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rinascimento aspetti di vita quotidiana
RINASCIMENTO
ASPETTI DI VITA QUOTIDIANA
Scuola media “B. Buricchi”
Classe II°E - 2005/2006
RINASCIMENTO
ABITARE IL
RINASCIMENTO
LA MODA
IN TAVOLA
LA DONNA
LA MODA
• INTRODUZIONE
• ABBIGLIAMENTO
FEMMINILE
• ABBIGLIAMENTO
MASCHILE
• LA COSMETICA
• I GIOIELLI
INTRODUZIONE
Nell’alta società rinascimentale la moda, la cura della persona e la cosmetica diventarono estremamente
importanti.
Nel 1400, nella scelta della sposa da parte della famiglia del ragazzo, influisce non solo la dote, ma anche
l’aspetto esteriore. La moglie doveva essere elegante, anche se non troppo vistosa, per non far fare brutta
figura al marito.
Nel Rinascimento i commerci diffondono l’uso di broccati, velluti, sete e pellicce e di conseguenza
l’abbigliamento diventa sempre più sontuoso ed elegante.
Dall’America vengono importati oro, argento, lapislazzuli, perle e madreperle per realizzare i gioielli.
Anche le piume degli uccelli esotici, usati dagli indigeni a fini decorativi, vengono adoperati per ornare i
cappelli dei signori e i ventagli delle signore.
Nel quattrocento il colore degli abiti non è scelto a caso, ma risponde a precise regole sociali. Il rosso
scarlatto e il verde, ad esempio, sono colori riservati alle classi sociali più elevate, mentre il “bertino” (grigio
scuro) viene utilizzato soprattutto dai popolani perché regge meglio lo sporco.
ABBIGLIAMENTO FEMMINILE
I vestiti usati durante il Rinascimento, specialmente sotto il dominio di Lorenzo il Magnifico, sono lussuosi e
preziosi.
L’ abito più in uso è quello tutto di un pezzo, in seta o velluto molto spesso, dalle spalle ai piedi con il classico
strascico . Si tratta di veri capolavori di oreficeria, infatti parte della struttura (il bustino, la struttura
della gonna, le maniche ecc.) è arricchita da materiali pregiati quali l’oro e l’argento. Molto di moda sono gli
accessori, cinture, collane ecc. decorati con pietre preziose o interamente d’oro. Data la passione per le
gemme, queste vengono messe in molti abiti di gala (anche per uomini) facendoli costare un patrimonio . In
particolare alle donne piacciono le perle a goccia o tonde con le quali vengono create retine per i capelli,
spille, collane e orecchini. Si indossano spesso vestiti scollati per evidenziare il seno e le donne usano
essenze profumate ed oli per tonificarlo. Verso la fine del 400 fino alla metà del 500 dalle scollature degli
abiti escono i preziosi ricami, pizzi e merletti delle camicie intime mentre dalle aperture nelle maniche e nel
corpetto spuntano sbuffi di lino. Il colore della biancheria intima è rigorosamente il bianco, simbolo di pulizia
e candore. Da non tralasciare, la cappa lunga fino ai piedi e con cappuccio portata sia dalle nobildonne che
dalle popolane. Queste ultime per arricchire e rinnovare i pochi abiti che possiedono cambiano le maniche;
tale usanza piace molto e ben presto viene adottata anche dalle nobili. Le donne si pettinano inizialmente con
trecce fissate intorno alla testa ; poi prendono ad arricciare i capelli e raccoglierli in cuffie o fazzoletti
ricamati facendo fuoriuscire solo un ciuffo simile alla coda di cavallo . Le vecchie indossano una cuffia
molto ampia simile a quello delle monache. Più tardi vengono usate reticelle d’oro con perle o nastri con
pietre preziose, ideali per capelli corti diventati di gran moda perché danno ampiezza e altezza alla fronte.
ABBIGLIAMENTO MASCHILE
L’indumento tipico maschile nel Rinascimento è il ”lucco”, la sopravveste di tessuto solitamente nero o rosso
cupo che scende fino ai piedi senza cintura con larghe e lunghe maniche abbottonato davanti e dotato di
cappuccio.
Al principio del Quattrocento lo indossano soprattutto gli anziani, mentre i giovani preferiscono vestire una
specie di giaccone, chiamato “guarnacca”, con una cintura posta alla vita, gambe coperte da calze
(calzabrache) lunghe sino alla coscia dove si uniscono per arrivare alla cintura. Esse possono essere di panno,
velluto e seta, alcune volte le due calze sono di colore diverso, ma sempre molto attillate.
