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progetto mediterraneo - Scuola Leopardi Foggia
Flora Fauna I Luoghi Le Genti Le Mappe Gonepteryx cleopatra appartiene alla superfamiglia Papilionoidea, caratterizzata da antenne clavate e alla famiglia PIERIDAE: in questa famiglia sono riunite alcune specie dannose all'agricoltura, quali per esempio la Cavolaia. I colori vanno dal bianco puro fino ad arrivare al giallo aranciato. Le sei zampe sono funzionanti in entrambi i sessi. La Cleopatra, come tutte le farfalle, si nutre suggendo il nettare dei fiori; per far questo utilizza la proboscide (mascelle modificate) o spiritromba (stato di riposo). Il maschio ha una grande macchia arancione sulle ali superiori, mentre le inferiori sono di colore giallo, con due puntini rossi al centro. La femmina ha due paia d'ali dello stesso colore (bianco giallastro), con un puntino rosso su ogni ala. Ha una lunghezza di 90-300 mm ed una larghezza di 6-9 mm. Ha un corpo composto da 110-180 metameri, con addome appiattito. Questo verme vive soprattutto nei terreni argillosi e come tutti gli altri lumbricidi è una specie utilissima per la fertilità del terreno; scava, infatti, gallerie nel terreno migliorandone l'aerazione e dando un importante contributo ai processi di umificazione. La maggior parte del tempo la passano sotto terra, scavando gallerie o spingendo la terra in ogni direzione, se il terreno è morbido, o ingerendo la terra e facendola passare nel tubo digerente se il terreno è compatto. Mentre la terra attraversa l'apparato digerente, il lombrico utilizza i piccoli frammenti organici presenti (semi, parti decomposte di piante, uova, larve) per il suo sostentamento. Contemporaneamente questa attività di ingestione di terra e di sua espulsione in superficie consente una notevole ossigenazione del suolo e quindi un arricchimento dell'humus. Le sostanze di scarto vengono espulse sotto forma di piccoli caratteristici cumuli. Sia l'estremità anteriore che quella posteriore di un lombrico sono in grado, entro certi limiti, di rigenerarsi. La capacità di rigenerazione dipende dalla specie, dalla posizione della ferita e dalla taglia del frammento che rimane. Generalmente più è grande il numero dei segmenti perduti più corto sarà il verme rigenerato, fino al punto in cui la rigenerazione non avviene affatto Nella parte centrale del corpo si trova un anello rigonfio detto clitello formato da un ispessimento del tessuto di rivestimento: se il lombrico viene sezionato a questo livello, non rigenera la parte mancante. In corrispondenza del clitello i lombrichi si scambiano i gameti. Come diversi altri lumbricidi, il lombrico è ermafrodita ed oviparo. Depone le uova in una ooteca (chiamata coccon) che costruisce con i secreti espulsi dal clitello, che si estende dal 31° al 37° metamero. Le cicale sono insetti normalmente di grandi dimensioni, con il corpo di forma tozza, la testa considerevolmente larga con due paia di ali trasparenti e membranose che a riposo vengono tenute a tetto al di sopra del corpo. La lunghezza si aggira intorno ai 2-4 cm. Vivono sugli alberi di diversa specie e sullavegetazione. Le cicale sono celebri soprattutto per il canto dei loro maschi che emettono un suono stridente e monotono. Il suono prodotto è alto, continuo e stridulo. Gli organi stridulanti (timballi) sono situati ventralmente all'inizio dell'addome, quasi sempre protetti da un paio di larghe piastre protettive, gli opercoli; sollevati gli opercoli ci sono due cavità per ciascun lato: una più grande ventrale, ed una più piccola laterale. All'interno sono presenti sottili membrane e dei sacchi aerei. Un paio di poderosi muscoli striati -fra i più potenti descritti nel Regno Animale- si collegano alla membrana e contraendosi producono vibrazioni da cui deriva il suono. Le femmine depongono le uova entro i tessuti vegetali provocando spesso delle deformazioni dette galle e pseudogalle. L'alimento sia negli adulti che nelle larve è costituito da linfa e succhi vegetali di vari alberi; possiedono, infatti, un apparato boccale di tipo pungitore-succhiatore. Le larve delle cicale sono sotterranee e possiedono zampe anteriori scavatrici grazie alle quali si spostano da una radice all'altra per nutrirsi. La larva della specie descritta ha uno sviluppo preimmaginale che dura ben quattro anni: al termine, la ninfa matura lascia il terreno e ne sfarfalla l'adulto. Hanno antenne molto corte e 3 ocelli. Nelle campagne il cicaleccio accompagnava i mietitori nelle loro fatiche, facendoli meditare sull'ingiustizia che lì a poco avrebbero subito nella spartizione del raccolto col padrone. Spesso pensavano che il canto non annunciasse che questo, tanto che, in Romagna, accatastando i covoni, ripetevano amaramente: "Dice la cicala al cicalino: il grano al padrone e la paglia al contadino". Un'altra caratteristica della cicala è quella di avere gli occhi molto sporgenti, quasi stessero per schizzare fuori dalla testa. In un'antica leggenda si diceva: «Una volta, tanti anni fa, un cuculo lavorava nella costruzione di una casa, trascinandosi su e giù per le scale portando sulle spalle la calce, ed aiutandosi, per la gran fatica, ripetendo so pu', so pu', so pu' (su pure, su pure, su pure). Un insolente cicala, posata poco lontano, lo canzonava dicendogli: dai, dai, dai (dagli, dagli, dagli). Il cuculo, persa la pazienza, la rincorse, raggiungendola proprio in una bottega di un fabbro, dove, preso un martello, la schiacciò su un'incudine, facendogli schizzare gli occhi fuori dalla testa». La proverbiale inoperosità della cicala, traspare anche da un detto bolognese: Gratar la panza alla zigala (Grattare la pancia alla cicala), riferito a chi se ne sta in panciolle tutto il giorno e chiacchiera tanto per far trascorrere il tempo. Un gioco molto comune tra i fanciulli era quello di catturare questi insetti alla mattina, quando erano ancora intorpiditi dal freddo della notte, per poi infilarvi una pagliuzza nell'addome. Dopo tale tortura, le cicale non erano più in grado di cambiare direzione nel volo, ed erano costrette a volare in linea retta fino a quando non cadevano stremate dalla fatica. Di questo crudele trastullo fanciullesco, resta il detto "Andar dritto come la cicala con la paglia nel sedere", riferito a chi, dopo avere subito un torto, cammina via dritto, senza mai voltarsi. Comunque sia, il canto della cicala era di buon augurio, specialmente se lo si udiva nel mese di settembre. A Modena dicevano che "Se la cicala canta in settembre, non comprare frumento da vendere", in quanto il suo canto era il segno che la buona stagione si era conservata a lungo, permettendo ai contadini di fare scorte alimentari per l'intero inverno. La coccinella dai sette punti è un coleottero appartenente alla famiglia dei Coccinellidi. Si tratta di una delle coccinelle più comuni nelle nostre regioni; è anche una delle più grosse, raggiungendo la lunghezza di 8 mm. La sua livrea è caratteristica e facilmente riconoscibile: il torace, che nasconde quasi completamente la testa, è nero con due macchie bianche; le elitre, rosse, portano 7 punti neri, le brevi zampe sono nere, e le antenne sono corte, terminanti in una piccola clava. Durante l'inverno si ritirano sotto le foglie accartocciate, o nelle spaccature delle cortecce. Lasciano il nascondiglio invernale agli inizi della primavera quando comincia il periodo degli accoppiamenti; la coccinella femmina depone poi sulle foglie grandi quantità di uova giallo-arancioni, simili a granellini allungati, in gruppi compatti. Verso la fine di maggio, le larve hanno quasi raggiunto la maturità. In luglio le coccinelle divengono sempre più numerose. Le piccole larve, dapprima nerissime, vivono in società, aggirandosi nei luoghi dove abbondano le colonie dei pidocchi delle piante (degli Afidi, di cui ricordiamo il noto afide delle rose,). Più voraci degli adulti, si sviluppano molto rapidamente, cambiando parecchie volte la pelle. Per trasformarsi in ninfa, la larva si aggrappa a un supporto con la estremità dell'addome, incurvando il dorso finché non riesce a lacerare la pelle. Liberatasi dell'involucro, la ninfa rimane posata sulla pelle abbandonata; è rossa e nera; se viene disturbata durante il riposo, solleva la parte superiore del corpo e la lascia ricadere ritmicamente, come un pendolo. In capo a 8 giorni fa la sua apparizione l'insetto adulto; eccezionalmente può accadere che manchi uno dei punti neri.Questi coleotteri sono sempre stati tenuti in gran conto dall'Uomo, per l'aiuto che apportano nella lotta contro alcuni insetti che infestano sia le specie ornamentali (ad es. la rosa) sia quelle di interesse alimentare (leguminose, graminacee, solanacee), come dimostrano i loro nomi popolari: "gallinelle del Signore" Le api