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1. dicembre giornata mondiale di lotta all`Aids 34.2 2.5 25`716 567 827

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1. dicembre giornata mondiale di lotta all`Aids 34.2 2.5 25`716 567 827
Donne più a rischio
Le giovani tra i 15 e i 24
anni sono le più colpite
a livello mondiale
Sono circa 34,2 milioni le persone che
vivono con il virus Hiv nel mondo e, nonostante
il numero di nuovi contagi stia lentamente diminuendo, ogni anno sono circa 2,5 milioni i nuovi
contagi. Le donne sono le più colpite ( metà dei
nuovi casi) soprattutto nella fascia tra i 15 e i 24
anni. Nel 2011 si contavano ben 1,2 milioni di
contagi tra le più giovani. I dati mostrano come
le donne siano ancora in una situazione di maggior discriminazione e disparità di trattamento
che le rende vulnerabili e quindi più esposte al
rischio di contrarre l’Hiv.
Dal 2005 il numero di persone che
ogni anno muore a causa del virus è sceso da
2,3 milioni agli 1,7 del 2011. Il motivo principale della diminuzione è legato alla rapida diffusione dei farmaci antiretrovirali specialmente
nei paesi poveri. In alcune aree esiste però
una controtendenza. Per esempio, nonostante
il miglioramento generale della condizione
in Asia, si riscontra un aumento delle infezioni tra l’Europa orientale e l’Asia centrale (dal
2000 ad oggi i nuovi casi sono triplicati) principalmente in Thailandia, Federazione Russa,
Ucraina e Stati Baltici.
Altro miglioramento riguarda la diffusione del virus Hiv tra i bambini. Dal 2009 le
infezioni sarebbero scese del 24% con 330.000
contagi nel 2011 contro i 570.000 del 2003. Nel
2011 erano quasi 5 milioni i bambini affetti dal
virus Hiv, il 75% dei quali abitanti dell’Africa subsahariana.
Rimane comunque ancora troppo alto
il numero di persone nel mondo che non ha la
possibilità di curarsi. Nei paesi più poveri solo 8
milioni di persone affette dal virus ha accesso ai
medicamenti. Nel 2011 sono stati stanziati 16,8
miliardi di dollari contro l’Aids nelle nazioni povere. Tuttavia ci vorrebbero ancora 7 miliardi per
raddoppiare entro il 2015 il numero di persone
che potrà ricevere le terapie antiretrovirali per
sopravvivere. Il finanziamento dei medicamenti
è affidato principalmente a fondi nazionali e infatti esistono alcune realtà nelle quali il numero
delle infezioni aumenta drammaticamente senza la possibilità di cure. Un esempio emblematico è la Repubblica Democratica del Congo, nella
quale meno del 15% dei pazienti ha la possibilità
di accedere ai farmaci e solo l’11% delle strutture
sanitarie offre il trattamento; meno del 6% delle
madri sieropositive ha la possibilità di ricevere
farmaci antiretrovirali per prevenire la trasmissione del virus ai loro bambini.
La Conferenza Internazionale sull’Aids
di Washington ha riaffermato come i fattori
socio-economici influenzino la possibilità di ammalarsi e quindi quanto le condizioni di povertà
e precarietà siano responsabili della diffusione
dell’Aids nel mondo.
Vincenza Guarnaccia e Marco Coppola
Hiv per i giovani
sesso, protezione,
contagio, malattia.
Zonaprotetta
interpella i giovani
Abbiamo chiesto l’opinione sull’Hiv ad
una cinquantina tra ragazze e ragazzi incontrati
da Zonaprotetta. Sesso, malattia, protezione e
contagio sono le parole più ricorrenti che i giovani associano a questo tema. La metà è preoccupata per il rischio di un contagio, soprattutto
le ragazze, e in generale c’è la sensazione che sia
in aumento la diffusione del virus. Ritiene inoltre
che non venga utilizzato molto il preservativo
e si è ancora scarsamente informati. Chi dice di
non essere preoccupato lo fa perché dichiara
di proteggersi nei rapporti sessuali usando il
preservativo.
Abbiamo chiesto ai ragazzi come si
comporterebbero di fronte alla scoperta della
sieropositività del loro partner. La maggior parte
di loro accetterebbe la situazione scegliendo di
informarsi e di proteggersi nelle relazioni intime.
C’è chi, soprattutto tra le ragazze, rinuncerebbe
alla relazione.
Le paure diminuiscono tra i giovani e
con esse anche lo stigma rivolto alle persone
sieropositive, ma rimane ancora oggi fondamentale la prevenzione e il dialogo sulla sessualità
con le nuove generazioni.
Tatiana Gilardi e Marco Coppola
“L’ho scoperto a 61 anni”
Nel 2000 a 61 anni mi sono sottoposto ad un controllo ed
ho scoperto di essere sieropositivo. È il medico che me lo ha comunicato. Ho pianto e, rientrando a casa, mi è crollato il mondo addosso, però ho subito cercato di reagire e avevo paura di
morire. Ho deciso di combattere. Il medico mi ha consigliato di
confidarmi con qualcuno della mia famiglia, allora ho scelto di
dirlo a mia nipote, ha reagito bene dicendomi “ce ne sono tanti e
noi ti aiuteremo” ma voleva farmi fare testamento credendo che
sarei morto di lì a poco . . .
