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l`emiplegia nel soggetto adulto
DIPARTIMENTO DI RIABILITAZIONE E DELLE DISABILITA’ REPARTO RIABILITAZIONE INTENSIVA OSPEDALE DI SESTRI LEVANTE DOTT. VALERIA LEONI L’EMIPLEGIA NEL SOGGETTO ADULTO SOCIETA’ ITALIANA MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA S. I. M. F. E. R PAG. 01 PAG. 02 PAG. 03 PAG. 04 PAG. 05 PAG. 07 PAG. 08 PAG. 12 PAG. 14 PAG. 16 1 SOMMARIO PRESENTAZIONE INTRODUZIONE LO STROKE CAUSE E SUE CONSEGUENZE: EMIPLEGIA E DISTURBI ASSOCIATI a. LE CAUSE POSSONO ESSERE: da ischemia cerebrale da emorragia cerebrale b. SINTOMI E DEFICIT CONSEGUENTI ALLO STROKE: emiplegia e disturbi associati c. FATTORI DI RISCHIO EVOLUZIONE DELLO STROKE: IL PERCORSO VERSO LA RIABILITAZIONE COLLABORAZIONE DEI FAMILIARI: FASE ACUTA Precauzioni da osservare nel piano assistenziale Regole generali da osservare quando si posiziona il paziente - nel letto - posizionamento nel lato plegico - posizionamento sul lato sano - posizionamento supino - seduto al letto Trasferimenti assistiti - passaggio da supino a seduto sul letto - trasferimento dal letto alla carrozzina - seduto su una sedia comune o una carrozzina Rieducazione dell’attività di trasferimento - il cammino - assistenza al cammino - salita e discesa di scale Addestramento all’ADL - abbigliamento - mettersi le scarpe PAG. 18 Consigli per l’alimentazione PAG. 19 DISFAGIA PAG. 20 L’ESERCIZIO TERAPEUTICO PER IL RICUPERO DI ABILITA’ FUNZIONALI PAG. 21 FASE POST-ACUTA PAG. 23 AFASIA - LA PERSONALITA’ - IL PAZIENTE - COSA SI DEVE FARE - COSA NON SI DEVE FARE PAG. 27 IL RITORNO A CASA: IL REINSERIMENTO SOCIO-FAMILIARE PAG. 29 LA SESSUALITA’ NEL SOGGETTO EMIPLEGICO ADULTO PAG. 30 GLOSSARIO PRESENTAZIONE Quali aspettative vivono i familiari di una persona colpita da stroke? Quale percorso riabilitativo si propone per una persona con emiplegia? Quali profonde modificazioni e sensazioni vive, chi si trova improvvisamente colpito da un danno neurologico che frammenta il corpo in due parti funzionalmente divise, con gravi ripercussioni sul piano dell’autonomia motoria e relazionale e della comunicazione verbale? A quali obiettivi di recupero funzionale può realisticamente tendere un progetto riabilitativo? Questa pubblicazione è rivolta al soggetto emiplegico ed ai suoi familiari, per fornire una conoscenza della malattia e della sua evoluzione, delle modalità assistenziali e delle strategie di intervento rieducativo, degli obiettivi di recupero. Il risultato dell’intervento riabilitativo è fortemente condizionato dalla partecipazione attiva del paziente e di tutto il contesto familiare al progetto, e quindi dalle conoscenze degli obiettivi realisticamente raggiungibili e dei tempi necessari. Con questo intento è stato realizzato il manuale, comprensivo di alcuni suggerimenti pratici di nursing che appaiono utili a chi è coinvolto in programmi di assistenza al soggetto emiplegico 2 INTRODUZIONE Lo scopo primario della guida è aiutare le persone con esiti di stroke coinvolgendole, insieme con i loro familiari, nel programma di riabilitazione per ottenere i migliori risultati in termini di recupero di abilità funzionali e di qualità di vita. L’obiettivo è focalizzato sul soggetto che dopo un episodio di stroke ha sviluppato una emiparesi e/o altri deficit neurologici ed è destinato ad un programma di riabilitazione interdisciplinare e multiprofessionale. E’ importante, nella riabilitazione del paziente, predisporre un programma individuale di intervento per il soggetto e per la sua famiglia. La guida intende fornire informazioni essenziali che illustrino il potenziale percorso assistenziale del paziente dal momento in cui viene ricoverato nel Reparto di Riabilitazione, con presa in carico da parte del team riabilitativo, fino al rientro al domicilio. Vengono inoltre illustrati i ruoli delle diverse figure professionali coinvolte nel progetto riabilitativo e la terminologia più frequentemente usata nello sviluppo del programma riabilitativo individuale. 3 LO STROKE E LE SUE CONSEGUENZE: emiplegia e disturbi associati Si definisce stroke (o ictus) un evento cerebro vascolare ad esordio improvviso, con sintomi e segni legati alla sofferenza di aree cerebrali. L’Emiplegia / emiparesi è più frequentemente dovuta a disturbi della circolazione cerebrale di tipo emorragico od ischemico e più raramente a fenomeni infiammatori, traumatici, tumorali. A. LE CAUSE POSSONO ESSERE: a ISCHEMIA DEL TESSUTO CEREBRALE (infarto cerebrale) - da occlusione di vasi arteriosi a causa della formazione di trombi o emboli; - di natura emodinamica. Si crea una discrepanza tra necessità di ossigeno del tessuto cerebrale e flusso sanguigno nei vasi cerebrali, tali da provocare sofferenza e morte delle cellule nervose. b EMORRAGIA CEREBRALE - da rottura di aneurisma; - da malformazioni artero-venose; - spontanea. Si determina uno spandimento di sangue nel tessuto cerebrale che può produrre un effetto compressivo sulle cellule nervose sane. Può accompagnarsi a perdita di coscienza. c FATTORI DI RISCHIO: - IPERTENSIONE; - DIABETE; - OBESITA’; - IPERCOLESTEROLEMIA; - CARDIOPATIE; - INTERVENTI CHIRURGICI; - FUMO DI SIGARETTA; - CONSUMO DI ALCOOL. 4 B. SINTOMI E DEFICIT CONSEGUENTI ALLO STROKE: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Alterazioni del livello di coscienza (per danni cerebrali estesi); Emiparesi: deficit dell’attività motoria volontaria di una metà del corpo (dal lato opposto a quello della lesione cerebrale). Disturbi della sensibilità (al tatto, al dolore, al caldo ed al freddo; del senso di posizione e di movimento, ecc.) nella metà del corpo leso; Disturbi visivi (emianopsia, quadrantopsia) e/o dell’oculomozione; Negligenza spaziale: perdita della coscienza dell’emispazio controlesionale; il paziente trascura gli stimoli sensitivi che provengono dall’emispazio malato (si associa più frequentemente a lesioni dell’emisfero cerebrale destro); Aprassia: difficoltà ad organizzare i movimenti volontari; Paresi di nervi cranici (particolarmente VII°, con compromissione della mimica di una parte del viso); Disturbi dell’attenzione; Atassia: disturbi dell’equilibrio e della coordinazione del movimento;Disatria: deficit articolatorio linguistico; Afasia: deficit della comprensione ed espressione verbale (si associa più frequentemente a lesione dell’emisfero cerebrale di sinistra); Disfagia: difficoltà a deglutire cibi solidi e liquidi; Deficit del controllo volontario della vescica con ritenzione o perdita di urine; Dolore (localizzato e diffuso) dovuto a lesioni di particolari zone cerebrali, a contratture, ad immobilità; Anosognosia: non consapevolezza della condizione della malattia (solitamente a regressione spontanea). EVOLUZIONE DELLO STROKE IL PERCORSO VERSO LA RIABILITAZIONE Il soggetto con esiti di stroke inizia il progetto di recupero elaborato dal Team riabilitativo di cui responsabile è il Medico Fisiatra. Non appena le condizioni cliniche si sono stabilizzate, il Paziente viene sensibilizzato ed incoraggiato subito a sviluppare le attività di cura della propria persona. Il paziente ed i suoi familiari vengono informati sugli scopi del nursing assistenziale e degli esercizi rieducativi impostati e sugli effetti del trattamento nonché sulla prognosi riabilitativa. 