fanno parte della famiglia delle Apidi, dell'ordine degli Imenotteri. Come tutti gli insetti, le api hanno sei zampe ed il loro corpo è diviso in tre parti: capo, torace ed addome. Hanno delle parti del corpo modificate per poter raccogliere nettare e polline, il primo dei quali è trasformato in miele; queste modificazioni riguardano la struttura delle parti boccali e quella delle zampe. L'apparato boccale è costituito da vari elementi: le mandibole prive di denti; i due lobi interni (glosse) del labbro inferiore sono saldati insieme e formano un lunghissimo pezzo, ricoperto di peluria, che si chiama ligula e funziona come lingua; alla base della ligula stanno i due lobi esterni del labbro inferiore, sono brevissimi e si chiamano paraglosse;i palpi labiali hanno la forma di spatola;i lobi esterni delle mascelle e i palpi labiali, insieme alla ligula, sono estremamente allungati e formano una specie di proboscide. Oltre al nettare e all'acqua un altro alimento indispensabile per i melliferi è il polline che fornisce loro sostanze azotate. Il polline viene raccolto ed immagazzinato principalmente dalle zampe. Il primo articolo del tarso, soprattutto nelle zampe posteriori è molto lungo e largo e possiede verso l'interno una spazzola di peli che serve all'insetto per raccogliere il polline sparso sul corpo. La tibia delle zampe posteriori ha una depressione longitudinale sulla faccia esterna che si chiama cestella; in questa viene ammassato il polline. Quando questo complesso è in stato di riposo, l'intero apparato risulta nascosto ma quando la ligula è distesa può essere lunga fino a 7mm. Questo apparato è adatto alla raccolta dei liquidi: se l'insetto vuole raccogliere dell'acqua o dello zucchero disciolto impregna il labello di liquido che poi passa nel solco ligulare e vi sale per capillarità. Quando i liquidi arrivano alla faringe si mescolano al secreto delle ghiandole salivari che vi sboccano, e una volta entrati nell'ingluvie o borsa melaria, subiscono l'azione enzimatica della saliva che cambia il nettare in miele. Le api vivono nell'alveare; la costruzione dei favi è affidata a giovani api (10-15 giorni di età). Queste vengono nutrite abbondantemente con miele e si attaccano alla volta dell'arnia, allacciandosi le une alle altre in modo da formare una catena; le secretrici di cera rimangono in questa posizione anche per 24 ore, dopo di che la cera comincia a comparire sotto forma di esili lamelle sull'addome. A questo punto un'ape si stacca dal festone e sale verso la volta dell'arnia, dove depone la cera staccata dall'addome e manipolata dalle mandibole e costruisce un primo piccolo blocco; questa operaia rientrerà nel gruppo per lasciare il posto ad un'altra. Le cellette di un alveare non hanno tutte lo stesso scopo: infatti alcune servono per l'allevamento ed altre come deposito degli approvvigionamenti, miele e polline. Le celle dove vengono deposte le uova sono chiuse da un opercolo di cera così come quelle che contengono miele, mentre le celle con il polline rimangono aperte. Un alveare può contenere da 30 a 100.000 operaie a seconda della grandezza dell'arnia; le api operaie hanno una vita non superiore alle 5-6 settimane nel periodo di grande lavoro, ma quelle nate in autunno riescono ad arrivare fino alla primavera. La società delle api è matriarcale e persistente, è inoltre monoginica e si moltiplica per sciami. La società è divisa in tre caste: regina, fuchi ed operaie. L'ape regina è una femmina destinata, dopo il volo nuziale, a vivere nel nido deponendovi le uova, a meno che non debba sciamare. Il primo sciame che esce da un alveare è infatti sempre guidato da una vecchia regina. Prima che esso si formi, le api operaie costruiscono un certo numero di celle reali, per ottenere regine destinate a rimanere nell'alveare oppure ad accompagnare successivi sciami. Quando la giovane regina, nata nella più vecchia di queste celle, si è liberata, cerca di uccidere le sorelle regali che si trovano ancora all'interno delle celle. Questo fenomeno viene evitato perché sciami di operaie e maschi sono pronti a sciamare non appena le giovani regine escono dalle celle; al primo sciame ne seguiranno degli altri fino a quando ci saranno abbastanza api nell'alveare; a questo punto la prima regina che nasce e non sciama ucciderà le regine non nate e diventerà l'unica regina dell'alveare. I fuchi sono maschi, nascono da uova non fecondate, deposte dalla regina in grosse celle esagonali ed, in via molto eccezionale, da operaie di alveari orfani divenute ovificatrici. I maschi sono più pesanti delle operaie, abbondantemente ricoperti di peli e ricchi di sensilli olfattori e tattili, servono esclusivamente alla fecondazione delle regine ed è per questo che si trovano nell'alveare quando la società è pronta per dividersi. La loro vita è molto breve, vivono circa 24 ore. Le api operaie sono femmine che non depongono le uova salvo che in casi eccezionali. Le operaie delle api possono essere distinte in varie categorie a seconda dell'età, nella quale compiono lavori diversi. Le api giovanissime si dedicano alla pulizia delle celle; a partire dal terzo giorno alimentano con miele e polline le larve da operaie e da fuchi. Quando hanno raggiunto dai tre ai sei giorni d'età, secernono pappa reale che forniscono alle giovani larve. Soltanto più tardi, e cioè al quindicesimo giorno di età, si addestrano a divenire bottinatrici, con prudenti voli di orientamento nelle vicinanze dell'arnia; nel frattempo compiono la guardia all'alveare, collocandosi sulla porticina dell'arnia e scacciando tutti gli intrusi. Al ventesimo giorno divengono definitivamente bottinatrici, dedicandosi esclusivamente alla raccolta del nettare e del polline, in un raggio di volo di circa 4 o 5 km attorno all'alveare. Al momento della schiusa, la giovane ape pratica una fenditura nell'opercolo e lo solleva per uscire. Le uova sono tutte identiche, sebbene quelle che daranno origine ai maschi non siano state fecondate. Le larve vengono nutrite per tre giorni con la pappa reale, in seguito il regime alimentare cambia a seconda del destino delle larve: le reali ricevono ancora pappa reale, mentre le altre ricevono miele e polline. La durata della vita larvale è di 24 giorni per i maschi, di 21 per le operaie e di 15 o 16 per le regine. Le api sono provviste di un pungiglione formato da tre elementi: uno stiletto e da due lancette. Lo stiletto è provvisto di dentelli ricurvi che fanno in modo che l'animale non è più in grado di ritrarlo, una volta che l'ape usa il pungiglione è quindi destinata allamorte. Le formiche fanno parte della famiglia delle Formicidae, dell'ordine degli Imenotteri. Come tutti gli insetti le formiche hanno sei zampe e il loro corpo è diviso in tre parti: capo, torace e addome; sul capo è presente un paio di antenne piegate a gomito che sono il principale organo di senso per le formiche. Hanno delle mandibole molto resistenti e robuste che servono come difesa e per trasportare gli oggetti. Le formiche vivono nel formicaio che può avere diverse strutture a seconda delle abitudini delle formiche che ci abitano: troviamo infatti dei formicai sotterranei e altri superficiali, che possono essere di legno, per le formiche che sfruttano i tronchi degli alberi morti, di foglie, per le formiche tessitrici che uniscono più foglie tra di loro con una sostanza secreta dalle larve, ed infine possono essere di terra e detriti ed appesi ad un albero. La società delle formiche è divisa in caste: regina, maschi ed operaie. La formica regina è l'unica femmina feconda, è più grande delle operaie, ha due grandi occhi composti sul capo, il torace molto largo e l'addome voluminoso. Prima dell'accoppiamento è provvista di due paia di ali che cadono subito dopo il volo nuziale, ma se ne riconoscono le tracce sotto forma di moncherini. I maschi sono grandi come la regina, hanno due occhi composti molto grandi, il capo è più piccolo di quello della regina ed il torace è più stretto; hanno due paia di ali che non cadono mai. Le operaie sono tutte formiche femmine che non depongono le uova; hanno occhi molto piccoli o non hanno occhi (nel formicaio non c'è luce), il torace è stretto e le zampe sono sottili per potersi muovere con estrema agilità in qualunque situazione. Le operaie hanno vari compiti: si aggirano sul terreno in solitudine oppure in gruppi formando delle colonne, raccolgono alimenti, fabbricano, riparano e difendono i nidi, allevano la prole e infine accudiscono la regina. Le antenne sono il più importante organo di senso per le formiche e sono sempre in movimento, palpeggiando tutto ciò che incontrano: oggetti, alimenti e compagne; è per mezzo delle antenne che le formiche si riconoscono tra loro, utilizzando sia il tatto che l'olfatto (una