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La svolta linguistica nella filosofia del Novecento
I Venerdì del Liceo Jacopone La svolta linguistica nella filosofia del Novecento Marco Bastianelli Todi, 25 gennaio 2013 Ingl: the Linguistic Turn Ted: die linguistische Wende Spa: el giro lingüístico Fra: le tournant linguistique Con “filosofia linguistica” intendo la concezione secondo cui i problemi filosofici sono problemi che possono essere risolti (o dissolti) o riformando il linguaggio, o ampliando la conoscenza del linguaggio che usiamo R. Rorty Le parole di Bergmann… Tutti i filosofi linguistici parlano del mondo parlando di un linguaggio adeguato. Questa è la svolta linguistica… R. Rorty, Metaphilosophical Difficulties of Linguistic Philosophy, in Id. (ed.), The Linguistic Turn. Recent Essays in Philosophical Method, Chicago 1967); tr. it. in La svolta linguistica, Milano 1994, pp. 23-110. G. Bergmann, Meaning and Existence, Madison 1960. Perché i problemi filosofici possono essere formulati come problemi di linguaggio? Alfred Jules Ayer (1910-1989) Noi non accusiamo il metafisico di tentare l’impiego dell’intelletto in un campo dove quest’ultimo non può avventurarsi con profitto [cfr. Kant], ma di produrre enunciati che non si conformano alle sole condizioni a cui l’enunciato può avere significato A.J. Ayer, Language, Truth and Logic, London 1946(2), p. 35; tr. it. Linguaggio, verità e logica, Milano 1975, p. 12. ALLE ORIGINI… • Gottlob Frege • Bertrand Russell ANALISI DEL PENSIERO IL PENSIERO SI ESPRIME NEL LINGUAGGIO ANALISI DEL LINGUAGGIO Friedrich Ludwig Gottlob Frege (Wismar, 8 novembre 1848 – Bad Kleinen, 26 luglio 1925) Fondazione logica della matematica • Frege fu professore di logica e matematica presso l’Università tedesca di Jena. Le sue ricerche riguardavano la possibilità di fondare la teoria dei numeri e, di conseguenza, l’intero edificio matematico che ne deriva, su rigorose basi logiche. • Riteneva di poter condurre a compimento questo progetto, definito in seguito “logicista”, attraverso l’elaborazione di un simbolismo che fosse in grado di esprimere, in modo chiaro e univoco, le relazioni logiche fondamentali che presiedono all’espressione del pensiero. Linguaggio-pensiero-realtà Se cerchiamo di esprimere un pensiero sul mondo, possiamo farlo solo attraverso il linguaggio. Ma il linguaggio non sempre è CHIARO Il compito della filosofia è spezzare il dominio della parola sullo spirito umano svelando gli inganni che, nell’ambito delle relazioni concettuali, traggono origine, spesso quasi inevitabilmente, dall’uso della lingua e liberare così il pensiero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla natura dei mezzi linguistici di espressione Begriffsschrift 1899 Concetto + Scrittura = Linguaggio in formule del pensiero puro G. FREGE, Begriffsschrift, eine der arithmetischen nachgebildete Formelsprache des reinen Denkens, Halle 1879; tr. it., in ID., Logica e aritmetica. Saggi scelti, a cura di C. Mangione, Torino 1965, pp. 99-206. Ad esempio… Napolitano è esistenza Napolitano è calvo proprietà C(x) Napolitano è il Presidente della Repubblica identità x=y Categoria concettuale Linguaggio in formule Linguaggio ordinario Credo di poter rendere nel modo più chiaro il rapporto della mia ideografia con la lingua di tutti i giorni, paragonandolo al rapporto esistente fra il microscopio e l’occhio. Quest’ultimo, per l’estensione della sua applicabilità, ha una grande superiorità nei confronti del microscopio. Considerato però come apparecchio ottico, esso rivela certamente parecchie imperfezioni che di solito passano inosservate solo in conseguenza del suo intimo collegamento con la vita spirituale. Ma, non appena scopi scientifici richiedano precisione nel discernere, l’occhio si rivela insufficiente. Il microscopio invece è adatto nel modo più perfetto proprio a tali scopi, ma appunto per questo risulta inutilizzabile per tutti gli altri. […] In modo analogo la mia ideografia