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progetto mediterraneo - Scuola Leopardi Foggia

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progetto mediterraneo - Scuola Leopardi Foggia
Flora
Fauna
I Luoghi
Le Genti
Le Mappe
Gonepteryx cleopatra
appartiene alla superfamiglia
Papilionoidea, caratterizzata da
antenne clavate e alla famiglia
PIERIDAE: in questa famiglia sono
riunite alcune specie dannose
all'agricoltura, quali per esempio la
Cavolaia.
I colori vanno dal bianco puro fino ad
arrivare al giallo aranciato. Le sei
zampe sono funzionanti in entrambi i
sessi.
La Cleopatra, come tutte le farfalle,
si nutre suggendo il nettare dei fiori;
per far questo utilizza la proboscide
(mascelle modificate) o spiritromba
(stato di riposo).
Il maschio ha una grande macchia
arancione sulle ali superiori, mentre le
inferiori sono di colore giallo, con due
puntini rossi al centro.
La femmina ha due paia d'ali dello
stesso colore (bianco giallastro), con
un puntino rosso su ogni ala.
Ha una lunghezza di 90-300 mm
ed una larghezza di 6-9 mm. Ha un
corpo composto da 110-180
metameri, con addome appiattito.
Questo verme vive soprattutto
nei terreni argillosi e come tutti
gli altri lumbricidi è una specie
utilissima per la fertilità del
terreno; scava, infatti, gallerie nel
terreno migliorandone l'aerazione
e dando un importante contributo
ai processi di umificazione. La
maggior parte del tempo la
passano sotto terra, scavando
gallerie o spingendo la terra in
ogni direzione, se il terreno è
morbido, o ingerendo la terra e
facendola passare nel tubo
digerente se il terreno è
compatto.
Mentre
la
terra
attraversa l'apparato digerente, il
lombrico
utilizza
i
piccoli
frammenti organici presenti (semi,
parti decomposte di piante, uova,
larve) per il suo sostentamento.
Contemporaneamente questa attività di ingestione di terra e di sua espulsione in
superficie consente una notevole ossigenazione del suolo e quindi un arricchimento
dell'humus. Le sostanze di scarto vengono espulse sotto forma di piccoli caratteristici
cumuli.
Sia l'estremità anteriore che quella posteriore di un lombrico sono in grado, entro certi
limiti, di rigenerarsi. La capacità di rigenerazione dipende dalla specie, dalla posizione
della ferita e dalla taglia del frammento che rimane. Generalmente più è grande il
numero dei segmenti perduti più corto sarà il verme rigenerato, fino al punto in cui la
rigenerazione non avviene affatto
Nella parte centrale del corpo si trova un anello rigonfio detto clitello formato da un
ispessimento del tessuto di rivestimento: se il lombrico viene sezionato a questo livello,
non rigenera la parte mancante. In corrispondenza del clitello i lombrichi si scambiano i
gameti.
Come diversi altri lumbricidi, il lombrico è ermafrodita ed oviparo. Depone le uova in una
ooteca (chiamata coccon) che costruisce con i secreti espulsi dal clitello, che si estende
dal 31° al 37° metamero.
Le cicale sono insetti normalmente di grandi
dimensioni, con il corpo di forma tozza, la
testa considerevolmente larga con due paia di
ali trasparenti e membranose che a riposo
vengono tenute a tetto al di sopra del corpo. La
lunghezza si aggira intorno ai 2-4 cm. Vivono
sugli
alberi
di
diversa
specie
e
sullavegetazione.
Le cicale sono celebri soprattutto per il canto dei loro maschi
che emettono un suono stridente e monotono. Il suono
prodotto è alto, continuo e stridulo. Gli organi stridulanti
(timballi) sono situati ventralmente all'inizio dell'addome,
quasi sempre protetti da un paio di larghe piastre protettive,
gli opercoli; sollevati gli opercoli ci sono due cavità per
ciascun lato: una più grande ventrale, ed una più piccola
laterale. All'interno sono presenti sottili membrane e dei
sacchi aerei. Un paio di poderosi muscoli striati -fra i più
potenti descritti nel Regno Animale- si collegano alla
membrana e contraendosi producono vibrazioni da cui deriva
il suono.
Le femmine depongono le uova entro i tessuti vegetali
provocando spesso delle deformazioni dette galle e
pseudogalle.
L'alimento sia negli adulti che nelle larve è costituito da
linfa e succhi vegetali di vari alberi; possiedono, infatti, un
apparato boccale di tipo pungitore-succhiatore.
Le larve delle cicale sono sotterranee e possiedono zampe
anteriori scavatrici grazie alle quali si spostano da una
radice all'altra per nutrirsi. La larva della specie descritta
ha uno sviluppo preimmaginale che dura ben quattro anni: al
termine, la ninfa matura lascia il terreno e ne sfarfalla
l'adulto.
Hanno antenne molto corte e 3 ocelli.
Nelle campagne il cicaleccio accompagnava i mietitori nelle loro fatiche, facendoli
meditare sull'ingiustizia che lì a poco avrebbero subito nella spartizione del raccolto
col padrone. Spesso pensavano che il canto non annunciasse che questo, tanto che, in
Romagna, accatastando i covoni, ripetevano amaramente: "Dice la cicala al cicalino: il
grano al padrone e la paglia al contadino".
Un'altra caratteristica della cicala è quella di avere gli occhi molto sporgenti, quasi
stessero per schizzare fuori dalla testa. In un'antica leggenda si diceva: «Una volta,
tanti anni fa, un cuculo lavorava nella costruzione di una casa, trascinandosi su e giù
per le scale portando sulle spalle la calce, ed aiutandosi, per la gran fatica,
ripetendo so pu', so pu', so pu' (su pure, su pure, su pure). Un insolente cicala,
posata poco lontano, lo canzonava dicendogli: dai, dai, dai (dagli, dagli, dagli). Il
cuculo, persa la pazienza, la rincorse, raggiungendola proprio in una bottega di un
fabbro, dove, preso un martello, la schiacciò su un'incudine, facendogli schizzare gli
occhi fuori dalla testa».
La proverbiale inoperosità della cicala, traspare anche da un detto
bolognese: Gratar la panza alla zigala (Grattare la pancia alla cicala), riferito
a chi se ne sta in panciolle tutto il giorno e chiacchiera tanto per far
trascorrere il tempo.
Un gioco molto comune tra i fanciulli era quello di catturare questi insetti
alla mattina, quando erano ancora intorpiditi dal freddo della notte, per poi
infilarvi una pagliuzza nell'addome. Dopo tale tortura, le cicale non erano più
in grado di cambiare direzione nel volo, ed erano costrette a volare in linea
retta fino a quando non cadevano stremate dalla fatica. Di questo crudele
trastullo fanciullesco, resta il detto "Andar dritto come la cicala con la
paglia nel sedere", riferito a chi, dopo avere subito un torto, cammina via
dritto, senza mai voltarsi. Comunque sia, il canto della cicala era di buon
augurio, specialmente se lo si udiva nel mese di settembre. A Modena
dicevano che "Se la cicala canta in settembre, non comprare frumento da
vendere", in quanto il suo canto era il segno che la buona stagione si era
conservata a lungo, permettendo ai contadini di fare scorte alimentari per
l'intero inverno.
La coccinella dai sette punti è un coleottero appartenente
alla famiglia dei Coccinellidi. Si tratta di una delle
coccinelle più comuni nelle nostre regioni; è anche una delle
più grosse, raggiungendo la lunghezza di 8 mm. La sua
livrea è caratteristica e facilmente riconoscibile: il torace,
che nasconde quasi completamente la testa, è nero con due
macchie bianche; le elitre, rosse, portano 7 punti neri, le
brevi zampe sono nere, e le antenne sono corte, terminanti
in una piccola clava.
Durante l'inverno si ritirano sotto le foglie accartocciate,
o nelle spaccature delle cortecce. Lasciano il nascondiglio
invernale agli inizi della primavera quando comincia il
periodo degli accoppiamenti; la coccinella femmina depone
poi sulle foglie grandi quantità di uova giallo-arancioni,
simili a granellini allungati, in gruppi compatti. Verso la fine
di maggio, le larve hanno quasi raggiunto la maturità.
In luglio le coccinelle divengono sempre più numerose. Le piccole
larve, dapprima nerissime, vivono in società, aggirandosi nei luoghi
dove abbondano le colonie dei pidocchi delle piante (degli Afidi, di
cui ricordiamo il noto afide delle rose,). Più voraci degli adulti, si
sviluppano molto rapidamente, cambiando parecchie volte la pelle.
Per trasformarsi in ninfa, la larva si aggrappa a un supporto con la
estremità dell'addome, incurvando il dorso finché non riesce a
lacerare la pelle. Liberatasi dell'involucro, la ninfa rimane posata
sulla pelle abbandonata; è rossa e nera; se viene disturbata
durante il riposo, solleva la parte superiore del corpo e la lascia
ricadere ritmicamente, come un pendolo. In capo a 8 giorni fa la
sua apparizione l'insetto adulto; eccezionalmente può accadere
che manchi uno dei punti neri.Questi coleotteri sono sempre stati
tenuti in gran conto dall'Uomo, per l'aiuto che apportano nella
lotta contro alcuni insetti che infestano sia le specie ornamentali
(ad es. la rosa) sia quelle di interesse alimentare (leguminose,
graminacee, solanacee), come dimostrano i loro nomi popolari:
"gallinelle del Signore"
Le api fanno parte della famiglia delle Apidi, dell'ordine degli Imenotteri. Come tutti gli
insetti, le api hanno sei zampe ed il loro corpo è diviso in tre parti: capo, torace ed
addome. Hanno delle parti del corpo modificate per poter raccogliere nettare e polline,
il primo dei quali è trasformato in miele; queste modificazioni riguardano la struttura
delle parti boccali e quella delle zampe.
