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La svolta linguistica nella filosofia del Novecento

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La svolta linguistica nella filosofia del Novecento
I Venerdì del Liceo Jacopone
La svolta linguistica
nella filosofia del Novecento
Marco Bastianelli
Todi, 25 gennaio 2013
Ingl: the Linguistic Turn
Ted: die linguistische Wende
Spa: el giro lingüístico
Fra: le tournant linguistique
Con “filosofia linguistica” intendo la
concezione secondo cui i problemi
filosofici sono problemi che
possono essere risolti (o dissolti) o
riformando il linguaggio, o
ampliando la conoscenza del
linguaggio che usiamo
R. Rorty
Le parole di Bergmann…
Tutti i filosofi linguistici
parlano del mondo
parlando di un linguaggio
adeguato. Questa è la
svolta linguistica…
R. Rorty, Metaphilosophical Difficulties of Linguistic Philosophy, in Id. (ed.),
The Linguistic Turn. Recent Essays in Philosophical Method, Chicago 1967); tr.
it. in La svolta linguistica, Milano 1994, pp. 23-110.
G. Bergmann, Meaning and Existence, Madison 1960.
Perché i problemi filosofici possono essere formulati
come problemi di linguaggio?
Alfred Jules Ayer (1910-1989)
Noi non accusiamo il
metafisico di tentare
l’impiego dell’intelletto in un
campo dove quest’ultimo non
può avventurarsi con profitto
[cfr. Kant], ma di produrre
enunciati che non si
conformano alle sole
condizioni a cui l’enunciato
può avere significato
A.J. Ayer, Language, Truth and Logic, London 1946(2), p. 35; tr. it. Linguaggio,
verità e logica, Milano 1975, p. 12.
ALLE ORIGINI…
• Gottlob Frege
• Bertrand Russell
ANALISI DEL PENSIERO

IL PENSIERO SI ESPRIME NEL LINGUAGGIO

ANALISI DEL LINGUAGGIO
Friedrich Ludwig Gottlob Frege
(Wismar, 8 novembre 1848 – Bad Kleinen, 26 luglio 1925)
Fondazione logica della matematica
• Frege fu professore di logica e matematica presso
l’Università tedesca di Jena. Le sue ricerche
riguardavano la possibilità di fondare la teoria dei
numeri e, di conseguenza, l’intero edificio matematico
che ne deriva, su rigorose basi logiche.
• Riteneva di poter condurre a compimento questo
progetto, definito in seguito “logicista”, attraverso
l’elaborazione di un simbolismo che fosse in grado di
esprimere, in modo chiaro e univoco, le relazioni
logiche fondamentali che presiedono all’espressione
del pensiero.
Linguaggio-pensiero-realtà
Se cerchiamo di esprimere un pensiero sul mondo, possiamo farlo
solo attraverso il linguaggio. Ma il linguaggio non sempre è
CHIARO
Il compito della filosofia è spezzare il dominio della parola
sullo spirito umano svelando gli inganni che, nell’ambito
delle relazioni concettuali, traggono origine, spesso quasi
inevitabilmente, dall’uso della lingua e liberare così il
pensiero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla
natura dei mezzi linguistici di espressione
Begriffsschrift 1899
Concetto
+
Scrittura
=
Linguaggio in formule del
pensiero puro
G. FREGE, Begriffsschrift, eine der arithmetischen nachgebildete Formelsprache des reinen Denkens, Halle 1879;
tr. it., in ID., Logica e aritmetica. Saggi scelti, a cura di C. Mangione, Torino 1965, pp. 99-206.
Ad esempio…
Napolitano è
esistenza
Napolitano è calvo
proprietà
C(x)
Napolitano è il Presidente
della Repubblica
identità
x=y
Categoria
concettuale
Linguaggio in
formule
Linguaggio
ordinario
Credo di poter rendere nel modo più chiaro il rapporto
della mia ideografia con la lingua di tutti i giorni,
paragonandolo al rapporto esistente fra il microscopio
e l’occhio. Quest’ultimo, per l’estensione della sua
applicabilità, ha una grande superiorità nei confronti
del microscopio. Considerato però come apparecchio
ottico, esso rivela certamente parecchie imperfezioni
che di solito passano inosservate solo in conseguenza
del suo intimo collegamento con la vita spirituale. Ma,
non appena scopi scientifici richiedano precisione nel
discernere, l’occhio si rivela insufficiente. Il
microscopio invece è adatto nel modo più perfetto
proprio a tali scopi, ma appunto per questo risulta
inutilizzabile per tutti gli altri. […] In modo analogo la
mia ideografia è uno strumento inventato per
determinati intenti scientifici e non si può condannarla
se essa non è di alcuna utilità per altri scopi
Senso e significato (1892)
Consideriamo le due proposizioni che seguono:
1. La Stella del mattino è un corpo
celeste illuminato dal sole
2. La Stella della sera è un corpo
celeste illuminato dal sole
G. FREGE, Sinn und Bedeutung, in «Zeitschrift für Philosophie und philosophisce Kritik», 100(1892), pp. 25-50;
rist. in ID., Kleine Schriften, cit., pp. 143-162; tr. it., Senso e significato, in G. FREGE, Senso, funzione e concetto.
