la signorina che faceva hara-kiri e altri saggi - Appuntiunito
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la signorina che faceva hara-kiri e altri saggi - Appuntiunito
LA SIGNORINA CHE FACEVA HARA-KIRI E ALTRI SAGGI Franco Borgogno PARTE PRIMA CAPITOLO 1 - DIVENTARE UNA PERSONA: L'IMPORTANZA DELLA RISPOSTA AFFETTIVA DELL'ANALISTA A UNA PAZIENTE SCHIZOIDE DEPRIVATA E AI SUOI SOGNI Premessa Teorico-Clinica Le premesse teorico-cliniche del caso di M, paziente paradigmatica la cui presa in carico è esemplificativa del trattamento da avviare con pazienti anch’essi deprivati psicologicamente e relazionalmente, portano ad identificare due Assunti di Base: - desiderio e reale bisogno di alcuni pazienti di sentire come, durante l’ analisi, il loro analista sperimenti, gestisca ed elabori gli eventi interpsichici alla base della loro sofferenza affettiva e mentale; - questo tipo di esperienza è essenziale per i pazienti schizoidi soggetti a deprivazione durante l’ infanzia. Borgogno sottolinea quindi i tratti comuni fra la sua analizzanda ed altri pazienti con problematiche simili alle sue tra cui si trovano: - natura primitiva della loro depressione e disperazione; - origine della “perdita impensabile” esperita; - cliché del loro transfert e delle loro difese; - fattori terapeutici richiesti all’ analista per poter stabilire gradualmente un contatto autentico con loro. Infine pone in evidenza come la risposta emozionale non consapevole dell’ analista sia irrinunciabile strumento di comprensione ed incontro del paziente al fine di recuperare quote di sviluppo ed emancipazione mai raggiunte precedentemente e giungere al motore di quello che Balint (1968) definiva un "nuovo inizio". Il Caso di M M giunge in analisi da Borgogno in seguito ad una caduta da cavallo, in cui si rompe il bacino, all’età di venticinque anni. Questa caduta, preceduta da altri incidenti fisici che avevano afflitto i suoi familiari in quel medesimo periodo, fa precipitare M in un crollo depressivo già latente ed esteso anche alla sua vita lavorativa, caratterizzata da un profondo ritiro ed isolamento. M descrive la sua vita come invasa da "un'ombra o un gorgo nero". La paziente offre all'analista una sorta di "carta di visita" narrando nella prima seduta un Primo Sogno che, come già affermato da Perelberg (2000), identifica le dinamiche di trasfert-controtransfert che emergeranno nell'analisi. In tale sogno M vede una persona giapponese, la cui identità è incerta, che fa hara-kiri di fronte a lei in una specie di chiostro e desidera che lei la osservi. M cerca quindi di scappare, ma con orrore e disgusto, sente che questa persona la insegue “arcata dopo arcata”, crollando per terra con tutti gli intestini di fuori. Questo sogno diventa così importante perché raffigura l’ esperienza di sé di M e con il suo oggetto materno oltre al prototipo delle dinamiche transferali e controtransferali che entreranno a far parte della diade analitica. Quest'immagine onirica, illuminante per Borgogno, resta però oscura per M che pare inconsapevole della raffigurazione e della portata di tale materiale. Ella infatti non si rende conto inizialmente di come in tale sogno siano racchiusi la spaventosa ed intollerabile deprivazione subita da bambina e le sue conseguenti modalità relazionali patogene. Questo sogno rappresenta quindi una situazione psichica suicidiaria che non lascia possibilità di fuga e nelle modalità di transfert e controtransfert Borgogno accetta quindi il rovesciamento dei ruoli, diventando M-bambina incapace di portare soccorso a se stessa ed allo stesso tempo anche sua madre priva di entusiasmo per la vita, nel tentativo di cogliere i suoi sentimenti di rabbia, sfinimento, ritiro, vuoto ed irrealtà. In un'altra seduta M nomina la figura di una “santa che fa nascere quelli che non devono nascere” e su questa affermazione Borgogno si sofferma sottolineando con forza come anche il cambiare una parola possa apportare delle sostanziali modifiche cognitive ed affettive. Egli infatti, nel far riflettere M su questa affermazione, sostituisce il verbo “devono” con “dovevano” per sottolineare come la possibilità di poter nascere non sia unicamente confinata al passato, ma estendibile al presente e quindi sia possibile una nascita psicologica non solo biologica, ma, e soprattutto, derivante dall’ incontro con qualcuno che accolga, ascolti il soggetto finalmente pronto e desideroso di intraprendere un nuovo inizio. L’ autore quindi procede alla lettura dello scarso ma significativo materiale portogli da M, scorgendo in esso il suo desiderio di mostrare “le sue interiora”, ossia la sua disponibilità e collaborazione inconsce nell’ esternare l’ eviscerazione perpetrata dal suo carente oggetto materno. Seguono ulteriori elementi fondamentali per comprendere la storia e l’ eziologia della sofferenza di M, quali il tentativo ripetitivo materno di abortirla, elemento che rimane per anni il segreto della sua famiglia. Quest’ ultimo punto rivela infatti le dinamiche relazionali e le angosce degli stessi genitori di M, in quanto entrambi sono orfani di padre subito dopo la loro nascita, e questo evento è sentito come causa della loro scomparsa e che si riattualizza con la venuta al mondo di M. Borgogno capisce quindi come queste vicende entrino a far parte dell’ analisi in “una sorta di emorragia psichica” che non lascia spazio alla vita, alla possibilità di essere riconosciuti e quindi significativi. M successivamente racconta il Secondo Sogno relativo a una regina che getta giù dal palazzo il proprio figlio che cade sempre in piedi, suscitando l’ ammirazione della propria madre nel non procurarsi ferite e sofferenza. In questa immagine onirica compaiono anche delle astronavi che vogliono proteggere il popolo succube del gioco dispotico della regina, oltre ad un a figura femminile chiamata “Nessuno” che avverte gli stranieri di stare attenti all’odio ed ai piani malvagi della regina. Questo sogno rappresenta ancora le angosce e le identificazioni di M con i personaggi coinvolti in quanto essa è il figlio scagliato giù dal palazzo che ha imparato a non farsi male, in un processo che Ferenczi 1932) definisce di progressione traumatica, ossia dei salti mortali ai quali il bambino è stato costretto ad abituarsi come unica via di fuga dal continuo trauma inflitto dal suo caregiver. M può essere quindi definita una wise baby che intelligentemente e funzionalmente ha appreso a convivere con i torti e con i subdoli e continui misconoscimenti materni, rappresentai nel sogno dalle azioni della regina. Questo episodio, di mezza analisi, è anch’ esso rilevante per la comprensione della crescita psicologica di M in quanto esso avviene, a differenza del primo sogno, in uno spazio aperto con un conseguente incremento della consapevolezza di cosa stia accadendo e compare inoltre la chiamata di forze egoiche e libidiche rappresentate dai sudditi e dalla figura enigmatica della donna Nessuno. Quest’ ultima si rivela anch’ essa foriera di significati dato che rappresenta la raffigurazione che M ha di se stessa, quindi senza corpo, proprio come indica la traduzione inglese di “Nessuno”, ossia no-body. Il lavoro psicoterapico si incentra quindi sulla possibilità di M di sperimentare il proprio corpo dolorante, derivato dall’ impossibilità e dall’incomunicabilità con la propria madre. Il sintomo infatti, non trovando espressione nella parola, si trasla sul suo corpo, riproponendo la sofferenza psicologica depressiva di cui la stessa madre di M soffre. Borgogno, tramite l’ascolto continuativo, vuole quindi dare spazio al grido interiore della sua paziente che non attende altro che un pensatore emozionato che possa infrangere le catene del suo nefasto destino familiare. Un destino segnato dalla difficoltà a rendersi conto di avere agency, ossia della consapevolezza di avere un impatto sull’Altro, diventando così significativo e dotato di una propria identità. Riguardo a quest’ ultimo punto altamente significativo è l’Episodio “di fare quadrato” narrato da M e dalla conseguente partecipazione emotiva del suo analista che controbatte a tale affermazione. Il “ fare quadrato” si riferisce infatti ad un’espressione usata da M per riferirsi alla sua opposizione ad una collega di lavoro ed alla successiva felicità che quest’azione suscita in lei. Borgogno, colpito da questa affermazione che richiama immediatamente alla sua mente un’ immagine bellica (disposizione delle truppe sul campo di battaglia) e la cocciutaggine nel persistere in un’ azione improduttiva (come ben indica l’ espressione piemontese “testa quadra”), risponde “un rombo in risposta al quadrato”, dopo il passaggio di un camion nella via sottostante il suo studio. Questa sua affermazione causa una duplice reazione in quanto Borgogno si sente fuori posto, interdetto, soprattutto di fronte all’ entusiasmo della sua paziente che sorride a tale esclamazione. M infatti spiega l’apprezzamento dell’esclamazione del suo analista, sottolineando come questa sia “una parola sua”, espressa in contrapposizione al suo desiderio di opporsi e al tempo stesso indicante come la parola incominci ad assumere valore, mezzo di comunicabilità delle proprie emozioni. Questo episodio diventa quindi altamente significativo in quanto rappresenta, da un lato la capacità di Borgogno di sintonizzarsi con la sua paziente, dando vita ad un linguaggio condiviso, inerente le stesse tematiche (le figure geometriche del quadrato e del rombo) e dall’ altro indica come la stessa M sperimenta l’esigenza di sentire l’Altro e quindi l’importanza di un‘alterità autentica non inasiva, ma rispettosa ed accogliente. La tematica della necessità di condividere inconsciamente la propria sofferenza emerge anche nel Terzo Sogno in cui M racconta di trovarsi all’interno di una caverna mentre qualcuno la sta cercando, senza però rendersi conto che lei è già al di fuori di essa per osservare alcuni sentieri. Inoltre compare anche un uomo robusto, probabilmente un carbonaio perché scuro in volto e con una lampadina sul capo. Borgogno scorge immediatamente se stesso nelle vesti di quest’uomo che, proprio come un minatore, si sta addentrando in profondità, nelle profondità di M. Inoltre, “carbonaio” ricorda il termine “carbonaro” , ossia chi ha lottato durante il Risorgimento, come se la sua paziente stesse rivendicando il desiderio di unità, che riconduca alla riconciliazione delle sue componenti scisse e doloranti. La figura maschile che compare in questo sogno rappresenta pertanto la creazione e la presenza di una nuova figura paterna nella mente di M, anche grazie all’ adozione di Borgogno di funzioni più maschili in opposizione ad una madre castrante e devitallizzante. In seguito a questo evento ritorna il mutismo di M che pone nuovamente Borgogno in un posizione di annichilimento, morte psichica e non-senso proprio come esperiti dalla sua paziente. L’analista, seppur con difficoltà, riesce a rimanere nella relazione, riuscendo ad aprire un varco relazionale con M attraverso la Comunicazione Sincera del suo Controtransfert, che inaspettatamente produce nella paziente una risposta relativa a quanto sorprendente sia scoprire che si ha un effetto sugli altri e quanto esso sia reale, esistente e di conseguenza come anche gli altri esistano e siano anch’essi reali. M quindi, dopo aver pensato per una vita intera di essere insignificante, un peso per gli altri, giunge finalmente a riconoscere come la relazione sia fondante e come possa quindi vivere più ampiamente la sua analisi. Da ciò ne consegue che Borgogno, finalmente, esiste nella mente e nella pancia di M come “rombo-carbonaio-carbonaro” e quindi come Altro a cui affidare se stessi e potersi quindi discostare da quella posizione narcisista, caratterizzante la propria esistenza, verso una posizione edipica, intesa nella capacità di riconoscere l’ostilità verso la figura materna e quindi densa di speranza nel tentativo di risolvere tale enigma e diventare quindi individui dotati di una propria identità. Nel caso di M di una identità femminile sottrattale dalla madre, incurante dei suoi bisogni e della sua necessità di differenziazione-autonomizzazione rispetto alle aspettative genitoriali, caratterizzate anche dal desiderio di avere un figlio maschio il cui nome sarebbe dovuto essere Alessandro (nella mente dei suoi genitori vi era l'associazione con Alessandro Magno, quindi un figlio che "avrebbe potuto sollevare e riscattare le loro miserie"). Questo nome indica quindi il peso a cui è sottoposta M, nel cercare di impersonificare un ruolo maschile di riscatto, ma anche di morte precoce. Il Terzo Sogno, che si situa all'ottavo anno di analisi e indica riassuntivamente il lavoro svolto ed i cambiamenti ottenuti da M, contiene dei bambini che giocano a far scivolare oggetti e se stessi giù da una collina, e come tale caduta venga identificata da M come un gioco di morte, relativo all'autoeliminarsi e all'eliminare gli altri per non affrontare il dolore. M si dimostra particolarmente preoccupata per un bambino e va a cercare la madre che le dice di essere preoccupata perché il bambino e che aspetta l'arrivo del padre, che però è morto. In una fase successiva del sogno M vede anche dei piccoli dinosauri sulle sue mani che le fanno tenerezza ma, dato che continuano a morderla, lei vuole mandarli via, però senza successo. In tale sogno, che Quinodoz (1999) definirebbe "sogno che volta pagina", M dimostra come il separarsi non sia un lanciarsi nel vuoto senza ritorno e come essa sia in grado di accettare i fallimenti familiari ricevuti, cercando di ripararli nella sua vita. I piccoli dinosauri rappresentano poi i frammenti del suo passato che è impossibile eliminare ma che, nonostante in qualche modo le provochino sofferenza, ispirano anche un senso di tenerezza. Questa immagine onirica è quindi molto importante dato che indica come M riconosca di avere una storia e quindi anche un passato. Nella stessa seduta M riferisce di sapere che lei è stata nell'infanzia una "divoratrice" di affetto, di attenzioni e di tempo, come se avesse voluto nutrire se stessa e anche la propria madre in seguito ad una fame “endemica” di guerra . Attraverso quest’ultima osservazione M riconosce quindi come la presenza di Borgogno sia stata altamente significativa nella sua ricerca di comprensione e accettazione incondizionata. La Tendenza dei Pazienti Schizoidi Deprivati verso l'Identificazione Patologica e l'Importanza Mutativa della Risposta Affettiva Personale dell'Analista Con i pazienti schizoidi come M, ed in generale con coloro che hanno subito deprivazione, occorre quindi, a detta di Borgogno, focalizzarsi sull’Identificazione Massiva con un Oggetto Deprivante perché tale processo comporta una spoliazione-estrazione di aspetti necessari alla crescita ed alla peculiarità di ciascun individuo. I vissuti di intrusione, di rifiuto e di non responsività rinviano dunque ad un vuoto sottostante di cure parentali, causate dall’assenza depressiva dei caregivers, impossibilitati a trasmettere l’entusiasmo per la vita e l’esistenza, essendo stati anch’essi vittime di non-riconoscimento, non-contenimento e non-condivione psichica. Le difese psichiche primitive erette in questo contesto di mancanze ambientali di varia natura sfociano quindi inevitabilmente in una grave frammentazione, nella dissociazione, nella scissione, nella proiezione e nel totale diniego della vita psichica. Il compito dell’analista consistente pertanto nel riconoscimento di queste reazioni patologiche, ma pur sempre adattive, funzionali onde evitare il ripetersi del senso di oltraggio ed intrusione sperimentato da questi pazienti. Bisogna quindi aiutare tali pazienti a disidentificarsi dall'oggetto deprivante e diventare, tramite la costruzione di una funzione di "no-entry", meno permeabili alla sua influenza e più selettivi nell'assimilare gli apporti esterni. Fondamentale è quindi la consapevolezza di cosa i genitori possono aver "depositato dentro di loro" (Faimberg, 2000). I sogni e le sedute di M, in conclusione, rappresentano il percorso da lei intrapreso assieme a Borgogno nel ricercare la propria separatezza e distinzione che rendono ciascuno un individuo una persona, non più frammentata e divisa. Il fine ultimo diventa, con pazienti simili ad M, quello di acquisire e portare avanti una piena rinascita psicologica per poter volgere lo sguardo al proprio passato nel presente, nello svolgersi del proprio cammino psicologico ed essere poi proiettati verso il futuro grazie ad un nuova speranza e fiducia. I Sogni e il Rivivere il Trauma in Analisi Dai sogni di M, prima analizzati rispetto al loro significato simbolico e patologico-clinico, emerge quindi un medesimo schema prototipico relazionale patogeno, improntato alla lotta fra elementi antitetici (morte vs vita, odio vs. amore) e sembrano tutti degli incubi, dato che le difese messe attuate falliscono sempre nel loro scopo, portando M a non poter elaborare consciamente la deprivazione subita, perché priva di strumenti emozionali e concettuali che le consentano di accedere al materiale altamente traumatico. La problematica inerente ai sogni di M è quindi riconducibile al non aver ancora trovato parole emozionate, capaci di verbalizzare e rinegoziare il contenuto secondario, apparentemente latente. Il lavoro di Borgogno è stato quindi quello di cercare di creare un ambiente protettivo, di ascolto, di messa in gioco e quindi di crescita e di rinascita attraverso l’enfasi sulle risorse non accessibili al paziente. CAPITOLO 2 - LE RADICI DI UNA SOFFERENZA PSICHICA: I "TIC TEORICI" DELL'ANALISTA Il "Contesto Storico" nel Lavoro Clinico - Neil Altman (Neil Altman è training e supervising psychoanalyst del Post-Doctoral Program in Psychotherapy and Psychoanalysis della New York University e del William Alanson White Institute. E' inoltre editor di "Psychoanalytic Dialogues"). La riflessione di Altman è tutta incentrata sulla necessità di Considerare il Contesto Storico e Culturale, cambiando il focus, e l’avvicendarsi delle generazioni per comprendere i pazienti. In tal caso il contesto è la Seconda Guerra Mondiale (secondo i calcoli M dovrebbe esser nata nel 1960) e questo fatto potrebbe chiarire la morte di entrambi i padri dei suoi genitori. Il non considerare questo aspetto è una grave mancanza di Borgogno, mancanza che però riflette quel pregiudizio analitico che fa si che ci si concentri quasi esclusivamente sul livello intrapsichico e interpersonale di analisi, escludendo così il più ampio ed allargato contesto sociale. Borgogno asseconda tale pregiudizio e si concentra su cosa i genitori possano aver depositato entro M, quindi l’elemento distruttivo è presente nei genitori che l’avrebbero poi trasmesso alla paziente. Questa è una prospettiva che trascura la considerazione della vita psichica dei genitori e la stessa distruttività della paziente. In pratica non è un’interpretazione sbagliata ma limitata. Immaginare M come una persona che porta dentro di sé relazioni oggettuali interne con genitori che “amano la morte e la vogliono morta”, al di fuori del