1. dicembre giornata mondiale di lotta all`Aids 34.2 2.5 25`716 567 827
by user
Comments
Transcript
1. dicembre giornata mondiale di lotta all`Aids 34.2 2.5 25`716 567 827
Donne più a rischio Le giovani tra i 15 e i 24 anni sono le più colpite a livello mondiale Sono circa 34,2 milioni le persone che vivono con il virus Hiv nel mondo e, nonostante il numero di nuovi contagi stia lentamente diminuendo, ogni anno sono circa 2,5 milioni i nuovi contagi. Le donne sono le più colpite ( metà dei nuovi casi) soprattutto nella fascia tra i 15 e i 24 anni. Nel 2011 si contavano ben 1,2 milioni di contagi tra le più giovani. I dati mostrano come le donne siano ancora in una situazione di maggior discriminazione e disparità di trattamento che le rende vulnerabili e quindi più esposte al rischio di contrarre l’Hiv. Dal 2005 il numero di persone che ogni anno muore a causa del virus è sceso da 2,3 milioni agli 1,7 del 2011. Il motivo principale della diminuzione è legato alla rapida diffusione dei farmaci antiretrovirali specialmente nei paesi poveri. In alcune aree esiste però una controtendenza. Per esempio, nonostante il miglioramento generale della condizione in Asia, si riscontra un aumento delle infezioni tra l’Europa orientale e l’Asia centrale (dal 2000 ad oggi i nuovi casi sono triplicati) principalmente in Thailandia, Federazione Russa, Ucraina e Stati Baltici. Altro miglioramento riguarda la diffusione del virus Hiv tra i bambini. Dal 2009 le infezioni sarebbero scese del 24% con 330.000 contagi nel 2011 contro i 570.000 del 2003. Nel 2011 erano quasi 5 milioni i bambini affetti dal virus Hiv, il 75% dei quali abitanti dell’Africa subsahariana. Rimane comunque ancora troppo alto il numero di persone nel mondo che non ha la possibilità di curarsi. Nei paesi più poveri solo 8 milioni di persone affette dal virus ha accesso ai medicamenti. Nel 2011 sono stati stanziati 16,8 miliardi di dollari contro l’Aids nelle nazioni povere. Tuttavia ci vorrebbero ancora 7 miliardi per raddoppiare entro il 2015 il numero di persone che potrà ricevere le terapie antiretrovirali per sopravvivere. Il finanziamento dei medicamenti è affidato principalmente a fondi nazionali e infatti esistono alcune realtà nelle quali il numero delle infezioni aumenta drammaticamente senza la possibilità di cure. Un esempio emblematico è la Repubblica Democratica del Congo, nella quale meno del 15% dei pazienti ha la possibilità di accedere ai farmaci e solo l’11% delle strutture sanitarie offre il trattamento; meno del 6% delle madri sieropositive ha la possibilità di ricevere farmaci antiretrovirali per prevenire la trasmissione del virus ai loro bambini. La Conferenza Internazionale sull’Aids di Washington ha riaffermato come i fattori socio-economici influenzino la possibilità di ammalarsi e quindi quanto le condizioni di povertà e precarietà siano responsabili della diffusione dell’Aids nel mondo. Vincenza Guarnaccia e Marco Coppola Hiv per i giovani sesso, protezione, contagio, malattia. Zonaprotetta interpella i giovani Abbiamo chiesto l’opinione sull’Hiv ad una cinquantina tra ragazze e ragazzi incontrati da Zonaprotetta. Sesso, malattia, protezione e contagio sono le parole più ricorrenti che i giovani associano a questo tema. La metà è preoccupata per il rischio di un contagio, soprattutto le ragazze, e in generale c’è la sensazione che sia in aumento la diffusione del virus. Ritiene inoltre che non venga utilizzato molto il preservativo e si è ancora scarsamente informati. Chi dice di non essere preoccupato lo fa perché dichiara di proteggersi nei rapporti sessuali usando il preservativo. Abbiamo chiesto ai ragazzi come si comporterebbero di fronte alla scoperta della sieropositività del loro partner. La maggior parte di loro accetterebbe la situazione scegliendo di informarsi e di proteggersi nelle relazioni intime. C’è chi, soprattutto tra le ragazze, rinuncerebbe alla relazione. Le paure diminuiscono tra i giovani e con esse anche lo stigma rivolto alle persone sieropositive, ma rimane ancora oggi fondamentale la prevenzione e il dialogo sulla sessualità con le nuove generazioni. Tatiana Gilardi e Marco Coppola “L’ho scoperto a 61 anni” Nel 2000 a 61 anni mi sono sottoposto ad un controllo ed ho scoperto di essere sieropositivo. È il medico che me lo ha comunicato. Ho pianto e, rientrando a casa, mi è crollato il mondo addosso, però ho subito cercato di reagire e avevo paura di morire. Ho deciso di combattere. Il medico mi ha consigliato di confidarmi con qualcuno della mia famiglia, allora ho scelto di dirlo a mia nipote, ha reagito bene dicendomi “ce ne sono tanti e noi ti aiuteremo” ma voleva farmi fare testamento credendo