Nei mesi successivi ho potuto avere molte informazioni sia
dal medico che dai libri. Ciò mi ha permesso di capire il decorso della malattia e quindi di tranquillizzarmi. Dopo diverse
analisi ho dovuto iniziare subito le terapie antiretrovirali, ho
reagito bene e non ho avuto nessun effetto collaterale. In quel
periodo ho vissuto emozioni contrastanti: ne avevo fatte di tutti
i colori e pensavo che così dovevo pagare il conto. Utilizzavo le
precauzioni e non so come l’ho preso. Però mi sentivo tranquillo,
non ero arrabbiato e non vedevo le cose in negativo, in fondo
ero bene informato e sapevo che potevo tenere sotto controllo il
virus con i medicamenti.
Da quando ho scoperto di essere sieropositivo sono comunque riuscito ad avere delle relazioni affettive con altri
partner che ho sempre informato sulla mia situazione sierologica
osservando le regole del sesso sicuro. In queste relazioni non ho
mai ricevuto dei rifiuti a causa dell’Hiv, anzi alcuni mi chiedevano informazioni approfondite sulle vie di trasmissione. Posso
quindi affermare che come persona sieropositiva non ho avuto
difficoltà in più nelle relazioni affettive, non ho sensi di colpa e
non ho paura di contagiare altre persone perché usando le dovute precauzioni non vi sono rischi di contagio.
Oggi devo ricordarmi che sono sieropositivo, spesso me
ne dimentico e dò pieno affidamento alle persone che mi seguono, le indicazioni del medico mi tranquillizzano e rassicurano.
Naturalmente quale persona della terza età devo confrontarmi
con problemi di salute legati all’età e non all’Hiv. Con questo
cambiamento cambiano le cose, vedi la vita in modo relativo,
mi accontento di quello che offre e mi ritengo già fortunato per
i successi ottenuti lottando contro il virus e le altre malattie. Ritengo che ho già ricevuto molto dalla vita, anche se mi spaventa
la morte ho ancora molta voglia di vivere.
Felice 1939
Autoritratto
di Aiuto Aids Ticino
L’associazione nasce negli anni ottanta,
nel pieno dell’emergenza Aids, con lo scopo
di seguire le persone colpite dalla malattia che
morivano spesso in una condizione di solitudine e isolamento. Davanti a questa situazione
drammatica è nata un’attività di volontariato
per l’accompagnamento al morente. La scoperta delle triterapie ha permesso alle persone
sieropositive di curarsi e di aumentare la loro
aspettativa di vita. Ci si è così orientati verso la
promozione di una maggiore inclusione sociale
delle persone sieropositive. Attualmente sono
circa un centinaio le persone seguite da Aiuto
Aids Ticino, soprattutto per bisogni riguardanti
le assicurazioni sociali, il lavoro e il benessere nel
suo insieme.
Anche la prevenzione è stata fin da subito un’attività fondamentale, via via sviluppandosi in progetti rivolti a persone maggiormente
vulnerabili, come le prostitute (progetto PRIMIS)
e i maschi omosessuali (progetto MSM).
Un’attenzione particolare è sempre
stata rivolta ai giovani attraverso attività nelle
scuole e si è rafforzata dal 2008 con l’apertura di
Zonaprotetta, uno spazio di facile accesso dove
è possibile ricevere informazioni sulla salute sessuale e trovare gratuitamente dei preservativi.
E’ possibile avere informazioni sui rischi
di contagio dall’Hiv e dalle infezioni sessualmente trasmissibili in modo anonimo contattando il
consultorio.
Aiuto Aids Ticino
via Bagutti 2
CH-6900 Lugano
telefono +41 (0)91 923 80 40
www.zonaprotetta.ch
[email protected]
Con il sostegno di
Dipartimento della Sanità
della Socialità
…continuazione dell’intervista
al dottor Magenta
sanno che l’infezione da Hiv è una malattia
cronica curabile e si arriva al punto che alcuni
hanno una reazione di apparente indifferenza
quando gli viene comunicata la diagnosi. Purtroppo in questi casi temo che la stessa indifferenza fosse presente anche quando si trattava di
decidere se adottare o meno le precauzioni per
evitare il contagio…
A parte questi casi limite, oggi comunque il
medico ha a disposizione dati molto solidi per
rassicurare i pazienti, anche se per molti il primo
periodo di accettazione della malattia rimane
un periodo molto difficile.
Cosa ricorderà in futuro della sua pluriennale esperienza con malati di Aids?
Credo che poche malattie siano
cambiate così radicalmente negli ultimi anni.
Per quanto le ditte farmaceutiche siano spesso
accusate di seguire unicamente logiche di profitto, è innegabile che la scoperta della terapia
antiretrovirale (ART) è stata una delle più grandi
conquiste della medicina moderna. Chi come
me ha iniziato a lavorare negli anni 90 e ha visto
l’inferno dell’Aids, non potrà mai più scordarselo.