contesto sociale in cui essi vissero, vuol dire limitare fortemente la prospettiva di analisi, perché in tale ottica i genitori appaiono come figure interne piuttosto maligne e ciò implica che occorra procedere nel trattamento sperando che il terapeuta possa riuscire ad incarnarsi come oggetto nuovo alternativo. Invece, se il terapeuta vedesse i genitori come persone a loro volta traumatizzate e sofferenti, l’origine del male sarebbe allargata facendola risalire al processo stesso della guerra. In pratica si ci trova di fronte a due casi: - I Caso: il male sono i genitori; - II Caso: il male è la guerra. In questo secondo caso, in aggiunta, non occorre immaginare i genitori come delle semplici vittime in quanto in guerra ci si identifica anche con gli aggressori, e internamente le persone possono tentare di uccidere ogni segno di vita, inclusi i loro figli che rappresentano l’incarnazione della nuova vita per eccellenza. In sostanza Altman immagine i genitori di M come persone più sfaccettate, le quali hanno sofferto per il fatto stesso di aver amato. Così vi sarebbe anche più spazio per immaginare M sia portatrice di un carico di amore e vita, sia di passione e morte. Diversamente si patologizzerebbero troppo o la paziente, osservata separatamente dal conteso sociale e familiare, o i genitori. Allo stesso tempo non bisogna mai negare che le persone plasmano loro stesse le proprie vite, persino quando sono costrette a vivere in situazioni traumatiche. È M stessa ad offrire continui rimandi alla guerra, quasi facesse parte del suo mondo inconscio. Ad esempio il sogno dell’hara-kiri che indica come il suo Sé abbia sposato la morte e anche vari termini rimandano verso questa posizione (ad es. fare quadrato). Sicuramente potrà essere di aiuto riportare gli stati mentale dei propri genitori nella prospettiva delle loro storie di vita. Una tale conoscenza può influenzare l’immagine interna dei genitori, trasformando, addirittura, il mondo degli oggetti interni del paziente. Ma un’introduzione prematura di questa conoscenza può rinforzare la rabbia del paziente verso le mancanze dei genitori oppure potrebbe essere intesa come un tentativo dell’analista di scagionare il genitore. Dunque l’analista deve avere in mente l’immagine dei genitori come persone traumatizzate (si vedano vari studi sui traumi subiti anche da adulti e sui suoi effetti, ad esempio Boulanger nel 2002 sui traumi dell'Olocausto) oltre che traumatizzanti ma non deve necessariamente comunicarla al paziente. Questo può rivelarsi utile anche per essere in grado di sopportare la sensazione di essere distruttivi per il paziente, in quanto varie volte questo è il miglior antidoto nei confronti della tendenza di scindere l’oggetto cattivo e di proiettarlo sui genitori. Quest'analisi punta quindi alla necessità di un vertice conoscitivo maggiore, ispirato alla posizione depressiva, che analizzi non solo i vicendevoli impatti relazionari paziente-genitori (e viceversa) ma anche il contesto culturale e sociale che rivela un'estensione significativa del mondo esterno dei soggetti. Terrore di Cadere: tra "Breaking One's Back" e "Breaking Through" - Alina Schellekes (Alina Schellekes è training e supervising psychoanalyst dell'Istraeli Psychoanalytic Society, insegna al Tel Aviv University Program of Psychotherapy, dove ha avviato nel 2007 un programma di studi avanzati sugli stati primitivi della mente. Ha ricevuto nel 2006 l'Honorary Mention del Phillys Meadow Award e nel 2008 il Frances Tustin International Price per il suo saggio "The Dread of Falling and Dissolving"). Il contributo di Alina Schellekes pone al centro del ragionamento il Concetto di Caduta. Il tema della caduta compare a diversi livelli e diverse volte: - cade da cavallo; - cade in depressione; - vuole cadere e perdere il controllo (sogno dell'hara-kiri). Tali cadute non sono quindi solo un segno negativo ma anche un desiderio di abbandonare il controllo e poter "tirare fuori gli intestini" per giungere, assieme all'analista, ad una crescita emozionale. Danielle Quinodoz, nel suo testo "Le Vertigini tra Angoscia e Piacere" (1994), illustra diversi tipi di vertigine accompagnati dalla paura di perdere l’equilibrio fisico e mentale. La Vertigine da Fusione, che sembra quella più rilevante in questo caso, produce un'angoscia costituita dall’annientamento del sé (identificazione di M nella signorina che faceva hara-kiri). In tal senso l’immagine del collasso (propria del primo sogno) rivela sì una paura ma al tempo stesso pure un desiderio di abbandonare il controllo che M ha esercitato costantemente fino a quel momento, e sembra quindi che M si sente fusa con la persona giapponese che è "appiccicata" a lei e la segue. Questo genere di relazione oggettuale si caratterizza per l’assenza della terza dimensionalità (la mancanza in pratica dello spazio interno necessario per elaborare le esperienze psichiche). M vive allora in un mondo bidimensionale nel quale la principale difesa è Identificazione Adesiva (non una vera e propria identificazione ma un’imitazione delle caratteristiche più superficiali dell’oggetto ed un’illusoria adesione ad esso) e questo è il risultato del fallimento di interiorizzazione della funzione contenitiva del genitore, che causa l’incapacità di percepire l’oggetto come avente uno spazio interno. Inoltre non va sottovalutata la paura di M di essere abortita (ancora una volta, di essere stata lasciata cadere. E' lasciata cadere dagli intestini, o meglio dall’utero materno ed ora pure dall’analista). Questa paura di essere abortita rivela anche il desiderio opposto, cioè rinascere per mezzo del suo angelo rappresentato dall’analista. L’immagine dell’angelo in realtà spaventa l’analista perché si rende conto che il destino della paziente dipende esclusivamente dalle sue abilità. È necessario un lungo periodo affinché il "ventre analitico" possa dar vita ad un nuovo significato e digerire la figura angelica proposta da M. La paura di essere abortita appare ancor più nitidamente nel secondo sogno, ma in tale sogno cambia il tipo di angoscia, che viene legato alla Vertigine Legata all'Essere Lasciati Cadere, che esprime la paura di essere rigettati e rifiutati dall'altro, ma senza che l'integrità del proprio sé venga compromessa (infatti il figlio della regina cade sempre in piedi) e inoltre compaiono altre figure che lottano per salvare la parte sana della personalità. Le dinamiche illustrate quindi non sono più quelle della mancanza di differenziazione, poiché compare una coppia psichica. Nel quarto sogno compare di nuovo il tema della caduta, che però è diventata una forma di gioco, quindi una perdita di controllo che i bambini vogliono provare, senza che però vi sia alcun pericolo. Nella mente della paziente vi è ora una parte che osserva e si prende cura di un’altra parte che potrebbe essere in pericolo di cadere. Nonostante sia ancora presente una Vertigine da Risucchiamento si è fatta avanti nella paziente una forma di gioco, attrazione verso la perdita di controllo, in cui non vi è il pericolo di una vera e propria perdita di contatto con l’oggetto. Si viene progressivamente a creare in analisi una seconda pelle, dove le funzioni di contenimento materno avevano fallito, e un'interiorizzazione della funzione di contenimento e di crescita interiore. Schellekes fa poi riferimento al racconto di Beckett “Lo Sfrattato” (1946) che inizia con il doloroso ricordo da parte del protagonista nel conteggio ossessivo nel quale si dedicava da bambino (era sua abitudine contare i gradini di casa ma lo metteva molto in confusione l’indecisione nel contare anche il marciapiede) ma, diventato adulto, si sforza di ricordare il numero dei gradini ma non ci riesce. Questo pensiero ossessivo ha lo scopo di tenergli occupata la mente riuscendo così a non pensare alle persone che gli hanno procurato sofferenza. Ad un certo punto il bambino e scacciato di casa e gettato in strada, e ancora una volta la caduta dai gradini e una caduta emozionale. Il conforto deriva dallo sbattere della porta perché sta ad indicare che i genitori non lo seguiranno in strada per picchiarlo. Tipico del bambino è inoltre il suo cappello, dal quale non si separa mai e che deve indossare continuamente per non far scaturire nel padre l’invidia per la sua bella e giovane testa. Appena il bambino viene sfrattato da casa i genitori puliscono immediatamente la sua stanza e il protagonista non può far altro che iniziare a camminare, a gambe divaricate affinché nessuno possa camminare al suo fianco nel marciapiede. Durante il suo percorso inciampa ed investe una vecchia (un’immagine sostitutiva di sua madre) sperando di averle spezzato tutte le ossa. Subito dopo è rimproverato da un poliziotto che gli dice di tornare a casa, una casa che lui non ha più. Successivamente sale su una carrozza e prova a scandagliare la sua memoria per trovare un indirizzo che giustifichi tale viaggio, ma non ci riesce. Così invita il cocchiere a pranzo e gli chiede di aiutarlo a trovare una camera. Si sviluppa un certo affetto e il cocchiere lo invita a dormire da lui, nella stalla. Ma mentre e lì sente il cocchiere e la moglie parlar male di lui e allora decide di salire sulla carrozza e di bruciarla, ma desiste poi dal proposito. Per concludere, in Beckett incontriamo un mondo cupo in cui la maggior parte del movimento affettivo si rivolge all’interno, attraverso un ritiro schizoide nella solitudine e nella disconnessione dal mondo esterno, forse per sopravvivenza). Ma l’autore stesso, pur profondamente segnato nella sua prima infanzia da esperienze gravi, è stato capace di comporre scritti straordinariamente ricchi e questo ha permesso alla scrittura di rappresentare il suo contenitore. A Chi Parla un'Autore e Perché. Risposta ai Commenti di Neil Altman e Alina Schellekes Prima di rispondere alle considerazioni di Altman e Schellekes, Borgogno sottolinea, in accordo con le teorie di Heimann, l'importanza di valutare il contesto in cui ha scritto di tale caso clinico (la sua domanda per diventare analista supervisore e didatta della SPI) e i motivi che l'hanno indotto a considerare alcuni elementi rispetto ad altri. Considerando quest'ultimi Borgogno fa notare come in un clima in cui le teorie di Freud e Klein erano considerate come cardine dell'intera psicoanalisi, il suo tentativo fosse quello di dare maggiore rilievo a Ferenczi, Bion e Heimann che consideravano fondamentali le esperienze reali del bambino con i suoi caregiver. Rispetto alle specifiche risposte di Borgogno bisogna considerare: 1. Risposta ai Commenti di Altman: la famiglia di M (genitori e nonni) risentì sicuramente di entrambe le guerre, ma non solo nel senso ipotizzato da Altman, in quanto essa hanno creato uno sfondo di povertà e miseria, di deprivazione, che ha aggravato ancor più la situazione di una famiglia già povera. Tentando di trasformare la loro origine contadina tramite una piccola attività di commercio, in cui il punto vendita coincideva con l'abitazione i genitori di M trascurarono e lasciarono psichicamente sola la figlia. Inoltre i rispettivi padri erano deceduti prima di avere un figlio in tarda età a causa di malattie oggi facilmente curabili (quindi non a causa della guerra). Queste coincidenze fecero a credere alla famiglia di essere perseguitati dalla cattiva sorte, attivando un pensiero-magico legato alla superstizione. Il trauma di M non è quindi affatto quello della guerra indicato da Altman, ma il suo essere figlia di genitori che non avevano potuto esser bambini, di un lutto non elaborato e di una depressione tramandata dai genitori. Nella famiglia aleggiava quindi un clima legato all'idea che la vita è solo fatica e dolore, e tale atteggiamento ha condotto ad una mancanza di "immunizzazione" di M rispetto alle difficoltà della vita, come già descritto da Ferenczi in "Il Bambino Mal Accolto e la sua Pulsione di Morte" (1929). Altman ha però, secondo Borgogno, ragione nel sottolineare l'importanza di valutare le situazioni traumatiche una ad una, nella sua specificità, senza fare di "tutt’erba un fascio". Ed è quello che Borgogno crede di aver fatto aiutando M ad individuare le caratteristiche psicologiche dei genitori, il loro modo di vedere la vita, includendo l’analisi della vita contadina e dei piccoli artigiani in cui la famiglia era inserita. A causa di un trauma cumulativo tali pazienti rimangono a lungo “incastrati” nell’identificazione con caregiver per molti aspetti non adeguati e molto sofferenti. È qui che entra in gioco la Funzione di Testimonianza dell’Analista, intesa come la capacità dell’analista di vivere sulla propria pelle e al suo posto le emozioni del paziente, per tutto il tempo necessario. Una svolta sostanziale nel caso di M si è verificata quando Borgogno ha iniziato a rispondere anche lui con delle piccole storie, sintonizzandosi su un modo di comunicare comune, permettendo quindi alla sua paziente di re-impossessarsi della sua storia. Solo più avanti però Borgogno comprese che le storie dietro le quali M si era isolata erano quelle che l’avevano salvata dal silenzio e dall’apatia e da un più grave crollo depressivo e ritiro psichico; 2. Risposta ai Commenti di Schellekes: Borgogno sottolinea i differenti "tic teorici" (credi teorici di base) suoi, legati all’ambiente come determinante per il disturbo che attraverso il sogno cerca di essere rielaborato, e di Quinodoz, che segue principalmente l’universo kleniano-intrapsichico affermando che anche di fronte a buone capacità di revérie della madre un bambino può divenire invidioso e quindi distruggerle o usarle male. A parte questa osservazione iniziale si dimostra però pienamente d’accordo con le interpretazioni date dalla Schellekes ai sogni della paziente e all’accostamento che ne fa con i tipi di vertigine di Quinodoz. Ricapitolando esse sono: - I Sogno: vertigine legata a fusione e angoscia primitiva connessa alla fusione; - II Sogno: vertigine legata all’essere abortiti/lasciati cadere, in cui vi è però la sopravvivenza di entrambi gli elementi della coppia; - IV Sogno: vertigine da risucchiamento, in cui M da prova di aver digerito le sue angosce principali. Il vero turning point per Borgogno è stata la capacità di M di acquisire inoltre quell'Area della Percezione Immaginativa che, come già evidenziato da Enid Balint (1993), permette al paziente di riconoscere uno spazio contenente all'interno della mente dell'altro (in questo caso dell'analista). Rispetto a Beckett inoltre bisogna notare come, sebbene il ritiro schizoide sia simile, le caratteristiche dei genitori fossero però differenti (genitori di Beckett: instabilità ed indifferenza; genitori di M:depressione e povertà emozionale). Il capitolo si chiude poi con una riflessione di Borgogno sul fatto che tutti gli autori citati (Ferenczi, Winnicott e Heimann) sono stati bambini deprivati ed è forse dovuta a questo la loro capacità di interessarsi di tali problemi. CAPITOLO 3 - L'INTRECCIO "INTER-INTRA" PSICHICO L'Integrazione in Analisi: un Ponte tra l'Approccio Intrapsichico e l'Approccio Interpersonale Theodore Jacobs (Theodore Jacobs è training e supervising psychoanalyst del New York Psychoanalytic Institute e del New York University Psychoanalytic Institute, clinical professor di Psichiatria alla New York University School of Medicine e autore di due libri: "The Use of the Self: Countertransference and Communication in the Analytic Situation" e "On Beginning An Analysis"). Jacobs parte da una analisi di quelle due prospettive analitiche che sono state in contrasto per lungo tempo: - Prospettiva Intrapsichica: sostiene che nella persona vadano identificate e analizzate le sue proprie componenti personali (fantasie, immagini inconscie…) e la risposta interna del bambino al suo mondo oggettuale (posizione sostenuta da Freud e dalla Klein); - Prospettiva Interpersonale: sottolinea invece la centralità delle relazioni con i genitori e le figure di attaccamento nelle prime fasi della vita, in quanto dei caregivers deprivanti e incapaci di nutrire affettivamente un bambino porteranno ad identificarsi con questa parte deprivante, e quindi anche nelle relazioni future queste strutture comportamentali-caratteriologiche si ripresenteranno (posizione sostenuta da Winnicott, Balint e Ferenczi). Borgogno invece, secondo Jacobs, utilizzando gli insegnamenti di Ferenczi e Winnicott cerca di trovare una connessione tra queste due prospettive, e nel farlo utilizza il concetto di Soul Murder, coniato da Shengold (1989), intendendo con esso quei bambini, aggrediti o cresciuti in ambienti psichicamente sterili, che non sviluppano un sano nucleo di “riguardo-di-sè” e sentono di vivere in un vuoto che li pervade, con conseguente tendenza depressiva e ritiro schizoide. Borgogno, nel trattare M, cerca quindi un interazione tra intrapsichico ed interpersonale e questo è ben visibile in due elementi: - in quanto i pazienti simili a M devono vivere un’esperienza riparativa (Ferenczi), egli mette a disposizione della sua paziente se stesso come oggetto spontaneo e autentico oltre che supportivo, in modo da mantenere viva la speranza di un futuro ristabilirsi, speranza che M ha invece già abbandonato (o forse non ha mai avuto); - mantiene la vitalità fondamentale da restituire a M, non lasciandosi sopraffare dalla disperazione e dal pessimismo, e accettando di diventare l’odiato oggetto deprivante e contemporaneamente anche il sé deprivato. Solo in questo modo si potrà rendere esplicito a M il suo odio riversato nel transfert. Questi elementi preservano quindi la paziente tramite un controtransfert molto positivo, vivo e autentico, elementi che risulteranno poi fondamentale per il lavoro nei vari anni e per una positiva riuscita dello stesso, questo perché solo con la spontaneità Borgogno entra in contatto con M, arrivando così a collegarsi e ad infonderle, tramite il suo comportamento riparativo, quella vitalità e gioia di cui è deficitaria ma che è invece fondamentale per la sua “rinascita”. L’attività riparativa però, per quanto sia importante, non basta per colmare le lacune che l’infanzia le ha lasciato, ma è fondamentale il lavoro di working through che si snoda sia a livello interpersonale, sia a livello intrapsichico per modificare le fantasie interne della paziente e modificarle. Unico punto lacunoso di Borgogno è però, secondo Jacobs, la Valutazione dell'Aggressività di M, intesa sia nelle sue componenti interne che esterne. Nella parte finale del commento di Jacobs egli mette poi l’accento sulla centralità della spontaneità dell’analista nel far rinascere quell’idea di alterità nella paziente in quanto M, che potrebbe essere descritta come carente di Esperienze di Mentalizzazione (Fonagy, 2001), risulta incapace di attribuire agli altri dei processi mentali, motivo per cui l'analista deve dimostrarsi disponibile ad illustrarle i suoi processi mentali, non lavorando solo sulle immagini del mondo interno ma anche se un incontro interpersonale tra paziente ed analista. Le Patologie da Deficit Richiedono una Nuova Teoria della Cura? - Carlos Nemirovsky (Carlos Nemirovsky