che sarei morto di lì a poco . . . Nei mesi successivi ho potuto avere molte informazioni sia dal medico che dai libri. Ciò mi ha permesso di capire il decorso della malattia e quindi di tranquillizzarmi. Dopo diverse analisi ho dovuto iniziare subito le terapie antiretrovirali, ho reagito bene e non ho avuto nessun effetto collaterale. In quel periodo ho vissuto emozioni contrastanti: ne avevo fatte di tutti i colori e pensavo che così dovevo pagare il conto. Utilizzavo le precauzioni e non so come l’ho preso. Però mi sentivo tranquillo, non ero arrabbiato e non vedevo le cose in negativo, in fondo ero bene informato e sapevo che potevo tenere sotto controllo il virus con i medicamenti. Da quando ho scoperto di essere sieropositivo sono comunque riuscito ad avere delle relazioni affettive con altri partner che ho sempre informato sulla mia situazione sierologica osservando le regole del sesso sicuro. In queste relazioni non ho mai ricevuto dei rifiuti a causa dell’Hiv, anzi alcuni mi chiedevano informazioni approfondite sulle vie di trasmissione. Posso quindi affermare che come persona sieropositiva non ho avuto difficoltà in più nelle relazioni affettive, non ho sensi di colpa e non ho paura di contagiare altre persone perché usando le dovute precauzioni non vi sono rischi di contagio. Oggi devo ricordarmi che sono sieropositivo, spesso me ne dimentico e dò pieno affidamento alle persone che mi seguono, le indicazioni del medico mi tranquillizzano e rassicurano. Naturalmente quale persona della terza età devo confrontarmi con problemi di salute legati all’età e non all’Hiv. Con questo cambiamento cambiano le cose, vedi la vita in modo relativo, mi accontento di quello che offre e mi ritengo già fortunato per i successi ottenuti lottando contro il virus e le altre malattie. Ritengo che ho già ricevuto molto dalla vita, anche se mi spaventa la morte ho ancora molta voglia di vivere. Felice 1939 Autoritratto di Aiuto Aids Ticino L’associazione nasce negli anni ottanta, nel pieno dell’emergenza Aids, con lo scopo di seguire le persone colpite dalla malattia che morivano spesso in una condizione di solitudine e isolamento. Davanti a questa situazione drammatica è nata un’attività di volontariato per l’accompagnamento al morente. La scoperta delle triterapie ha permesso alle persone sieropositive di curarsi e di aumentare la loro aspettativa di vita. Ci si è così orientati verso la promozione di una maggiore inclusione sociale delle persone sieropositive. Attualmente sono circa un centinaio le persone seguite da Aiuto Aids Ticino, soprattutto per bisogni riguardanti le assicurazioni sociali, il lavoro e il benessere nel suo insieme. Anche la prevenzione è stata fin da subito un’attività fondamentale, via via sviluppandosi in progetti rivolti a persone maggiormente vulnerabili, come le prostitute (progetto PRIMIS) e i maschi omosessuali (progetto MSM). Un’attenzione particolare è sempre stata rivolta ai giovani attraverso attività nelle scuole e si è rafforzata dal 2008 con l’apertura di Zonaprotetta, uno spazio di facile accesso dove è possibile ricevere informazioni sulla salute sessuale e trovare gratuitamente dei preservativi. E’ possibile avere informazioni sui rischi di contagio dall’Hiv e dalle infezioni sessualmente trasmissibili in modo anonimo contattando il consultorio. Aiuto Aids Ticino via Bagutti 2 CH-6900 Lugano telefono +41 (0)91 923 80 40 www.zonaprotetta.ch [email protected] Con il sostegno di Dipartimento della Sanità della Socialità …continuazione dell’intervista al dottor Magenta sanno che l’infezione da Hiv è una malattia cronica curabile e si arriva al punto che alcuni hanno una reazione di apparente indifferenza quando gli viene comunicata la diagnosi. Purtroppo in questi casi temo che la stessa indifferenza fosse presente anche quando si trattava di decidere se adottare o meno le precauzioni per evitare il contagio… A parte questi casi limite, oggi comunque il medico ha a disposizione dati molto solidi per rassicurare i pazienti, anche se per molti il primo periodo di accettazione della malattia rimane un periodo molto difficile. Cosa ricorderà in futuro della sua pluriennale esperienza con malati di Aids? Credo che poche malattie siano cambiate così radicalmente negli ultimi anni. Per quanto le ditte farmaceutiche siano spesso accusate di seguire unicamente logiche di profitto, è innegabile che la scoperta della terapia antiretrovirale (ART) è stata una delle più grandi conquiste della medicina moderna. Chi come me ha iniziato a lavorare negli anni 90 e ha visto l’inferno dell’Aids, non potrà mai più scordarselo. I giovani che oggi non usano il preservativo “fregandosene” del possibile