formica che ha perso le antenne non è più in grado di riconoscere le sue compagne, viene isolata dalla sua comunità, è destinata a morire). Le formiche fanno parte della famiglia delle Formicidae, dell'ordine degli Imenotteri. Come tutti gli insetti le formiche hanno sei zampe e il loro corpo è diviso in tre parti: capo, torace e addome; sul capo è presente un paio di antenne piegate a gomito che sono il principale organo di senso per le formiche. Hanno delle mandibole molto resistenti e robuste che servono come difesa e per trasportare gli oggetti. Le formiche vivono nel formicaio che può avere diverse strutture a seconda delle abitudini delle formiche che ci abitano: troviamo infatti dei formicai sotterranei e altri superficiali, che possono essere di legno, per le formiche che sfruttano i tronchi degli alberi morti, di foglie, per le formiche tessitrici che uniscono più foglie tra di loro con una sostanza secreta dalle larve, ed infine possono essere di terra e detriti ed appesi ad un albero. Appartenente all'ordine degli Anuri e alla famiglia degli Ilidi, la raganella può essere facilmente riconosciuta per il corpo globoso di circa 5 cm di lunghezza massima, per la colorazione solitamente verde brillante e per la presenza di due fasce brune che, partendo dalle narici e attraversando l'occhio, scendono lungo i fianchi delimitando cosi un'area ventrale di colore grigio fumo o bruno-giallastro che nel maschio si presenta sempre più scuro che nella femmina. Un altro carattere molto utile per la distinzione di quest'animale è la presenza dei dischi adesivi alle estremità delle dita che le permettono di arrampicarsi agevolmente su alberi e cespugli; questo comunque è un comportamento riscontrabile solo negli esemplari adulti, infatti i giovani preferiscono trascorrere il tempo in prossimità del terreno. Europa esistono due specie distinte di Raganelle: Hyla arborea o Raganella, diffusa in tutta Italia e gran parte dell'Europa, con le caratteristiche fin ora descritte; Hyla meridionalis o Raganella mediterranea, diffusa nella Penisola iberica meridionale, Francia meridionale e in Italia solo in Liguria, con le fasce laterali che s'interrompono subito dopo l'area temporale. Il tritone punteggiato, presente in Europa ed in Asia minore è diviso in varie sottospecie di cui due presenti in Italia. Il tritone punteggiato presente in Italia è una sottospecie endemica dell'Italia, della Svizzera e della Slovenia settentrionale. In Italia spesso divide l'habitat con il tritone crestato (Triturus carnifex) ; nell'Italia meridionale è sostituito dall'endemico tritone italiano (Triturus italicus) sua specie vicariante. La caratteristica punteggiatura, molto evidente nel maschio, gli ha valso il nome. Il maschio si distingue dalla femmina per una colorazione generalmente più accesa, per una striatura molto marcata ai lati della testa, per la cresta caudale e per la cloaca ingrossata nel periodo riproduttivo La rana verde o esculenta, denominata anche rana comune, è una specie appartenente alla famiglia dei Ranidi, nell'ordine Anuri. Di circa 12 centimetri di lunghezza, presenta un dorso di colore verde smagliante o bruno oliva, talvolta cosparso di macchie nere e ornato, da ogni lato, da una piega ricca di ghiandole di color bronzo. I fianchi sono macchiati di nero o di bruno scuro. Una linea dorsale, chiara, mediale si estende dalla testa fino all'ano, ma manca in parecchi individui. Il ventre è bianco, punteggiato di nero e di grigio. Vive ai margini degli stagni e dei corsi d'acqua lenti e con vegetazione fitta. Al minimo segnale di pericolo si tuffa e scompare tra la vegetazione. E' un animale voracissimo che si nutre di insetti, tra cui farfalle che si avventurano sopra l'acqua, larve, vermi, lumache, ma anche di prede voluminose come giovani rane, piccole lucertole, piccoli roditori. I maschi, provvisti da ogni lato della testa di un sacco vocale esterno, che si gonfia come una vescica, riempiono le notti d'estate con il loro assordante gracidio. L'accoppiamento (ascellare, vale a dire che il maschio tiene la femmina per le ascelle) ha luogo in giugno; le uova vengono depositate su grossi ammassi Diffuso nella maggior parte dell'Europa (eccetto Irlanda, Corsica, Sardegna, Baleari, Malta e Creta) in Italia è molto comune. Lo si ritrova in una gran quantità di ambienti, spesso piuttosto asciutti. Gli adulti arrivano a 15 cm di lunghezza con le femmine più grandi dei maschi. Ha una pelle molto verrucosa e delle ghiandole paratoidi molto prominenti e leggermente oblique. Ha un colore brunastro ma variabile da color sabbia a quasi rosso mattone, grigiastro e verde oliva. Può avere delle macchie e chiazze più scure sul dorso, mentre la parte ventrale è biancastra o grigia, spesso con strie più scure. Gli occhi, con una pupilla orizzontale, sono dorato scuro o color rame. Non ha dei sacchi vocale esterni. Il rospo ha delle abitudini crepuscolari e notturne, anche se con un tempo piovoso o durante il periodo riproduttivo, è possibile rinvenirlo di giorno. E' un anfibio terragnolo, ma nella stagione riproduttiva compie delle vere e proprie migrazioni per raggiungere l'ambiente acquatico, come stagni e corsi d'acqua a moto lento, lanciando richiami facilmente udibili. La maggior parte della popolazione migra negli stessi giorni e si hanno allora degli addensamenti presso le rive e in acqua anche centinaia di individui; è questa la fase più rischiosa: per raggiungere la meta spesso devono attraversare strade ad intenso traffico veicolare, con le disastrose conseguenze immaginabili. Lunghezza media: 200-250 cm Peso medio: 70-130 kg Longevità: 25-30 anni Il delfino è senza alcun dubbio il mammifero acquatico più conosciuto e amato. Le specie che si possono più facilmente incontrare nelle acque delle Galapagos sono il delfino a “naso di bottiglia”(Tursiops Truncatus) e il delfino comune (Delphinus Delphis). La specie più grande di delfino è senza dubbio l’orca, che è possibile incontrare nel mare delle Galapagos. I delfini sono mammiferi, non possono dunque rimanere sott’acqua senza respirare, se non per pochi minuti. Sono soliti aggirarsi in grandi branchi di 1000 o 1500 individui. Il corpo di un delfino, o di un qualsiasi altro Cetaceo, si presenta estremamente idrodinamico, in modo da consentirgli di nuotare agilmente. La pelle, estremamente liscia e senza peli, contribuisce a ridurre la resistenza dell'acqua secernendo olio o muco. Infatti è dotata, all' interno, di speciali creste cutanee che contrastano la formazione di vortici, così come particolari secrezioni oleose eliminano la turbolenza dell'acqua ed ne agevolano lo scivolamento sulla superficie. Riescono quindi a raggiungere velocità massima di circa 45 km/h e navigare per lunghi periodi ad una velocità di 18-20km/h. Lo scheletro è assai debole dal momento che non hanno alcun bisogno di sostenere il loro corpo. Le vertebre del cervicali sono corte e spesso fuse in modo da conferire una grande forza al collo, impedendogli di flettersi e quindi costituire un ostacolo per il nuoto. Gli arti anteriori si sono trasformati in due natatoie ben sviluppate, mentre gli arti posteriori sono scomparsi e gli unici residui di osso pelvico sono due ossicini dietro ai muscoli. Le natatoie e la pinna dorsale servono a mantenere la direzione e l'equilibrio, mentre i lobi della coda spingono il corpo dentro l'acqua. La coda rappresenta una delle caratteristiche anatomiche peculiari dei Cetacei, in quanto si differenzia da quelle dei pesci poiché si è sviluppata in senso orizzontale. Il cranio è "telescopico", cioè spinto all'indietro a partire dalla fronte, ha occhi indipendenti e posizionati in modo tale da consentire una vista frontale (cosa che non accade nelle balene), ha molti denti sottili e appuntiti(il numero varia a seconda delle specie considerate: ad esempio il delfino comune ne ha circa 200), infine sulla sommità, leggermente spostato a sinistra ha lo sfiatatoio: l'unica narice chiusa da un lembo di pelle. La pinna caudale è priva di struttura ossea, ma provvista di una robusta muscolatura e resistenti fasci fibrosi. Imprime un'eccezionale propulsione al nuoto grazie alle potenti battute verticali dei suoi lobi. I muscoli della loro coda sono dieci volte più potenti di quanto non lo siano quelli degli altri mammiferi. Il movimento verso l'alto genera il moto, il ritorno passivo verso il basso riconduce alla posizione iniziale. Questa dinamica sembra consentire al flusso laminare di separarsi alla fine del corpo dell'animale senza provocare attriti, che invece la muscolatura di un Cetaceo non sarebbe in grado di vincere. Senza utilizzare la forza muscolare i delfini sono abilissimi a cavalcare le onde sfruttando i flussi prodotti dal vento o dalla prua delle navi, ma è "pinneggiando" con vigore e girandosi su un fianco che riescono a raggiungere le loro incomparabili velocità. I delfini sono, inoltre, animali a sangue caldo e devono quindi essere in grado di conservare il calore del corpo. Per questo motivo hanno dimensioni maggiori rispetto agli animali a sangue freddo (i delfini oceanici sono lunghi mediamente 220 cm, mentre quelli di fiume 215 cm). Il calore è prodotto all'interno dell'animale, e si disperde attraverso l'epidermide: essi creano più calore di quanto in realtà ne perdano rimanendo così caldi. Inoltre lo spesso strato di grasso sotto la loro pelle (adipe) isola il corpo e ne conserva il calore. Ancora, il loro apparato circolatorio contribuisce al risparmio di calore; il sangue, infatti, si raffredda a mano a mano che scorre verso le estremità del corpo. I vasi sanguigni presenti nella code, nelle pinne pettorali e in quella dorsale sono quindi sistemati in modo che il sangue che ne defluisce venga riscaldato prima di ritornare ad altre parti del corpo. Generalmente la loro alimentazione varia dal pesce (aringhe, capelin) ai calamari sino ai crostacei, a seconda delle diverse specie e della disponibilità. I molti denti dei delfini, piccoli, taglienti ed appuntiti, non servono per masticare il cibo, che viene inghiottito intero, ma semplicemente ad afferrare il pesce viscido. L'alimentazione fa comunque parte di un comportamento sociale perchè, sebbene siano in grado, quando il cibo è più abbondante, di alimentarsi da soli, solitamente formano colonie di 6-20 individui per organizzare vere e proprie battute di caccia. Ancora più numerosi sono i gruppi che formano i delfini che vivono in pieno oceano dove possono arrivare ad unirsi centinaia di individui. La predazione è attentamente organizzata: i tursiopi, per esempio, circondano i banchi di pesce, stringendoli in spazi sempre più piccoli ed entrando al centro, per nutrirsi, uno alla volta, cominciando dagli individui dominanti (i maschi) e procedendo con i soggetti collocati più in basso nella scala gerarchica (femmine e giovani). Comunque ogni specie ha perfezionato la propria singolare tecnica di caccia. I delfini usano l'ecolocalizzazione per individuare le prede, ma è anche probabile che il sonar serva a stordire e disorientare le prede, rendendone così più semplice la cattura. Per quanto riguarda invece il fabbisogno di acqua dei delfini, è interessante sapere che non bevono l'acqua del mare filtrandola, ma assorbono direttamente quella contenuta nel pesce di cui si nutrono. Escludendo i delfini costieri che conducono una vita solitaria, gli altri si organizzano i gruppi di numerosità variabile: da 2 a più di mille soggetti. Solitamente si contano 20100 individui per gruppo e in quelli più numerosi ci sono ulteriori suddivisioni in gruppetti più piccoli collegati tra loro. All'interno di ogni branco vige una rigorosa gerarchia sociale in cui i maschi sono gli individui dominanti (che quindi hanno il diritto di nutrirsi per primi) seguiti dalle femmine e dai giovani. In ogni gruppo le femmine e i piccoli nuotano al centro del branco in modo che i maschi possano proteggerli da attacchi nemici. Non è infatti raro che le orche o gli squali attacchino questi cetacei che considerano delle prede. I gruppi non sono fissi nel tempo: il numero di individui al suo interno può variare per l'allontanamento temporaneo di un maschio che va ad accoppiarsi con femmine di altri branchi, o per il distacco di giovani che formano una nuova comunità o per il ritorno di giovani femmine che hanno raggiunto la maturità sessuale. Comunque all'interno di ogni gruppo c'è sempre una forte coesione: addirittura se un membro del branco è in difficoltà e incapace di nuotare, i compagni lo sorreggono portandolo spesso in superficie a respirare. Muraena helena è la classica murena mediterranea, dalla tipica colorazione tigrata. Il suo ambiente di vita va dalla superficie fino ai 100 metri di fondo. Predilige le cavità degli ambienti rocciosi, ma è facile incontrarla anche nei relitti e nelle anforei. Priva di pinne ventrali come tutti gli anguilliformi, si sposta velocemente nell'acqua grazie a dei rapidi serpeggiamenti del corpo. La pelle, priva di scaglie, è ricoperta di muco. Cacciatore notturno, è un forte predatore, e si nutre di pesci e cefalopodi che cattura con una tecnica tutta particolare, che sfrutta la flessibilità e la forza del suo corpo. Nei Molluschi, nonostante le notevoli differenze tra le varie classi in cui vengono divisi dal punto di vista sistematico, è sempre possibile trovare delle caratteristiche che li accomunano e delle omologie anatomiche.). Questo accade perché i Molluschi discendono tutti da un medesimo progenitore che possedeva un mantello (duplicatura cutanea che riveste il sacco viscerale) attraversato da un tubo digerente con all'inizio una bocca seguita da uno stomaco e con un ano alla fine. Erano presenti anche delle branchie per aumentare la superficie respiratoria, un piede muscolare, e una conchiglia con funzione protettiva. Tutti questi elementi, con qualche variazione, li ritroviamo ancora negli attuali Molluschi. Nei Gasteropodi Prosobranchi il mantello e i visceri hanno subito una torsione che ha portato l'ano e le branchie in avanti, mentre nei Gasteropodi Opistobranchi si trovano entrambi nella parte posteriore del corpo. La conchiglia dei Lamellibranchi è formata da due valve, da cui anche il nome di Bivalvi, unite da una cerniera e da un legamento. In quest'ultima classe le branchie sono molto sviluppate, mentre il piede è ridotto in quanto non utilizzato ai fini della locomozione. Nei Cefalopodi invece il piede si è trasformato in tentacoli muniti di ventose.La maggior parte dei Molluschi è bentonica, ma esistono, anche forme planctoniche o nectoniche (che nuotano cioè attivamente). Più abbondanti nella zona di marea e nelle acque basse, dove molte specie, e i Gasteropodi in particolare, raschiano grazie alla radula strati di alghe, funghi e batteri, i Molluschi possono essere anche animali carnivori o filtratori. Si fantastica eccessivamente sulla grandezza e sulla pericolosità di questi molluschi. I vecchi polpi raggiungono, a braccia distese, tre metri di lunghezza e 26 chili di peso. Tali esemplari sono però molto rari. Di solito i polpi sono molto più piccoli, sono innocui e solo occasionalmente possono mordere. Il polpo è un mollusco appartenente alla classe dei cefalopodi, animali vivaci ed agili, che nell'aspetto esteriore, hanno poco in comune con gli altri molluschi. A differenza dei gasteropodi (vedi murice), che pure sono i parenti dei cefalopodi più simili nella struttura del corpo, il piede del polpo, che i gasteropodi usano per strisciare sul substrato, risulta trasformato in un sifone, il cosiddetto imbuto. Espellendo con forza l'acqua attraverso l'imbuto, il polpo può muoversi nuotando velocemente anche grazie all'assenza di conchiglia che rappresenterebbe un insopportabile fardello. Sempre attraverso l'imbuto, in caso di pericolo, il polpo può espellere il contenuto della ghiandola dell'inchiostro. Questa tasca contiene una sostanza scura che intorbida l'acqua disorientando l'assalitore e permettendo al polpo di fuggire inosservato. Il capo del polpo porta 8 tentacoli molto mobili, muscolosi, muniti di due file di ventose. Quest'ultima caratteristica permette di distinguere facilmente Octopus vulgaris dal simile Eledone aldovrandii, noto con il nome di Moscardino, che presenta le ventose poste in un'unica serie su ciascuno dei tentacoli. Le ventose servono per ritenere la preda e per spostarsi sul fondo attaccandosi al substrato. Al centro della corona di tentacoli si trova la bocca che è provvista di un robusto becco corneo. Nel capo del polpo sono molto appariscenti i grandi occhi globosi, somiglianti per la struttura a quelli umani. Al possesso di organi visivi così fatti è legato il comportamento vivace ed inquieto di questo animale. Una caratteristica sorprendente del polpo, comune a tutti i cefalopodi, è la sua capacità di cambiare colore in risposta a diversi stimoli ambientali. E' il cefalopode più frequente delle coste mediterranee; talvolta presente in gran numero durante le cosiddette "annate da polpi". Abita le fenditure delle rocce che barrica con pietre, nella zona costiera superiore, da pochi metri fino a 100 m. Si spinge spesso in prossimità della riva, muovendosi, tra gli scogli, a pochi cm di profondità. L'ingresso della tana, in genere, è facilmente riconoscibile per la presenza dei numerosi resti degli animali di cui si nutre (conchiglie di bivalvi, carapaci di granchi, ecc.). Alla fine dell'inverno gli animali sessualmente maturi risalgono a bassa profondità per riprodursi. La femmina depone le uova (150000-400000) in lunghi cordoni fissati alla volta