è uno strumento inventato per determinati intenti scientifici e non si può condannarla se essa non è di alcuna utilità per altri scopi Senso e significato (1892) Consideriamo le due proposizioni che seguono: 1. La Stella del mattino è un corpo celeste illuminato dal sole 2. La Stella della sera è un corpo celeste illuminato dal sole G. FREGE, Sinn und Bedeutung, in «Zeitschrift für Philosophie und philosophisce Kritik», 100(1892), pp. 25-50; rist. in ID., Kleine Schriften, cit., pp. 143-162; tr. it., Senso e significato, in G. FREGE, Senso, funzione e concetto. Scritti filosofici, a cura di C. Penco e E. Picardi, Roma-Bari 2001, pp. 32-57. V. AA.VV., Filosofia del linguaggio, a cura di A. Iacona e E. Paganini, Raffello Cortina, Milano 2003pp. 18-41. Il pensiero dell’enunciato la Stella del mattino è un corpo celeste illuminato dal Sole è diverso da quello dell’enunciato la Stella della sera è un corpo celeste illuminato dal Sole. Infatti, chi non sapesse che la Stella del mattino è la Stella della sera potrebbe ritenere vero il primo enunciato e falso il secondo. “Stella del mattino” “Stella della sera” Venere denota E in quali altre circostanze pensiamo a alle Stelle o a Venere? Senso, denotazione, rappresentazione La denotazione di un nome proprio è l’oggetto stesso che con esso designiamo; la rappresentazione che ne abbiamo è soggettiva. In mezzo sta il senso, che naturalmente non è più soggettivo come la rappresentazione ma non è neppure l’oggetto stesso Senza voler con ciò dare una definizione, chiamo pensiero qualcosa per cui possa in generale porsi la questione della verità […]. In base a ciò posso dire: il pensiero è il senso di un enunciato […]. Il pensiero, in sé non sensibile, si riveste dell’abito sensibile dell’enunciato e diviene così afferrabile da parte nostra. Diciamo che l’enunciato esprime un pensiero Pensiero ≠ Rappresentazione ≠ Denotazione Rappresentazioni ≠ Cose 1. Le rappresentazioni non possono venir viste o toccate, né odorate, gustate, o udite. 2. Le rappresentazioni si hanno. Si hanno sensazioni, sentimenti, umori, inclinazioni, desideri. La rappresentazione che uno ha appartiene al contenuto della sua coscienza. Il prato e le rane, il sole che li illumina sono là, non importa se io li guardo o meno. 3. Le rappresentazioni hanno bisogno di un portatore. Al confronto le cose del mondo esterno sono autonome. 4. Ogni rappresentazione ha un solo portatore; non ci sono due persone che abbiano la stessa rappresentazione E i pensieri? Quali caratteristiche hanno? G. FREGE, Der Gedanke. Eine logische Untersuchung, in «Beiträge zur Philosophie des deutschen Idealismus», 2(1918-1919), pp. 58-77; tr. it., Il pensiero, in G. Frege, Ricerche logiche, a cura di M. Di Francesco, Milano 1988, pp. 43-74. Un terzo regno va riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d’altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. Così il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, vero indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero. […]. Ed è vero non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto – così come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra C Si vede una cosa, si ha una rappresentazione, si afferra o si pensa un pensiero. Quando si afferra o si pensa un pensiero non lo si produce, ma si entra in una certa relazione con esso, che esisteva già da prima; una relazione che è differente da quella del vedere una cosa o dell’avere una rappresentazione. A B AB2 + AC2 = BC2 …per questo ci si offre la parola “afferrare” [ted.: fassen; ingl.: to grasp]. […] Col pensare non produciamo i pensieri, ma li afferriamo. Infatti ciò che ho chiamato pensiero sta nella più stretta connessione con la verità… “Fatti! Fatti! Fatti!”, invoca lo scienziato quando vuole insistere sulla necessità di una fondazione più sicura della scienza. Ma cos’è un fatto? Un fatto è un pensiero che è vero. L’attività scientifica non consiste nel creare quanto piuttosto nello scoprire