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DI ROBERTA BIZZARRI E CHIARA STANZIONE Le migrazioni nella seconda metà del Novecento Il nuovo quadro internazionale e le istituzioni Le nuove migrazioni transoceaniche Le strade dell’Europa Le migrazioni interne Il nuovo quadro internazionale e le istituzioni Alla conclusione della seconda guerra mondiale ebbe inizio l’ultima fase storica dell’esodo italiano, coincidendo con una modificazione economica e sociale del paese. All’emigrazione all’estero si accompagnò in modo crescente l’esodo interno: le migrazioni partivano da sud dirigendosi verso il Nord dove la richiesta di lavoro era maggiore. L’emigrazione italiana si confuse con altri imponenti spostamenti di popolazione sia in partenza dall’Europa sia interni al continente. Gli altri paesi europei soffrivano dello stesso disagio del nostro cioè che l’economia era in ginocchio e la disoccupazione era alta dappertutto, l’intera classe dirigente italiana si trovò concorde sulla necessità di riavviare l’esodo per alleggerire la disoccupazione e il conseguente disagio economico. L’emigrazione venne indicata dall’opposizione come il sintomo più evidente dell’incapacità del sistema economico italiano di garantire lavoro e benessere ai suoi cittadini. •Nel 1946 venne istituita dalle Nazioni Unite l’organizzazione internazionale per i rifugiati per trovare una sistemazione ai 14 milioni di profughi che alla fine della guerra dovevano essere rimpatriati o reinsediati. •Nel 1949 venne decisa la creazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. In Italia la Direzione generale degli italiani all’estero venne abolita e al suo posto venne istituita la Direzione generale per l’emigrazione. Il Ministero del lavoro era incaricato delle attività di selezione, reclutamento e assistenza in Italia, con l’istituzione di centri di emigrazione Tali centri vennero attivati nelle principali città italiane attraverso gli Uffici provinciali del lavoro. La Direzione generale per l’emigrazione doveva nvece provvedere alla tutela nei paesi di arrivo. •A questi organismi pubblici si sommarono quelli privati, ad esempio riprese a pieno ritmo l’attività dell’Umanitaria, istituzione milanese. Nel 1947 sorsero la Giunta cattolica per l’emigrazione e l’Associazione nazionale famiglie emigrati , un ventennio più tardi, venne costituita la federazione italiana lavoratori emigrati e famiglie. La confederazione generale del lavoro riprese l’attività di concertazione con le organizzazioni sindacali estere che aveva caratterizzato i suoi primi anni di azioni prima dell’avvento del fascismo. Le nuove migrazioni transoceaniche Considerando che tutti i paesi europei si trovavano in una generale difficoltà economica e che perdurava la chiusura delle frontiere statunitensi, l’esodo delle migrazioni cercò diverse destinazioni: Argentina,Venezuela,Canada e Australia. •L’Argentina fu il primo paese dove si diresse l’esodo transoceanico, in seguito a un accordo bilaterale, frutto della confluenza fra un paese bisognoso di manodopera e le necessità di ricorrere all’emigrazione dell’Italia . Nel 1946 vennero istituite la DAIE e la CREI, che avrebbero dovuto selezionare, accogliere e indirizzare gli emigrati in Italia e in Argentina. Da parte argentina l’obbiettivo era quello di sorvegliare i flussi delle emigrazioni . Nel 1947 venne sottoscritto un accordo bilaterale dal ministro degli esteri italiano e da quello argentino. In conseguenza all’accordo fra il 1946 e il 1950 giunsero in Argentina quasi 300 000 italiani (e altri 100 000 nel decennio successivo): essi richiedevano maggiori tutele e garanzie, ma a questa richiesta si opponevano la volontà argentina di lasciare massima libertà ai propri imprenditori nell’utilizzo della manodopera degli emigranti. La destinazione Argentina cominciò a perdere i caratteri del sogno e con il tempo si trasformò in un vero e proprio incubo americano. •Il Venezuela fu il secondo paese a diventare la meta preferita per le migrazioni, infatti entro il 1960 il numero totale di arrivi da parte di immigrati italiani arrivò a toccare le 236000 