I giovani che oggi non usano il preservativo “fregandosene” del possibile contagio,
non hanno purtroppo la minima idea di cosa
può provocare questa malattia e di quanti
loro coetanei siano deceduti una quindicina
di anni fa. Ora infatti è tutta un’altra malattia,
completamente addomesticata dalla ART e
“miracolosamente” trasformata in una malattia
cronica con un’aspettativa di vita in progressivo
avvicinamento a quella della popolazione non
sieropositiva. Ma non va dimenticato che solo
la presa costante e regolare della ART previene
lo sviluppo di resistenze e in ultima analisi lo
sviluppo dell’Aids (raro ma tuttora possibile).
Oggi il nostro lavoro è soprattutto
quello di scegliere la terapia giusta per quel dato
paziente, monitorarne l’eventuale tossicità negli
anni e motivarlo ad una presa regolare. L’eccezione alla regola sono oggi i cosiddetti “late
presenters”, ovvero quel 30% di pazienti (soprattutto eterosessuali che non si reputano a rischio)
che scopre la propria sieropositività in una fase
molto avanzata, al limite o già in Aids. In questi
pazienti malgrado il precoce inizio della ART, è
frequente l’insorgenza di malattie opportunistiche con conseguenze anche mortali.
Inutile dire che la soglia medica per
effettuare il test dell’Hiv deve essere molto
bassa (dovrebbe bastare una febbre inspiegata
che non si risolve entro pochi giorni, un herpes
zoster in un soggetto giovane, e così via), così
come anche la popolazione in generale dovrebbe effettuare il test per l’Hiv dopo ogni rapporto
non protetto (anche se con persone dall’apparenza sane).
Di cosa si è parlato a Glasgow, quale
l’aspetto più interessante al di là degli
aspetti terapeutici citati?
Si è parlato molto delle possibili complicanze a lungo termine dell’Hiv in parte legate
al virus stesso, in parte alla terapia e in parte
allo stile di vita (in particolare il fumo). Si è visto
che tali complicanze (malattia cardiovascolare,
osteoporosi, deficit neurocognitivo, tumori non
Hiv correlati, nefropatia) che colpiscono una
minoranza dei pazienti sieropositivi sono le stesse
dell’età anziana e fanno pensare ad una sorta di
invecchiamento precoce. Diverse sessioni sono
state poi dedicate alla coinfezione con le epatiti
(soprattuto epatite C) che sono diventate una
delle principali cause di morbidità e mortalità
nei pazienti Hiv positivi. Dal punto di vista del
trattamento delle epatiti (che spesso deve essere
avviato insieme alla ART), nel 2012 sono usciti i
primi due di una lunga serie di nuovi farmaci che
a breve rivoluzioneranno la terapia dell’epatite C.
Da ultimo si è parlato molto della
strategia preventiva chiamata “test and treat”
che prevede di testare e trattare con la ART il
maggior numero possibile di pazienti allo scopo
di bloccare la trasmissione della malattia a livello
mondiale (è ben dimostrato che i pazienti sotto
ART efficace praticamente non trasmettono
l’infezione).
Nel campo della prevenzione ha fatto
scalpore l’approvazione da parte dell’ autorità
sanitaria americana di una combinazione di
farmaci prescritti alle persone ad alto rischio a
scopo preventivo (pre-exposure prophylaxis). In
Europa non c’è ancora un consenso su tale strategia a causa dei costi e di alcune remore di tipo
morale (la società dovrebbe assumersi i costi di
trattamenti che rischierebbero di essere usati
come un alternativa all’antipatico preservativo).
Intervista a cura di Aiuto Aids Ticino
1. dicembre
giornata mondiale
di lotta all’Aids
L’Aids invecchia,
le paure no
Anche dopo trent’anni
i timori e i pregiudizi
sono sempre pronti
a riemergere
Per un giovane oggi sentire parlare di
Aids non è la stessa cosa rispetto a chi è stato
giovane negli anni novanta. L’ Aids oggi – se
non guaribile – è perlomeno una malattia
curabile, quasi una malattia cronica. Tuttavia,
nonostante i cambiamenti, la percezione che i
giovani hanno della malattia non è aggiornata
dalle evoluzioni che essa ha subito. Dalla fine
degli anni novanta le persone sieropositive dei
paesi più ricchi hanno potuto beneficiare di una
cura che ha drasticamente ridotto il rischio di
manifestarsi dell’Aids e di conseguenza il rischio
di mortalità. Apparsi i medicamenti la società
ha tirato un sospiro di sollievo: anche per l’Aids
si poteva contare su un pacchetto di strumenti
terapeutici che ne arrestavano il decorso più
infausto. Non solo: progressivamente ci si è resi
conto che il sieropositivo che si cura, diventa
spesso praticamente non più infettivo, proprio
perché la terapia consiste nella quasi soppressione della carica virale presente nel sangue
(quando la terapia ha successo) e di conseguenza nei liquidi biologici che più facilmente
generano nuovi contagi (in particolare il sangue
e lo sperma).