I ricchi si riconoscono dalla preziosità dei tessuti e dei ricami e per i vari modelli di maniche, talvolta così
larghe da somigliare a mezze mantelle. In inverno gli abiti vengono foderati di pelliccia, divenuta in questo
periodo di gran moda. La guarnacca a partire dalla metà del Quattrocento sostituisce completamente il lucco
e viene indossata con ampi mantelli di panno colorato o di velluto foderato di seta. I colori più usati sono il
grigio e il marrone per gli anziani, il giallo, il rosso e il verde per i giovani.
Le scarpe più in voga sono quelle alte fino alla caviglia, fatte di pelle morbida e abbellite da un laccio, di
solito bianco. Il copricapo è molto importante; caratteristico dell’epoca è il “mazzocchio”. Si tratta di una
larga berretta di panno a forma di ciambella con un lembo terminale doppio e piatto come una lunga striscia
che scende su una spalla. Non si usa togliere il cappello se non davanti a un importante uomo di chiesa.
I giovani, sia nobili che popolani, amano portare i capelli lunghi fino alle orecchie, pettinati con la riga
centrale e tenuti lisci. A partire dalla seconda metà del Quattrocento diventano di tendenza i capelli
ondulati e tinti di biondo, proprio come quelli delle donne.
Le barbe, infine, non sono molto amate e vengono concesse solo ai religiosi, ai pellegrini e ai vecchi del
popolo.
LA COSMETICA
Nel Rinascimento la donna doveva avere tre cose bianche: la pelle, i denti e le mani. Gli occhi, le sopracciglia,
le palpebre erano tre cose nere. Le guance, le labbra, le unghie erano tre cose rosse. Il corpo, i capelli (di un
biondo caldo), le mani erano tre cose lunghe. La bocca, la vita, la caviglia erano tre cose corte. Il mento
doveva essere rotondo con una fossetta, le spalle larghe e petto turgido.
Non tutte le donne potevano vantare questi requisiti, in particolare la pelle lucente era poco diffusa, per la
difettosa alimentazione e la scarsa pulizia presente sia nelle classi più elevate che in quelle più povere.
Le donne per migliorare l’aspetto usavano vari rimedi, alcuni dei quali antichi di secoli.
Come maschere di bellezza venivano usate fette di vitello crudo, lasciate macerare nel latte e applicate sul
viso con bende ; per eliminare la peluria del labbro superiore veniva passato sopra un composto di gusci
d’uovo pestati nel mortaio con acqua di rose; infine, per coprire le lentiggini veniva applicato sul viso pasta di
mandorle mescolata con polvere di iris.
Le donne che avevano i capelli neri o rossi e volevano stare alla moda, per imbiondirli li lavavano con acqua di
cenere oppure con acqua di zolfo e zafferano bollita.
Per ammorbidire i capelli usavano lucertole prive di coda e testa, bollite in olio con cui frizionavano il cuoio
capelluto; per profumarli adoperavano rose secche, noce moscata, oltre a succo di cocomeri, di gladioli,
viticci, uova, mollica di pane e aceto.
I cosmetici dell’epoca erano talmente efficaci, da trasformare una donna brutta in un essere di
straordinaria bellezza.
Nelle farmacie si vendevano creme, elisir e lustri molto costosi. I lustri erano creme simili al nostro
fondotinta che si spalmavano sul viso per avere un aspetto raggiante e una carnagione di seta.
Per mantenere la linea, venivano usati bagni d’acqua marina resa balsamica con l’infusione di erbe. Alle donne
più robuste veniva consigliato di frizionare il corpo con sterco di vacca mischiato con del vino. Una volta
seccato, si recavano in una stanza ben riscaldata dove si fermavano il tempo necessario per un’abbondante
sudorazione. Seguiva un buon bagno e un meritato riposo a letto.
La pulizia personale nel XV secolo non era di moda e il bagno veniva considerato un modo per rilassarsi e non
per pulirsi. L’ unica regola in campo igienico consisteva nel lavarsi ogni mattina nani e occhi con acqua fredda.
I GIOIELLI
Nel Rinascimento i gioielli diventano la passione di uomini e donne, che amano indossarli in tutte le occasioni.
Le scollature degli abiti diventano sempre più profonde per mostrare collane e monili, molto diffusi nell’età
classica e poi quasi scomparsi nel Medioevo. Per la prima volta dall’antichità ritornano di moda i braccialetti.
Usa molto mettere gli anelli, anche se il buon gusto consiglia di non eccedere.