5 La riabilitazione cerca di raggiungere, compatibilmente con l’evoluzione della malattia, obiettivi realisticamente perseguibili come: • Autonomia nelle attività quotidiane (ADL) più comuni (nutrirsi, rassettarsi, vestirsi, lavarsi). • Un cammino sicuro e ritmico (libero; autonomo con ausili; assistito). • Migliorare la comunicazione (ove sia compromessa) o educazione di nuove abilità per la comunicazione interpersonale. Le possibilità di recupero funzionale dell’arto superiore (utilizzo della mano in gestualità o attività bimanuali) sono generalmente più limitate rispetto all’arto inferiore e non sempre perseguibili. Il soggetto, e con lui i suoi famigliari, devono essere informati, fin dall’inizio del percorso riabilitativo, sugli obiettivi del programma e sulla prognosi finale, che non esprime generalmente un recupero delle precedenti abilità, ma un addestramento all’utilizzo di nuove e diverse abilità funzionali. Nei primi giorni dopo lo stroke è molto difficile fare una prognosi sicura e definitiva sulle possibilità di ricupero, anche se alcuni criteri (quali l’età avanzata, l’estensione della lesione ischemica o emorragica, la presenza di importanti malattie pregresse, la presenza di gravi disturbi neuropsicologici associati) sono assunti genericamente quali fattori influenzanti negativamente la prognosi. Al momento della dimissione dal reparto per acuti, il team riabilitativo valuta se il paziente è candidato ad un programma di riabilitazione e quale struttura è più adeguata allo scopo. Si considera, oltre ai fattori sopraesposti, la capacità fisica del paziente di tollerare l’impegno richiesto dal trattamento riabilitativo (intensivo, estensivo o intermedio) e il potenziale cognitivo residuo, indispensabile per l’apprendimento di nuove strategie motorie. 6 Il programma riabilitativo prosegue finché l’equipe responsabile del piano assistenziale ritiene possibili ulteriori progressi nel recupero funzionale; successivamente, il paziente viene restituito al proprio contesto socio-familiare con visite programmate di follow-up, per verificare il mantenimento dei risultati ottenuti e/o ulteriori possibilità evolutive delle personali performance motorie e cognitive, contestualmente ad una periodica rivalutazione della qualità di vita realizzata. COLLABORAZIONE DEI FAMILIARI La collaborazione dei familiari, impostata precocemente, risulta fondamentale; in particolare con le persone che trascorrono più tempo durante il giorno e/o la notte accanto al paziente. I parenti hanno diritto ad essere informati, ma anche il dovere di informarsi su come poter risolvere ogni problema che il paziente incontra nelle attività quotidiane, sulle strategie più adeguate da adottare, sui progressi che man mano emergono. E’ bene comunque coinvolgere il paziente ad interessarsi all’ambiente che lo circonda: • Stimolandolo opportunamente con modalità condivise da tutto il personale di assistenza. • Rispettando i tempi, spesso lunghi, per il raggiungimento di un obiettivo, senza stancarlo pretendendo risultati immediati o facendo paragoni con altri pazienti emiplegici. • Assicurando che venga garantita una buona igiene personale, soprattutto della parte plegica. • Insegnandogli a cambiare posizione nel letto o a sedersi, secondo le indicazioni ed i tempi concordati con il Fisioterapista. • Utilizzando i tutori e gli ausili proposti (Es. fascia di sostegno per l’arto superiore plegico, tutori per la postura in carrozzina, etc. ..) 7 FASE ACUTA Il paziente emiplegico presenta alcuni problemi specifici che occorre conoscere per evitare errori di nursing che comprometterebbero notevolmente la possibilità di recupero. Nella fase acuta dello stroke il paziente può essere relativamente lucido e collaborante, oppure, se le sue condizioni sono molto gravi, può essere in uno stato comatoso - confusionale. In questo periodo trascurare la mobilizzazione o le posture corrette del paziente significa favorire l’instaurarsi di danni articolari, muscolotendinei e la comparsa di piaghe da decubito che aggravano il quadro clinico e funzionale. Inizialmente il corpo del paziente tende ad assumere un atteggiamento patologico caratteristico: IL CAPO: è flesso verso il lato plegico con il viso ruotato verso il lato sano ALL’ARTO SUPERIORE: la scapola è retratta la spalla è addotta ed intraruotata il gomito flesso e pronato il polso e le dita flesse. ALL’ARTO INFERIORE: l’anca è extraruotata il piede è flesso plantarmente. IL PAZIENTE MANTIENE QUESTE POSIZIONI NON ESSENDO IN GRADO DI MODIFICARLE ATTIVAMENTE Questo giustifica la necessità di un posizionamento adeguato nel letto per evitare danni secondari che comprometterebbero la possibilità di recupero. Ad esempio, se il piede si fissa in posizione di flessione plantare, risulta difficile, in seguito, il recupero di un cammino funzionale. Precauzioni da osservare nel piano assistenziale Elenchiamo ora quello che in ogni caso è da evitare nei confronti del paziente: 1. Eseguire mobilizzazioni brusche, con sollecitazioni energiche sull’emisoma plegico (a rischio di lesioni articolari o di provocare dolore). 8 2. Tenerlo in posizioni scorrette nel letto o quando è in carrozzina. 3. Durante i trasferimenti ed i cambiamenti di postura, trazionare la spalla dell’arto superiore plegico (si può provocare la sublussazione dell’omero). 4. Sollevare il braccio plegico passivamente trazionandolo distalmente ( “non tirarlo per la mano o per il polso”) durante le attività di nursing. (quali vestirlo, lavarlo etc.) 5. Stimolare movimenti riflessi involontari (flessione dell’arto superiore, estensione dell’arto inferiore) e movimenti volontari che ricalcano gli schemi motori patologici come la chiusura della mano a pugno (non la pallina da stringere). 6. Metterlo in piedi e farlo camminare senza disposizioni precise date dal Fisioterapista o dal medico Fisiatra responsabile del piano di assistenza. 