è training e supervising psychoanalyst dell'Asociaciòn Psicoanalìtica de Buenos Aires, professore ordinario dell'Universidad del Salvador e autore del libro "Winnicott y Kohut"). Nel suo commento Nemirovsky inizia considerando come Borgogno sia in grado di utilizzare le teorie di Bion, Ferenczi e Winnicott senza però adagiarsi su di loro, ma proponendo un percorso originale per la sua paziente e per sé stesso, percorso che in qualche modo si avvicina alla psicoanalisi intersoggettiva contemporanea, in quanto, già dal titolo stesso del saggio di Borgogno, si evince una ricerca dell’eziologia della patologia. Borgogno si sofferma quindi su due aspetti: - utilizzo della componente emozionale non consapevole dell’analista per comprendere il paziente ed aiutarlo ad emanciparsi; - importanza della vita soggettiva dell’analista per l’ascolto in fase di psicoanalisi. Nemirovsky analizza poi due elementi clinico-teorici fondamentali che emergono dal caso clinico di Borgogno: - Patologia da Deficit e Rapporto con il Trauma: quando si parla di Deficit esso è da intendere come quell'insieme di carenze intrasistemiche in una struttura del sé difettosa, sfaccettata e scissa, con rilevanti conseguenze a livello clinico tra cui: - identità diffusa; - mancanza di costanza oggettuale; - disturbi dell'autostima e nella regolazione dell'ansia; - diminuzione della vitalità e della capacità di riconoscere il desiderio. La problematica di questi pazienti si può dire bi-personale e non triangolare in quanto essi vanno incontro a dei crolli ogni volta che sperimentano dei lutti, dato che tali eventi li portano alla frammentazione, e ad un terrore di annichilimento. La presenza del deficit porta il paziente a strutturare delle difese molto primitive per riuscire a sopravvivere (la sessualità passa in secondo piano in quanto viene anch’essa utilizzata come strumento difensivo) e diventa fondamentale per loro la ricerca della sopravvivenza rispetto a quella del piacere. E' per questo che McDougall (1978) ha affermato che in tali pazienti "Narciso ha un ruolo più importante di Edipo". Bisogna quindi per questi casi rivedere la classica teoria sulle nevrosi, perché Freud ("Interpretazione dei Sogni", 1899) sosteneva che “nulla, fuorché il desiderio, può attivare l’apparato psichico" mentre in realtà questa affermazione va in parte riformulata, in quanto i traumi subiti in età precoce, prima della formazione dell’inconscio, rimangono una parte integrante dell’individuo. Questi traumi, più che altro ambientali, derivano da una carenza di sostegno e offerta al bambino piccolo e quando nell’analisi queste situazioni deficitarie si verranno a ripresentare, esse saranno allora sotto forma di Transfert di Bisogno (e non Transfert di Desiderio) e per indagarle bisognerà osservare le componenti para-analitiche (tono di voce, azioni fisiche…). Il caso di M richiama le teorie di Atwood e Stolorow (1992) per cui i pazienti che presentano questi sintomi sono stati bambini cui è mancato un contesto intersoggettivo capace di dare modulazione e contenimento. Non è quindi l’evento traumatico in sé a creare il problema, ma l’ambiente incapace di fornire la funzione di holding e di dare una risposta ed un significato al bambino. E' compito dell'analista, come ha fatto Borgogno, strutturare queste Risposte (o Rispondenze Ottimali, utilizzando un termine coniato da Bacal (1985) al fine di creare un'adeguata situazione terapeutica; - Ruolo dell'Analista e Centralità del Setting: schematicamente per Winnicott ci sono due tipi di persone: - quelle che hanno ricevuto dall’ambiente sufficiente supporto per raggiungere la propria individualità (nevrotici); - quelle che hanno subito assenza dell’oggetto o oggetto intrusivo, i cui valori traumatici sono poi stati lasciati cadere nel silenzio (pazienti più gravi). Per i pazienti come M serve un atteggiamento empatico e affettivo in grado di rispondere alle necessità, anche perché la "via del levare", basata sulle interpretazioni e sul risolvere il conflitto nevrotico, non funziona. Meltzer (1974) sostiene che questi sono pazienti che tendono a cadere in frantumi e necessitano quindi della formazione di un oggetto stabile, capace di contenerli e sostenerli. Diventa allora dovere del terapeuta sostenere il legame che il paziente ha formato con lui ricordandosi la regola del “se non puoi capire contieni”, in quanto questi pazienti non lavorano sui concetti, ma sul concreto. Il Setting Terapeutico che ne deriva è quindi improntato alla qualità più che alla quantità, in quanto non contano il numero di sedute, il prezzo e gli orari ma la qualità della relazione che si viene ad instaurare durante le sedute, e rispetto a questa bisogna quindi adattarsi al paziente. E’ quindi necessario avere un setting improntato alla stabilità, intesa non come rigidità ma come affidabilità allo scopo di contenere le angosce del paziente e creare fiducia. Risulterà altresì di fondamentale importanza analizzare ogni minima variazione del setting e del comportamento del paziente, sia a livello di movimenti che di fantasie suscitate nell’analista. Ritorna ovviamente un richiamo a fare attenzione più che ai desideri alle necessità, in quanto in pazienti come M sono i bisogni precoci a essere messi in gioco nella relazione terapeutica i quali, per poter essere espressi, necessitano di sintonia con il paziente e creazione di una coppia terapeutica in grado di far uscire allo scoperto il lato deficitario del paziente. Il terapeuta, in sostanza deve essere vivo e significativo per il paziente e deve far sentire il paziente allo stesso modo, sottolineando sempre la sua alterità al fine di spingere verso l’emancipazione. Rispetto a quello che da tale caso clinico emerge, alcuni elementi sono da considerare come fondamentali: - l'ambiente è fondamentale per la sanità psichica; - l'importanza del contesto relazionale (Balint); - l'unicità del trattamento per ogni persona; - le modalità per giungere a ricostruire la storia di un paziente deprivato. Intrapsichico e Interpersonale alla Luce dell'Intensa Aggressività di M. Risposta ai Commenti di Theodore Jacobs e Carlos Nemirovsky Nel rispondere ai commenti precedenti, Borgogno divide le sue considerazioni in due argomenti: 1. Intrapsichico e Interpersonale nel Caso di M: la controversia tra approccio interpersonale e intrapsichico era vivida nella mente di Borgogno, in quanto già sperimentata nei suoi anni di training all'interno della Spi, durante il periodo dell’analisi di M ed egli propendeva già per una visione interpersonale, fondamentale per capire quei pazienti cui un fallimento ambientale ha negato al formazione di un “riguardo-di-sè” e “degli altri”, ed è proprio questa formazione che mancava ad M e di cui si è riappropriata durante i lunghi anni di analisi. Nelle prime sedute M non era nemmeno in grado di sapere chi fosse lei stessa e chi fossero gli altri, mancando totalmente della Funzione Riflessiva (Fonagy, 1991) e mancava inoltre della capacità di saper concettualizzare gli stati interni al fine di spiegarseli ed alfabetizzarli. Lo stato di silenzio in cui versava non era da intendere come un Attacco al Legame (Bion) ma come una sua impossibilità ad esprimere qualcosa che non era proprio in grado di esprimere a causa del suo deficit generatosi in età precoce. Quando finalmente M è riuscita a verbalizzare e a spiegare a parole i suoi stati interni, esso è stato un modo di “ancorarsi a terra” e di riappropriarsi di una visione del mondo che fino a quel momento le era stata negata. M inoltre con il suo silenzio cercava di controllare in maniera onnipotente gli altri, perché aveva la convinzione che fingendo di essere morta, potesse ottenere qualche attenzione dagli altri (questo deriva da una fantasia legata alla sua infanzia). La tirannia di M era quindi una disperata richiesta di aiuto e di attenzioni in quanto, dicendolo con le sue parole, potevi renderti conto di “essere vivo solo quando si ha paura che tu sia morto”. Con il procedere del processo terapeutico M si stupì di come Borgogno non era solo interessato alla sua semplice sopravvivenza ma anche ai suoi stati interni, alle sue emozioni ed alla sua affettività. Borgogno sottolinea inoltre che non aver preso subito in analisi M (M aveva già chiesto a Borgogno di entrare in analisi ma lui, per mancanza di tempo, le aveva detto di "rifarsi viva ogni tanto" per vedere quando sarebbe stato disponibile uno spazio per lei) fu una vera e propria omissione di soccorso, in quanto simbolicamente l'analista le chiese di aspettare a "rinascere", subordinando quindi i suoi bisogni a quelli dell'altro, come del resto aveva fatto in tutta la sua vita. Per quanto interpersonale e intrapsichico siano entrambi di fondamentale importanza all’interno dell’analisi, secondo Borgogno l’intrapsichico deriva dalle relazioni interpersonali sviluppatesi nei primi attimi di vita del bambino, per cui sono i primi rapporti con i caregivers che sono preponderanti. Rispetto al concetto di Attaccamento Adesivo di Meltzer, citato nel suo commento da Nemirovsky, (Meltzer), Borgogno riferisce che con M ha dovuto colmare il “buco” lasciato dalla sua storia infantile con qualcosa di nuovo ed originale, costruito con e per M. E' stato quindi un percorso lungo e faticoso, lontano dalla speranza di M di risolvere tutto con una veloce e semplice interpretazione del materiale latente, che in pazienti con queste difficoltà è del tutto mancante; 2. Affrontare e Gestire l'Intensa Aggressività di M: Borgogno sottolinea di aver gestito l’aggressività in maniera differente nel percorso psicoanalitico da lui portato avanti, in quanto nel primo periodo di analisi M non possedeva una struttura psichica abbastanza salda, mentre dopo alcuni anni poteva più facilmente recepire le interpretazioni dell’analista. Aggiunge inoltre che non gli fu subito chiara la situazione di M in quanto ci volle del tempo a comprendere che l'“urlo” del silenzio non era da attribuire all'aggressività verso l’analista, ma ad un suo singolare modo di esprimersi all’interno degli scambi interpersonali. Ugualmente accadde per la regressione che colpì Borgogno per la sua profondità, in quanto basata sul bisogno e non sul desiderio, e che dovette lui stesso imparare a conviverci per poterla comprendere. Elemento fondamentale dell'analisi fu allora il cominciare a chiedersi che cosa terrorizzava M e che cosa non era per lei sostenibile nelle sedute tanto da portarla al mutismo. Queste domande portarono Borgogno ad avvicinarsi alla paziente in quanto fu in grado di chiedersi se M non fosse in realtà incapace di esprimersi perché non possedeva una alfabetizzazione affettiva o, ancora di più, se non fosse M diventata la propria madre che disconfermava l’analista come per renderlo partecipe di quello che aveva provato. Borgogno, impersonando in maniera alternata la madre di M e la M-bambina e sopravvivendo a queste impersonificazioni, forniva allora un risvolto interpretativo relazionale completamente nuovo alla paziente, indicandole che c’era un altro modo per vivere i rapporti. Inoltre permettere queste impersonificazioni consentiva lentamente all'analista di capire come veniva usato e perché. Riassumendo i concetti, il Commitment di Borgogno rimane fermo su due punti: - necessità di risvegliare il pensare e sentire di M, intorpidito e bloccato dalle esperienze precoci subite; - tentativo costante di veicolare vitalità, rabbia e odio, ogni volta che queste venivano negate nella loro espressione. Con il recupero di parte del suo senso di agency, l’aggressività di M calò notevolmente e soprattutto fu possibile analizzarla andando a chiedere e ricercare esplicitamente da dove derivava questa aggressività e verso chi era diretta. Borgogno, in conclusione, ripensa anche al sadismo di M, basato sul fare preoccupare e sentire in colpa i genitori (e di riflesso l'analista attraverso il controtransfert), che collega al concetto di Tendenza Antisociale teorizzato da Winnicott (1956) come conseguenza di una privazione precoce. CAPITOLO 4 - L'IMPORTANZA DI AVERE UNA "PRESA PERSONALE" SULL'ALTRO L'Influenza Personale dell'Analista nel Risvegliare la Capacità di "Agency" del Paziente Jonathan Slavin (Jonathan Slavin è training e supervising psychoanalyst del Massachusetts Institute for Psychoanalysis e dello Psychoanalytic Institute of Northern California, e clinical instructor presso il dipartimento di Psicologia della Harvard Medical School). Il commento di Slavin al caso clinico di Borgogno si sofferma su come l’analista può, con la sua influenza personale, risvegliare il Senso di Agency (inteso come la percezione del proprio impatto e la capacità di azione personale ed interpersonale) del paziente che perduri oltre il termine dell’analisi. Già Freud (1905) aveva teorizzato la formazione di un qualcosa di vero del paziente, che viene a costituirsi e strutturarsi durante l’adolescenza, con il superamento delle fantasie incestuose e con il distacco dall'autorità genitoriale, anticipando il concetto di agency (quindi capacità di decidere da soli, senza sottostare alle imposizioni dell'altro) e sostenendo l'importanza della neutralità dell'analista che consentirebbe la nascita del “vero sè” del paziente (se non si è neutri si rischia di sostituire la propria autorità all’autorità dei genitori). Nonostante alcune considerazioni importanti (vedi Macalpine e Loewald, rispettivamente nel 1950 e nel 1957), solo con lo svilupparsi delle prospettive Kleiniane risultò visibile il modo in cui il paziente aveva un impatto sull’analista e l’importanza che questo impatto poteva avere nel setting terapeutico e nell’analisi stessa, secondo la logica dell'identificazione proiettiva. Per gli analisti kleiniani però a soggettività del terapeuta non è mai in gioco nella relazione, perché se un analista è sufficientemente analizzato è anche consapevole del proprio controtransfert e quindi rimane neutro rispetto alle proprie idee ed illuminazioni emotive controtransferali. Il passaggio successivo verso la soggettività lo si trova in Winnicott quando parla di Holding Environment e di two-person psychology anche se la nozione di madre sufficientemente buona o di analista sufficientemente buono sia di per sé “non-distorcente” e epurabile dalla personalità dell’analista. Anche nel parlare dell’odio egli lo spiega come una risposta normale e sufficientemente buona dell’analista e quindi non reale-personale. Anche la psicologia del sè parla dell’impatto dell’analista nella relazione e di come talvolta anche un fallimento relazionale possa essere utile ai fini dell’analisi, ma solo nel senso in cui si poteva capire perché era avvenuto questo fallimento empatico e di come si era giunti a mitigarlo. In sostanza l’analista è in relazione e attua tutte le regole classiche analitiche di neutralità. Se non funzionano ci si chiede perché non hanno funzionato sulla base delle teorie e del paziente, non "mettendo in mezzo" anche la soggettività dell’analista. Differentemente dalle teorizzazioni prima proposte, Borgogno riesce ad utilizzare la propria soggettività come parte necessaria dell’analisi, in modo simile a come suggerisce la scuola americana relazionale (Ehrenberg, Hoffman, Mitchell, Slavin e Greenberg). Secondo questa posizione (ma questo vale per ogni tipo di analisi e non solo per quella relazionare) la soggettività dell'analista è presente sempre e comunque nell’analisi, a livello conscio od inconscio, in ogni minima variazione e nel suo modo proprio di essere. In quest'ottica il lavoro analitico è quindi gravato, ma anche sostenuto, dalla presenza dei processi inconsci e dalla partecipazione personale e soggettiva dell'analista. Applicando ora ad M queste teorie, si può rilevare come M si sentisse “non-esistente, orfana di reverie materna”, e come tali sentimenti di vuoto interiore siano ben visibili nel primo sogno portato in analisi. La paziente aveva inoltre un forte impatto su Borgogno e questo traspare chiaramente dalle pagine della sua esposizione. E' proprio il fatto che M abbia capito cosa provava l’analista le ha poi permesso di uscire dalla sua condizione (vedi la nota frase di M: “se uno ha effetto per gli altri allora esiste”). Risulta infatti fondamentale nel testo il fatto che l’analista sappia accogliere l’esperienza del paziente diventandone testimone, in quanto tale elemento permette lo sviluppo della Personal Agency. Per Slavin il concetto di Agency significa l’impatto che una persona ha, e sa di avere, sugli altri nelle sue relazioni, ed esso si sviluppa nelle prima esperienza con il caregiver, non solo nell’essere riconosciuto, ma dall’esperienza di ripetizione che rende chiaro al bambino che questa attenzione e quest'impatto deve essere “guadagnato” e che lui può guadagnarlo. Se manca il riconoscimento, anche l’agency non si sviluppa correttamente, similmente ad un “falso sé” winnicottiano, per cui il bambino esiste per i genitori solo se si conforma a loro. Il lavoro di Borgogno è stato quello di riattivare questo senso di agency mal sviluppato permettendo ad M di uscire da quella trama di “mandati genitoriali” (di cui lei stessa parla). Questo passaggio conferma ancora una volta l’importanza di saper mettere sé stessi all’interno della relazione analitica per poter permettere al paziente di ritrovare, nella relazione ora autentica, quel senso di agency bloccato. Qualsiasi tentativo di non mettere in gioco sé stessi nella relazione analitica porterà ad un fallimento sicuro. Bisogna infine ricordare che l'influenza personale non comincia quando il paziente lo richiede, ma quando la spontaneità dell’analista lo decide, e che tale spontaneità, come giustamente sottolineato da Borgogno, è costellata da ottimismo e speranza, i quali sono stati gli elementi fondamentali per trasmettere ad M quella prima fiducia nella terapia e nelle proprie capacità. Un "Nuovo Passo" nella Danza dell'Analisi - Dina Vallino (Dina Vallino è training e supervising psychoanalyst della Società Psicoanalitica Italiana, docente del modulo "Bambini e Adolescenti" del corso di perfezionamento della SPI e autrice di vari libri tra cui "Raccontami una Storia", "Fare Psicoanalisi con Genitori e Bambini" e "Essere Neonati" con Marco Macciò). Secondo Valluino, Borgogno esprime con chiarezza quello che è il concetto di Spoilt Children nell’accezione di bambini deprivati e spogliati come dopo un’azione di guerra, differentemente dagli psicoterapeuti kleiniani che teorizzavano tali soggetti come bambini viziati e capricciosi. Vi è quindi in questi pazienti un’identificazione mortifera con un oggetto deprivante che le impedisce di apprendere dai genitori il modo di cavarsela nella vita, e questa identificazione porta le persone afflitta all’idea di non esistenza. La sofferenza di M risulta allora caratterizzata da morte psichica, identificazione con oggetto deprivante e sensazione di non esistere, in quanto i suoi genitori, non psicopatici ma semplicemente non in grado di apprezzare la vita e trasmettere vitalità alla figlia, non le hanno permesso l'evoluzione e l'espressione delle sue diverse parti del