pensieri veri. G. FREGE, Il pensiero, cit. G. FREGE, Senso e significato, cit. L’umanità ha un tesoro comune di pensieri che si tramanda di generazione in generazione Bertrand Arthur William Russell (Trellech, 18 maggio 1872 – Penrhyndeudraeth, 2 febbraio 1970 Seguendo Frege… SE Senso = Pensiero (= modo di parlare della cosa) ALLORA Denotazione = Cosa SINTAGMI DENOTATIVI Che non denotano alcunché “Il quadrato rotondo” “La montagna incantata” “L’attuale re di Francia” ? …la proposizione “L’attuale re di Francia è calvo” non ha senso. Ma HA SENSO, perché la comprendiamo! Il sintagma denotativo “L’attuale re di Francia”, pur avendo un senso, ammesso che l’abbia “il re di Inghilterra”, non ha certo alcuna denotazione, per lo meno in un qualsiasi senso ordinario della parola. Di qui la supposizione che “il re di Francia è calvo” debba essere un nonsenso: ma non lo è, dato che è semplicemente una proposizione falsa. Per il principio del terzo escluso, o “A è B” o “A non è B” deve essere vera. Pertanto, o “l’attuale re di Francia è calvo” o “l’attuale re di Francia non è calvo” deve essere vera. Se però elencassimo da una parte tutte le cose che sono calve e dall’altra quelle che non lo sono, in nessuna delle due liste troveremmo l’attuale re di Francia. Gli hegeliani, che amano le sintesi, ne concluderebbero probabilmente che egli porta la parrucca La soluzione di Alexius Meinong La totalità di ciò che esiste, con inclusione di quanto è esistito o esisterà, è infinitamente piccola se paragonata alla totalità degli oggetti della conoscenza». Per questo, vi è un «pregiudizio nei confronti del reale», per il quale «si considera il non-reale come puro nulla». Ad esempio, gli “oggetti ideali” (uguaglianza, diversità, ecc.) sussistono ma non esistono. La matematica, in particolare, è una scienza che non riguarda la realtà: l’essere a cui essa si riferisce non è mai l’esistenza, sebbene non si possa dire che i suoi oggetti, in qualche modo, non sussistano. Alexius von Meinong, 1853-1920 Un qualsiasi non-ente deve esser in grado di costituire l’oggetto per lo meno per i giudizi che colgono questo non-essere […]. Per sapere che non c’è alcun quadrato rotondo devo esprimere un giudizio sul quadrato rotondo […]. Chi ama espressioni paradossali potrebbe ben dire: ci sono oggetti per i quali vale che siffatti oggetti non ci sono Ogni oggetto è in qualche modo già anticipatamente dato alla nostra decisione circa il suo essere o il non-essere, in una maniera che non pregiudichi anche il suo non-essere. L’oggetto in quanto tale, senza tener conto delle particolarità occasionali o dell’apposizione (sempre/data) dell’oggettivo – si potrebbe dire forse il puro oggetto – sta “al di là dell’essere e del non essere”. [Esso] è per natura fuoriessente. Untersuchungen zur Gegenstandstheorie und Psychologie, a cura di A. von Meinong, Leipzig 1904, pp. 1-50; tr. it. a cura di E. Coccia, Sulla teoria dell’oggetto, Quodlibet, Macerata 2003. La teoria di Meinong considera ogni sintagma denotativo grammaticalmente corretto come segno di un oggetto. Così, “l’attuale re di Francia”, “il quadrato rotondo”, ecc. sono ritenuti autentici oggetti. Si ammette che oggetti simili non sussistono, ma li si considera pur sempre oggetti. Questo punto di vista è già di per sé poco convincente, ma l’obiezione principale, nei suoi confronti è che questi oggetti sono senz’altro tali da violare il principio di contraddizione. Per esempio, si afferma che l’attuale re di Francia esistente esiste, e anche che non esiste; che il quadrato rotondo è rotondo, e anche che non è rotondo, e via dicendo. Ma tutto ciò non è ammissibile, e se si scopre che una qualsiasi teoria evita simili conclusioni, essa è certamente preferibile Pertanto… L’attuale re di Francia è calvo FREGE: MEINONG: NON HA SENSO, perché “l’attuale re di Francia” non ha denotazione E’ falsa, ma “l’attuale re di Francia” è un oggetto sussistente non-esistente RUSSELL: HA SENSO ed è FALSA TEORIA DELLE