Elementi di valutazione nella definizione dei limiti per l`esposizione
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Elementi di valutazione nella definizione dei limiti per l`esposizione
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro Percorso Straordinario Medicina del Lavoro Prof. Giovanni Battista Bartolucci Il principio informativo della sua opera è “prevenire è meglio che curare”. Il suo metodo operativo è tuttora valido: descrive dettagliatamente le diverse fasi dei cicli lavorativi, individuando le situazioni a rischio e le misure preventive da adottare. I principi dell’insegnamento di Ramazzini sono stati recuperati prima con la Legge 833/1978, tutta improntata sui principi della prevenzione, e poi con i D.Lgs 277/1991 e 626/1994, che prevedono il metodo della valutazione del rischio. Il cambiamento sostanziale avvenuto con il D.Lgs 626/94 è rappresentato dal passaggio dalla prevenzione passiva (imposta dagli organi di vigilanza) alla prevenzione attiva (programmata dallo stesso datore di lavoro). Fondamentale passaggio per la tutela della salute dei lavoratori dalla presunzione del rischio (D.P.R. 303/56) alla valutazione del rischio (D.Lgs 277/91, 626/94, 25/02) LEGISLAZIONE NEL CAMPO DELLA IGIENE AMBIENTALE E DEL LAVORO E’ una sequenza di leggi che in realtà rispecchia l’evoluzione nel tempo della disciplina, l’affermarsi di un modello sempre più preventivo, partecipativo e polidisciplinare affinato nel tempo e poi recepito in norme di legge, l’attenzione crescente di istituzioni statali e organismi sovranazionali alla tutela della salute dei lavoratori. NORME GENERALI • Art. 32 Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità” • Art. 2087 c.c. “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” • Art. 437 c.p. “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia…” • Art. 590 c.p. “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale…” NORME SPECIFICHE • DPR 547/1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” • DPR 164/1956 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni” • DPR 320/1956 “Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo” • DPR 303/1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro” CONTROLLO DEL RISPETTO DELLE NORME IN AMBIENTE DI LAVORO • Dagli anni ’50 delegata ad organismi statali,con strutture a livello provinciale, come ENPI e Ispettorato del Lavoro • Dopo la Legge di Riforma Sanitaria (833/78) delegata ai Servizi di Prevenzione, Igiene e Sicurezza nell’Ambiente di Lavoro NOVITA’ INTRODOTTE • Principi introdotti con la Riforma Sanitaria: - educazione sanitaria - prevenzione delle malattie e infortuni in ambito di vita e di lavoro (concetti di prevenzione primaria, secondaria e terziaria) • Innovazioni nei Servizi di Vigilanza: - competenze e interventi pluridisciplinari - controllo nuovi insediamenti produttivi - attività di vigilanza programmata (poteri di accesso, diffida e disposizione) REFERENDUM 18/4/1992 • Separazione delle competenze Sanitarie da quelle Ambientali, con creazione di: - Dipartimenti di Prevenzione a livello di Unità Sanitarie Locali - Agenzie Regionali per la Prevenzione e la Protezione Ambientale NORMATIVE COMUNITARIE • D.Lgs 277/91: recepimento Direttive CEE 80/1107 (“quadro”), 82/605 (piombo), 83/477 (amianto), 86/188 (rumore) • D.Lgs 626/94: recepimento Direttive CEE 89/391 (“quadro”), 89/654 (luoghi di lavoro), 89/655 (attrezzature di lavoro), 89/656 (dispositivi di protezione individuale), 90/269 (movimentazione manuale dei carichi), 90/270 (videoterminali), 90/394 (agenti cancerogeni), 90/697 (agenti biologici) • D.Lgs 25/02: recepimento Direttiva CEE 98/24 sul “rischio chimico” • D.Lgs 187/05: recepimento Direttiva CEE 02/44 sulle ”vibrazioni” • D.Lgs 195/06: recepimento Direttiva CEE 03/10 sul ”rumore” NOVITA’ INTRODOTTE CON LE NORMATIVE • D.Lgs 277/91: definizione figura medico competente, informazione ai lavoratori, criteri di misura, valori limite; • D.Lgs 626/94: istituzione in azienda di un sistema organico di gestione delle attività di prevenzione e loro programmazione (servizio di prevenzione e protezione, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, valutazione del rischio, gerarchia delle misure di prevenzione) • D.Lgs 25/02: rischio chimico moderato • D.Lgs 187/05: banche dati per valutazione esposizione a vibrazioni • D.Lgs 195/06: valore limite a dispositivi indossati “TESTO UNICO” D. Lgs 81/08 NORME PER L’ABOLIZIONE DI SOSTANZE PERICOLOSE • Legge 245/1963: limitazione dell’uso di benzene e omologhi (benzene < 2% in collanti e solventi) • Legge 257/1992: norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto NORME AMBIENTALI • Decreto Ministeriale 25/11/1994: “Aggiornamento delle norme tecniche in materia di limiti di concentrazione e di livelli di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree urbane e disposizioni per la misura di alcuni inquinanti di cui al decreto ministeriale 15 aprile 1994” • DPCM 14/11/1997: “rumore ambientale” VALUTAZIONE DEI RISCHI • Uno degli elementi di più grande rilevanza del D.Lgs 626/94 in quanto rappresenta “l’asse portante della nuova filosofia in materia di tutela della salute dei lavoratori” e “perno intorno al quale deve ruotare l’organizzazione aziendale della prevenzione” DOCUMENTO DEL COORDINAMENTO DI REGIONI E PROVINCE AUTONOME 1996 Percentuale di lavoratori esposti a vari agenti di rischio nell’Unione Europea. Studio pilota su “Lo stato della sicurezza e della salute sul lavoro” (Bilbao, 2001) AGENTE DI RISCHIO Movimenti ripetitivi Posture incongrue Lavoro monotono Movimentazione manuale di carichi Rumore Vibrazioni Temperature Ritmi imposti Agenti chimici Soprusi Violenza fisica Molestie sessuali % lavoratori esposti 57% 45% 45% 34% 28% 24% 20-23% 22% 14% 8% 4% 2% MODELLO GENERALE (National Academy of Science, USA, 1983) VALUTAZIONE DEL RISCHIO Identificazione dei fattori di rischio Valutazione delle conseguenze economiche, sociali, politiche e sulla salute pubblica (L’agente causa un danno alla salute?) Definizione della dose – risposta (Qual è la relazione tra quantità dell’agente e risposta biologica?) Valutazione della esposizione (Quali esposizioni sono dimostrate o prevedibili?) GESTIONE DEL RISCHIO Caratterizzazione del rischio (Qual è la probabilità e la gravità del danno per la salute?) Sviluppo di opzioni Norme-Limiti FATTORE DI RISCHIO (pericolo=hazard) Capacità di un agente chimico, fisico, biologico, organizzativo di produrre effetti sulla salute o per la sicurezza dei lavoratori esposti. Relazioni dose – risposta: il problema della soglia Risposta, % 100 80 Prevalenza spontanea 60 Effetto 1 (Cancro) 40 Effetto 2 20 0 Effetto 3 Dose, U.A. ESPOSIZIONE Condizione legata all’ambiente ed al tipo di lavoro nella quale si realizza un’interazione tra fattore di rischio e lavoratore; è caratterizzata da durata ed entità (loro prodotto = dose) e può essere valutata in modo qualitativo o quantitativo. CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO - Integra le informazioni derivanti da identificazione dei fattori di rischio, relazione dose-risposta e misura dell’esposizione - Fornisce un giudizio complessivo sulla qualità della valutazione del rischio - Descrive il rischio in termini di severità e probabilità del danno DEFINIZIONE DI RISCHIO • Probabilità che si produca una alterazione dello stato di salute in seguito all’esposizione ad una determinata sostanza chimica (o ad una determinata entità fisica) • Non dipende solo dalla natura e dall’entità della sostanza, ma anche da: -Modalità di esposizione -Possibilità di assorbimento – azione -Condizioni di reattività degli esposti Determinanti del rischio Tossicità della sostanza Rischio come Probabilità Possibilità (IUPAC, WHO) Rischio Livelli di esposizione N. esposti, suscettibilità, fattori concomitanti Da: IUPAC, International Union of Pure & Applied Chemistry: Glossary for Chemists of Terms used in Toxicology, Pure & Applied Chemistry 1993, 65: 2003-2122) MODELLO GENERALE (National Academy of Science, USA, 1983) VALUTAZIONE DEL RISCHIO Identificazione dei fattori di rischio Valutazione delle conseguenze economiche, sociali, politiche e sulla salute pubblica (L’agente causa un danno alla salute?) Definizione della dose – risposta (Qual è la relazione tra quantità dell’agente e risposta biologica?) Valutazione della esposizione (Quali esposizioni sono dimostrate o prevedibili?) GESTIONE DEL RISCHIO Caratterizzazione del rischio (Qual è la probabilità e la gravità del danno per la salute?) Sviluppo di opzioni Norme-Limiti STIMA DELL’ECCESSO DI RISCHIO DI PERDITA UDITIVA PER ESPOSIZIONE A RUMORE PER 40 ANNI DI VITA LAVORATIVA Ente ISO EPA NIOSH Esposizione a rumore in dB(A) 90 85 80 90 85 80 90 85 80 Eccesso di rischio (%) 21 10 0 22 12 5 29 15 3 ESPOSTI (IN MILIONI) A RUMORE INDUSTRIALE NELLA CEE E IN ITALIA dB(A) CEE (1982) ITALIA (1984) > 80 20-30 5.4 > 85 10-15 3.2 > 90 6-8 1.2 COSTI (IN MILIARDI DI LIRE) PER RIDURRE LA RUMOROSITA’ NELL’INDUSTRIA dB(A) CEE (1982) ITALIA (1984) 90 40.000 17.000 85 