Quindi l’Aids curabile e il sieropositivo (spesso) non infettivo avrebbero dovuto
generare la sparizione delle paure , mentre invece – forse proprio perché di Aids se ne parla
sempre meno – anche tra i giovani è rimasta
una rappresentazione della malattia piena di
paure e pregiudizi. Come se la grande paura
degli anni ottanta e novanta abbia lasciato
nella coscienza collettiva un segno indelebile e
immodificabile.
Chi, come Aiuto Aids Ticino, ha lavorato
nel campo della prevenzione in questi anni ha
dovuto non solo occuparsi di mantenere alta
l’attenzione nei riguardi della prevenzione ai
nuovi contagi ma ha dovuto soprattutto continuare a lavorare rispetto al perdurare di forti
pregiudizi sociali nei confronti delle persone sieropositive. Detto ciò, nonostante che in Svizzera
non si riesca a scendere sotto la soglia apparentemente fisiologica di circa 600/700 nuovi
contagi ogni anno, è indubbio che la battaglia
contro l’Aids sia stata un successo: si è impedito
che l’epidemia si diffondesse eccessivamente tra
la popolazione generale.
Le associazioni che si sono occupate
della prevenzione in questi trent’anni hanno nel
frattempo acquisito una competenza specifica
nella comunicazione sui temi della sessualità,
soprattutto tra quelle fasce maggiormente
esposte ai rischi. Perciò non è casuale che il
nuovo Programma nazionale di lotta all’Aids
abbia ampliato il suo raggio d’azione alle “altre
infezioni sessualmente trasmissibili”. L’idea è
quella di non abbassare la guardia rispetto
all’Aids, di utilizzare le strutture di prevenzione
per sensibilizzare ai nuovi pericoli in termini di
salute sessuale. Ecco perché strutture nate per
la lotta contro l’Aids sviluppano e implementano azioni di prevenzione sul tema delle epatiti,
rendono attenti al ritorno della subdola sifilide e
promuovono il controllo di gonorrea , clamidia
e altre mst. Se l’Aids invecchia, la salute sessuale
diventa un nuovo esplicito diritto della società
più moderna.
Vittorio Degli Antoni
Emma “seria-positiva” dalla nascita
Quando ero piccola andavo spesso a far le visite in ospedale e pensavo fosse una cosa normale. Poi a dieci anni, quando mi
sono recata a Zurigo per togliere le tonsille, mio padre e la sua
compagna (entrambi sieropositivi) me l’hanno detto. Non è stato
un brutto momento, ero triste ma non mi sentivo persa perché
circondata d’affetto. L’impressione però era quella di essere entrata in un alveare, abbiamo pianto insieme e forse mi sono resa
conto che stava accadendo qualcosa di molto grande nella mia
vita e di diverso, né brutta né bella. Delle volte quando ne parlavo con mio padre e facevo domande sull’Hiv mi definivo una
“seria-positiva”…
Non ho sentito tanto la diversità a causa della sieropositività ma piuttosto per la mancanza di mia madre, deceduta quando
avevo tre anni. Però, dopo le medie, nell’adolescenza ho avuto le
mie prime relazioni e quindi mi sono trovata costretta a confrontarmi con le mie paure, con la necessità di discutere con il partner
e di essere accettati per quello che si è. Non ho mai avuto problemi con i miei compagni, raramente ho vissuto dei rifiuti, ed ero
piuttosto io che avevo paura di contagiare l’altro.
Alle amiche e amici non sempre lo dico, spesso non ne sento
la necessità, se lo rivelo è come dare una parte di me molto intima, quindi scelgo a chi dirlo basandomi sulla fiducia e la vera
amicizia. Non è la sieropositività che condiziona le mie emozioni
ed il mio modo di pensare, anche se maturando cominciano ad
insinuarsi alcuni dubbi o domande esistenziali.
Non sono sempre stata una “seria-positiva”, oggi all’età di
25 anni la mia positività me la porto a ballare, a cantare, a recitare… e vivere la vita.
La sieropositività diventa un dramma quando per gli altri è
un dramma…
Emma 1987
Hiv, Aids, vie di
Trasmissione e Test
Il virus dell’immunodeficienza umana
(Hiv), indebolisce il sistema immunitario.
L’Aids è la malattia che può sopravvenire quando l’Hiv si è replicato al punto da far
scendere i linfociti CD4 del sistema immunitario
sotto una soglia critica.
Il virus Hiv passa da una persona all’altra tramite il sangue e lo sperma, attraverso le
ferite aperte oppure le mucose del corpo (pene,
vagina, ano, occhi).
La penetrazione deve essere protetta
dal preservativo. Nei rapporti orali non deve
essere ingerito lo sperma e bisogna evitare il
contatto con il sangue mestruale.
Anche lo scambio di siringhe genera
contagi.
Non ci si contagia invece: abbracciandosi, baciandosi, lavandosi nello stesso bagno,
con le carezze, bevendo dallo stesso bicchiere,
né facendo petting.
I test Hiv sono in grado di escludere in
modo affidabile un’ avvenuta infezione solo tre
mesi dopo una situazione a rischio.