Scritti filosofici, a cura di C. Penco e E. Picardi, Roma-Bari 2001, pp. 32-57. V. AA.VV., Filosofia del linguaggio, a
cura di A. Iacona e E. Paganini, Raffello Cortina, Milano 2003pp. 18-41.
Il pensiero dell’enunciato
la Stella del mattino è un
corpo celeste illuminato dal
Sole è diverso da quello
dell’enunciato la Stella
della sera è un corpo
celeste illuminato dal Sole.
Infatti, chi non sapesse che
la Stella del mattino è la
Stella della sera potrebbe
ritenere vero il primo
enunciato e falso il
secondo.
“Stella del mattino”
“Stella della sera”
Venere
denota
E in quali altre circostanze pensiamo a
alle Stelle o a Venere?
Senso, denotazione, rappresentazione
La denotazione di un nome proprio è
l’oggetto stesso che con esso designiamo; la
rappresentazione che ne abbiamo è
soggettiva. In mezzo sta il senso, che
naturalmente non è più soggettivo come la
rappresentazione ma non è neppure
l’oggetto stesso
Senza voler con ciò dare una definizione,
chiamo pensiero qualcosa per cui possa in
generale porsi la questione della verità […].
In base a ciò posso dire: il pensiero è il
senso di un enunciato […]. Il pensiero, in sé
non sensibile, si riveste dell’abito sensibile
dell’enunciato e diviene così afferrabile da
parte nostra. Diciamo che l’enunciato
esprime un pensiero
Pensiero ≠ Rappresentazione ≠ Denotazione
Rappresentazioni ≠ Cose
1. Le rappresentazioni non possono venir viste o toccate, né odorate,
gustate, o udite.
2. Le rappresentazioni si hanno. Si hanno sensazioni, sentimenti, umori,
inclinazioni, desideri. La rappresentazione che uno ha appartiene al
contenuto della sua coscienza. Il prato e le rane, il sole che li illumina sono
là, non importa se io li guardo o meno.
3. Le rappresentazioni hanno bisogno di un portatore. Al confronto le cose
del mondo esterno sono autonome.
4. Ogni rappresentazione ha un solo portatore; non ci sono due persone che
abbiano la stessa rappresentazione
E i pensieri? Quali caratteristiche hanno?
G. FREGE, Der Gedanke. Eine logische Untersuchung, in «Beiträge zur Philosophie des deutschen
Idealismus», 2(1918-1919), pp. 58-77; tr. it., Il pensiero, in G. Frege, Ricerche logiche, a cura di M. Di Francesco,
Milano 1988, pp. 43-74.
Un terzo regno va riconosciuto. Ciò che vi appartiene
concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non
può venir percepito con i sensi, e d’altro lato con le cose,
perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della
cui coscienza appartenere. Così il pensiero che articoliamo
nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, vero
indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero.
[…]. Ed è vero non soltanto a partire dal momento in cui è
stato scoperto – così come un pianeta è in un rapporto di
azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra
C
Si vede una cosa, si ha una rappresentazione, si
afferra o si pensa un pensiero. Quando si afferra
o si pensa un pensiero non lo si produce, ma si
entra in una certa relazione con esso, che
esisteva già da prima; una relazione che è
differente da quella del vedere una cosa o
dell’avere una rappresentazione.
A
B
AB2 + AC2 = BC2
…per questo ci si offre la parola “afferrare” [ted.: fassen; ingl.: to grasp]. […]
Col pensare non produciamo i pensieri, ma li afferriamo. Infatti ciò che
ho chiamato pensiero sta nella più stretta connessione con la verità…
“Fatti! Fatti! Fatti!”, invoca lo scienziato quando vuole insistere sulla
necessità di una fondazione più sicura della scienza. Ma cos’è un fatto? Un
fatto è un pensiero che è vero.