delle tane e le custodisce per 1-2 mesi. In questo periodo la femmina non si nutre e spesso muore dopo la schiusa. Dalle uova, relativamente grandi, fuoriescono, senza stadio larvale, direttamente giovani polpi. Sepia officinalis è fornita di dieci tentacoli di cui due più lunghi e retrattili in apposite tasche. Dorsalmente, nella cavità del mantello, la seppia possiede una conchiglia calcificata piatta, chiamata erroneamente "osso di seppia", che contengono delle loggette ripiene di gas permette all'animale di mantenere un galleggiamento neutro. I Crostacei appartengono al grande gruppo degli artropodi, che comprende cioè gli invertebrati con gli arti articolati. Il corpo, diviso in segmenti riuniti a formare determinate regioni diverse l'una dall'altra, è rivestito da una cuticola spessa costituita da una sostanza azotata detta chitina. La chitina forma l'organo di sostegno di questi animali, cioè l'esoscheletro. I muscoli si attaccano internamente e, poiché l'esoscheletro è sì rigido, ma si assottiglia in corrispondenza del limite dei metameri, questi possono piegarsi l'uno rispetto all'altro. Questo esoscheletro chitinoso, secreto da un epitelio sottostante, è materiale che non può accrescersi con l'animale, per cui solitamente negli artropodi si osserva il fenomeno della muta.. L'artropode durante questa fase resta indifeso e può essere facile preda di eventuali aggressori. La muta è infatti un momento difficile in quanto tutto il processo richiede tempo ed energia, e l'animale preferisce restare nascosto fino al suo compimento. Nella vita di un crostaceo le mute sono diverse, e il loro numero varia a seconda della specie. I Crostacei, pur costituendo una gran parte del plancton degli oceani, sono ben rappresentati come animali bentonici dalle spiagge alle profondità abissali. Le dimensioni variano da quelle microscopiche delle forme planctoniche a quelle addirittura superiori al metro raggiunte da alcune forme bentoniche. Il corpo è solitamente diviso in capo, torace che porta gli arti locomotori, e addome.La testa porta due paia di antenne e tre paia di arti boccali (mandibole, mascelle prime e seconde). Le coppie di appendici del torace e dell'addome sono solitamente bifide e assolvono a diverse funzioni.I sessi, salvo poche eccezioni, sono separati e nello sviluppo si osserva una serie di stadi planctonici larvali. Periclimenes amethysteus è un gamberetto mediterraneo che in fatto di bellezza non ha nulla da invidiare ai numerosi cugini tropicali appartenenti allo stesso genere. Nome scientifico: Palinurus elephas l’aragosta è il crostaceo senza dubbio più famoso ed apprezzato dal punto di vista alimentare. Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la crescita deve avvenire perciò per mute successive con le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne costruisce una nuova più grande. Può raggiungere dimensioni attorno ai 50 cm ed un peso di 8 kg. Il corpo è provvisto di tredici paia di appendici cinque delle quali vengono usate per camminare, un paio è costituito da lunghe antenne, possiede una coda, il telson, a forma di ventaglio, gli occhi sono situati in cima a peduncoli mobili, non si osservano chele, il corpo e cosparso di spine e tubercoli, la colorazione è rosso violacea con macchie più chiare. vive abitualmente su fondali rocciosi o ghiaiosi, raramente la si può trovare su fondi sabbiosi, a profondità comprese tra 20 e 70 m, può raggiungere i 200 m. E’ diffusa soprattutto nei mari attorno alla Sardegna, predilige fondali ricchi di anfratti dove si colloca facendo sporgere le antenne, forma spesso colonie con numerosi individui. Durante la muta l’animale è più debole perché rimane privo della corazza di protezione, il suo aspetto non cambia ma il corpo è molle e facilmente attaccabile, si ritira così in una tana dove passa la giornata mangiando conchiglie di molluschi che le consentono di acquisire i sali minerali necessari per la nuova corazza. La riproduzione avviene a fine estate, si possono osservare le femmine con l’addome pieno di uova, le larve nascono al termine dell’inverno, sono planctoniche e raggiungono il fondo, loro habitat definitivo, attraverso una crescita caratterizzata da diversi stadi durante la quale si nutrono di plancton. Esistono altre due specie di aragosta in Mediterraneo, Palinurus mauritanicus, che si distingue per la presenza di numerose chiazze bianche sulla corazza e per le abitudini di vita, predilige fondali più profondi, e Palinurus regius, riconoscibile per il corpo di colore verde, presente lungo brevi tratti della costa meridionale francese e spagnola, si suppone sia stata introdotta accidentalmente in Mediterraneo. Si pesca con reti da posta, tremagli e con grandi nasse, l’aragosta viene mantenuta viva fino al momento della vendita, gli individui freschi sono riconoscibili per i colori vivaci. Spontaneo in tutta Italia, tranne nell'estremo sud, si trova nei boschi e nelle siepi. Raggiunge un'altezza di 25 m. Le foglie hanno tre lobi principali dalle estremità arrotondate e due lobi basali più piccoli. In autunno diventano di color giallo ambra. I fiori sono piccoli, di color gialloverde, mentre i frutti sono samare con le ali disposte in linea quasi retta. Era usato tradizionalmente come tutore vivo della vite : grandi esemplari di acero si trovano ancora vicino alle case rurali, dove erano apprezzati per la fitta ombra. Il legno è usato per il fondo e i manici dei violini. Albero caducifoglie molto diffuso in Italia, si sviluppa soprattutto su suoli fertili, freschi e profondi dove può raggiungere anche un' altezza di circa 40 mt. Le foglie sono opposte, con margine dentato, picciolate e con lunghi apici. I fiori maschili e femminili, di color bianco-crema portati in densi racemi nell'epoca primaverile, si trovano spesso sullo stesso esemplare ma su rami diversi. I singoli frutti hanno un esile ala e pendono in fitti gruppi; in autunno si colorano di marrone Grosso albero presente in tutte le regioni italiane in pianura e fino a 500 m di altitudine, nasce comunemente nei boschi e nelle siepi. Le foglie sono ovate e disuguali alla base, seghettate. I fiori, piccoli e verdi, compaiono prima delle foglie. Il frutto è una samara alata, quasi tonda, che veniva chiamata "pane di maggiolino" e consumata in insalata o in frittate. La varietà suberosa, presenta delle ali di sughero sui rami, che la proteggono dagli attacchi degli erbivori. Veniva impiegato come tutore vivo della vite, mentre le foglie ricavate dai rami emessi in prossimità dei tagli, considerate un ottimo foraggio, venivano destinate al bestiame. Abbastanza comune in Italia, preferisce luoghi umidi e ombrosi. E' una pianta bulbosa perenne, con fusto alto 10-45cm, fortemente trigono, dall'intenso odore di cipolla. Le foglie, quasi basali, sono molte lunghe. I fiori, peduncolati, sono raccolti in un'infiorescenza terminale ombrelliforme. Il bulbo, spesso fino ad 1,5 cm, può essere mangiato come l'aglio domestico. Tipica pianta della macchia, nasce qua e là selvatico in mezzo alle piante. Ha un rizoma corto e grosso, dal quale in primavera nascono diversi polloni carnosi, gli asparagi commestibili. Questi crescono fino ad acquistare un'altezza di 1 m, diramandosi in rami sottili, dotati di piccole foglie squamiformi, alla base delle quali si sviluppano dei rametti sottili disposti come setole in fascetti, che svolgono la fotosintesi. I fiori sono giallognoli a forma di campana, solitari o a paia, e fioriscono in maggio e giugno. I frutti sono bacche globose, della grossezza di un pisello, e diventano color scarlatto a maturazione. Cyclamen repandum Diffusi soprattutto nei boschi dell'Italia centro-meridionale, sono piante erbacee perenni di 10-20 cm, con tubero arrotondato, e con foglie triangolari e arrotondate il C. repandum e cuoriformi e ovate il C. hederifolium. I fiori sono inodori, con una corolla purpurea il primo, che fiorisce in aprile-maggio, e color malva il secondo, con epoca di fioritura autunnale. Il frutto è una capsula. Pianta erbacea comune in tutta Italia, vive in luoghi umidi, ai margini di stagni ed acquitrini. Il fusto cilindrico, alto fino a 150 cm, è simile alle foglie con le quali forma fitti ciuffi. I fiori sono raccolti in infiorescenze prodotte da un lato del fusto ad una certa distanza dalla sommità. Il frutto è una capsula. Il suo nome deriva dal verbo latino jungere, cioè "legare", e rispecchia l'uso che si faceva di questa pianta, utilizzata per fabbricare ceste e legacci. Una volta comune in tutta Italia, questa specie si rinviene soprattutto in campi di cereali o in prati erbosi, ormai sempre più spesso contaminati da pesticidi. Pianta bulbosa, può raggiungere altezze fino ad 1 metro. Ha delle foglie strette e lanceolate e dei fiori riuniti a