contagio, non hanno purtroppo la minima idea di cosa può provocare questa malattia e di quanti loro coetanei siano deceduti una quindicina di anni fa. Ora infatti è tutta un’altra malattia, completamente addomesticata dalla ART e “miracolosamente” trasformata in una malattia cronica con un’aspettativa di vita in progressivo avvicinamento a quella della popolazione non sieropositiva. Ma non va dimenticato che solo la presa costante e regolare della ART previene lo sviluppo di resistenze e in ultima analisi lo sviluppo dell’Aids (raro ma tuttora possibile). Oggi il nostro lavoro è soprattutto quello di scegliere la terapia giusta per quel dato paziente, monitorarne l’eventuale tossicità negli anni e motivarlo ad una presa regolare. L’eccezione alla regola sono oggi i cosiddetti “late presenters”, ovvero quel 30% di pazienti (soprattutto eterosessuali che non si reputano a rischio) che scopre la propria sieropositività in una fase molto avanzata, al limite o già in Aids. In questi pazienti malgrado il precoce inizio della ART, è frequente l’insorgenza di malattie opportunistiche con conseguenze anche mortali. Inutile dire che la soglia medica per effettuare il test dell’Hiv deve essere molto bassa (dovrebbe bastare una febbre inspiegata che non si risolve entro pochi giorni, un herpes zoster in un soggetto giovane, e così via), così come anche la popolazione in generale dovrebbe effettuare il test per l’Hiv dopo ogni rapporto non protetto (anche se con persone dall’apparenza sane). Di cosa si è parlato a Glasgow, quale l’aspetto più interessante al di là degli aspetti terapeutici citati? Si è parlato molto delle possibili complicanze a lungo termine dell’Hiv in parte legate al virus stesso, in parte alla terapia e in parte allo stile di vita (in particolare il fumo). Si è visto che tali complicanze (malattia cardiovascolare, osteoporosi, deficit neurocognitivo, tumori non Hiv correlati, nefropatia) che colpiscono una minoranza dei pazienti sieropositivi sono le stesse dell’età anziana e fanno pensare ad una sorta di invecchiamento precoce. Diverse sessioni sono state poi dedicate alla coinfezione con le epatiti (soprattuto epatite C) che sono diventate una delle principali cause di morbidità e mortalità nei pazienti Hiv positivi. Dal punto di vista del trattamento delle epatiti (che spesso deve essere avviato insieme alla ART), nel 2012 sono usciti i primi due di una lunga serie di nuovi farmaci che a breve rivoluzioneranno la terapia dell’epatite C. Da ultimo si è parlato molto della strategia preventiva chiamata “test and treat” che prevede di testare e trattare con la ART il maggior numero possibile di pazienti allo scopo di bloccare la trasmissione della malattia a livello mondiale (è ben dimostrato che i pazienti sotto ART efficace praticamente non trasmettono l’infezione). Nel campo della prevenzione ha fatto scalpore l’approvazione da parte dell’ autorità sanitaria americana di una combinazione di farmaci prescritti alle persone ad alto rischio a scopo preventivo (pre-exposure prophylaxis). In Europa non c’è ancora un consenso su tale strategia a causa dei costi e di alcune remore di tipo morale (la società dovrebbe assumersi i costi di trattamenti che rischierebbero di essere usati come un alternativa all’antipatico preservativo). Intervista a cura di Aiuto Aids Ticino 1. dicembre giornata mondiale di lotta all’Aids L’Aids invecchia, le paure no Anche dopo trent’anni i timori e i pregiudizi sono sempre pronti a riemergere Per un giovane oggi sentire parlare di Aids non è la stessa cosa rispetto a chi è stato giovane negli anni novanta. L’ Aids oggi – se non guaribile – è perlomeno una malattia curabile, quasi una malattia cronica. Tuttavia, nonostante i cambiamenti, la percezione che i giovani hanno della malattia non è aggiornata dalle evoluzioni che essa ha subito. Dalla fine degli anni novanta le persone sieropositive dei paesi più ricchi hanno potuto beneficiare di una cura che ha drasticamente ridotto il rischio di manifestarsi dell’Aids e di conseguenza il rischio di mortalità. Apparsi i medicamenti la società ha tirato un sospiro di sollievo: anche per l’Aids si poteva contare su un pacchetto di strumenti terapeutici che ne arrestavano il decorso più infausto. Non solo: progressivamente ci si è resi conto che il sieropositivo che si cura, diventa spesso praticamente non più infettivo, proprio perché la terapia consiste nella quasi soppressione della carica virale presente nel sangue (quando la terapia ha successo) e di conseguenza nei liquidi biologici che più facilmente generano nuovi contagi (in particolare il sangue e lo sperma). Quindi l’Aids curabile e il sieropositivo (spesso) non