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Diapositiva 1 - smseurope.org

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Diapositiva 1 - smseurope.org
il mondo orientale di fronte alla morte
(alcune considerazioni)
Università delle Liberetà 2008-’09
1
Vita e morte possono definirsi due stati che si escludono
reciprocamente.
La diffusa credenza nella continuità della vita oltre la morte non
sminuisce la validità di tale definizione, poiché la vita dell’aldilà
viene concepita come un modo di essere sostanzialmente distinto
dalla vita terrena. Ciò è vero anche quando la vita nell’aldilà è
concepita come una replica della vita terrena, dal momento che,
comunque, la replica non è mai identica
In tutte le culture, data l’inevitabilità e definitività della morte,
l’idea di morire ha colpito profondamente il pensiero e
l’immaginazione degli uomini
In alcune religioni- di cui tre tra le più importanti della storia:
Buddismo, Cristianesimo. Islamismo – la preoccupazione della morte
ha portato al convincimento che la vita dell’aldilà (ossia la vita
eterna, non più soggetta ai limiti del tempo) sia da considerare di
gran lunga la più importante
2
Dal punto di vista della storia e della antropologia, il fatto di
attribuire un’importanza maggiore alla morte è tutt’ altro che
comune.
Sembra esistere in molte tradizioni un legame, diretto o indiretto,
fra la comparsa della morte in questo mondo e l’origine delle
innumerevoli imperfezioni intrinseche al mondo stesso, nonché, più
specialmente, del male.
In altri termini, la perfezione originaria dell’ordine cosmico, quale si
concepisce in molte culture, esclude il disordine della morte: la
morte è l’effetto della rottura o della invalidazione di tale ordine.
3
Un’ analisi per spiegare la comparsa della morte indica le seguenti
tipologie
1. la morte destino naturale dell’uomo, o, quanto meno, effetto della
primordiale volontà degli dei
2. la morte nel mondo, effetto della morte di un dio, o di qualche
altro essere mitico (non dovuta al comportamento umano)
3. la morte, risultato fra un conflitto di esseri divini
4. la morte, conseguenza dell’inganno di un dio, o di un altro essere
mitico
5. la morte, conseguenza di una mancanza dell’uomo, talvolta
qualcosa di futile ai nostri occhi
6. la morte, come risultato di un errore di giudizio o di scelta da
parte dell’uomo
7. la morte, frutto di qualche sorta di colpa (generalmente ma non
esclusivamente umana). A parte alcuni casi, risultano chiaramente tre
cause principali : disubbidienza, lussuria, omicidio
8. la morte come desiderio dell’uomo stesso
Es. Baluba – Iliade - Epopea di Gilgamesh
nell’Ade
Ulisse incontra Achille
4
il Bar do t’os sgrol
Il B a r d o t ö d ö l
- il titolo con cui è conosciuto in Occidente, ’ il libro
tibetano dei morti’,è nato per accostamento al titolo del
rituale funebre egizio, ‘il libro dei morti ‘,
ma le concezioni che sono a fondamento delle due raccolte
sono assolutamente estranee.
La tecnica funeraria egizia tende ad assicurare la
sopravvivenza tombale dei principi vitali del defunto e,
infine, ad attribuirgli un corpo divino
Accostabili al bardo, anche se come piccole cellule, sono i
Misteri orfici e lo Zoroastrismo
5
I misteri dionisiaci,eleusini ed orfici sono dottrine, per certi aspetti affini
al pitagorismo,che si ponevano alla religiosità olimpica ufficiale e
prescrivevano agli iniziati la segretezza.