DESCRIZIONI DEFINITE 1905 TEORIA DELLE DESCRIZIONI DEFINITE 1905 = L’attuale re di Francia è calvo Esiste uno e un solo x che è attualmente re di Francia e x è calvo B. RUSSELL, On Denoting, in «Mind», 14(1905), pp. 479-493; tr. it. di A. Bonomi, Sulla denotazione, in A. Bonomi (a cura di), La struttura logica del linguaggio, Bompiani, Milano 1973, pp. 179-195. L’intero regno delle non-entità quali “il quadrato rotondo” “il numero primo pari diverso da 2”, “Apollo”, “Amleto”, ecc. costituisce ora un problema risolvibile in modo soddisfacente. Si tratta di sintagmi denotativi che non denotano alcunché. […] “il quadrato rotondo è rotondo” significa “c’è una e una sola entità x che è rotonda e quadrata, e questa entità è rotonda”, che è una proposizione falsa e non vera, come sostiene Meinong. […] La nostra teoria della denotazione ci consente invece di affermare che non ci sono individui irreali. FACCIAMO IL PUNTO: sintagmi denotativi come “l’attuale re di Francia”, “il quadrato rotondo”, “la montagna incantata” non sono nomi ma DESCRIZIONI Possono essere scomposti (analisi) nei loro elementi costituenti MA FINO A CHE PUNTO SI SPINGE L’ANALISI? CONOSCENZA DIRETTA E CONOSCENZA PER DESCRIZIONE DESCRIZIONI DEFINITE E ATOMISMO LOGICO Dico che ho familiarità (I am acquainted) con un oggetto, quando ho una relazione cognitiva diretta con quell’oggetto, cioè quando sono direttamente consapevole dell’oggetto stesso. Quando parlo di una relazione cognitiva, non intendo quella sorta di relazione che costituisce un giudizio, ma quella che costituisce una presentazione (presentation) Il principio epistemologico fondamentale nell’analisi di proposizioni che contengono descrizioni è questo: Ogni proposizione che siamo in grado di comprendere deve essere interamente composta di costituenti con i quali abbiamo conoscenza diretta • B. RUSSELL, Knowledge by Acquaintance and Knowledge by Description, in «Proceedings of the Aristotelian Society», 11(1910-11), pp. 108-128; rist. in B. RUSSELL, Mysticism and Logic (1918), pp. 209-232; • B. RUSSELL, The Philosophy of Logical Atomism, 1918 (ora in B. RUSSELL, Logic and Knowledge, a cura di R.C. Marsh, Allen & Unwin, London 1956, pp. 177-281). Ludwig Josef Johann Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951) L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus 1921 La formulazione dei problemi filosofici si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio Il libro vuole dunque tracciare al pensiero un limite, o piuttosto – non al pensiero stesso, ma all’espressione dei pensieri: Ché, per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo, dunque, poter pensare quel che pensare non si può). Il limite non potrà, dunque, venire tracciato che nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non sarà che nonsenso. Wittgenstein: linguaggio e mondo • 1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. • 2 Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose. • 2.04 La totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo. L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, Kegan Paul, London 1922; tr. it. a cura di A.G. Conte, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-16, Einaudi, Torino 19986. “Picture theory of language” • 2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti. • 2.18 Ciò che ogni immagine […] deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare – correttamente o falsamente –, è la forma logica, ossia la forma della realtà. • 3.03 Noi non possiamo pensare nulla d’illogico, poiché altrimenti dovremmo pensare illogicamente. Pensiero e linguaggio • 3.1 Nella proposizione il pensiero s’esprime in modo percepibile mediante i sensi. • 3.2 Nella proposizione il pensiero può essere espresso così che agli oggetti del pensiero corrispondano elementi del segno proposizionale. • 4.024 Comprendere una proposizione è sapere che cosa accade se essa è vera. (Dunque, una proposizione la si può comprendere senza sapere se essa sia