sé. Analizzando i contenuti verbali mortiferi espressi da M, Vallino analizza anche il primo sogno, tentando una rivisitazione che lo vedrebbe non solo come morte-suicidio psichico ma come tentativo di espellere l'intruso genitoriale dalle viscere. Con il sogno della donna che faceva hara-kiri M tenterebbe quindi di liberarsi di quel "germe mortifero" che i suoi genitori, con il loro atteggiamento, hanno depositato dentro di lei. Ed è per questo che Borgogno si trova quindi a riflettere sulla fantasia di voler “spezzare le catene del sui tragico destino famigliare”. Vallino analizza poi la parte intermedia dell’analisi dove "l’esistere di uno è la morte dell’altro" e dove, nonostante i cambiamenti nella vita di M (nel mentre si era laureata e aveva iniziato a lavorare), continuano i silenzi. Borgogno in quella fase sperimenta su se stesso una completa inutilità dei suoi sforzi tesi a descrivere le vicende interne della paziente e a superare il suo silenzio, che viene poi spezzato dall’ammissione della limitatezza dell’analisi e dell’analista (detto in maniera anche sincera e spontanea) che permette di riportare M sul piano di realtà. Da qui appare evidente come M stessa capisce come gestire i sentimenti e come li ha fino a quel momento gestiti, grazie alla lunga analisi fatta con un terapeuta in grado di darle quel rapporto che non era stato dato dai genitori. Infine Dina Vallino, attraverso un rimando al suo scritto "Sopravvivere, Esistere, Vivere. Riflessioni sull'Angoscia dell'Analista" (1991) riflette sull'angoscia e sull'impotenza provate dall'analista in pazienti particolarmente gravi, connotati da un senso di non-esistenza e di morte (i casi che lei descrivere riguardano un'anoressica, una bambina deprivata e un malato terminale). In tali casi l'analista, soggetto alla massiccia identificazione proiettiva dei pazienti, deve portare la deprivazione ad uno stato nuovo, dove si deve prima sopravvivere, poi esistere e infine vivere. Borgogno si dimostra però rispetto a lei in grado di fare un passo in più in quanto riesce a distogliere M dai “mandati genitoriali” e permettergli quindi un più completo sviluppo del sè vero, attraverso l’uscita della paziente dalla fase di identificazione estrattiva patologica, intesa come quella spoliazione e estrazione di aspetti necessari al crescere del bambino. Vallino conclude sottolineando l'importanza di considerare sempre gli aspetti soggettivi di ciascun paziente, non cedendo a generalizzazioni che risultano non terapeutiche. Che Cosa ha Voluto Dire con M Riparare e Ricostruire il Senso di "Agency". Risposta ai Commenti di Jonathan Slavin e Dina Vallino La risposta di Borgogno ai commenti precedenti può essere divisa in due parti: 1. Il Bisogno di Sentire di Avere un "Impatto Personale" sugli Altri: per Borgogno entrambi i precedenti commenti sottolineano l’importanza della soggettività del paziente e dell’analista e come essa sia la base della percezione della nostra esistenza. Il sentire che si ha una presa personale sull’altro, che l’altro reagisce e risponde alla nostra influenza e che riconosce e valorizza le nostre proposte relazionali rispettandole, ci rende soggetti intenzionali dotati di specificità. Le reazioni dell’altro testimoniano non soltanto che noi siamo esistenti per l’altro, ma anche per noi, come soggetti intenzionali. Come dimostrano le ricerche sullo sviluppo infantile il sentimento di avere un impatto sugli altri si ottiene per prima cosa attraverso il venire riconosciuti dai propri caregivers. Questa è l’esperienza che è venuta a mancare ad M. Al sentirsi non vista e incomprensibile per i suoi genitori sono conseguiti in lei la perdita e la cancellazione di molti aspetti del proprio sé. Il punto principe dell’analisi con M diventa quindi quello di riuscire a farle riconoscere la sua capacità d’impatto, che non riconosce di avere, conquistando di seduta in seduta, come giustamente sottolinea Vallino, la sensazione dell'analista di avere un impatto su di lei (che crea invece frustrazione rimanendo sempre in silenzio e facendo sperimentare all'analista quello che lei ha provato in famiglia). In accordo con Vallino e Slavin, Borgogno sostiene che non sia possibile astenersi completamente dall’introdurre quote di natura personale nel soccorso dell’altro. Sulla scorta di ciò l’ideale di una buona analisi prescrive che l’influenza dell’analista non deve mortificare la voce già debole del paziente, sostituendosi ad essa, ma che lentamente rilanci l’esistenza riconnettendo gli aspetti dissociati del suo senso di agency, attuando quindi un’influenza non invasiva e non interferente. Data la giovane età in cui Borgogno si trovava all’inizio dell’analisi di M, non gli fu facile comprendere che il suo mutismo era il reale contributo portato in seduta, che attraverso esso dimostrava di considerare l’analista una persona importante cui far vivere il suo dolore, ma tuttavia il percorso non può esimersi da errori, influenze narcisistiche e piccole ingiustizie. Come hanno intuito anche Ferenczi, nel "Diario Clinico" (1932) e Winnicot, con pazienti come M non è possibile evitare di rivivere il soul mourder perpetrato un tempo su di loro, ma è importante che l’analista si accorga di ciò e non disconosca il dolore che esso arreca, ma lo elabori esplorandolo e introducendo nell’analisi il contrasto agli analoghi avvenimenti accorsi nell’infanzia della paziente, giungendo così a creare un circolo virtuoso che genera una nuova storia; 2. I Miei Fattori di "Agency" con M: secondo Borgogno il suo parlare è stato un fattore terapeutico non per il contenuto delle sue interpretazioni ma per le funzioni di richiamo al contatto, alla reciprocità e alla conferma del desiderio e del rapporto con il paziente. Gli elementi fondamentali sono stati: - seguirla passo passo con pazienza dando significatività ai suoi stati d’animo, alla sua sofferenza fisica e mentale; - conservare dentro di se l’idea di M come una persona, dotata di pensieri e sentimenti; - “dar mente al suo corpo” e “corpo alla sua mente”, quindi aiutandola a distinguere depressione e angoscia da concreti sintomi della fame e del sonno, e aiutandola a comprendere gli effetti della sindrome premestruale; - monitorare dimensioni del presente ma anche quelle delle potenzialità e del divenire che hanno fatto sentire la paziente rispecchiata, costruendo una piattaforma sicura su cui esprimere la sua voce; - partecipazione emotiva e coinvolgimento attivo che sono sfociati nella roboante e veemente exposure del quinto anno di analisi, un’azione di contrasto che divenne prova per M del proprio senso di agency. Naturalmente non è stato solo il “rombo” a favorire “l’illuminazione mutativa” di M, ma questo cambiamento si è basato molto sulle funzioni paterne che Borgogno svolse in quel periodo dell’analisi. Funzioni volte a differenziarlo da lei, a porre dei limiti e al richiamarla alla realtà distinguendola dalla fantasia (in opposizione ad una relazione materna fusionale e regressiva). Per conludere Borgogno cita l’Analista Emozionato, ri-proposto nel suo commento dalla Vallino, che rappresenta un analista introiettivo, che opera a cuore aperto (il suo per fortuna), un analista che è lui stesso a rischio, ma non deve essere spaventato dal poter essere contaminato dal "mal d’anima" che affligge il paziente, non imponendo quindi un no-entry, e dal poter contaminare il paziente con le passioni che percorrono il suo operare. CAPITOLO 5 - IL PROCESSO DI WORKING THROUGH NELL'HIC ET NUNC E NELLA "LUNGA ONDA" DELL'INCONTRO ANALITICO Il Silenzio: Memoria Traumatica e Mezzo di Comunicazione - Jonathan Sklar (Jonathan Sklar, fellow del Royal College of Psychiatrists, è training e supervising psychoanalyst della British Psychoanalytical Society e vicepresidente della European Psychoanalytic Federation. Nel 2011 ha pubblicato il suo primo libro intitolato "Landscapes of the Dark"). Sklar, invitato da Borgogno a scrivere su questo caso clinico come British Independent, si focalizza sul fatto che il modo in cui l'analista si pone, risponde, sogna e talvolta interagisce inconsapevolmente con il paziente è sempre un indice dell'impatto emotivo che quest'ultimo ha su di lui, e anche nel caso di M essa osserva attentamente come l'analista risponde alle sue comunicazioni. Il tipo di materiale che M offre ha un carattere inequivocabilmente primitivo e quindi si può considerare che il trauma precoce da lei esperito si situa a un livello di esperienza pre-verbale, cosicché le memorie traumatiche in esso implicate non potranno per un lungo periodo di tempo essere espresse esplicitamente a parole, ma saranno perlopiù evocate e trasferite dentro l'analista. I silenzi di M sarebbero quindi indicativi di questa condizione. Ogni analizzando scruta sempre l’analista allo scopo di testare se egli sia davvero capace di riconoscere le sue esperienze primitive, se esse in pratica rientrino nel repertorio di strumenti che lui ha a disposizione per comprendere l'esistenza umana e se gli siano almeno per certi versi familiari. In sostanza l'analista dovrebbe aver in qualche modo sperimentato, nella sua esperienza di vita, momenti analoghi di disaffezione nei propri confronti. Ferenczi ("Diario Clinico", 1932) suggerisce che l'avere sperimentato e capito sulla propria pelle cosa significhi trovarsi nel "labirinto del Minotauro" e avere, malgrado ciò, lentamente trovato una via d'uscita per tornare al mondo esterno, è uno dei fattori imprescindibili per poter possedere l'ardire di scendere in abissi ancora più profondi e potere, di conseguenza, successivamente impersonificare il ruolo di guida dei pazienti lungo tali “inferi gironi”. E' in questa logica che si situa l'importanza dell’analisi del terapeuta. L'idea secondo cui questi "inferi gironi" siano luoghi tanto mortiferi da indurre appunto il desiderio di morire è, secondo Sklar, un inganno ed è in completo contrasto con quella posizione analitica che considera le vicende connesse a simili drammatiche evenienze nient'altro che una proiezione nel futuro di una distruzione che è già avvenuta nell'infanzia. L'analista necessita, ciò nondimeno, di una consistente dose di coraggio per inoltrarsi fino in fondo in questi territori psichici così minacciosi. Rispetto al sogno della donna che faceva hara-kiri, Sklar sottolinea che attraverso le immagini del sogno M preavvisa l'analista che gli toccherà ben presto trovarsi nel ruolo di voyeur che osserva l'orrore (“voleva che la vedessi”), e che avrà quindi bisogno di uno stomaco forte (“tutte le viscere”). Si palesa perciò subito l'idea che l'analista dovrà prepararsi a sostenere un assalto, probabilmente mortale, nei confronti della propria persona. Già Ferenczi nel "Diario Clinico" parla dell'assassinio in analisi come di una componente non eludibile del compito psicoanalitico, in quanto verrà sempre il momento in cui dovrà riprodurre con le sue mani l'assassinio un tempo perpetrato sul paziente. Tuttavia, a differenza di quanto è avvenuto per il delitto iniziale, all'analista non è permesso di negare la sua colpa, che è riassumibile nel fatto che il medico non può offrire tutte le sue cure, tutta la bontà e l'abnegazione materne e di conseguenza espone di nuovo, senza sufficiente aiuto, il paziente allo stesso pericolo dal quale, a suo tempo, erano uscite con molta pena e fatica. Se si riesce però a riportare l'accento traumatico dal presente all'infanzia, resteranno sufficienti cose positive per condurre la relazione, anziché verso la rottura, nella direzione della riconciliazione e della comprensione. M rivela quasi immediatamente di essere a conoscenza dei ripetuti tentativi di aborto della madre. Ciascun paziente nutre fantasie relative al desiderio di rientrare nell'utero materno, un ambiente idilliaco dove il prendersi cura sopraggiunge con dedizione totale e addirittura prima che si sia richiesto qualcosa (Reik). Tuttavia l'utero messo a disposizione di M fu un luogo nel quale l'assassinio non era solo ammesso ma addirittura si è quasi concretizzato. Benché sia evidente che in genere di materiale portato da M origini a un livello pre-verbale è altrettanto vero che è estremamente difficile immaginare un'eventualità così intrinsecamente impensabile quale il non desiderio di un genitore nei confronti di un figlio in arrivo. L'utero che rievocava e a cui rimanda M era di fatto un utero svuotato da cui si è fuggiti, e per questo M infatti apparirà in numerosissime sedute completamente muta e verosimilmente sola in quello spazio scuro e vuoto che fu a lungo per lei l'analisi. In tali circostanze l'analista nel controtransfert ritroverà se stesso nei panni dell'aggressore (o, come definito prima, dell'assassino) e otterrà un progresso solo se saprà accettare come inevitabile da parte sua di dover ripetere e rimettere in atto lui stesso una sorta di omicidio (ad es. percependo in qualche modo di stare attuando, seppure non intenzionalmente, un assalto intrusivo e quasi omicida di fronte al silenzio della paziente veicolato dall’impingement, inteso come attrito o interferenza, conseguente al suo continuo richiederle pensieri e associazioni). Oltre ad avere una certa dose di coraggio, l'analista dovrà allora farsi consapevole della parte che ha ed ha avuto nel percorso analitico che si sta attuando, e dovrà inoltre prendere contatto con i vissuti profondamente inconsci del suo controcanto. Da qui potrà emergere un effettivo accoppiamento analitico, e sarà appunto dallo sperimentare i propri sentimenti e dal trasformarli in parole che sboccerà a poco a poco quel nuovo inizio di cui ha parlato M. Balint (sulla scia di Ferenczi). Al lato opposto, con pazienti come M, che si identificano con l’aggressore assumendo un atteggiamento di fondo di natura sadica, è naturalmente lo stesso analista essere fatto oggetto di attacchi mentali di quella portata. Sebbene sia un'esperienza più facilmente accettabile per l'analista (rispetto a quella in cui viene posto nel ruolo di aggressore) è importante che questi non liquidi l’abbandono della terapia da parte della paziente adducendolo a questa motivazione. Deve infatti considerare anche l’ipotesi che tale abbandono possa essere il risultato di un enactment reciproco in cui il paziente uccide l'analista e, simultaneamente, l'analista uccide il paziente. È inoltre importante comprendere che l'attacco omicida non si è ancora del tutto compiuto, nonostante le apparenti evidenze del contrario. Questa è la posizione di speranza dell'analista, che si contrappone alla disperazione del paziente, ed è la posizione di Borgogno che intercetta la speranza di M nel fatto che, a prescindere contenuti terribilmente drammatici presentati nella mente della sua paziente, ella è stata in grado di riferirglieli attraverso un sogno. A corredo di questi commenti Sklar indica la presa in carico da parte della Heimann, che era stata una bambina ebrea e rifugiata, di una paziente che da bambina era stata in un campo di concentramento perseguitata dai nazisti, accettando quindi di dover assumere in analisi il ruolo di kapò nazista. La spiccata e sofisticata propensione dei pazienti gravemente deprivati a osservare il modo in cui noi trattiamo i loro comportamenti e il materiale che ci porgono fa parte della loro corazza difensiva di tipo paranoide, la stessa che ha permesso loro di sopravvivere e di continuare a rapportarsi con il mondo esterno. Sklar fa poi un riferimento ad una sua paziente schizofrenica che si presentava ad ogni seduta con un numero sempre maggiore di bende che coprivano ferite che si procurava. Nella stanza d'analisi si trovavano così un sadico e un voyeur, ma mentre quest'ultimo era forzato ad assistere al quotidiano assalto fisico che la paziente effettuava contro il suo corpo, il piacere-dolore che la paziente sperimentava erano completamente evacuati al di fuori di lei, rimpiazzati da una sorta di ostentata "belle indifference". Secondo Sklar in questi casi non è sufficiente tollerare il dolore al fine di stare autenticamente al fianco del paziente. A un certo punto della terapia, infatti, Sklar le intimò di andare via in quanto non aveva più alcuna intenzione di stare a guardare ciò che lei sta facendo il suo corpo, con conseguente abbandono della seduta da parte della paziente. Nonostante i comprensibili sensi di colpa di Sklar la paziente si ripresentò alla seduta successiva dicendo che non pensava che a qualcuno importasse qualcosa di ciò che faceva al suo corpo. Fu perciò soltanto attraverso l'espressione da parte di Sklar del sentimento di non riuscire più a sopportare di essere trattato alla stregua di una fugace e inconsistente presenza che si venne a costituire nella paziente quel grumo di elementi d'amore che, una volta coagulato, riuscì a essere riconosciuto come qualcosa che faceva parte anche di se stessa. Sklar analizza infine l'Episodio del Quadrato-Rombo-Rimbombo osservando che la particolare e profonda risonanza della voce di Borgogno suggerisce che quest'ultimo possa essere stato effettivamente un "rombo" che si è opposto al "quadrato difensivo" della paziente, e che la reale qualità dell’holding offerto a M sia stata soffusa e permeata dalla sua voce intensamente risonante. Per Sklar quindi quella di Borgogno sarebbe una voce che, nel suo essere “rimbombante”, è “ capace di sostenere” e di permettere quindi a M di immergersi interamente in essa, arrivando col tempo a realizzare che il suo analista la stava in verità sorreggendo, e affatto uccidendo. Tutto il lavoro di working-through è, in sintesi, diretto al consentire l'accesso a una nuova posizione mentale-affettiva che permetta di riconoscere la realtà e di fare i conti con essa. Durante la terapia M si viene così a trovare in una fase transitoria, durante la quale viene a raffigurarsi e percepirsi come "Nessuno” (in inglese no-body, priva di corpo) per lungo tempo, fino al momento in cui la risonante e corposa voce dell'analista non è divenuta per lei uno spazio nel quale poteva sentirsi saldamente tenuta e curata, creando allora quello spazio corporeo e psichico che è necessario ricevere senza limiti di tempo al fine sia di integrare le proprie esperienze di vita, sia di essere in grado di conoscere la propria realtà e di affrontarla con il coraggio di rimanere viva. Una Caduta da Cavallo - Giovanna Goretti Regazzoni (Giovanna Goretti Regazzoni è medico neuropsichiatra e training e supervising psychoanalyst della Società Psicoanalitica Italiana. E' stata inoltre uno dei commissari che ha discusso il caso di M quando Borgogno ha chiesto l'assegnazione delle funzioni di training e di supervisione). Giovanna Goretti Regazzoni divide il suo commento in quattro parti: 1. Premessa: si sofferma inizialmente sul fatto che l'analisi di M abbia avvio poco dopo una caduta da cavallo che aveva fratturato il suo bacino, che rappresenta la parte dello scheletro fondamentale per la stazione eretta e la deambulazione, ed è il luogo che connota il piacere e la generatività al femminile. Allo stesso tempo evidenzia il contrasto tra le caratteristiche caratteriali necessarie per montare a cavallo e M, incapace