L’attività scientifica non consiste
nel creare quanto piuttosto nello
scoprire pensieri veri.
G. FREGE, Il pensiero, cit.
G. FREGE, Senso e significato, cit.
L’umanità ha un tesoro
comune di pensieri che
si tramanda di
generazione in
generazione
Bertrand Arthur William Russell
(Trellech, 18 maggio 1872 – Penrhyndeudraeth, 2 febbraio 1970
Seguendo Frege…
SE
Senso = Pensiero
(= modo di parlare della cosa) ALLORA
Denotazione = Cosa
SINTAGMI DENOTATIVI
Che non denotano alcunché
“Il quadrato rotondo”
“La montagna incantata”
“L’attuale re di Francia”
?
…la proposizione “L’attuale re di Francia è calvo” non ha senso.
Ma HA SENSO, perché la comprendiamo!
Il sintagma denotativo “L’attuale re di
Francia”, pur avendo un senso, ammesso che
l’abbia “il re di Inghilterra”, non ha certo
alcuna denotazione, per lo meno in un
qualsiasi senso ordinario della parola. Di qui la
supposizione che “il re di Francia è calvo”
debba essere un nonsenso: ma non lo è, dato
che è semplicemente una proposizione falsa.
Per il principio del terzo escluso, o “A è B” o
“A non è B” deve essere vera. Pertanto, o
“l’attuale re di Francia è calvo” o “l’attuale
re di Francia non è calvo” deve essere vera.
Se però elencassimo da una parte tutte le
cose che sono calve e dall’altra quelle che
non lo sono, in nessuna delle due liste
troveremmo l’attuale re di Francia. Gli
hegeliani, che amano le sintesi, ne
concluderebbero probabilmente che egli
porta la parrucca
La soluzione di Alexius Meinong
La totalità di ciò che esiste, con inclusione di quanto è esistito o
esisterà, è infinitamente piccola se paragonata alla totalità degli
oggetti della conoscenza». Per questo, vi è un «pregiudizio nei
confronti del reale», per il quale «si considera il non-reale come puro
nulla». Ad esempio, gli “oggetti ideali” (uguaglianza, diversità, ecc.)
sussistono ma non esistono. La matematica, in particolare, è una
scienza che non riguarda la realtà: l’essere a cui essa si riferisce non
è mai l’esistenza, sebbene non si possa dire che i suoi oggetti, in
qualche modo, non sussistano.
Alexius von Meinong, 1853-1920
Un qualsiasi non-ente deve esser in grado
di costituire l’oggetto per lo meno per i
giudizi che colgono questo non-essere […].
Per sapere che non c’è alcun quadrato
rotondo devo esprimere un giudizio sul
quadrato rotondo […]. Chi ama espressioni
paradossali potrebbe ben dire: ci sono
oggetti per i quali vale che siffatti oggetti
non ci sono
Ogni oggetto è in qualche modo già
anticipatamente dato alla nostra decisione circa
il suo essere o il non-essere, in una maniera che
non pregiudichi anche il suo non-essere.
L’oggetto in quanto tale, senza tener conto delle
particolarità occasionali o dell’apposizione
(sempre/data) dell’oggettivo – si potrebbe dire
forse il puro oggetto – sta “al di là dell’essere e
del non essere”. [Esso] è per natura fuoriessente.
Untersuchungen zur Gegenstandstheorie und Psychologie, a cura di A. von
Meinong, Leipzig 1904, pp. 1-50; tr. it. a cura di E. Coccia, Sulla teoria dell’oggetto,
Quodlibet, Macerata 2003.
La teoria di Meinong considera ogni sintagma
denotativo grammaticalmente corretto come segno di
un oggetto. Così, “l’attuale re di Francia”, “il quadrato
rotondo”, ecc. sono ritenuti autentici oggetti. Si
ammette che oggetti simili non sussistono, ma li si
considera pur sempre oggetti. Questo punto di vista è
già di per sé poco convincente, ma l’obiezione
principale, nei suoi confronti è che questi oggetti sono
senz’altro tali da violare il principio di contraddizione.