L’ idea fondamentale dell’ orfismo è che l’uomo possiede una anima
immortale, temporaneamente imprigionata nel corpo. Grazie
all’osservanza di certe pratiche (p.es.l’astensione dal cibarsi di
carne) è raggiungibile la beatitudine eterna. Questa idea dell’anima
immortale e prigioniera passerà a Platone e al cristianesimo)
L’ Avesta(testo sacro -IV sec. d. C. - del Mazdeismo) insegna che dopo la
morte l’anima può raggiungere il Cielo. Per affrontare il viaggio celeste
l’anima deve attraversare un ponte Tre giorni dopo la morte e la dolorosa
separazione dell’ anima dal corpo i giusti incontreranno l’immagine di se
stessi che avrà l’aspetto di una bellissima fanciulla
Esiste una zona intermedia per coloro che non sono destinati né al
Cielo né all’ Inferno poiché il peso dei loro buoni pensieri, delle loro
buone parole e delle loro buone azioni è uguale a quello dei loro
pensieri cattivi, delle loro cattive parole e delle loro cattive azioni.
Queste anime restano in una specie di limbo, chiamato
Hammistagān, un luogo di residenza delle ombre dove non c’è gioia
né tormento
6
Troverai a destra delle cose di Ade una fonte
e accanto ad essa eretto un bianco cipresso
a questa fonte non avvicinarti neppure.
Più oltre troverai la fredda acqua che scorre
dal lago di Mnemosyne, Vi stanno innanzi custodi
ed essi ti chiederanno a qual fine sei venuto fin lì.
A loro esponi tutta la verità;
di’: “ Sono figlio della Terra e del Cielo stellato;
Astérios è il mio nome. Son arso di sete ma datemi
da bere dalla fonte”
Testo di una delle lamine d’oro orfiche contenente la formula che l’anima
doveva pronunciare all’arrivo negli Inferi, per propiziare il giudizio che
l’avrebbe sciolta dalla prigionia del corpo e dal ciclo delle reincarnazioni
(Le lamine sono state rinvenute in sepolcri della Magna Grecia, della
Tessaglia e di Creta)
7
il Bar do t’os sgrol
Il B a r d o t ö d ö l
- la traduzione del titolo (Bardo tödöl) da parte di Tucci, 1949:
“Libro che conduce alla Salvazione dell’Esistenza
Intermedia per il solo sentirlo recitare”
(la prima traduzione europea, in inglese, apparve nel 1927)
- la
tradizione tibetana attribuisce l’opera a
PADMASAMBHAVA, il maestro che avrebbe introdotto, nell’
VIII sec. d.C., il buddismo in Tibet. Nascosto sotto terra,
sarebbe stato ritrovato nei secoli più tardi (TERMA)
La stesura attuale è collocabile al XIV secolo, risultato
dalla fusione di più testi e tradizioni
- Il
bardo tödöl ha una struttura complessa e, soprattutto
nella parte centrale, a fatica riassumibile.
8
bardo tödöl
- il
libro genera, frequentemente, nel lettore occidentale un
senso di estraneità, a partire dal linguaggio che, a volte
poetico, è spesso denso di termini tecnici del buddismo e
aperto ad una lussureggiante mitologia sconosciuta.
Lo stesso lettore si riconoscerà, tuttavia, nella coincidenza
(socratica e dell’evangelico “ padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno” ) di gnoseologia ed etica, la
svalutazione platonica del reale, la distruzione freudiana e
Nietzscheana dell’Io
Chi legge o recita il bardo tödöl all’orecchio del morente
dovrebbe essere il maestro del defunto o, in mancanza di
questi, un condiscepolo oppure una persona qualsiasi,
compassionevole
-
9
bardo tödöl
- La
concezione che sta alla base è la seguente: dopo la
morte, esiste uno stato intermedio, ”bardo”, in cui è possibile
liberarsi dalla catena delle reincarnazioni attraverso una
mediazione magica (= affidata alla parola) e compassionevole
in modo irriducibile, di un sacerdote. Si sottrae così, la
nozione di karman alla originaria concezione fatalistica e
deterministica
- il
bardo, ossia lo stato intermedio, non è unico: la vita
stessa, lo stato tra una nascita ed una morte è un bardo.