vera. Una proposizione la si comprende se si comprendono le sue parti costitutive). • 5 La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari. (La proposizione elementare è una funzione di verità di se stessa). Oltre il linguaggio ordinario • 4.002 […] Il linguaggio traveste il pensiero. Lo traveste in modo tale che dalla forma esteriore dell’abito non si può inferire la forma del pensiero rivestito; perché la forma esteriore dell’abito è formata a ben altri fini che al fine di far riconoscere la forma del corpo. Simbolismo adeguato • • • • 3.323 Nel linguaggio comune avviene molto di frequente che la stessa parola designi in modo differente – dunque appartenga a simboli differenti -, o che due parole, che designano in modo differente, esteriormente siano applicate nella proposizione allo stesso modo. Così la parola “è” appare quale copula, quale segno d’eguaglianza e quale espressione dell’esistenza; “esistere”, quale verbo intransitivo, come “andare”; “identico”, quale aggettivo; noi parliamo di qualcosa, ma anche del fatto che qualcosa avviene. (Nella proposizione “Franco è franco” – ove la prima parola è un nome di persona; l’ultima è un aggettivo – queste parole non hanno semplicemente significato differente, ma sono simboli differenti). 3.324 È così che facilmente nascono le confusioni più fondamentali (delle quali la filosofia tutta è piena). 3.325 Per evitare questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico, il quale li escluda non impiegando, in simboli differenti, lo stesso segno, e non impiegando, apparentemente nello stesso modo, segni che designano in modo differente. Un linguaggio segnico, dunque, il quale si conformi alla grammatica logica – alla sintassi logica. […] Insensatezza della filosofia tradizionale • 4.003 Le proposizioni e le domande che si sono scritte su cose filosofiche sono per la maggior parte non false, ma insensate. Perciò a domande di questa specie noi non possiamo rispondere, ma possiamo solo constatare la loro insensatezza (unsinnigkeit). Le domande e le proposizioni dei filosofi si fondano per la maggior parte sul fatto che noi non comprendiamo la nostra logica del linguaggio. • (Esse sono come la domanda, se il bene sia più o meno identico del bello). • Né meraviglia che i problemi più profondi propriamente non siano problemi. Il ruolo della filosofia • 4.11 La totalità delle proposizioni vere è la scienza naturale tutta (o la totalità delle scienze naturali). • 4.112 Lo scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un’attività. • 4.113 La filosofia delimita il campo disputabile della scienza naturale. Il senso oltre i fatti • 4.114 La filosofia deve delimitare il pensabile e, con ciò, l’impensabile. • 4.115 Essa significherà l’indicibile rappresentando chiaramente il dicibile. • 6.41 Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore che abbia valore v’è, esso dev’esser fuori d’ogni avvenire ed esser-così. Infatti, ogni avvenire ed essere-così è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev’essere fuori del mondo. • 6.4321 I fatti appartengono tutti soltanto al problema, non alla risoluzione. • 6.44 Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è. Domande senza risposta? 6.5 D’una risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda. L’enigma non v’è. Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta. 6.52 Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda; e appunto questa è la risposta. 6.521 La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparire di esso […]. Filosofia, scienza e silenzio • 6.53 Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale – dunque, qualcosa che con la filosofia nulla ha a che fare -, e poi, ogni volta che un altro voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l’altro – egli non avrebbe la sensazione che noi gli insegniamo filosofia -, eppure esso sarebbe l’unico metodo rigorosamente corretto. • 6.54 Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso su essa). Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo. • 7. Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche 1953 Quando i filosofi usano una parola – “sapere”, “essere”, “oggetto”, “io”, “proposizione”, “nome” – e tentano di cogliere l’essenza della cosa, ci si deve sempre chiedere: Questa parola viene mai effettivamente usata così nel linguaggio, nel quale ha la sua patria? Noi riportiamo le parole dal loro impiego metafisico, indietro al loro impiego quotidiano. L. Wittgenstein nel 1890 L’immagine pittografica del linguaggio • • «1. Agostino, Confessioni, I, 8: «Quando [gli adulti] nominavano qualche oggetto, e, proferendo quella voce, facevano un gesto verso qualcosa, li osservavo, e ritenevo che la cosa si chiamasse con il nome che proferivano quando volevano indicarla. Che intendessero ciò era reso manifesto dai gesti del corpo, linguaggio naturale di ogni gente: dall’espressione del volto e dal cenno degli occhi, dalle movenze del corpo e dall’accento della voce, che indica le emozioni che proviamo quando ricerchiamo, possediamo, rigettiamo o fuggiamo le cose. Così, udendo spesso le stesse parole ricorrere al posto appropriato, in proposizioni differenti, mi rendevo conto, a poco a poco, di quali cose esse fossero i segni, e, avendo insegnato alla lingua a pronunziarle, esprimevo ormai con esse la mia volontà». «In queste parole troviamo, così mi sembra, una determinata immagine della natura del linguaggio umano. E precisamente questa: Le parole del linguaggio denominano oggetti – le proposizioni sono connessioni di tali denominazioni. – In quest’immagine del linguaggio troviamo le radici dell’idea: Ogni parola ha un significato. Questo significato è associato alla parola. È l’oggetto per il quale la parola sta. L. WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford 1953; tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967. Significato e uso • «[GL1] Pensa ora a quest’impiego del linguaggio: Mando uno a far la spesa. Gli do un biglietto su cui stanno i segni: “cinque mele rosse”. Quello porta il biglietto al fruttivendolo; questi apre il cassetto su cui c’è il segno “mele”; quindi cerca in una tabella la parola “rosso” e trova, in corrispondenza ad essa, un campione di colore; poi recita la successione dei numeri cardinali – supponiamo che la sappia a memoria – fino alla parola “cinque” e ad ogni numero tira fuori dal cassetto una mela che ha il colore del campione. – Così, o pressappoco così, si opera con le parole». • «“Ma come fa a sapere dove e come deve cercare la parola ‘rosso’, e che cosa deve fare con la parola ‘cinque’?” – Bene, suppongo che agisca nel modo che ho descritto. A un certo punto le spiegazioni hanno termine. – Ma che cos’è il significato della parola “cinque”? – Qui non si faceva parola di un tale significato; ma solo del modo in cui si usa la parola “cinque”». Significato e gioco • «3. Agostino descrive, potremmo dire, un sistema di comunicazione; solo che non tutto ciò che chiamiamo linguaggio è questo sistema. […] È come se uno desse a qualcun altro questa definizione: “Il gioco consiste nel muovere cose su una superficie, secondo certe regole…” – e noi gli rispondessimo: Sembra che tu pensi ai giochi fatti sulla scacchiera; ma questi non sono tutti i giochi. Puoi rendere corretta la tua definizione restringendola espressamente a questi giochi». I giochi linguistici • «7. […] Possiamo anche immaginare che l’intero processo dell’uso delle parole, descritto nel §2, sia uno di quei giochi mediante i quali i bambini apprendono la loro lingua materna. Li chiamerò giochi linguistici [Sprachspiele; language games] […] • Inoltre chiamerò “gioco linguistico” anche tutto l’insieme costituito dal linguaggio e dall’attività di cui è intessuto». Filosofia e uso del linguaggio • «11. Pensa agli strumenti che si trovano in una cassetta di utensili: c’è un martello, una tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro, un pentolino per la colla, la colla, chiodi e