Questi vengono portati sia sopra che sotto i guanti che vengono spesso traforati in modo da farli vedere.
Uno dei più importanti è quello di fidanzamento, simbolo di fedeltà tra due innamorati.
Tra i gioielli, l’anello è quello più usato perché quasi tutti possono permetterselo, esso è infatti presente
anche nei corredi piuttosto economici.
Molto usate sono le collane d’oro con pietre incastonate e catene d’oro per tenere l’elegante mantello da
viaggio sulle spalle alle dame. Tornano di moda anche gli orecchini sia per le donne che per gli uomini, spesso
arricchiti da perle.
I gioielli, in particolare quelli con pietre preziose, al contrario di oggi, non vengono indossati solo per
abbellire il corpo, ma per le loro proprietà magiche.
Ogni pietra trasmette attraverso il contatto precise virtù.
ACQUAMARINA = propizia per i matrimoni, è considerata un rimedio per il mal di denti e le malattie del
fegato.
CORALLO = considerato un rimedio all’invidia (protegge dal malocchio). Ancora oggi si regalano spille con il
corallo ai neonati.
DIAMANTE = si dice che porti allegria, protegga dagli incubi, neutralizzi i sortilegi, i contagi dalle malattie
e dia felicità agli sposi.
PERLE = simbolo di verginità, castità e innocenza. Di solito si regala un vezzo di perle alla sposa. Ha poteri
curativi, infatti, in casi disperati vengono sciolte nell’aceto alcune perle e date ai malati.
RUBINO = tra le molte qualità si crede che renda gli uomini gentili, protegga dalle seduzioni, calmi la collera.
I suoi influssi però diventano negativi se la gemma è portata alla mano destra su un anello.
LA DONNA
• IL RUOLO DELLA
DONNA
• LA NASCITA
• IL CORREDO PER LE
FIGLIE
• RITRATTO DI
ELEONORA DI
TOLEDO
• DAL DIARIO DELLA
GRANDUCHESSA
ELEONORA DI
TOLEDO
IL RUOLO DELLA DONNA
Le ragazze di buona famiglia del Quattrocento uscivano dal convento all’età di undici anni e a dodici potevano
già sposarsi. Venivano scelte dai genitori del futuro marito che, oltre a guardare la ricchezza della famiglia,
esaminavano anche il carattere e l’aspetto fisico delle fanciulle.
La donna del Rinascimento doveva saper cucinare,occuparsi della abitazione, tutelare la famiglia, essere
fedele al marito e ,solo in sua assenza, occuparsi della situazione economica della casa. Una buona moglie
doveva alzarsi la mattina presto, osservare il lavoro dei servi, preparare il pane e, quando arrivava il marito,
non poteva chiedergli come aveva trascorso la giornata o come aveva speso il denaro, non poteva neppure
intromettersi nei suoi affari e neanche leggere le sue carte.
Le donne non potevano uscire di casa in assenza del marito ma se questi le accordava permesso dovevano
essere precedute dai servi.
Le cose iniziano a cambiare in meglio, soprattutto negli strati più elevati della popolazione, verso la fine del
‘400. Alle donne viene assegnato un ruolo sociale più ampio. Esse devono essere non solo delle brave
padrone di casa , ma delle perfette ospiti capaci di intrattenere piacevolmente gli invitati.
LA NASCITA
La donna durante il Rinascimento partorisce in media ogni venti mesi e alla fine dell’età fertile ogni coppia ha
almeno una decina di figli. L’annuncio della gravidanza costituisce, comunque, sempre un giorno di gran festa.
Quando si avvicina il giorno del parto la ragazza si reca in chiesa per confessarsi e fa testamento, infatti,a
causa della scarsa igiene e alla mancanza di nozioni di ostetricia ,la morte di parto e la mortalità infantile
sono le principali cause di morte in questa epoca.
Il battesimo viene celebrato con grande lusso. La casa e la stanza del bimbo sono addobbate riccamente :
questa è un’ottima scusa per mostrare agli invitati le proprie ricchezze. Arrivano in visita i parenti, ognuno
porta un dono, ma le leggi puniscono gli sprechi arrivando a stabilire che non si possono regalare più di tre
fiorini d’oro in vestiario, pena la scomunica da parte del vescovo. Tali divieti come al solito non vengono
rispettati dalle persone potenti. Fino ad ora abbiamo parlato del battesimo in generale, ma va fatta una
distinzione tra maschi e femmine. Se il figlio è maschio tutto procede secondo quanto appena detto, ma se la
figlia è femmina i festeggiamenti possono essere addirittura annullati e vengono conservati tutti gli
accessori di lusso per una nascita più fortunata. Le bambine, infatti, sono viste solo come un peso e una
preoccupazione : bisogna cercarle un marito e, cosa più importante, trovarle una dote. Nel XIV e XV secolo
la dote costituisce un vero problema in quanto non basta un semplice corredo per quanto fornito possa
essere. Alla metà del XIV una buona dote è costituita da 500 fiorini; un secolo dopo 1000 fiorini bastano a
malapena a costituire la dote di una figlia d’artigiano.