7. Affaticare il paziente con richieste di prestazioni motorie o attentive prolungate. 8. Allestire terapia infusionale (endovena, parentale) dal lato plegico. Regole generali da osservare quando si posiziona il paziente Nel letto: ♦ Evitare la posizione semiseduta. ♦ Non sollecitare il palmo della mano per evitare che questo si chiuda. ♦ Non porre superfici rigide sotto la pianta del piede in quanto una pressione in questa sede è negativa. Utilizzare cuscini soffici che permettano di sostenere e mantenere la parte del corpo nella posizione voluta per ottenere un corretto posizionamento. In fase acuta i pazienti sono poco collaboranti ed è faticoso eseguire un corretto trasferimento e spesso può essere necessaria la presenza di due operatori. I parenti in questa fase non devono prendere iniziative personali senza la supervisione del personale tecnico ed infermieristico. ♦ 9 Seguano scrupolosamente le indicazioni date poiché utili ad eseguire i trasferimenti in modo corretto evitando un eccessivo sforzo fisico. Inoltre sono fornite indicazioni su come si può controllare la parte plegica del paziente evitando posture dannose o rischi di caduta. Posizionamento nel lato plegico: ♦ Capo sostenuto da un solo cuscino. ♦ Tronco sostenuto da un solo cuscino e leggermente spostato all’indietro. ♦ Braccio plegico spostato in avanti fino ad un Angolo di 90°. ♦ Arto inferiore plegico con anca estesa e ginocchio leggermente flesso. ♦ Arto inferiore sano con flessione anca e ginocchio sostenuto da cuscino. POSIZIONAMENTO NEL LATO PLEGICO Posizionamento sul lato sano: ♦ Capo sostenuto da un solo cuscino. ♦ Tronco perpendicolare al letto. Braccio plegico posto, possibilmente, alla stessa altezza della spalla e sostenuto dal cuscino. ♦ Arto inferiore plegico sostenuto da un cuscino, con anca e ginocchio flessi(assicurarsi che il piede non penda oltre ilbordo del cuscino). ♦ POSIZIONAMENTO SUL LATO SANO ♦ Arto inferiore sano con anca estesa e ginocchio leggermente flesso. ♦ Arto superiore sano nella posizione più comoda per il paziente. 10 Posizionamento supino: E’ la meno indicata perché a rischio di piaghe da decubito in corrispondenza dell’osso sacro e del tallone. ♦ Il capo deve essere ben sostenuto da un cuscino evitando una flessione eccessiva del rachide cervicale. Un cuscino sotto la scapola e il braccio, in modo che rimanga disteso e sostenuto in posizione corretta. ♦ POSIZIONAMENTO SUPINO POSIZIONAMENTO SUPINO ♦ Un piccolo cuscino sotto il bacino e la coscia per evitare che la gamba ruoti fuori. Seduto al letto: Quando in fase acuta non è possibile trasferire il paziente su una sedia o su una carrozzina, nel momento del pasto è possibile adottare questa posizione: ♦ Si alza la testiera del letto, o si usano dei cuscini per mantenere il tronco eretto a 90° circa, lasciando il capo privo di appoggio e si posiziona un piccolo cuscino sotto le ginocchia; un tavolino regolabile, posto di fronte,permetterà al paziente di appoggiare gli arti superiori. 11 SEDUTO AL LETTO Trasferimenti assistiti Passaggio da supino a seduto sul letto: 1° MODALITA’ Si deve avvicinare il paziente al bordo del letto dal lato plegico seguendo le indicazioni date per lo spostamento laterale sul letto; si fa poi scivolare l’arto inferiore plegico fuori dal letto, si abbraccia il paziente con le mani posizionate dietro alle scapole chiedendogli di portare la parte sana fuori dal letto; lo si aiuta poi a sollevare il tronco cercando di 1° modalità imprimere la giusta rotazione. 1° modalità E’ la meno praticata poiché meno sicura per il paziente e per l’operatore. 2° MODALITA’ Si fa prima ruotare il paziente sul fianco sano poi si chiede di portare le gambe giù dal letto. A questo punto il paziente per sollevare il tronco si appoggia 2° modalità sull’arto superiore sano (prima 2° modalità sul gomito e poi sulla mano, appoggiandosi al piano del letto). L’operatore può facilitare il passaggio, ponendo una mano sultronco ed una sul bacino. 2° modalità 2° modalità Trasferimento dal letto alla carrozzina: Si avvicina la carrozzina al letto, posizionandola dal lato sano. Sempre dallo stesso lato, si toglie il bracciolo e il predellino. Una volta seduto il paziente sul letto con le gambe fuori e facendolo caricare sull’arto sano, l’operatore posiziona le mani dietro alle scapole e imprimendo una flessione del tronco e la giusta rotazione lo trasferisce in carrozzina. 12 Nella fase acuta, quando si esegue questo trasferimento, è opportuno non richiedere la stazione eretta per evitare ulteriori difficoltà sia al paziente che all’operatore e quindi eseguire un trasferimento seduto – seduto. Per il trasferimento dalla carrozzina al letto si utilizza lo stesso procedimento Attenzione a mantenere corretta la posizione sulla carrozzina. NO!!! I pazienti più collaboranti si aiutano con gli arti sani a spingersi indietro; è comunque importante sollecitarli a staccare il tronco dallo schienale prima di spingersi indietro. Quando il paziente necessita di assistenza gli si chiede di staccare il tronco dallo schienale e lo si aiuta abbracciandolo da dietro con una presa incrociata. Nel caso siano necessarie due persone, una di queste aiuta il paziente con una presa sotto le cosce. Seduto su una sedia comune o una carrozzina. 1. Trasferire il paziente su una carrozzina o su una sedia il più presto possibile è molto importante. Se lo schienale della carrozzina non dà il sostegno adeguato, si può mettere un cuscino sottile dietro la schiena. 2. Per evitare che il paziente scivoli in avanti, si può posizionare il braccio plegico su un tavolino posto davanti al paziente. 3. Il paziente potrà spostarsi autonomamente con una carrozzina appositamente modificata spingendo con l’arto superiore sano sulla guida posta sulla ruota. 