Per esempio, si afferma che l’attuale re di Francia
esistente esiste, e anche che non esiste; che il quadrato
rotondo è rotondo, e anche che non è rotondo, e via
dicendo. Ma tutto ciò non è ammissibile, e se si scopre
che una qualsiasi teoria evita simili conclusioni, essa è
certamente preferibile
Pertanto…
L’attuale re di Francia è calvo
FREGE:
MEINONG:
NON HA SENSO, perché
“l’attuale re di Francia” non ha
denotazione
E’ falsa, ma “l’attuale re di
Francia” è un oggetto
sussistente non-esistente
RUSSELL:
HA SENSO ed è FALSA
TEORIA DELLE DESCRIZIONI DEFINITE 1905
TEORIA DELLE DESCRIZIONI DEFINITE 1905
=
L’attuale re di Francia è calvo
Esiste uno e un solo x che è attualmente re di Francia
e x è calvo
B. RUSSELL, On Denoting, in «Mind», 14(1905), pp. 479-493; tr. it. di A. Bonomi,
Sulla denotazione, in A. Bonomi (a cura di), La struttura logica del linguaggio,
Bompiani, Milano 1973, pp. 179-195.
L’intero regno delle non-entità quali “il quadrato
rotondo” “il numero primo pari diverso da 2”,
“Apollo”, “Amleto”, ecc. costituisce ora un
problema risolvibile in modo soddisfacente. Si
tratta di sintagmi denotativi che non denotano
alcunché. […] “il quadrato rotondo è rotondo”
significa “c’è una e una sola entità x che è
rotonda e quadrata, e questa entità è rotonda”,
che è una proposizione falsa e non vera, come
sostiene Meinong. […] La nostra teoria della
denotazione ci consente invece di affermare che
non ci sono individui irreali.
FACCIAMO IL PUNTO:
sintagmi denotativi come “l’attuale re di Francia”, “il quadrato rotondo”, “la
montagna incantata” non sono nomi ma DESCRIZIONI
Possono essere scomposti (analisi) nei loro elementi costituenti
MA FINO A CHE PUNTO SI SPINGE L’ANALISI?
CONOSCENZA DIRETTA
E
CONOSCENZA PER DESCRIZIONE
DESCRIZIONI DEFINITE E ATOMISMO LOGICO
Dico che ho familiarità (I am acquainted) con un oggetto, quando ho una
relazione cognitiva diretta con quell’oggetto, cioè quando sono
direttamente consapevole dell’oggetto stesso. Quando parlo di una
relazione cognitiva, non intendo quella sorta di relazione che costituisce
un giudizio, ma quella che costituisce una presentazione (presentation)
Il principio epistemologico fondamentale nell’analisi di proposizioni che
contengono descrizioni è questo: Ogni proposizione che siamo in grado
di comprendere deve essere interamente composta di costituenti con i
quali abbiamo conoscenza diretta
• B. RUSSELL, Knowledge by Acquaintance and Knowledge by Description, in «Proceedings of
the Aristotelian Society», 11(1910-11), pp. 108-128; rist. in B. RUSSELL, Mysticism and Logic
(1918), pp. 209-232;
• B. RUSSELL, The Philosophy of Logical Atomism, 1918 (ora in B. RUSSELL, Logic and
Knowledge, a cura di R.C. Marsh, Allen & Unwin, London 1956, pp. 177-281).
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
(Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951)
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus 1921
La formulazione dei problemi filosofici si
fonda sul fraintendimento della logica
del nostro linguaggio
Il libro vuole dunque tracciare al pensiero
un limite, o piuttosto – non al pensiero
stesso, ma all’espressione dei pensieri:
Ché, per tracciare un limite al pensiero, noi
dovremmo poter pensare ambo i lati di
questo limite (dovremmo, dunque, poter
pensare quel che pensare non si può).
Il limite non potrà, dunque,
venire tracciato che nel
linguaggio, e ciò che è oltre il
limite non sarà che nonsenso.
Wittgenstein: linguaggio e mondo
• 1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle
cose.
• 2 Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati
di cose.
• 2.04 La totalità degli stati di cose sussistenti è
il mondo.
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, Kegan Paul, London 1922; tr. it.
a cura di A.G. Conte, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-16,
Einaudi, Torino 19986.
“Picture theory of language”
• 2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.
• 2.18 Ciò che ogni immagine […] deve avere in
comune con la realtà, per poterla raffigurare –
correttamente o falsamente –, è la forma
logica, ossia la forma della realtà.