spiga, di un bel color rosso porpora. I frutti sono delle capsule contenenti semi non alati. Pianta tipica dell'area mediterranea, è comune in tutta Italia. Specie bulbosa che cresce nei prati, ha delle foglie basali molto lunghe. I fiori sono raccolti in un ombrella formata da 2 a 15 esemplari, lungamente peduncolati ed avvolti da una guaina. I tepali sono di colore bianco-giallastro, mentre la corolla, gialla o arancione, ha una forma di tazzina, da qui il nome scientifico. Il fiore ha un gradevole profumo Unica palma originaria dell'Europa, cresce selvatica sui pendii lungo la costa del Mediterraneo. Le foglie sono rigide e a ventaglio, mentre i fiori crescono in pannocchie. Le bacche sono datteri rotondi, profumati di formaggio, molto appetiti dalle volpi. In Sicilia se ne utilizzava il cuore, cotto come i cardi, e le parti sotterranee ridotte in farina. Diffuso in tutta Italia, è un cespuglio molto ramificato con fusti finemente solcati, può formare il sottobosco di foreste mediterranee. Il nome "pungitopo", deriva dall'usanza contadina di proteggere dai topi con mazzetti di questa pianta, i salumi e i formaggi messi a stagionare. Ha delle strutture, che pur simili a foglie, sono fusti appiattiti (cladodi) che hanno sviluppato funzioni simili a quelli delle foglie, essendo anch'essi fotosintetici. I fiori maschili e femminili si trovano su rami diversi portati al centro dei cladodi. Il frutto è una bacca globosa, rosso brillante, contenente uno o due semi. I giovani germogli possono essere mangiati, avendo sapore simile a quello dell'asparago. Originario dell'Asia, oggi è distribuito ampiamente in tutta l'Europa e nell'area mediterranea. In Italia è diffuso lungo le coste tirreniche e adriatiche e in Sardegna. Oggigiorno è una delle piante più comunemente usata per le siepi. Raggiunge dimensioni anche notevoli (fino a 10m) allo stato spontaneo. Nell'antica Grecia, l'alloro era considerato sacro ad Apollo e il più alto onore per un poeta greco consisteva nell'essere incoronato con una ghirlanda di alloro con foglie e frutti. I Romani, invece, lo adoperarono quale simbolo di successo, specialmente in guerra. Nella cucina l'alloro viene usato per insaporire le carni. In passato, si riteneva che l'odore dolce e pungente della foglia di alloro coriacea di colore verde scuro - avesse la proprietà di purificare l'aria. Dal frutto - una drupa verde, grossa e ovale che diventa nera a maturazione in ottobre - ancor più aromatico delle foglie, veniva estratto un olio essenziale. Il legno si utilizza per fabbricare piccoli mobili e per lavori di tornio. Arbusto cespuglioso e spinoso frequente in tutta Italia, fino a 1000 m di altitudine. I fiori sono piccoli e bianchi, raccolti in infiorescenze ; i frutti sono dei pomi polposi, di colore rosso corallo. Il biancospino è noto fin dai tempi dei Greci, i quali si servivano dei rami forti per adornare gli altari durante le cerimonie nuziali. Il nome latino Crataegus deriva dal termine kratos, che significa forza, a motivo della durezza del legno. In Francia si crede invece che il biancospino, colpevole di aver fornito la corona di spine per il martirio di Cristo, nel giorno del Venerdì Santo emetta gemiti dal tronco. Ad alimentare le superstizioni negative però è stato il caratteristico odore dei suoi fiori. Nell'essenza di biancospino è presente un componente chimico, presente anche nella materia in decomposizione. Gli insetti che si cibano di questa, infatti, sono gli stessi che visitano, per impollinarli, i fiori del biancospino. Il corbezzolo è una delle piante più tipiche e più note delle regioni mediterranee, dove è localizzato nel sottobosco di pinete e leccete litoranee. E' un arbusto o alberello sempreverde, alto da 1 a 12 metri. Le foglie sono alterne, con il margine dentato più chiare nella pagina inferiore. I fiori sono bianchi e campanulati e sbocciano in autunno mentre i frutti rossi stanno ancora maturando. Il frutto, chiamato anche fragola o cerasa marina, è poco saporito e rivestito di buccia granulosa. Specie tipicamente mediterranea, spontanea in Italia, frequente soprattutto nelle zone centrali, meridionali e nelle isole, lungo le coste e i litorali, dove c'è presenza d'acqua. E' un arbusto sempreverde che può arrivare a misurare anche 3 metri. Le foglie sono coriacee e di colore verde cupo brillante, e se spezzate emettono un gradevole aroma. I fiori, provvisti di numerosissimi stami e profumati, sono bianchi e compaiono all'ascella delle foglie in estate. Le bacche sono nerobluastre mature in pieno inverno e dal gusto un po' aspro e resinoso. Specie tipica della macchia mediterranea, in Italia è diffuso lungo tutte le coste, tranne in quelle più fredde dell'alto Adriatico. E' un piccolo albero sempreverde, alto fino a 5-6 metri, dal caratteristico odore resinoso. Le foglie, alterne, sono composte da 2-5 coppie di foglioline di colore verde chiaro e lucide. I fiori nascono dall'ascella fogliare in grappoli durante il periodo primaverile; quelli maschili hanno un colore fortemente rossastro. I frutti sono piccole drupe rosso scuro al cui interno vi è un seme di colore verde brillante a forma di lenticchia (da qui il nome lentisco). Dal seme si ricava per pressione un olio, un tempo usato sia nell'alimentazione - risulta però molto amaro - sia per l'illuminazione -illuminava le lanterne romane. Arbusto alto fino a 8 metri, cresce dovunque il contenuto di azoto sia alto: vicino ad edifici, intorno ad allevamenti ma anche in formazioni naturali, nelle siepi e ai margini dei boschi, ma sempre in luoghi abbastanza umidi. In Italia è comunissimo fino ai 1500 m di altitudine. I fiori sono giallastri e intensamente profumati raccolti in infiorescenza, i frutti sono bacche molto succose di colore rosso scuro. Da queste parti si ottengono distillati e marmellate ricche di vitamina C. I frutti però devono essere maturi, perché a maturazione incompleta, le bacche contengono sostanze tossiche. Tinture vengono ricavate da parti diverse dell'albero: nera dalla corteccia, verde dalle foglie, blu o lilla dai fiori, grigio-giallastra dai frutti per colorare la lana. Il legno può essere usato per piccoli oggetti, quali pettini e cucchiai di legno. I bambini, invece, svuotando i fusti ne hanno sempre ricavato fischietti e cerbottane: sambucus deriva infatti dal greco sambyke, nome di una specie di flauto. Le sue foglie per il cattivo odore che emanano, sono un eccellente antiparassitario e la lotta biologica ne impiega il decotto in polverizzazioni contro gli insetti degli alberi da frutto. Comune arbusto o alberello alto fino a 6 metri che cresce nei boschi aperti e nelle macchie dell'Italia meridionale e insulare. Ha rami grigi, spinosi e foglie alterne o disposte in fascetti sui rametti brevi, lanceolate. I fiori sono bianchi (da qui potete distinguere un pero da un melo) riuniti in ombrella in numero di 8-12. I frutti sono rotondi, 1,5-3cm, giallo-bruni, su peduncoli robusti. Queste piccole pere globose sono però aspre ed astringenti, ma da loro derivano tutte le varietà di pero coltivate. L’uomo è arrivato piuttosto tardi sulla scena del Mediterraneo. Vi sono tracce dell’uomo di Neanderthal nelle caverne del Circeo a sud di Roma, nella costa ligure, a Gibilterra, in Francia ed in alcune altre aree. L’arrivo del nostro più diretto antenato, “Homo Sapiens”, si può datare intorno a 100.000 anni fa. Vista la sua attitudine alla guerra, si può legittimamente ipotizzare che l’Homo Sapiens Sapiens ha avuto un ruolo nel processo di estinzione dell’uomo di Neanderthal circa 30.000 anni fa. Ogni ricorrente era glaciale ha prodotto drastici abbassamenti nei livelli del mare, mentre la stessa quantità d’acqua veniva depositata, sotto forma di alti strati di ghiaccio, nelle regioni polari. Questo ha permesso all’uomo primitivo di spostarsi e di popolare molte terre, comprese quelle che in seguito sarebbero diventate isole, una volta che il clima si fosse riscaldato, innalzando di nuovo i mari. E’ in questo modo che la Sardegna è stata popolata. Tribù erranti provenienti dalla attuale Toscana attraversarono l’Elba e la Corsica e arrivarono fino in Sardegna, circa 40.000 anni fa. Con l’innalzamento del mare queste prime tribù sarde rimasero isolate per un lungo periodo, fino a quando visitatori, in barca, non vi approdarono molto più tardi. Oggi, il popolo sardo rimane unico rispetto alle altre popolazioni europee ed è un esempio relativamente “puro” delle tribù indo-europee che erravano l’Europa 40.000 anni fa. Un esempio simile è la popolazione basca che rimase isolata nelle montagne dei Pirenei tra la Spagna e la Francia. L’uomo primitivo non si è fermato per molto davanti alle distese d’acqua limitate. La curiosità innata e la sete per l’avventura lo spinsero a costruire