viti. – Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto differenti sono le funzioni delle parole. (E ci sono somiglianze qui e là). Giochi linguistici e forme di vita • «19. […] immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita». • Qui la parola “gioco linguistico” è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita. […] • - È interessante confrontare la molteplicità degli strumenti del linguaggio e dei loro modi d’impiego, la molteplicità dei tipi di parole e proposizioni, con quello che sulla struttura del linguaggio hanno detto i logici. (E anche l’autore del Tractatus logico-philosophicus)». Significato come uso • «43. Per una grande classe di casi – anche se non per tutti i casi – in cui ce ne serviamo, la parola “significato” si può definire così: Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio. Non c’è un’essenza del gioco, ma somiglianze di famiglia • «67. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione “somiglianze di famiglia”; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s’incrociano allo stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc. – E dirò: i “giochi” formano una famiglia […] così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra. E la robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l’una all’altra. I ghiacci della metafisica e il terreno scabro del linguaggio ordinario • «107. Quanto più rigorosamente consideriamo il linguaggio effettivo, tanto più forte diventa il conflitto tra esso e le nostre esigenze. (La purezza cristallina della logica non mi si era affatto data come un risultato; era un’esigenza). […] Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; dunque abbiamo bisogno dell’attrito. Torniamo sul terreno scabro!». Filosofia come terapia • «119. I risultati della filosofia sono la scoperta di un qualche schietto non-senso e di bernoccoli che l’intelletto si è fatto cozzando contro i limiti del linguaggio. Essi, i bernoccoli, ci fanno comprendere il valore di quella scoperta». • «La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e non spiega e non deduce nulla. – Poiché tutto è lì in mostra, non c’è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non ci interessa». • «133. Non vogliamo affatto raffinare o perfezionare in modo inaudito il sistema di regole per l’impiego delle nostre parole. • La vera scoperta è quella che mi rende capace di smettere di filosofare quando voglio. – Quella che mette a riposo la filosofia, così che essa non è più tormentata da questioni che mettono in questione la filosofia stessa. […] Non c’è un metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per così dire, differenti terapie». Ricapitolando: Se i problemi filosofici sono problemi di linguaggio… … allora, a quali condizioni un enunciato ha significato? Linguaggio ideale Forma logica del linguaggio (Frege, Russell, Wittgenstein Tractatatus logico-philosophicus 1921) Linguaggio privilegiato della scienza (Neopositivismo logico – Carnap/Ayer) Linguaggio ordinario Wittgenstein (Ricerche Filosofiche 1953) Common Language Philosophy (Filosofia analitica del linguaggio ordinario – Oxford-Cambridge Philosophy) Appendici 1. Venticinque anni dopo… Quel che più mi colpisce del mio saggio del 1965 è quanto seriamente prendessi il fenomeno della “svolta linguistica”, quanto mi sembrasse prodigioso. […] Oggi mi sembra che essa sia stata poco più che una tempesta in un bicchier d’acqua accademico. Le controversie che discutevo con tanta convinzione nel 1965 […] ora sembrano decisamente roba vecchia. Se c’è mai stata una qualche verità nello slogan “i problemi della filosofia sono problemi di linguaggio”, è stata che i problemi particolari relativi alla rappresentazione discussi dai filosofi erano pseudo-problemi, creati da una cattiva descrizione della conoscenza umana. Così, nella misura in cui la svolta linguistica ha dato un contributo specifico alla filosofia, penso che esso sia stato […] di aver favorito il passaggio dal discettare sull’esperienza come medium di rappresentazione a parlare del linguaggio come tale medium: un passaggio che si è rivelato poi propizio all’accantonamento della nozione stessa di rappresentazione. R. Rorty, Venticinque anni dopo, tr. it. in La svolta linguistica, Milano 1994, pp. 139-150. 