Comments
Transcript
Indiana Jones e la maledizione dell`idolo
L’ A V V E N T U R A Campbell Black Indiana Jones e la maledizione dell’idolo Questa avventura che ti proponiamo, con la quale si apre il romanzo, è ambientata nella foresta peruviana. Indiana Jones è coinvolto in una situazione molto pericolosa e rischiosa: riuscirà a impossessarsi della preziosa statuetta d’oro e a salvarsi dalle grinfie dei suoi nemici? GENERI 1. Indy: diminutivo di Indiana e soprannome dell’eroe. 2. idolo: statuetta sacra cui si attribuiscono caratteri e poteri divini. 3. issarsi: sollevarsi, ti- rarsi su. 4. bagnasciuga: zona di una spiaggia dove arriva il flusso delle onde e che per questo appare ora bagnata e ora asciutta. 1 5. Forrestal: nome dell’archeologo che aveva tentato di impossessarsi della preziosa statuetta, prima di Indiana Jones. Indy1 sentiva le pietre del Tempio che cadevano, i pilastri che crollavano. La maledizione dell’idolo2, pensò. Gli restava solo una cosa da fare, non aveva scelta: doveva saltare. Doveva correre il rischio, saltare. Dietro di lui l’inferno esplodeva dalla terra e davanti c’era la voragine. Doveva saltare. Saltare. Prese fiato. Si lanciò con quanta forza aveva in corpo. Poteva solo sperare di cadere dall’altra parte della voragine. Ma non fu così. Avvertiva l’oscurità sottostante, sentiva l’odore dell’umidità, che saliva da sotto. Tese in avanti le mani, cercando un appiglio, una cornice, qualunque cosa a cui aggrapparsi; sentì i polpastrelli toccare il margine del baratro, un margine che si sfaldava. Cercò di issarsi3, mentre la terra cedeva sotto le sue mani e alcuni sassi si liberavano e piombavano nel pozzo. Fece oscillare le gambe, affondò le mani nel terreno, lottò come un pesce finito sul bagnasciuga4, cercando di guadagnarsi la salvezza. Con grande fatica, gemendo per lo sforzo, colpendo la parete della voragine con le gambe, tentava di tirarsi su. Non poteva lasciare che quel farabutto di peruviano se la filasse con l’idolo. Fece oscillare di nuovo le gambe, scalciò, cercò un punto di leva che l’aiutasse a issarsi fuori, qualcosa, qualunque cosa, non importava che cosa. Intanto il Tempio crollava come un povero cappello di paglia che si disfa in un uragano. Emise un grugnito, affondò più che poté le dita nel bordo di terra, fece uno sforzo tremendo e cominciò a issarsi, mentre quasi sentiva il rumore delle unghie che gli si spezzavano sotto il peso del corpo. Più forte, pensò, più forte. Spinse, accecato dal sudore, con i nervi che cominciavano a tremargli. Si concesse una pausa, cercando di radunare le forze, di riorganizzare le energie, che gli si stavano affievolendo. Poi si issò di nuovo, millimetro dopo millimetro, con estenuante fatica. Finalmente riuscì a spingere una gamba al di sopra del margine e a ruotare il bacino, guadagnando il terreno: terreno solo relativamente sicuro, visto che tremava minacciando di aprirsi da un momento all’altro. Scosso e sfinito, si mise in piedi. Si girò dalla parte da cui era fuggito Satipo. Era andato verso la stanza in cui avevano trovato i resti di Forrestal5, la stanza con le punte di ferro. La camera della tortura. Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education GENERI L’ A V V E N T U R A 6. in completo coloniale: con giacca e pan- taloni di colore fra il marrone e il giallo sabbia; abbigliamento tipico degli occidentali che vivevano nelle colonie. 7. Belloq: archeologo francese, rivale di Indiana Jones. 8. si sdraiarono: per i 2 guerrieri l’idolo è un oggetto sacro, da venerare. D’un tratto capì che cosa sarebbe successo al peruviano, d’un tratto capì quale sarebbe stata la sua sorte prima ancora di udire il terribile scatto metallico delle punte di ferro, prima ancora di sentire l’eco del grido spaventoso del peruviano. Restò in ascolto, poi corse verso la stanza. Satipo era appeso su un lato, trafitto come una grottesca, gigantesca farfalla della collezione di un pazzo. «Adiós, Satipo» disse. Gli prese l’idolo dalla tasca, passò tra le punte di ferro e imboccò il corridoio sull’altro lato. Davanti a sé vedeva l’uscita, il riquadro di luce, gli alberi della foresta poco oltre. Dietro, il rombo della distruzione cresceva, riempiendogli le orecchie, facendogli vibrare tutto il corpo. Si girò e vide con orrore un masso che rotolava per il corridoio verso di lui, aumentando via via di velocità. Ecco l’ultima trappola, pensò. Partì di corsa. A tutta velocità si precipitò verso l’uscita inseguito dall’enorme