di provare piacere ed estremamente silente e inerte, che si presenta inizialmente in analisi. Bisognerebbe quindi chiedersi cosa ha creato una frattura tra questa paziente e la sua attività, mentre Borgogno non si sofferma sulla sofferenza che può aver comportato per M interrompere quell'attività, su come si fosse sviluppata quella passione né quali fantasmi l'avessero accompagnata. Goretti ipotizza che M possa aver sentito il montare a cavallo come un altro furto, un modo di gravare, anche economicamente, sulle forze dei genitori, ma anche un modo per smarcarsi dalla loro depressione, dalle loro paure e dalla loro vita segnata da lutti e rinunce. Un modo per abbandonarli al loro destino e cercarne e volerne per sé uno diverso. La caduta da cavallo poteva pertanto dimostrare l'insostenibilità di un simile progetto per la carica di autoaffermazione che recava, per la colpa persecutoria che attivava, per il timore della solitudine siderale cui si sarebbe sentita condannata a vivere se avesse reciso quei legami. Forse quindi fratturata, M, si riconsegnava ai suoi oggetti. I genitori di M avrebbero voluto un figlio maschio da chiamare Alessandro e si aspettavano un congruo risarcimento per il loro soffrire, ed M stessa aveva nell'infanzia intrattenuto la fantasia di essere un grande condottiero (Alessandro Magno). Queste informazioni per Goretti arricchiscono il quadro sopra riportato, portandola a chiedersi quanto avesse gravato su M il compito di risarcire i genitori per tutte le loro sofferenze passate, tra le quali la sua nascita, e quanto forte potesse essere in lei l'intimo rifiuto di dedicare a quel compito la propria vita. Da questa prospettiva la caduta da cavallo potrebbe rappresentare anche un arresto che le permetteva di smarcarsi non solo dalla depressione dei suoi genitori ma anche dalla loro megalomania e dalle loro contagiose fantasie che la volevano condottiero alla conquista del mondo, incurante di quanto lasciava dietro di sé in termini di distruzione, assoggettamento e morte. In questo contesto psichico, ogni successo (perfino semplicemente ogni movimento) avrebbe potuto lanciarla nella vertiginosa fantasia, che era confusamente dei suoi genitori e sua, di essere Alessandro Magno, e forse come lui destinata precoce morte. Potrebbe essere quindi questa l'origine dell’inerzia; 2. I Sogni di M: Goretti considera singolarmente i sogni di M: - Sogno del Hara-Kiri: Borgogno ritiene questo sogno una sorta di carta di visita (in quanto indicherebbe le esperienza di sé, il rapporto con l'oggetto materno ed il prototipo delle dinamiche di transfert e controtransfert). Goretti ritiene che questo sogno possa anche dare qualche indicazione sul modo con cui viene recepita la presenza dell'analisi nella vita della paziente. Goretti suggerisce che quando M vede se stessa collassarsi sul divano giorno dopo giorno e tirare fuori le viscere come in una specie di hara-kiri, non può impedirsi di provare un sentimento di disgusto e orrore, e si aspetta probabilmente di essere guardata allo stesso modo dall'analista. L'identità incerta, ed il fatto che probabilmente sia giapponese, potrebbe raffigurare una parte aliena di se stessa, quella che parla di cose intime, e M sembra anche non sapere se questa parte aliena è una parte forte, nobile, guerriera o una parte “femminuccia”, ovvero se l'analisi sia una cosa di cui vergognarsi o di cui poter essere fieri. Questa identità incerta sembra insomma costituire il nucleo di sé da lei immediatamente offerto all'analista, la sua profonda incertezza identitaria e la concomitante profonda incertezza che accompagna le sue scelte. La caduta da cavallo e il collassarsi sul pavimento-divano analitico segnano forse entrambe il crollo della fantasia onnipotentemente guerriera e conquistatrice che ha sostenuto M per molti anni. Il timore dell'analista di non avere i mezzi per aiutare la paziente appartiene in un certo senso anche ai genitori della paziente perché è un pensiero di questo tipo che può fare nascere in una coppia l'idea dell'aborto. L'analista può sentirsi sia la madre che non riesce a portare avanti la gravidanza, sia il feto sempre sul punto di essere abortito, e nello stesso senso la paziente può sentirsi incapace di portare avanti l'analisi, e contemporaneamente nutrire il timore di poter essere allontanata perché sentita troppo faticosa è pesante. - Sogno della Regina: la paziente-figlio presente nel sogno di M segnala che ogni fine seduta è sentita da lei come essere buttata via dalla regina-analista o come uno di quei tanti tentativi di aborto (forse conservato in una sorta di memoria cellulare) cui la paziente è sopravvissuta. Da questa prospettiva, la regina, orgogliosa perché il figlio ha imparato a sopravvivere senza farsi male e senza soffrire, potrebbe rappresentare una madre segretamente contenta che la figlia sopravviva ai suoi tentativi di abortirla. La regina è anche figlia di quei genitori anziani disposti a molti sacrifici per assicurarle quello che loro non hanno avuto, e allo stesso tempo può essere vista come la paziente che sa di godere di una condizione privilegiata nella mente del suo analista, in quanto da regina si permette di tiranneggiare senza pietà il suo analista con quei lunghi silenzi, rallegrandosi perché l’analista-figlio non si fa troppo male e continua ad essere disponibile. Si tratta quindi della raffigurazione di un rapporto tirannico, la cui presenza danneggia e tiene in scacco l'intera vita di quello strano paese che il sogno stesso evoca. Si profila inoltre il dubbio se gli alieni-analisti che arrivano in aiuto siano amici o nemici, incertezza che accompagna tutti i cambiamenti. - Sogno del Minatore: immagine ironica dell’analisi che illumina l’inconscio, dell’analista che cerca M là dove lei non è più, perché ormai pronta a esporsi. 3. A Che Cosa Ascrivere Questa Sfasatura nel Rapporto Analista-Paziente: il sogno della caverna avviene dopo il turning point del "rombo che fa quadrato". L’analista, che ha percepito il carattere propositivo ma anche testardamente oppositivo della paziente con il suo superiore, avverte il tono potenzialmente super-egoico e repressivo celato nelle sue parole e lo teme, ma constata con sorpresa e sollievo che M. non è affatto spaventata dalle sue parole, ritenendo anzi che attraverso quelle parole inaspettate l'analista è reale e vero, qualcosa che per lei è molto importante e significativo. È possibile considerare questo episodio come un Moment Now (Stern, 1985). Vedi 3.3 Diversi mesi di intenso lavoro dopo il sogno della caverna M torna inaspettatamente al suo mutismo e al suo ritiro. Goretti ritiene tutte plausibili le ipotesi di Borgogno, ma aggiunge anche che questo silenzio potrebbe essere il risultato dell'impatto di una esperienza positiva nella rielaborazione di una intera esistenza, vissuto con disperazione a causa di quanto è andato irrimediabilmente perso in una vita ancora in parte da vivere ma già in gran parte trascorsa. In alternativa, mutismo e ritiro potrebbero profilare il bisogno di "fare quadrato" per non rischiare di sentirsi precisamente quella figlia che non dava problemi e che era dunque proprio ciò che i suoi genitori volevano. Goretti suggerisce che nel silenzio si possa contemplare una potenziale sanità ed anche un significato evolutivo; 4. Seduta dell'Ottavo Anno: è la seduta in cui M ha fatto da sé un lavoro sui suoi sogni. Goretti ritiene che anni di analisi dovrebbero non tanto dare al paziente la capacità di interpretare da solo i suoi sogni, quanto migliorare la capacità di sostarvi insieme, avendo supponibilmente egli accesso a spazi più ampi della sua mente ed essendo diventato nel frattempo disponibile e desideroso di condividerli ed esplorarli con l'analista e, di rimando, avendo sviluppato la capacità di un dialogo interno, di un ascolto, di una sinergia tra voci e funzioni diverse di sé. E' questo uno degli obiettivi dell’analisi. Goretti si chiede perciò se quando la paziente richiama l'analista con quegli intercalari ("non so se è d'accordo con me", "come lei mi ha insegnato") che ne sollecitano in qualche modo la presenza non stia esprimendo una vaga preoccupazione relativa al procedere da sola, alla conquista di un territorio, rappresentanto dall’interpretazione dei sogni, che è di pertinenza dell'analista. Bisogna poi analizzare singolarmente i due sogni: - Sogno del gioco dei bambini che si lanciano giù dalla collina: la paziente pensa che il gioco andrebbe fermato e che ci vorrebbe un padre per farlo ma che questi tarda ad arrivare ed è addirittura morto. Questo è forse un ulteriore richiamo per l'analista o un richiamo alla necessità di una funzione paterna. Nel fare da sè di M potrebbero nascondersi anche aspetti onnipotenti e conquistatori, e di conseguenza di quanto sia ancora importante per lei la presenza di un padre-analista che si renda conto del gioco pericoloso che sta facendo (forse il "buttarsi" a interpretare) pur vedendola però simultaneamente come una persona già in parte cresciuta e dotata di nuove capacità; - Sogno dei piccoli dinosauri: per Goretti propone la crudeltà lacerante dei processi separativi. Il fatto che l'analista sia rappresentato dai dinosauri indica forse la difficoltà dell'analista di separarsi dal paziente, probabilmente percepita da quest'ultimo e tradotta in un arcaico funzionamento fatto di mai e sempre (ad es. "non mi lascerà mai andare via" e "mi vorrà tenere sempre con sé"). I Diversi Tempi dell'Analisi di M: Pensieri Conclusivi. Risposta ai Commenti di Jonathan Sklar e Giovanna Goretti Regazzoni Borgogno risponde prima (nelle prime tre parti e nell'ultima) al contributo di Goretti, che sembra guardare a M maggiormente in una prospettiva di futuro, il futuro della sua analisi a partire dai segni della sua soggettività ancora “anonima” in quanto inaccessibile al linguaggio, e successivamente (nella quarta parte) a Sklar, che nel suo contributo è principalmente focalizzato sulle difficoltà di Borgogno e M nelle prime fasi dell'analisi. Le parti sono le seguenti: 1. Una Dote Eccellente dell'Analista: il buon analista temperato, per Borgogno, deve saper trasformare la mostruosità e l’alienità che il paziente percepisce a proposito di sé e dei propri fatti di vita in elementi umani e non così fuori dall’ordinario com’egli li sente, per quanto dolorosi e tragici essi siano stati per lui. La trasformazione può avvenire se l’analista è in grado di stemperarli di quell’angoscia psicotica che li circonda e li ammanta rendendoli impensabili e inimmaginabili, oltre che di per sé poco comprensibili. Questo avviene grazie a un’attitudine identificatoria (quindi un'identificazione introiettiva) che sa enucleare il succo profondo delle cose depatologizzandole, senza troppo allarmarsi e senza distanziarsi da esse anche quando a prima vista risuonino terribili e terrificanti. Secondo Borgogno, Goretti dà prova con le sue osservazioni di possedere questa dote eccellente. Borgogno puntualizza subito che l’andare a cavallo è stato al centro di quasi tutto il trattamento, in particolare quale metafora per descrivere vicende psichiche cruciali che la riguardavano. Parlare dei significati che aveva per lei questa attività è stato difficile, in particolare agli inizi, sia perché la caduta le “bruciava” ancora troppo, sia perché lasciarsi convocare su quell’aspetto avrebbe voluto dire per M aprirsi e scoprirsi, cosa che al’inizio dell’analisi M non poteva e non sapeva fare; 2. Sui Conflitti di M e sulla sua Passione per Andare a Cavallo: i conflitti di M rigurdavano: - paura di non esistere e desiderio di esistere; - autosufficienza e dipendenza; - apertura espansiva e chiusura; - vitalità e passività; - sottomissione e ribellione. Essi non sono stati inizialmente affrontati perché M ha dovuto prima riappropriarsi di sufficiente forza e struttura psichica, considerando all'inizio la sua un'identità fragile, per non sentirsi travolta dall’alone psicotico delle intense paure che le permeavano. L’andare a cavallo era effettivamente un modo per dissociarsi dalla triste e soffocante aria che respirava in famiglia, nella speranza di conquistare un'identità più forte e più sicura di quella dei suoi e meno oppressa dalle loro mille fisime, paure e rinunce. Speranza che crollò con la caduta, che fece riaffiorare un precedente break down risalente all'infanzia e un simultaneo sentire di mancare di baricentro e di non sapere come cavarsela con la nuova vita che l'aspettava e con l'istintualità che l'adolescenza aveva risvegliato. L'aveva, in altri termini, ricondotta a una dimensione già conosciuta di dipendenza passiva, senza controllo di sé e degli altri. Una fatalità che la riconsegnava ai suoi oggetti interni e che la metteva di fronte alla possibile caduta dall'utero-mente materna non completamente affidabile e responsiva e alla sua debolezza e fragilità bisognosa di cure e di attenzioni, confermando l'assunto di base dei suoi genitori secondo cui il movimento e la vita generano prima o poi catastrofe, per cui "meno ci si muove e più si sta ritirati, meglio è". In questo contesto di rinnovata depressione e di disperazione si è dovuta chiedere se avere l'ardire di osare un nuovo "Risorgimento" attraverso l'analisi sarebbe stato una soluzione o non piuttosto una nuova follia e quanto avrebbe gravato psicologicamente ed economicamente sui genitori l'analisi. Secondo Borgogno le considerazioni di Goretti in merito a questi contenuti latenti del primo sogno e ai relativi vissuti controtransferali dell’analista («sarò capace di non ripetere il tentato aborto della madre?») sono corrette; 3. Sui "Moments Now" e sulla Seduta dell'Ottavo Anno di Analisi: il momento del "rombo-quadrato" può effettivamente essere visto come uno di quei Moments Now di cui parla Stern (1998) e che sono da intendere come "speciali momenti di autentica connessione persona a persona con il terapeuta che modificano la relazione con lui e di rimando il senso di sé del paziente". Viene quindi a modificarsi inaspettatamente il contesto relazionale dell'analisi sorprendendo la coppia analitica che è ignara di ciò che sta accadendo in quanto nascono con sorpresa anche se da un terreno già preparato. Stern assegna all'esplorazione del loro verificarsi nell’hic et nunc maggiore importanza rispetto all'accedere al significato profondo che essi hanno e al ricostruire i passi grazie ai quali sono emersi. Borgogno è invece d'accordo con Goretti nel ritenere importante che all'interno dell'elaborazione verbale che ne viene fatta durante l'analisi i moments now vengano collegati al presente, al passato e anche al futuro, in quanto solo in questo modo essi diventano veri è propri punti di riferimento fondanti nella costruzione della trama di un'analisi, e come tali sono ricordati dal paziente e dall'analista anche a distanza d'anni in quanto corrispondono a effettivi momenti di vita vissuta insieme che hanno portato a una ristrutturazione del modo di vedersi e di vedere la propria storia e la storia di quell'analisi. I momenti speciali e particolari non nascono così dal nulla né soltanto dall'analista, ma da un terreno già "arato e coltivato" dalla coppia in cui con sorpresa compaiono i primi frutti, i primi germogli che per crescere effettivamente avranno bisogno del necessario tempo di maturazione. Di pari interesse sono quei momenti che rimangono impressi nella mente dei pazienti in cui l'analista compie atti significativi nei loro confronti, al contempo atti interpretativi e atti di espressione di sé e del suo idioma di cura, e che scaturiti dal campo intersoggettivo convissuto con il paziente giungono a veicolare profonde lezioni di vita e non solo squarci sul suo mondo interno e sulla sua storia, stimolando e incoraggiando con ciò l'arricchimento del contatto e l'uso della competenza affettiva (vedi “Rosso Bordeaux, Rosso Borgogno in "Vancouver Interview"). La seduta dell’ottavo anno non è soltanto un momento di incontro come quelli sopra descritti ma è una seduta che volta pagina e che dichiara che ci si è approssimati al termine dell'analisi. M dà prova di capacità di riappropriarsi della propria storia diventando a pieno titolo il soggetto di essa e non ad essa assoggettata. In breve è avvenuto un cambiamento strutturale che l'ha dotata di senso di storicità e visione prospettica, il vero antidoto per non ripetere il passato e per aprirsi responsabilmente alle scelte del futuro. La seduta dell'ottavo anno di analisi è perciò una seduta riassuntiva, frutto del working through, e una seduta di ricordo che richiede all'analista, seguendo Paula Heimann (1955), di farsi temporaneamente da parte e di restare in semplice ascolto partecipe del paziente astenendosi da interpretazioni. Secondo Borgogno quindi non necessita di interventi aggiuntivi, come invece suggerisce Goretti, ma unicamente di presenza riverberante e di corrispondenza emotiva. Sulla scorta di Winnicott, Borgogno definisce quindi che "in questa situazione le interpretazioni avrebbero inevitabilmente segnalato aspetti relativi a ciò che M non coglieva e da cui si stava difendendo, finendo quindi per fare leva sui difetti nelle funzioni che incominciava a sviluppare mettendomi nel ruolo di una figura superiore onnipotente". Nel caso di M questi sono momenti particolarmente importanti se si pensa a come per molto tempo il problema con lei sia stato il fatto che in due non si poteva sussistere poiché subentrava subito il pericolo della reciproca inesistenza. Rispetto al sogno dei piccoli dinosauri Borgogno si trova in sintonia con l’interpretazione di Goretti, in quanto nella cornice di un fine analisi prossimo questo sogno propone l'inesorabile crudeltà lacerante della separazione che sarà difficile e dolorosa sia per il paziente che per l'analista, che dovrà ritornare spesso su ciò che sottende questo sogno affinché si realizzi un felice commiato. In effetti accadde più volte nell'ulteriore anno e mezzo di analisi di M che il passato tornasse a farsi presente, ma il presente, più attrezzato dall'esperienza analitica, permise di riscriverlo e di risperimentarlo in altro modo, producendo quel salto di ottava nel pensarlo che Freud chiamava Rappacificazione. Il fine analisi è stato uno serrata opera di elaborazione finalizzata a restituire, non vendicativamente, «a ciascuno il suo» (paziente, analista e oggetti del paziente); 4. Ritorno agli "Inferi Gironi": fa riferimento alla necessità, per l’analista, di entrare nei meandri della sofferenza di M, lasciandola penetrare dentro sé fino ad ammalarsi dello stesso male che affligge la sua paziente. Il male in questione si presenta nei dubbi dell'analista, che per diversi anni di quell'analisi non sa se potrà reggere il dolore della sua paziente, e nella sua identificazione con: - i dubbi della madre sulla propria capacità di saper provvedere a lei; - con il suo timore che la nascita di M. avrebbe comportato solo affanni e disgrazie e nessuna gioia e ricompensa. Gli "inferi gironi" sono dimora della morte, una morte temuta e partita che si è rifugiata nel corpo, in una sorta di memoria somatica di dolore