IL CORREDO PER LE FIGLIE
Nel corredo delle nobili fanciulle, oltre ai vestiti, erano importanti anche gli accessori di eleganza, quali
cappelli di stoffa preziosa o di perle e gemme, fasce d’oro e d’argento e fazzoletti di mussola di seta
ricamati, con pizzi. Questi ultimi avevano un posto d’onore nei corredi di nozze ed era quasi obbligatorio
portarne un centinaio in dote.
Un altro capo sempre presente nel corredo delle giovani donne (le più ricche ne portavano fino a duecento)
era la camicia, simbolo di civetteria e di seduzione. Le “camise” erano raffinatissime e ornate di ricami.
Le mutande non venivano usate molto, le portavano solo le cortigiane e erano confezionate con stoffe
intessute d’oro e d’argento. Nel 1582 , nell’alta società rinascimentale, si diffonde con grande scandalo la
notizia che il duca di Mantova ha fatto preparare alcune mutande per la propria figlia che sta per sposarsi.
Il merito di lanciare la moda tra le donne oneste di questo indumento spetta a Caterina De Medici (15931629).
RITRATTO DI ELEONORA DI TOLEDO
Cosimo a diciotto anni fu scelto per reggere lo Stato toscano e dovendo trovarsi una moglie chiese all’
imperatore Carlo V se gli concedeva il permesso di sposare sua figlia Margherita, ma il sovrano gli rispose
che per la fanciulla aveva altri progetti. In seguito gli propose di sposarsi con Isabella, figlia di Don Pedro di
Toledo, ma Isabella non era né bella né intelligente. La sorella, la diciassettenne Eleonora, piacque molto a
Cosimo e Carlo V e il padre di lei accettano di dargliela in sposa. Il matrimonio venne celebrato il 30 Giugno
1539 nella chiesa di San Lorenzo con grande sfarzo. La loro fu un’unione d’amore, erano una coppia
inseparabile. Nei primi tempi lei lo seguiva nelle visite ch’egli andava facendo alle città, ai paesi e alle
campagne della Toscana, lasciando alla suocera la cura dei figli più piccoli.
Donna di profonda fede, guidava la sua casa con molta severità. Ogni mattina, dopo la Messa, costringeva le
figlie ai lavori domestici e non permetteva loro alcun svago. Curava con loro e con le sue schiave il
guardaroba e personalmente la biancheria del marito, arrabbiandosi se non era degna di lui.
Quando usciva in città non andava mai né a piedi né a cavallo, ma in una lettiga. Per questo motivo il popolo la
considerava superba. Invece questa abitudine dipendeva dalla fatica della respirazione dovuta alla
tubercolosi polmonare. Tossiva spesso e per lei, in Palazzo Vecchio, il Vasari costruì le cosiddette “scale
piane” o “scale dolci”, che conducevano al suo appartamento.
Eleonora ebbe otto figli: tre femmine e cinque maschi; i due figli che successero Cosimo furono prima
Francesco e alla sua morte Ferdinando. La primogenita Maria morirà nel 1557 a sedici anni, Isabella nata nel
1542 diventerà moglie di Giordano Orsini e morirà a trentatré anni strangolata dal marito. Giovanni, il quarto
genito diventerà cardinale e a diciannove anni morirà di malaria; Lucrezia morirà a diciassette anni dopo
essere andata in sposa ad Alfonso d’Este ; Pietro, nato nel 1554, passerà alla storia per avere ucciso la
moglie Eleonora Alvarez di Toledo, nel 1576.
La morte dei figli pesò molto sulla vita familiare di Cosimo e delle moglie, specialmente la scomparsa nel
1562 di Giovanni diciannovenne e Garzia quindicenne, colpiti dalla febbre malarica. Ferdinando che aveva
tredici anni fu colpito dallo stesso morbo ma superò la malattia. Nello stesso anno morì anche Eleonora di
Toledo per la stessa malattia dei figli. La famiglia cominciò a disfarsi e Cosimo due anni dopo decise di
lasciare il potere delegando il figlio Francesco a reggere lo Stato toscano.