• 3.03 Noi non possiamo pensare nulla
d’illogico, poiché altrimenti dovremmo
pensare illogicamente.
Pensiero e linguaggio
• 3.1 Nella proposizione il pensiero s’esprime in modo
percepibile mediante i sensi.
• 3.2 Nella proposizione il pensiero può essere espresso così
che agli oggetti del pensiero corrispondano elementi del
segno proposizionale.
• 4.024 Comprendere una proposizione è sapere che cosa
accade se essa è vera. (Dunque, una proposizione la si può
comprendere senza sapere se essa sia vera. Una
proposizione la si comprende se si comprendono le sue
parti costitutive).
• 5 La proposizione è una funzione di verità delle
proposizioni elementari. (La proposizione elementare è
una funzione di verità di se stessa).
Oltre il linguaggio ordinario
• 4.002 […] Il linguaggio traveste il pensiero. Lo
traveste in modo tale che dalla forma
esteriore dell’abito non si può inferire la forma
del pensiero rivestito; perché la forma
esteriore dell’abito è formata a ben altri fini
che al fine di far riconoscere la forma del
corpo.
Simbolismo adeguato
•
•
•
•
3.323 Nel linguaggio comune avviene molto di frequente che la stessa parola
designi in modo differente – dunque appartenga a simboli differenti -, o che due
parole, che designano in modo differente, esteriormente siano applicate nella
proposizione allo stesso modo.
Così la parola “è” appare quale copula, quale segno d’eguaglianza e quale
espressione dell’esistenza; “esistere”, quale verbo intransitivo, come “andare”;
“identico”, quale aggettivo; noi parliamo di qualcosa, ma anche del fatto che
qualcosa avviene. (Nella proposizione “Franco è franco” – ove la prima parola è un
nome di persona; l’ultima è un aggettivo – queste parole non hanno
semplicemente significato differente, ma sono simboli differenti).
3.324 È così che facilmente nascono le confusioni più fondamentali (delle quali la
filosofia tutta è piena).
3.325 Per evitare questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico, il quale
li escluda non impiegando, in simboli differenti, lo stesso segno, e non impiegando,
apparentemente nello stesso modo, segni che designano in modo differente. Un
linguaggio segnico, dunque, il quale si conformi alla grammatica logica – alla
sintassi logica. […]
Insensatezza della filosofia tradizionale
• 4.003 Le proposizioni e le domande che si sono scritte su
cose filosofiche sono per la maggior parte non false, ma
insensate. Perciò a domande di questa specie noi non
possiamo rispondere, ma possiamo solo constatare la loro
insensatezza (unsinnigkeit). Le domande e le proposizioni
dei filosofi si fondano per la maggior parte sul fatto che noi
non comprendiamo la nostra logica del linguaggio.
• (Esse sono come la domanda, se il bene sia più o meno
identico del bello).
• Né meraviglia che i problemi più profondi propriamente
non siano problemi.
Il ruolo della filosofia
• 4.11 La totalità delle proposizioni vere è la
scienza naturale tutta (o la totalità delle
scienze naturali).
• 4.112 Lo scopo della filosofia è il
rischiaramento logico dei pensieri. La filosofia
è non una dottrina, ma un’attività.
• 4.113 La filosofia delimita il campo
disputabile della scienza naturale.
Il senso oltre i fatti
• 4.114 La filosofia deve delimitare il pensabile e, con ciò,
l’impensabile.
• 4.115 Essa significherà l’indicibile rappresentando
chiaramente il dicibile.
• 6.41 Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo
tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso
alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore
che abbia valore v’è, esso dev’esser fuori d’ogni avvenire ed
esser-così. Infatti, ogni avvenire ed essere-così è accidentale.
Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo,
ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev’essere
fuori del mondo.
• 6.4321 I fatti appartengono tutti soltanto al problema, non
alla risoluzione.
• 6.44 Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è.
Domande senza risposta?
6.5 D’una risposta che non si può formulare non
può formularsi neppure la domanda. L’enigma
non v’è. Se una domanda può porsi, può anche
avere una risposta.
6.52 Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che
tutte le possibili domande scientifiche abbiano
avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono
ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta
più domanda; e appunto questa è la risposta.
6.521 La risoluzione del problema della vita si
scorge allo sparire di esso […].