infettivo avrebbero dovuto generare la sparizione delle paure , mentre invece – forse proprio perché di Aids se ne parla sempre meno – anche tra i giovani è rimasta una rappresentazione della malattia piena di paure e pregiudizi. Come se la grande paura degli anni ottanta e novanta abbia lasciato nella coscienza collettiva un segno indelebile e immodificabile. Chi, come Aiuto Aids Ticino, ha lavorato nel campo della prevenzione in questi anni ha dovuto non solo occuparsi di mantenere alta l’attenzione nei riguardi della prevenzione ai nuovi contagi ma ha dovuto soprattutto continuare a lavorare rispetto al perdurare di forti pregiudizi sociali nei confronti delle persone sieropositive. Detto ciò, nonostante che in Svizzera non si riesca a scendere sotto la soglia apparentemente fisiologica di circa 600/700 nuovi contagi ogni anno, è indubbio che la battaglia contro l’Aids sia stata un successo: si è impedito che l’epidemia si diffondesse eccessivamente tra la popolazione generale. Le associazioni che si sono occupate della prevenzione in questi trent’anni hanno nel frattempo acquisito una competenza specifica nella comunicazione sui temi della sessualità, soprattutto tra quelle fasce maggiormente esposte ai rischi. Perciò non è casuale che il nuovo Programma nazionale di lotta all’Aids abbia ampliato il suo raggio d’azione alle “altre infezioni sessualmente trasmissibili”. L’idea è quella di non abbassare la guardia rispetto all’Aids, di utilizzare le strutture di prevenzione per sensibilizzare ai nuovi pericoli in termini di salute sessuale. Ecco perché strutture nate per la lotta contro l’Aids sviluppano e implementano azioni di prevenzione sul tema delle epatiti, rendono attenti al ritorno della subdola sifilide e promuovono il controllo di gonorrea , clamidia e altre mst. Se l’Aids invecchia, la salute sessuale diventa un nuovo esplicito diritto della società più moderna. Vittorio Degli Antoni Emma “seria-positiva” dalla nascita Quando ero piccola andavo spesso a far le visite in ospedale e pensavo fosse una cosa normale. Poi a dieci anni, quando mi sono recata a Zurigo per togliere le tonsille, mio padre e la sua compagna (entrambi sieropositivi) me l’hanno detto. Non è stato un brutto momento, ero triste ma non mi sentivo persa perché circondata d’affetto. L’impressione però era quella di essere entrata in un alveare, abbiamo pianto insieme e forse mi sono resa conto che stava accadendo qualcosa di molto grande nella mia vita e di diverso, né brutta né bella. Delle volte quando ne parlavo con mio padre e facevo domande sull’Hiv mi definivo una “seria-positiva”… Non ho sentito tanto la diversità a causa della sieropositività ma piuttosto per la mancanza di mia madre, deceduta quando avevo tre anni. Però, dopo le medie, nell’adolescenza ho avuto le mie prime relazioni e quindi mi sono trovata costretta a confrontarmi con le mie paure, con la necessità di discutere con il partner e di essere accettati per quello che si è. Non ho mai avuto problemi con i miei compagni, raramente ho vissuto dei rifiuti, ed ero piuttosto io che avevo paura di contagiare l’altro. Alle amiche e amici non sempre lo dico, spesso non ne sento la necessità, se lo rivelo è come dare una parte di me molto intima, quindi scelgo a chi dirlo basandomi sulla fiducia e la vera amicizia. Non è la sieropositività che condiziona le mie emozioni ed il mio modo di pensare, anche se maturando cominciano ad insinuarsi alcuni dubbi o domande esistenziali. Non sono sempre stata una “seria-positiva”, oggi all’età di 25 anni la mia positività me la porto a ballare, a cantare, a recitare… e vivere la vita. La sieropositività diventa un dramma quando per gli altri è un dramma… Emma 1987 Hiv, Aids, vie di Trasmissione e Test Il virus dell’immunodeficienza umana (Hiv), indebolisce il sistema immunitario. L’Aids è la malattia che può sopravvenire quando l’Hiv si è replicato al punto da far scendere i linfociti CD4 del sistema immunitario sotto una soglia critica. Il virus Hiv passa da una persona all’altra tramite il sangue e lo sperma, attraverso le ferite aperte oppure le mucose del corpo (pene, vagina, ano, occhi). La penetrazione deve essere protetta dal preservativo. Nei rapporti orali non deve essere ingerito lo sperma e bisogna evitare il contatto con il sangue mestruale. Anche lo scambio di siringhe genera contagi. Non ci si contagia invece: abbracciandosi, baciandosi, lavandosi nello stesso bagno, con le carezze, bevendo dallo stesso bicchiere, né facendo petting. I test Hiv sono in grado di escludere in modo affidabile un’ avvenuta infezione solo tre mesi dopo una situazione a rischio. I test possono essere fatti anonimamente presso i centri