DAL DIARIO DELLA GRANDUCHESSA ELEONORA DI TOLEDO
Caro diario,
spesso rifletto sul mio passato e ricordo che da piccola pensavo di sposare un principe azzurro ed andare a
vivere in un castello servita e riverita. Magari!!!Sembra che in questa nuova casa sia io la serva: prima mi
occupavo di far vece a mio marito andando a controllare la ristrutturazione del palazzo e adesso debbo
occuparmi dei preparativi delle nozze di mia figlia Lucrezia.
Già, la mia bambina si sposa!
Mi pare ieri quando la vedevo succhiare il latte dalla nutrice Cristina!
Oggi sono andata dal gran maestro Carmine e insieme abbiamo deciso che nel banchetto ci saranno i tavoli
all’italiana, con un rialzo per gli sposi.
Vogliamo anche mettere delle vasche con pesciolini e retine su ogni tavolo, per far divertire le dame
nell’attesa fra una portata e l’altra; abbiamo scelto il vestito della servitù e abbiamo dato alla sala dei
Cinquecento una bellissima atmosfera. L’idea è di Carmine, che vuole riprodurre un giardino.
Metteremo sul pavimento un soffice tappeto verde che ricorda l’erba, con alcuni fiori sparsi qua e là e tanti
dipinti e arazzi che ricordano il tema.
Io ne sono entusiasta, al contrario di mio marito, che quando gli ho esposto la mia idea ha esclamato che è
troppo economico e quindi non porta rispetto agli illustri ospiti. Io non sono d’accordo, per me conta la
particolarità e la bellezza. Tanto lo so che alla fine lo convinco... Cosimo è facile da persuadere!
Un problema è la torta nuziale: a quanto ne so il futuro marito di Lucrezia mangia volentieri solo fragole,
invece lei solo pesche: va a finire che non accontento né lui né lei!
Il resto del banchetto è deciso.
Parlando di salute oggi mi sono sentita di nuovo male, è da mesi infatti che a momenti mi prende una forte
tosse che mi fa mancare il respiro. Il dottore non è sicuro su ciò che io abbia, ma mi ha consigliato di uscire
il più possibile all’aperto.
Come faccio? Qui non c’è un giardino!
Cosimo è molto preoccupato, infatti ha addirittura rimandato una importante riunione per venire a sentire
come stavo, è stato allora che mi ha detto che farà costruire un nuovo palazzo con giardino per farmi
guarire: che tesoro!!!
È venuta anche Lucrezia e ho preso l’occasione per mandarla a fare un giro in città a comprarmi alcune
medicine prescritte dal dottore: forse la tengo lontana dai preparativi delle nozze!
Ogni tanto infatti la vedo che fa l’indifferente mentre si dirige alla sala dei Cinquecento, tanto ho ordinato
ai servi di non farla entrare.
I ventidue giorni di tempo prima delle nozze stanno facendo spazientire Lucrezia, posso sembrare stupida
ma ne sono preoccupata: non voglio che in quel fatidico giorno sia troppo emozionata, le nobildonne si devono
contenere!
Ma la cosa più strana che abbia mai visto non era ancora successa, infatti subito dopo che Lucrezia è andata
sono arrivati dei messeri dal contado.
L’aggettivo più adeguato ad essi è ” bislacchi”.
Innanzitutto sono arrivati come se io non esistessi e si sono seduti prima di me, senza nemmeno un inchino!
Che maleducati!!! Ero talmente indispettita che rischiavo di perdere la mia solita gentilezza !
Subito dopo ho notato l’abbigliamento: non c’era né una seta né un lino! Per non parlare dei modelli:le dame
erano in mutandoni e i maschi erano vestiti come loro!
Non c’era né una camicia bianca ( che sporcaccioni!!!) né una braghetta!
Le dame erano particolarmente silenziose, forse per l’imbarazzo, anche io mi vergognerei se mio padre mi
mandasse in mutande!!!
Mi hanno addirittura detto che possono frequentare il compagno scelto da loro prima del matrimonio!!
Che famiglie snaturate hanno le poverette!
Ma la loro gentilezza non era male (forse dovuta alla timidezza) e anche il portamento di un certo Don
Simone, che avrebbe piacere a fare il paggio. Non ha nemmeno una voce tanto bassa: tutto ciò è positivo, ne
parlerò con Carmine.
Dopo la bizzarra visita sono andata dai miei figli e a cena ho parlato a Cosimo della visita dal contado, mi ha
promesso che andrà a controllare di persona il villaggio, spero riporti un po’ d’ordine...
