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La scuola di Chicago - Dipartimento di Scienze sociali e politiche

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La scuola di Chicago - Dipartimento di Scienze sociali e politiche
La scuola di
Chicago e l’ecologia
urbana
L’invenzione della sociologia urbana
•La prima scuola ad avere elaborato un metodo di
indagine sociale empirica nei confronti della città.
•In precedenza erano stati gli scrittori del cosiddetto
romanzo sociale o volontari e missionari a fare per
primi ricerca sul campo dentro alla città.
•Gli autori della SC sperimentano varie tecniche
dalla mappatura all’etnografia
La città di Chicago
•L’industria della lavorazione della carne è stata per decenni il
principale polo produttivo della città, insieme all’industria pesante
dell’acciaio.
•La città si trasforma in maniera repentina tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento. Passa da 5.000 abitanti nel 1840 fino ad arrivare
a quasi 4 milioni nel 1930. Attira soprattutto migranti: nel 1900 più della
metà della popolazione di Chicago non era nata in America.
•Non tutti riescono a trovare posto come operai (per altro molto precari)
: si creano nuove forme di delinquenza – anche organizzata – cresce la
mortalità, specie infantile a causa delle cattive condizioni igieniche e
delle epidemie.
•Anche a Chicago la classe operaia tenta di organizzarsi, ma negli Usa
il capitalismo resisterà molto più duramente alle richieste avanzate dalle
classi popolari (estremamente frammentate etnicamente e
culturalmente).
•La tradizione del laissez-faire è forte, ma non manca una borghesia
illuminata che promuove il mecenatismo o le buone opere.
I grandi temi della scuola
•L’immigrazione e le relazioni etniche, la questione dell’integrazione,
dell’assimilazione e dell’adattamento dei nuovi arrivati. La città tende ad
americanizzare i migranti, la disorganizzazione sociale è compensata da un
mercato del lavoro mobile.
•La disorganizzazione. Interesse verso i fattori che disgregano la città
dovuti innanzitutto alla maggiore autonomia di azione individuale, concessa
dall’anonimato del vivere urbano.
•Il processo di individualizzazione del cittadino: le sue capacità di
adattamento al nuovo ambiente (se è un migrante), le sue capacità di
costruire o ricostruire valori sociali. L’attenzione sul singolo è dettata da un
interesse nei confronti delle storie di vita e dei processi di significazione.
•Ecologia o darwinismo? Nonostante i riferimenti alle teorie biologiche, la
scuola di Chicago rimane estranea al riduzionismo e interessata al senso
dell’agire individuale (innovativo o patologico).
Thomas e Park
•L’università di Chicago nasce nel 1892 (Rockfeller) il dipartimento di
sociologia nel 1910 per iniziativa di Albion Small che aveva studiato con
Simmel
•La sociologia di Chicago nasce con un orientamento fortemente progressista.
•William Thomas prende parte insieme a Small alla fondazione e si occupa di
fondere le due tendenze intellettuali – pratico-empirica e quella della filosofia
sociale progressista.
•Thomas era interessato a come i soggetti “definiscono la situazione”. La
metodologia che mette a punto è di tipo qualitativo: utilizza interviste e
documenti personali come lettere, diari e storie di vita.
•Questa metodologia era particolarmente interessante per studiare le
condizioni di vita degli immigrati. La prospettiva non è più quella della visione
teorica dall’alto, ma quella della visione dall’interno. Il suo studio insieme a
Znanieki sugli immigrati polacchi pubblicato nel 1920 è ancora uno dei
massimi esempi di questo metodo.
• Costretto a lasciare l’università di Chicago, l’opera di Thomas viene
continuata e sviluppata dal suo collaboratore Robert Park, approdato tardi in
università e con un passato da cronista investigativo. Anche Park aveva
frequentato le lezioni di Simmel.
Park
•Park è un uomo interessato più alla ricerca sul campo che alla teoria:
afferma che la società va considerata come il prodotto delle interazioni poste
in essere tra gli individui.
•Park individua quattro processi interattivi fondamentali nello spazio urbano:
•- la competizione: in senso darwiniano è la forma più elementare di
interazione sociale (“ordine biotico” della città).
•- il conflitto: è una conseguenza della competizione, riguarda le azioni del
singolo individuo e ne determina la sua posizione e il suo status sociale,
dominante o subordinato.
•- l’accordo: implica la cessazione del conflitto e l’assegnazione stabile delle
posizioni e degli status di potere, definiti e consolidati da leggi e consuetudini.
•- l’assimilazione: è un processo di compenetrazione e di fusione che può
seguire l’accordo, secondo Park è caratteristico della città che riesce a
integrare economicamente e culturalmente i vari migranti e le sue varie
componenti sociali, anche se tutti conservano la loro identità e status.