L'apparato boccale è costituito da vari elementi:
le mandibole prive di denti; i due lobi interni (glosse) del labbro inferiore sono saldati
insieme e formano un lunghissimo pezzo, ricoperto di peluria, che si chiama ligula e
funziona come lingua;
alla base della ligula stanno i due lobi esterni del labbro inferiore, sono brevissimi e si
chiamano paraglosse;i palpi labiali hanno la forma di spatola;i lobi esterni delle mascelle
e i palpi labiali, insieme alla ligula, sono estremamente allungati e formano una specie di
proboscide.
Oltre al nettare e all'acqua un altro alimento indispensabile per i melliferi è il
polline che fornisce loro sostanze azotate. Il polline viene raccolto ed
immagazzinato principalmente dalle zampe. Il primo articolo del tarso,
soprattutto nelle zampe posteriori è molto lungo e largo e possiede verso
l'interno una spazzola di peli che serve all'insetto per raccogliere il polline
sparso sul corpo. La tibia delle zampe posteriori ha una depressione
longitudinale sulla faccia esterna che si chiama cestella; in questa viene
ammassato il polline.
Quando questo complesso è in stato di riposo, l'intero apparato risulta
nascosto ma quando la ligula è distesa può essere lunga fino a 7mm. Questo
apparato è adatto alla raccolta dei liquidi: se l'insetto vuole raccogliere
dell'acqua o dello zucchero disciolto impregna il labello di liquido che poi
passa nel solco ligulare e vi sale per capillarità. Quando i liquidi arrivano alla
faringe si mescolano al secreto delle ghiandole salivari che vi sboccano, e una
volta entrati nell'ingluvie o borsa melaria, subiscono l'azione enzimatica della
saliva che cambia il nettare in miele.
Le api vivono nell'alveare; la costruzione dei favi è affidata a giovani api
(10-15 giorni di età). Queste vengono nutrite abbondantemente con miele
e si attaccano alla volta dell'arnia, allacciandosi le une alle altre in modo
da formare una catena; le secretrici di cera rimangono in questa
posizione anche per 24 ore, dopo di che la cera comincia a comparire
sotto forma di esili lamelle sull'addome. A questo punto un'ape si stacca
dal festone e sale verso la volta dell'arnia, dove depone la cera staccata
dall'addome e manipolata dalle mandibole e costruisce un primo piccolo
blocco; questa operaia rientrerà nel gruppo per lasciare il posto ad
un'altra. Le cellette di un alveare non hanno tutte lo stesso scopo: infatti
alcune servono per l'allevamento ed altre come deposito degli
approvvigionamenti, miele e polline. Le celle dove vengono deposte le uova
sono chiuse da un opercolo di cera così come quelle che contengono miele,
mentre le celle con il polline rimangono aperte. Un alveare può contenere
da 30 a 100.000 operaie a seconda della grandezza dell'arnia; le api
operaie hanno una vita non superiore alle 5-6 settimane nel periodo di
grande lavoro, ma quelle nate in autunno riescono ad arrivare fino alla
primavera.
La società delle api è matriarcale e persistente, è inoltre monoginica e si
moltiplica per sciami. La società è divisa in tre caste: regina, fuchi ed operaie.
L'ape regina è una femmina destinata, dopo il volo nuziale, a vivere nel nido
deponendovi le uova, a meno che non debba sciamare. Il primo sciame che
esce da un alveare è infatti sempre guidato da una vecchia regina. Prima che
esso si formi, le api operaie costruiscono un certo numero di celle reali, per
ottenere regine destinate a rimanere nell'alveare oppure ad accompagnare
successivi sciami.
Quando la giovane regina, nata nella più vecchia di queste celle, si è liberata,
cerca di uccidere le sorelle regali che si trovano ancora all'interno delle
celle. Questo fenomeno viene evitato perché sciami di operaie e maschi sono
pronti a sciamare non appena le giovani regine escono dalle celle; al primo
sciame ne seguiranno degli altri fino a quando ci saranno abbastanza api
nell'alveare; a questo punto la prima regina che nasce e non sciama ucciderà
le regine non nate e diventerà l'unica regina dell'alveare.
I fuchi sono maschi, nascono da uova non fecondate, deposte dalla regina in
grosse celle esagonali ed, in via molto eccezionale, da operaie di alveari
orfani divenute ovificatrici. I maschi sono più pesanti delle operaie,
abbondantemente ricoperti di peli e ricchi di sensilli olfattori e tattili,
servono esclusivamente alla fecondazione delle regine ed è per questo che si
trovano nell'alveare quando la società è pronta per dividersi. La loro vita è
molto breve, vivono circa 24 ore.
Le api operaie sono femmine che non depongono le uova salvo che in casi
eccezionali. Le operaie delle api possono essere distinte in varie categorie a
seconda dell'età, nella quale compiono lavori diversi. Le api giovanissime si
dedicano alla pulizia delle celle; a partire dal terzo giorno alimentano con
miele e polline le larve da operaie e da fuchi.
Quando hanno raggiunto dai tre ai sei giorni d'età, secernono pappa reale che
forniscono alle giovani larve. Soltanto più tardi, e cioè al quindicesimo giorno di
età, si addestrano a divenire bottinatrici, con prudenti voli di orientamento
nelle vicinanze dell'arnia; nel frattempo compiono la guardia all'alveare,
collocandosi sulla porticina dell'arnia e scacciando tutti gli intrusi. Al ventesimo
giorno divengono definitivamente bottinatrici, dedicandosi esclusivamente alla
raccolta del nettare e del polline, in un raggio di volo di circa 4 o 5 km attorno
all'alveare.
Al momento della schiusa, la giovane ape pratica una fenditura nell'opercolo e lo
solleva per uscire. Le uova sono tutte identiche, sebbene quelle che daranno
origine ai maschi non siano state fecondate. Le larve vengono nutrite per tre
giorni con la pappa reale, in seguito il regime alimentare cambia a seconda del
destino delle larve: le reali ricevono ancora pappa reale, mentre le altre ricevono
miele e polline. La durata della vita larvale è di 24 giorni per i maschi, di 21 per
le operaie e di 15 o 16 per le regine.
Le api sono provviste di un pungiglione formato da tre elementi: uno
stiletto e da due lancette. Lo stiletto è provvisto di dentelli ricurvi che
fanno in modo che l'animale non è più in grado di ritrarlo, una volta che
l'ape usa il pungiglione è quindi destinata allamorte.
Le formiche fanno parte della famiglia delle Formicidae, dell'ordine degli Imenotteri.
Come tutti gli insetti le formiche hanno sei zampe e il loro corpo è diviso in tre parti:
capo, torace e addome; sul capo è presente un paio di antenne piegate a gomito che
sono il principale organo di senso per le formiche. Hanno delle mandibole molto
resistenti e robuste che servono come difesa e per trasportare gli oggetti.
Le formiche vivono nel formicaio che può
avere diverse strutture a seconda delle
abitudini delle formiche che ci abitano:
troviamo infatti dei formicai sotterranei e
altri superficiali, che possono essere di
legno, per le formiche che sfruttano i
tronchi degli alberi morti, di foglie, per le
formiche tessitrici che uniscono più foglie
tra di loro con una sostanza secreta dalle
larve, ed infine possono essere di terra e
detriti ed appesi ad un albero.
La società delle formiche è divisa in caste: regina, maschi ed operaie.
La formica regina è l'unica femmina feconda, è più grande delle operaie, ha due
grandi occhi composti sul capo, il torace molto largo e l'addome voluminoso. Prima
dell'accoppiamento è provvista di due paia di ali che cadono subito dopo il volo
nuziale, ma se ne riconoscono le tracce sotto forma di moncherini. I maschi sono
grandi come la regina, hanno due occhi composti molto grandi, il capo è più piccolo
di quello della regina ed il torace è più stretto; hanno due paia di ali che non cadono
mai. Le operaie sono tutte formiche femmine che non depongono le uova; hanno
occhi molto piccoli o non hanno occhi (nel formicaio non c'è luce), il torace è stretto
e le zampe sono sottili per potersi muovere con estrema agilità in qualunque
situazione. Le operaie hanno vari compiti: si aggirano sul terreno in solitudine
oppure in gruppi formando delle colonne, raccolgono alimenti, fabbricano, riparano e
difendono i nidi, allevano la prole e infine accudiscono la regina. Le antenne sono il
più importante organo di senso per le formiche e sono sempre in movimento,
palpeggiando tutto ciò che incontrano: oggetti, alimenti e compagne; è per mezzo
delle antenne che le formiche si riconoscono tra loro, utilizzando sia il tatto che
l'olfatto (una formica che ha perso le antenne non è più in grado di riconoscere le
sue compagne, viene isolata dalla sua comunità, è destinata a morire).
Le formiche fanno parte della famiglia delle Formicidae, dell'ordine degli
Imenotteri. Come tutti gli insetti le formiche hanno sei zampe e il loro corpo
è diviso in tre parti: capo, torace e addome; sul capo è presente un paio di
antenne piegate a gomito che sono il principale organo di senso per le
formiche. Hanno delle mandibole molto resistenti e robuste che servono
come difesa e per trasportare gli oggetti.