Un altro bardo è il sogno
10
- Nel libro ‘ Il bardo tödöl ’vengono presi in considerazione
tre stati intermedi
1. Il primo è chiamato CHI-KHA/BARDO è l’esperienza di
visioni che si manifestano in quanto cominciano i sintomi della
morte fino al cessare delle pulsazioni interne
La durata di esso è varia, più lungo per le persone che in vita
hanno raggiunto uno stadio di meditazione stabile. Alcuni
testi affermano una durata di 4 giorni e mezzo
- in caso di assenza del cadavere la lettura del rituale ha luogo
dinnanzi a un’ effigie del defunto costruita con suoi abiti, con uno
specchio (simbolo del corpo che riflette i fenomeni), con una
conchiglia (s. dell’udito), un vaso dei fiori (l’odorato), un impasto di
farina (il gusto)
-fenomeni : quello che appare ma è illusorio
11
- Accostando le labbra alle orecchie del defunto, dopo aver
constatato l’arresto della circolazione del sangue e altri
sintomi, lo si chiama per nome e con la formula che si
ripeterà per tutto il rito, “figlio di nobile famiglia”.
Gli si richiederà di riconoscere la propria coscienza come
pura essenza, senza forma né sostanza e che si manifesta
come una gran massa di luce
Se si verifica questo riconoscimento, il defunto ottiene la
liberazione
- In questo bardo la liberazione è particolarmente
agevole perché non c’è più il condizionamento corporale,
la coscienza è “nove volte” più sottile e non sono sorte
ancora le allucinazioni terrifiche ed attraenti dei bardi
successivi.
Questo momento di riconoscimento è paragonato
all’incontro della madre con il figlio, anche in mezzo alla
confusione
12
Il bardo tödöl
- gravi malattie generanti confusione, leggerezza o
abbandono delle pratiche durante la vita, infrazioni dei voti,
la forza del karman possono ostacolare ( anche nei momenti
successivi ) il riconoscimento
L’invito può essere ripetuto per 3 o 7 volte
- Dopo un tempo equivalente alla durata di un pasto,
interverrà la seconda luce ed il morto viene invitato a
concentrarsi senza distrazione sulla inconsistenza del
proprio io, paragonato al riflesso della luna sull’acqua
- Le cause sopra indicate possono far fallire il
movimento di liberazione
13
Il bardo tödöl
2. inizia così il secondo bardo, quello della DHARMATA (=
‘essenza delle cose così come sono’ ) in cui la liberazione è
ancora possibile, nei vari momenti della sua evoluzione
- Prima di illustrare il dispiegarsi del bardo della dharmata,
l’officiante ammonisce il morto a non spaventarsi di fronte
alle teofanie terrifiche e a non sentirsi attratto da quelle
benevole: tutto è frutto della sua mente e tutto sarà un
susseguirsi di molteplici opportunità di salvezza, della
durata di sette giorni
- Nel 1° giorno, il principio cosciente, che ha ormai chiara
consapevolezza di trovarsi nella condizione intermedia, avrà
di fronte a sé una luce azzurra in cui splende il budda
Vairocana, di color bianco e congiunto alla sua compagna e
un’altra luce di color opaco, quella della sfera degli dei. Se
sarà attratto da quest’ultima, vagherà per 6 stati di
esistenza, se sarà attratto da quella azzurra, il sé ‘svanirà in
luce di arcobaleno’ /metafora ripetuta più volte
14
Il bardo tödöl
- Nel 2°, nel 3°,nel 4°, nel 5°giorno appariranno da diversi punti
cardinali e di colori diversi altri budda e le loro Madri Divine
(sākti), con i loro animali simbolici con i loro attributi e si
disporranno in m a n d a l a in modo da manifestare il processo
di emanazione materiale degli elementi della luce infinita
- Appaiono successivamente le 42 divinità inferiori,
forme mitologiche dei piani inferiori dell’ Essere, e poi
ancora un’altra serie, su un piano ancora più basso, di
divinità disponentesi ancora in un mandala. In ogni
momento della sequenza, il defunto ha la possibilità di
salvarsi riconoscendo la natura illusoria e autoproiettiva
- Gravato dal karman, dall’ 8° al 40°giorno si verifica il sorgere
delle divinità terrifiche, spesso con forme di animali, che oltre
a spaventare infurieranno sul “corpo mentale”o “corpo bardo”
che intanto si è formato. Esse non sono altro che l’aspetto
pauroso della prima serie e vanno riconosciute come veicoli per
potersi liberare dalla ruota della sofferenza
15
- In questa parte del bardo il defunto viene sottoposto anche
ad una specie di Giudizio dei Morti di fronte al signore della
Morte, che per Tucci, potrebbe essere frutto di inserzioni
zoorastriane e nestoriane (cristianesimo in Asia) penetrate
nella religione BON (un sentiero di realizzazione spirituale,
compare come sistema religioso verso l’ XI sec.)