Filosofia, scienza e silenzio
• 6.53 Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente
questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni
della scienza naturale – dunque, qualcosa che con la filosofia nulla
ha a che fare -, e poi, ogni volta che un altro voglia dire qualcosa di
metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli
non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe
insoddisfacente per l’altro – egli non avrebbe la sensazione che noi
gli insegniamo filosofia -, eppure esso sarebbe l’unico metodo
rigorosamente corretto.
• 6.54 Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende,
infine le riconosce insensate, se è asceso per esse – su esse – oltre
esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso
su essa). Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che
egli vede rettamente il mondo.
• 7. Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche 1953
Quando i filosofi usano una
parola – “sapere”, “essere”,
“oggetto”, “io”, “proposizione”,
“nome” – e tentano di cogliere
l’essenza della cosa, ci si deve
sempre chiedere: Questa parola
viene mai effettivamente usata
così nel linguaggio, nel quale ha
la sua patria?
Noi riportiamo le parole dal loro
impiego metafisico, indietro al
loro impiego quotidiano.
L. Wittgenstein nel 1890
L’immagine pittografica del linguaggio
•
•
«1. Agostino, Confessioni, I, 8: «Quando [gli adulti] nominavano qualche oggetto,
e, proferendo quella voce, facevano un gesto verso qualcosa, li osservavo, e
ritenevo che la cosa si chiamasse con il nome che proferivano quando volevano
indicarla. Che intendessero ciò era reso manifesto dai gesti del corpo, linguaggio
naturale di ogni gente: dall’espressione del volto e dal cenno degli occhi, dalle
movenze del corpo e dall’accento della voce, che indica le emozioni che proviamo
quando ricerchiamo, possediamo, rigettiamo o fuggiamo le cose. Così, udendo
spesso le stesse parole ricorrere al posto appropriato, in proposizioni differenti, mi
rendevo conto, a poco a poco, di quali cose esse fossero i segni, e, avendo
insegnato alla lingua a pronunziarle, esprimevo ormai con esse la mia volontà».
«In queste parole troviamo, così mi sembra, una determinata immagine della
natura del linguaggio umano. E precisamente questa: Le parole del linguaggio
denominano oggetti – le proposizioni sono connessioni di tali denominazioni. – In
quest’immagine del linguaggio troviamo le radici dell’idea: Ogni parola ha un
significato. Questo significato è associato alla parola. È l’oggetto per il quale la
parola sta.
L. WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell,
Oxford 1953; tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967.
Significato e uso
• «[GL1] Pensa ora a quest’impiego del linguaggio:
Mando uno a far la spesa. Gli do un biglietto su cui
stanno i segni: “cinque mele rosse”. Quello porta il
biglietto al fruttivendolo; questi apre il cassetto su cui
c’è il segno “mele”; quindi cerca in una tabella la parola
“rosso” e trova, in corrispondenza ad essa, un
campione di colore; poi recita la successione dei
numeri cardinali – supponiamo che la sappia a
memoria – fino alla parola “cinque” e ad ogni numero
tira fuori dal cassetto una mela che ha il colore del
campione. – Così, o pressappoco così, si opera con le
parole».
• «“Ma come fa a sapere dove e come deve
cercare la parola ‘rosso’, e che cosa deve fare
con la parola ‘cinque’?” – Bene, suppongo che
agisca nel modo che ho descritto. A un certo
punto le spiegazioni hanno termine. – Ma che
cos’è il significato della parola “cinque”? – Qui
non si faceva parola di un tale significato; ma
solo del modo in cui si usa la parola
“cinque”».
Significato e gioco
• «3. Agostino descrive, potremmo dire, un sistema
di comunicazione; solo che non tutto ciò che
chiamiamo linguaggio è questo sistema. […] È
come se uno desse a qualcun altro questa
definizione: “Il gioco consiste nel muovere cose
su una superficie, secondo certe regole…” – e noi
gli rispondessimo: Sembra che tu pensi ai giochi
fatti sulla scacchiera; ma questi non sono tutti i
giochi. Puoi rendere corretta la tua definizione
restringendola espressamente a questi giochi».
I giochi linguistici
• «7. […] Possiamo anche immaginare che
l’intero processo dell’uso delle parole,
descritto nel §2, sia uno di quei giochi
mediante i quali i bambini apprendono la loro
lingua materna. Li chiamerò giochi linguistici
[Sprachspiele; language games] […]
• Inoltre chiamerò “gioco linguistico” anche
tutto l’insieme costituito dal linguaggio e
dall’attività di cui è intessuto».