72.000 26.000 VALUTAZIONE DEL RISCHIO • Necessario momento conoscitivo per orientare e graduare gli interventi preventivi(eliminazione/riduzione e/o controllo dei rischi), per la programmazione della attività di informazione e formazione sui rischi, per la corretta effettuazione della sorveglianza sanitaria dei lavoratori; • attività multistadio-polidisciplinare svolta in stretta collaborazione tra Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e medico competente, con il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, con la responsabilizzazione dei dirigenti delle strutture. VALUTAZIONE DEL RISCHIO L’obiettivo è quello di quantificare la probabilità che si realizzino effetti (danni) sulla salute; tuttavia il maggior valore dell’effettuazione della valutazione del rischio sta nel procedimento in sé, che permette di analizzare tutti gli aspetti della situazione e di definire le priorità di attuazione delle misure di prevenzione. Algoritmi e Misure di Prevenzione • R = PxD • 4 = 4x1 • 4 = 1x4 VALUTAZIONE DEL RISCHIO Il prodotto dei tre contatori derivanti dalla valutazione dei rispettivi fattori di rischio porta un sintetico “INDICATORE DI RISCHIO”: Classi di rischio Azioni correttive 1-10 TRASCURABILE Non necessarie 11-25 BASSO Opportune a medio termine 26-50 MEDIO 51-75 ALTO Opportune a breve termine/necessarie a medio termine Necessarie a medio termine 76-100 MOLTO ALTO Urgenti ALGORITMI Il loro uso è proposto per ovviare alle difficoltà connesse con l’effettuazione di costose e complesse indagini di igiene industriale (secondo quanto previsto dalla UNI EN 689/97), ritenute troppo gravose per le piccole e medie imprese. Sono intesi come percorso di “facilitazione” atto a consentire la classificazione del rischio ad di sotto o al di sopra di quello moderato. Possono essere utili nelle fasi preliminari di valutazione, ma deve essere sottolineata la scarsa scientificità del loro uso in assenza di qualsiasi verifica con dati di monitoraggio ambientale e/o biologico. Estrema pericolosità del loro uso da parte di soggetti non sufficientemente esperti. VALUTAZIONE DEL RISCHIO RISCHIO RISCHO PER LA SICUREZZA: di natura prevalentemente infortunistica e correlati a strutture, macchinari, impianti, sostanze pericolose; RISCHI PER LA SALUTE: RISCHI DI TIPO TRASVERSALE: di natura prevalentemente igienico – ambientale da ricondurre all’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici; connessi a fattori ergonomici e all’organizzazion e del lavoro. VALUTAZIONE DEL RISCHIO FASE PRELIMINARE Le informazioni da reperire e le fonti da consultare dati del registro degli infortuni e risultati della sorveglianza sanitaria e del monitoraggio biologico; risultati di pregresse indagini di igiene industriale; verbali delle ispezioni degli organi di vigilanza; descrizione del ciclo tecnologico e schema dei reparti; schede di sicurezza delle materie prime utilizzate; informazioni sui prodotti intermedi e sui prodotti finiti; schede tecniche funzionamento; e manuali operativi di macchine e impianti e tempi di procedure di lavoro e programmi di manutenzione; individuazione degli esposti per gruppi omogenei; disponibilità di sistemi di prevenzione ambientale e dei DPI. VALUTAZIONE DEL RISCHIO Alla fase preliminare deve seguire un SOPRALLUOGO nei reparti produttivi per un riscontro diretto ed una verifica delle informazioni acquisite. La verifica può riguardare sia l’effettiva presenza di un agente di rischio, sia l’evidenziazione di agenti di rischio non immediatamente ipotizzabili, sia le ipotesi di generazione, emissione, propagazione e contatto. IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO -Etichettatura -Contenuti scheda di sicurezza Simboli associati ai rischi per la sicurezza (chimico-fisici) Esplosivi Sostanze e preparati solidi, liquidi pastosi o gelatinosi che, anche senza l’azione dell’ossigeno atmosferico, possono provocare una reazione esotermica con rapida formazione di gas e che, in determinate condizioni di prova deflagrano rapidamente o esplodono in seguito a riscaldamento in condizioni di particolare contenimento. Comburenti Sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattutto infiammabili, provocano una forte reazione esotermica. Facilmente Infiammabili (F) Sostanze o preparati che, a contatto con l’aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e infiammarsi; Sostanze solide che possono facilmente infiammarsi a causa di un breve contatto con una sorgente di accensione; Sostanze o preparati liquidi il cui punto di infiammabilità e’ molto basso; Sostanze che a contatto con l’acqua o l’aria umida, sprigionano gas estremamente infiammabili in quantità pericolose. Estremamente Infiammabili (F+) Sostanze e preparati liquidi con un punto di infiammabilità estremamente basso ed un punto di ebollizione basso Sostanze e preparati gassosi che a temperatura e a pressione ambiente si infiammano a contatto con l’aria. Simboli associati ai rischi per la salute Tossici ( T ) Sostanze e preparati che in caso di inalazione, ingestione, o penetrazione cutanea, in piccole quantità possono essere mortali oppure produrre lesioni acute o croniche. Molto Tossici (T+) Sostanze e preparati che in caso di inalazione, ingestione, o penetrazione cutanea, in piccolissima quantità possono essere mortali oppure produrre lesioni acute o croniche. Corrosivi (C) Sostanze o preparati che a contatto con tessuti vivi possono esercitare su di essi una azione distruttiva. Irritanti (Xi) Sostanze o preparati non corrosivi il cui contatto diretto, prolungato e ripetuto con la pelle o con le mucose, può provocare una reazione infiammatoria. Nocivi (Xn) Sostanze o preparati che in caso di inalazione, ingestione, o penetrazione cutanea possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche. Simbolo associato ai rischi per l’ambiente Pericolosi per l’ambiente (N) Sostanze e preparati che, qualora si diffondano nell’ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per una o più delle componenti ambientali. FRASI DI RISCHIO R40 Possibilità di effetti irreversibili R41 Rischi di gravi lesioni oculari (gravi lesioni entro 72h - persistenza 24h) R42 Può provocare sensibilizzazione per inalazione R43 Può provocare sensibilizzazione per contatto con la pelle R44 Rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato R45 Può provocare il cancro R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie R48 Pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione prolungata. Nocivo per ingestione, inalazione o per contatto con la pelle. R49 Può provocare il cancro per inalazione R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici R51 Tossico per gli organismi acquatici R52 Nocivo per gli organismi acquatici CONSIGLI DI PRUDENZA S40 Per pulire il pavimento e gli oggetti contaminati da questo prodotto usare ... (da precisare da parte del produttore) S41 In caso di incendio e/o esplosione non respirare i fumi S42 Durante le fumigazioni/polimerizzazioni usare un apparecchio respiratorio adatto (termine/i appropriato/i da precisare da parte del produttore) S43 In caso di incendio usare ... (mezzi estinguenti idonei da indicarsi da parte del fabbricante. Se l’acqua aumenta il rischio precisare "Non usare acqua") S45 In caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico (se possibile, mostrargli l’etichetta) S46 In caso d’ingestione consultare immediatamente il medico e mostragli il contenitore o l’etichetta S47 Conservare a temperatura non superiore a ...ºC (da precisare da parte del fabbricante) S48 Mantenere umido con ... (mezzo appropriato da precisare da parte del fabbricante) S49 Conservare soltanto nel recipiente originale SCHEDE DI SICUREZZA Le confezioni dei prodotti industriali devono essere accompagnate da una Scheda di Sicurezza nella quale sono contenute informazioni più approfondite rispetto all’etichetta. Le Schede di Sicurezza sono composte da 16 voci standardizzate, redatte nella lingua del paese d’impiego. SCHEDA DI SICUREZZA • Identificazione preparato/produttore • Composizione/informazioni sui componenti • Identificazione dei pericoli • Misure primo soccorso • Misure antincendio • Misure per fuoriuscita accidentale • Manipolazione e stoccaggio • Controllo esposizione/protezione individuale • Proprietà fisiche/chimiche • Stabilità e reattività • Informazioni tossicologiche • Informazioni ecologiche • Considerazioni sullo smaltimento • Informazioni sul trasporto • Informazioni sulla regolamentazione • Altre informazioni L’etichetta e la scheda di sicurezza sono uno strumento di informazione di grande importanza in quanto: • identificano il prodotto e ne definiscono la classe di rischio e le misure di sicurezza • indicano gli idonei sistemi di impiego, di stoccaggio e di intervento in caso di emergenza • aiutano nella scelta di impiego tra sostanze • evitano errori di manipolazione e/o miscelazione per “incompatibilità” tra sostanze VALUTAZIONE DEL RISCHIO MISURE DI MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOGICO per la quantificazione