- Inesorabilmente, se la liberazione fin qui non è intervenuta,
il defunto è destinato ad una nuova incarnazione ed entra
in SRID-PA: il bardo dell’esistenza. Anche in questo stadio
viene fornita buna assistenza che si dispiega in una nuova
complessa serie di possibilità divise in due tecniche
16
La 1° è indicata come
“Ostruzione della porta della matrice”.
Il defunto deve tentare di visualizzare l’unione
dell’uomo e della donna che saranno i suoi genitori,
considerandoli come il proprio Maestro e la sua
sakti oppure come una coppia divina o ancora
dissipando la credenza che la coppia sia reale.
In questo modo il nascituro ha ancora la possibilità,
l’ultima, di svincolarsi dalla necessità karmica
17
- Fallita anche questa possibilità, viene offerta la
tecnica detta della
“Scelta della Porta della matrice” che consente di
scegliere la forma nella quale rinascerà
-Vedrà i quattro continenti del mondo evitando dove
il dharma non predomina o è sconosciuto.
Vedrà, poi, le sedi dei vari ordini naturali e sociali e
sceglierà quella più pura
18
KARUŅĀ
‘piccolo dizionario’
La COMPASSIONE (karuņā) si manifesta con la modalità
della saggezza che ha superato la distinzione io-altri, così
libera dall’egocentrismo la karuņā si rivolge soltanto al
benessere dell’altro
La karuņā sradica dolore e sofferenza
La compassione occupa, nella dottrina buddhista, il secondo
posto tra le Quattro Incommensurabili Attitudini
(amichevolezza, compassione, gioia simpatetica, equanimità )
coltivate nella pratica meditativa
-amichevolezza: dona agli altri piacere e felicità
-gioia simpatetica: si manifesta nella gioia per la felicità
degli altri
-equanimità: libera dall’attaccamento a queste attitudini
(cosicchè si possa continuare a praticarle a chi ha bisogno)
saggezza e compassione sono legate come le due ruote
di un carro o le due ali di un uccello
19
Ātman
(concezioni indiane)
Se con anima si denota una dimensione della vita umana
distinta dall’esistenza corporea e che in larga misura
determina la natura dell’essere umano, allora si può a
ragione sostenere che le varie religioni e filosofie
dell’Asia meridionale postulano l’esistenza di un’ anima.
Ciò vale anche per il Buddhismo, il quale, benché la
dottrina dell’ anātman (“non-anima”) ne sia uno dei
principali dogmi, sostiene che le leggi del karman si
applicano a ciò che viene sperimentato come “io” e che
l’aspetto morale dell’individuo è soggetto ai cicli di
rinascita
20
Ātman
In generale, le antropologie religiose sudasiatiche
riconoscono un aspetto dell’essere umano che
1) sopravvive alla morte fisica del corpo e può rinascere
sotto altra forma, a seconda delle azioni compiute nella
vita precedente, oppure
2) è increato e immutabile, non sperimenta le vicissitudini
dell’esistenza mortale e risiede al di là del regno della
causalità e delle norme
Non si può tuttavia dire che le diverse religioni e filosofie del
subcontinente, che accettano la nozione dell’io o dell’ anima,
affermino la stessa concezione a proposito del suo status
ontologico o gli stessi valori a proposito della sua natura
21
Ātman
(concezioni vediche)
Gli inni vedici per la cremazione,verso la fine del II millennio
a.C., pregavano il fuoco di non bruciare le parti “non nate” o
“immortali” perché si riteneva che una dimensione non fisica
dell’essere umano sopravvivesse alla morte del corpo fisico e
volasse nel mondo degli antenati o nel mondo degli dei.