Eleonora
ABITARE IL RINASCIMENTO
• CASE DEI RICCHI
• CASE DEI
CONTADINI E
DEGLI ARTIGIANI
• L’OSPITALITÀ
LE CASE DEI RICCHI
Nel Rinascimento le case divennero un po’ più luminose. Gli architetti sostituirono le strette finestre con
ampie aperture ad arco o rettangolari, pochi però potevano permettersele. I vetri erano costosissimi e per
questo solo i ricchi li applicavano alle finestre. Quelle senza vetri erano “velate” in due modi: o con una tenda
esterna o con l’antico sistema delle “impannate”, consistente nel tendere su di un telaio un panno di lino
imbevuto di trementina. Un’altra importante novità delle case rinascimentali fu il camino che si diffuse alla
fine del Trecento. Quando i proprietari potevano permetterselo, la camera da letto principale veniva
attrezzata con un camino. Nell’Europa del Nord questa camera venne chiamata “stufa”. Le camere da letto
erano il luogo in cui si svolgeva gran parte dell’esistenza: le donne vi lavoravano e vi ricevevano amici e
parenti; anche l’uomo aveva un proprio spazio in questa camera, e i fortunati che potevano permetterselo
possedevano nella casa un ambiente riservato tutto per loro: il celebre ”studiolo”.
La cucina era il luogo forse meno illuminato e, piccola o grande che fosse, era dominata da un camino che
poteva essere anche molto ampio.
La sala o salone era l’ambiente più grande della casa; nei palazzi e nelle ville era sempre splendidamente
decorata e immancabilmente fornita di camino; vi si svolgevano feste e banchetti. Nelle case più moderne, la
sala solitamente coincideva con la cucina.
Nella maggioranza delle case non vi era l’acqua corrente: bisognava andarla a prendere alla fontana più vicina.
Era abbastanza raro che le case comuni disponessero di gabinetti interni: si usavano orinali e contenitori di
vario tipo che al mattino, visto che non esistevano fogne, venivano scaricati nei pozzi neri; quando questi
erano pieni il materiale ricavato si trasformava in prezioso concime.
CASE DEI CONTADINI E DEGLI ARTIGIANI
Costituite spesso da una sola stanza, in cui viveva tutta la famiglia, le abitazioni dei contadini erano
ammassate in grosse borgate rurali o raggruppate in piccoli nuclei, intorno al luogo di lavoro. Generalmente
basse, rudimentali e mal illuminate, erano ancor meno aerate. Spesso, nei casi più estremi, il localeabitazione serviva anche da ricovero per alcuni animali da lavoro. In città, le case degli operai, non erano
certo migliori di quelle dei contadini. Basse e scomode, erano anch'esse sprovviste di ogni lusso.
Gli artigiani, invece, abitavano, di solito, case a due piani. Al pian terreno, o nel seminterrato, c'era lo spazio
dedicato all'attività professionale, e nel piano rialzato si trovava la vera e propria casa, ossia cucina,
soggiorno e camera da letto di tutta la famiglia.
Si accedeva al piano rialzato direttamente dalla strada, per mezzo di una scala di legno verticale che portava
su un balcone, anch'esso di legno.
Nel tempo, le scale furono integrate nelle abitazioni. Gli artigiani, i cui affari miglioravano, ostentavano il
loro successo economico aumentando di un piano la casa. Tre piani indicavano uno status borghese: il primo
piano era riservato alla camera da letto, il secondo al soggiorno ed il terzo alla cucina. Con la diminuzione
dell'uso del legno per le costruzioni e con il perfezionamento nella costruzione della canne fumarie, a partire
dal XV-XVI secolo, la cucina iniziò a spostarsi in basso. A partire dal XVI secolo, inoltre, con l'aumento del
costo dei terreni intorno al centro delle città commerciali, le case dei mercanti più ricchi si alzarono fino a
cinque piani.
L’OSPITALITÀ
Nel Rinascimento c’è l’usanza di ospitare i viaggiatori in casa propria. Rari sono i viaggiatori che ricorrono
agli alberghi o alle osterie del tempo: per i ricchi sono troppo scomode e sporche mentre per i poveri sono
troppo costose. Per ospitare qualcuno per prima cosa bisogna adibire un appartamento se si è ricchi,se si è
poveri una stanza ma basta che questa sia pulita. La biancheria va profumata ed è sempre meglio offrire una
coperta in più anziché una in meno e bisogna assicurarsi che l’ospite non abbia né troppo caldo né troppo
freddo. All’epoca c’era l’usanza di lasciare i lumi accesi che verranno spenti in seguito dall’ospite. Bisogna
ricordare di far spogliare e asciugare il forestiero e di dargli abiti puliti e di non coinvolgerlo,appena
arrivato, in qualsiasi discussione. Si deve in oltre evitare di investire l’ospite con le presentazioni di famiglia
e di dargli i propri figli in braccio. Non importa rispettare eccessivamente l’etichetta, così che l’ospite si
senta più a suo agio.
