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Pasquino 010
• Diffusione dei regimi non democratici • Definizioni e distinzioni • I regimi autoritari • I regimi totalitari • I regimi sultanistici • I regimi post-totalitari • Crisi e trasformazione dei regimi totalitari • Le dinamiche autoritarie • Il caso del fascismo • I regimi militari • I regimi burocatico-autoritari 1 200 Regimi democratici 180 Regimi non democratici 160 Numero di stati 140 120 100 80 60 40 20 0 1870 1880 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 Anno 2 Linz e Stepan (1996) hanno proposto una classificazione parsimoniosa e puntuale dei regimi non democratici: 1. REGIMI AUTORITARI; 2. REGIMI TOTALITARI; 3. REGIMI POST-TOTALITARI; 4. REGIMI SULTANISTICI. 3 Secondo la definizione classica dei regimi autoritari, elaborata da Juan Linz (1964), i regimi autoritari sono caratterizzati da: pluralismo politico limitato; una classe politica irresponsabile del proprio operato; mancanza di una ideologia guida articolata, ma dotati di mentalità specifiche; assenza di una mobilitazione politica capillare e su vasta scala. 4 LIMITATO, le organizzazioni autorizzate a mantenere ed esercitare potere politico sono pochissime; vengono legittimate dal leader; hanno sfere riconosciute di autonomia alquanto circoscritte; NON COMPETITIVO, le organizzazione non entrano in competizione tra loro essendo “monopolistiche” nel loro settore; NON RESPONSABILE, le organizzazioni alle quali è consentito di sopravvivere non debbono rispondere a nessun elettorato, comunque definito; non debbono rispondere alla “base”; sono strutturate al loro interno in maniera gerarchica. 5 Per Linz la mentalità autoritaria è un insieme di credenze flessibili, con margini di ambiguità interpretativa, meno codificato e meno rigido rispetto a una “ideologia”. La mentalità è diffusa tra i governati e sfruttata e potenziata dai capi del regime autoritario per ottenere acquiescenza, obbedienza o, molto raramente, impegno attivo. La mentalità autoritaria più diffusa fa leva su una tradizionalissima triade: Dio, patria, famiglia. Proprio perché la maggior parte dei regimi autoritari non ha una ideologia precisa e sviluppata, le loro “mentalità” possono presentare differenze considerevoli, costruendosi con riferimento a tradizioni politiche, sociali, culturali e religiose con base grosso modo nazionale. 6 I regimi autoritari differiscono dai regimi totalitari anche per la loro incapacità di natura organizzativa a mobilitare grandi masse. Solo in alcuni momenti del loro sviluppo, i regimi autoritari presentano e promuovo una mobilitazione estesa o intensa. Questi movimenti coincidono in particolare con la fase di instaurazione del regime. Il ruolo del leader nei regimi autoritari La maggior parte dei regimi autoritari dipende in maniera significativa dalla figura del loro fondatore, che esercita il potere politico entro certi limiti mal definiti, essenzialmente arbitrari, eppure relativamente prevedibili. A causa di questa dipendenza sulla figura del leader-fondatore, raramente i regimi autoritari riescono a superare le crisi di successione. 7 Secondo Friedrich e Brzezinski, le caratteristiche distintive dei regimi totalitari sono: la presenza di un partito unico; una polizia segreta notevolmente sviluppata; il monopolio statale dei mezzi di comunicazione; il controllo centralizzato di tutte le organizzazioni politiche, sociali, culturali, fino alla creazione di un sistema di pianificazione economica; la subordinazione completa delle forze armate al potere politico. Inoltre, per Hannah Arendt, se la legalità è l’essenza del governo democratico, «il TERRORE è l’essenza del potere totalitario». 8 Il partito unico è lo strumento principale per l’acquisizione e l’esercizio del potere politico nei regimi totalitari. Il pluralismo in questi regimi è perciò totalmente assente. Nei regimi totalitari, in cui il leader è, nella maggior parte delle occasioni, il prodotto di organizzazioni, il superamento delle crisi di successione è più semplice e lineare rispetto a quanto avviene nei regimi autoritari. 