I poeti e i “visionari” vedici ammettevano una differenza tra il
corpo fisico e uno spirito immateriale, che potrebbe
impropriamente definirsi anima, e che veniva generalmente
inteso in quattro modi:
tre dei quali (jīva, manas, asu) si avvicinano alla nozione di
anima individuale, mentre il quarto (paramātman) è incentrato
sul concetto di ātman universale in contrapposizione all’anima
individuale . I versi di vari inni e canti vedici chiamano questa
forza generatrice, fonte unica dell’intera esistenza, dalla quale
derivano tutte le differenze e nella quale tutte le cose si
fondono
jīva : “essere vivente” ;
manas : “mente”; asu : ”respiro della vita”
22
Ātman
(concezioni buddhiste)
In generale, secondo il Buddhismo, pensare che qualcuno o qualcosa
possieda un io o un’ anima immutabile e permanente è scorretto o
addirittura perverso dal punto di vista metafisico, dal momento che tutto
– tutto – è mutevole e aggrapparsi a qualcosa come se fosse duraturo
significa fraintendere la natura della realtà
La realtà è anātman cioè priva di “io”
Nonostante la dottrina buddhista riconosca nella persona vari aspetti
immateriali, queste dimensioni effimere non si considerano mai dotate di
integrità ontologica indipendente o di “essere proprio”
Si afferma che l’ ātman dipende da varie condizioni transitorie,
che è caduco ed è pertanto privo di qualsiasi realtà propria.
L’analisi buddhista della natura dell’individuo s’incentra sulla
constatazione che quel che appare come individuo è, in realtà,
una combinazione soggetta a un mutamento continuo di cinque
aggregati (skandha): il corpo fisico, la sensazione fisica, la
percezione sensibile, le forze karmiche e la coscienza
Questi cinque aggregati si combinano in modo da formare l’individuo allo
stesso identico modo in cui un carro è costituito da varie parti
23
(concezioni buddhiste)
Il filosofo Buddhaghosa (v secolo d.C.) apre la sua
dissertazione sull’anima (o sulla sua assenza) con la similitudine
del carro
- Proprio come “carro” non è altro che un termine per indicare
un’asse, delle ruote, un cassone, un timone e altre parti
costitutive combinate in modo particolare, ma quando
analizziamo le varie parti una per una troviamo che in senso
assoluto non esiste nessun carro . . . allo stesso modo, i termini
“essere vivente” e “anima” non sono altro che espressioni atte a
designare le combinazioni dei cinque skandha, ma quando
analizziamo quei componenti dell’essere uno per uno, scopriamo
che in senso assoluto non c’è nessun “essere vivente” o “anima”
con cui elaborare supposizioni quali “Io sono” o “Io”tratto da La Via della Purificazione
24
(concezioni buddhiste)
Ciò che sperimentiamo come persona non è una realtà
finita, ma un processo. Non esiste l’essere umano, esiste
solo il divenire.
Non esiste alcuna anima statica ed eterna.
La vita umana è anātman, come le figure
incessantemente cangianti formate da bolle inconsistenti
di un torrente inconsistente
Si dice che il Buddha stesso comprese l’ansia che può
insorgere quando sorge il dubbio di non avere un’anima . .