IN TAVOLA
• INTRODUZIONE
• LA DIETA DEL
POPOLO
• LA DIETA DELLA
BORGHESIA
• LE BUONE
MANIERE
• BANCHETTI
FAMOSI
• CURIOSITÀ
INTRODUZIONE
Il punto più alto dell’arte della tavola e della cucina ricercata è senz’altro stato raggiunto in epoca
rinascimentale. Gli addetti al servizio della tavola sono dei professionisti che, per gli allestimenti dei
banchetti si avvalgono della collaborazione d’artisti e artigiani. L’Italia rinascimentale vanta dei cuochi tanto
abili da portare l’alta cucina italiana al massimo grado di raffinatezza e prestigio.
LA DIETA DEL POPOLO
Il “Libro dei Buoni Costumi” di Paolo da Certaldo è una fonte preziosissima per le regole del mangiar bene,
che sono differenziate in base alle classi sociali. Viene raccomandato, per esempio, ai poveri di cucinare una
volta al giorno, la mattina, e di conservare i cibi cotti per la sera e soprattutto di star leggeri per dormire
meglio. Prima di recarsi al lavoro, viene consigliata una colazione composta da una fetta di pane e mezzo
bicchiere di vino. I più poveri consumano altri due pasti: la còmestio (il desinare alle undici) e il prandium (la
cena) più lungo perché le persone, libere da impegni, possono trattenersi di più a tavola. Sobria, secondo i
commenti d’epoca è la cena del Popolino, il cui menù è composto soprattutto da farinacei, ortaggi, frutti e
alcune erbe, usate anche come conservanti. Con alcune di queste erbe si possono cucinare piatti che durano
un paio di giorni. Arricchisce la mensa, qualche uovo fritto e arrotolato su se stesso che prende il nome di
pesceduovo.
Il pane è senza sale sicuramente perché costosissimo e difficile da trovare. Il pane è la base della cucina: i
poveri lo mangiano da solo mentre, i ricchi lo usano come base su cui appoggiare gli arrosti. Viene preparato
in casa, ma cotto nei forni pubblici. Per la sua importanza su tutte le tavole, il pane è un dono sempre
gradito. Esso viene, per questo, distribuito come particolare omaggio in occasioni di cerimonie quali le
nascite e le nozze e persino le esequie.
Quando il pane diventa molto duro si prepara la “panata”, una minestra di pane grattugiato, uova e formaggio.
Molto usate sono le minestre e la pasta. La carne si mangia solo per le grandi occasioni. Limitato è l’uso delle
spezie, molto costose, trecento grammi di zafferano costano quanto un cavallo e una noce moscata quanto
sette buoi.
LA DIETA DELLA BORGHESIA
La cena della media borghesia comincia con verdure crude seguite da qualche piccione, da formaggio di capra
e termina con la frutta. Molto graditi sono anche i fegatelli e le polpettine di fegato. Ma la base della sua
alimentazione è la pasta, che viene condita in vari modi. I più ghiotti la mangiano persino fritta o la cucinano
nell’aglio. La pasta, chi può, la accompagna con vino che, si dice, fa molto bene alla salute: procura buon
umore, migliora la digestione, rasserena l’intelletto, rende il cuore gioioso e aumenta il calore corporeo. La
classe più ricca, infine, ha un menù di lusso. Non mancano, tuttavia, le leggi, soprattutto da parte della
Chiesa, per moderare gli eccessi: la prima prescrive dei giorni fissi in cui fare digiuno; durante i banchetti
non possono essere fornite più di due once di zucchero; non possono, infine, essere serviti a tavola più di
due piatti di carne, nei giorni di grasso, o di pesce, nei giorni di magro. Tali divieti, come sempre,
difficilmente vengono rispettati.