masso che gli rotolava alle spalle. Si buttò verso il riquadro di luce e scivolò sull’erba fitta all’esterno, un attimo prima che il masso si incastrasse, con un tonfo, nell’apertura, sigillando per sempre il Tempio. Esausto, senza fiato, restò adagiato sulla schiena. Se l’era vista brutta. Ne era valsa la pena, però, eccome! Contemplò l’oggetto d’oro. Era ancora in contemplazione quando un’ombra oscurò la statuetta. Trasalì. Alzò la testa e socchiuse gli occhi. Due guerrieri Hoviti lo guardavano. Avevano i feroci colori di guerra pitturati sulla faccia e tenevano le loro lunghe cerbottane di bambù come lance. Indy non era però particolarmente preoccupato per la presenza degli indios. La sua paura era dovuta all’uomo bianco che stava tra i due, in completo coloniale6, con tanto di casco. Indy restò in silenzio, ammutolito dallo stupore nel riconoscere quell’individuo. L’altro gli sorrise e il suo fu un sorriso di ghiaccio, un sorriso di morte. «Belloq7»disse Indy. Di tutte le persone al mondo, proprio Belloq. Belloq si chinò a prendergli l’idolo, si gustò la visione per qualche tempo, rigirandoselo tra le mani e con un’espressione di profonda ammirazione disse: «Forse lei aveva creduto che io ci avessi rinunciato; ma una volta di più constatiamo che non c’è niente che lei abbia e che io non possa sottrarle». Indy guardò i guerrieri. «E gli Hoviti si aspettano che lei consegni loro l’idolo?» «Infatti» disse Belloq. Indy rise. «Molto ingenui.» «Proprio» rispose Belloq. «Certo che se parlasse la loro lingua, potrebbe ovviamente metterli in guardia.» «Ovviamente» disse Indy. Belloq si girò verso il gruppo dei guerrieri e sollevò in alto l’idolo; allora i guerrieri si sdraiarono8, faccia a terra. Ci fu un momento di improvviso silenzio, di primitiva adorazione religiosa. Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education L’ A V V E N T U R A 9. dardi: frecce. GENERI 10. idrovolante: aeroplano capace di partire eposarsi in velocità su superfici d’acqua. abrasioni: ferite, lesioni superficiali. 11. 12. rollava: oscillava. Indy si alzò piano sulle ginocchia, fissò la schiena di Belloq, guardò ancora una volta, brevemente, i guerrieri sdraiati, e partì di corsa, verso gli alberi, sapendo che di lì a un attimo gli indios si sarebbero rialzati e dalle loro cerbottane sarebbe partita una mitraglia di dardi9. Continuò a gambe levate, tra arbusti e cespugli, diretto al fiume e all’idrovolante10. Correre, doveva correre, anche se non aveva più un briciolo di energia in corpo. Correre e nient’altro. Sentì le frecce. Le sentì attraversare l’aria, incrociarsi in una melodia di morte. Correva a zig-zag, in una serpentina disperata nel sottobosco. Da dietro gli giungeva il rumore di rami spezzati, di piante calpestate. Tutt’a un tratto si sentì stranamente estraneo al proprio corpo. Non percepiva più la presenza fisica di sé. Correva automaticamente, come per un riflesso istintivo. Ogni tanto sentiva una freccia che si conficcava nella corteccia di un albero, sentiva il battito d’ali concitato degli uccelli della giungla che si alzavano in volo, lo squittire di animaletti che fuggivano davanti agli Hoviti in corsa. Corri, continuava a ripetersi, corri. Non ti fermare. Più di ogni altra cosa desiderava udire il suono vivo della corrente, desiderava rivedere il suo apparecchio. Cambiò di nuovo direzione e si ritrovò ad attraversare una radura dove fu improvvisamente allo scoperto. Sentì le grida degli Hoviti e la radura gli apparve come il centro stesso di un bizzarro bersaglio. Sentì nell’aria il sibilo di un paio di dardi, che gli sfrecciavano a pochi centimetri dalla testa. Fu di nuovo in corsa, verso il fiume. A un tratto sentì un altro rumore, un rumore che lo colmò di gioia, di esultanza: era il rumore della corrente veloce, delle rapide. Il fiume! Quanto distava ancora? Ascoltò di nuovo per essere sicuro, poi ripartì in direzione del rumore, ricaricato nel fisico, rivitalizzato nei muscoli. Più veloce ora, più forte, tuffandosi nel fogliame che lo sferzava, incurante dei tagli e delle abrasioni11. Il suono era sempre più distinguibile, rumore di acqua corrente. Emerse dagli alberi. Laggiù. In fondo al pendìo, oltre la vegetazione ostile, c’era il fiume. C’erano il fiume e l’idrovolante, che rollava12 piano nella corrente. Non esisteva immagine più gradita. (da I predatori dell’Arca perduta, trad. di T. Dobner, Salani, Milano, rid. e adatt.) 3 Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education