Filosofia e uso del linguaggio
• «11. Pensa agli strumenti che si trovano in
una cassetta di utensili: c’è un martello, una
tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro, un
pentolino per la colla, la colla, chiodi e viti. –
Quanto differenti sono le funzioni di questi
oggetti, tanto differenti sono le funzioni delle
parole. (E ci sono somiglianze qui e là).
Giochi linguistici e forme di vita
• «19. […] immaginare un linguaggio significa
immaginare una forma di vita».
• Qui la parola “gioco linguistico” è destinata a mettere
in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte
di un’attività, o di una forma di vita. […]
• - È interessante confrontare la molteplicità degli
strumenti del linguaggio e dei loro modi d’impiego, la
molteplicità dei tipi di parole e proposizioni, con quello
che sulla struttura del linguaggio hanno detto i logici.
(E anche l’autore del Tractatus logico-philosophicus)».
Significato come uso
• «43. Per una grande classe di casi – anche se
non per tutti i casi – in cui ce ne serviamo, la
parola “significato” si può definire così: Il
significato di una parola è il suo uso nel
linguaggio.
Non c’è un’essenza del gioco, ma
somiglianze di famiglia
• «67. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che
con l’espressione “somiglianze di famiglia”; infatti le varie
somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si
sovrappongono e s’incrociano allo stesso modo: corporatura,
tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare,
temperamento, ecc. ecc. – E dirò: i “giochi” formano una
famiglia […] così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra
con fibra. E la robustezza del filo non è data dal fatto che una
fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di
molte fibre l’una all’altra.
I ghiacci della metafisica e il terreno
scabro del linguaggio ordinario
• «107. Quanto più rigorosamente consideriamo il
linguaggio effettivo, tanto più forte diventa il
conflitto tra esso e le nostre esigenze. (La purezza
cristallina della logica non mi si era affatto data
come un risultato; era un’esigenza). […] Siamo
finiti su una lastra di ghiaccio dove manca
l’attrito e perciò le condizioni sono in certo senso
ideali, ma appunto per questo non possiamo
muoverci. Vogliamo camminare; dunque
abbiamo bisogno dell’attrito. Torniamo sul
terreno scabro!».
Filosofia come terapia
• «119. I risultati della filosofia sono la scoperta
di un qualche schietto non-senso e di
bernoccoli che l’intelletto si è fatto cozzando
contro i limiti del linguaggio. Essi, i bernoccoli,
ci fanno comprendere il valore di quella
scoperta».
• «La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e
non spiega e non deduce nulla. – Poiché tutto è lì in mostra,
non c’è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non
ci interessa».
• «133. Non vogliamo affatto raffinare o perfezionare in
modo inaudito il sistema di regole per l’impiego delle
nostre parole.
• La vera scoperta è quella che mi rende capace di smettere
di filosofare quando voglio. – Quella che mette a riposo la
filosofia, così che essa non è più tormentata da questioni
che mettono in questione la filosofia stessa. […] Non c’è un
metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per così dire,
differenti terapie».
Ricapitolando:
Se i problemi filosofici sono problemi di linguaggio…
… allora, a quali condizioni un
enunciato ha significato?
Linguaggio
ideale
Forma logica del linguaggio
(Frege, Russell, Wittgenstein
Tractatatus logico-philosophicus
1921)
Linguaggio privilegiato della
scienza (Neopositivismo logico –
Carnap/Ayer)
Linguaggio
ordinario
Wittgenstein (Ricerche
Filosofiche 1953)
Common Language Philosophy
(Filosofia analitica del linguaggio
ordinario – Oxford-Cambridge
Philosophy)
Appendici
1. Venticinque anni dopo…
Quel che più mi colpisce del mio saggio del 1965 è quanto
seriamente prendessi il fenomeno della “svolta linguistica”, quanto
mi sembrasse prodigioso. […] Oggi mi sembra che essa sia stata poco
più che una tempesta in un bicchier d’acqua accademico. Le
controversie che discutevo con tanta convinzione nel 1965 […] ora
sembrano decisamente roba vecchia.
Se c’è mai stata una qualche verità nello
slogan “i problemi della filosofia sono
problemi di linguaggio”, è stata che i
problemi particolari relativi alla
rappresentazione discussi dai filosofi erano
pseudo-problemi, creati da una cattiva
descrizione della conoscenza umana.