9 Per Friedrich e Brzezinski, l’ideologia ufficiale dei regimi totalitari va concepita come «un insieme di idee ragionevolmente coerenti che riguardano i mezzi pratici per cambiare totalmente e per ricostruire una società con la forza o con la violenza, fondata su una critica globale o totale di quel che è sbagliato nella società esistente o antecedente». L’ideologia totalitaria è, in qualche modo, utopica ed escatologica, vale a dire orientata alla definizione e al conseguimento di fini ultimi da realizzarsi al di fuori e al di là dell’esistente. I regimi totalitari di tipo comunista (Urss, Cina, Corea del Nord e, per una fase limitata, Vietnam del Nord) hanno avuto a disposizione un’ideologia marxista-leninista, che presentava caratteristiche di uniformità, rigidità, univocità e mirava a plasmare sistema politico e società, a fonderli. Il regime totalitario nazista non era attrezzato con una vera e propria ideologia, poiché il manifesto programmatico di Hitler, esposto in Mein Kampf, non è paragonabile all’ideologia marxista-leninista. Tuttavia anche il nazismo conteneva forti elementi escatologici. 10 I regimi totalitari mirano a mantenere la società in uno stato di mobilitazione imposta dall’alto che sia la più estesa, la più frequente e la più continua possibile: una rivoluzione permanente al fine di cambiare la società e formare l’uomo nuovo. I regimi totalitari si propongono di essere perciò REGIMI DI MOBILITAZIONE, i quali richiedono: • impegno continuativo degli individui; • imposizione dall’alto di una mobilitazione frequente e intensa; • eliminazione di ogni confine fra pubblico e privato. 11 Domenico Fisichella (da ultimo, 2002) è pervenuto a considerare come caratteristica fondante dei regimi totalitari l’esistenza o la costruzione di un UNIVERSO CONCENTRAZIONARIO. Con questo concetto si deve intendere, in particolare, «una struttura politica per lo sradicamento del tessuto sociale mediante lo strappo e la cancellazione dalla società di interi settori o gruppi». L’elemento del terrore (politico e psicologico), anche nella sua versione di “universo concentrazionario”, resta una caratteristica cruciale dei totalitarismi, ma, secondo alcuni studiosi, richiede 2 indispensabili elementi coadiuvanti: un grado di sviluppo tecnologico che consenta al controllo terroristico totalitario di dispiegarsi pienamente la presenza di un partito unico organizzato in maniera da applicare il controllo terroristico con estesa capillarità 12 Nel corso della storia sono esistiti autoritarismi di tipo sultanistico, ma alcuni casi di sultanismo sopravvivono tuttora. Gli esempi, più o meno recenti, sono: Haiti sotto i Duvalier (padre e figlio); la Repubblica Dominicana sotto Trujillo; la Repubblica Centro-africana di Bokassa; le Filippine sotto Marcos; l’Iran dello Shah; la Romania di Ceausescu; Cuba sotto Batista; l’Uganda di Idi Amin Dada; il Nicaragua di Somoza; lo Zaire sotto Mobutu; l’Iraq sotto Saddam Hussein (un sultanismo rafforzato dalla presenza, seppur depotenziata, del partito Ba’ath). 13 non possiedono nessuna ideologia, in qualche modo elaborata o coerente; non hanno nessuna mentalità specifica e distintiva; il pluralismo politico, religioso o sociale è limitato dai vincoli di accettabilità imposti dal sultano; non necessitano di alcuna forma di mobilitazione, che può avvenire solo in forma sporadica e cerimoniale; cancellano le differenze fra il privato e il pubblico per quel che riguarda la sfera di attività e di proprietà del leader; non riescono a sprigionare nessuna dinamica di transizione alla democrazia, poiché terminano con la scomparsa del sultano. 14 Linz e Stepan, dopo aver giustamente puntualizzato che solo il totalitarismo può essere il “padre” dei regimi post-totalitari, individuano 3 tipi di regime, prendendo in considerazione l’evoluzione dei rispettivi regimi già totalitari e le caratteristiche specifiche del pluralismo, dell’ideologia, della mobilitazione e della leadership: 1. 2. 3. REGIMI DI POST-TOTALITARISMO INIZIALE; REGIMI DI POST-TOTALITARSIMO MATURO; REGIMI DI POST-TOTALITARISMO CONGELATO. 