25
Anima
(concezioni ebraiche)
Le più importanti parole ebraiche che esprimono il concetto
“anima” (nefesh, neshamah o nishmah e ruah ) in origine si
riferivano alla respirazione – l’elemento intimo, animatore
della vita
Nefesh, solitamente tradotto come “anima”, indica il
respiro così come il termine neshamah
Le due parole (nafash e nasham) si trovano congiunte in
Genesi 2,7, che narra come il primo uomo (adam)
ricevette il respiro della vita (nishmat hayyim) da Dio e
divenne un anima vivente (nefesh hayyah)
Il termine ruah, che viene spesso reso con “spirito”
indica poteri o atti esterni al corpo e ha spesso il
significato di “vento”
26
(concezioni ebraiche)
Secondo la Bibbia ebraica, un essere umano morto resta
in possesso dell’anima finché entra nel She’ol, un luogo
ombroso, dove la vitalità e l’energia associata alla vita
terrena subiscono una drastica diminuzione: poiché sia
l’anima che il corpo entrano nel She’ol, la successiva
dottrina della resurrezione indica un ritorno alla vita
sotto i due aspetti
La prima traccia della dottrina della sopravvivenza personale
alla morte, nell’ambito di una resurrezione universale appare
intorno al 166-164 a. C.
Tale dottrina vede accresciuta la sua importanza, fino a
diventare un dogma che, in seguito farà parte della dottrina del
Cristianesimo
27
Karma
- Inizialmente, ossia nel periodo vedico (XII sec. a.C.) il
termine designa l’ “azione” rituale di un sacerdote per
un fine particolare e materiale (la ricchezza, la vittoria, il
prestigio . . .)
- L’efficacia dell’azione rituale è certa e irrevocabile,
anche se non sempre percettibile, potendosi
manifestare anche nel futuro
- Successivamente nel periodo delle upanişad più
importanti (VIII sec. a.C.) il termine su bisce
un’evoluzione, fino a diventare un elemento chiave del
pensiero indiano e ad assumere connotazioni etiche e
gnoseologiche
Tutte le azioni di un individuo sono dei ‘semi’
che producono effetti
28
La situazione presente è determinata dalle azioni,
buone o cattive, del passato e condiziona quella futura.
Questi effetti non si esauriscono con la morte,
producono la catena delle incarnazioni
- Per esaurire il karman le strategie sono state, nei
secoli e nella proliferazione delle posizioni religiose e
filosofiche indiane, innumerevoli.
Ad esempio, lo yoga classico suggerisce una serie di
pratiche ascetiche,perché è il desiderio che agisce
sulla volontà e questa causa un’azione.
- Ci sono posizioni per le quali il Karman ha una
consistenza ontologica, è una sostanza; per es. per i
testi della medicina tradizionale indiana, AYURVEDA, è
un’entità materiale che è una delle cause della buona
e/o cattiva salute.
29
Karma
La rinascita è paragonata al processo di una fiamma trasmessa da
una fonte all’altra: la seconda fiamma non è identica alla sua fonte,
né totalmente diversa da essa.
L’eredità karmica delle azioni passate origina formazioni psicofisiche sempre
nuove. In tal modo, gli esseri senzienti non vengono considerati che una
collocazione di fattori determinati karmicamente
Ma che cos’è che giustifica la continuità del flusso sperimentato dal
singolo individuo?
Tra le varie teorie formulate dai pensatori buddisti due meritano
attenzione:
-l’esistenza di una coscienza sottile o latente che funge da ricettacolo delle
esperienze passate, intesa come un mezzo per preservare i semi karmici
delle azioni finché non ”maturino” in nuovi elementi della serie;
-uno speciale dharma (costituente della realtà) si rimanifesta continuamente
nel fluire degli elementi unificando il flusso karmico particolare in un’entità
apparentemente discontinua
30
Karma
Il concetto di karma è un concetto induista che, nel tempo, ha subito varie
evoluzioni.
Ci limiteremo a fare alcune considerazioni:
Il destino di una persona è determinato dal suo comportamento e dalle sue
intuizioni individuali.
Tale “azione” fisica o mentale, che determina il destino, è chiamata
con il termine karma
Secondo alcuni filosofi buddhisti, la teoria del karma, sembra violare la
dottrina buddhista, secondo la quale non esiste anima immortale e nulla in
alcun ambito è stabile o immutabile
Tutto il mondo fenomenico compare e scompare in un flusso perennemente
scorrevole, risultante dalla continua concatenazione causale
Ricompensa o punizione per le azioni compiute in una vita precedente,
non presuppone l’esistenza di un’anima che possa accumulare residuo
karmico?