I test possono essere fatti anonimamente presso i centri di pianificazione degli
Ospedali Regionali e presso il servizio di malattie
infettive dell’Ospedale Civico.
www.zonaprotetta.ch/testpertutti
34.2
2.5
25’716
567
827
18
milioni di persone
sieropositive nel mondo
milioni di nuovi contagi
ogni anno nel mondo
persone sieropositive
in Svizzera
nuovi contagi in un anno
in Svizzera
persone sieropositive
in Ticino
nuovi contagi in un anno
in Ticino
Intervista al dottor
Lorenzo Magenta
membro del Comitato di Aiuto Aids Ticino ha
sempre lavorato nel campo dell’infezione da
Hiv, dapprima presso la Divisione di Malattie
Infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano,
dal 1996 al 2010 presso il Servizio di malattie
Infettive dell’Ospedale Regionale di Lugano e
attualmente al centro di epatologia della Clinica Luganese dove continua a seguire i pazienti
sieropositivi.
Per stare in tema delle nuove campagne
Love Life che correlazione esiste tra la
presenza di IST(infezioni sessualmente trasmissibili) e il rischio di contagio da Hiv ?
Il rischio di trasmissione dell’Hiv è
massimo in presenza di infezioni sessualmente
trasmissibili (che spesso provocano ulcerazioni
genitali in grado di favorire enormemente il contagio) e durante l’infezione acuta da Hiv (a causa
delle viremie molto elevate).
Proprio le IST sono una delle concause
dell’enorme diffusione dell’infezione da Hiv tra
la popolazione eterosessuale nei paesi in via di
sviluppo. Alle nostre latitudini è in corso da una
decina di anni una vera e propria epidemia di
sifilide (e ultimamente di epatite C trasmessa
per via sessuale) tra i pazienti omosessuali Hiv
positivi, chiaro segnale di un progressivo abbandono dell’uso del preservativo da parte di diversi
pazienti sieropositivi.
Sappiamo che è appena tornato dal congresso di Glasgow, qual è la situazione sul
fronte dei medicamenti anti Hiv?
Il congresso è da sempre focalizzato
sulla terapia dell’infezione da Hiv. Sono rimasto
piacevolmente sorpreso in quanto si è parlato
non solo di nuovi farmaci, ma anche di vaccini e
di strategie miranti all’eradicazione del virus (uso
di farmaci immunostimolanti con il compito di
“cacciare” il virus dai suoi santuari irraggiungibili
con la sola terapia antiretrovirale o ART). Non voglio assolutamente dire che siamo vicini ad un
vaccino efficace o all’eradicazione, ma almeno
si sta investendo ancora in questa direzione. Per
quanto riguarda i nuovi farmaci la premessa da
fare è che la ART attuale è talmente efficace e
con pochi effetti collaterali, che farne approvare
di nuovi (e migliori) è veramente difficile.
Detto questo sono in arrivo almeno 3
novità nei prossimi due anni. Il più vicino all’approvazione (prima metà del 2013) è la rilpivirina, un
analogo non nucleosidico della trascrittasi inversa
(NNRTI), mentre in futuro arriveranno due inibitori
dell’integrasi, l’elvitegravir e il dolutegravir.
La novità più interessante è che questi
nuovi farmaci arriveranno sul mercato coformulati con altri 2 farmaci in un’unica pastiglia giornaliera, favorendo così una corretta aderenza alla
terapia (vero fattore chiave nel successo a lungo
termine della ART). Gli effetti collaterali sembrerebbero essere assolutamente trascurabili.
Per tornare anche un po’ al passato, come
si è sentito e come ha visto negli anni la
reazione del paziente quando ha dovuto
comunicare un test positivo?
Purtroppo ho dovuto farlo molte volte
dal 1995 ad oggi. Negli anni 90 praticamente si
comunicava al paziente una condanna a morte
e molte volte la reazione era di disperazione
(anche per noi medici era molto difficile dare
speranza al paziente). A volte ho temuto che il
paziente potesse farsi del male la sera stessa, ma
per fortuna non è successo. Oggi molte persone
(soprattutto nei gruppi più a rischio)
…continua
Preoccupazioni
e vissuti di ottanta
persone sieropositive
Dopo oltre dieci anni dall’apparizione
dei primi medicamenti efficaci Aiuto Aids Ticino
con il gruppo d’incontro per persone sieropositive ha raccolto in Ticino l’opinione di persone
portatrici del virus Hiv, per conoscere il loro
vissuto, le loro preoccupazioni e le loro opinioni
sulla condizione di sieropositività. Oltre ottanta persone hanno risposto all’appello (grosso
modo il 10% di tutte le persone sieropositive
che vivono in Ticino), fornendo i loro commenti
e le loro testimonianze.