Le formiche vivono nel formicaio che può avere diverse strutture a seconda
delle abitudini delle formiche che ci abitano: troviamo infatti dei formicai
sotterranei e altri superficiali, che possono essere di legno, per le formiche
che sfruttano i tronchi degli alberi morti, di foglie, per le formiche tessitrici
che uniscono più foglie tra di loro con una sostanza secreta dalle larve, ed
infine possono essere di terra e detriti ed appesi ad un albero.
Appartenente all'ordine degli Anuri e alla famiglia
degli Ilidi, la raganella può essere facilmente
riconosciuta per il corpo globoso di circa 5 cm di
lunghezza massima, per la colorazione solitamente
verde brillante e per la presenza di due fasce brune
che, partendo dalle narici e attraversando l'occhio,
scendono lungo i fianchi delimitando cosi un'area
ventrale di colore grigio fumo o bruno-giallastro che
nel maschio si presenta sempre più scuro che nella
femmina.
Un altro carattere molto utile per la distinzione di
quest'animale è la presenza dei dischi adesivi alle
estremità delle dita che le permettono di
arrampicarsi agevolmente su alberi e cespugli; questo
comunque è un comportamento riscontrabile solo negli
esemplari adulti, infatti i giovani preferiscono
trascorrere il tempo in prossimità del terreno.
Europa esistono due specie distinte di
Raganelle: Hyla arborea o Raganella,
diffusa in tutta Italia e gran parte
dell'Europa, con le caratteristiche fin ora
descritte; Hyla meridionalis o Raganella
mediterranea, diffusa nella Penisola iberica
meridionale, Francia meridionale e in Italia
solo in Liguria, con le fasce laterali che
s'interrompono subito dopo l'area
temporale.
Il tritone punteggiato, presente in Europa ed in
Asia minore è diviso in varie sottospecie di cui due
presenti in Italia. Il tritone punteggiato presente
in Italia è una sottospecie endemica dell'Italia,
della Svizzera e della Slovenia settentrionale. In
Italia spesso divide l'habitat con il tritone
crestato (Triturus carnifex) ; nell'Italia
meridionale è sostituito dall'endemico tritone
italiano (Triturus italicus) sua specie vicariante.
La caratteristica punteggiatura, molto evidente
nel maschio, gli ha valso il nome. Il maschio si
distingue dalla femmina per una colorazione
generalmente più accesa, per una striatura molto
marcata ai lati della testa, per la cresta caudale e
per la cloaca ingrossata nel periodo riproduttivo
La rana verde o esculenta, denominata
anche rana comune, è una specie
appartenente alla famiglia dei Ranidi,
nell'ordine Anuri.
Di circa 12 centimetri di lunghezza,
presenta un dorso di colore verde
smagliante o bruno oliva, talvolta
cosparso di macchie nere e ornato, da
ogni lato, da una piega ricca di ghiandole
di color bronzo. I fianchi sono macchiati
di nero o di bruno scuro.
Una linea dorsale, chiara, mediale si estende dalla testa fino all'ano, ma manca in parecchi
individui.
Il ventre è bianco, punteggiato di nero e di grigio.
Vive ai margini degli stagni e dei corsi d'acqua lenti e con vegetazione fitta. Al minimo
segnale di pericolo si tuffa e scompare tra la vegetazione. E' un animale voracissimo che
si nutre di insetti, tra cui farfalle che si avventurano sopra l'acqua, larve, vermi, lumache,
ma anche di prede voluminose come giovani rane, piccole lucertole, piccoli roditori.
I maschi, provvisti da ogni lato della testa di un sacco vocale esterno, che si gonfia come
una vescica, riempiono le notti d'estate con il loro assordante gracidio. L'accoppiamento
(ascellare, vale a dire che il maschio tiene la femmina per le ascelle) ha luogo in giugno; le
uova vengono depositate su grossi ammassi
Diffuso nella maggior parte dell'Europa (eccetto Irlanda, Corsica, Sardegna, Baleari,
Malta e Creta) in Italia è molto comune. Lo si ritrova in una gran quantità di ambienti,
spesso piuttosto asciutti.
Gli adulti arrivano a 15 cm di lunghezza con le femmine più grandi dei maschi. Ha una pelle
molto verrucosa e delle ghiandole paratoidi molto prominenti e leggermente oblique. Ha
un colore brunastro ma variabile da color sabbia a quasi rosso mattone, grigiastro e verde
oliva. Può avere delle macchie e chiazze più scure sul dorso, mentre la parte ventrale è
biancastra o grigia, spesso con strie più scure. Gli occhi, con una pupilla orizzontale, sono
dorato scuro o color rame. Non ha dei sacchi vocale esterni.
Il rospo ha delle abitudini crepuscolari e notturne, anche se con un tempo piovoso o
durante il periodo riproduttivo, è possibile rinvenirlo di giorno. E' un anfibio terragnolo,
ma nella stagione riproduttiva compie delle vere e proprie migrazioni per raggiungere
l'ambiente acquatico, come stagni e corsi d'acqua a moto lento, lanciando richiami
facilmente udibili. La maggior parte della popolazione migra negli stessi giorni e si hanno
allora degli addensamenti presso le rive e in acqua anche centinaia di individui; è questa la
fase più rischiosa: per raggiungere la meta spesso devono attraversare strade ad intenso
traffico veicolare, con le disastrose conseguenze immaginabili.
Lunghezza media: 200-250 cm
Peso medio: 70-130 kg
Longevità: 25-30 anni
Il delfino è senza alcun dubbio il
mammifero acquatico più conosciuto e
amato. Le specie che si possono più
facilmente incontrare nelle acque delle
Galapagos sono il delfino a “naso di
bottiglia”(Tursiops Truncatus) e il
delfino comune (Delphinus Delphis).
La specie più grande di delfino è senza
dubbio l’orca, che è possibile
incontrare nel mare delle Galapagos.
I delfini sono mammiferi, non possono
dunque rimanere sott’acqua senza
respirare, se non per pochi minuti.
Sono soliti aggirarsi in grandi branchi
di 1000 o 1500 individui.
Il corpo di un delfino, o di un qualsiasi
altro
Cetaceo,
si
presenta
estremamente idrodinamico, in modo
da consentirgli di nuotare agilmente.
La pelle, estremamente liscia e senza
peli, contribuisce a ridurre la
resistenza dell'acqua secernendo olio
o muco. Infatti è dotata, all' interno,
di speciali creste cutanee che
contrastano la formazione di vortici,
così come particolari secrezioni
oleose
eliminano
la
turbolenza
dell'acqua ed ne agevolano lo
scivolamento sulla superficie. Riescono
quindi a raggiungere velocità massima
di circa 45 km/h e navigare per lunghi
periodi ad una velocità di 18-20km/h.
Lo scheletro è assai debole dal
momento che non hanno alcun bisogno
di sostenere il loro corpo.
Le vertebre del cervicali sono corte e spesso
fuse in modo da conferire una grande forza
al collo, impedendogli di flettersi e quindi
costituire un ostacolo per il nuoto.
Gli arti anteriori si sono trasformati in due
natatoie ben sviluppate, mentre gli arti
posteriori sono scomparsi e gli unici residui
di osso pelvico sono due ossicini dietro ai
muscoli. Le natatoie e la pinna dorsale
servono a mantenere la direzione e
l'equilibrio, mentre i lobi della coda spingono
il corpo dentro l'acqua. La coda rappresenta
una
delle
caratteristiche
anatomiche
peculiari dei Cetacei, in quanto si differenzia
da quelle dei pesci poiché si è sviluppata in
senso orizzontale.
Il cranio è "telescopico", cioè spinto all'indietro a partire dalla fronte, ha occhi
indipendenti e posizionati in modo tale da consentire una vista frontale (cosa che non
accade nelle balene), ha molti denti sottili e appuntiti(il numero varia a seconda delle
specie considerate: ad esempio il delfino comune ne ha circa 200), infine sulla sommità,
leggermente spostato a sinistra ha lo sfiatatoio: l'unica narice chiusa da un lembo di pelle.
La pinna caudale è priva di struttura ossea, ma provvista di una robusta muscolatura e
resistenti fasci fibrosi. Imprime un'eccezionale propulsione al nuoto grazie alle potenti
battute verticali dei suoi lobi. I muscoli della loro coda sono dieci volte più potenti di
quanto non lo siano quelli degli altri mammiferi. Il movimento verso l'alto genera il moto, il
ritorno passivo verso il basso riconduce alla posizione iniziale. Questa dinamica sembra
consentire al flusso laminare di separarsi alla fine del corpo dell'animale senza provocare
attriti, che invece la muscolatura di un Cetaceo non sarebbe in grado di vincere. Senza
utilizzare la forza muscolare i delfini sono abilissimi a cavalcare le onde sfruttando i
flussi prodotti dal vento o dalla prua delle navi, ma è "pinneggiando" con vigore e girandosi
su un fianco che riescono a raggiungere le loro incomparabili velocità.
I delfini sono, inoltre, animali a sangue caldo e
devono quindi essere in grado di conservare il
calore del corpo. Per questo motivo hanno
dimensioni maggiori rispetto agli animali a
sangue freddo (i delfini oceanici sono lunghi
mediamente 220 cm, mentre quelli di fiume
215 cm). Il calore è prodotto all'interno
dell'animale,
e
si
disperde
attraverso
l'epidermide: essi creano più calore di quanto in
realtà ne perdano rimanendo così caldi. Inoltre
lo spesso strato di grasso sotto la loro pelle
(adipe) isola il corpo e ne conserva il calore.
