio immagini inattese e significati sempre nuovi, dando modo al poeta di rappresentare il suo
mondo interiore in maniera sempre originale e inedita. Producono uno scarto rispetto all’uso quotidiano della
lingua:possono intervenire su tutte le caratteristiche delle parole, sul significato, la posizione o il suono,
modificandole e attribuendo loro una valenza diversa da quelle che possiedono abitualmente. In base all’ambito in
cui agiscono, le figure retoriche si dividono in tre gruppi:
- Figure di suono: procedimenti tecnici di cui un poeta si serve per sfruttare i suoni delle parole a scopo espressivo.
Allitterazione, Assonanza, Consonanza, Onomatopea, Paronomasia.
- Figure di ordine: riguardano la disposizione delle parole nel testo poetico e
tutto ciò che riguarda la
costruzione della frase. Anafora, Anastrofe, Asindeto, Polisindeto, Chiasmo, Climax, Ellissi, Enumerazione,
Iperbato.
- Figure di significato: agiscono sul linguaggio modificando il senso letterale delle
parole per proporne uno
diverso maggiormente evocativo di ciò che si vuole esprimere. Metafora, Similitudine, Analogia, Metonimia,
Ossimoro, Personificazione, Sineddoche, Sinestesia.
Questa poesia si articola in tre quartine di versi liberi, in cui prevalgono gli endecasillabi. Le prime due
strofe hanno rime incrociate, l’ultima alternate. Ha una struttura simmetrica e circolare, in quanto
l’ultima strofa riprende i temi della prima e la seconda costituisce una pausa di riflessione che
approfondisce il significato dell’intero componimento.
Nella prima e nella terza strofa prevalgono i versi lunghi ed entrambe iniziano con il “non”;la seconda è
composta da versi più brevi ed è chiusa da un punto esclamativo che ne dilata il significato.
È importante rilavare l’uso frequente dell’ enjambement soprattutto nella prima strofa, che dà maggiore
coesione interna all’unico periodo da cui essa è composta. Troviamo l’iterazione della parola simbolo
non a cui è affidata l’espressione del messaggio complessivo del testo. Troviamo esempi di anastrofe
(“storta sillaba”, “scalcinato muro”, “polveroso prato”).Da notare infine la presenza dell’allitterazione
delle consonanti dure “r” e “t” nella prima e nella terza strofa, in cui altrettanto aspro è il messaggio del
contenuto.
Figura di posizione indicata con un termine francese che in italiano si traduce con “spezzatura” o
“inarcatura”. Si ha quando alla fine del verso la costruzione sintattica della frase non è compiuta e perciò
prosegue in quello successivo. in altri termini, il significato del verso prosegue e si completa in quello
successivo
Possono essere separati l’aggettivo dal suo sostantivo, il soggetto dal predicato o il predicato dal
complemento.
L’enjambement produce in tal modo effetti ritmici particolari, il ritmo divent apiù ampio e dilatato.
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