viscerale profondo che appartiene al passato, a quando M si è sentita non benvenuta alla vita. Sarà quindi l'esperienza del corpo, priva di parole, a farsi messaggera di questo antico trauma, e lì l'analista, per riuscire ad aprire un varco verso l'affettività e la pensabilità, dovrà scoprire il trauma, non intellettualmente ma a livello della propria carne, vuoi come non-desiderio e ambivalenza della madre, vuoi come disaffezione di M nei confronti degli altri e di sé. Una differenza tra Sklar e Borgogno sarebbe rappresentata dalla centralità assegnata al processo del rovesciamento dei ruoli che per il secondo rappresenta la base perché si renda possibile la rinascita di emozioni e sentimenti. Per Borgogno, l’ovvia conseguenza dell'identificazione inconscia con l'aggressore, rappresentato dal genitore deprivante negativo, sarebbe la completa dissociazione della risposta affettiva del bambino dalla mancanza sistematica di cure e attenzioni (Sklar non fa queste considerazioni in modo esplicito). Inoltre, al contrario di Sklar, Borgogno ritiene che l'aspetto più doloroso per l'analista non sia tanto il trovarsi nei panni del genitore omicida, scoprendosi desideroso di liberarsi di un paziente così frustrante e pesante, quanto piuttosto il trovarsi a vivere l'intensità della pena che prova il bambino con un genitore di questo tipo, rischiando quindi di respingere l'identificazione con quest'ultimo. Sklar ha comunque ragione nell'evidenziare che l'analista deve identificarsi nei vari membri della famiglia e del mondo interno del paziente, poiché per perdonare quanto accade ed è accaduto occorre riconoscere non solamente i complessi e reconditi motivi che hanno fatto scaturire nei genitore una relazione con il figlio tanto insana e patogena, ma anche il contributo del figlio al mantenimento del legame in una direzione sadomasochistica. Per quanto paradossale, il cambiamento di clima emozionale è in prima istanza peggiorativo poiché è vissuto di catastrofe e pericoloso. M, per sopravvivere nell'ambiente ritirato depresso in cui viveva e per liberarsi da una madre tanto ingombrante, si era ammutolita scomparendo dalla scena psichica e si erano venuti a cancellare in lei sia il genitore-oggetto buono, sia il bambino e l'adolescente che era stata, e parallelamente si era identificata con l'adulto deprivato e deprivante. Questa identificazione l'aveva quindi portata al falso assunto che "si è esistenti unicamente se assenti psichicamente". L'opera di rettifica, in analisi, di questo falso assunto avviene non solo dando significato relazionale alle sue comunicazioni corporee, ma specialmente dando voce ai suoi sentimenti infantili dissociati ed esteriorizzatati nell’analista (che li comprende tramite il rovesciamento dei ruoli). Per M è stato il suo fare esperienza di un atteggiamento e di una relazione differenti da quelli di annichilimento e di mortificazione da lei messi in atto di fronte all'abbandono e all'intrusione che aveva sentito di ricevere da parte di sua madre che l'ha invitata a iniziare una lotta di disingaggio dall'identificazione con la madre e con il suo modo di essere, come pure dalla strategia difensiva da lei adottata nei confronti di quella madre; 5. Sulla Centralità della Funzione Paterna: la funzione paterna è stata, nel trattamento di M, funzione mobilizzante, che ha sancito per lei il riconoscimento dell'importanza fondante dell'ambiente come fattore di crescita e di salda individuazione nell'esistenza di una persona, portandola a sentire la voce di Borgogno come una voce che, dandole corpo oltre che immagine e parola, l'ha fatta ritornare, dal di dentro e non più solo dall'esterno, viva e desiderosa di vivere. La "voce paterna che rimbomba" ha rappresentato un insieme di qualità costanti nel tempo e nella forma degli interventi di Borgogno, che hanno fatto sì che M individuasse nell'analista un qualcuno che stava aspettando e di cui aveva bisogno per ritrovare se stessa e, attraverso lui, per ritrovare la forza e il coraggio di rendersi con continuità libidicamente esistente e presente. In sintesi, l'analista ha rappresentato per M. un soggetto aperto a una vasta gamma di sentimenti capace di esprimere non solo fermezza e non compromissione ma, se necessario, anche odio. L'odio e il "no", non diversamente dall'amore devono infatti essere ricevuti perché in generale sia possibile viverli e sentirli talora anche giustificati quale legittima assertività a sana difesa di se stessi e di qualcosa in cui si crede, o anche quale espressione di esigenze non ancora riconosciute consapevolmente come proprie (Winnicott, 1947; Ferenczi, 1932b). In definitiva, pazienti come M hanno necessità di sentire che fanno reagire al fine di verificare la disponibilità e generosità verso di loro, e in tal senso le loro esteriorizzazioni proiettive non devono essere intese come resistenze ma come comunicazione che sottende la richiesta di recuperare pezzi di esperienza che non hanno avuto. In primis l'esperienza di poter contare su un altro che compartecipa con te al tuo dolore, quello infantile innanzitutto. CAPITOLO 6 - SULLA "MORTE PSICHICA" Un Analista Messo alla Prova di Fronte alla "Morte Psichica" Questo capitolo contiene la rielaborazione delle osservazioni effettuate da Borgogno sul trattamento di M sei/sette anni dopo la sua prima pubblicazione. In tali osservazioni pone in rilievo la conseguenza della condizione di Morte Psichica che ha caratterizzato a lungo la sua storia analitica, concentrandosi soprattutto su alcuni risvolti della ricaduta sull’analista di quell’aspetto che concerne il non sentirsi esistente nella relazione con l'altro, riflettendo sugli insidiosi timori da cui viene preso l’analista quando si deve confrontare con paziente come M, in quanto la sensazione può essere quella di essere colpito nella capacità d’aiuto, sentirsi inutili e inetti sia a livello professionale che personale. Borgogno mette quindi al centro dell’attenzione: - come non sia facile in questi frangenti di lavoro lasciare che l’influenza del paziente su di noi cresca e metta radici; - come, all’opposto, si ci trovi ad essere inconsciamente tentati di interrompere i sentimenti traumatici che siamo chiamati ad esperire. Come affermato prima da Ferenczi (1932) e successivamente da Winnicott (1947), mantenersi prossimi a tali stati emotivi continuando ad adempire alle funzioni immedesimative e trasformative suscita frustrazione e odio nell'analista, in quanto lo si percepisce un compito troppo pesante. L’odio che sorge dal terrore e dalla sofferenza è promosso principalmente dal dover stare a contatto con gli stati di regressione estrema, i quali presuppongono una forma di dipendenza primitiva, simile a quella sperimentata dai bambini molto piccoli, che non prevede di per sé un contraccambio emotivo e neppure un dialogo condiviso. In questi casi quindi la non risposta del paziente è esasperata dal dilemma di fondo in cui egli vive, basate sulla rinuncia al perseguimento dei bisogni primari e il concomitante abbandono del legame e dei sentimenti consapevoli (quindi il loro ritiro, la loro sterilità affettiva e il loro essere ne morti ne vivi), elementi che si sono originati come Tecnica di Sopravvivenza, a fronte della povertà o dell’inadeguatezza di interazione emotiva o di dialogo da parte dei cargiver. Queste dinamiche vengono conservate attive nel presente della relazione a causa del terrore di essere esposti ad una nuova delusione traumatica. In questa situazione sono sollecitate nell’analista difese e resistenze rispetto ai sentimenti che egli proverà nei confronti del paziente, i quali vanno da indifferenza affettiva a eccessi di coinvolgimento fino ad una paralisi del desiderio e del pensiero con una incostanza e incoerenza nella continuità della sintonizzazione con il paziente. Quindi anche l’analista può venire contaminato dalla paura di fronte all’amore, dall’odio e dalla confusione che il paziente sperimenta dentro di sè e non diversamente da lui può regredire. Se però questo processo se si mantiene entro certi limiti non è né infruttuoso né nefasto, in quanto la momentanea impasse potrebbe servire a raggiungere un’ elaborazione più sentita e profonda poiché: - informa l’analista che gli è necessario più tempo per acclimatarsi appropriatamente alle dinamiche intrapsichiche e interpersonali in corso; - è utile all’analista per connettersi alle ansie e al dolore del paziente. Da ciò consegue che la dissociazione del sentimento o del pensiero che permea queste analisi è un problema che riguarda sia l'analista che il paziente, ed è proprio il primo che deve sperimentarla pervenendo ad una soluzione individualizzata. Il che significa che occorrono in questi trattamenti tempi d’attesa consistenti, basati su pazienza, umiltà e fede nel nostro preconscio e nel metodo psicoanalitico affinché in un’atmosfera cosi sconfortante (come, ad esempio, il silenzio di M) si possa effettivamente giungere a dischiudere una nuova ricognizione e ad aprire una breccia nel dolore del paziente per rientrare nuovamente nell’area dell’intimità dei rapporti con gli altri. L’ambiente terapeutico adatto ad addentrarsi nel "vivo" e nel “morto” di tali accoppiamenti analitici, deve essere creato a partire dal singolo incontro, in quanto non è dato solo da una buona tecnica, bensì dal porsi al servizio di un processo di soggettivizzazione, presenza e comunicazione che permettono la nascita e lo sviluppo di una relazione che possa dotare il paziente di un senso delle cose prima assente, e la riappropriazione di una storia in precedenza mancante. La Difficile Ricerca di uno Stile Interpretativo Appropriato Uno dei problemi che Borgogno si è trovato ad affrontare era quello di rintracciare un modo efficace e conveniente per entrare in contatto con lei e con la sua sofferenza. M, quando giunse in analisi, non era viva mentalmente ma solo fisicamente, nonostante sentisse il suo corpo malato e danneggiato. Nonostante fosse sempre ordinata, educata e puntuale, nel momento che si sdraiava sul lettino non traspariva nessun slancio creativo o voglia di vivere e nessuna comprensione delle sue tensioni e del suo dolore, quindi un’incapacità a rappresentare in parole e pensieri le sue emozioni nonché l’avvilimento morale globale in cui giaceva non sapendo più chi lei fosse e che cosa volesse. L’impressione che produceva, sin dai primi incontri, fu di vuoto, di ritiro e di non differenziazione mista a irritazione senza scopo, che rimandò Borgogno a ipotizzare quanto fossero sconosciuti e alieni l’uno per l’altro nella situazione d’analisi e a come dovesse essere terribile per M essere al mondo e viva in un universo in cui il significato delle cose e delle proprie azioni è andato perduto e non ci si attende più nulla se non un ennesimo trauma. Nelle sedute si protraeva un’assenza di feedback che generava l’idea, nell'analista, che per lei il rapporto e le comunicazioni non avessero importanza e che non fosse importante il ritrovarsi e il trovare l’altro. In fasi del trattamento come questo è bene, come giustamente affermato da Enid Balint (1993), domandarsi se “ il paziente esiste come persona nella sua mente “e se “noi, l’analisi e i genitori del paziente esistono”, non dando per scontato che il paziente sia capace di Percezione Immaginativa (concetto creato da Michael e Enid Balint che, in accordo con Winnicott, lo considerano come ciò che accade all’individuo quando questi può allo stesso tempo immaginare e percepire il proprio sé e le persone con cui entra in rapporto sentendosi vivo, quindi uno stato mentale ed affettivo e una capacità che sorgono fra due persone all’interno di un rapporto permeato “di ardente vitalità”) rispetto alla relazione. Con M lo stile interpretativo classico non serviva tanto a lei ma soprattutto all'analista, non tanto per i contenuti espressi (per giusti che fossero), ma per orientarsi e farsi una mappa del luogo psichico in cui erano calati e alla sua esigenza di dare un senso alla sua presenza come analista. Va però notato come questi elementi potessero essere sentiti da M come se l'analista volesse rispecchiare alcune caratteristiche dei suoi genitori, o come al volerla condurre al “suo mondo" e nella “sua realtà”, anziché disporsi a entrare nel mondo e nella verità di M con paziente auspicio di una lenta emersione di una sua soggettività. Borgogno sottolinea allora i due elementi sul suo stile interpretativo all’inizio dell'analisi: - assidua attenzione a non colpevolizzarla e a non rimproverarla con quanto le diceva cercando di conservare inespresse, ma non negate, molte cose che osservava e intuiva, formulando i suoi commenti a partire dalla sua persona per come M poteva percepire i difetti o l’adeguatezza della sua comunicazione (ad es ”sono” piuttosto che “lei mi dice che sono”); - variare gli interventi non attenendosi ad uno schema relazionale fisso e ripetitivo (succedeva ad esempio a Borgogno di sintonizzarsi più liberamente sulle “visioni” di M e di offrirle a sua volta, per “convocarla”, immagini e metafore). Una via questa di arricchimento che, sebbene dovesse essere in un secondo momento elaborata, incontrava e contattava aspetti di M più vivi ma tenuti segreti anche a se stessa. Un posto a parte meritano le interpretazioni a cui Borgogno è pervenuto più avanti nella terapia, quando ha iniziato a muoversi con dimestichezza entro il ripetersi degli avvenimenti intrapsichici che caratterizzavano le loro sedute. Tali Interpretazioni Fondate sul Rovesciamento dei Ruoli, apprese da Borgogno grazie alle supervisioni di Athol Huges sul caso di un adolescente molto disturbato in cui il consiglio era di dare voce ai vari personaggi del mondo interno del paziente al fine di avvicinarlo, hanno permesso di ricostruire, attraverso il working through della sua diversa risposta affettiva ai silenzi e alle comunicazioni della paziente, l’ambiente di casa attuale di M e quello che aveva contrassegnato la sua infanzia. Queste interpretazioni, simili alle Interpretazioni nella Proiezione di cui parla Danielle Quinodoz (1989, 2002), non servivano tanto a dare forma a ciò che si verificava nell’hic et nunc quanto piuttosto per descrivere, da una “posizione terza”, le dinamiche intrapsichiche che venivano a ri-attualizzarsi nei processi di transfert e controtransfert nella lunga onda del periodo d’analisi. Le Domande Inevitabili del "Analista del Domani" Per Borgogno con pazienti come M è pressoché inevitabile: - influenzare i fatti dell’analisi, in quanto l’area del non esistere deve essere incarnata, abitata ed elaborata dall'analista per non introdurre in sostituzione, allo scopo di attenuare la sofferenza, un’artificiosa atmosfera più vivibile e sostenibile; - che l'analista, nel suo impegno teso alla significatività, anticipi un’esistenza o una soggettività che potranno avere piena cittadinanza solo nel futuro (come fa il genitore con il bambino) e nel fare questo soddisfa oltre a quelle del paziente anche le proprie esigenze di vita e di esistenza psichica. L’Analista del Domani, che è da intendersi come colui che a fine seduta o nei giorni successivi ripensa al proprio lavoro ma anche come le nuove generazioni di colleghi, deve interrogarsi sulla natura della realtà personale insita nei contenuti affettivi e intellettivi delle interpretazioni, in specie nelle comunicazioni pragmatiche che queste, insieme ai silenzi, veicolano nell’hic et nunc, e nella lunga onda interazionale. E' inoltre necessario domandarsi cosa si invita a nascere e svilupparsi con la propria presenza, e cosa viene scoraggiato, rimandato ed eluso per la paura dell'analista relativa alle proprie azioni, affetti o domande. PARTE SECONDA CAPITOLO 7 - "SPOILT CHILDREN": UN DIALOGO FRA PSICOANALISTI (Lavoro, creato sotto forma di dialogo, di Borgogno e Vallino, presentato il 28 maggio 2005, al Centro Psicoanalitico di Bologna in occasione dei Seminari teorico-clinici su "Genitori e Figli nel Percorso Evolutivo: una Prospettiva Psicoanalitica per gli Operatori delle Istituzioni" e pubblicato sui "Quaderni di Psicoterapia Infantile"). Dina: Franz Kafka scrive al padre una lettera, mai recapitata, verso la fine dei suoi giorni. Una lettera che si può considerare un’abbozzo ante litteram di un’autobiografia di uno spoilt child. In essa recrimina al padre che la sua sensazione di nullità si è originata dalla pessima influenza del padre, e che tale male tanto profondo ha preso le forme di una tubercolosi. L’esperienza nullificante delle interazioni con il padre è però negata dai biografi di Kafka, restii a pensare che tale rapporto abbia potuto minare lo scrittore così profondamente, adducendo il suo vissuto interiore più ad una sua puerilità o mancanza di obiettività nella ricollezione con il suo vissuto infantile. Franco: Quando ho introdotto il concetto di Spoilt children nel 1994 l’obiettivo era quello di sottolineare alla comunità psicoanalitica l’influenza che il luogo psichico di crescita ha sullo sviluppo affettivo. Infatti più che attribuire i comportamenti non costruttivi, oppositivi o non vitali dei bambini al loro corredo pulsionale è possibile riscontrarne l’origine in una forma di noncuranza ambientale che interferiva pesantemente con il loro processo di individuazione. In quegli anni la tendenza, ispirata dai kleiniani inglesi, era di addurre tali comportamenti non costruttivi o non vitali a bambini viziati che avevano ricevuto un’educazione troppo permissiva. Io non ero affatto d’accordo con questa visionea e ciò che li rende apparentemente viziati e capricciosi, guardando più in profondità, è che si tratta di bambini derubati e spogliati della loro individualità. Sono quindi figli di genitori permissivi o accondiscendenti, che spingono i figli a realizzare ciò che loro non hanno realizzato, o che non se ne possono occupare direttamente e si liberano dai loro obblighi genitoriali soddisfacendo i bisogni anche prima che il bambino li senta. Bambini morti e devitalizzati, in apparenza e in terapia principalmente tirannici, che rovinano tutto ciò che hanno e non lo valorizzano. Il loro narcisismo però non è di sicuro l’elemento centrale, come suggerirebbe la letteratura classica, anzi, possiamo immaginare che la loro difficoltà nell’essere aiutati stia nel non aver mai ricevuto niente e che quindi non siano in grado di sfruttare l’aiuto e l’attenzione che ricevono ora. Spesso gli analisti di ciò non se ne accorgono, e presi da un "tic professionale", li colpevolizzano ancora di più. Dina: Se ho capito bene quello che stai affermando è che un miglioramento dal trauma non è attuabile con facilità. O forse la deprivazione di cui soffrono è un trauma cumulativo così come inteso da Masud Khan, per cui ha origine nell’infanzia e certe esperienze sono traumatiche perché si cumulano temporalmente in maniera subdola. Gli spoilt children propongono nuove questioni alla psicoanalisi perché obbligano ad una metodologia che non accetta che l’intrapsichico nasca da se stesso, ma impegna a coglierne l’origine nella relazione interpersonale passata e presente. Franco: Precisamente. Le terapie cognitive invece