Ancora,
il
loro
apparato
circolatorio
contribuisce al risparmio di calore; il sangue,
infatti, si raffredda a mano a mano che scorre
verso le estremità del corpo. I vasi sanguigni
presenti nella code, nelle pinne pettorali e in
quella dorsale sono quindi sistemati in modo che
il sangue che ne defluisce venga riscaldato
prima di ritornare ad altre parti del corpo.
Generalmente la loro alimentazione varia dal pesce (aringhe, capelin) ai calamari sino ai
crostacei, a seconda delle diverse specie e della disponibilità. I molti denti dei delfini,
piccoli, taglienti ed appuntiti, non servono per masticare il cibo, che viene inghiottito
intero, ma semplicemente ad afferrare il pesce viscido.
L'alimentazione fa comunque parte di un comportamento sociale perchè, sebbene siano
in grado, quando il cibo è più abbondante, di alimentarsi da soli, solitamente formano
colonie di 6-20 individui per organizzare vere e proprie battute di caccia.
Ancora più numerosi sono i gruppi che formano i delfini che vivono in pieno oceano dove
possono arrivare ad unirsi centinaia di individui.
La predazione è attentamente organizzata: i tursiopi, per esempio, circondano i banchi
di pesce, stringendoli in spazi sempre più piccoli ed entrando al centro, per nutrirsi,
uno alla volta, cominciando dagli individui dominanti (i maschi) e procedendo con i
soggetti collocati più in basso nella scala gerarchica (femmine e giovani). Comunque ogni
specie ha perfezionato la propria singolare tecnica di caccia.
I delfini usano l'ecolocalizzazione per individuare le prede, ma è anche probabile che il
sonar serva a stordire e disorientare le prede, rendendone così più semplice la cattura.
Per quanto riguarda invece il fabbisogno di acqua dei delfini, è interessante sapere che
non bevono l'acqua del mare filtrandola, ma assorbono direttamente quella contenuta
nel pesce di cui si nutrono.
Escludendo i delfini costieri che conducono una vita solitaria, gli altri si organizzano i
gruppi di numerosità variabile: da 2 a più di mille soggetti. Solitamente si contano 20100 individui per gruppo e in quelli più numerosi ci sono ulteriori suddivisioni in
gruppetti più piccoli collegati tra loro. All'interno di ogni branco vige una rigorosa
gerarchia sociale in cui i maschi sono gli individui dominanti (che quindi hanno il diritto
di nutrirsi per primi) seguiti dalle femmine e dai giovani.
In ogni gruppo le femmine e i piccoli nuotano al centro del branco in modo che i maschi
possano proteggerli da attacchi nemici. Non è infatti raro che le orche o gli squali
attacchino questi cetacei che considerano delle prede.
I gruppi non sono fissi nel tempo: il numero di individui al suo interno può variare per
l'allontanamento temporaneo di un maschio che va ad accoppiarsi con femmine di altri
branchi, o per il distacco di giovani che formano una nuova comunità o per il ritorno di
giovani femmine che hanno raggiunto la maturità sessuale. Comunque all'interno di ogni
gruppo c'è sempre una forte coesione: addirittura se un membro del branco è in
difficoltà e incapace di nuotare, i compagni lo sorreggono portandolo spesso in
superficie a respirare.
Muraena helena è la classica murena
mediterranea, dalla tipica colorazione
tigrata. Il suo ambiente di vita va dalla
superficie fino ai 100 metri di fondo.
Predilige le cavità degli ambienti
rocciosi, ma è facile incontrarla anche
nei relitti e nelle anforei.
Priva di pinne ventrali come tutti gli
anguilliformi, si sposta velocemente
nell'acqua grazie a dei rapidi
serpeggiamenti del corpo. La pelle,
priva di scaglie, è ricoperta di muco.
Cacciatore notturno, è un forte
predatore, e si nutre di pesci e
cefalopodi che cattura con una tecnica
tutta particolare, che sfrutta la
flessibilità e la forza del suo corpo.
Nei Molluschi, nonostante le notevoli differenze tra le varie classi in cui vengono divisi dal
punto di vista sistematico, è sempre possibile trovare delle caratteristiche che li
accomunano e delle omologie anatomiche.). Questo accade perché i Molluschi discendono
tutti da un medesimo progenitore che possedeva un mantello (duplicatura cutanea che
riveste il sacco viscerale) attraversato da un tubo digerente con all'inizio una bocca seguita
da uno stomaco e con un ano alla fine. Erano presenti anche delle branchie per aumentare la
superficie respiratoria, un piede muscolare, e una conchiglia con funzione protettiva. Tutti
questi elementi, con qualche variazione, li ritroviamo ancora negli attuali Molluschi.
Nei Gasteropodi Prosobranchi il mantello e i visceri hanno subito una torsione che ha portato
l'ano e le branchie in avanti, mentre nei Gasteropodi Opistobranchi si trovano entrambi nella
parte posteriore del corpo. La conchiglia dei Lamellibranchi è formata da due valve, da cui
anche il nome di Bivalvi, unite da una cerniera e da un legamento.
In quest'ultima classe le branchie sono molto sviluppate, mentre il piede è ridotto in quanto
non utilizzato ai fini della locomozione.
Nei Cefalopodi invece il piede si è trasformato in tentacoli muniti di ventose.La maggior
parte dei Molluschi è bentonica, ma esistono, anche forme planctoniche o nectoniche (che
nuotano cioè attivamente). Più abbondanti nella zona di marea e nelle acque basse, dove
molte specie, e i Gasteropodi in particolare, raschiano grazie alla radula strati di alghe,
funghi e batteri, i Molluschi possono essere anche animali carnivori o filtratori.
Si fantastica eccessivamente sulla grandezza e
sulla pericolosità di questi molluschi.
I vecchi polpi raggiungono, a braccia distese, tre
metri di lunghezza e 26 chili di peso. Tali
esemplari sono però molto rari.
Di solito i polpi sono molto più piccoli, sono innocui
e solo occasionalmente possono mordere.
Il polpo è un mollusco appartenente alla classe dei
cefalopodi, animali vivaci ed agili, che nell'aspetto
esteriore, hanno poco in comune con gli altri
molluschi.
A differenza dei gasteropodi (vedi murice), che
pure sono i parenti dei cefalopodi più simili nella
struttura del corpo, il piede del polpo, che i
gasteropodi usano per strisciare sul substrato,
risulta trasformato in un sifone, il cosiddetto
imbuto. Espellendo con forza l'acqua attraverso
l'imbuto, il polpo può muoversi nuotando
velocemente anche grazie all'assenza di conchiglia
che rappresenterebbe un insopportabile fardello.
Sempre attraverso l'imbuto, in caso di pericolo, il
polpo può espellere il contenuto della ghiandola
dell'inchiostro. Questa tasca contiene una
sostanza scura che intorbida l'acqua disorientando
l'assalitore e permettendo al polpo di fuggire
inosservato.
Il capo del polpo porta 8 tentacoli molto mobili,
muscolosi, muniti di due file di ventose.
Quest'ultima caratteristica permette di
distinguere facilmente Octopus vulgaris dal simile
Eledone aldovrandii, noto con il nome di
Moscardino, che presenta le ventose poste in
un'unica serie su ciascuno dei tentacoli.
Le ventose servono per ritenere la preda e per
spostarsi sul fondo attaccandosi al substrato. Al
centro della corona di tentacoli si trova la bocca che è
provvista di un robusto becco corneo.
Nel capo del polpo sono molto appariscenti i grandi
occhi globosi, somiglianti per la struttura a quelli
umani. Al possesso di organi visivi così fatti è legato il
comportamento vivace ed inquieto di questo animale.
Una caratteristica sorprendente del polpo, comune a
tutti i cefalopodi, è la sua capacità di cambiare colore
in risposta a diversi stimoli ambientali.
E' il cefalopode più frequente delle coste
mediterranee; talvolta presente in gran numero
durante le cosiddette "annate da polpi".
Abita le fenditure delle rocce che barrica con
pietre, nella zona costiera superiore, da pochi
metri fino a 100 m.
Si spinge spesso in prossimità della riva,
muovendosi, tra gli scogli, a pochi cm di
profondità. L'ingresso della tana, in genere, è
facilmente riconoscibile per la presenza dei
numerosi resti degli animali di cui si nutre
(conchiglie di bivalvi, carapaci di granchi, ecc.).
Alla fine dell'inverno gli animali sessualmente
maturi risalgono a bassa profondità per riprodursi.
La femmina depone le uova (150000-400000) in
lunghi cordoni fissati alla volta delle tane e le
custodisce per 1-2 mesi. In questo periodo la
femmina non si nutre e spesso muore dopo la
schiusa.
Dalle uova, relativamente grandi, fuoriescono,
senza stadio larvale, direttamente giovani polpi.
Sepia officinalis è fornita di
dieci tentacoli di cui due più
lunghi e retrattili in apposite
tasche. Dorsalmente, nella
cavità del mantello, la seppia
possiede una conchiglia
calcificata piatta, chiamata
erroneamente "osso di
seppia", che contengono delle
loggette ripiene di gas
permette all'animale di
mantenere un galleggiamento
neutro.