La risposta buddhista consiste nell’asserire la realtà del processo di
rinascita, ma nel negare che questo processo sia sostenuto da un’ “anima”
31
Saṃsāra
E’ una parola sanscrita che significa “ vagare o attraversare una
serie di stati o condizioni”
E’ il nome dato alla teoria della rinascita nelle maggiori religioni
indiane
Saṃsāra è il ciclo senza inizio di nascita, morte e rinascita,
un processo causato dal karma
Considerati insieme, s a ṃ s ā r a e k a r m a forniscono le
religioni indiane sia di una spiegazione causale delle differenze
umane sia di una teoria etica di retribuzione morale
32
Saṃsāra
Saṃsāra è l’universo condizionato e sempre mutevole in
contrapposizione allo stato incondizionato, eterno e
trascendente o (mokşa o nirvāņa) ed è caratterizzato dalla
sofferenza e dal dolore. La fonte degli atti intenzionali che
portano alla rinascita perpetua è individuata nel desiderio e
nell’ignoranza della natura autentica della realtà
Il processo della rinascita è simile al movimento di un bruco che si
muove da un filo d’erba ad un altro. Il sé eterno e universale
(atmān) è inattaccabile dal karma e dal ciclo delle rinascite
trasmigra il sé individuale (teorie induiste)
33
Saṃsāra
Le teorie buddiste della rinascita si distinguono dalle altre perché
non postulano alcuna entità durevole che muova da un’esistenza
all’altra
Come spiegare la “trasmigrazione” del “non-sé”?
Come una successione i momenti discreti connessi tra loro da un
rapporto causale: il processo di rinascita è paragonato all’atto di
accendere una lampada con la fiamma di un’altra, dove la fiamma
rappresenta il corpo e la fiamma la coscienza o pensiero, o, meglio,
la sintesi del nostro benessere psico-fisico
Questo pensiero è il centro morale dell’individuo; essendo
responsabile di ogni nostra azione, esso crea il karman e
perciò è la causa del continuo nascere e morire
-In un qualunque momento esso contiene in sè le esperienze
passate e le infinite possibilità del futuro; questo pensiero viene
immaginato come una sostanza rarefatta, capace di agire a
distanza . . si appoggia sul respiro e nel momento della morte
,esso si trova senza sostegno e . .34
Nirvāņa
In generale il n i r v ā ņ a può essere compreso da una prospettiva
psicologica oppure ontologica
- dal punto di vista psicologico il n i r v ā ņ a è un
cambiamento radicale nell’atteggiamento tale che non si
prova più l’influenza negativa del pensiero egocentrico
- dal punto di vista ontologico il n i r v ā ņ a è l’affermazione
della bontà intrinseca del mondo e anche della natura umana.