1e2 13 3 Rieducazione dell’attività di trasferimento Come per la posizione seduta così anche per quella eretta si cerca di far distribuire il peso del corpo in modo bilaterale e simmetrico. L’atteggiamento spontaneo del paziente in piedi è quello di mantenere un carico disuguale sui due arti inferiori, per cui occorre stimolarlo ad appoggiare correttamente sull’arto plegico evitando posizioni scorrette del piede e del ginocchio. Bisogna ricordare che il paziente ha sempre paura di cadere e chi lo assiste deve disporsi sempre dal lato colpito per aiutarlo a caricare sull’arto plegico, per migliorare il suo equilibrio e per dargli sicurezza. Il cammino Il p eri odo di tem p o necessario per il programma di rieducazione al cammino può essere più o meno lungo. In equipe, il medico ed il fisioterapista scelgono le modalità e l’uso provvisorio o definitivo di ausili per svilupparne tutte le potenzialità. Può succedere che il paziente sia in grado di camminare, ma con modalità scorrette e/o poco sicure; in tal caso dovrà farlo solo sotto la guida del fisioterapista; e qualora sia necessario usare esclusivamente gli ausili tecnici, questi verranno opportunamente consigliati dall’equipe. Assistenza al cammino Occorre stimolare il paziente a correggere il proprio cammino, senza spingerlo o tirarlo, con le seguenti indicazioni: ☺Porsi dal lato plegico. ☺Chiedergli di fare passi uguali con entrambi gli arti. ☺Stimolare la progressione del cammino in linea retta e non obliqua. ☺Se il paziente usa un bastone, si usa il seguente schema di avanzamento: BASTONE-ARTO MALATO – ARTO SANO. 14 Salita e discesa di scale Il metodo più sicuro per far salire e scendere gradini al paziente è il seguente: 1. Nella salita far progredire l’arto sano, quello plegico raggiunge poi lo stesso gradino. 2. Nella discesa far progredire l’arto plegico, il sano raggiunge poi lo stesso gradino. In questo modo lo sforzo maggiore viene sostenuto dall’arto sano ed il paziente si sente più sicuro. Il bastone va portato sempre sul gradino successivo,prima che il paziente salga o scenda. Se è necessario uno schema differente per eseguire le scale, sarà il fisioterapista a proporlo ed insegnarlo. 15 Addestramento all’ADL (attività della vita quotidiana) Viene impostato precocemente, con modalità condivise da tutto il personale tecnico e assistenziale (fisioterapisti ed infermieri). Abbigliamento: E’ molto importante che il paziente impari al più presto a vestirsi e svestirsi da solo, anche se questo gli costa fatica e tempo e preferirebbe farlo fare da un parente o dal personale di assistenza. Ciò costituisce già un primo superamento dello stato di invalidità. Per questa attività è bene che sia il paziente a decidere cosa vuole indossare. E’ bene che tale operazione la esegua da seduto, meglio su una sedia che sul bordo del letto. Per apprendere le sequenze motorie corrette viene appositamente esercitato durante le sedute di riabilitazione. REGOLA GENERALE LA PARTE MALATA VA VESTITA PER PRIMA E SPOGLIATA PER ULTIMA. 16 Mettersi le scarpe: Il paziente può imparare nel tempo a chiudersi le scarpe con una mano sola. Le figure che seguono illustrano come devono essere predisposte le scarpe perché questa autonomia sia resa possibile. ☺Si inizia facendo un nodo nella stringa e infilandola nel primo foro di un lato della scarpa. ☺Il laccio viene tenuto fermo e lo si fa passare due volte per l’ultimo foro. ☺Si lega la stringa. ☺Per evitare i lacci si mettono chiusure di velcro a una scarpa tipo mocassino che fornisce un supporto stabile al piede. 17 Consigli per l’alimentazione Nei primi giorni dopo l’evento morboso e facile che si verifichi uno spostamento delle labbra dal lato plegico, una difficoltà nel muovere la lingua all’interno della bocca e a deglutire la saliva efficacemente (scialorrea), facendola scivolare dalle labbra dal lato della paralisi. In presenza di ridotto controllo linguale può accadere che durante le operazioni di masticazione, spostamento o impasto del bolo, parte del cibo rimanga all’interno della bocca dalla parte paralizzata. Se il deficit sensitivo è molto grave parte del cibo può cadere in faringe prima dell’inizio della deglutizione, quindi essere aspirato nelle vie aeree. La collaborazione dei parenti con gli infermieri del Reparto è indispensabile per rendere il momento del pasto piacevole e gratificante, come lo era prima dell’evento morboso. Sin dai primi giorni (in assenza di sondino naso gastrico, e dopo una accurata osservazione), è importante che il paziente ricominci ad alimentarsi da solo in attesa di un ricupero funzionale. La postura seduta, in carrozzina o nel letto, è quella più facilitante; e, se necessario, il paziente va abituato a cambiare mano (dalla destra alla sinistra o viceversa) per riprendere quella abilità primaria estremamente complessa e dinamica. Le caratteristiche di consistenza del cibo da impiegare nei primi giorni sono determinate dal tipo di deficit presentato dal paziente. In generale la consistenza più favorevole al paziente è rappresentata dal cibo semiliquido al cibo semisolido, su indicazione della logopedista. Questo deve comunque essere verificato durante i primi pasti e con gli operatori responsabili. Un giusto grado di coesione del cibo riduce il rischio di aspirazione, in quanto durante la fase orale, il bolo difficilmente sfugge al controllo della lingua; ne deriva che i solidi e i liquidi vanno presentati separatamente e che non è opportuno suggerire di ripulirsi la bocca con un sorso d’acqua. E’ utile offrire cibi di sapore forte e definito come il dolce, l’amaro e il salato per aumentare la stimolazione in sede orale. Fondamentale è praticare una igiene orale quotidiana. Nel caso che il paziente fosse dotato di protesi dentaria, bisogna valutare il permanere della congruenza o proporre, al tempo opportuno, una revisione in funzione della modificata condizione del cavo orale. 18 DISFAGIA CHE COSA E’? È un disfunzione nella deglutizione del cibo. QUALI RISCHI COMPORTA? DISIDRATAZIONE MALNUTRIZIONE INFEZIONI BRONCOPOLMONARI COME SI RICONOSCE? IL PAZIENTE DISFAGICO, MENTRE MANGIA, TOSSISCE SPESSO OPPURE MOSTRA DIFFICOLTA’ NELLA DEGLUTIZIONE DEI LIQUIDI O DI CIBI DISOMOGENEI ( AD ES. PASTINA IN BRODO) ALIMENTI DA EVITARE SEMPRE IN CASO DI DISFAGIA Pastina in brodo (e in generale solidi e liquidi insieme) Minestrone con verdura in pezzi Legumi interi (piselli, fagioli, fave, lenticchie) Verdura filacciosa (spinaci, fagiolini, ecc.) Zuppe (pane o fette biscottate e latte, minestra con crostini, ecc.) Frutta secca Riso Alcolici 19 POSIZIONE CONSIGLIATA Il paziente deve mangiare in posizione seduta, con avambracci comodamente appoggiati e con il capo leggermente flesso in avanti Durante l’alimentazione lo stato di attenzione del paziente deve essere adeguato; interrompere l’alimentazione ai primi segni di stanchezza. Far procedere lentamente, con piccole quantità alla volta e solo se il boccone precedente è stato deglutito. Non far parlare il paziente durante il pasto, se non dopo aver fatto detergere la gola con qualche colpo di tosse ed aver fatto deglutire a vuoto. Ogni 2/3 deglutizioni far eseguire qualche colpo di tosse e dopo far deglutire a vuoto. Se il paziente può assumere liquidi prima di farlo bere accertarsi che in bocca non siano presenti residui di cibo e far eliminare