I Crostacei appartengono al grande gruppo degli artropodi,
che comprende cioè gli invertebrati con gli arti articolati.
Il corpo, diviso in segmenti riuniti a formare determinate
regioni diverse l'una dall'altra, è rivestito da una cuticola
spessa costituita da una sostanza azotata detta chitina. La
chitina forma l'organo di sostegno di questi animali, cioè
l'esoscheletro. I muscoli si attaccano internamente e,
poiché l'esoscheletro è sì rigido, ma si assottiglia in
corrispondenza del limite dei metameri, questi possono
piegarsi l'uno rispetto all'altro.
Questo esoscheletro chitinoso, secreto da un epitelio sottostante, è materiale che
non può accrescersi con l'animale, per cui solitamente negli artropodi si osserva il
fenomeno della muta.. L'artropode durante questa fase resta indifeso e può essere
facile preda di eventuali aggressori. La muta è infatti un momento difficile in
quanto tutto il processo richiede tempo ed energia, e l'animale preferisce restare
nascosto fino al suo compimento. Nella vita di un crostaceo le mute sono diverse, e
il loro numero varia a seconda della specie.
I Crostacei, pur costituendo una gran parte del plancton degli oceani, sono ben
rappresentati come animali bentonici dalle spiagge alle profondità abissali. Le
dimensioni variano da quelle microscopiche delle forme planctoniche a quelle
addirittura superiori al metro raggiunte da alcune forme bentoniche.
Il corpo è solitamente diviso in capo, torace che
porta gli arti locomotori, e addome.La testa
porta due paia di antenne e tre paia di arti
boccali (mandibole, mascelle prime e seconde).
Le coppie di appendici del torace e dell'addome
sono solitamente bifide e assolvono a diverse
funzioni.I sessi, salvo poche eccezioni, sono
separati e nello sviluppo si osserva una serie di
stadi planctonici larvali.
Periclimenes amethysteus è un gamberetto mediterraneo che in fatto di bellezza
non ha nulla da invidiare ai numerosi cugini tropicali appartenenti allo stesso genere.
Nome scientifico:
Palinurus elephas
l’aragosta è il crostaceo senza dubbio più famoso ed
apprezzato dal punto di vista alimentare.
Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una
spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la
crescita deve avvenire perciò per mute successive con
le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne
costruisce una nuova più grande.
Può raggiungere dimensioni attorno ai 50 cm ed un peso di 8 kg. Il corpo è provvisto
di tredici paia di appendici cinque delle quali vengono usate per camminare, un paio è
costituito da lunghe antenne, possiede una coda, il telson, a forma di ventaglio, gli
occhi sono situati in cima a peduncoli mobili, non si osservano chele, il corpo e
cosparso di spine e tubercoli, la colorazione è rosso violacea con macchie più chiare.
vive abitualmente su fondali rocciosi o ghiaiosi,
raramente la si può trovare su fondi sabbiosi, a
profondità comprese tra 20 e 70 m, può
raggiungere i 200 m.
E’ diffusa soprattutto nei mari attorno alla
Sardegna, predilige fondali ricchi di anfratti
dove si colloca facendo sporgere le antenne,
forma spesso colonie con numerosi individui.
Durante la muta l’animale è più debole perché
rimane privo della corazza di protezione, il suo
aspetto non cambia ma il corpo è molle e
facilmente attaccabile, si ritira così in una tana
dove passa la giornata mangiando conchiglie di
molluschi che le consentono di acquisire i sali
minerali necessari per la nuova corazza.
La riproduzione avviene a fine estate, si possono
osservare le femmine con l’addome pieno di
uova, le larve nascono al termine dell’inverno,
sono planctoniche e raggiungono il fondo, loro
habitat definitivo, attraverso una crescita
caratterizzata da diversi stadi durante la quale
si nutrono di plancton.
Esistono altre due specie di aragosta in
Mediterraneo, Palinurus mauritanicus, che si
distingue per la presenza di numerose chiazze
bianche sulla corazza e per le abitudini di vita,
predilige fondali più profondi, e Palinurus regius,
riconoscibile per il corpo di colore verde,
presente lungo brevi tratti della costa
meridionale francese e spagnola, si suppone sia
stata introdotta accidentalmente in
Mediterraneo.
Si pesca con reti da posta, tremagli e con grandi
nasse, l’aragosta viene mantenuta viva fino al
momento della vendita, gli individui freschi sono
riconoscibili per i colori vivaci.
Spontaneo in tutta Italia, tranne
nell'estremo sud, si trova nei
boschi e nelle siepi.
Raggiunge un'altezza di 25 m.
Le foglie hanno tre lobi principali
dalle estremità arrotondate e due
lobi basali più piccoli. In autunno
diventano di color giallo ambra. I
fiori sono piccoli, di color gialloverde, mentre i frutti sono
samare con le ali disposte in linea
quasi retta.
Era usato tradizionalmente come
tutore vivo della vite : grandi
esemplari di acero si trovano
ancora vicino alle case rurali, dove
erano apprezzati per la fitta
ombra. Il legno è usato per il
fondo e i manici dei violini.
Albero caducifoglie molto
diffuso in Italia, si sviluppa
soprattutto su suoli fertili,
freschi e profondi dove può
raggiungere anche un' altezza di
circa 40 mt.
Le foglie sono opposte, con margine dentato,
picciolate e con lunghi apici. I fiori maschili e
femminili, di color bianco-crema portati in
densi racemi nell'epoca primaverile, si trovano
spesso sullo stesso esemplare ma su rami
diversi. I singoli frutti hanno un esile ala e
pendono in fitti gruppi; in autunno si colorano
di marrone
Grosso albero presente in tutte
le regioni italiane in pianura e
fino a 500 m di altitudine, nasce
comunemente nei boschi e nelle
siepi. Le foglie sono ovate e
disuguali alla base, seghettate. I
fiori, piccoli e verdi, compaiono
prima delle foglie. Il frutto è
una samara alata, quasi tonda,
che veniva chiamata "pane di
maggiolino" e consumata in
insalata o in frittate. La varietà
suberosa, presenta delle ali di
sughero sui rami, che la
proteggono dagli attacchi degli
erbivori.
Veniva impiegato come tutore
vivo della vite, mentre le foglie
ricavate dai rami emessi in
prossimità dei tagli, considerate
un ottimo foraggio, venivano
destinate al bestiame.
Abbastanza comune in
Italia, preferisce luoghi
umidi e ombrosi.
E' una pianta bulbosa
perenne, con fusto alto
10-45cm, fortemente
trigono, dall'intenso
odore di cipolla. Le
foglie, quasi basali, sono
molte lunghe. I fiori,
peduncolati, sono
raccolti in
un'infiorescenza
terminale ombrelliforme.
Il bulbo, spesso fino ad
1,5 cm, può essere
mangiato come l'aglio
domestico.
Tipica pianta della macchia, nasce qua
e là selvatico in mezzo alle piante. Ha
un rizoma corto e grosso, dal quale in
primavera nascono diversi polloni
carnosi, gli asparagi commestibili.
Questi crescono fino ad acquistare
un'altezza di 1 m, diramandosi in rami
sottili, dotati di piccole foglie
squamiformi, alla base delle quali si
sviluppano dei rametti sottili disposti
come setole in fascetti, che svolgono
la fotosintesi. I fiori sono giallognoli
a forma di campana, solitari o a paia,
e fioriscono in maggio e giugno. I
frutti sono bacche globose, della
grossezza di un pisello, e diventano
color scarlatto a maturazione.
Cyclamen repandum
Diffusi soprattutto nei boschi
dell'Italia centro-meridionale,
sono piante erbacee perenni di
10-20 cm, con tubero
arrotondato, e con foglie
triangolari e arrotondate il C.
repandum e cuoriformi e ovate il
C. hederifolium.
I fiori sono inodori, con una
corolla purpurea il primo, che
fiorisce in aprile-maggio, e color
malva il secondo, con epoca di
fioritura autunnale. Il frutto è
una capsula.
Pianta erbacea comune in tutta Italia, vive
in luoghi umidi, ai margini di stagni ed
acquitrini. Il fusto cilindrico, alto fino a
150 cm, è simile alle foglie con le quali
forma fitti ciuffi. I fiori sono raccolti in
infiorescenze prodotte da un lato del
fusto ad una certa distanza dalla sommità.
Il frutto è una capsula. Il suo nome deriva
dal verbo latino jungere, cioè "legare", e
rispecchia l'uso che si faceva di questa
pianta, utilizzata per fabbricare ceste e
legacci.
Una volta comune in tutta Italia,
questa specie si rinviene
soprattutto in campi di cereali o
in prati erbosi, ormai sempre più
spesso contaminati da pesticidi.
Pianta bulbosa, può raggiungere
altezze fino ad 1 metro. Ha delle
foglie strette e lanceolate e dei
fiori riuniti a spiga, di un bel
color rosso porpora. I frutti
sono delle capsule contenenti
semi non alati.
Pianta tipica dell'area mediterranea, è comune
in tutta Italia. Specie bulbosa che cresce nei
prati, ha delle foglie basali molto lunghe. I fiori
sono raccolti in un ombrella formata da 2 a 15
esemplari, lungamente peduncolati ed avvolti da
una guaina.
I tepali sono di colore bianco-giallastro,
mentre la corolla, gialla o arancione, ha
una forma di tazzina, da qui il nome
scientifico. Il fiore ha un gradevole
profumo
Unica palma originaria
dell'Europa, cresce selvatica sui
pendii lungo la costa del
Mediterraneo.