LE BUONE MANIERE
Le buone maniere, che oggi consideriamo ovvie e naturali, hanno una storia che ha origine nelle corti
quattrocentesche e cinquecentesche,dove vennero elaborati comportamenti per ogni occasione che dovevano
caratterizzare l’aristocratico. Giovanni Della Casa nel suo famoso Galateo, detta le regole delle buone
maniere ovvero “Il bon ton” cui oggi si fa ancora riferimento. Leggiamo un passo che riguarda il
comportamento a tavola:
“ Non istà bene grattarsi sedendo a tavola. Dobbiamo guardarci di prendere il cibo così ingordamente che
perciò si generi singhiozzo o altro spiacevol atto... Non istà medesimamente bene a fregarsi i denti con la
tovagliuola, e meno col dito chè sono atti difformi... Non si conviene empirsi di vivanda ambedue i lati della
bocca sì che le guance si gonfino..”
All’uomo raffinato, Della Casa consiglia di non mettere il naso, per odorare, nel bicchiere o nel piatto altrui,
di non offrire al vicino un cibo da lui già assaggiato, di non usare lo stuzzicadenti, di non guardare dentro il
fazzoletto con cui ci si è soffiato il naso ed altro ancora..
BANCHETTI FAMOSI: LE NOZZE DI LORENZO IL MAGNIFICO
Il 4 Giugno 1469 si celebrano, con favolosi festeggiamenti, nella chiesa di S.Lorenzo le nozze di Lorenzo con
Clarice Orsini. Tra le giornate di venerdì e sabato arrivano a Palazzo Medici 150 vitelli, 400 galline e papere,
oltre a pesci, cacciagione e numerosissime botti di vino che Lorenzo, generosamente, distribuisce al popolo.
Le tavole, ben cinque, vengono sistemate nel portico, nella loggia e nel cortile del palazzo. La sposa fa il suo
ingresso nel palazzo a cavallo, accompagnata da un corteo di cavalieri tra musiche festanti. Dalle finestre
del palazzo pendono rami di olivo, simbolo di festa e di pace. Come vuole la regola del tempo, le tavole delle
dame e quelle dei cavalieri sono separate. Nella loggia, al tavolo della sposa sono sedute cinquanta giovani
nobildonne, mentre le più anziane siedono ad un’altra tavola.
Le portate sono precedute da squilli di tromba e vengono servite contemporaneamente nelle varie zone in cui
è stato allestito il banchetto.
L’apparecchiatura è accuratissima. Attorno al David di Donatello ci sono alte tavole ricoperte da tovaglie,
agli angoli sono collocati bacili di ottone con i bicchieri. Sulle tavole, una grande tazza d’argento piena
d’acqua per rinfrescare bibite e bicchieri.
Al famoso banchetto tra le portate troviamo:
Anguilla rivestita con camellino:
anguilla arrosto con salsa di mollica di pane e mandorle.
Civiero de lepore:
selvaggina marinata in vino e aceto e poi cotta a lungo nello stesso sugo con moltissime cipolle e aglio.
Pavo repleno con la brognata:
tacchino ripieno con salsa di prugne.
Roso in cisame:
arrosto di vitello affettato e coperto da una salsa a base di uova sode.
Torta de fagiani o pizzoni:
pasticcio di fagiani e piccioni.
Torta in balconata:
una pasta frolla con mandorle e canditi.
Malmona:
torta di riso aromatizzata all’arancia.
LE POSATE: DAL BIDENTE ALLA FORCHETTA
In passato si mangiava con le mani e, per pulirle dall’unto, servi premurosi versavano sulle dita dell’acqua
profumata, porgendo poi una salvietta calda.
A volte il cibo era bollente e quindi, come facevano gli antichi romani, si usavano ditali protettivi in cuoio. La
forchetta viene probabilmente introdotta verso l’anno 1000 a Venezia. Il suo uso era riservato solo alle
signore della nobiltà infatti pare che la prima forchetta sia un bidente d’oro. Le prime forchette sono
forconcini in legno, che i toscani chiamano “forcula” da cui nome forchetta. Sino al Rinascimento la
forchetta con il coltello, da sempre usato, si appoggia in modo contrario a quanto facciamo oggi.
STORIA DEL SORBETTO
Nella cucina rinascimentale viene usato il sorbetto servito in bicchieri di vetro dal bordo allargato. E’ denso
ma ancora liquido ed è preparato con sciroppi di limoni, di arance e succhi di frutta. I sorbetti sono lisci e
spumosi e si ottengono lavorando e facendo gelare una crema vaniglia ed aggiungendovi il succo del frutto
preferito. Il sorbetto si serve a fine pranzo o a metà, come oggi, se il banchetto è molto ricco: serve per
digerire le prime, elaborate vivande, e preparare il palato ai nuovi forti sapori.
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