Così, nella misura in cui la svolta
linguistica ha dato un contributo
specifico alla filosofia, penso che esso
sia stato […] di aver favorito il passaggio
dal discettare sull’esperienza come
medium di rappresentazione a parlare
del linguaggio come tale medium: un
passaggio che si è rivelato poi propizio
all’accantonamento della nozione stessa
di rappresentazione.
R. Rorty, Venticinque anni dopo, tr. it. in La svolta
linguistica, Milano 1994, pp. 139-150.
2. Logicismo = la matematica fondata su basi logiche
• Professore a Cambridge
(Inghilterra), come Frege
ritiene che la logica formale
possa costituire il
fondamento rigoroso
dell’intera matematica.
• Sulla base delle ricerche del
logico italiano Giuseppe
Peano, elaborò tale
progetto
indipendentemente da
Frege.
La struttura grammaticale del linguaggio è adatta
ad una gran varietà di usi. Così, essa non
possiede alcuna univoca semplicità nel
rappresentare i pochi semplici, sebbene
altamente astratti, processi e idee che sorgono
nelle catene deduttive di ragionamento
impiegate […]. La proposizione “una balena è
grande” rappresenta il linguaggio al meglio,
dando espressione perspicua ad un fatto
complicato; mentre l’analisi di “uno è un
numero” conduce, nel linguaggio, ad una
intollerabile prolissità.
B. RUSSELL - A.N. WHITHEAD, Introduzione ai “Principia
Mathematica”, tr. it. a cura di P. Parrini, La nuova Italia,
Firenze 1977, p. 17
Logica e aritmetica: i numeri come classi…
• Definizione di numero cardinale a partire dalla
nozione logico-insiemistica di classi coestensive:
– il numero 1 è definito come la classe delle classi che
hanno un solo elemento; il numero 2 come la classe
delle classi che hanno due elementi, e così via.
DEFINIZIONE: Una classe, in generale, è
l’insieme costituito da tutti gli elementi che
godono di una certa proprietà. La classe dei
numeri primi, ad esempio, è l’insieme di
tutti i numeri che sono divisibili soltanto per
se stessi e per l’unità.
Ma ne deriva un paradosso…
È ovvio che la classe di tutti i leoni non è un leone; tuttavia, la classe di tutte le classi è
ancora una classe.
Allora:
C sia la classe di tutte le classi che hanno la proprietà di non essere membri di se
stesse.
Alla classe C, naturalmente, apparterrà la classe dei leoni. Ma cosa accade con la
classe C medesima?
Se C appartiene a se stessa, allora C è una classe che è membro di se stessa e, di
conseguenza, C non può appartenere a C. Se invece C non appartiene a se stessa,
allora, in base alla proprietà che la definisce, C dovrebbe appartenere a se stessa.  Contraddizione: l’argomento si può portare all’infinito, incorrendo nella fallacia
del circolo vizioso
3. Limiti e possibilità della conoscenza umana
Le condizioni della
possibilità dell’esperienza in
generale sono a un tempo
le condizioni della
possibilità degli oggetti
dell’esperienza, ed hanno
perciò valore oggettivo in
un giudizio sintetico a
priori.
Immanuel Kant (1724-1804)
I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, riveduta da V. Mathieu, RomaBari 1995(8).
Bibliografia
Introduzioni alla filosofia analitica
• F. D’Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi
trent’anni, Raffaello Cortina, Milano 1997, in part. pp. 205-295
• F. D’Agostini – N. Vassallo, Storia della filosofia analitica, Einaudi,
Torino 2002.
• E.H. Reck (ed.), From Frege to Wittgenstein: Perspectives on Early
Analytic Philosophy, Oxford University Press, Oxford-New York 2002.
• M. Santambrogio (a cura di), Introduzione alla filosofia analitica del
linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1992.
• M. Dummett, Origins of Analytical Philosophy, in «Lingua e stile»,
23(1988), n. 1, pp. 3-49 e n. 2, pp. 171-210; poi tr. ted. di J. Schulte,
Ursprünge der analythischen Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1988; tr. it. di E. Picardi, Alle origini della filosofia analitica, Il Mulino,
Bologna 1990; infine Origini della filosofia analitica, Einaudi, Torino 2001.
• H.-J. Glock, What is Analytic Philosophy?, Cambridge University Press,
Cambridge 2008.
• A. Newen, Analytische Philosophie zur Einführung, Junius Verlag,
Hamburg 2005; tr. it. Di V. Zini e P. Scaltriti, Filosofia analitica.
Un’introduzione, Einaudi, Torino 2010.
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