di pianificazione degli Ospedali Regionali e presso il servizio di malattie infettive dell’Ospedale Civico. www.zonaprotetta.ch/testpertutti 34.2 2.5 25’716 567 827 18 milioni di persone sieropositive nel mondo milioni di nuovi contagi ogni anno nel mondo persone sieropositive in Svizzera nuovi contagi in un anno in Svizzera persone sieropositive in Ticino nuovi contagi in un anno in Ticino Intervista al dottor Lorenzo Magenta membro del Comitato di Aiuto Aids Ticino ha sempre lavorato nel campo dell’infezione da Hiv, dapprima presso la Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dal 1996 al 2010 presso il Servizio di malattie Infettive dell’Ospedale Regionale di Lugano e attualmente al centro di epatologia della Clinica Luganese dove continua a seguire i pazienti sieropositivi. Per stare in tema delle nuove campagne Love Life che correlazione esiste tra la presenza di IST(infezioni sessualmente trasmissibili) e il rischio di contagio da Hiv ? Il rischio di trasmissione dell’Hiv è massimo in presenza di infezioni sessualmente trasmissibili (che spesso provocano ulcerazioni genitali in grado di favorire enormemente il contagio) e durante l’infezione acuta da Hiv (a causa delle viremie molto elevate). Proprio le IST sono una delle concause dell’enorme diffusione dell’infezione da Hiv tra la popolazione eterosessuale nei paesi in via di sviluppo. Alle nostre latitudini è in corso da una decina di anni una vera e propria epidemia di sifilide (e ultimamente di epatite C trasmessa per via sessuale) tra i pazienti omosessuali Hiv positivi, chiaro segnale di un progressivo abbandono dell’uso del preservativo da parte di diversi pazienti sieropositivi. Sappiamo che è appena tornato dal congresso di Glasgow, qual è la situazione sul fronte dei medicamenti anti Hiv? Il congresso è da sempre focalizzato sulla terapia dell’infezione da Hiv. Sono rimasto piacevolmente sorpreso in quanto si è parlato non solo di nuovi farmaci, ma anche di vaccini e di strategie miranti all’eradicazione del virus (uso di farmaci immunostimolanti con il compito di “cacciare” il virus dai suoi santuari irraggiungibili con la sola terapia antiretrovirale o ART). Non voglio assolutamente dire che siamo vicini ad un vaccino efficace o all’eradicazione, ma almeno si sta investendo ancora in questa direzione. Per quanto riguarda i nuovi farmaci la premessa da fare è che la ART attuale è talmente efficace e con pochi effetti collaterali, che farne approvare di nuovi (e migliori) è veramente difficile. Detto questo sono in arrivo almeno 3 novità nei prossimi due anni. Il più vicino all’approvazione (prima metà del 2013) è la rilpivirina, un analogo non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI), mentre in futuro arriveranno due inibitori dell’integrasi, l’elvitegravir e il dolutegravir. La novità più interessante è che questi nuovi farmaci arriveranno sul mercato coformulati con altri 2 farmaci in un’unica pastiglia giornaliera, favorendo così una corretta aderenza alla terapia (vero fattore chiave nel successo a lungo termine della ART). Gli effetti collaterali sembrerebbero essere assolutamente trascurabili. Per tornare anche un po’ al passato, come si è sentito e come ha visto negli anni la reazione del paziente quando ha dovuto comunicare un test positivo? Purtroppo ho dovuto farlo molte volte dal 1995 ad oggi. Negli anni 90 praticamente si comunicava al paziente una condanna a morte e molte volte la reazione era di disperazione (anche per noi medici era molto difficile dare speranza al paziente). A volte ho temuto che il paziente potesse farsi del male la sera stessa, ma per fortuna non è successo. Oggi molte persone (soprattutto nei gruppi più a rischio) …continua Preoccupazioni e vissuti di ottanta persone sieropositive Dopo oltre dieci anni dall’apparizione dei primi medicamenti efficaci Aiuto Aids Ticino con il gruppo d’incontro per persone sieropositive ha raccolto in Ticino l’opinione di persone portatrici del virus Hiv, per conoscere il loro vissuto, le loro preoccupazioni e le loro opinioni sulla condizione di sieropositività. Oltre ottanta persone hanno risposto all’appello (grosso modo il 10% di tutte le persone sieropositive che vivono in Ticino), fornendo i loro commenti e le loro testimonianze. Tra le persone che hanno risposto il 59% sono maschi. L’età media è superiore ai 40 anni. La maggioranza lavora e più di un terzo vive in coppia; quasi il 40% ha figli. Oltre la metà afferma che la propria qualità di vita è buona anche se la sieropositività condiziona la vita affettiva per oltre il 57% di loro. Le preoccupazioni attuali sono sia legate alla salute, alle discriminazioni ancora molto presenti e al doversi comunque ancora nascondere. Rispetto al comunicare la propria sieropositività la maggioranza si muove con prudenza per evitare inutili discriminazioni e tende a comunicarla solo alle persone di fiducia, al partner e ai più ristretti famigliari e a pochi amici. François Rusca Il 94 % delle persone sieropositive interpellate assume terapie antiretrovirali. Come giudichi il tuo stato di salute in generale? 