dell’esposizione Prevede il ricorso a misure di igiene industriale per la valutazione dell’esposizione. Un approccio di tale tipo: è necessario nei casi esplicitamente previsti dalle norme (D.Lgs. 277/91; D.Lgs 626/94; D.Lgs. 25/02) è opportuno nei casi dubbi o controversi o per esposizione a sostanze di elevata tossicità intrinseca o in grado di provocare danni alla salute anche se presenti a basse dosi VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE - individuazione di idonei sistemi o strumenti di rilevazione dei fattori di rischio; - uso di metodiche analitiche o di misura affidabili e specifiche; - identificazione di valori guida (valori limite, di azione, di riferimento) per la valutazione critica dei dati; - definizione di idonee strategie di misura in relazione agli obiettivi (valutazione dell’inquinamento ambientale o dell’esposizione individuale, mappatura spaziale o evoluzione temporale dell’inquinamento, programmazione di misure di prevenzione collettive o individuali). COME CONTROLLARE PARTI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO FATTA DA ALTRI • Contenuti del documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute; • Criteri adottati per la valutazione; • Individuazione delle misure di prevenzione e protezione attuate e delle attrezzature di protezione utilizzate; • Programma di attuazione di dette misure. COME VALUTARE I CONTENUTI DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO • Completezza: tutti gli agenti di rischio sono stati analizzati, tutti i posti di lavoro e tutti i lavoratori sono stati considerati; • Disponibilità di informazioni: su ambienti, cicli lavorativi, materiali utilizzati; • Dati documentali: di tipo tecnologico (materiali, macchinari), sul personale (numero, età, sesso, turni), di tipo igienistico (precedenti indagini), di tipo sanitario (malattie professionali e infortuni, risultati del monitoraggio biologico). COME VALUTARE I CRITERI • Numero e qualificazione dei soggetti coinvolti; • parte svolta e tempo dedicato da ogni valutatore; • metodi di raccolta e di elaborazione delle informazioni; • integrazione delle figure e delle varie fasi del processo di valutazione del rischio; • affidabilità tecnica dei dati sperimentali raccolti (strategie d’indagine, metodi certificati, riferimento a valori guida, procedure di “quality assurance”); • coinvolgimento dei lavoratori ed in particolare dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza COME VALUTARE LE MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE • Completezza delle misure adottate e/o da adottare; • loro organizzazione secondo una gerarchia preventiva (eliminare, ridurre, controllare; priorità delle misure preventive tecniche rispetto a quelle di protezione collettiva ed a quelle individuali); • indicazione delle procedure di lavoro in sicurezza; • informazione e formazione sui rischi; • sorveglianza sanitaria e monitoraggio biologico COME VALUTARE IL PROGRAMMA DI ATTUAZIONE DELLE MISURE PREVENTIVE • Rispetto dei principi gerarchici della prevenzione e delle priorità di intervento in relazione alla gravità e diffusione dei rischi ed alla loro prevenibilità; • fattibilità tecnica e/o organizzativa; • organizzazione e risorse dell’azienda (costi/benefici); • definizione dei tempi di attuazione degli interventi di prevenzione e protezione; • partecipazione al processo dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il medico del lavoro ha un ruolo di grande rilievo nella identificazione degli agenti di rischio: - in passato attraverso l’osservazione di patologie su singoli e su gruppi di lavoratori; - in futuro attraverso l’osservazione degli “eventi sentinella” e/o la “sorveglianza epidemiologica”. IDENTIFICAZIONE STORICA DEI FATTORI DI RISCHIO Tumore scroto pulizia camini IPA Tumore vescica produzione coloranti AA Leucemia uso colle, solventi benzene Tumore polmone uso di fibre asbesti e pleura Angiosarcoma produzione plastica CVM UTILIZZO DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO - registrazione delle valutazioni soggettive dei lavoratori; - elaborazione epidemiologica dei dati della sorveglianza sanitaria (e di quelli del monitoraggio biologico); - integrazione/confronto tra le misure ambientali e biologiche di esposizione, e gli indicatori di effetto/danno derivanti dalla sorveglianza sanitaria. Rapporto biunivoco tra valutazione del rischio e sorveglianza sanitaria: quest’ultima trae la sua esatta definizione dalla valutazione del rischio, ma l’elaborazione dei dati da essa derivanti può indurre a rivedere la stessa valutazione del rischio. VALUTAZIONE DEL RISCHIO IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO RELAZIONE DOSE-RISPOSTA MISURA DELL’ESPOSIZIONE CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO SORVEGLIANZA SANITARIA Visite mediche e accertamenti strumentali Monitoraggio Biologico W.F. Tordoir et al., Toxicology 1994; 91:5-14 I principi su cui dovrebbe basarsi la sorveglianza sanitaria sono finalizzati al raggiungimento degli scopi principali di tale attività di prevenzione, ovvero alla identificazione dei più precoci effetti sulla salute dei lavoratori che potrebbero comparire nonostante gli adeguati controlli ambientali. Inoltre, grazie ad adeguati programmi di sorveglianza sanitaria sarà anche possibile valutare l’efficacia delle misure preventive precedentemente attuate. (ILO, 1997) Obiettivi della sorveglianza sanitaria Raccolta sistematica, analisi, interpretazione e divulgazione dei dati riguardanti lo stato di salute dei lavoratori con lo scopo di proporre interventi di prevenzione. La sorveglianza è essenziale per la progettazione, l’attuazione e la valutazione dei programmi finalizzati alla tutela della salute occupazionale, alla prevenzione delle malattie professionali, delle malattie correlate al lavoro e degli infortuni e alla promozione della salute dei lavoratori. La sorveglianza della salute occupazionale comprende la sorveglianza della salute dei lavoratori e la sorveglianza dell’ambiente di lavoro (ILO, 1997). E’ obiettivo della sorveglianza sanitaria la protezione della salute e prevenzione della malattia lavorativa in una accezione ampia che comprenda la prevenzione del danno, ma anche la prevenzione del malessere e, ove attuata con strumenti adeguati, possa fornire una previsione del benessere (Franco G., Alessio L., Saia B., 1999) Evoluzione del ruolo del medico competente - R.D. 24/4/1927: visita di un medico competente prima dell’ammissione al lavoro per constatare se abbiano i requisiti speciali di resistenza all’azione degli agenti nocivi; - DPR 303/1956-art.33: visita di un medico competente prima dell’ammissione al lavoro per constatare se abbiano i requisiti di idoneità al lavoro al quale sono destinati; - D.Lgs 626/94-art. 16: visita di un medico competente per eseguire accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica. Qualifica professionale del medico competente - DPR 303/56: qualsiasi laureato in medicina e chirurgia; - D.Lgs 277/91: specialista o libero docente in Medicina del Lavoro o discipline equipollenti + autorizzati ex art. 55; - D.Lgs 626/94 come modificato da art.1-bis Legge 8/1/02: oltre agli specialisti o libero docenti in Medicina del Lavoro o discipline equipollenti anche gli specialisti in Igiene e Medicina Preventiva e quelli in Medicina Legale e delle Assicurazioni - D.Lgs 81/08: gli specialisti in Igiene e Medicina Preventiva e in Medicina Legale e delle Assicurazioni devono fare dei percorsi suppletivi universitari di formazione da definire ANAMNESI LAVORATIVA • Elenco in ordine cronologico di tutte le attività lavorative svolte • Descrizione del posto di lavoro e della mansione svolta • Elencazione delle sostanze e delle misure protettive impiegate • Descrizione delle condizioni dell’ambiente di lavoro ANAMNESI AMBIENTALE • Presenza di fabbriche in vicinanza dell’abitazione o condizioni di inquinamento ambientale • Lavoro del coniuge • Sostanze impiegate per le pulizie negli ambienti dove il soggetto vive • Eventuale uso di stoviglie particolari • Hobbies praticati • Abitudini voluttuarie (fumo, alcool) Compiti del medico competente (art. 17 626/94, ribaditi dal D.Lgs 81/08) a) collabora alla predisposizione dell’attuazione delle misure di tutela… b) effettua gli accertamenti sanitari... c) esprime i giudizi di idoneità... d) istituisce e aggiorna una cartella sanitaria e di rischio... e) fornisce informazioni ai lavoratori e a R.L.S. f) informa ogni lavoratore sui risultati e rilascia copia… g) comunica in occasione della riunione periodica… h) visita gli ambienti di lavoro… i) effettua visite mediche a richiesta… l) collabora alla predisposizione del servizio di pronto soccorso… m) collabora all’attività di formazione e informazione La Sorveglianza Sanitaria secondo il D.Lgs 25/02, ribadita dal D.Lgs 81/08 (“valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore in funzione dell'esposizione ad agenti chimici sul luogo di lavoro”) viene effettuata: a) prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta esposizione; b) periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, in funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza sanitaria; c) all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare. Accertamenti mirati - dosaggio di indicatori biologici di esposizione e di effetti precoci; - esami per la valutazione funzionale degli organi ed apparati bersaglio degli agenti di rischio in causa; - esami per la definizione diagnostica di eventuali tecnopatie riscontrate o sospettate. LA SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA E’ indispensabile che il medico competente elabori a livello di gruppo i risultati della sorveglianza e li confronti a livello individuale con quelli effettuati in precedenza, allo scopo di realizzare una “sorveglianza epidemiologica” OBBLIGHI PER IL MEDICO COMPETENTE Denuncia di malattia professionale competente per territorio; all'UPG della ASL Primo certificato medico di malattia professionale per l'INAIL; Referto all'Autorità giudiziaria. Tali segnalazioni devono essere fatte anche nei casi di sospetto di malattia professionale, non solo in quelli in cui vi sia una certezza diagnostica. (è opportuno tuttavia eseguire le appropriate procedure diagnostiche allo scopo di rendere quanto meno fondato il sospetto dell’esistenza della patologia professionale) Lo scopo di tale denuncia è quello di segnalare all'autorità competente i casi di patologie da lavoro al fine di innescare un meccanismo di controlli ambientali e quindi di prevenzione. In base a quanto previsto dall’art. 10 punto 4 del D. Lgs n. 38 del 23 febbraio 2000, una copia di tale denuncia andrà inviata anche alla sede INAIL competente per territorio. ELENCO DELLE MALATTIE PER LE QUALI E’ OBBLIGATORIA LA DENUNCIA D.M. 27/04/2004 STRUTTURA DELL’ELENCO 1) Gruppo 1 Malattie da agenti chimici 2) Gruppo 2 Malattie da agenti fisici 3) Gruppo 3 Malattie da agenti biologici 4) Gruppo 4 Malattie dell’apparato respiratorio 5) Gruppo 5 Malattie della pelle 6) Gruppo 6 Tumori professionali 7) Gruppo 7 Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro incluse solo nella lista II ELENCO DELLE MALATTIE PER LE QUALI E’ OBBLIGATORIA LA DENUNCIA -Lista I Malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità che costituiranno la base per la revisione delle tabelle ex artt. 3 e 211 del T.U. - Lista II Malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità per le quali non sussistono ancora conoscenze sufficientemente approfondite perché siano incluse nel primo gruppo -Lista III Malattie la cui origine lavorativa si può ritenere possibile e per le quali non è definibile il grado di probabilità per le sporadiche ed ancora non precisabili evidenze scientifiche. Il medico competente dovrà compilare il primo certificato medico di malattia professionale che il lavoratore dovrà consegnare entro 15 giorni al datore di lavoro (art. 52 D.P.R. 1124/65), il quale entro 5 giorni dovrà trasmettere all’INAIL la denuncia di malattia professionale (art. 53 D.P.R. 1124/65), corredata dal relativo certificato medico. Il primo certificato medico, che può essere redatto su ricettario personale o preferibilmente sull'apposito modulo fornito dallo INAIL [Mod. 1 - SS a)], deve essere consegnato al lavoratore stesso che così potrà avviare la pratica di denuncia di malattia professionale. Il D.P.R. 13 aprile 1994 n. 336 contiene la “Nuova Tabella delle Malattie Professionali” nell'industria e nell'agricoltura che modifica e integra gli allegati n. 4 e 5 del D.P.R. n. 1124/1965. Se la patologia diagnosticata al lavoratore rientra nella suddetta tabella sussiste la presunzione legale di origine professionale della malattia, senza che peraltro ciò esima dalla ponderazione del rischio espositivo. TABELLA DELLE MALATTIE PROFESSIONALI EX DPR 13/04/1994 N. 336 LISTA ORGANIZZATA IN TRE COLONNE CHE PREVEDE LA INDICAZIONE PER OGNI VOCE DI: - MALATTIA - LAVORAZIONE - PERIODO MASSIMO DI INDENNIZZABILITÀ DALLA CESSAZIONE DEL LAVORO INDUSTRIA n. 58 voci AGRICOLTURA n. 27 voci Le sentenze 179 e 206/1988 della Corte Costituzionale hanno introdotto il cosiddetto “sistema misto”, che prevede la possibilità per il lavoratore di dimostrare, con onere della prova a suo carico, l’origine professionale di malattie non tabellate oppure provocate da lavorazioni non previste nelle tabelle o manifestatisi oltre il periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione del lavoro. Rendite dirette nell’industria 1995-1999 (tot 25.795) ASMA-ALVEOLITI 9% 2% 2% 4% TUMORI DA ASBESTOSI 3% DA VIBRAZIONI 14% NON TABELLATE SILICOSI 5% ASBESTOSI 5% 4% CUTENEE IPOACUSIE 52% BRONCOPATIE ALTRE Obbligo di referto Sussiste per il medico che abbia prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio: per le malattie professionali cagionate per colpa (dovuta a inosservanza di norme o a negligenza, imperizia, imprudenza) sussiste la perseguibilità d’ufficio nel caso determinino una malattia o una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni oppure causino un indebolimento permanente d’organo. Sentenza Corte di Cassazione del 22 maggio 1981: “L’indebolimento permanente di un organo sussiste tutte le volte che, in conseguenza di un fatto lesivo, l’organo rimanga menomato nella sua potenzialità funzionale, sicché questa venga ridotta nel suo esercizio rispetto allo stato anteriore. Non è necessario che si tratti di un indebolimento notevole, essendo sufficiente anche quello di entità minima, purché apprezzabile”. La denuncia di malattia professionale inoltrata all'UPG della ASL può essere considerata liberatoria dell’invio del referto all’Autorità Giudiziaria, in quanto questi è a sua volta obbligato ad inviarla all'Autorità Giudiziaria stessa. Tale prassi è stata in alcuni casi sancita, come ad esempio in Veneto, con una specifica Circolare. Il monitoraggio biologico Definizione di Monitoraggio Biologico al Convegno WHO del 1984: “la misurazione e quantificazione di sostanze chimiche o di loro metaboliti in tessuti, fluidi, secreti, escreti, aria espirata o in qualsiasi loro combinazione, condotte per valutare esposizioni e rischi per la salute, comparate con un appropriato riferimento”. “Appropriato riferimento” con cui si debbono comparare i risultati delle misurazioni Due tipi di informazioni: • come il risultato del monitoraggio biologico si colloca rispetto ai valori determinati in popolazioni per le quali è stata esclusa una specifica esposizione lavorativa allo xenobiotico in esame (Valori di riferimento): dovrebbe quindi “orientare” rispetto all’esistenza di una esposizione maggiore di quella della popolazione generale; • come il risultato del monitoraggio biologico si colloca rispetto a valori ai quali è stato attribuito (su base scientifica o amministrativa) un determinato significato rispetto alla possibile modificazione dello stato di salute degli esposti (Valori limite): dovrebbe quindi “orientare” rispetto alla probabilità della comparsa di effetti sulla salute e quindi alla necessità di determinati interventi. Obiettivi del monitoraggio biologico Integrare i dati forniti dal monitoraggio ambientale al fine di ottenere una valutazione più completa dello stato di salute del lavoratore e della sua “interazione” con l’ambiente di lavoro. Il monitoraggio biologico mira ad ottenere indicazioni precoci e preferibilmente reversibili sull’esposizione, la suscettibilità e gli effetti biologici secondari a quel fattore di rischio. Cenni di tossicocinetica XENOBIOTICO: • Assorbimento • Distribuzione • Metabolismo • Eliminazione Assorbimento Le sostanze xenobiotiche possono essere assorbite per vie differenti: polmonare cutanea gastrointestinale l’assorbimento dipende da alcune regole fondamentali quali: 1) proprietà chimico-fisiche delle sostanze tossiche (solubilità nei lipidi, grado di ionizzazione, dimensioni molecolari) 2) forze che determinano il movimento delle sostanze attraverso membrane (filtrazione, pinocitosi, diffusione passiva, trasporto attivo) Distribuzione Attraverso la fase di assorbimento la sostanza raggiunge il sangue e per mezzo di proteine plasmatiche e di altri componenti quali eritrociti, leucociti, ecc. si distribuisce nei diversi distretti dell’organismo. Il legame con le proteine plasmatiche deve essere reversibile per permettere il rilascio della sostanza. Se le sostanze non vengono rilasciate vuol dire che non si distribuiscono. La distribuzione è un equilibrio costantemente mutevole per l’interferenza della biotrasformazione e dell’eliminazione delle sostanze, e diverso per ogni sostanza. Metabolismo Il metabolismo tende a trasformare la sostanza chimica da liposolubile a idrosolubile per essere meglio eliminata dai due principali sistemi escretori: l’urinario e il biliare. I processi di biotrasformazione possono condurre ad una disattivazione della sostanza o talvolta ad una attivazione della stessa con formazione di un metabolita più tossico (es. il 2,5-esanedione, prodotto della biotrasformazione dell’n-esano, è il responsabile della neurotossicità che deriva dall’esposizione al