zattere primitive e barchette costruite con canne con cui hanno remato o si sono lasciati trasportare attraverso le acque, raggiungendo isole come Cipro e Malta 5000 anni fa, formando le basi delle popolazioni odierne. L’uomo ha lentamente popolato tutto il bacino mediterraneo. E in questo speciale e favorevole ambiente ha prosperato. Oggi, il Mediterraneo rappresenta il crocevia della civiltà occidentale formato da molte e diverse culture. Città romane si trovano in tutto il Mediterraneo, città greche in Sicilia, la cultura araba pervade la Spagna, l’Islam è presente in Jugoslavia. Per il turista-navigatore ciò rappresenta un miscuglio intrigante ed affascinante. L’allagamento, due volte all’anno, del vasto delta del Nilo, era per gli Egizi, un regalo divino. Portava acqua preziosa, concime per i campi e quindi abbondanti raccolti. Il cibo costante permise al popolo egizio di prosperare e la loro civiltà, in costante crescita, diventò una delle civiltà che durò più a lungo in tutto il Mediterraneo. La loro fiorente civiltà, sviluppatasi 5000 anni fa, durò ben 3000 anni. Svilupparono una forma di scrittura illustrativa chiamato geroglifico. Adoravano molti dei, i quali davano loro la certezza di una vita ultraterrena. Infatti, le piramidi vennero costruite per proteggere i corpi mummificati e per preservare gli utensili necessari per la loro vita nell’aldilà. I venti costanti che soffiavano verso l’interno favorirono l’estendersi della loro influenza lungo tutto il Nilo, piuttosto che verso il Mediterraneo o lungo le sue aride coste. Sicuramente avranno anche capito che le loro barche da fiume con fondo piatto, non erano indicate per la navigazione in mare. Le città-stato sviluppatesi in civiltà in Mesopotamia, sono state quelle dei Sumeri (la loro capitale era UR), dei Babilonesi (capitale, Babilonia) e degli Assiri (capitale, Nineve). Hanno inventato una forma cuneiforme di scrittura su tavole di argilla. Queste civiltà prosperarono dal 3000 A.C. fino a 550 A.C. Erano appassionati dell’astronomia e gli odierni nomi dei giorni della settimana derivano proprio dai loro studi. I giardini pensili a Babilonia erano una delle sette meraviglie del mondo antico. Successivamente, i vicini Persiani dell’Iran centrale odierna, dalla loro capitale, Persepolis, incominciarono ad espandere la loro influenza su tutta l’area. I Persiani hanno iniziato a commerciare le loro merci e il loro abbondante cibo, sia a valle lungo il fiume verso l’oceano Indiano, sia attraverso il deserto fino alle rive del Mediterraneo, dove incontrarono i Fenici. Il loro impero comprendeva tutta la Mesopotamia, la Siria, l’Egitto e parte dell’Asia Minore. Attaccarono anche la Grecia senza successo e trovarono, in fine, la sconfitta con Alessandro il Grande nel 331 A.C. La Palestina, situata sulla costa orientale del Mediterraneo, era una terra abitata da pastori, gli ebrei, che predicavano un solo Dio, mentre fino a quel momento i popoli adoravano molteplici figure divine. Questa piccola area avrebbe dato origine a tre religioni diverse: l’ebraica, la cristiana e l’islamica, che in seguito avrebbero raggiunto i complessivi 3 miliardi di fedeli in tutto il mondo. La città di Gerusalemme sarebbe stata contesa da ognuna di queste religioni come capitale propria. Questa contesa è ancora la causa dei conflitto ai giorni nostri. L’attitudine al commercio dei Persiani è stata tramandata ai Fenici, che abitarono la costa libanese del Mediterraneo nelle città antiche di Biblos, Sidon e di Tiro. Mentre gli Egizi commerciarono fra di loro principalmente lungo il Nilo, i Fenici, che disponevano solo di una striscia stretta di terra fertile lungo la costa per sostenersi, non potevano che guardare verso il mare per sperare in uno sviluppo. E’ da qui che l’uomo ha iniziato a navigare verso ovest, conquistando altri territori. I Fenici erano ben forniti di foreste di magnifici cedri ed utilizzando questo legno, costruirono barche abbastanza potenti per affrontare il mar Mediterraneo. Con queste barche viaggiarono verso ovest colonizzando nuove terre. Le loro barche erano dotate sia di vele, sia di uomini che remavano e man mano diventarono sempre più grandi. Vi erano tre rotte per navigare verso ovest: 1. A nord costeggiando la Turchia, la Grecia, Corfù, il tacco dell’Italia, lo stretto di Messina, la costa italiana fino all’Elba, poi l’attraversata per raggiungere la Corsica ed infine la Sardegna. 2. La rotta verso sud seguiva la costa del nord Africa, sempre rimanendo a vista della terraferma, dove di notte si fermavano. Molti dei porti odierni distavano, per i Fenici, un giorno di navigazione dal successivo. 3. La terza rotta, verso ovest, venne usata in seguito da marinai più esperti e con strumenti più sofisticati. Questa rotta prevedeva una navigazione in alto mare verso ovest senza terra a vista. Da Tiro navigarono fino a Cipro, poi verso Creta e Malta, arrivando a Cartagine. Navigarono di notte orientandosi con le stelle. I Fenici erano dei mercanti pacifici. Erano interessati ad incrementare i loro commerci e di fondare nuove colonie nel “Far West” di allora: in Cipro, a Rodi e nelle isole dell’Egeo. Spingendosi ancora più lontano fondarono Tharros e Nora in Sardegna; Tashish, una grande colonia commerciale sulla costa della Spagna, e la città che sarebbe divenuta la capitale di tutte le colonie, Cartagine, nell’odierna Tunisia, che si trovava esattamente al centro del Mediterraneo. (Le rovine di queste città puniche, così straordinariamente ben preservate, sono assolutamente da visitare.) A proposito, i Fenici sono gli inventori della scrittura moderna. Adoperarono un alfabeto di 22 lettere, utilizzate ancora oggi. La scrittura si è dimostrata rivoluzionaria per l’epoca. Ha permesso la comunicazione, e di conseguenza il commercio, tra le colonie distanti. Durante questo stesso periodo, alcune tribù erranti si stabilirono in Grecia. Gli Eoli si fermarono nel nord, gli Ioni, che erano dei bravi navigatori, ad Atene ed i Dori nel Peloponneso e a Sparta. Erano dei popoli litigiosi, sempre in guerra tra di loro. Erano insoddisfatti e irrequieti e di conseguenza sempre desiderosi di cambiamento e di miglioramenti. Forse sono state proprio queste caratteristiche a portarli ad uno sviluppo nelle arti, nella fisica ed in campo culturale. I Greci hanno realizzato grandi imprese: in guerra, nelle colonizzazioni, nello sport, nella democrazia (vedi Pericle), nell’architettura, nella scultura (Fidia, Polykleitos, Lisippo, Prassile), nella mitologia, nell’astronomia, in geografia (Tolomeo), nel teatro (Sofocle, Eschilo) nella filosofia (Socrate, Platone, Aristotele, Parmenide) e nella matematica (Euclide, Archimede, Pitagora). Queste imprese sono largamente riconosciute e le loro opere sono alla base del pensiero occidentale. I Greci odiavano i Persiani ed esultavano ad ogni confronto fisico. Vi sono infinite storie di guerre e battaglie fra questi due popoli. I Greci colonizzarono la Sicilia ed il sud dell’Italia. Hanno costruito magnifici templi a Paestum e ad Agrigento (anche questi due siti archeologici meritano di essere visitati), che non sfigurarono con l’Acropoli stessa di Atene. I Persiani, che conquistarono Babilonia e l’Egitto, crearono un nuovo impero minacciando gli stessi Greci. Una imponente armata attaccò i Greci a Maratona, ma fallì, come fallì anche il secondo tentativo di conquistare Atene, dieci anni più tardi. Questo fallimento è stata la fortuna nostra, perché nei successivi 100 anni, Atene avrebbe prodotto tali imprese culturali che molte altre nazioni non avrebbero potuto produrre in 1000 anni. Comunque, solo 100 anni più tardi la Grecia era indebolita dalla guerra tra Atene e Sparta e fu sopraffatta dai vicini Macedoni. I Macedoni volevano conquistare l’intero mondo conosciuto! Questa grande avventura, iniziata da Re Filippo, proseguì brillantemente con il figlio, che presto sarebbe stato conosciuto come Alessandro il Grande. Egli conquistò gran parte del mondo allora conosciuto, che andava dalla Grecia, fino in Egitto ed in Persia, spingendosi fino in India, in pochissimo tempo. Passarono soltanto dieci anni dalla conquista di Atene, da parte di Filippo, fino alla morte di Alessando il Grande nel 323 A.C. Si può dire che la cultura della antica Grecia ha dominato il mondo fino ai giorni nostri. Le loro magnifiche sculture erano fonte di ispirazione per gli scultori romani, i quali hanno accuratamente copiato i capolavori dei Greci per adornare i palazzi di Roma. L’architetture greca, con la sua grazia, potenza e bellezza, veniva considerata un ideale di simmetria artistica. I Romani hanno spesso disegnato i loro edifici pubblici prendendo come modello i templi greci ed in particolare il Partenone. Durante il Rinascimento, gli Europei