Park: la città come modo di vita
•Il primo importante saggio di Park risale al 1915: reduce dal soggiorno in
Germania risente molto dell’influenza di Simmel.
•Egli ritiene che la città sia qualcosa di più di un insieme di persone, istituzioni,
servizi, amministrazioni, più o meno organizzate: la città è uno stato d’animo,
un insieme di atteggiamenti e sentimenti organizzati in costumi, tradizioni e
modi di comportamento.
•Oltre che da Simmel, Park riprende questa concezione da un altro autore
tedesco Spengler (ancora più pessimista di Simmel riguardo al futuro della
civilizzazione urbana) che ritiene che la città produce una sua cultura specifica.
•La psicologia collettiva è un elemento chiave dell’analisi della città secondo
Park. L’alta mobilità della popolazione comporta infatti anche un’instabilità
complessiva delle masse che tra l’altro possono essere facilmente manipolate
dai nuovi mezzi di comunicazione.
Park e la prospettiva ecologica
•La biologia evoluzionista – invece di quella di classe - costituisce la matrice
teorica dei primi approcci di ricerca: la città è letta come una serie di ambienti
naturali, dove gli individui si avvicendano attraverso storie di inserimento,
sopraffazione, dominio, conflitto, accordo e assimilazione.
•Secondo Park, nella città diversificata e cosmopolita l’individuo può scegliere
con “chi stare”, non è obbligato a seguire la tradizione ma può frequentare
persone a lui più congeniali e la sua “compagnia” gli fornirà il sostegno morale
e la giustificazione dei comportamenti da lui scelti.
•La città si divide così un una molteplicità di regioni morali (quella del vizio e
quella borghese, quella bohemien, quella operaia, quella dei singles, ecc.) non
sempre però la compagnia è “scelta” spesso ci si trova a vivere lì e ci si adatta.
La prospettiva ecologica
•Questo approccio naturalistico presuppone l’esistenza di uno spazio
urbano lasciato al laissez-faire e ai meccanismi del mercato, così come
legato a una forte divisione del lavoro e dei ruoli sociali. E alla quasi
assenza di pianificazione urbana.
•Gli allievi della scuola di Chicago hanno dato origine a due filoni di ricerca :
uno marco-sociologico interessato agli aspetti urbanistico territoriali e quindi
ai cambiamenti strutturali della città. Uno microsociologico e antropologico,
interessato all’analisi etnografica e specifica di alcuni aspetti dell’ambiente
urbano.
•Burgess e McKenzie sono i principali rappresentanti del primo approccio
•Gli autori dell’approccio etnografico sono soprattutto: Anderson, Thrasher,
Wirth, Zorbaugh, Cressey.
Burgess e Mckenzie
•Park, insieme ai suoi due allievi Burgess e McKenzie, scrive un libro
chiave per la Scuola di Chicago: The City (1925) . Gli autori propongono
un modello astratto che vuole rappresentare l’espansione urbana “come
processo” dinamico, per cerchi concentrici.
•Il modello è generale e presuppone che una città si sviluppi in maniera
radiale a partire da un centro.
•L’espansione non produce solo un effetto fisico e materiale, ma crea
anche delle precise aree sociali: la zona di transizione mescola industrie e
quartieri abitati spesso con loro specificità etniche o di offerta commerciale
(es i quartieri dei locali notturni).
•La città si estende perché ciascun anello interno tende ad espandersi e a
invadere la zona circostante, questo processo viene spiegato ricorrendo
alla metafora dell’ecologia vegetale. Espandendosi la struttura urbana
tende a riprodursi come una pianta che crescendo forma foglie nuove ma
sempre uguali.
Il modello concentrico
La scuola di
Chicago
Burgess e Mckenzie
•Questo tipo di sviluppo prevede due dinamiche contrapposte ma
complementari: accentramento e decentramento. Le reti di
comunicazione e di trasporto tendono ad avere una direzione di
accentramento ovvero a convergere verso il centro cittadino (Loop).
•Anche la zona di transizione fatta da quartieri etnici tende ad essere
attirata verso il centro (es per gli acquisti) indebolendo così la loro natura
comunitaria e indipendente.
•L’ingrandirsi della città implica però che i vari quartieri sviluppino a loro
volta dei centri locali (per lo più di tipo commerciale e culturale)
rappresentando così la seconda forza dello sviluppo urbano quella del
decentramento.
•Questo tipo di sviluppo e queste doppie tensioni di accentramento e
decentramento sono secondo i tre autori parte di processi di
metabolizzazione: ovvero la città incorpora e “digerisce” spazi
trasformandoli e adattandoli, gli individui stessi vengono metabolizzati
dentro la città.
La metabolizzazione: opportunità e limiti
•Tale complessità comporta anche rischi di disorganizzazione che si
esprimono sia nella delinquenza dei non inseriti, sia nelle forme di
disadattamento e malattia mentale. Significa che il metabolismo sociale non
ha ben funzionato.