solvente). • Il metabolismo si svolge nelle cellule di tutto l’organismo, ma in particolare nella cellula epatica. I distretti cellulari interessati sono il reticolo endoplasmico liscio, il citoplasma, i mitocondri, i lisosomi e il nucleo. • Alcune sostanze non vengono metabolizzate, in quanto particolarmente stabili. Tale stabilità è dovuta a: alta polarità (molto idrosolubili per cui vengono escrete) alta volatilità (rapidamente eliminate) epossidi (alta reattività) Metabolismo Durante il metabolismo le sostanze xenobiotiche vanno in gran parte incontro ad una biotrasformazione (I fase) e ad una coniugazione (II fase): • Reazioni di I fase o metabolica propiamente detta: trasformano la sostanza in un’altra molecola, di natura diversa, che può assumere caratteristiche tossicologiche non presenti nella sostanza di origine. Tali reazione avvengono sia a livello microsomiale (citocromo P-450) che extramicrosomiale, e comprendono reazioni di ossidazione, riduzione ed idrolisi. • Reazioni di II fase o di coniugazione: avvengono tra il metabolita (prodotto di biotrasformazione) della sostanza ed un coniugante endogeno. Il risultato è un metabolita più idrosolubile che viene rapidamente escreto con le urine. Le principali reazioni di coniugazioni sono: glucurono-coniugazione, coniugazione con solfato, sintesi di amidi, sintesi di acidi mercapturici, metilazione, coniugazione di substrati anloghi, formazione di tiocianati. Eliminazione L’entità e la rapidità di tale processo dipendono dalla concentrazione ematica e dalla distribuzione della sostanza xenobiotica. Se la sostanza è presente solo nel plasma verrà eliminata più rapidamente di un’altra che è invece distribuita anche nei liquidi extra ed intracellulari. Il legame con le proteine plasmatiche non rallenta l’eliminazione della sostanza legata poiché è reversibile: la quota legata si trova in costante equilibrio con quella libera. Maggiore influenza viene esercitata dai legami che si stabiliscono tra la sostanza ed i componenti cellulari che possono costituire un ostacolo all’escrezione, determinando accumulo nell’organismo. Eliminazione Principali vie di escrezione: renale biliare polmonare gastroenterica saliva latte liquor unghie e capelli Cenni di tossicodinamica La sostanza tal quale o un metabolita può legarsi in modo reversibile o irreversibile con diverse strutture biologiche e dar luogo a una serie di trasformazioni che si possono concludere con la comparsa di alterazioni, le quali preludono allo sviluppo, in una fase precoce, di lesioni precliniche e, in una fase più avanzata, a lesioni cliniche. Organo critico Si intende quell’organo o quel processo biologico nel quale si manifesta l’effetto definito “critico”, ossia la prima modificazione dell’organismo rilevabile in seguito all’esposizione alla “concentrazione critica” della sostanza, e quindi in seguito all’esposizione alla più bassa concentrazione capace di causare un effetto. Organo bersaglio Si intende più genericamente quell’organo, apparato o funzione che in caso di intossicazione, preclinica o clinica, viene specificatamente danneggiato dal tossico. Indicatori biologici • Indicatori di esposizione • Indicatori di dose biologicamente efficace • Indicatori di effetto • Indicatori di suscettibilità • Indicatori precoci di malattia Indicatori di esposizione Indica la dose di tossico effettivamente assorbita dal soggetto esposto, mediante la misura della concentrazione della sostanza stessa o di un suo metabolita nei fluidi biologici. Indicatori di dose biologicamente efficace Indicano la piccola o minima frazione di xenobiotico che, generalmente dopo attivazione metabolica, si è legata ad un bersaglio critico (es. addotti al DNA nell’organo bersaglio per i cancerogeni genotossici) o non critico (es. addotti all’emoglobina per composti epato o nefrotossici) per la tossicità. A seconda dei casi, può considerarsi un indicatore di esposizione o di suscettibilità o di effetto o, anche di tutti e tre assieme. Indicatori di effetto Permette di identificare una alterazione precoce e reversibile a livello dell’organo bersaglio (effetto critico, es. protoporfirine eritrocitarie) o che precedono la comparsa del danno clinicamente rilevabile (effetto preclinico, es. microproteinuria) EFFETTI DEL PIOMBO SULLA SINTESI DELL’EME Succinil coenzima A glicina Acido aminolevulinico Escreto con le urine ALA DEIDRATASI porfobilinogeno uroporfobilinogeno coproporfobilinogeno CPG - DECARBOSSILASI Protoporfirina IX + ferro EME - SINTETASI EME + globina emoglobina Accumulo negli eritrociti Indicatori biologici di suscettibilità Esprime una condizione individuale, genetica (sesso, razza, modificazione in geni che controllano la attivazione metabolica o la detossificazione di una sostanza, in geni che controllano la riparazione del DNA o dei danni cellulari, in geni coinvolti nella predisposizione ad una specifica malattia) o acquisita (dieta, stato di salute, stato socio-economico, età) consistente in una limitata capacità dell’organismo di rispondere ai possibili effetti conseguenti l’esposizione ad un determinato xenobiotico. Indicatori precoci di malattia Permettono di identificare quelle alterazioni a carico dell’organo bersaglio che generalmente sono ancora reversibili e precedono la comparsa del quadro clinico. Criteri di ammissibilità all’impiego di un indicatore biologico • Possibilità di un dosaggio su campioni biologici facilmente ottenibili, trasportabili, conservabili • esistenza di metodi analitici sufficientemente sensibili, precisi, accurati • sufficiente grado di conoscenze tossicocinetiche • conoscenza del comportamento degli indicatori relazione ad intensità e durata dell’esposizione • conoscenza dei fattori fisiologici e patologici interferenti • conoscenza delle relazioni dose-effetto e dose-risposta in Al momento attuale sono soprattutto gli indicatori di esposizione (IBE) quelli che maggiormente si prestano ad un uso pratico e routinario, e sono anche quelli che fornendo indicazioni, spesso più precise dello stesso monitoraggio ambientale, sul livello di esposizione individuale agli xenobiotici (per tutte le vie di assorbimento, compresa quella cutanea) contribuiscono alla valutazione del rischio ed al suo controllo nel tempo. Strategia del monitoraggio Necessità di avere precise conoscenze sul metabolismo dei singoli composti, in quanto differenze nella cinetica di metabolizzazione hanno notevoli riflessi su significato e strategia del monitoraggio: • Sostanze a lunga emivita biologica (metalli): tendono a persistere nei compartimenti organici ed il loro dosaggio può fornire indicazioni anche retrospettive dei livelli di esposizione; • Sostanze a breve emivita biologica (solventi): hanno rapido turnover, ed il loro dosaggio è in genere rappresentativo dell’esposizione attuale. La velocità di metabolizzazione del composto in questo caso condiziona il momento di raccolta del campione biologico (inizio turno, fine turno o fine settimana lavorativa). I VALORI LIMITE L'introduzione ed il rispetto, negli ambienti di vita e di lavoro, di norme che stabiliscono limiti di concentrazione per l'esposizione umana ad inquinanti ambientali costituiscono oggi il principale strumento di prevenzione dei possibili effetti degli inquinanti stessi sulla salute, in particolare dei lavoratori. CENNI STORICI • Lehmann 1886: primi limiti per l’esposizione acuta a solventi organici e gas irritanti • anni ‘40: Stati Uniti MAC (Maximum Allowable Concentrations) = TLV (Threshold Limit Values) • 1968 Germania lista MAK (Maximale Arbeitsplatz Conzentrationen) • CEE (Comunità Economica Europea) introduzione di propri limiti professionali basati su valutazioni medicosanitarie e tossicologiche (Health-based occupational exposure limits) diagramma di flusso per la definizione dei limiti di esposizione ad agenti chimici DATI SPERIMENTALI DATI CLINICI DATI EPIDEMIOLOGICI LIVELLO DI NON EFFETTO fattore di sicurezza LIMITE TOSSICOLOGICO fattori extrascientifici LIMITE ADOTTATO ACGIH: American Conference of Governmental Industrial Hygienists Ente americano i cui limiti vengono spesso utilizzati per la valutazione del rischio. Vengono definiti da loro stessi valori limite health based. Valori limite TLV • VALORE LIMITE DI SOGLIA: – concentrazione delle sostanze aerodisperse alla quale la maggior parte dei lavoratori può essere esposta ripetutamente, giorno dopo giorno, senza l’insorgenza di effetti nocivi sulla salute TLV-TWA • MEDIA PONDERATA NEL TEMPO: concentrazione media ponderata nel tempo, su una giornata lavorativa di otto ore e su 40 ore lavorative settimanali, alla quale quasi tutti i lavoratori possono essere ripetutamente esposti, giorno dopo giorno senza effetti negativi TLV-STEL • LIMITE PER BREVE PERIODO DI ESPOSIZIONE: concentrazione alla quale i lavoratori possono essere ripetutamente esposti continuamente per breve periodo di tempo, purchè il TLV-TWA giornaliero non venga superato senza che insorgano: irritazione, danno cronico o irreversibile, riduzione dello stato di vigilanza. TLV-STEL • esposizione media ponderata su un periodo di 15 minuti che non deve mai essere superata nella giornata lavorativa, anche se la media ponderata su otto ore è < TLV • esposizione a valori compresi tra TWA e STEL: massimo di 4 episodi/giorno e almeno 60 minuti tra 1 episodio ed il successivo TLV-C • TLV- CEILING = livello di concentrazione da non superare mai nell’esposizione lavorativa nemmeno per un brevissimo periodo di tempo (importante per gas irritanti) • IL TLV non è lo spartiacque tra situazioni accettabili e/o di rischio e si deve tendere comunque al raggiungimento delle più basse concentrazioni possibili TLV - MISCELE • Quando due o più sostanze nocive sono presenti contemporaneamente, bisogna prendere in considerazione gli effetti combinati piuttosto che quelli di singoli componenti. In mancanza di una dimostrazione contraria, gli effetti delle diverse sostanze nocive dovrebbero essere considerati additivi. TLV - MISCELE • C1/T1 + C2/T2……+ Cn/Tn = 1 • C= concentrazione delle sostanze in esame in atmosfera di ambiente di lavoro • T = corrispondente valore limite TLV Quando la somma delle frazioni supera l’unità, allora il valore limite è superato. Notazione CUTE • La notazione S (skin) che segue il nome di una sostanza sta ad indicare il potenziale contributo all’esposizione globale determinata dall’assorbimento per via cutanea, ivi comprese le mucose e gli occhi, sia per contatto con i vapori, che ancor di più, per contatto diretto della pelle con la sostanza. • La notazione cute non fornisce indicazioni sull’entità del rischio cutaneo; è quindi solo un indicatore qualitativo della presenza di tale rischio e mette in guardia sulla impossibilità di far riferimento al TLV ambientale se non vengono utilizzati sistemi di protezione atti ad evitare l’assorbimento cutaneo. BEI - ACGIH • INDICE BIOLOGICO DI ESPOSIZIONE: sono basati sulla relazione esistente con intensità dell’esposizione e sulla relazione tra effetti biologici ed effetti sulla salute • è un indice integrato corrispondente al relativo TLV-TWA ovvero rappresentano i livelli degli indicatori che, con elevata probabilità, possono ritrovarsi in campioni prelevati da lavoratori sani esposti a livelli di concentrazione prossimi a TLVTWA. Valori di riferimento • VR di un indicatore biologico: valore che caratterizza la popolazione normale non professionalmente esposta • I VR sono di estrema utilità nel campo della medicina ambientale e del lavoro, in quanto non sono solo degli indicatori dell’inquinamento complessivo dell’ecosistema ma costituiscono un fondamentale termine di confronto per valutare l’esposizione professionale Valori Limite nella Legislazione Italiana • D.Lgs 277/91: primi valori limite per amianto, piombo, rumore. (importante passo avanti ma rigidità normativa) • D.Lgs 66/00: polveri di legno duro, cloruro di vinile monomero e benzene • D.Lgs 25/02 : piombo • Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 26/02/04: ampia lista di valori limite professionali per agenti chimici MISURE DI PREVENZIONE Il controllo degli agenti di rischio in ambiente di lavoro si realizza dopo aver eseguito la valutazione dei rischi e si attua con misure sull’ambiente e sui lavoratori: - Sull’ambiente di lavoro (prevenzione primaria) - sostituzione di materie prime - progettazione impianti (ciclo chiuso, automazione-robot) - miglioramento impianti e processi produttivi (ventilazione/aspirazionie generale e/o localizzata) - sistemi di allarme, segnaletica di sicurezza, servizi di sicurezza (lavaocchi, docce, primo soccorso) - Sui lavoratori (prevenzione secondaria) - informazione e formazione (anche su misure igieniche e comportamenti) - organizzazione del lavoro (rotazioni, tempi di esposizione, evitare operazioni pericolose) - dispositivi di protezione individuale - sorveglianza sanitaria - riabilitazione (prevenzione terziaria) INFORMAZIONE E COMPORTAMENTI INTERVETI SULL’AMBIENTE (questi hanno la precedenza e devono essere eseguiti in via prioritaria rispetto alle altre misure di prevenzione) INTERVENTI SUI MACCHINARI ESEMPIO DI CAPTAZIONE DI GAS E VAPORI I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (D.P.I.) Si intende per D.P.I. qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio necessario a tale scopo. REQUISITI GENERALI I D.P.I. devono • possedere requisiti essenziali per il tipo di rischio •essere dimensionati e strutturati per l’uso •essere adeguati alle condizioni esistenti •tenere conto dell’ergonomia del lavoratore •in caso di rischi multipli, i vari D.P.I., (devono) essere compatibili e funzionanti insieme QUANDO SI USANO Quando esistono sul luogo di lavoro dei rischi che non possono essere evitati o sufficientemente ridotti con misure organizzative, tecniche e procedurali (rischi residui). Concettualmente non devono essere sostitutivi di protezioni collettive quando queste ultime siano tecnicamente realizzabili. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Responsabilità della scelta dei D.P.I. in funzione dei rischi attraverso la valutazione di: - caratteristiche adeguate; - condizioni di utilizzo. Obbligo di metterli a disposizione dei lavoratori e della formazione, informazione e addestramento all’uso sia ai lavoratori che ai loro rappresentanti. OBBLIGHI DEL LAVORATORE • Partecipare al programma di formazione/informazione • avere cura dei D.P.I. • non manomettere i D.P.I. • segnalare eventuali inconvenienti • procedure per riconsegna dei D.P.I. TIPOLOGIA DEI GUANTI IN FUNZIONE DEI RISCHI •Guanti di gomma vinilica o neoprenica contro elementi chimici corrosivi come acidi e/o alcali o derivati del petrolio. •Guanti semplici in plastica o lattice per protezione dall’assorbimento di sostanze chimiche o biologiche. ALTRI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE •Indumenti di protezione, che devono impedire o ritardare il passaggio del prodotto contaminante per il tempo necessario affinché l’operatore possa togliersi l’indumento stesso; • Scarpe anti-infortunistiche; •Dispositivi di sicurezza anti-caduta PROTEZIONE DELLE VIE RESPIRATORIE •Ci sono due categorie: • Respiratori dipendenti dall’atmosfera ambiente (respiratori a filtro) • Respiratori indipendenti dall’atmosfera ambiente (respiratori isolanti) RESPIRATORI ISOLANTI (INDIPENDENTI DAL’ATMOSFERA AMBIENTE) • da impiegare quando la percentuale di ossigeno è inferiore al 17%; • quando non si conosce la natura e/o la concentrazione del contaminante; • quando la concentrazione supera i limiti di esposizione consentiti dai respiratori a filtro. SOSTITUZIONE DEL D.P.I. •Ogni D.P.I. avrà dei limiti di capacità filtrante e di durata. •Dal punto di vista pratico un D.P.I. per le vie respiratorie dovrà essere sostituito quando, a causa dell’intasamento del filtro, si avverte l’odore dell’inquinante ovvero aumenta la resistenza del filtro alla respirazione. AEROSOL - PARTICELLE AERODISPERSE • FUMI: PARTICELLE SOLIDE DISPERSE IN UNA MISCELA GASSOSA CHE PUO’ AVERE UNA COMPOSIZIONE COMPLESSA (FUMI DI SALDATURA) • NEBBIE: PARTICELLE LIQUIDE DISPERSE NELL’ARIA (NEBBIE ACIDE) • POLVERI: PARTICELLE SOLIDE DISPERSE IN ARIA, IN PARTICOLARE QUELLE CHE POSSONO ENTRARE NEL TRATTO RESPIRATORIO (FRAZIONE INALABILE) IMPORTANZA DELLE DIMENSIONI DELLE PARTICELLE • LE PARTICELLE POSSONO ENTRARE NEL TRATTO RESPIRATORIO SE HANNO UN DIAMETRO AERODINAMICO MEDIO () < 100 M (FRAZIONE INALABILE) • LE PARTICELLE INALATE A LORO VOLTA SI POSSONO DEPOSITARE NEI VARI TRATTI DELL’ALBERO RESPIRATORIO • DEPOSIZIONE EXTRATORACICA: () < 100M • DEPOSIZIONE TORACICA: () < 11,64 1,5 M • DEPOSIZIONE ALVEOLARE: () < 4,25 1,5 M • (FRAZIONE RESPIRABILE) EFFETTI DELLE POLVERI • INERTI: NON ALTERANO LA STRUTTURA DELL’APPARATO RESPIRATORIO E NON DANNO LUOGO A PATOLOGIE • IRRITANTI: DANNO LUOGO AD UNA ALTERAZIONE CON MECCANISMO DI TIPO FISICO O CHIMICO • FIBROGENE: POSSONO ALTERARE PERMANENTEMENTE LA STRUTTURA DEGLI ALVEOLI POLMONARI DETERMINANDO DANNI IRREVERSIBILI • ALLERGIZZANTI: DANNO LUOGO AD UNA ALTERAZIONE CON MECCANISMO DI SENSIBILIZZAZIONE LE FIBRE • Le Fibre sono delle particelle presenti in aria nelle quali il rapporto fra lunghezza e diametro medio (larghezza) è superiore a 3:1. Sono in pratica delle particelle allungate, tipo filamenti o aghi sottili. • Le fibre possono essere naturali o artificiali • Inoltre si possono suddividere in organiche ed inorganiche. FIBRE INORGANICHE NATURALI • Amianti • Talchi • silicati vari FIBRE ORGANICHE NATURALI • Cotone • Lana • Seta FIBRE INORGANICHE ARTIFICIALI • Fibre di vetro • lana minerale • fibre di carbonio FIBRE ORGANICHE ARTIFICIALI • Acriliche • poliviniliche • poliesteri PERICOLOSITA’ DELLE FIBRE • Alcune forme di amianto sono cancerogene riconosciute per l’uomo (mesotelioma pleurico) • le fibre di vetro e ceramiche sono sospettate di possibile azione cancerogena ma senza evidenze certe • Le fibre tessili (es. cotone) possono dare bissinosi o altre patologie respiratorie. Asma professionale Broncostruzione variabile delle vie aeree correlata in maniera causale all’esposizione in ambiente di