Tra le persone che hanno risposto il
59% sono maschi. L’età media è superiore ai 40
anni. La maggioranza lavora e più di un terzo
vive in coppia; quasi il 40% ha figli. Oltre la metà
afferma che la propria qualità di vita è buona
anche se la sieropositività condiziona la vita affettiva per oltre il 57% di loro. Le preoccupazioni
attuali sono sia legate alla salute, alle discriminazioni ancora molto presenti e al doversi comunque ancora nascondere. Rispetto al comunicare
la propria sieropositività la maggioranza si
muove con prudenza per evitare inutili discriminazioni e tende a comunicarla solo alle persone
di fiducia, al partner e ai più ristretti famigliari e a
pochi amici.
François Rusca
Il 94 % delle persone
sieropositive interpellate
assume terapie
antiretrovirali.
Come giudichi
il tuo stato di salute
in generale?
46%
45%
9%
buono
discreto
insoddisfacente
I pregiudizi aumentano
i contagi Prostitute,
omosessuali e migranti più
esposti a discriminazione
Omosessualità, prostituzione e migranti:
il programma nazionale “Hiv e altre infezioni sessualmente trasmissibili” individua in questi gruppi
di popolazione quelli più esposti al rischio.
Chi esercita la prostituzione, anche
in Canton Ticino, si espone a maggiori rischi di
contrarre infezioni sessualmente trasmissibili. Non
è solo dovuto al numero di rapporti ma soprattutto per la situazione di marginalità, il rischio
di sfruttamento e lo stigma sociale ancora oggi
presenti nella società. La dipendenza economica,
una scelta lavorativa spesso indotta dalla povertà
dei paesi di origine, la mancanza di una rete di
sostegno familiare e amicale, l’insicurezza legata
all’ambiente e alla situazione lavorativa sono tutti
fattori che rendono vulnerabili le sex worker. Tutto
si aggrava in situazioni di illegalità e sfruttamento.
La Conferenza Internazionale sull’Aids di Washington ha affermato che per le sex worker il rischio di
contrarre l’Hiv è 14 volte superiore alle altre donne.
Anche tra gli Msm (maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi) il rischio
di contrarre l’Hiv è molto più alto che per gli
eterosessuali. Circa un omosessuale su dieci in
Svizzera è sieropositivo. Uno dei motivi principali
di questa maggiore esposizione è certamente la
considerazione socialmente negativa dell’omosessualità. La percezione di non essere accettati,
di venire discriminati e di non poter avere una vita
parimente degna produce l’effetto dell’invisibilità
e dell’esclusione degli MSM. Come affermato
dall’Ufficio Federale della Sanità Pubblica, la salute
delle persone omosessuali è più precaria. La scarsa
accettazione di sé dovuta a questi fattori sociali e
culturali porta gli MSM a vivere le proprie relazioni e i rapporti sessuali spesso in clandestinità,
esponendosi così al rischio di contrarre l’Hiv o altre
infezioni sessualmente trasmissibili. L’inesistenza di
locali lgbt (lesbiche, gay, bisex e trans) in Canton
Ticino è il segno dell’ancora scarsa accettazione e
comprensione di questi temi.
Aiuto Aids Ticino da diversi anni si occupa
di prevenzione e aiuto rivolto a questi gruppi
maggiormente esposti al rischio. Ciò comporta un
approccio di prossimità alle persone e ai luoghi di
incontro o di lavoro. Oltre a fornire le informazioni
su safer sex e rispondere ai bisogni relativi alla salute,
risulta fondamentale sensibilizzare la società e le
istituzioni per ridurre i fattori di marginalità e stigma
sociale che rendono queste fette di popolazioni
più vulnerabili. La prevenzione all’Aids deve quindi
agire nei confronti delle persone direttamente più
esposte così come per migliorare la loro condizione
partendo da un cambiamento del contesto sociale.
Vincenza Guarnaccia e Marco Coppola
Più del 60 %
si è confrontato
con situazioni
di disagio:
28%
15%
17%
23%
15%
3%
“Sono sieropositiva: non una criminale”
Nel 2000 ho saputo di essere sieropositiva. Lavoravo a tempo pieno come governante, ero sposata e avevo una vita normale.
Quando mio marito ha scoperto che avevo contratto il virus mi
ha lasciata. Se ne è andato con rabbia ed ha iniziato a dire a tutti
della mia condizione. Anche il mio ex-datore di lavoro ha sentito
queste voci e mi ha chiesto se ero sieropositiva: ho risposto di no.
Mi ha sospeso dal lavoro e mi ha chiesto un certificato medico sull’
Hiv. Sono andata dall’ infettivologo ed in quel momento mi hanno
detto che il datore di lavoro non aveva il diritto di chiedermi un
tale certificato e quindi mi hanno fatto un certificato medico sulla
mia idoneità a svolgere quell’attività. Ho consegnato quest’ultimo
ma per lui non era sufficiente e quindi non ho potuto riprendere
il lavoro. Poco dopo mi ha inviato una lettera di licenziamento
dicendo che non aveva più bisogno dei miei servizi.