unità; le aree di provenienza erano maggiormente quelle meridionali. Un punto di attrazione fu Caracas: fra il 1950 e il 1960 la città passò da 700000 a 1,4 milioni di abitanti. L’edilizia esercitò un ruolo di primo piano e costituì l’attività prevalente degli italiani. •Il Canada fu il terzo paese a risentire delle migrazioni transoceaniche ed elaborò un programma di immigrazione. Le politiche di incoraggiamento erano indirizzate all’immigrazione nominativa, assistita e sovvenzionata. Gli italiani furono il gruppo che approfittò maggiormente di questa possibilità. Dopo il 1950 in Canada giunsero dai 20 000 ai 30 000 italiani all’anno. Nel solo 1954, 335 000 italiani fecero domanda di ammissione all’ufficio canadese di immigrazione. I nostri connazionali dieci anni dopo ammontavano a 450 000. Nel 1967 la politica dell’immigrazione assistita venne interrotta, per lasciar posto a una legislazione orientata a un’immigrazione selezionata. L’immigrazione calò considerevolmente. •L’Australia fu una delle nuove “Americhe”. Fino alla fine degli anni 30 essa era stata destinazione di poche correnti migratorie, in partenza da aree limitate del Trentino e della Valtellina e da altre vallate lombarde in provincia di Bergamo. L’emigrazione dalle montagne italiane e da quelle svizzere aveva avuto il suo esordio nella metà dell’ottocento ed era divenuta più consistente dopo l’apertura del canale di Suez, nel 1869. Fra il1947 e il 1961 giunsero in Australia oltre 200 000 italiani. Il censimento del 1977 registrò una comunità di origine italiana do oltre mezzo milioni di persone. Le strade dell’Europa Si può ricondurre la migrazione italiana a due grandi periodi: quella di fine Ottocento e quella del secondo dopoguerra. La migrazione del secondo dopoguerra è accompagnata da alcuni fenomeni epocali: - il processo di integrazione europea - la trasformazione del nostro paese in una potenza industriale -le migrazioni della popolazione dalle campagne alle città e dal Meridione al Settentrione. I paesi dove principalmente si è diretto l’esodo sono la Francia, il Belgio, la Svizzera e la Germania occidentale e spesso le migrazioni avvennero all’interno di accordi bilaterali. Le direzioni dell’esodo sono state determinate da fattori politici ed economici. La migrazione non era programmata come scelta definitiva. Questo a causa della stagionalità di molte occupazioni, l’instabilità del lavoro, la vicinanza geografica fra i luoghi di emigrazione e quelli di partenza, la composizione sociale degli emigranti per lo più uomini soli restii a trasferire la famiglia. La necessità di sfuggire alla disoccupazione e il disagio economico era tale che nella seconda metà del ’45 l’emigrazione riprese anche clandestinamente. In alcuni casi degli emigranti furono illusoriamente reclutati come coloni per il Sud America da truffatori che reclutavano per cooperative agricole inesistenti.. All’inizio del ’46, in base all’accordo Italo-Francese, era previsto che 20 mila italiani andassero a lavorare nelle miniere, ma alla fine dell’anno altri 30 mila arrivarono clandestinamente in Francia. Anche partenze pianificate attraverso accordi internazionali come quelli verso le miniere in Gran Bretagna furono fallimentari, nonostante le imposizioni restrittive dal punto di vista salariale e dei diritti, molti di loro non furono mai accettati e furono costretti al rimpatrio dopo il periodo di addestramento. Il Veneto, la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Friuli furono le regioni più rappresentative del flusso migratorio in Francia. Anche il Belgio fu una destinazione. Dopo la guerra la presenza italiana venne sollecitata per garantire la manodopera nelle miniere dove i belgi non volevano più lavorare. Il lavoro in miniera fu la sola occupazione prevista, con condizioni di vita durissime. Vivevano in baracche, per lo più ereditate dai campi di raccolta dei prigionieri di guerra. Inoltre furono oggetto di comportamenti razzisti e discriminatori. Gli incidenti erano frequenti. Oltre un migliaio di morti nel primo decennio dopo guerra e 262 morti nel crollo della miniera di Marcinelle