15 I regimi di post-totalitarismo iniziale: sono quelli che hanno appena intrapreso il processo di cambiamento. La loro leadership non può più essere carismatica, poiché non è più quella del fondatore del regime, ma si è sostanzialmente trasformata in leadership burocratica ed è diventata spesso collegiale (es. Corea del Nord); i regimi di post-totalitarismo congelato: comporta la tolleranza di alcune attività critiche della società civile, che sono suscettibili di tradursi nella creazione di gruppi e associazioni. Il regime mantiene comunque intatto o quasi l’insieme dei suoi meccanismi di controllo; i regimi di post-totalitarismo maturo: sono quei regimi in cui soltanto il ruolo del partito non viene messo in discussione. Tutte le altre componenti (ideologia, mobilitazione, neo-pluralismo sociale e leadership) sono profondamente mutate (esempio, possibile e discutibile: Cina). 16 Nei regimi totalitari, il pluralismo può emergere quando fa la sua comparsa una dialettica politica “potere politico/società”, che finisce per incrinare il regime totalitario. Questa dialettica può assumere 3 diverse forme: 1. può essere il prodotto di una SCELTA consapevole della leadership totalitaria, che mira a mantenere il potere controllando il grado di apertura del regime; 2. può derivare da un’inarrestabile DECADENZA delle componenti totalitarie: ideologia che si svuota, mobilitazione che diventa puro rituale burocratico, invecchiamento della leadership, comparsa di sacche di resistenza al partito unico; 3. può essere il prodotto di una CONQUISTA SOCIALE a opera dei gruppi che, per ragioni diverse, si erano visti riconoscere qualche spazio di organizzabilità nella sfera economica e socio-culturale, oppure lo avevano gradualmente conquistato. 17 Nel corso dell’allargamento del suffragio e dell’espansione della partecipazione politica, si producono tensioni fra i gruppi sociali già collocati all’interno del sistema politico in posizione di rilievo (i detentori del potere) e gruppi sociali relativamente, ma non completamente, emarginati (gli “sfidanti”). Il regime autoritario può essere interpretato come l’esito dello scontro tra detentori del potere e “sfidanti”. Il regime autoritario, inteso come l’esito dello scontro tra detentori del potere e “sfidanti”, può essere il prodotto di: Un’opposizione al processo di democratizzazione I regimi autoritari risultano il prodotto della vittoria dei gruppi che si oppongono alla democratizzazione sui gruppi che la desiderano. una democratizzazione interrotta I regimi autoritari risultano il prodotto di una democratizzazione tentata in maniera troppo rapida, rimasta incompiuta e ripiegatasi su se stessa. 18 L’obiettivo implicito dei regimi autoritari tradizionali consiste nel contenere il ritmo del mutamento socio-economico, nel controllarlo e, se possibile, nel rallentarlo, al fine di evitare una mobilitazione dei settori popolari e, eventualmente, di rintuzzare le richieste di qualche libertà d’azione da parte delle classi medie. I regimi autoritari falliscono quando si producono cambiamenti positivi, quando si ha sviluppo economico, in special modo se non voluto dal regime autoritario. Grazie alla limitata pluralità delle organizzazioni tollerate, alla scarsa e rara mobilitazione, alla sopravvivenza di mentalità tradizionali che non diventano ideologia formalizzata, al potere discrezionale ma non totalmente sregolato del leader, i regimi autoritari “classici” manifestano una notevole capacità di durata. 