Il mio ex-marito mi ha diffamato scrivendo sui muri del
mio comune che avevo l’Aids, inviando lettere a tutte le mie
conoscenze. Ho dovuto denunciarlo in polizia per farlo smettere. Dopo tutti questi avvenimenti ed i problemi di salute che ho
dovuto affrontare ho passato due anni con una grave depressione;
con il tempo e l’aiuto di alcuni professionisti ho iniziato a stare
meglio, ad accettare la mia malattia, anche se oggi mi impedisce
di lavorare a tempo pieno. Infatti dal 2009 lavoro a tempo parziale e ho ritrovato un equilibrio. Purtroppo nel 2011 ho avuto
un periodo con problemi di salute e sono dovuta stare in malattia
per un lungo periodo. Il mio datore di lavoro è venuto a sapere
che probabilmente ero sieropositiva e mi ha invitata a stare a casa
e curarmi; poco dopo mi è pervenuta una lettera di licenziamento. È stato nuovamente un duro colpo per me. Questa situazione
mi ha disorientata, non sapevo più dove sbattere la testa, mi stavo lasciando andare, ma qualcosa dentro di me mi ha ridato la
forza di riemergere: sono solo sieropositiva non sono una criminale e non ho fatto male a nessuno… questo mi ha dato la forza e
sono riuscita ad affrontare questa situazione con un bagaglio più
ricco. Oggi una persona nella mia situazione può vivere una vita
quasi normale e le speranze per il futuro possono assomigliare a
quelle degli altri.
Giuseppina 1976
Il sieropositivo
che non contagia
Una terapia efficace
abbatte il rischio
di contagio
Una persona sieropositiva che prende
medicamenti non è più contagiosa. È sufficiente che la terapia sia efficace per un periodo di
almeno sei mesi e che non siano presenti altre
malattie sessualmente trasmissibili in entrambi
i partner. Per terapia efficace si intende che
la quantità di virus presente nel sangue e di
riflesso nei liquidi biologici potenzialmente
contagiosi (segnatamente lo sperma) diventi
talmente bassa da essere trascurabile e perciò
senza il rischio di contagio.
Questo era il tema sollevato da un
articolo apparso già oltre 4 anni fa sulla rivista
dei medici svizzeri (FMH) a firma di Enos Bernasconi, Bernard Hirschel e Pietro Vernazza, tra
i maggiori esperti di Aids in Svizzera. L’articolo
specifica che la possibilità di avere rapporti
non protetti con una persona sieropositiva viene data al partner sieronegativo che decide di
assumersi i trascurabili rischi di avere rapporti
non protetti con un partner (che si cura) portatore del virus.
La pubblicazione ha sollevato in un
primo tempo critiche da altri paesi che hanno
giudicato azzardate le conclusioni dello studio,
tuttavia le autorità sanitarie elvetiche hanno
fatto proprie le considerazioni dei tre medici
basate su osservazioni scientifiche e ponderazione realistica dei rischi effettivi.
Anche le autorità giudiziarie hanno
tratto le loro conclusioni: se la Svizzera è stato
uno dei paesi che proporzionalmente ha
condannato di più le persone sieropositive,
persino al carcere, per aver infettato altre persone omettendo di proteggersi, dopo questa
pubblicazione, la condizione penale dei sieropositivi che hanno avuto rapporti non protetti
è cambiata proprio potendo dimostrare che il
tasso di viremia presente nel sangue era trascurabile in termini di rischio.
Il sieronegativo
che contagia
Appena infettato, il test
è negativo ma il rischio
di contagio è più alto
Un sieronegativo può contagiare.
Supponiamo che una persona si sia contagiata
da una decina di giorni e quindi il virus stia
già circolando nel suo sangue. La quantità di
anticorpi generati è tuttavia ancora insufficiente affinché il test li rilevi. Il test non riconosce
infatti il virus ma gli anticorpi che si formano
man mano… ecco perché si raccomanda di
aspettare tre mesi prima di eseguire un test
che dia la sicurezza del risultato. Se gli anticorpi
sono insufficienti il risultato del test sarà ancora
sieronegativo eppure la persona potrebbe già
contagiare. E non si tratta solo di un fatto teorico, anzi: oggi molti nuovi contagi avvengono
proprio nella fase di prima infezione (grosso
modo nei primi due mesi) in cui il virus è parti-
colarmente attivo e la persona particolarmente
contagiosa.
I dati e le ricerche mostrano come una
buona parte di nuovi contagi oggi avvenga
all’interno di una coppia relativamente stabile
in cui una delle due persone abbia avuto rapporti non protetti al di fuori della relazione con
una persona ritenuta sieronegativa (e probabilmente tale fino a poco tempo prima). Non
è difficile immaginare come questa “catena” di
contagi possa essere pericolosa in una comunità relativamente piccola e chiusa. In effetti la
campagna Break The Chain, lanciata per bloccare questo effetto domino tra la comunità gay
elvetica è il tentativo di arginare i nuovi contagi
durante la fase dell’infezione primaria.
Ecco perché paradossalmente oggi è
meno rischioso avere rapporti sessuali non protetti con una persona certamente sieropositiva
(che il più delle volte in Svizzera riesce a curarsi
efficacemente – vedi l’articolo accanto) rispetto
ad avere rapporti non protetti con un uomo o
una donna che si ritiene sieronegativa/o senza
averne la certezza.