del ’56, 136 dei quali italiani. L’ultimo accordo bilaterale fu firmato con la Germania occidentale nel ’55. Il maggior flusso migratorio si registra in Svizzera anche se è quello meno conosciuto e analizzato, probabilmente perché si trattava inizialmente soprattutto di emigrazione stagionale o temporanea. Infatti furono i grandi cantieri per la realizzazione del Traforo del Gottardo e del Sempione che videro impiegata la manodopera italiana. Nella metà degli anni cinquanta oltre il 70% provenivai dalle regioni settentrionali ma dieci anni dopo gli immigrati del Meridione sarebbero divenuti la maggioranza. Nel ’75 la punta massima con 570 mila italiani fino a stabilizzarsi nell’85 con poco più di 400 mila presenze. I settori occupazionali sono rimasti i medesimi: l’edilizia pubblica e privata, il settore alberghiero e l’industria metalmeccanica. La condizioni degli emigranti italiani soprattutto nei cantoni a lingua tedesca è stato oggetto di denuncia per il grave stato di emarginazione sociale. La ghettizzazione, l’incertezza del futuro, la distanza culturale hanno prodotto situazioni di disagio anche molto grave. Solo nella seconda metà del novecento si sono diffusi limitati fenomeni di mobilità sociale. ESPATRIATI PER PAESE DI DESTINAZIONE Anni Francia Germania Svizzera Canada USA Brasile Argentina Australia TOTAL E 1946 1950 192093 74 313031 15590 66068 25366 274523 26556 1127720 1951 1960 592492 160513 745031 229332 193459 85566 209545 190533 2937406 1961 1970 206687 745848 1021033 168792 166961 7163 10979 119297 2646994 1971 1980 61355 347035 344019 36141 82800 9546 7875 30052 1082340 1981 1990 41685 238487 162473 15155 36569 5572 8719 7929 687302 Le migrazioni interne Fra le due guerre a causa delle restrizioni poste all’emigrazione all’estero, le migrazioni interne subirono un costante incremento. Nel corso degli anni cinquanta l’esodo migratorio verso l’estero non fermò il flusso migratorio interno. Dalle campagne si spostavano verso le città, dalle regioni del Nord-Est verso le aree più industrializzate del Nord-Ovest e dal Meridione al Settentrione Ci furono migrazioni così numerose da generare il fenomeno dello spopolamento, come in Calabria. La piccola borghesia rurale fu una delle protagoniste della grande migrazione interna che ebbe luogo fra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni settanta con un ruolo di pioniere, ma a differenza di quelle verso la Svizzera e la Germania, quelle verso il Settentrione furono molto più facilmente definitive. La distribuzione demografica del paese subì la più importante modifica di tutta la sua storia, infatti tra il ’55 e il ’71 oltre 9 milioni di italiani abbandonarono la loro regione di origine per trasferirsi altrove. Nei cinque anni del “miracolo” economico” - dal ’58 al ’63 - oltre 900 mila persone lasciarono il Mezzogiorno. L’abbandono delle campagne e l’esodo dal Sud contribuirono all’esplosione demografica delle città. Basti pensare che Milano dal ’51 al ’67 aumento i suoi residenti di oltre 400 mila unità (da 1.274.245 a 1.681.045) e Torino nello stesso periodo andò vicino a raddoppiarli (da 719.300 a 1.124.714) mentre i comuni della così detta cintura incrementarono la popolazione dell’80%. I primi a emigrare furono i pugliesi. Successivamente i calabresi, i siciliani, i campani, i lucani e i sardi. L’esodo cambiò la composizione sociale del paese. Gli ultimi arrivati trovarono il primo lavoro nei cantieri edili, i quali potevano funzionare anche da alloggi di fortuna. Nel corso degli anni cinquanta la richiesta di occupazione nel servizio domestico fece partire anche le donne. Nonostante le difficoltà e l’isolamento, il lavoro industriale rappresentò per le donne un importante elemento di emancipazione. Permetteva alle giovani di sottrarsi al controllo severissimo della famiglia e di essere padrone di almeno una parte del loro salario. Le città impiegarono diversi anni prima di riuscire a coprire il fabbisogno di servizi e alloggi che l’emigrazione, di gran lunga sfruttata nel mercato del lavoro nero, richiedeva. REALIZZATO DA: Roberta Bizzarri & Chiara Stanzione