Le foglie sono rigide e a
ventaglio, mentre i fiori
crescono in pannocchie. Le
bacche sono datteri rotondi,
profumati di formaggio, molto
appetiti dalle volpi.
In Sicilia se ne utilizzava il
cuore, cotto come i cardi, e le
parti sotterranee ridotte in
farina.
Diffuso in tutta Italia, è un cespuglio
molto ramificato con fusti finemente
solcati, può formare il sottobosco di
foreste mediterranee.
Il nome
"pungitopo", deriva
dall'usanza
contadina di
proteggere dai
topi con mazzetti
di questa pianta, i
salumi e i formaggi
messi a stagionare.
Ha delle strutture, che pur
simili a foglie, sono fusti
appiattiti (cladodi) che hanno
sviluppato funzioni simili a quelli
delle foglie, essendo anch'essi
fotosintetici. I fiori maschili e
femminili si trovano su rami
diversi portati al centro dei
cladodi. Il frutto è una bacca
globosa, rosso brillante,
contenente uno o due semi. I
giovani germogli possono essere
mangiati, avendo sapore simile a
quello dell'asparago.
Originario dell'Asia, oggi è distribuito ampiamente in tutta l'Europa e nell'area
mediterranea. In Italia è diffuso lungo le coste tirreniche e adriatiche e in
Sardegna. Oggigiorno è una delle piante più comunemente usata per le siepi.
Raggiunge dimensioni anche notevoli (fino a 10m) allo stato spontaneo. Nell'antica
Grecia, l'alloro era considerato sacro ad Apollo e il più alto onore per un poeta
greco consisteva nell'essere incoronato con una ghirlanda di alloro con foglie e
frutti. I Romani, invece, lo adoperarono quale simbolo di successo, specialmente
in guerra.
Nella cucina l'alloro viene usato per insaporire
le carni. In passato, si riteneva che l'odore
dolce e pungente della foglia di alloro coriacea di colore verde scuro - avesse la
proprietà di purificare l'aria. Dal frutto - una
drupa verde, grossa e ovale che diventa nera a
maturazione in ottobre - ancor più aromatico
delle foglie, veniva estratto un olio essenziale.
Il legno si utilizza per fabbricare piccoli mobili
e per lavori di tornio.
Arbusto cespuglioso e spinoso frequente in
tutta Italia, fino a 1000 m di altitudine.
I fiori sono piccoli e bianchi, raccolti in
infiorescenze ; i frutti sono dei pomi polposi, di
colore rosso corallo.
Il biancospino è noto fin dai tempi dei Greci, i
quali si servivano dei rami forti per adornare
gli altari durante le cerimonie nuziali. Il nome
latino Crataegus deriva dal termine kratos, che
significa forza, a motivo della durezza del
legno. In Francia si crede invece che il
biancospino, colpevole di aver fornito la corona
di spine per il martirio di Cristo, nel giorno del
Venerdì Santo emetta gemiti dal tronco. Ad
alimentare le superstizioni negative però è
stato il caratteristico odore dei suoi fiori.
Nell'essenza di biancospino è presente un
componente chimico, presente anche nella
materia in decomposizione. Gli insetti che si
cibano di questa, infatti, sono gli stessi che
visitano, per impollinarli, i fiori del biancospino.
Il corbezzolo è una delle piante più
tipiche e più note delle regioni
mediterranee, dove è localizzato nel
sottobosco di pinete e leccete
litoranee. E' un arbusto o alberello
sempreverde, alto da 1 a 12 metri.
Le foglie sono alterne, con il margine dentato
più chiare nella pagina inferiore.
I fiori sono bianchi e campanulati e sbocciano
in autunno mentre i frutti rossi stanno
ancora maturando. Il frutto, chiamato anche
fragola o cerasa marina, è poco saporito e
rivestito di buccia granulosa.
Specie tipicamente mediterranea,
spontanea in Italia, frequente soprattutto
nelle zone centrali, meridionali e nelle isole,
lungo le coste e i litorali, dove c'è presenza
d'acqua. E' un arbusto sempreverde che
può arrivare a misurare anche 3 metri.
Le foglie sono coriacee e di colore verde
cupo brillante, e se spezzate emettono
un gradevole aroma. I fiori, provvisti di
numerosissimi stami e profumati, sono
bianchi e compaiono all'ascella delle
foglie in estate. Le bacche sono nerobluastre mature in pieno inverno e dal
gusto un po' aspro e resinoso.
Specie tipica della macchia mediterranea, in
Italia è diffuso lungo tutte le coste, tranne in
quelle più fredde dell'alto Adriatico. E' un
piccolo albero sempreverde, alto fino a 5-6
metri, dal caratteristico odore resinoso. Le
foglie, alterne, sono composte da 2-5 coppie di
foglioline di colore verde chiaro e lucide. I fiori
nascono dall'ascella fogliare in grappoli durante
il periodo primaverile; quelli maschili hanno un
colore fortemente rossastro.
I frutti sono piccole drupe
rosso scuro al cui interno vi è
un seme di colore verde
brillante a forma di lenticchia
(da qui il nome lentisco). Dal
seme si ricava per pressione
un olio, un tempo usato sia
nell'alimentazione - risulta
però molto amaro - sia per
l'illuminazione -illuminava le
lanterne romane.
Arbusto alto fino a 8 metri, cresce
dovunque il contenuto di azoto sia alto:
vicino ad edifici, intorno ad allevamenti ma
anche in formazioni naturali, nelle siepi e ai
margini dei boschi, ma sempre in luoghi
abbastanza umidi. In Italia è comunissimo
fino ai 1500 m di altitudine.
I fiori sono giallastri e intensamente
profumati raccolti in infiorescenza, i frutti
sono bacche molto succose di colore rosso
scuro. Da queste parti si ottengono distillati
e marmellate ricche di vitamina C. I frutti
però devono essere maturi, perché a
maturazione incompleta, le bacche
contengono sostanze tossiche.
Tinture vengono ricavate da parti diverse dell'albero: nera dalla corteccia, verde
dalle foglie, blu o lilla dai fiori, grigio-giallastra dai frutti per colorare la lana. Il
legno può essere usato per piccoli oggetti, quali pettini e cucchiai di legno. I
bambini, invece, svuotando i fusti ne hanno sempre ricavato fischietti e
cerbottane: sambucus deriva infatti dal greco sambyke, nome di una specie di
flauto. Le sue foglie per il cattivo odore che emanano, sono un eccellente
antiparassitario e la lotta biologica ne impiega il decotto in polverizzazioni contro
gli insetti degli alberi da frutto.
Comune arbusto o alberello alto fino a 6 metri
che cresce nei boschi aperti e nelle macchie
dell'Italia meridionale e insulare. Ha rami grigi,
spinosi e foglie alterne o disposte in fascetti sui
rametti brevi, lanceolate.
I fiori sono bianchi (da qui potete distinguere un
pero da un melo) riuniti in ombrella in numero di
8-12.
I frutti sono rotondi, 1,5-3cm, giallo-bruni, su
peduncoli robusti.
Queste piccole pere globose sono però aspre ed
astringenti, ma da loro derivano tutte le varietà
di pero coltivate.
L’uomo è arrivato piuttosto tardi sulla scena del Mediterraneo. Vi
sono tracce dell’uomo di Neanderthal nelle caverne del Circeo a
sud di Roma, nella costa ligure, a Gibilterra, in Francia ed in
alcune altre aree. L’arrivo del nostro più diretto antenato, “Homo
Sapiens”, si può datare intorno a 100.000 anni fa. Vista la sua
attitudine alla guerra, si può legittimamente ipotizzare che l’Homo
Sapiens Sapiens ha avuto un ruolo nel processo di estinzione
dell’uomo di Neanderthal circa 30.000 anni fa.
Ogni ricorrente era glaciale ha prodotto drastici abbassamenti nei livelli del
mare, mentre la stessa quantità d’acqua veniva depositata, sotto forma di alti
strati di ghiaccio, nelle regioni polari. Questo ha permesso all’uomo primitivo
di spostarsi e di popolare molte terre, comprese quelle che in seguito
sarebbero diventate isole, una volta che il clima si fosse riscaldato, innalzando
di nuovo i mari. E’ in questo modo che la Sardegna è stata popolata. Tribù
erranti provenienti dalla attuale Toscana attraversarono l’Elba e la Corsica e
arrivarono fino in Sardegna, circa 40.000 anni fa.
Con l’innalzamento del mare queste prime tribù sarde rimasero isolate
per un lungo periodo, fino a quando visitatori, in barca, non vi
approdarono molto più tardi. Oggi, il popolo sardo rimane unico rispetto
alle altre popolazioni europee ed è un esempio relativamente “puro”
delle tribù indo-europee che erravano l’Europa 40.000 anni fa. Un
esempio simile è la popolazione basca che rimase isolata nelle
montagne dei Pirenei tra la Spagna e la Francia.
L’uomo primitivo non si è fermato per molto davanti alle distese
d’acqua limitate. La curiosità innata e la sete per l’avventura lo
spinsero a costruire zattere primitive e barchette costruite con canne
con cui hanno remato o si sono lasciati trasportare attraverso le
acque, raggiungendo isole come Cipro e Malta 5000 anni fa,
formando le basi delle popolazioni odierne. L’uomo ha lentamente
popolato tutto il bacino mediterraneo. E in questo speciale e
favorevole ambiente ha prosperato.