Infezione
primaria
Profilassi post
esposizione (PEP)
Nelle prime settimane dopo il contagio l’Hiv si riproduce nell’organismo molto
velocemente (infezione primaria); in seguito la
carica virale diminuisce (fase di latenza). Durante
l’infezione primaria l’Hiv nel sangue e nello sperma è molto elevato e il rischio di trasmissione
aumenta da 20 a 100 volte rispetto all’infettività
della fase di latenza. La maggioranza dei contagi
avviene in questo periodo, è quindi fondamentale sempre seguire le regole del safer sex.
Chi ha avuto un rapporto a rischio
(penetrazione senza preservativo, sangue o
sperma in bocca) con una persona sicuramente o probabilmente sieropositiva può recarsi
al pronto soccorso o al servizio malattie
infettive e su parere medico sottoporsi alla
PEP. Si tratta di una terapia d’emergenza con
farmaci anti-Hiv cui la persona sieronegativa si
sottopone per alcune settimane, per ridurre il
rischio di contagio.
Ho reagito per il bene di mio figlio
La malattia l’ho scoperta durante la gravidanza e nel momento del parto anche mio figlio era sieropositivo e lo è stato per i
primi sei mesi per poi diventare sieronegativo.
Al momento che mi è stata annunciata la mia malattia mi
è sembrato che il mondo mi cascasse addosso. Ma ho dovuto reagire per il bene di mio figlio; sino all’età di 19 anni non ha saputo
della mia sieropositività, non volevo complicargli la vita e volevo
lasciarlo crescere in pace e senza preoccupazioni per la mamma.
Quando ho rivelato la mia malattia mio figlio è diventato
molto protettivo nei miei confronti ed il rapporto con lui da quel
momento non è cambiato, anzi è sempre attento e preoccupato che
io stia bene. Mi ha però detto che anche se gli avessi rivelato prima
questo segreto non sarebbe cambiato niente. Adesso nel complesso
vivo la mia vita tranquillamente e con serenità, anche se però mi
sento sempre molto stanca ed ho sempre una preoccupazione che mi
perseguita e cioè di continuare ad andare avanti con le mie forze.
Romi 1968
Gli ostacoli sul lavoro
Le persone sieropositive, in Svizzera, hanno il diritto di svolgere qualsiasi attività lavorativa senza restrizioni né riserve di
alcun tipo; pertanto nessun datore di lavoro ha il diritto di chiedere
informazioni sullo stato sierologico del lavoratore.
Dopo trent’anni dall’inizio dell’epidemia, le idee sbagliate,
l’ignoranza ed i preconcetti in merito all’Hiv continuano a imperversare dando luogo ad atteggiamenti discriminatori e umilianti
per le persone sierpositive.
in famiglia
sul lavoro
con gli amici
in ambiente sanitario
altro
in tutte le situazioni
risultati e approfondimenti
www.zonaprotetta.ch/
pdf/risultatiquestionari.pdf
Benessere
senza omofobia
Siccome i pregiudizi aumentano i
contagi Aiuto Aids TIcino ha realizzato un progetto
di prevenzione al bullismo omofobico tra giovani
delle scuole medie e superiori del Canton Ticino.
Il sondaggio condotto tra 630 studentesse e studenti ha messo in evidenza quanto ancora oggi a
scuola si sentano pronunciare parole offensive nei
confronti delle persone omosessuali (l’85% dichiara
di averle sentite) e solo il 4% degli intervistati
dichiara che qualcuno tra gli adulti e i compagni
interviene sempre davanti a questi fatti. Più del
70% del campione ha la percezione inoltre che
questi commenti siano molto offensivi. A seguito
della ricerca sono stati realizzati degli interventi di
prevenzione rivolti a docenti, studenti e genitori.
1. Penetrazione, sempre con il preservativo.
2. Sperma e sangue mai a contatto con la bocca.
3. Se hai prurito, bruciore o secrezioni, vai dal medico.
Infezioni sessualmente
trasmissibili: i 5 big
Hiv: virus dell’immunodeficienza umana.
Si trasmette con rapporti sessuali (vaginali, anali,
orali) non protetti. Si può curare ma non guarire.
Sifilide: infezione batterica che
inizialmente porta alla formazione di noduli e
alla comparsa di macchie rossastre. Nell’ultimo
stadio può portare ad una grave compromissione del sistema nervoso e a danni alle aorte. Si
guarisce con un trattamento antibiotico.
Gonorrea: infezione batterica che può
portare all’infiammazione dell’uretra con possibili secrezioni maleodoranti e dolori. Si guarisce
con un trattamento antibiotico.
Clamidia: infezione batterica che ha
sintomi ed esiti simili alla gonorrea. Si guarisce
con un trattamento antibiotico. Trascurata
(come la Gonorrea) porta anche alla sterilità.
Epatite B: infezione virale che si
trasmette con rapporti sessuali non protetti
(vaginali, anali, orali). Esiste un vaccino ma nella
fase acuta non c’è trattamento. I pericoli sono la
cirrosi e i carcinomi.
Per effettuare controlli sulle 5 IST vedere
www.zonaprotetta.ch/testpertutti
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