2. Logicismo = la matematica fondata su basi logiche • Professore a Cambridge (Inghilterra), come Frege ritiene che la logica formale possa costituire il fondamento rigoroso dell’intera matematica. • Sulla base delle ricerche del logico italiano Giuseppe Peano, elaborò tale progetto indipendentemente da Frege. La struttura grammaticale del linguaggio è adatta ad una gran varietà di usi. Così, essa non possiede alcuna univoca semplicità nel rappresentare i pochi semplici, sebbene altamente astratti, processi e idee che sorgono nelle catene deduttive di ragionamento impiegate […]. La proposizione “una balena è grande” rappresenta il linguaggio al meglio, dando espressione perspicua ad un fatto complicato; mentre l’analisi di “uno è un numero” conduce, nel linguaggio, ad una intollerabile prolissità. B. RUSSELL - A.N. WHITHEAD, Introduzione ai “Principia Mathematica”, tr. it. a cura di P. Parrini, La nuova Italia, Firenze 1977, p. 17 Logica e aritmetica: i numeri come classi… • Definizione di numero cardinale a partire dalla nozione logico-insiemistica di classi coestensive: – il numero 1 è definito come la classe delle classi che hanno un solo elemento; il numero 2 come la classe delle classi che hanno due elementi, e così via. DEFINIZIONE: Una classe, in generale, è l’insieme costituito da tutti gli elementi che godono di una certa proprietà. La classe dei numeri primi, ad esempio, è l’insieme di tutti i numeri che sono divisibili soltanto per se stessi e per l’unità. Ma ne deriva un paradosso… È ovvio che la classe di tutti i leoni non è un leone; tuttavia, la classe di tutte le classi è ancora una classe. Allora: C sia la classe di tutte le classi che hanno la proprietà di non essere membri di se stesse. Alla classe C, naturalmente, apparterrà la classe dei leoni. Ma cosa accade con la classe C medesima? Se C appartiene a se stessa, allora C è una classe che è membro di se stessa e, di conseguenza, C non può appartenere a C. Se invece C non appartiene a se stessa, allora, in base alla proprietà che la definisce, C dovrebbe appartenere a se stessa. Contraddizione: l’argomento si può portare all’infinito, incorrendo nella fallacia del circolo vizioso 3. Limiti e possibilità della conoscenza umana Le condizioni della possibilità dell’esperienza in generale sono a un tempo le condizioni della possibilità degli oggetti dell’esperienza, ed hanno perciò valore oggettivo in un giudizio sintetico a priori. Immanuel Kant (1724-1804) I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, riveduta da V. Mathieu, RomaBari 1995(8). Bibliografia Introduzioni alla filosofia analitica • F. D’Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Raffaello Cortina, Milano 1997, in part. pp. 205-295 • F. D’Agostini – N. Vassallo, Storia della filosofia analitica, Einaudi, Torino 2002. • E.H. Reck (ed.), From Frege to Wittgenstein: Perspectives on Early Analytic Philosophy, Oxford University Press, Oxford-New York 2002. • M. Santambrogio (a cura di), Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1992. • M. Dummett, Origins of Analytical Philosophy, in «Lingua e stile», 23(1988), n. 1, pp. 3-49 e n. 2, pp. 171-210; poi tr. ted. di J. Schulte, Ursprünge der analythischen Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1988; tr. it. di E. Picardi, Alle origini della filosofia analitica, Il Mulino, Bologna 1990; infine Origini della filosofia analitica, Einaudi, Torino 2001. • H.-J. Glock, What is Analytic Philosophy?, Cambridge University Press, Cambridge 2008. • A. Newen, Analytische Philosophie zur Einführung, Junius Verlag, Hamburg 2005; tr. it. Di V. Zini e P. Scaltriti, Filosofia analitica. Un’introduzione, Einaudi, Torino 2010.