19 Il fascismo italiano, prototipo dei regimi autoritari, può essere interpretato in 2 modi, secondo le 2 diverse fasi che ha sperimentato: - come MOVIMENTO, rappresentò la reazione delle classi dirigenti a una sfida abortita delle classi popolari. Costruì il suo successo attraverso una consapevole mobilitazione secondaria dei ceti medi, soprattutto della piccola borghesia; mobilitazione favorita dal loro “panico di status” a fronte della sfida dei settori popolari, organizzati dai comunisti e dai socialisti; - come REGIME autoritario, quando il movimento si rese conto che non aveva la forza per assoggettare tutte le altre istituzioni e organizzazioni, si trasformò in regime, adeguandosi al pluralismo limitato, non responsabile, non competitivo delle istituzioni già esistenti: le manifestazioni di mobilitazione si fecero limitate e sporadiche; il leader (il Duce) esercitò il suo potere in maniera discrezionale e arbitraria, ma sostanzialmente prevedibile; il regime rinunciò a plasmare la società: si limitò a dominarla, opprimerla e, saltuariamente, a reprimerla in maniera selettiva; si assecondò una limitata modernizzazione socio-economica, che sarebbe ugualmente avvenuta. 20 Samuel Huntington (1968) ha definito PRETORIANESIMO il fenomeno dell’intervento dei militari in politica e ne ha identificato 3 FASI specifiche, a seconda del livello di partecipazione politica: 1. OLIGARCHICO: quando la partecipazione politica è limitata a cricche e clan. In questo caso i militari hanno per obiettivo, per lo più limitato, l’acquisizione di qualche privilegio di carriere e status, mediante l’esercizio contenuto della violenza; 2. RADICALE: quando la partecipazione politica è estesa fino a comprendere le classi medie. Se i militari intervengono nella sfera politica, lo fanno a sostegno di alcuni gruppi della classe media contro altri e esercitando un livello medio di violenza; 3. DI MASSA: quando la partecipazione è estesa fino a comprendere anche le masse popolari, organizzate o in partiti di sinistra oppure mobilitate in movimenti, anche populisti. L’intervento dei militari, inteso a bloccare preventivamente o successivamente l’accesso al governo dei rappresentanti delle masse popolari, si traduce in veri e propri governi militari, di durata variabile. In questi casi, il livello della violenza può diventare molto elevato. 21 1. SCONFITTA politica dei militari, spesso derivante da una sconfitta militare (es. Grecia 1974, Argentina 1982, Cile 1988); 2. DISIMPEGNO volontario, spesso di fronte all’ostilità crescente della società, ma negoziato (come in Urugay nel 1985), e ripetutamente contrattato (come in Thailandia), anche da posizioni di forza (come in Brasile nel 1982); 3. GOLPE NEL GOLPE, attraverso la sostituzione degli ufficiali interventisti a opera di ufficiali “costituzionalisti”, che si impegnano a restituire il potere ai politici (es. Perù dopo il 1974, Nigeria diverse volte negli anni ’70, ’80, ’90). 22 Con riferimento a questo fenomeno, O’Donnell (1973) ha teorizzato la nascita e il consolidamento di regimi definibili come BUROCRATICO-AUTORITARI, destinati a mettere profonde radici e dotati delle seguenti caratteristiche: la base sociale è rappresentata da una borghesia oligopolistica e transnazionale; gli specialisti della coercizione, i militari, hanno un ruolo decisivo; i settori popolari sono esclusi; le istituzioni democratiche e i diritti di cittadinanza sono liquidati; il sistema di accumulazione capitalistica rafforza le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse sociali; la struttura produttiva viene “transnazionalizzata”; criteri di presunta neutralità, obiettività e razionalità tecnica vengono utilizzati per spoliticizzare le tematiche salienti; i canali di accesso alla rappresentanza, chiusi per i settori popolari e gli interessi di classe, servono le forze armate e le grandi imprese oligopolistiche. 23 La transizione dei regimi autoritari caratterizzati da una presenza cospicua o dominante dei militari è fortemente condizionata dall’organizzazione militare al governo. A tal proposito, si possono individuare 2 casi generali: L’istituzione militare è rimasta gerarchicamente intatta e, perciò, decide tempi e modi della transizione, e negozia con i civili oppure sceglie i civili a cui restituire il potere politico. La transizione risulta morbida e controllata. Quando gli ufficiali al governo hanno sovvertito la gerarchia dell’organizzazione militare (come i colonnelli greci), i militari non sono in grado né di negoziare né di controllare la transizione, che, di conseguenza, risulterà alquanto complicata. 24