46% 45% 9% buono discreto insoddisfacente I pregiudizi aumentano i contagi Prostitute, omosessuali e migranti più esposti a discriminazione Omosessualità, prostituzione e migranti: il programma nazionale “Hiv e altre infezioni sessualmente trasmissibili” individua in questi gruppi di popolazione quelli più esposti al rischio. Chi esercita la prostituzione, anche in Canton Ticino, si espone a maggiori rischi di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili. Non è solo dovuto al numero di rapporti ma soprattutto per la situazione di marginalità, il rischio di sfruttamento e lo stigma sociale ancora oggi presenti nella società. La dipendenza economica, una scelta lavorativa spesso indotta dalla povertà dei paesi di origine, la mancanza di una rete di sostegno familiare e amicale, l’insicurezza legata all’ambiente e alla situazione lavorativa sono tutti fattori che rendono vulnerabili le sex worker. Tutto si aggrava in situazioni di illegalità e sfruttamento. La Conferenza Internazionale sull’Aids di Washington ha affermato che per le sex worker il rischio di contrarre l’Hiv è 14 volte superiore alle altre donne. Anche tra gli Msm (maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi) il rischio di contrarre l’Hiv è molto più alto che per gli eterosessuali. Circa un omosessuale su dieci in Svizzera è sieropositivo. Uno dei motivi principali di questa maggiore esposizione è certamente la considerazione socialmente negativa dell’omosessualità. La percezione di non essere accettati, di venire discriminati e di non poter avere una vita parimente degna produce l’effetto dell’invisibilità e dell’esclusione degli MSM. Come affermato dall’Ufficio Federale della Sanità Pubblica, la salute delle persone omosessuali è più precaria. La scarsa accettazione di sé dovuta a questi fattori sociali e culturali porta gli MSM a vivere le proprie relazioni e i rapporti sessuali spesso in clandestinità, esponendosi così al rischio di contrarre l’Hiv o altre infezioni sessualmente trasmissibili. L’inesistenza di locali lgbt (lesbiche, gay, bisex e trans) in Canton Ticino è il segno dell’ancora scarsa accettazione e comprensione di questi temi. Aiuto Aids Ticino da diversi anni si occupa di prevenzione e aiuto rivolto a questi gruppi maggiormente esposti al rischio. Ciò comporta un approccio di prossimità alle persone e ai luoghi di incontro o di lavoro. Oltre a fornire le informazioni su safer sex e rispondere ai bisogni relativi alla salute, risulta fondamentale sensibilizzare la società e le istituzioni per ridurre i fattori di marginalità e stigma sociale che rendono queste fette di popolazioni più vulnerabili. La prevenzione all’Aids deve quindi agire nei confronti delle persone direttamente più esposte così come per migliorare la loro condizione partendo da un cambiamento del contesto sociale. Vincenza Guarnaccia e Marco Coppola Più del 60 % si è confrontato con situazioni di disagio: 28% 15% 17% 23% 15% 3% “Sono sieropositiva: non una criminale” Nel 2000 ho saputo di essere sieropositiva. Lavoravo a tempo pieno come governante, ero sposata e avevo una vita normale. Quando mio marito ha scoperto che avevo contratto il virus mi ha lasciata. Se ne è andato con rabbia ed ha iniziato a dire a tutti della mia condizione. Anche il mio ex-datore di lavoro ha sentito queste voci e mi ha chiesto se ero sieropositiva: ho risposto di no. Mi ha sospeso dal lavoro e mi ha chiesto un certificato medico sull’ Hiv. Sono andata dall’ infettivologo ed in quel momento mi hanno detto che il datore di lavoro non aveva il diritto di chiedermi un tale certificato e quindi mi hanno fatto un certificato medico sulla mia idoneità a svolgere quell’attività. Ho consegnato quest’ultimo ma per lui non era sufficiente e quindi non ho potuto riprendere il lavoro. Poco dopo mi ha inviato una lettera di licenziamento dicendo che non aveva più bisogno dei miei servizi. Il mio ex-marito mi ha diffamato scrivendo sui muri del mio comune che avevo l’Aids, inviando lettere a tutte le mie conoscenze. Ho dovuto denunciarlo in polizia per farlo smettere. Dopo tutti questi avvenimenti ed i problemi di salute che ho dovuto affrontare ho passato due anni con una grave depressione; con il tempo e l’aiuto di alcuni professionisti ho iniziato a stare