In questo senso, il n i r v ā ņ a non è semplicemente un tipo
di esperienza ma è anche il fondamento di un’esperienza
In breve, sia il punto di vista psicologico che il punto di vista
ontologico contengono verità circa la natura del n i r v ā ņ a ;
per questa ragione i due punti di vista convivono nella storia
del Buddhismo, uno sempre complementare all’altro
35
Nirvāņa
Non c’è una visione unica del n i r v ā ņ a
Le concezioni buddhiste del n i r v ā ņ a condividono una serie di
qualità così riassumibili:
1. Il n i r v ā ņ a è liberazione dall’ignoranza di ciò che è il mondo
2. La conoscenza acquisita dal n i r v ā ņ a non è puramente
intellettuale o spirituale
3. Non si è soli sulla Via (c’è il potere della compassione)
4. Si raggiunge il n i r v ā ņ a penetrando e dissolvendo la dicotomia
umanità / natura, sé / altri,
soggetto / oggetto
e anche
n i r v ā ņ a / s a ṃ s ā r a ( il n i r v ā ņ a comporta un
riconoscimento dell’armonia e dell’uguaglianza intrinseche di tutte le
cose
5.Il n i r v ā ņ a ha un aspetto intrinsecamente morale
eliminando le idee, le emozioni,la persona illuminata si avvicina agli
altri con una totale equanimità o con una partecipazione
compassionevole nell’alleviare la sofferenza degli altri
36
mandala
modello che serve da supporto per la meditazione, vario
come sono vari gli oggetti della meditazione. Di solito è un
dipinto a base geometrica con inserzioni figurativomitologiche, ma esistono mandala tridimensionali,
architettonici (la struttura dei monasteri) e
geografici ( il m. Kailash e il lago Manassarovar in Tibet)
triplice gioiello: Buddha-la sua dottrina (dharma).la
comunità dei monaci (che trasmettono i suoi
insegnamenti)
37
jīva : “essere vivente” ;
vita”
manas : “mente”; asu : ”respiro della
è la personalità biologica e funzionale, l’aspetto
individuale che distingue una persona dall’altra e che soffre o
gode dell’esistenza terrena o ultraterrena secondo le azioni
compiute in vita (visione esistenziale-etica)
jīva :
manas : è la struttura sottile o immateriale di un
individuo,grazie alla quale egli apprende di essere in vari modi
collegato ad altri esseri divini e umani. E’ quella dimensione
incorporea e cognitiva dell’essere umano in cui risiede la
coscienza e dalla quale deriva la sensazione di essere vivi
(visione psicologica-epistemologica)
è la forza vitale che infonde la vita nella materia inerte,
che produce la sensibilità e che in generale serve ad animare
l’essere umano (visione ontologica)
asu :
38
QUATTRO NOBILI VERITA’
1. Ogni esistenza è piena di sofferenze (dukkha)
2. La sofferenza nasce dalla brama o attaccamento
(tanha)
3, Il dukkha può cessare totalmente e questo è
nirvāņa
4. Questo si raggiunge con l’ ottuplice sentiero
39
Ottuplice sentiero : retta comprensione (della
dottrina), retto pensare (e decidere),
retto parlare, retto agire, retto modo di sostenersi,
(non mentire, non rubare, non commettere adulteri,non
uccidere alcun essere vivente, non far uso di sostanze
inebrianti)
retto sforzo, retta concentrazione, retta meditazione
cammino che conduce al nirvana
Buddha proclama la vita “media”: l ’atteggiamento esistenziale
che conduce alla salvezza è caratterizzato sia dal rifiuto dei
piaceri e del godimento sia del dolore e delle macerazioni;
la liberazione dal male è raggiunta per mezzo del completo
annientamento di ogni desiderio
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Mokşa
Il termine m o k ş a , sostantivo sanscrito maschile e il sinonimo
femminile m u k t i derivano etimologicamente
da m u c che significa “liberare”
Entrambi i termini sono sempre stati usati in un senso
esclusivamente religioso, denotando l’uscita dal ciclo tedioso e
doloroso della trasmigrazione (S a ṃ s ā r a)
Solo a partire dal VI secolo a. C. si trovano nei testi riferimenti a ciò
che sarebbe diventato il punto centrale del pensiero indiano, ovvero la
liberazione del ciclo delle rinascite o s a ṃ s ā r a , generato dal peso
delle azioni (k a r m a) compiute nella vita presente o durante quelle
precedenti
m o k ş a è una parola eterna nel vocabolario religioso dell’India;
l’idea che veicola è l’assicurazione che il praticante non tornerà più
indietro in questo mondo
Diverse tradizioni ascetiche della storia dell’India che la liberazione dal
mondo può essere raggiunta prima della morte fisica
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Considerazioni liberamente tratte da
IL LIBRO TIBETANO DEI MORTI
a cura di Giuseppe Tucci
IL LIBRO TIBETANO DEI MORTI
a cura di Namkai Norbu
Neww Compton Ed.
L’ ENCICLOPEDIA DELLE GRANDI RELIGIONI
Jaca Book
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