i residui in faringe secondo le modalità indicate in precedenza. Non far distrarre il paziente durante il pasto (es. evitare di far guardare la televisione, leggere, ecc.) L’esercizio terapeutico per il recuperodi abilità funzionali Gli esercizi proposti al paziente sono elaborati dall’equipe riabilitativa: medico, fisioterapista, logopedista, infermiere, neuropsicologo e psicologo . Essi derivano dalla teoria che considera il recupero sensitivo e motorio come un processo di apprendimento in condizioni patologiche. Sono organizzati secondo complessità crescenti ed adeguati alle caratteristiche di ogni singolo paziente ed agli obiettivi ipotizzati in equIpe nel progetto riabilitativo individuale: Nella fase acuta il programma prevede generalmente: ☺Esercizi per il recupero dell’orientamento nello spazio e nel tempo. ☺Esercizi per il recupero della motilità e della sensibilità degli arti e del tronco. ☺Ricerca e mantenimento dell’equilibrio nella posizione seduta sul letto, sulla carrozzina, sulla sedia. Questi esercizi, eseguiti con l’assistenza del fisioterapista, sono la parte più importante del programma di recupero fin dai primi giorni di ricovero: non si limitano però ad una o più tecniche manuali eseguite dal Fisioterapista, ma si inseriscono nel contesto riabilitativo che guida ed organizza il comportamento del paziente. 20 FASE POSTACUTA L’attività è svolta all’interno del Reparto di Medicina Riabilitativa, in degenza continua o diurna e comprende l’insieme degli interventi valutativi, diagnostici, terapeutici finalizzati al ricupero della massima autonomia nel proprio ambiente famigliare, lavorativo, e sociale (compatibilmente con le potenzialità di ripresa emergenti dalla patologia ictale). Ogni attività diventa momento terapeutico, cui concorrono tutti gli operatori che interagiscono con il paziente: 1. Il Medico Fisiatra per gli aspetti diagnostici, clinico-riabilitativi e prognostici: per la stesura del progetto riabilitativo ed il suo monitoraggio. 2. La Caposala e gli Infermieri Professionali del reparto che assistono il paziente per tutto quanto riguarda la somministrazione delle terapie mediche e gli aspetti assistenziali con un piano di nursing riabilitativo specifico e personalizzato. 3. I Fisioterapisti che attuano intensivamente un intervento tecnico specifico (ripetuto nell’arco quotidiano) sulla disabilità motoria e in collaborazione con gli Infermieri, rieducano il soggetto alle attività della vita quotidiana, al fine di far apprendere alla persona nuove abilità motorie utili agli obiettivi di funzionalità ipotizzati. 4. IL Logopedista – Afasiologo, che assiste i pazienti con i disturbi cognitivi, del linguaggio o della comunicazione e della deglutizione, dell’analisi spaziale, della memoria strettamente dipendenti dalla lesione cerebrale. 5. Il Neuropsicologo per la valutazione e trattamento dei disturbi cognitivi quali attenzione, memoria, ragionamento etc… 6. Lo Psicologo per i rapporti con i parenti e per il reinserimento lavorativo del paziente. 7. Gli Operatori socioassistenziali, che nell’attività si inseriscono opportunamente secondo modelli operativi che privilegiano ogni stimolazione all’autosufficienza dei singoli soggetti. In Riabilitazione “GUARIGIONE” non significa sempre ritorno alla condizione di vita precedente, ma, soprattutto, elaborazione ed addestramento di nuove condotte motorie che permettono il recupero della funzione (a volte parziale) anche in presenza di una menomazione permanente. Un esempio significativo si può riscontrare al momento del pasto. L’emiplegia causa spesso impossibilità all’uso di un arto superiore o, per lo meno, della mobilità completa e fine della mano. La persona non è in grado di tagliare la carne o tenere la forchetta come faceva prima 21 dell’evento morboso, ma tramite l’uso di utensili opportunamente modificati viene recuperata la funzione e quindi migliorata l’autonomia nell’alimentazione. I familiari svolgono un ruolo fondamentale perché, coinvolti dagli operatori, proseguono in modo corretto l’allenamento alle nuove abilità, aiutando il paziente a ritornare nuovamente soggetto attivo. Settimanalmente l’equipe si incontra per confrontarsi sul programma di intervento multiprofessionale integrato per ogni paziente ricoverato in funzione dei risultati progressivamente conseguiti. I parenti dei singoli degenti sono invitati periodicamente ad aggiornarsi con i responsabili del programma sui risultati raggiunti e sull’evoluzione del percorso riabilitativo, esprimendo eventuali nuovi quesiti. Nel reparto si cerca di ripristinare, il più precocemente possibile, ritmi simili a quelli della normale vita quotidiana; la persona viene educata ed allenata a muoversi autonomamente nella stanza e nel reparto, a piedi o in carrozzina; ad alzarsi dal letto prima della colazione vestendo non il pigiama, ma tuta e scarpe; ad andare in bagno, per le cure igieniche ed i bisogni fisiologici, ad assumere i pasti principali in una sala comune con gli altri ospiti per facilitare la socializzazione. Durante il ricovero vengono individuati ed eventualmente forniti, secondo le modalità prevista da normative legislative, gli ausili (carrozzina, deambulatore, bastone o altro) utili a favorire l’autonomia funzionale del soggetto in relazione alla migliore qualità di vita ipotizzabile ed esprimibile al completamento del progetto riabilitativo. La dimissione dal Reparto di Medicina Riabilitativa non coincide con il ritorno alla condizione motoria e funzionale precedente l’evento morboso e, di norma, non esaurisce gli obiettivi impostati nel progetto riabilitativo, ma esprime il momento in cui è possibile, anche in presenza di disabilità residua, il reinserimento al domicilio. Quando finalizzato a perfezionare gli obiettivi riabilitativi, il programma rieducativo continua a livello ambulatoriale, familiare e sociale (con opportune modalità di integrazione con servizi della rete extraospedaliera) ed in altre strutture di minore intensità riabilitativa. 