si limitano ad eliminare e spostare il sintomo, lasciando l’origine della sofferenza inalterata in modo che questo riemergerà sotto un’altra luce. Queste terapie dedicano troppo poco tempo al paziente. Nella mia ottica invece l’analista diventerà una “buona madre” solo dopo anni di faticoso lavoro insieme. Dina: Riporto un caso clinico. Una ragazza madre, distrutta dalla negazione di sua madre alla sua maternità e desolata dall’abbandono del partner, abbandona il figlio appena nato all’autogrill. Il bimbo, messo in comunità dà segni evidenti di scissione, (sguardo nel vuoto mentre mangia, si poggia su un fianco come per rifiutare cure) e si lega ad un’educatrice della comunità. La madre cambia idea e rivuole il figlio perciò i due sono messi sotto osservazione in un luogo neutro sotto istruzione del tribunale dei minori. Il trauma è visibile nel bambino (si isola, non chiama quando ha bisogno), più attaccato all’educatrice che alla madre, ma c’è comunque una corporeità che li lega come un sottile filo che si potrebbe riallacciare. Franco: “Se uno non ha lo stomaco, prima che possa mangiare devi ridargli lo stomaco”, e gli spoilt children sono stati per anni “a stecchetto” dal punto di vista relazionale e affettivo, come se non avessero quegli enzimi psichici che gli permettono di “digerire” la vita. E’ questo lo stato d’abbandono emotivo che vivono gli spoilt children, senza uno stomaco che gli permetta di digerire certe esperienze. Il caso di M mette chiaramente in luce cosa vuol dire “riacquistare lo stomaco”. Con il primo sogno portato in analisi (hara-kiri) M presentava lo svuotamento e l’invasione d’anima vissuti fin dall’infanzia a contatto con una madre priva di entusiasmo per la vita e spaventata per l’aver messo al mondo una figlia quando sia lei che suo marito erano non più giovani. La sua nascita era coincisa con la repentina morte di entrambi i padri dei genitori ma di ciò in famiglia non si poteva assolutamente parlare. Il commento di M al suo sogno fu che “sangue e intestini erano ben visibili, ma nessuna delle persone presenti nel sogno sapeva parlare” e che era “meglio un incidente rispetto ad un male che uno ha sin dalla nascita giacché quest’ultimo diventa fatale”. Inoltre, dopo un rapido accenno ad “una santa che deve far nascere quelli che non devono nascere” si chiude in un mutismo durato quattro anni. Il mutismo era solo interrotto da mugolii e lamenti riferiti a sensazioni corporee dolorose, vaghe e tormentanti. Sembrava che qualcuno dovesse assistere a una lenta morte da una M invischiata e colonizzata da un’identificazione inconscia con questa madre depressa e impaurita che se ne stava spesso a letto per misteriosi e non accertabili disturbi fisici e psichici. L’analista stesso si era venuto a trovare con lei al suo posto ed era stato progressivamente attraversato, impregnato e alcune volte invaso dalle emozioni che M aveva provato nella sua infanzia e adolescenza (tra cui pena, rabbia, svuotamento e ritiro) finendo per impersonificare qualcuno che non sarebbe mai dovuto esistere perché la sua sofferenza provocava soltanto ulteriore sofferenza e tortura. Tutto questo M ha provato con i suoi, specialmente con la madre che non voleva lei stessa esser nata e non voleva la figlia viva in ragione delle sciagure, del tormento e delle perdite che la vita piena inesorabilmente procura. Dina: di M si possono evidenziare due aspetti. Da un lato si trovava invischiata dall’identificazione inconscia con una madre depressa e impaurita, tipico esempio di Wise Babies (poppante saggio che si fa carico dei genitori. Concetto di Ferenczi che, nel 1923, lo utilizza per indicare quei bambini saggi e intelligenti ma intimamente traumatizzati e scissi). Dall’altro lato M è totalmente incapace di portare soccorso ad una madre fragile e ingombrante. Con l’infant observation e il lavoro analitico abbiamo constatato che i wise babies sono bimbi i cui genitori a loro volta non sono stati aiutati da nessuno, ecco perché l’inversione dei ruoli. Franco: Certo. Questo proprio perché i wise babies per quanto wise, indotti ad una crescita forzata, rimangono sempre babies. Ferenczi diceva che “sentono ma non pensano” e “pensano ma non sentono”. È questa l’esperienza d’irrealtà di fondo. La ricetta di guarigione per rimediare a questa spaccatura interna consiste nell’elaborazione ripetuta e paziente di ciò che è stato compreso e riconosciuto. Bisogna aiutare i genitori ad aiutarsi e aiutare i loro bambini, riconnettendoli con il loro lato infantile deprivato al fine di rompere l’identificazione, patologica, del bambino verso i genitori, promuovendo quella corretta inversa. Già Ferenczi insisteva sulla necessità di immedesimarsi con il punto di vista dell’altro per riuscire a comprenderlo. Dina: Esther Bick formula il concetto di Deprivazione Infantile intendendo l’insufficiente adattamento della madre al bambino, e con esso integra la nozione di trauma di Ferenczi come reazione a una situazione insopportabile. Franco: L’incontro tra Ferenczi e Bick, passando per l’importante contributo dei Balint, ci conduce alla metafora del “non avere uno stomaco” che vuol dire “non avere una casa mentale” non avere cioè esistenza per l’altro in primis e conseguentemente per sè. Gli spoilt-children sono quindi bambini privati e derubati di questa casa mentale. Dina: Nel trattamento di tali pazienti ci sono fasi dell’analisi diverse. La prima è quella di un aiuto concreto e risolutivo che il paziente vuole ricevere, corrisposto dall’analista, nella speranza che ciò avvenga velocemente. Ma data la profonda scissione della vita emotiva ciò non è possibile e la speranza iniziale è solo una temporanea sospensione dell’incredulità nella vita. Franco: Non solo identificazione con l’oggetto mortifero ma scissione e dissociazione della parte infantile bisognosa, dei sentimenti e della vita mentale, per cui gli spoilt children hanno abdicato il loro vero Sé. Non tutti gli operatori sono però addestrati a vedere, dietro i comportamenti tirannici, la realtà della deprivazione di questi bambini, dei loro genitori a loro volta deprivati e dell’azione mortifera che tali genitori possono avere sui figli. Dina: Gli operatori spesso non sanno riconoscere la varietà di genitori deprivanti e l’azione mortifera che essi svolgono ed è fondamentale quindi predisporre l’osservazione dell’interazione genitore/figlio, in un contesto di consultazione partecipata (Vallino 2009). L’obiettivo di noi clinici è quello di trovare il punto d’origine della tirannia di questi bambini. In un caso clinico Corrado, 9 anni, capriccioso e tirannico, durante l’osservazione rivela uno sguardo da bambino “piccolo” che in realtà chiedeva di essere contenuto e guidato. Franco: Parliamo ora di controtransfert. Cosa fare allora con un paziente che ha un oggetto deprivante e a cui è inconsapevolmente identificato? Dina: Questi pazienti sono una disperazione. Franco: L’analista deve incarnare la parte dissociata e vivere i sentimenti infantili verso il genitore, mettendosi al posto del paziente in modo che riprenda i sensi e l’anima. L’elaborazione del rovesciamento dei ruoli è fondamentale per entrare in contatto. Come dice Massimo Vigna Taglianti (2002) la “spina” della disperazione va staccata. Dina: A loro volta questi genitori sono stati bambini disconosciuti e la coazione a ripetere del trauma è parte di una tragica catena intergenerazionale. Il dolore per la mancanza d’amore genera un terribile odio, per gli altri e per sé, tanto più se non lo si può riconoscere e sopportare. Franco: Teddy, 12 anni, era ingestibile a scuola. I genitori, che litigano in continuazione, negano la problematicità della situazione. Si disegna alla guida di un motoscafo, in un mare in tempesta che cerca di schiacciare un’anatra e un barracuda a forma di boa. Ho dovuto recitare il mare in tempesta, l’anatra e il boa, contendere e interpretare le sue parti alienate per dare voce alla pericolosa e tempestosa situaz relazionale nella quale lui si trovava e ai suoi riflessi emotivi. Similmente alla situazione terapeutica con M la partecipazione emotiva dell’analista doveva rimanere costante seduta per seduta, emozione per emozione, ma nel caso di M la situazione controtransferasle riguardò il fatto di rimanere vivi, corpo e mente, in un’atmosfera di agonia e morte. La differenza tra genitori vede però quelli di M privi della capacità di dare senso emotivo alle esperienze a causa delle loro angosce psicotiche, mentre quelli di Teddy basati insensatezza folle venata da “perversione dei sensi”. Dina: In “Raccontami una Storia” (Vallino, 1998) metto a punto un metodo per far emergere i vissuti innominabili, attraverso la concettualizzazione del “Luogo immaginario” ovvero uno spazio psichico per mettere distanza con i vissuti mortiferi di non esistenza e al contempo poterli avvicinare con cautela coniugando elementi di realtà riguardo al suo trauma (l'esempio è una bambina che riesce solo a parlare di sé come fosse in un’avventura di Harry Potter). Il trauma non può essere semplicemente “sbattuto in faccia". Franco: Con Teddy è successa una cosa simile in quanto, recitando in alternanza le sue parti mortifere lentamente e con cautela, siamo giunti al “tragico succo delle cose”. Dina: Vivendo l’abbandono, al posto del paziente, ci si rende conto che questa tematica sarà il vertice dell’analisi per lungo tempo. Il senso di non esistenza entra così in seduta attraverso il controtransfert che il paziente ti fa rivivere. Esemplificativo è il caso di Alice, 4 anni, mollata da sola sempre fa sentire la sua non esistenza guardando fissa un angolo della stanza. Sembra autistica ma dopo un ciclo di incontri e micro transazioni con me rivela il suo sentirsi non vista. Con lei mi sentivo scotomizzata, una macchia cieca sua mi rendeva invisibile ai suoi occhi, e sono quindi giunta a pensare che anche lei sentisse che era invisibile la forma della sua sofferenza, è a quel punto che ho potuto rappresentarmi la sua non esistenza. Franco: E' importante a questo punto putualizzare come separazione connessa alla frammentazione dell’abbandono totale è cosa diversa rispetto alla separazione della psicoanalisi classica. E’ considerando la diversità di questi due fatti clinici che la Bick ha un tratto ravvicinato con Ferenczi e con i Balint. Tutti e quattro si sono infatti chiesti, inerentemente a ciò che avviene prima della posizione schizoparanoide, se lo “stomaco” esiste, se ha pareti abbastanza forti per “contenere, digerire e differenziare”. Non dobbiamo comunque sottovalutare il disastro che può essere avvenuto in certe esistenze in termini di trauma, e i tempi di ricovero e miglioramento sono lunghissimi. L’analisi di tali pazienti dura lunghissimo tempo ma può portare a buoni risultati. Ad esempio Mirko (paziente che ha cercato di investirsi da solo) ora vive rapporti emotivi e sociali soddisfacenti anche se, nel frattempo, si è ammalato di sclerosi multipla. Prima di ridurre le sedute mi ha detto che sono il suo pilastro. Dina: L’analista diviene la funzione sociale del paziente, una funzione stabilizzante. La presa in carico analitica diviene una presa in carico esistenziale del paziente nella sua globalità, per lui sei quindi un amico perché contribuisci a ricostruire le funzioni sane della sua mente, che lo tengono in equilibrio. Ci ricordi il suo caso clinico? Franco: Mirko è venuto in analisi perché si è autoinvestito con la sua macchina. Scendendo in garage, scende dalla macchina perché gli sembrava che un’ombra gli stesse attraversando il passaggio. Non mette il freno a mano e la macchina lo investe procurandogli un grave danno alla schiena. E’ come se l’incidente avesse reso visibile che Mirko mancava di una spina dorsale, esistenziale, per procedere autonomamente nella vita. Mirco il “casca l’asino” è figlio di un trauma intergenerazionale. La sua famiglia d’origine gitana, già straniera in Jugoslavia, è finita in Istria nel pieno della II Guerra Mondiale. Genitori giovanissimi, padre irresponsabile e madre sprovvedutissima (partorisce andando a piedi da sola all’ospedale). I genitori in qualche modo provvedono al lui ma lui riconosce “Baba Sinec”, uno zio che viveva con loro, come l’unica figura veramente genitoriale. Tra varie peripezie l’intera famiglia arriva a Torino. Ora il padre è morto e Mirko abita sopra sua madre, con un gatto da lui amatissimo. All’inizio della terapia era impensabile che si legasse ad un altro essere, ma mediante la sua adozione ha imparato a venire in contatto con i propri bisogni, soprattutto sociali. Ad un certo punto della terapia mi sono accorto del peggioramento nella sua deambulazione, lo facevo notare ma lui era come se non intendesse vederlo come realtà del corpo. Quando ha fatto accertamenti medici il tutto è stato liquidato come postumi dell’incidente ma io non ho desistito e alla fine si è scoperta la sclerosi multipla. Il tema della morte ha quindi fatto irruzione in terapia, e con essa il pensiero che il tempo non va più sprecato. Per questo non era più possibile postporre la comunicazione intorno ai legami e la condivisione di momenti di affettuosità e rimpianto. Ecco che tipi di funzioni concrete e non solo psichiche l’analista riveste. Dina: E’ a questo punto chiaro che le funzioni analitiche di presa in carico del paziente sono funzioni di presa in carico dell’esistenza del paziente nella sua globalità. Chi è traumatizzato non ha nessuna capacità di prendersi cura di sé, l’analista in questi casi deve essere quasi molesto. Un altro tuo paziente che rammento è Tommaso che, dopo tre analisi, non riesce a far credere ai suoi analisti la reale esistenza di una scena familiare psicotica (Tommaso un giorno torna a casa e trova un maresciallo, chiamato dal padre per punire il figlio, che lo schiaffeggia inveendo contro di lui). Il solo credere alla realtà di questa scena, accettare che il padre aveva avuto uno scompenso psicotico, dare un nome a tutto ciò ha aiutato Tommaso ad uscire da un tormento indicibile. Il concetto analitico di testimonianza, che tu consideri una funzione analitica fondamentale, è imprescindibile. In questo caso Tommaso non veniva sostanzialmente creduto era come se non riuscisse a far toccare agli analisti precedenti la sua ferita e di rimando a soffrirla direttamente per primo lui. La testimonianza del dolore dell’altro è un fattore fondamentale. Franco: Il super-io molto rigido e severo di questi pazienti non è un autentico genitore, ma una caricatura di esso, che è stato assente mentalmente, non svolgendo le fisiologiche funzioni protettive di educazione, divenendo presenza ostacolante e intrusiva. È mediante la compassione e l’empatia che si porterà a ristrutturare l’immagine dell’oggetto interno, spezzandone l’identificazione. Con Dina ci siamo trovati concordi su alcuni concetti di fondo. Il senso di non esistenza è il nucleo degli spoilt-children, l’attacco che mettono in atto è quindi diretto all’esistenza mentale degli altri, non alla vita. I genitori si presentano spesso come iper-concessivi, iper-indulgenti e narcisisti che trasmettono in modo distorto l’imperativo di raggiungere in ciò che loro hanno fallito, oppure genitori che a causa della loro sofferenza non metabolizzata e non ricostruita e del loro analfabetismo emozionale creano angoscia nel bambino che dovrà fare salti mortali per adattarsi a tutto ciò con inevitabili ricadute patologiche a livello di soggettività. Gli spoilt-children sono utili a capire come l’intrapsichico si origini dall’interpersonale, mettendo in luce il contributo dei genitori, utile agli operatori per sviluppare le loro comprensioni. Dina: Il trauma è un fenomeno complesso ed è chiaro che in questa sede abbiamo trattato un certo tipo di trauma e le sue ricadute. Altri tipi, come quello da lutto, da abuso, da guerra, da miseria avranno peculiarità psichiche che in questa sede non abbiamo tempo di esaminare. In ogni caso occorre togliersi dalla testa che portando in evidenza solo la situazione intrapsichica, avulsa dalla situazione interpersonale, si riesca a risolvere la situazione del paziente. Il trauma è la deprivazione dell’esistenza nella mente dei loro genitori, come nel caso di Kafka. Ma, per ripetersi, gli spoilt children sono bambini deprivati e traumatizzati dal non riconoscimento della loro esistenza psichica da parte dei genitori, genitori a loro volta deprivati nel passato di questo stesso tipo di riconoscimento. CAPITOLO 8 - LITTLE HANS UPDATED (Scritto di Borgogno pubblicato nel 2006 sulla "Rivista di Psicoanalisi" e nel 2004, insieme a Laura Ferro ed in una versione ridotta" in "Quaderni di Psicoterapia Infantile"). Omaggio ad un "Invisible Man" Borgogno, in un articolo del 1998, presenta il caso del piccolo Hans come punto di svolta nel percorso psicoanalitico di Freud, in quanto dimostra il raggiungimento di una posizione di ascolto più profonda, diversa rispetto a Dora, con l'acquisizione di doti di immedesimazione e separatezza nel suo modo di fare analisi. Tutto questo avviene grazie alla posizione di supervisore che ha in questa analisi, che gli permette una distanza più equilibrata per riconoscere l’impatto delle spinte narcisistiche e difensive del terapeuta, inaugurando una nuova attenzione ai movimenti emozionali in seduta e nella lunga onda dell’analisi. Questo sviluppo è riassumibile in una Capacità di Secondo Sguardo che corrisponde ad un impegno autoanalitico che non sottovaluta l’intelligenza cooperativa del paziente. Questa posizione si affaccia sulla concezione bipersonale dell’atto psicoanalitico, poiché Freud si dimostra più mobile ed elastico nelle sue possibilità di identificarsi sia al bambino che all’analista, ed è da intendersi come un turning point delle concezioni freudiane. Il caso di Dora si interruppe per volontà della paziente per un fraintendimento di comprensione nella coppia analitica, che Ferenczi (1932) definirà Confusione di Lingue, dovuta inoltre ai notevoli pregiudizi di Freud verso le donne e al suo spiccato tratto misogino. Freud non prende in dovuta considerazione i comportamenti negativi dei genitori di Dora, i quali hanno una ricaduta nel processo analitico che così divenne in parte un reduplicato, nell’intrecciarsi del transfert e controtransfert, delle penose vicende da lei vissute in famiglia. Ciò ha provocato in Dora una mortificazione narcisistica, facendola quindi anche sentire oggetto di scambio e sfruttamento. Anche nel caso di Hans Freud dimostra un’ulteriore limite che consiste nell’aver escluso la specificità del contesto familiare in cui i pazienti sono calati. Nel caso specifico, i genitori di Hans erano invischiati in un rapporto profondamente conflittuale, con difficoltà a livello sessuale e comunicativo. Una coppia in difficoltà, vicina alla separazione, che ha cercato di ricostruire un solido rapporto probabilmente con l’avere un secondo figlio. Per Freud il principale fattore traumatico è la maggiore esclusione dalla coppia genitoriale con la nascita della sorellina, per Slap (1961) invece è la tonsillectomia in concomitanza con le minacce di castrazione da parte