Oggi, il Mediterraneo
rappresenta il crocevia
della civiltà occidentale
formato da molte e
diverse culture. Città
romane si trovano in tutto
il Mediterraneo, città
greche in Sicilia, la cultura
araba pervade la Spagna,
l’Islam è presente in
Jugoslavia.
Per il turista-navigatore
ciò rappresenta un
miscuglio intrigante ed
affascinante.
L’allagamento, due volte all’anno, del
vasto delta del Nilo, era per gli Egizi, un
regalo divino. Portava acqua preziosa,
concime per i campi e quindi abbondanti
raccolti. Il cibo costante permise al
popolo egizio di prosperare e la loro
civiltà, in costante crescita, diventò una
delle civiltà che durò più a lungo in tutto
il Mediterraneo. La loro fiorente civiltà,
sviluppatasi 5000 anni fa, durò ben 3000
anni.
Svilupparono una forma di scrittura illustrativa chiamato geroglifico. Adoravano
molti dei, i quali davano loro la certezza di una vita ultraterrena. Infatti, le
piramidi vennero costruite per proteggere i corpi mummificati e per preservare gli
utensili necessari per la loro vita nell’aldilà.
I venti costanti che
soffiavano verso l’interno
favorirono l’estendersi
della loro influenza lungo
tutto il Nilo, piuttosto che
verso il Mediterraneo o
lungo le sue aride coste.
Sicuramente avranno
anche capito che le loro
barche da fiume con fondo
piatto, non erano indicate
per la navigazione in mare.
Le città-stato sviluppatesi in civiltà in Mesopotamia, sono state quelle dei Sumeri
(la loro capitale era UR), dei Babilonesi (capitale, Babilonia) e degli Assiri
(capitale, Nineve). Hanno inventato una forma cuneiforme di scrittura su tavole
di argilla. Queste civiltà prosperarono dal 3000 A.C. fino a 550 A.C. Erano
appassionati dell’astronomia e gli odierni nomi dei giorni della settimana
derivano proprio dai loro studi. I giardini pensili a Babilonia erano una delle sette
meraviglie del mondo antico.
Successivamente, i vicini Persiani dell’Iran centrale
odierna, dalla loro capitale, Persepolis, incominciarono
ad espandere la loro influenza su tutta l’area. I Persiani
hanno iniziato a commerciare le loro merci e il loro
abbondante cibo, sia a valle lungo il fiume verso
l’oceano Indiano, sia attraverso il deserto fino alle rive
del Mediterraneo, dove incontrarono i Fenici. Il loro
impero comprendeva tutta la Mesopotamia, la Siria,
l’Egitto e parte dell’Asia Minore. Attaccarono anche la
Grecia senza successo e trovarono, in fine, la sconfitta
con Alessandro il Grande nel 331 A.C.
La Palestina, situata sulla costa orientale
del Mediterraneo, era una terra abitata da
pastori, gli ebrei, che predicavano un solo
Dio, mentre fino a quel momento i popoli
adoravano molteplici figure divine. Questa
piccola area avrebbe dato origine a tre
religioni diverse: l’ebraica, la cristiana e
l’islamica, che in seguito avrebbero
raggiunto i complessivi 3 miliardi di fedeli
in tutto il mondo. La città di Gerusalemme
sarebbe stata contesa da ognuna di
queste religioni come capitale propria.
Questa contesa è ancora la causa dei
conflitto ai giorni nostri.
L’attitudine al commercio dei Persiani è stata tramandata ai
Fenici, che abitarono la costa libanese del Mediterraneo nelle
città antiche di Biblos, Sidon e di Tiro. Mentre gli Egizi
commerciarono fra di loro principalmente lungo il Nilo, i Fenici,
che disponevano solo di una striscia stretta di terra fertile lungo la
costa per sostenersi, non potevano che guardare verso il mare
per sperare in uno sviluppo. E’ da qui che l’uomo ha iniziato a
navigare verso ovest, conquistando altri territori.
I Fenici erano ben forniti di foreste di magnifici cedri ed utilizzando questo
legno, costruirono barche abbastanza potenti per affrontare il mar
Mediterraneo. Con queste barche viaggiarono verso ovest colonizzando
nuove terre. Le loro barche erano dotate sia di vele, sia di uomini che
remavano e man mano diventarono sempre più grandi.
Vi erano tre rotte per navigare verso ovest:
1.
A nord costeggiando la Turchia, la Grecia, Corfù, il tacco dell’Italia, lo
stretto di Messina, la costa italiana fino all’Elba, poi l’attraversata per
raggiungere la Corsica ed infine la Sardegna.
2.
La rotta verso sud seguiva la costa del nord Africa, sempre
rimanendo a vista della terraferma, dove di notte si fermavano. Molti dei
porti odierni distavano, per i Fenici, un giorno di navigazione dal
successivo.
3.
La terza rotta, verso ovest, venne usata in seguito da marinai più
esperti e con strumenti più sofisticati. Questa rotta prevedeva una
navigazione in alto mare verso ovest senza terra a vista. Da Tiro
navigarono fino a Cipro, poi verso Creta e Malta, arrivando a Cartagine.
Navigarono di notte orientandosi con le stelle.
I Fenici erano dei mercanti pacifici. Erano interessati ad incrementare i loro
commerci e di fondare nuove colonie nel “Far West” di allora: in Cipro, a
Rodi e nelle isole dell’Egeo. Spingendosi ancora più lontano fondarono
Tharros e Nora in Sardegna; Tashish, una grande colonia commerciale
sulla costa della Spagna, e la città che sarebbe divenuta la capitale di tutte
le colonie, Cartagine, nell’odierna Tunisia, che si trovava esattamente al
centro del Mediterraneo. (Le rovine di queste città puniche, così
straordinariamente ben preservate, sono assolutamente da visitare.)
A proposito, i Fenici sono gli inventori della scrittura moderna.
Adoperarono un alfabeto di 22 lettere, utilizzate ancora oggi. La
scrittura si è dimostrata rivoluzionaria per l’epoca. Ha permesso la
comunicazione, e di conseguenza il commercio, tra le colonie
distanti.
Durante questo stesso periodo, alcune tribù erranti si stabilirono in Grecia.
Gli Eoli si fermarono nel nord, gli Ioni, che erano dei bravi navigatori, ad
Atene ed i Dori nel Peloponneso e a Sparta.
Erano dei popoli litigiosi, sempre in guerra tra di loro. Erano insoddisfatti e
irrequieti e di conseguenza sempre desiderosi di cambiamento e di
miglioramenti. Forse sono state proprio queste caratteristiche a portarli ad
uno sviluppo nelle arti, nella fisica ed in campo culturale.
I Greci hanno realizzato grandi imprese: in guerra, nelle colonizzazioni,
nello sport, nella democrazia (vedi Pericle), nell’architettura, nella scultura
(Fidia, Polykleitos, Lisippo, Prassile), nella mitologia, nell’astronomia, in
geografia (Tolomeo), nel teatro (Sofocle, Eschilo) nella filosofia (Socrate,
Platone, Aristotele, Parmenide) e nella matematica (Euclide, Archimede,
Pitagora). Queste imprese sono largamente riconosciute e le loro opere
sono alla base del pensiero occidentale.
I Greci odiavano i Persiani ed esultavano ad ogni
confronto fisico. Vi sono infinite storie di guerre e
battaglie fra questi due popoli. I Greci
colonizzarono la Sicilia ed il sud dell’Italia. Hanno
costruito magnifici templi a Paestum e ad Agrigento
(anche questi due siti archeologici meritano di
essere visitati), che non sfigurarono con l’Acropoli
stessa di Atene.
I Persiani, che conquistarono Babilonia e l’Egitto, crearono un nuovo impero
minacciando gli stessi Greci. Una imponente armata attaccò i Greci a
Maratona, ma fallì, come fallì anche il secondo tentativo di conquistare Atene,
dieci anni più tardi. Questo fallimento è stata la fortuna nostra, perché nei
successivi 100 anni, Atene avrebbe prodotto tali imprese culturali che molte
altre nazioni non avrebbero potuto produrre in 1000 anni.
Comunque, solo 100 anni più tardi la Grecia era
indebolita dalla guerra tra Atene e Sparta e fu
sopraffatta dai vicini Macedoni. I Macedoni
volevano conquistare l’intero mondo conosciuto!
Questa grande avventura, iniziata da Re Filippo,
proseguì brillantemente con il figlio, che presto
sarebbe stato conosciuto come Alessandro il
Grande. Egli conquistò gran parte del mondo allora
conosciuto, che andava dalla Grecia, fino in Egitto
ed in Persia, spingendosi fino in India, in
pochissimo tempo. Passarono soltanto dieci anni
dalla conquista di Atene, da parte di Filippo, fino
alla morte di Alessando il Grande nel 323 A.C.
Si può dire che la cultura della antica Grecia ha
dominato il mondo fino ai giorni nostri. Le loro
magnifiche sculture erano fonte di ispirazione per gli
scultori romani, i quali hanno accuratamente copiato
i capolavori dei Greci per adornare i palazzi di
Roma. L’architetture greca, con la sua grazia,
potenza e bellezza, veniva considerata un ideale di
simmetria artistica. I Romani hanno spesso
disegnato i loro edifici pubblici prendendo come
modello i templi greci ed in particolare il Partenone.