22 AFASIA DEFINIZIONE: col termine afasia si indica la perdita della capacità di comunicare. L’afasico può quindi avere difficoltà sia a capire ciò che gli viene detto, sia ad esprimere ciò che vuol dire. Può inoltre non essere in grado di scrivere, di usare il telefono, di fare calcoli, di indicare le cose, di riconoscere l’ora, di comunicare a gesti, di orientarsi e di riconoscere luoghi anche noti, di riconoscere le persone, di godere del cinema e della televisione, di comprendere ciò che legge, di riconoscere gli oggetti e il loro uso, di comunicare i suoi stati d’animo emotivi. Il paziente afasico può presentare molti di questi disturbi o solo alcuni. Oltre ai disturbi di movimento, il paziente può presentare, a volte, anche disturbi visivi: può avere difficoltà a vedere un oggetto spostato troppo lateralmente alla sua destra o alla sua sinistra (emianopsia laterale omonima). La personalità Il paziente afasico deve essere trattato come una persona matura ed intelligente, poiché l’incapacità a comunicare non sta ad indicare un deficit mentale globale (E’ infatti raro che al disturbo afasico si associ un quadro di demenza). Possono manifestarsi delle modificazioni di vario tipo della personalità; queste lo fanno apparire diverso ai famigliari e agli amici. Si stanca più facilmente rispetto al periodo precedente l’evento ictale. E’ meno attento, ha meno interesse per la gente e per gli svaghi, ha maggiore tendenza a ridere o a piangere, maggiore tendenza ad occuparsi di cose secondarie. Può non essere interessato o esserlo troppo alla cura della propria persona. In certi momenti può essere tranquillo e abbastanza sereno, in altri un piccolo insuccesso nell’esprimersi o nel fare qualcosa può provocare irascibilità o comunque reazioni eccessive (riso, pianto, …). Può non desiderare molti dei suoi amici e congiunti finché non si è maggiormente adattato alla sua incapacità di comunicare. Occorre perciò dopo un certo periodo incitarlo ad uscire da questo isolamento 23 Ha spesso buona memoria per fatti accaduti prima dell’inizio dell’afasia, ma scarsa memoria per fatti dall’inizio dell’afasia. Il paziente afasico è una persona che non ha perso la propria intelligenza e i propri sentimenti, ma ha difficoltà a convertire il pensiero in parole o le parole in pensiero o entrambe le funzioni. Questo paziente ha bisogno di un aiuto incondizionato da parte dei famigliari che devono renderlo il più autosufficiente possibile non sostituendosi a lui, ma cercando di reinserirlo nel più normale contesto familiare. Il paziente Presenta notevoli oscillazioni nelle sue capacità sia da un giorno all’altro, sia da momento a momento nel corso della stessa giornata. Può apparire confuso quando nella conversazione si alternano frequentemente più persone. Occorre perciò che la famiglia tenga conto di ciò, non alzi quindi la voce, ma parli più lentamente e usando espressioni semplici e brevi e rispettando anche le pause, estremamente importanti nel ruolo comunicativo fra parlante ed ascoltatore. Parla spesso in maniera automatica (dice per es. “come stai?” – “buongiorno”, …), perciò in una determinata circostanza può non essere in grado di usare tali espressioni. La capacità di imprecare, contare, cantare, ….. sono anch’essi esempi di linguaggio automatico. Può anche ripetere facilmente alcune parole dopo che le ha sentite, pur trovando grande difficoltà nel rievocarle spontaneamente. La famiglia non dovrà forzarlo perché creerebbe inutili tensioni e senso di frustrazione nel paziente, considerato che per poter comunicare non è solo sufficiente la volontà, ma anche la possibilità reale e residua di mettere in atto un codice comunicativo vicariante o di compenso a quello verbale. 24 COSA SI DEVE FARE: Contribuire al suo miglioramento creando un ambiente sereno ed incoraggiante. Facilitargli i tentativi di comunicazione usando tutte le modalità di comunicazione (gesti, disegni, mimica), non deriderlo o criticarlo per eventuali errori in cui può incorrere, verificando quindi che la persona abbia compreso ciò di cui si sta parlando. Lasciare il tempo necessario per rispondere alle domande non manifestando segni d’impazienza o di voler parlare al posto suo. Attirare la sua attenzione prima di iniziare a parlare, chiamandolo, toccandolo e non alzando il tono di voce (non si tratta di un problema di sordità!) Stimolarlo a dire frasi corte con le parole che ha a disposizione, incoraggiandolo alla conversazione con domande che richiedano risposte anche brevi, ma intenzionali. Dare spiegazioni brevi e semplici, esponendole ordinatamente e con calma. Imparare a comprenderlo da una parola, un gesto, da una frase incompleta, da un espressione del volto. Se il Paziente è un adulto trattarlo come tale non trattarlo come un bambino (il paziente non va “sgridato”); egli ha gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti che aveva prima della malattia. Conservare le normali attività famigliari (per es. andare al ristorante, al cinema, giocare a carte, …..) 25 COSA NON SI DEVE FARE: Indurlo a tentativi troppo difficili per lui. Parlare al posto suo se non è strettamente necessario (occorre dare la possibilità di parlare per primo anche se è lento nell’esprimersi); Impedirgli di parlare distrugge la fiducia in se stesso. Inibire il paziente quando tenta di dire qualcosa. Ricordare al paziente che egli in passato comunicava bene. Affaticare il Paziente con problemi inutili. La gestione del paziente afasico prevede la presenza di più figure: la famiglia, il medico, la logopedista, il fisioterapista, il neuropsicologo, l’infermiere della riabilitazione, lo psicologo per favorire il migliore reinserimento possibile della persona afasica nel contesto relazionale abituale. 26 IL RITORNO A CASA IL REISERIMENTO SOCIO-FAMILIARE Il ritorno a casa è l’obiettivo finale di tutto il progetto riabilitativo, perseguito il più precocemente possibile fin dalla fase acuta ed ampliato durante il ricovero presso la degenza riabilitativa. Rappresenta quindi la verifica ed il mantenimento di attività funzionali già esercitate a questo scopo. E’ importante che, anche durante il ricovero in Riabilitazione, il paziente vada in permesso a casa per abituarsi al momento della dimissione. Le prime settimane seguenti la dimissione da un programma di riabilitazione sono spesso difficili, in quanto il paziente deve mettere alla prova le capacità apprese senza la tutela dell’ambiente riabilitativo cui era abituato. Successivamente si possono manifestare nuovi problemi, perché affiorano nella vita quotidiana le conseguenze dello stroke sull’autonomia e sulle relazioni familiari. Al momento della dimissione dal Reparto di Riabilitazione, provvisoria o definitiva, vengono valutate le autonomie funzionali del paziente per i bisogni primari (alimentazione, igiene personale, abbigliamento) per poter svolgere con i dovuti adattamenti e facilitazioni le attività di vita quotidiana. Vengono dati consigli ed indicazioni sulle posture corrette da adottare durante il giorno e la notte (uso corretto della sedia, piano di appoggio per l’arto superiore, cuscini per la notte); vengono insegnati esercizi semplici per il mantenimento delle abilità motorie acquisite e le sequenze corrette per l’abbigliamento. La dimissione temporanea o definitiva richiede una valutazione preliminare dell’ambiente sociale, inteso come nucleo familiare, e delle eventuali barriere architettoniche dell’abitazione, anche con una piantina della casa, per rendere la dimissione più agevole. 