lavoro a polveri, gas, vapori, fumi ASMA DA IPERSENSIBILITA’ da sensibilizzazione ad un agente specifico. L’asma si sviluppa dopo un periodo di latenza (settimane, mesi, anni). Durata variabile. RADS (Reactive Airway Disfunction Syndrome) da esposizione acuta a irritanti. L’asma si manifesta dopo poche ore dalla esposizione e persiste almeno 3 mesi. Asma da ipersensibilità: Agenti Più di 250 agenti asmogeni sono di origine professionale AGENTI AD ALTO PESO MOLECOLARE (HMW) AGENTI A BASSO PESO MOLECOLARE (LMW) • • • • • • • • agenti vegetali agenti animali insetti enzimi diisocianati anidridi metalli amine Asma professionale: sintomi Asma con episodi accessionali • Dispnea e costrizione toracica • Sibili prevalentemente espiratori • Test arresto-ripresa positivo • Oculo-rinite se l’agente è HMW Asma senza accessi dispnoici (raro) • Tosse stizzosa o costrizione toracica Sintomi: modalità temporali REAZIONE Immediata Ritardata Bifasica COMPARSA RISOLUZIONE 10-20 minuti 3-12 ore Sia immediata Poche ore 12-24 ore Sia ritardata Asma professionale: diagnosi Conferma della diagnosi di asma • Ostruzione bronchiale reversibile • Iperresponsività bronchiale aspecifica o specifica • Misure seriate del picco di flusso Test di provocazione bronchiale aspecifica Monitoraggio del picco di flusso Neoplasie tipicamente professionali (in quanto rare nella popolazione generale) - mesotelioma pleurico o peritoneale da amianto - angiosarcoma epatico da cloruro di vinile monomero - adenocarcinoma dei seni paranasali da polveri di legno e di cuoio La maggior parte della patologia neoplastica che colpisce i lavoratori è costituita da tumori diffusi anche nella popolazione generale (ad esempio tumori polmonari). In questi casi il giudizio sulla eziologia della singola manifestazione è quanto mai difficile. ALTRI CANCEROGENI PROFESSIONALI - benzene - idrocarburi policiclici aromatici - ammine aromatiche - radiazioni ionizzanti - ossido di etilene - cromo - nichel - cadmio - berillio - arsenico Campi di studio e di intervento innovativi per la Medicina del Lavoro: - patologie osteo-articolari e muscolo-tendinee da movimentazione manuale di carichi e da movimenti ripetitivi; - stress e lavoro a turni; - mobbing; - lavori atipici. Disturbi muscoloscheletrici in Europa (Fondazione Europea Dublino, 2000) • • • • Terza inchiesta sulla salute dei lavoratori: 33 % riferisce mal di schiena 23 % riferisce dolori a spalla e collo 13 % riferisce dolori all’arto superiore ERGONOMIA • Deriva dalle parole greche έςγοσ (lavoro) e νόμοσ (legge naturale), e pertanto deve essere interpretato come “legge naturale del lavoro”; coniato in Gran Bretagna nel 1949 per designare un campo di studio interdisciplinare avente ad oggetto il rapporto tra l’uomo e la prestazione lavorativa. • ILO “Applicazione congiunta di scienze biologiche e tecniche per assicurare tra l’uomo e il lavoro il massimo adattamento reciproco al fine di accrescere il rendimento del lavoratore e di contribuire al suo benessere”. Il lavoro a turni, in particolare il lavoro notturno, costituisce un fattore di rischio aggiuntivo per i lavoratori I problemi posti da tale forma dell’organizzazione dell’orario di lavoro riguardano schematicamente quattro aspetti strettamente interconnessi: biologico, lavorativo, medico, sociale. • Biologico: caratterizzato dalla perturbazione della normale ritmicità circadiana della maggior parte delle funzioni biologiche, a partire dal ciclo sonno/veglia; • Lavorativo: risultante in alterazioni dell’efficienza lavorativa con conseguenti errori e incidenti/infortuni; • Medico: costituito dalle modificazioni dello stato di salute, sia dal punto di vista soggettivo (disagi, disturbi) che oggettivo (stati di malattia) • Sociale: conseguente al conflitto tra il tempo disponibile del turnista per le attività familiari e sociali e i tempi spesso limitati nei quali tali attività possono essere svolte Problemi di carattere biologico Problema: temporaneo (o persistente) sfasamento tra la strutturazione temporale biologica dell’organismo e i tempi di lavoro, di sonno e di tempo libero UOMO ANIMALE DIURNO avendo associato il proprio stato di veglia-attività al periodo di luce e lo stato di sonno-riposo al periodo buio, con una regolare ritmicità nell’arco delle 24 ore. In relazione a tale periodica alternanza tutte le funzioni dell’organismo (cardiocircolatoria, respiratoria, digestiva, metabolica, endocrina, renale) assumono un andamento ritmico circadiano. Ritmo circadiano: periodo compreso tra le 20 e le 28 ore (“circa diem”) • I livelli più alti della funzione sono presentati nel corso della fase ergotropica (luce-veglia-attività) • i livelli più bassi della funzione sono presentati nel corso della fase trofotropica (buio-sonno-riposo) Tale strutturazione ritmica complessa è una caratteristica fondamentale della materia vivente, e dell’organismo umano in particolare, la cui perturbazione o perdita costituisce un segno precoce di alterazione dello stato di salute. Problemi di carattere lavorativo La strutturazione ritmica delle funzioni biologiche assume una notevole importanza nel condizionare anche l’efficienza lavorativa In letteratura: CALO DELLA PERFORMANCE NELLE ORE NOTTURNE PSICOFISICA AUMENTO DELLA SENSAZIONE DI FATICA RIDUZIONE DEL RENDIMENTO INCREMENTO DELL’INCIDENZA DI ERRORI Problemi di carattere medico L’abbassamento del benessere appare legato, oltre che alla perturbazione dei ritmi biologici, soprattutto all’interferenza con SONNO ABITUDINI ALIMENTARI Sonno • Decurtazione quantitativa riduzione delle ore di sonno sia nel corso del turno del mattino, in relazione all’alzata precoce, sia nel turno di notte, in relazione alle difficoltà di dormire di giorno in condizioni ambientali sfavorevoli e in ambienti domestici volti allo stato di veglia • Modificazione qualitativa netta interferenza nella distribuzione delle varie fasi del sonno, con riduzione dei periodi di sonno profondo e di sonno REM. Ciò determina un minor effetto ristoratore del sonno consumato di giorno sia dal punto di vista fisico, legato al sonno profondo, sia dal punto di vista psichico, legato al sonno REM Sindrome da fatica cronica 2 forme: • spossatezza generale generata dalla perdita di sonno e/o dalla sua cattiva distribuzione temporale • sensazione di minore efficienza fisica e squilibrio dell’umore maggiormente legata alla desincronizzazione dei ritmi biologici Disturbi alimentari Legati a • strutturazione temporale del lavoro • sequenza anomala dei pasti • interruzione del sonno Anche se l’introito calorico permane sostanzialmente invariato, i turnisti spostano gli orari dei pasti e durante il turno di notte modificano solitamente la qualità dei cibi, consumando prevalentemente cibi freddi e preconfezionati e incrementando il consumo di bevande stimolanti, nonché il consumo di tabacco da parte dei fumatori Tali situazioni a lungo andare determinano una prevalenza nei turnisti di disturbi e malattie a carico dell’apparato digerente DISPEPSIA GASTRODUODENITE ULCERA PEPTICA COLONPATIA FUNZIONALE Problemi di carattere sociale Nel determinismo dei disturbi concorrono anche fattori psicologici e sociologici in relazione alle difficoltà che insorgono • nella vita familiare • nella vita sociale Donne Risentono in modo particolare dell’influenza di tali fattori. Denunciano in genere un maggior stato di affaticamento ed appaiono assai più vulnerabili dal punto di vista familiare e sociale rispetto agli uomini. Il lavoro a turni per le donne può essere particolarmente gravoso in quanto ai disagi e ai carichi lavorativi si sommano quelli connessi con l’attività domestica. Tuttavia molte donne scelgono il lavoro a turni proprio perché permette loro di attendere meglio alle faccende domestiche e di passare più tempo con i figli Criteri orientativi per una migliore organizzazione del lavoro E’ indispensabile adottare dei correttivi che consentano il miglior compromesso possibile volto a ridurre e limitare al massimo i disagi e gli effetti negativi connessi con il tipo di orario: • • • • • • • • • • ridurre l’orario annuale di lavoro per chi fa i turni di notte regolare la lunghezza del turno notturno in base alla gravosità fisica e mentale del compito adottare cicli di turnazione non troppo lunghi e rotazioni il più possibili regolari ricorrere a rotazioni a breve termine in modo da limitare al massimo il numero di notti consecutive evitare intervalli troppo brevi nel passaggio da un turno all’altro e consentire almeno 24 ore di riposo dopo il turno di notte Non iniziare troppo presto il turno del mattino permettere una certa flessibilità negli orari di cambio turno predisporre schemi di rotazione tali da consentire il maggior numero possibile di fine settimana liberi preferire la rotazione in ritardo di fase (M-P-N) nei sistemi a ciclo continuo consentire pasti il più possibile regolari, predisponendo servizi di mensa e pause adeguate. Sorveglianza sanitaria • Visita preventiva • visita medica dopo 12 mesi dall’inizio del lavoro a turni Successivamente • visita medica ogni 2 anni per chi ha meno di 25 anni • visita medica ogni 5 anni per chi ha età compresa fra i 25 e i 50 anni • visita medica ogni 2-3 anni per chi ha età compresa tra i 50 e i 60 anni Low Back Pain Il LBP è la terza causa di ricorso al medico negli USA dopo 1. Malattie cardiache 2. Artriti 3. LBP La prevalenza di LBP nel corso della vita è circa dell’80% Sono pochissimi i casi di LBP che hanno come origine gravi patologie Il rachide Struttura elastica in grado di garantire in opposizione alla gravità: • la stazione eretta • l’equilibrio di forze e di resistenze necessarie per ogni attività cinetica Il rachide Nell’unità funzionale si distinguono due sezioni: • ANTERIORE: costituita dai corpi vertebrali separati dal disco; ha funzione di sostegno ed assorbimento meccanico • POSTERIORE: costituita dalla coppia di articolazioni che pongono in reciproca connessione due vertebre; ha funzione di locomozione ed esecuzione di movimenti. Il disco intervertebrale è costituito da: • NUCLEO POLPOSO: è la parte interna, semifluida contenente l’88% di acqua. La funzione è di resistere e ridistribuire le forze compressive • ANELLO FIBROSO: è la parte periferica, costituita da una serie concentrica di lamelle di tessuto fibroso che circondano il nucleo formando un alloggiamento inestensibile sotto pressione. Il disco intervertebrale E’ privo di vasi sanguigni e fibre nervose; gli scambi nutritivi avvengono per diffusione attraverso la cartilagine limitante dei corpi vertebrali e, in minor misura, attraverso l’anello fibroso. Il regolare alternarsi di condizioni di CARICO e SCARICO sul disco determina il RICAMBIO DEI FLUIDI e quindi dei metaboliti e dei cataboliti: è questo il meccanismo con cui il disco è nutrito. La postura fissa determina quindi già dopo poche ore un arresto del ricambio per diffusione e quindi si determina una SOFFERENZA DISCALE. Un’alterata possibilità di nutrizione del disco può essere la conseguenza anche di una fissurazione della cartilagine limitante dovuta a insulti acuti sul disco: • sollevamento brusco di carichi eccessivi • traumi diretti I carichi discali Posizioni del rachide Seduto eretto Valori di carico su vertebra lombare in Kg 65-108 Seduto flesso 189 In piedi 115 In piedi tronco flesso a 40° 172 In piedi tronco flesso a 90° + peso da 10 kg + peso da 20 kg 220 350 600-650 Valori limite accettabili di carico lombare (NIOSH) • 350 Kg soggetti maschi di età < 40 anni • 250 Kg soggetti maschi di età > 40 anni soggetti femmine • 650 Kg limite massimo invalicabile Meccanismi patogenetici • Carico eccessivo su colonna integra • Carico fisiologico su rachide “debole” costituzionale (anomalie di sviluppo) congenito (dorso curvo giovanile) post-traumatico (spondilolistesi-lisi) Principali patologie della colonna • SPONDILOARTROSI: processo degenerativo della cartilagine articolare con reazione del sottostante tessuto osseo e articolare e formazione reattiva di osteofiti. Sistema disco-somatico degenerato. artrosi primaria (motivi metabolici) artrosi secondaria (invecchiamento) Principali patologie della colonna • DISCOPATIA: degenerazione del disco intervertebrale con disidratazione del materiale del nucleo polposo, fissurazione dell’anello fibroso con possibilità di erniazione del materiale nucleare attraverso l’anello fibroso; • ERNIA DEL DISCO: protrusione della parte centrale del disco (nucleo polposo) attraverso l’anello fibroso fissurato con possibile compressione delle radici nervose. Dolore lombare Il “mal di schiena”, soprattutto a livello lombare, è un disturbo particolarmente diffuso: colpisce il 7080% della popolazione almeno una volta nella vita; insorge soprattutto nell’età produttiva, costituendo così un rilevante costo sociale e sanitario. Può avere origine dal complesso delle strutture osteo-articolari, legamentose e muscolari che compongono il rachide. Nella maggioranza dei casi tuttavia, soprattutto nei più giovani, si configura come un disturbo funzionale non attribuibile a lesioni o malattie obiettivabili delle diverse strutture anatomiche. Fattori di rischio Lavorativi • posture incongrue • posture fisse prolungate • movimentazione di carichi • vibrazioni trasmesse a tutto il corpo Individuali • età • sesso • fattori strutturali e congeniti (es. scoliosi) • fattori metabolici • fattori immunologici • fattori psico-sociali e comportamentali Valutazione del rischio • L’esistenza di un sovraccarico per il rachide dorsolombare va valutata tenendo conto del complesso dei diversi elementi di rischio lavorativo riportati nell’allegato • Sono utili modelli di valutazione del rischio che, parametrando i principali elementi, portino a definire, per ogni scenario lavorativo dato, qual è il massimo peso del carico movimentabile in quella determinata condizione. Valutazione delle azioni di sollevamento • Modello proposto dal NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) nel 1993: è in grado di determinare, per ogni azione di sollevamento, il cosiddetto LIMITE DI PESO RACCOMANDATO attraverso un’equazione che, a partire da un massimo peso ideale sollevabile in condizioni ideali, considera l’esistenza di eventuali elementi sfavorevoli e tratta questi ultimi con appositi fattori di demoltiplicazione. Altezza delle mani da terra inizio Altezza delle mani da terra all’inizio del sollevamento. 75 cm = fat. Cor. 1 Altezza (cm) Fattore di correzione 0 25 50 75 100 125 170 >170 0,78 0,85 0,93 1 0,93 0,85 0,78 0,00 Distanza verticale di spostamento del peso Distanza verticale di spostamento del peso tra inizio e fine del sollevamento inizio 25 cm = fat. cor. 1 fine Dislocazione cm 25 30 40 50 70 100 170 >175 Fattore di correzione 1 0,97 0,93 0,91 0,88 0,87 0,85 0,00 Distanza del peso dal corpo Distanza del peso dal corpo (distanza massima raggiunta durante il sollevamento) 25 cm = fat. cor. 1 Distanza in cm 25 30 40 50 55 60 >63 Fattore di correzione 1 0,83 0,63 0,50 0,45 0,42 0,00 Dislocazione angolare Dislocazione angolare del peso (in gradi) rispetto al piano sagittale = torsione del tronco 0° = fat. cor. 1 Dislocazio ne angolare 0° 30° 60° 90° 120° 135° >135° Fattore di correzione 1 0,90 0,81 0,71 0,62 0,57 0,00 Giudizio sulla presa del carico Giudizio Fattore di correzione MANIGLIA Buono Scarso 1 0,90 • Applicando la procedura a tutti gli elementi considerati si può pervenire a determinare il limite di peso raccomandato nel contesto esaminato • Il passo successivo consiste nel calcolare il rapporto tra peso effettivamente sollevato (numeratore) e peso limite raccomandato (denominatore) per ottenere un indicatore sintetico di rischio. Rischio minimo: per valori tendenziali < 1 Rischio presente: per valori tendenziali > 1 tanto è più alto il valore dell’indice tanto maggiore è il rischio. Misure di prevenzione • Organizzazione del lavoro • Idonei percorsi • Idonei ausilii • Robotizzazione Il 33% dei lavoratori dichiara di essere adibito in modo usuale a compiti che che comportano movimenti ripetitivi degli arti superiori. Per il 49% dei casi il lavoro ripetitivo è associato a ritmi di lavoro definiti intensi. Già nel 1700 Bernardino Ramazzini descrisse le affezioni causate da movimenti violenti, irregolari e da posture incongrue e indicò lo sforzo compiuto dalle mani e dagli arti superiori degli SCRIBI come causa di deficit funzionali della mano destra Alla fine del 1900 le stesse manifestazioni vennero rilevate in: — calzolai — sarti — mungitori Attualmente La patologia professionale dovuta a movimenti ripetitivi rappresenta la MAGGIOR CAUSA di lesioni muscolo-scheletriche e nervose periferiche nella popolazione lavorativa, superando la patologia traumatica da infortunio. PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLE PATOLOGIE • Eziologia multifattoriale • Sviluppo generalmente lungo • Guarigione lunga e talvolta incompleta • Le patologie più frequenti coinvolgono le unità muscolo-scheletriche • Le sdr da intrappolamento dei nervi periferici sono meno frequenti, ma ricevono attenzione per gravità e costi Principali fattori di rischio • • • • Forza richiesta eccessiva Elevata ripetitività Postura incongrua Periodi di recupero insufficienti Fattori complementari (non necessariamente sempre presenti, ma che a seconda di tipologia, intensità e durata determinano un incremento del livello di esposizione complessiva) • • • • • • • Uso di strumenti vibranti Compressione localizzata su strutture anatomiche Esposizione a perfrigerazione Uso di guanti Esecuzione di movimenti bruschi (“a strappo”) o veloci Esecuzione di gesti con contraccolpi Scivolosità della superficie di oggetti manipolati PATOLOGIE DELL’ARTO SUPERI0RE PIU’ FREQUENTEMENTE CORRELATE CON IL LAVORO • Periartrite scapolo-omerale • Tendiniti di inserzione • Tenosinoviti • Sindromi canalicolari • Sindrome dello stretto toracico • Borsiti • Cisti tendinee • Artrosi delle articolazioni metacarpo-falangee le malattie professionali da WMSDs denunciate alle unità periferiche dell’INAIL dal 1996 al 2000 sono passate da 136 a 1500 con un numero di casi accolti da 10 a 990