meglio, ad accettare la mia malattia, anche se oggi mi impedisce di lavorare a tempo pieno. Infatti dal 2009 lavoro a tempo parziale e ho ritrovato un equilibrio. Purtroppo nel 2011 ho avuto un periodo con problemi di salute e sono dovuta stare in malattia per un lungo periodo. Il mio datore di lavoro è venuto a sapere che probabilmente ero sieropositiva e mi ha invitata a stare a casa e curarmi; poco dopo mi è pervenuta una lettera di licenziamento. È stato nuovamente un duro colpo per me. Questa situazione mi ha disorientata, non sapevo più dove sbattere la testa, mi stavo lasciando andare, ma qualcosa dentro di me mi ha ridato la forza di riemergere: sono solo sieropositiva non sono una criminale e non ho fatto male a nessuno… questo mi ha dato la forza e sono riuscita ad affrontare questa situazione con un bagaglio più ricco. Oggi una persona nella mia situazione può vivere una vita quasi normale e le speranze per il futuro possono assomigliare a quelle degli altri. Giuseppina 1976 Il sieropositivo che non contagia Una terapia efficace abbatte il rischio di contagio Una persona sieropositiva che prende medicamenti non è più contagiosa. È sufficiente che la terapia sia efficace per un periodo di almeno sei mesi e che non siano presenti altre malattie sessualmente trasmissibili in entrambi i partner. Per terapia efficace si intende che la quantità di virus presente nel sangue e di riflesso nei liquidi biologici potenzialmente contagiosi (segnatamente lo sperma) diventi talmente bassa da essere trascurabile e perciò senza il rischio di contagio. Questo era il tema sollevato da un articolo apparso già oltre 4 anni fa sulla rivista dei medici svizzeri (FMH) a firma di Enos Bernasconi, Bernard Hirschel e Pietro Vernazza, tra i maggiori esperti di Aids in Svizzera. L’articolo specifica che la possibilità di avere rapporti non protetti con una persona sieropositiva viene data al partner sieronegativo che decide di assumersi i trascurabili rischi di avere rapporti non protetti con un partner (che si cura) portatore del virus. La pubblicazione ha sollevato in un primo tempo critiche da altri paesi che hanno giudicato azzardate le conclusioni dello studio, tuttavia le autorità sanitarie elvetiche hanno fatto proprie le considerazioni dei tre medici basate su osservazioni scientifiche e ponderazione realistica dei rischi effettivi. Anche le autorità giudiziarie hanno tratto le loro conclusioni: se la Svizzera è stato uno dei paesi che proporzionalmente ha condannato di più le persone sieropositive, persino al carcere, per aver infettato altre persone omettendo di proteggersi, dopo questa pubblicazione, la condizione penale dei sieropositivi che hanno avuto rapporti non protetti è cambiata proprio potendo dimostrare che il tasso di viremia presente nel sangue era trascurabile in termini di rischio. Il sieronegativo che contagia Appena infettato, il test è negativo ma il rischio di contagio è più alto Un sieronegativo può contagiare. Supponiamo che una persona si sia contagiata da una decina di giorni e quindi il virus stia già circolando nel suo sangue. La quantità di anticorpi generati è tuttavia ancora insufficiente affinché il test li rilevi. Il test non riconosce infatti il virus ma gli anticorpi che si formano man mano… ecco perché si raccomanda di aspettare tre mesi prima di eseguire un test che dia la sicurezza del risultato. Se gli anticorpi sono insufficienti il risultato del test sarà ancora sieronegativo eppure la persona potrebbe già contagiare. E non si tratta solo di un fatto teorico, anzi: oggi molti nuovi contagi avvengono proprio nella fase di prima infezione (grosso modo nei primi due mesi) in cui il virus è parti- colarmente attivo e la persona particolarmente contagiosa. I dati e le ricerche mostrano come una buona parte di nuovi contagi oggi avvenga all’interno di una coppia relativamente stabile in cui una delle due persone abbia avuto rapporti non protetti al di fuori della relazione con una persona ritenuta sieronegativa (e probabilmente tale fino a poco tempo prima). Non è difficile immaginare come questa “catena” di contagi possa essere pericolosa in una comunità relativamente piccola e chiusa. In effetti la campagna Break The Chain, lanciata per bloccare questo effetto domino tra la comunità gay elvetica è il tentativo di arginare i nuovi contagi durante la fase dell’infezione primaria. Ecco perché paradossalmente oggi è meno rischioso avere rapporti sessuali non protetti con una persona certamente sieropositiva (che il più delle volte in Svizzera riesce a curarsi efficacemente – vedi l’articolo accanto) rispetto ad avere rapporti non protetti con un uomo o una donna che si ritiene