•D’altra parte il continuo arrivo di migranti si abbatte come un’onda d’urto sui
quartieri dell’area di transizione destabilizzandoli ogni volta, ma spesso anche
offrendo energie e idee nuove.
•I tre autori in una prospettiva simmelliana ritengono che la città sia un luogo
cosmopolita e stimolante, ma l’individuo può anche non riuscire a gestire
questa pluralità di stimoli cadendo nel patologico e nella devianza. Le zone
urbane della corruzione e della promiscuità, così evidenti, erano per loro il
riflesso urbano di questa corruzione del singolo.
Burgess sostenitore della prospettiva ecologica
•Sottolinea soprattutto l’aspetto ecologico e oggettivista, piuttosto che la
ricerca sul campo
•Formalizza la prospettiva ecologica, ispirata alla scienze naturali,
all’ecologia animale e vegetale, ma anche alle teorie della differenziazione
sociale di Durkheim.
•Il suo è un approccio darwiniano e naturalistico del conflitto e della
competizione, ben diverso dall’approccio marxista che mette in gioco la
categoria del potere.
•La lotta violenta per l’esistenza : in aree dove si succedono popolazioni
diverse ma sempre dedite prevalentemente ad attività illegali. Altre volte
invece, proprio per l’evoluzione “ecologica” della città, un’area prima
degradata viene recuperata e ritorna borghese (è il processo che oggi si
chiama di gentrification) oppure viceversa un’area di classe media si
degrada e diventa area marginale perché viene abbandonata dalla
borghesia.
Burgess: il loop
- la zona del centro detta anche il Loop è quella dei quartieri direzionali della
city, della vita economica e politica della città, ma contiene anche sacche di
povertà
- la zona di transizione è ancora più mista mescola industrie e quartieri abitati
spesso con loro specificità etniche o di offerta commerciale (es i quartieri del
vizio e dei locali notturni, quartiere delle camere in affitto). Qui ci sono i quartieri
etnici degli ultimi arrivati (stanno in case fatiscenti e a basso costo).
- La zona residenziale operaia è solitamente modesta, ma più gradevole
rispetto ai quartieri più degradati dell’area di transizione. Qui abita buona parte
dell’aristocrazia proletaria, i bianchi anglosassoni o gli immigrati bianchi arrivati
per primi (tedeschi, svedesi, ecc.).
- L’area dei sobborghi borghesi è solitamente fatta di villette e prevede aree
verdi e attrezzate, grande sicurezza pubblica.
- La zona dei lavoratori pendolari è abitata da piccola classe media che non
può permettersi un alloggio in città e non vuole abitare in zone degradate, si
tratta di uomini che si fermano nelle camere ammobiliate in città durante la
settimana.
Il loop
Le prospettive etnografiche: Anderson e gli Hobo (1923)
-Anderson segue Simmel nell’identificare una specifica tipologia di personaggio
urbano.
-L’hobo è un lavoratore itinerante precario (talvolta volutamente) è un nomade dello
spazio urbano cambia spesso città spostandosi con le ferrovie. E’ un tipico prodotto
dell’America che esalta la mobilità come forma di libertà.
-Queste figure esistono ancora oggi, spesso vivono in roulotte o in camper, perché
non possono permettersi altro.
•Chicago che era un grande terminal ferroviario è stata a lungo la capitale degli hobo,
molti di loro vivevano in squallide pensioni nella “zona di transizione” entrando in
contatto con altre realtà.
•La ricerca di Anderson era vissuta dall’interno visto che lui stesso era stato un hobo,
per lui fu molto facile fare osservazione partecipante. Secondo i suoi calcoli ogni anno
passava per Chicago quasi mezzo milione di Hobo e circa 75.000 vi vivevano in
permanenza.
•L’hobo è un tipo specifico di vagabondo, diverso dal lavoratore stagionale, lavora il
minimo indispensabile ma non è un senza tetto: quando non lavora passeggia,
osserva, qualcuno beve o gioca d’azzardo, alcuni vivono al limite della devianza o
della malattia mentale. Varie associazioni caritatevoli o sindacali si occupavano di
loro. Avevano anche il loro giornale Hobo news, dove potevano trovare informazioni
utili.
Gli hobo
Trasher: le 1.300 bande di Chicago (1927)
•Rappresenta il primo studio etnografico sulle bande urbane, riesce ad
avvicinarsi ad alcune bande e a fare osservazione partecipante trovandosi
dei mediatori. Un metodo che verrà perfezionato qualche decennio dopo
da Whyte autore di un famoso studio sulle bande del quartiere italiano di
Boston.