riscoprirono l’arte romana e greca. Con il tempo l’architettura di influenza greca sarebbe stata usata in molte nazioni. Oggi le colonne doriche e ioniche, di ispirazione greca, dominano moltissimi palazzi governativi sparsi nel mondo. La tradizione vuole che Roma fu fondata nel 753 A.C. da Romolo e Remo, due trovatelli allevati da una lupa. In quel periodo la penisola italica era popolata a nord da selvagge tribù celtiche ed al centro da un popolo con una cultura abbastanza sviluppata, gli Etruschi. Gli abitanti di Roma avevano grande determinazione ed erano molto legati alle loro terre ed alla loro città, che volevano forte e potente. Non avevano una predisposizione all’arte ed alla cultura come gli Ateniesi, ma una cosa era assai importante per loro: la legge. Lentamente e con tenacia i Romani hanno esteso la loro autorità da città a città, lungo la costa della penisola, formando una federazione forte, con un potente esercito per far rispettare la legge e mantenere l’ordine. L’attività sportiva per i Romani aveva un'altra importanza rispetto ai Greci. Piuttosto che praticarla personalmente partecipando a corse e lanciando giavellotti, i Romani preferivano lasciare queste attività ai loro schiavi, lasciandoli combattere l’uno contro l’altro e contro le bestie feroci nelle arene come il Colosseo. Ormai i Greci avevano dovuto cedere il controllo delle loro colonie che avevano nel sud dell’Italia ai Fenici, che avevano conquistato gran parte del Mediterraneo. Tuttavia, Roma ora stava crescendo e stava diventando una forza contro cui fare i conti. Ben presto si sviluppò una grande rivalità tra Roma e Cartagine. I Romani non erano un popolo marinaio ed avevano dovuto copiare le navi fenicie ed infatti costruirono molte navi per contrastare la flotta nemica. Nel 241 A.C. conquistarono la Sicilia e poi Cartagine stessa nel 146 A.C., divenendo i nuovi dominatori del mare Mediterraneo, da allora conosciuto come il “Mare Nostrum”. L’impero romano, che controllava tutte le coste del Mediterraneo, si estese fino in Inghilterra e lungo il fiume Reno in Germania e ad est fino in Ungheria, compresa la Romania, la Turchia ed il vicino oriente. Lo splendore dell’impero romano durò alcuni secoli, fino a circa il 400 D.C. quando gli invasori, i Goti ed i Vandali, discersero dal nord, e gli Unni dall’Asia capeggiati da Attila, portando con sé terrore e devastazione. L’impero romano finì con la destituzione dell’ultimo imperatore nel 476 D.C., quando incominciò una nuova era: il Medioevo. Circa cinque milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo era una vallata profonda e secca che divideva tre continenti: Europa, Africa e Asia, fino a quando un cataclisma fece una breccia nel muro di contenimento dell’oceano Atlantico ad ovest, verso l’odierna Gibilterra. In un processo durato molti, molti anni, una gigantesca cascata di acqua ha incominciato ad inondare l’intero bacino mediterraneo, facendo nascere un nuovo mare. Analizzando più attentamente la configurazione di questo nuovo mare troviamo che è formato piuttosto da un insieme di mari: il mar Alboran, Golfo di Lione, il Tirreno, lo Ionio, il mar Egeo, l’Adriatico, ognuno con caratteristiche proprie. Nell’insieme il Mediterraneo è un mare profondo: dai 3000 ai 4000 metri. Questa profondità permette ad alcune specie di balene di viverci, come anche il pesce spada, il tonno e il delfino, quest’ultimo spesso incontrato dalle moderne barche da diporto durante le crociere. Il Mediterraneo è un mare piuttosto chiuso. Vi è un piccolo scambio delle acque con l’Atlantico sullo stretto di Gibilterra e con il mar Nero sullo stretto del Bosforo ad Istanbul. All’estremo est, il canale di Suez, sebbene navigabile, è soltanto una comunicazione artificiale con il mar Rosso. Le coste africane ed asiatiche sono aride e piatte, mentre le coste europee, anche se non soggette a piogge pesanti, sono verdi e montagnose, con un clima più temperato. Il continente africano da sempre si spinge lentamente verso il continente europeo e questo ha causato l’innalzamento delle Alpi. La conseguente frattura nella crosta terrestre ha formato i vulcani: Etna, Stromboli e Vesuvio in Italia e Santorino in Grecia. Questo movimento verso il continente europeo è anche la causa della attività sismica in questa area. In generale, il clima è tiepido e temperato: per l’appunto definito “mediterraneo”. Il clima è influenzato dall’aria calda e secca proveniente dal Sahara durante l’estate creando temperature ideali per le vacanze, e dall’aria più umida e fredda dall’Atlantico durante l’inverno. In effetti, questo clima si è dimostrato assai favorevole allo sviluppo della civiltà umana. Quando i mammut ancora vagavano per le dense foreste, l’Europa era popolata da qualche tribù nomade che viveva di caccia e raccoglieva frutta, bacche e grani di cereali. In seguito queste tribù iniziarono a pascolare il bestiame che era riuscito ad addomesticare e scoprirono la possibilità di coltivare i semi dei preziosi cereali circa 9000 anni fa. E’ probabile che questo ebbe inizio nell’area curda della Turchia attuale. Abitarono le coste alte del Mediterraneo, più adatte ai loro bisogni. Queste zone davano una produzione più efficiente e abbondante di cibo, che permise all’uomo di prosperare e di crescere numericamente. Presto però era necessario scendere nei terreni più fertili dove si trovavano campi più grandi per coltivare i preziosi cereali, sempre più vitali per sfamare le crescenti popolazioni insediate in colonie, che in seguito sarebbero diventate villaggi e poi città. Coloro che decisero di rimanere nelle terre più in alto hanno dovuto combattere continuamente contro la natura per poter sopravvivere. Nei secoli hanno faticosamente costruito i campi terrazzati su ripidi pendii delle colline, che oggi formano una veduta molto pittoresca del paesaggio mediterraneo. Fu anche un piano strategico rimanere nelle pendenze più inaccessibili: in tal modo era più facile fuggire ai frequenti saccheggiatori che infestavano le coste del Mediterraneo. Oggi possiamo ancora ammirare le splendide cittadine sulle sommità delle colline circondate da alte mura e torri difensive, sorte proprio per sfuggire ai predatori. Invece, le coste orientali e del Nord Africa erano aride, mentre le terre fertili si trovavano nel bacino dei fiumi Tigri ed Eufrate, in Mesopotamia (“tra i fiumi”), in Persia e lungo il delta del Nilo in Egitto. Queste aree hanno avuto un maggior sviluppo dopo l’avvento dell’agricoltura e sono questi i luoghi che hanno visto la vera nascita dell’uomo moderno. Sono numerosi i popoli che prosperarono intorno al Mediterraneo laddove vi erano provviste di acqua pura e terre fertili e dove le conformazioni collinose garantivano una certa sicurezza contro gli attacchi esterni. In condizioni favorevoli, gli insediamenti si svilupparono in civiltà. Queste civiltà crebbero ed estesero la loro influenza e il loro potere a seconda delle ambizioni del loro capo, arrivando alla creazione di veri imperi. Alcune civiltà sviluppatesi lungo le coste del Mediterraneo, durarono qualche generazione, altre, come nel caso degli Egizi, 3000 anni. Ad ogni modo, l’influenza di queste civiltà è sempre presente, perché noi siamo ciò che eravamo. Le mescolanze delle razze attraverso le migrazioni, le dominazioni, fa sì che da queste popolazioni ognuno di noi conservi una parte dei loro geni, dei loro pensieri, della loro arte e delle loro religioni. Conoscerli e capirli, è conoscere e capire meglio noi stessi. Foto precedente Foto precedente Il “Progetto Mediterraneo” nasce dall’idea di fornire agli alunni le abilità per padroneggiare sempre meglio lo strumento informatico ed in particolare l’uso dell’applicativo di “presentazione”. Nel contempo vuole offrire l’opportunità per ampliare le conoscenze dell’ “ambiente mediterraneo”, vasto territorio questo, che ci ospita e ha ospitato i nostri antenati. La redazione del progetto vuole, inoltre, ampliare le conoscenze delle specie animali e vegetali che vivono nel mare Mediterraneo e sulle terre che questo mare bagna. Pur avendo redatto ben 137 diapositive, la vastità dell’argomento non ci ha permesso di esaurire tutto l’argomento in un solo anno scolastico. Pertanto le parti di questa presentazione che risultano incomplete diverranno oggetto di operatività per gli alunni nel prossimo anno scolastico. Il materiale redatto è stato reperito dagli allievi (guidati dall’insegnante) da specifici siti internet ed è stato successivamente ordinato e catalogato in apposite cartelle. Gli allievi, a fine anno, disporranno di un CD-Rom con tutto il materiale raccolto. Pertanto essi stessi, se lo vorranno, potranno completare autonomamente gli argomenti e personalizzare ulteriormente il proprio lavoro. nino gatto