27 Per questo occorre una valutazione del domicilio da parte del personale della riabilitazione per verificarne la sicurezza e l’efficacia delle attività di trasferimento all’interno degli ambienti (cucina, bagno, etc.). Funzione spesso assolta attraverso lo studio della piantina dell’appartamento condotto assieme ai familiari e al paziente. Analogamente deve essere fatta una valutazione “riabilitativa” per l’ambiente lavorativo abituale. Si programmano di conseguenza le opportune modifiche ambientali (es. ausili fissi nel bagno, corrimano, scivoli alternativi, tappetini antiscivolo, illuminazione adeguata, disposizione dei mobili). Queste valutazioni sono fondamentali per evitare il rischio di caduta, per togliere al paziente la paura e l’insicurezza nel muoversi all’interno di un ambiente ritenuto “non adatto”: rassicurandolo sulle sue capacità fisiche e psicologiche. Spesso con il ritorno a casa, si verifica una regressione delle abilità acquisite nell’ambiente riabilitativo, a causa dell’assenza di stimoli motivanti perché i famigliari spesse volte si sostituiscono al paziente nell’esecuzione dei compiti quotidiani anziché incoraggiarlo nell’autonomia. In questa fase di reinserimento famigliare e sociale andrebbero identificate, incoraggiate e favorite le attività ludico-ricreative e la ripresa, se le condizioni lo permettono, anche di quelle lavorative, stimolando uno stile di vita attivo. Per tutto questo è indispensabile la collaborazione dei familiari e degli amici del soggetto emiplegico. 28 LA SESSUALITA’ NEL SOGGETTO EMIPLEGICO ADULTO I problemi sessuali dovrebbero essere proposti all’attenzione del medico responsabile del caso, durante la degenza, e di nuovo affrontati dopo il rientro a casa, alla dimissione dal programma riabilitativo. L’attività sessuale generalmente diminuisce e spesso si estingue dopo lo stroke, ma il sesso resta un problema importante per il paziente. Diminuzione della libido e della capacità di raggiungere l’orgasmo sono fenomeni comuni. L’uomo può avere difficoltà di erezione e di eiaculazione sia per deficit neurologici che per gli effetti dei farmaci, fra cui soprattutto quelli usati per trattare ipertensione e disturbi cardiaci. Fattori psicologici dovuti allo stroke (modificazione dell’immagine corporea), la dipendenza nello svolgimento delle attività quotidiane di cura personale ed il ribaltamento dei ruoli possono determinare un disturbo della sessualità. I problemi sessuali sono spesso trattati in modo inadeguato; il messaggio più importante da trasmettere è che l’attività sessuale non è controindicata dopo lo stroke e che i partners devono sapersi adeguare agli effetti dei deficit motori, sensoriali e di attenzione, alla scarsa resistenza fisica, alla modificazione dell’immagine corporea e dell’autostima. Spesso sono utili interventi specialistici che diano consigli su come affrontare il problema. 29 A.D.L.: attività comuni della vita quotidiana (nutrirsi, rassettarsi, vestirsi, lavarsi, ….). AFASIA: perdita della capacità di comunicare oralmente, per segno o per scritto, oppure incapacità di comprendere tali forme di comunicazione; perdita della capacità di usare il linguaggio. AGRAFIA: incapacità di esprimere il proprio pensiero scritto. ALESSIA: incapacità di comprendere il linguaggio scritto. ANEURISMA: espansione a sacca della parete di una vena, di un’ arteria o del cuore. APRASSIA: patologia del movimento appreso non correlata con deficit di forza, coordinazione, sensibilità o comprensione. ARTERIA CAROTIDE: grossa arteria del collo. ASTEREOAGNOSIA: incapacità di riconoscere o caratterizzare oggetti al tatto. ATASSIA: patologia del movimento in cui l’attività muscolare non è coordinata. ATTACCO ISCHEMICO TRANSITORIO (T.I.A.): rapida insorgenza di deficit neurologico che regredisce spontaneamente in pochi minuti o in poche ore. AUSILIO: è un dispositivo che consente al paziente il superamento di una disabilità e la conseguente riacquisizione di una capacità funzionale perduta. AUTOSUFFICIENZA: capacità di provvedere a se stessi, svolgendo le normali attività di vita quotidiana. COGNITIVO: processo del conoscere, che comprende coscienza, percezione, ragionamento, memoria e capacità di soluzione dei problemi. 30 CONTINENZA: capacità di controllare la minzione e l’alvo. CONTROLLO MOTORIO: capacità di controllare i movimenti del corpo. CONTROLATERALE: lato opposto. COUNSELING: interventi di supporto e di istruzione, volti ad assistere il paziente o la famiglia nell’identificazione delle questione fondamentali e nella soluzione dei problemi ad essi collegati. DECADIMENTO FISICO: perdita di forma fisica come risultato dell’inattività. DEFICIT: perdita di abilità o di forza di un arto. DEMENZA: patologia mentale caratterizzata da deficit cognitivo e frequentemente da disturbo di personalità per deterioramento cerebrale. DEPRESSIONE: patologia mentale scoraggiamento e tristezza. DETERIORAMENTO: psicologiche. perdita o caratterizzata anormalità di da capacità disperazione, fisiche e/o DISABILITA’: incapacità a svolgere azioni ritenute normali per l’individuo. DISARTRIA: difficoltà nell’articolazione corretta dei linguaggio. DISFAGIA: difficoltà a deglutire. EMANOPSIA OMONIMA: deficit visivo o cecità della metà destra o sinistra del campo visivo di entrambi gli occhi. EMBOLO: coagulo o sostanza estranea nel circolo ematico che occlude un arteria o una vena. EMIINATTENZIONE: totale perdita di coscienza dell’emispazio opposto alla sede della lesione. EMIPARESI: debolezza muscolare o paralisi parziale di un lato del corpo. EMIPLEGIA: paralisi completa di un lato del corpo. EMORRAGIA: sanguinamento da rottura di un vaso. 31 EMORRAGIA SUB ARACNOIDEA: emorragia dello spazio sub aracnoideo che causa compressione a livello del cervello. ENDOARTERIECTOMIA CAROTIDEA: rimozione chirurgica di un deposito sulla parete della arteria carotide che ostruisce il lume del vaso. ESERCIZIO TERAPEUTICO: prescrizione di movimenti corporei per correggere una limitazione, migliorare la funzionalità muscolo scheletrica per migliorare lo stato di benessere ( esercizio allenamenti, fitness). FISIATRA: medico specializzato in Medicina Fisica e Riabilitazione. E’ responsabile del Progetto riabilitativo e del coordinamento del periodo riabilitativo post-stroke. FISIOTERAPISTA: laureato specializzato nel trattamento riabilitativo di Pazienti con disabilità acuta e/o stabilizzata volto al superamento del deficit motorio e sensitivo. Ha frequentato un corso universitario della durata di tre anni. GASTROSTOMIA: intervento chirurgico che apre un ingresso diretto allo stomaco, attraverso il quale si nutre il paziente (PEG). GERIATRA: medico, specializzato nella cura e nel progetto assistenziale del pazienti anziani. HANDICAP: deficit di abilità nell’adempimento di un compito usualmente svolto da individui non colpiti da stroke. Superabile o riducibile nella sua manifestazione con l’ausilio di supporti strutturali. (Es. predisposizione di elementi atti a superare le barriere architettoniche) INCONTINENZA: perdita del controllo sfinterico. INFARTO: morte dei tessuti di una parte di un organo per mancanza di nutrizione e di ossigenazione. INFERMIERE PROFESSIONALE DI RIABILITAZIONE: infermiere professionale abilitato all’assistenza riabilitativa. IPERTONO: aumento patologico del tono muscolare. IPOTENSIONE ORTOSTATICA: abbassamento della pressione sanguigna nel passaggio dalla posizione seduta a quella eretta. 32 ISTITUZIONALIZZAZIONE: ricovero a tempo indeterminato di un paziente con patologie croniche in una struttura residenziale protetta. LIMITAZIONE FUNZIONALE: riduzione o assenza di abilità a svolger un azione o un compito. LOGOPEDISTA: laureato specializzato nella valutazione e trattamento educativo e/o riabilitativo dei pazienti afasici, disartrici e disfagici. MONITORAGGIO: controlli ripetuti delle condizioni cliniche, neurologiche e funzionali di un paziente. NEGLIGENZA SPAZIALE: perdita di coscienza dell’emispazio opposto alla sede della lesione cerebrale. NEUROLOGO: medico, specializzato nella diagnosi e nel trattamento della patologie del sistema nervoso. NEUROPSICOLOGO: psicologo specializzato nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi cognitivi. OMOLATERALE: stesso lato. ORTESI: apparecchi meccanici che esercitano una pressione su parti del corpo per sorreggere, correggere o aiutare una funzione. OTA: operatore tecnico ausiliario. PERCEZIONE: riconoscimento conscio di uno stimolo sensoriale. PERSEVERAZIONE: involontaria e patologica persistenza di una risposta verbale e motoria indipendente dallo stimolo e dalla sua durata. PIAGA DA DECUBITO: ulcerazione cutanea da prolungata pressione in pazienti a letto o in carrozzina. PSICOLOGO: valuta le condizioni mentali, cognitive ed emotive dei pazienti; esegue trattamenti di recupero psicologico, in collaborazione con il team riabilitativo. REPARTO DI RIABILITAZIONE: struttura sanitaria organizzata e gestita per assicurare programmi intensivi e completi di riabilitazione medica. 33 RIABILITAZIONE ESTENSIVA: intervento riabilitativo a relativamente bassa complessità, di norma non superiore a un’ora al giorno. RIABILITAZIONE INTENSIVA: attività riabilitativa che comprende tre o più ore quotidiane di fisioterapia, terapia cognitiva e logopedica. RIABILITAZIONE SOCIALE: interventi con l’obiettivo di l’handicap, sull’attività della vita quotidiana e di relazione. minimizzare SOMATOAGNOSIA: perdita di coscienza, dell’emicorpo apposto alla sede della lesione. SPASTICITA’: anormale incremento del tono muscolare. STENOSI: riduzione del calibro di un vaso. STROKE: patologia acuta neurologica di origine vascolare con sintomi e segni che corrispondono al coinvolgimento di un area focale del cervello. STROKE EMORRAGICO: stroke da rottura di vaso cerebrale. STROKE ISCHEMICO: stroke causato da un insufficiente apporto di sangue al cervello. TERAPIA OCCUPAZIONALE: la terapia occupazionale si occupa dell’addestramento del paziente a svolgere compiti e attività richiesti nella vita quotidiana. TERAPISTA OCCUPAZIONALE: laureato, con il compito di favorire ed addestrare il paziente alle abilità motorie e non, che permettano un reinserimento nel proprio domicilio e nella vita sociale. TROMBOEMBOLIA: embolo che origina da un coagulo vasale e occlude un vaso in un altro territorio. TROMBOSI: formazione di un coagulo all’interno di un vaso sanguigno. VESCICA NEUROLOGICA: anomala funzione vescicale da danno del sistema nervoso. 34 ANNOTAZIONI: 35 36 37 DIPARTIMENTO DI RIABILITAZIONE E DELLE DISABILITA’ S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa - Ospedale di Sestri Levante Responsabile: dr. Valeria Leoni LA STRUTTURA La struttura complessa Medicina Fisica e Riabilitativa è articolata in : 1 Degenza Riabilitativa di secondo livello (Riabilitazione Intensiva ) presso il polo ospedaliero di Sestri Levante Via A. Terzi 43/A 1 Day hospital riabilitativo presso il polo ospedaliero di Sestri Levante Via A. Terzi 43/a 4 Servizi ambulatoriali per adulti (Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Rapallo.) 2 Servizi ambulatoriali per minori (Lavagna, Sestri Levante. ) CI OCCUPIAMO DI : - attività diagnostico- terapeutica in regime di ricovero - attività di consulenza e riabilitazione presso i reparti per acuti . - attività di diagnosi e riabilitazione ambulatoriale. - attività didattica-formativa per studenti del corso di Laurea in Fisioterapia e del corso di Laurea in Scienze Infermieristiche 38 MODALITA’ DI ACCESSO: Per i pazienti degenti in poli ospedalieri di questa ASL o di altre ,la richiesta di ricovero avviene tramite la compilazione ,da parte del medico del reparto di appartenenza o del fisiatra, di un modulo pre- stampato inviato via Fax. Il paziente viene quindi segnalato sul registro delle prenotazioni in ordine cronologico,con annotazione dei dati anagrafici e clinici. Il registro è gestito e conservato dalla Capo Sala(tel 0185/488939) DIMISSIONE: La data di dimissione viene comunicata dai medici del reparto con anticipo, spesso è preceduta da permessi giornalieri di ritorno al domicilio, concordati con i familiari, utili a valutare eventuali difficoltà e problematiche comportamentali e organizzative. Al momento della dimissione viene consegnata una lettera nella quale vengono riportate le informazioni relative al ricovero, le eventuali terapie da seguire a casa e quando necessario le modalità peri il proseguimento del trattamento riabilitativo. NUMERI UTILI Segreteria 0185/488915 Ambulatorio 0185/488916 Palestra 0185/488914 Reparto 0185/488941 Fax 0185/488984 e-mail [email protected] Contenuti elaborati dall’équipe della S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa Realizzazione: Enrico Codda Impostazione Grafica: Ufficio Stampa 39 cg