•Cerca di trovare i dati comuni: quasi tutti sono giovani uomini, anche se
l’età può oscillare dai 6 anni ai 50 anni, tutte le bande hanno una forte
componente territoriale, quasi tutte si trovano nella zona di transizione (o
zona interstiziale). Più del 60% delle bande ha una forte componente
mono-etnica, alcune etnie formano più facilmente bande rispetto ad altre
(italiani, polacchi, irlandesi e neri americani molto più che ebrei o svedesi).
•I gruppi etnici che producono molte bande sono mal visti e spinti verso le
zone più marginali dello spazio urbano. Etnia e territorio quasi sempre
coincidono.
•T. è interessato alle motivazioni individuali che spingono a stare nelle
bande, secondo lui è la ricerca di avventure e nuove esperienze a motivare
i giovani occupati o disoccupati a stare nelle gang.
Trasher Gangland
Wirth: il Ghetto ebraico (1928)
•Il suo oggetto di analisi è la struttura del ghetto urbano. Studia prima il ghetto
ebraico in Europa e poi cerca di capire come il fenomeno si è prodotto negli
USA.
•Gli ebrei erano spinti a chiudersi in un ghetto nelle situazioni in cui erano più
discriminati. Nell’Ottocento i ghetti in Europa occidentali si stavano dissolvendo,
mentre permanevano nell’Europa dell’Est, specie in Polonia e in Russia, società
contadine e poco industrializzate, dove gli Ebrei erano ancora perseguitati.
•Il ghetto era però un mondo chiuso, con confini ben precisi e con regole interne
separate da quelle del resto della città, al fenomeno della discriminazione si
aggiungeva quindi una volontà di isolamento e di autonomia.
•Il ghetto ebraico americano risente dell’immigrazione ebraica che arriva sia
dall’Europa dell’Est che da quella dell’ovest. Inizialmente a Chicago arrivarono
ebrei tedeschi, abitavano vicini ma non formavano un ghetto ed erano ben
inseriti nella vita commerciale e sociale della città
•Gli ebrei dell’Europa dell’Est, russi e polacchi tendevano invece a formare un
vero ghetto di quasi 250.000 abitanti. Il ghetto aveva persino un muro, era
endogamico, dentro si parlava l’Yiddish, ecc.
•Quello che interessa a Wirth è la residenza come indicazione dello stile di vita,
lo stesso ragionamento poteva valere per la Little Italy. Il ghetto rappresenta la
difficoltà all’assimilazione.
Il ghetto ebraico
Zorbough: la definizione dei confini (1929)
•Più che alle chiusure è interessato alle zone di contatto e di
contaminazione. Studia la zona del Lower North side dove vivono l’uno
accanto all’altro il quartiere della costa dorata (ceti dirigenti della città), l’area
degli appartamenti in affitto per single, il quartiere bohemien e la zona dei
quartieri notturni, poco più in là ci sono zone ghetto come little Sicily.
•In questi quartieri vi erano stili di vita diversissimi: borghese benpensante
nella costa dorata, anonimo e solitario con grande ricambio tra i lavoratori
single in affitto, comunitario nei quartieri poveri bohemien o malfamati, fino
ad arrivare a nuove forme di anonimato nella zona dei locali notturni.
•Zorbaugh sceglie quindi una prospettiva panoramica su un’area molto
vasta della città. La sua è una visione complessiva dei quartieri e delle loro
relazioni realizzata tramite analisi etnografica, ma con obiettivi più simili a
quelli di Burgess.
Chicago
1937)
tassi di delinquenza (mappa di Vera Miller
Cressey: le sale da ballo (1932)
•La sua prospettiva si concentra su un unico aspetto della vita
urbana, quello dei locali notturni (taxi dance hall, considerati
luoghi del “vizio”)
•Le ragazze erano in concorrenza tra loro, si trattava di ragazze
sole, di solito appartenevano a quelle origini culturali dove la vita
famigliare è meno stretta. Difficilmente la ragazza poteva tentare
un’ascesa sociale, quasi sempre il suo destino era in discesa, nei
peggiore dei casi verso la prostituzione.
•Si tratta di un’indagine etnografica specifica, basata
sull’osservazione partecipante e sulle interviste a ragazze e
clienti (molti asiatici e greci, tra i più discriminati) e proprietari di
locali.
Taxi dance hall
Conclusioni
Nel loro complesso questi studi specifici sono monotematici e etnografici.
L’attenzione prevalente è stata dedicata ai temi della disorganizzazione e della
devianza, sia con intenti moralistici, sia con intenti progressisti e bohemien di
sdrammatizzare il fenomeno (es. Anderson e Cressy).
Nel complesso tutti furono tutti sociologi riformisti. Il loro limite fu quello di
concentrarsi troppo sulle relazioni spaziali e ecologiche, impoverendo così
l’analisi della complessità della vita urbana. Limite che fu superato dalla
generazione successiva al secondo dopoguerra: Whyte, Becker, Goffman, ecc.
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