sieronegativa/o senza averne la certezza. Infezione primaria Profilassi post esposizione (PEP) Nelle prime settimane dopo il contagio l’Hiv si riproduce nell’organismo molto velocemente (infezione primaria); in seguito la carica virale diminuisce (fase di latenza). Durante l’infezione primaria l’Hiv nel sangue e nello sperma è molto elevato e il rischio di trasmissione aumenta da 20 a 100 volte rispetto all’infettività della fase di latenza. La maggioranza dei contagi avviene in questo periodo, è quindi fondamentale sempre seguire le regole del safer sex. Chi ha avuto un rapporto a rischio (penetrazione senza preservativo, sangue o sperma in bocca) con una persona sicuramente o probabilmente sieropositiva può recarsi al pronto soccorso o al servizio malattie infettive e su parere medico sottoporsi alla PEP. Si tratta di una terapia d’emergenza con farmaci anti-Hiv cui la persona sieronegativa si sottopone per alcune settimane, per ridurre il rischio di contagio. Ho reagito per il bene di mio figlio La malattia l’ho scoperta durante la gravidanza e nel momento del parto anche mio figlio era sieropositivo e lo è stato per i primi sei mesi per poi diventare sieronegativo. Al momento che mi è stata annunciata la mia malattia mi è sembrato che il mondo mi cascasse addosso. Ma ho dovuto reagire per il bene di mio figlio; sino all’età di 19 anni non ha saputo della mia sieropositività, non volevo complicargli la vita e volevo lasciarlo crescere in pace e senza preoccupazioni per la mamma. Quando ho rivelato la mia malattia mio figlio è diventato molto protettivo nei miei confronti ed il rapporto con lui da quel momento non è cambiato, anzi è sempre attento e preoccupato che io stia bene. Mi ha però detto che anche se gli avessi rivelato prima questo segreto non sarebbe cambiato niente. Adesso nel complesso vivo la mia vita tranquillamente e con serenità, anche se però mi sento sempre molto stanca ed ho sempre una preoccupazione che mi perseguita e cioè di continuare ad andare avanti con le mie forze. Romi 1968 Gli ostacoli sul lavoro Le persone sieropositive, in Svizzera, hanno il diritto di svolgere qualsiasi attività lavorativa senza restrizioni né riserve di alcun tipo; pertanto nessun datore di lavoro ha il diritto di chiedere informazioni sullo stato sierologico del lavoratore. Dopo trent’anni dall’inizio dell’epidemia, le idee sbagliate, l’ignoranza ed i preconcetti in merito all’Hiv continuano a imperversare dando luogo ad atteggiamenti discriminatori e umilianti per le persone sierpositive. in famiglia sul lavoro con gli amici in ambiente sanitario altro in tutte le situazioni risultati e approfondimenti www.zonaprotetta.ch/ pdf/risultatiquestionari.pdf Benessere senza omofobia Siccome i pregiudizi aumentano i contagi Aiuto Aids TIcino ha realizzato un progetto di prevenzione al bullismo omofobico tra giovani delle scuole medie e superiori del Canton Ticino. Il sondaggio condotto tra 630 studentesse e studenti ha messo in evidenza quanto ancora oggi a scuola si sentano pronunciare parole offensive nei confronti delle persone omosessuali (l’85% dichiara di averle sentite) e solo il 4% degli intervistati dichiara che qualcuno tra gli adulti e i compagni interviene sempre davanti a questi fatti. Più del 70% del campione ha la percezione inoltre che questi commenti siano molto offensivi. A seguito della ricerca sono stati realizzati degli interventi di prevenzione rivolti a docenti, studenti e genitori. 1. Penetrazione, sempre con il preservativo. 2. Sperma e sangue mai a contatto con la bocca. 3. Se hai prurito, bruciore o secrezioni, vai dal medico. Infezioni sessualmente trasmissibili: i 5 big Hiv: virus dell’immunodeficienza umana. Si trasmette con rapporti sessuali (vaginali, anali, orali) non protetti. Si può curare ma non guarire. Sifilide: infezione batterica che inizialmente porta alla formazione di noduli e alla comparsa di macchie rossastre. Nell’ultimo stadio può portare ad una grave compromissione del sistema nervoso e a danni alle aorte. Si guarisce con un trattamento antibiotico. Gonorrea: infezione batterica che può portare all’infiammazione dell’uretra con possibili secrezioni maleodoranti e dolori. Si guarisce con un trattamento antibiotico. Clamidia: infezione batterica che ha sintomi ed esiti simili alla gonorrea. Si guarisce con un trattamento antibiotico. Trascurata (come la Gonorrea) porta anche alla sterilità. Epatite B: infezione virale che si trasmette con rapporti sessuali non protetti (vaginali, anali, orali). Esiste un vaccino ma nella fase acuta non c’è trattamento. I pericoli sono la cirrosi e i carcinomi. Per effettuare controlli sulle 5 IST vedere www.zonaprotetta.ch/testpertutti