Durante il Rinascimento, gli Europei riscoprirono l’arte romana e greca. Con
il tempo l’architettura di influenza greca sarebbe stata usata in molte
nazioni. Oggi le colonne doriche e ioniche, di ispirazione greca, dominano
moltissimi palazzi governativi sparsi nel mondo.
La tradizione vuole che Roma fu fondata nel 753 A.C. da Romolo e
Remo, due trovatelli allevati da una lupa. In quel periodo la penisola
italica era popolata a nord da selvagge tribù celtiche ed al centro da
un popolo con una cultura abbastanza sviluppata, gli Etruschi.
Gli abitanti di Roma avevano grande determinazione
ed erano molto legati alle loro terre ed alla loro città,
che volevano forte e potente. Non avevano una
predisposizione all’arte ed alla cultura come gli
Ateniesi, ma una cosa era assai importante per loro:
la legge. Lentamente e con tenacia i Romani hanno
esteso la loro autorità da città a città, lungo la costa
della penisola, formando una federazione forte, con
un potente esercito per far rispettare la legge e
mantenere l’ordine.
L’attività sportiva per i
Romani aveva un'altra
importanza rispetto ai
Greci. Piuttosto che
praticarla personalmente
partecipando a corse e
lanciando giavellotti, i
Romani preferivano
lasciare queste attività ai
loro schiavi, lasciandoli
combattere l’uno contro
l’altro e contro le bestie
feroci nelle arene come il
Colosseo.
Ormai i Greci avevano dovuto cedere il
controllo delle loro colonie che avevano nel
sud dell’Italia ai Fenici, che avevano
conquistato gran parte del Mediterraneo.
Tuttavia, Roma ora stava crescendo e stava
diventando una forza contro cui fare i conti.
Ben presto si sviluppò una grande rivalità tra
Roma e Cartagine. I Romani non erano un
popolo marinaio ed avevano dovuto copiare
le navi fenicie ed infatti costruirono molte navi
per contrastare la flotta nemica. Nel 241 A.C.
conquistarono la Sicilia e poi Cartagine
stessa nel 146 A.C., divenendo i nuovi
dominatori del mare Mediterraneo, da allora
conosciuto come il “Mare Nostrum”.
L’impero
romano, che
controllava tutte
le coste del
Mediterraneo, si
estese fino in
Inghilterra e
lungo il fiume
Reno in
Germania e ad
est fino in
Ungheria,
compresa la
Romania, la
Turchia ed il
vicino oriente.
Lo splendore dell’impero romano
durò alcuni secoli, fino a circa il 400
D.C. quando gli invasori, i Goti ed i
Vandali, discersero dal nord, e gli
Unni dall’Asia capeggiati da Attila,
portando con sé terrore e
devastazione. L’impero romano finì
con la destituzione dell’ultimo
imperatore nel 476 D.C., quando
incominciò una nuova era: il
Medioevo.
Circa cinque milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo era una vallata profonda e
secca che divideva tre continenti: Europa, Africa e Asia, fino a quando un
cataclisma fece una breccia nel muro di contenimento dell’oceano Atlantico ad
ovest, verso l’odierna Gibilterra. In un processo durato molti, molti anni, una
gigantesca cascata di acqua ha incominciato ad inondare l’intero bacino
mediterraneo, facendo nascere un nuovo mare.
Analizzando più attentamente la
configurazione di questo nuovo mare
troviamo che è formato piuttosto da un
insieme di mari: il mar Alboran, Golfo di
Lione, il Tirreno, lo Ionio, il mar Egeo,
l’Adriatico, ognuno con caratteristiche proprie.
Nell’insieme il Mediterraneo è un mare
profondo: dai 3000 ai 4000 metri. Questa
profondità permette ad alcune specie di
balene di viverci, come anche il pesce spada,
il tonno e il delfino, quest’ultimo spesso
incontrato dalle moderne barche da diporto
durante le crociere.
Il Mediterraneo è un mare piuttosto chiuso. Vi è un piccolo scambio delle acque
con l’Atlantico sullo stretto di Gibilterra e con il mar Nero sullo stretto del Bosforo
ad Istanbul. All’estremo est, il canale di Suez, sebbene navigabile, è soltanto una
comunicazione artificiale con il mar Rosso. Le coste africane ed asiatiche sono
aride e piatte, mentre le coste europee, anche se non soggette a piogge pesanti,
sono verdi e montagnose, con un clima più temperato.
Il continente africano da sempre si spinge lentamente verso il continente europeo
e questo ha causato l’innalzamento delle Alpi. La conseguente frattura nella
crosta terrestre ha formato i vulcani: Etna, Stromboli e Vesuvio in Italia e
Santorino in Grecia. Questo movimento verso il continente europeo è anche la
causa della attività sismica in questa area.
In generale, il clima è tiepido e temperato: per l’appunto definito “mediterraneo”. Il
clima è influenzato dall’aria calda e secca proveniente dal Sahara durante l’estate
creando temperature ideali per le vacanze, e dall’aria più umida e fredda
dall’Atlantico durante l’inverno. In effetti, questo clima si è dimostrato assai
favorevole allo sviluppo della civiltà umana.
Quando i mammut ancora vagavano per le dense foreste,
l’Europa era popolata da qualche tribù nomade che viveva di
caccia e raccoglieva frutta, bacche e grani di cereali. In seguito
queste tribù iniziarono a pascolare il bestiame che era riuscito ad
addomesticare e scoprirono la possibilità di coltivare i semi dei
preziosi cereali circa 9000 anni fa. E’ probabile che questo ebbe
inizio nell’area curda della Turchia attuale. Abitarono le coste alte
del Mediterraneo, più adatte ai loro bisogni. Queste zone davano
una produzione più efficiente e abbondante di cibo, che permise
all’uomo di prosperare e di crescere numericamente.
Presto però era necessario scendere nei terreni più fertili dove si
trovavano campi più grandi per coltivare i preziosi cereali,
sempre più vitali per sfamare le crescenti popolazioni insediate
in colonie, che in seguito sarebbero diventate villaggi e poi città.
Coloro che decisero di rimanere nelle terre più in alto hanno
dovuto combattere continuamente contro la natura per poter
sopravvivere. Nei secoli hanno faticosamente costruito i campi
terrazzati su ripidi pendii delle colline, che oggi formano una
veduta molto pittoresca del paesaggio mediterraneo. Fu anche un
piano strategico rimanere nelle pendenze più inaccessibili: in tal
modo era più facile fuggire ai frequenti saccheggiatori che
infestavano le coste del Mediterraneo. Oggi possiamo ancora
ammirare le splendide cittadine sulle sommità delle colline
circondate da alte mura e torri difensive, sorte proprio per sfuggire
ai predatori.
Invece, le coste orientali e del Nord Africa erano aride,
mentre le terre fertili si trovavano nel bacino dei fiumi Tigri
ed Eufrate, in Mesopotamia (“tra i fiumi”), in Persia e lungo
il delta del Nilo in Egitto. Queste aree hanno avuto un
maggior sviluppo dopo l’avvento dell’agricoltura e sono
questi i luoghi che hanno visto la vera nascita dell’uomo
moderno.
Sono numerosi i popoli che prosperarono intorno al Mediterraneo
laddove vi erano provviste di acqua pura e terre fertili e dove le
conformazioni collinose garantivano una certa sicurezza contro gli
attacchi esterni. In condizioni favorevoli, gli insediamenti si
svilupparono in civiltà. Queste civiltà crebbero ed estesero la loro
influenza e il loro potere a seconda delle ambizioni del loro capo,
arrivando alla creazione di veri imperi. Alcune civiltà sviluppatesi
lungo le coste del Mediterraneo, durarono qualche generazione,
altre, come nel caso degli Egizi, 3000 anni.
Ad ogni modo, l’influenza di queste civiltà è sempre presente, perché noi siamo
ciò che eravamo. Le mescolanze delle razze attraverso le migrazioni, le
dominazioni, fa sì che da queste popolazioni ognuno di noi conservi una parte dei
loro geni, dei loro pensieri, della loro arte e delle loro religioni.
Conoscerli e capirli, è conoscere e capire meglio noi stessi.
Foto precedente
Foto precedente
Il “Progetto Mediterraneo” nasce dall’idea di fornire agli alunni le abilità
per padroneggiare sempre meglio lo strumento informatico ed in
particolare l’uso dell’applicativo di “presentazione”.
Nel contempo vuole offrire l’opportunità per ampliare le conoscenze
dell’ “ambiente mediterraneo”, vasto territorio questo, che ci ospita e ha
ospitato i nostri antenati.
La redazione del progetto vuole, inoltre, ampliare le conoscenze delle
specie animali e vegetali che vivono nel mare Mediterraneo e sulle
terre che questo mare bagna.
Pur avendo redatto ben 137 diapositive, la vastità dell’argomento non ci
ha permesso di esaurire tutto l’argomento in un solo anno scolastico.
Pertanto le parti di questa presentazione che risultano incomplete
diverranno oggetto di operatività per gli alunni nel prossimo anno
scolastico.
Il materiale redatto è stato reperito dagli allievi (guidati dall’insegnante)
da specifici siti internet ed è stato successivamente ordinato e
catalogato in apposite cartelle. Gli allievi, a fine anno, disporranno di
un CD-Rom con tutto il materiale raccolto. Pertanto essi stessi, se lo
vorranno, potranno completare autonomamente gli argomenti e
personalizzare ulteriormente il proprio lavoro.
nino gatto
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