del padre e per Bowlby (1973) le ansie da seprazione relative alla madre. Freud non riesce a vedere segmenti di vita, come alcuni deficit di genitorialità dei coniugi, poiché è dettato dal bisogno di confermare il nuovo pensiero sul primato della sessualità infantile a scapito del più ampio insieme delle dinamiche pulsionali e relazionali. Un’altra spiegazione del fatto che non analizzi nel dettaglio i genitori è data dalle remore in cui si è imbattuto nello svelare dati che concernevano personaggi conosciuti del suo entourage. La grande assenza ignorata da Freud è il litigio e la scena coniugale. Le problematiche di Hans, da una rilettura del caso, appaiono strettamente connesse alla nevrosi dei genitori, basate lo spostamento delle problematiche genitoriali su di lui al fine di mantenerne l’unione. I genitori si comportavano in modo contraddittorio passando da indulgenze seduttive a severità e proibizioni eccessive. Hans viene trattato più come un “testo di carta” che come “essere vivente” poiché la dinamica pulsionale sottostante ai suoi bisogni e ansietà viene astratta da Freud e isolata dalle caratteristiche della famiglia. La conseguenza è la richiesta di assopimento della radiosa intelligenza di Hans. Nell’intervista Memoirs of an Invisible Man, rilasciata a Francis Rizzo nel 1972, è lo stesso Hans (Herbert Graf, che diventerà direttore d’opera del Metropolitan di New York) che si definisce uomo invisibile, invisibile a se stesso, ai suoi genitori e a Freud. E' quindi un bambino vittima del narcisismo dei genitori, che troppo presi da se stessi e dalle loro ambizioni sono discontinui nel comprendere le primitive richieste di vicinanza e di supporto del loro figlio e il suo desiderio di sapere, costringendolo a recedere dalla sua ricerca veritativa, dissociandola con una parte del sé che si identifica con loro, negando a sé stesso alcune parti fondamentali dello sviluppo. Hans viene di fatto spogliato di qualcosa di strettamente suo. Una discrepanza tra la tendenza all’azione, realizzazione di sé come soggetto attivo, e la passività e dipendenza. Si coglie una vena rinunciataria del piccolo Hans divenuto adulto volta a minimizzare le proprie risorse, a sottomettersi a quelli che descriveva nelle sue Memorie come uomini di maggior potere e brillantezza. Si coglie anche una smaccata idealizzazione delle figure genitoriali, in particolare del padre. Hans rappresenta pertanto un paziente che è servito alla causa psicoanalitica, pagando su di sé il prezzo, con una sofferenza non appieno riconosciuta, a prescindere dal guadagno effettivo in sanità psichica che ha ricavato dalla cura. Postscriptum Nel 2004 i Sigmund Freud Archives hanno messo a disposizione altro materiale riguardante il caso di Hans tra cui varie interviste, del 1952 e del 1959 di Kurt R. Eissler a Hans e a suo padre Max Graf. In seguito a ciò la American Psychoanalytic Association ha proposto una rilettura pubblicando nel 2006 una raccolta di contributi di vari autori, che così si possono riassumere: 1. Blum (2007): è l’executive director dei Sigmund Freud Archives e afferma che è necessaria un’attenta rilettura delle vicende analitiche emerse alla luce delle nuove informazioni sul contesto genitoriale e transgenerazionale dello sviluppo di Hans che sono state omesse da Freud; 2. Chused e Ross (2007): esplorano i motivi per cui Freud ha trascurato gli aspetti essenziali della storia familiare, non cogliendo così una delle radici più profonde della sofferenza di Hans. Il caso non appare più, quindi, esemplificativo delle problematiche evolutive che deve attraversare ogni bambino in una famiglia ordinaria, ma di ciò che può accadere ad un bambino che si sviluppa in un ambiente poco affidabile e troppo dilaniato da discordia parentale e dai risvolti patogeni dei genitori. L’ascolto comunicativo e l’aiuto sollecito del padre e di Freud hanno avuto un esito sicuramente positivo su Hans. Tuttavia la psicopatologia fobica di Hans non è solo l’espressione di floride fantasie pre-edipiche, quanto soprattutto una comunicazione subliminale e criptica di ciò che accadeva a casa sua (litigi e percosse) e dei comportamenti di abuso che avvenivano nei confronti suoi e della sorella. Come li ha avuti Edipo nella tragedia greca, anche Hans ha avuto genitori non appropriati e totale assenza di un ambiente primario sufficientemente buono; 3. Stuart (2007): secondo lui la ragione per la quale Freud ha bypassato gli eventi reali in nome della realtà psichica è il suo iper-coinvolgimento dovuto alle somiglianze fra le vicende edipiche di Hans e le sue, che lo rese parzialmente cieco nell’enucleare che cosa in effetti si celava dietro la nevrosi. 4. Wakesfield 2007): riesamina la “fantasia delle giraffe”, per cui la giraffa grande non era il padre, ma la madre e quella piccola non la madre ma la sorellina che, con il senno del poi, sappiamo essere stata abbondantemente strillata e battuta dalla madre. Hans è quindi un wise-baby che cerca di proteggere e consolare la sorellina di fronte alle intemperanze e alle furie della mamma. Wakesfield pone quindi come centrale la qualità insicura e ansiosa dell’attaccamento, accentuato anche con la nascita di Hanna, la sorellina, che produsse timori assai più nutriti riguardo all’amore della madre, di Hans che ha un potere esplicativo maggiore rispetto alla teoria della sessualità e la triangolazione edipica utilizzata da Freud. I Contenuti Dirompenti del Nuovo Materiale indicano quindi non solo la discordia e i litigi familiari, ma anche la generale gravità e complessità del quadro familiare che affiora nitidamente, e fanno osservare come non si tratti proprio della classica “scena primaria” (assistere al coito dei genitori o al fantasticarlo). Tutto ciò perché Hans fu sia un bambino spettatore di una guerra aperta fra i genitori e di frequenti comportamenti impropri e lesivi commessi specialmente nei confronti della sorellina Hanna. Dalle interviste veniamo a sapere che la madre di Hans, Olga Graf, ritratta da Freud come "beautiful woman" e "excellent and devoted mother", fosse in realtà sofferente di un cospicuo disordine affettivo borderline. Era sostanzialmente depressa, isterica, fobica, socialmente ritirata e usava Hans come una sorta di partner-surrogato narcisistico per le sue angosce. Rifiutava inoltre quasi del tutto i rapporti sessuali, forse anche perché è stata sedotta da ragazzina dai suoi due fratelli maggiori che in seguito si suicideranno. Per via del suo intenso dolore psichico giungeva a maltrattare i figli e talvolta a picchiarli senza controllo, in particolare Hanna, percependola come rivale i quanto donna e in quanto richiedente cure e accudimento. Soffrì anche di un’intensa depressione post-partum e i rapporti con il marito dopo questa nascita invece che migliorare, come pensava Freud dato che aveva suggerito a Max tale scelta, si fecero sempre più complicati anche perché si vedeva sempre più preclusa ogni possibilità di carriera nell’ambito musicale, in quanto Olga era gelosa-invidiosa della carriera musicale del marito e la nascita della figlia la faceva sentire ancor più tagliata fuori dal mondo professionale. Anche Max Graf, il padre, non si viene a configurare come modello di padre affezionato e affettuoso, ma viene descritto dal figlio come violento, autoritario con atteggiamenti fobici ed evitanti e tendeva a negare in blocco e a mettere da parte gli aspetti dolorosi, negativi e conflittuali. La madre Olga ruppe del tutto con Freud intorno al 1911-1912 e si fece allieva e forse paziente di Adler, non perdonando mai Freud per aver cambiato idea riguardo alla teoria della seduzione traumatica, considerando le sole fantasie inconsce di abuso quali causa di nevrosi, e non i fatti avvenuti veri e propri, e per aver spinto la coppia al matrimonio e al fare due figli. Hanna, venuta al mondo “non benvenuta” (come scrive Ferenczi) dai genitori, si suicida dopo la sua seconda relazione matrimoniale che ripeteva pari pari il suo rapporto con la madre. Se Hans viene definito da Borgogno “bambino invisibile”, cosa si deve dire allora di Hanna se non che fu di fatto lei la vera “persona invisibile e non vista” della famiglia Graf? Rispetto ad Hans la sua vita relazionale e matrimoniale appare impregnata di venature sado-masochistiche. La sua prima moglie fu una donna molto aggressiva e fortemente disturbata come la madre e morì suicida per alcool e overdose in seguito ad una relazione extra-matrimoniale. Hans definisce la propria vita a Vienna come anni pieni di spavento per il “fuoco che divampava tra le mura domestiche” e confessa il suo desiderio di non far più ritorno a casa e a Vienna. Borgogno propone infine la seguente domanda, lasciando però aperto l’interrogativo: “Il fatto che Hans non ricordi nulla del trattamento avuto da Freud né degli episodi narrati, rientra nell’amnesia fisiologica dell’infanzia o non è piuttosto l’indice di una dissociazione determinata dalla traumaticità delle vicende vissute da Hans, traumaticità magari alimentata dal diniego d’essa che regnava sovrano nella famiglia?”. Per concludere vi sono le Considerazioni di Borgogno: - invito a dare un maggiore ascolto nel lavoro analitico all’ambiente psichico precoce di crescita che ha contraddistinto nel passato e che contraddistingue nell’attualità la vita del soggetto. Per ascoltare e comprendere i pazienti è necessario convalidare le loro peculiari sofferenze e le forme di relazionalità che mettono in atto. Per fare ciò l’analisi della realtà psichica e dell’inconscio non è abbastanza, se non si esplora la vita psichica entro cui nasce e si snoda la storia infantile e adolescenziale di un individuo. I Real Life’s Residues e la Historical Actuality sono aree sottostimate dalla psicoanalisi a favore dei “demoni interni”. Questa sottostima è data non solo da motivi deontologici ed etici, ma anche da limiti relativi a tratti caratteriali di Freud e da dettami della logica del tempo. La versione ufficiale indica come ragione principale la protezione dell’identità dei personaggi, ma ci sono anche altre ragioni personali riguardanti l’infanzia e il carattere di Freud e ragioni più generali dipendenti dal complessivo contesto socio-culturale-pedagogico del tempo (pregiudizi morali e valori culturali dell’epoca). Durante l’osservazione di Hans, tra l’altro, Freud stava portando alla ribalta attraverso l’autoanalisi la propria vita infantile con i suoi problemi e sono numerose le somiglianze tra la vita e le problematiche di Freud e di Hans. Freud dunque non trattò gli eventi drammatici e traumatici che accadevano in famiglia, eventi che sicuramente dovettero preoccupare Hans a livello conscio e inconscio. Depressione materna, suicidi, trauma e perdita d’oggetto sarebbero dunque elementi costituenti l’insorgere della fobia del piccolo Hans, al di là della fantasie inconsce che Freud ha privilegiato connettendole alla rigogliosa sessualità dei bambini e alla conflittualità edipica. Oggi riteniamo che questi elementi costituenti siano tutti fattori determinanti in molte fobie infantili. Hans, come altri bambini che si potrebbero trovare nella sua situazione, non può uscire di casa e allontanarsi da essa poiché la casa reale e interna che egli possiede non è effettivamente per lui una base sicura da cui partire per potersi muoversi e avventurarsi nel mondo, certo di ritrovarla integra al suo ritorno. Guardando da questo punto la nevrosi di Hans, si nota non solo il “ritorno del rimosso”, ma soprattutto il “ritorno di ciò che era e veniva denegato” dalla famiglia e da Freud; - Freud, come ha affermato Borgogno in Psicoanalisi come percorso, in quel periodo era ben consapevole che la “radiosa intelligenza dei bambini” e la loro esplorazione curiosa dei fatti della vita potevano essere facilmente spente e corrotte da reticenza evasiva e dinieghi ripetuti, o respinte e invalidate dalle quote di disinteresse e di disamore degli adulti, arrecando notevole danno al successivo sviluppo. Il bambino quindi non smette di ricercare la verità, ma la persegue in modo inconscio e scisso, sottomettendosi alla versione ufficiale della realtà degli adulti. Quanto in partenza doveva essere mantenuto segreto rispetto ai grandi finisce inevitabilmente per espandersi e divenire segreto anche a se stessi innescando una inevitabile ripetizione. Bisogna quindi tenere in conto la ricaduta del tempo storico nel quale queste vicende sono trattate. I bambini, al tempo dovevano ascoltare anziché essere ascoltati, le punizioni corporali erano all’ordine del giorno, ritenute nella norma e i concetti di abuso e deprivazione sono conquiste per noi tardive. La psicoanalisi, lungi dall’essere “fatta e finita”, è una disciplina tutt’oggi in costruzione, che richiede una qualche revisione e correzione e che ci ha portato ad acquisire un ascolto più autenticamente "terzo”, meno inficiato da componenti narcisistiche insite nella persona, che bilancia teoria e pratica nell’intento di rispettare la specificità dei pazienti, il ruolo delle loro fantasie inconsce e della loro storia. In questo modo si lavora più in profondità sui meccanismi di recezione-introiezione e identificazione che obbligatoriamente entrano in gioco sul piano inconscio nella relazione con l’altro. Lavorare inoltre anche sui processi di comunicazione impliciti ed espliciti veicolati dalle interpretazioni e dai silenzi dell’analista, che sono pur sempre delle “ri-proiezioni” (frutto, in linea di principio, del working through dell’analista), che trasmettono qualcosa che perviene a livello in parte inconsapevole al mondo delle sue esperienze, timori e aspettative. L’obiettivo centrale di queste pagine è stato quello di aprire un dibattito sull’intera vicenda messa in luce da Borgogno al fine di riuscire a raggiungere collegialmente in breve tempo una gamma di risposte il più possibile convincenti e non difensive sulle domande che essa ci pone. CAPITOLO 9 UNA PARTICOLARE TRANSFERT-CONTROTRANSFERT FORMA DI RIPETIZIONE NEL Il "Rovesciamento dei Ruoli", la Funzione di Testimonianza e l'Ambito dei Fattori Curativi (Articolo di Borgogno presentato nel 45° IPA Congress a Berlino nel 2007 e già pubblicato in versioni poco differenti nel "Vaso di Pandora" e nel "International Forum of Psychoanalysis" nello stesso anno). Il Rovesciamento dei Ruoli è una dinamica psichica in cui il paziente è inconsciamente identificato con l’aggressore, solitamente un caregiver deprivato e deprivante, mentre l’analista si trova a personifica il sé infantile del paziente completamente dissociato. In questi casi l’interpretazione mutativa non è quella classica ma consiste nel suo intero atto di interpretare e vivere al posto del paziente quella parte di vita psichica che gli è sconosciuta o che è stata espulsa per via della sofferenza psichica che vi è connessa. Una sofferenza psichica che in passato i loro stessi genitori hanno ignorato o non hanno potuto tollerare spesso perché anche loro non possedevano le capacità cognitive e affettive per affrontarla. Bion in "Cogitations" (1992) dichiara “non penso che un simile paziente accetterà mai un’interpretazione, non importa quanto corretta, a meno di non aver sentito che l’analista è passato attraverso questa crisi emotiva come parte essenziale dell’atto di dare l’interpretazione”. E sessant’anni prima Ferenczi faceva notare come un paziente necessita di incontrare, nell’analisi un contrasto, inteso come una nuova storia, una diversa disposizione relazionale. L’analista in questo senso è un nuovo soggetto-oggetto che diviene lentamente i vari personaggi coinvolti nella sua storia infantile, offrendogli quindi una figurabilitá e un nome, dopo aver incarnato tutte le presentazioni del paziente. Presentazioni multiple che saranno elaborate e trasformate dall’analista in rappresentazioni nella lunga onda dell’analisi. Questi elementi sono evidenti nel caso di M, presentato e discusso nei capitoli precedenti. Rispetto agli elementi Teorico-Clinici bisogna notare come già Ferenczi (1927) anticipa tutte le concezioni esposte sopra con il suo appello all’immedesimazione dell’analista nel bambino del paziente, poiché nelle prime fasi di sviluppo non è il bambino a doversi adattare ai genitori, ma viceversa. Il paziente completamente identificato con l’aggressore ha perso l’accesso alla sua parte infantile, pur di non perdere il contatto con la madre, e chiederà all’analista di essere il bambino che lui non è stato e da questo forte impatto relazionale emergerà una nuova capacità di condivisione e gestione dell’esperienza. Borgogno sottolinea come l’immedesimazione non sempre rimane nei limiti del “come se”, ma al contrario diviene concretamente la realtà. Il bambino diventa concretamente il genitore e lo diventa per sopravvivere, identificandosi completamente a livello inconscio in quanto per lui in quella famiglia non c’é spazio. Come Conclusione bisogna poi notare che la talking cure, in molte analisi, deve perciò essere preceduta da un’inter-psychic-acting cure, sulla cui base potrà avere luogo il trattamento classico di Freud. Nel caso di M, l’inter-psychic-acting cure è stata incarnare la bambina che M aveva dissociato nel corso della sua vita infantile. Il Rovesciamento dei Ruoli: un "Riflesso" dell'Eredità del Passato piuttosto Trascurato Franco Borgogno e Massimo Vigna-Taglianti (Massimo Vigna-Taglianti è medico neuropsichiatra infantile, full member della SPI e professore a contratto di Neuropsichiatria Infantile alla Facoltà di Psicologia dell'Università della Valle d'Aoesta). Il Transfert si presenta, nel dialogo analitico, in un modo più primitivo di espressione e a livello di coinvolgimento inconscio anche dell’analista. Siamo in questa situazione nel campo della non avvenuta o completa simbolizzazione Le basi di questo lavoro sono: - le funzioni analitiche devono essere finalizzate a creare le condizioni affettive concrete affinché possa essere trasmesso e appreso l’alfabeto emotivo per padroneggiare l’esperienza; - che queste analisi sono molto lunghe dato che questi pazienti mancano di una parte di esperienza connessa alla soggettivazione. Le vicende di transfert-controtransfert prendono vita mediante messe in atto (Enactment) che coinvolgono anche in maniera inconsapevole l’analista e che quindi devono essere elaborate nell’onda lunga dell’analisi per divenire strumento di conoscenza. Tale conoscenza è il motore trasformativo dell’analisi e richiede due impegni: - accogliere la ripetizione del paziente; - offrire al paziente quel genere di attività mentale che riattiva quanto non metabolizzato. Tali messe in atto si originano dalla dissociazione dell’analista dalla parte infantile del paziente e avvengono quindi attraverso un’inversione dei ruoli. Bisogna quindi che: - lo specchio analitico non sia finalizzato solo a rimandare al paziente i suoi contenuti emotivi, ma alla trasmissione di una modalità autentica dell’analista; - costruire una realtà affettiva effettiva necessaria alla costruzione del ricordo. In sintesi diversamente da Freud, questi autori credono che per recuperare un passato storico non simbolizzato sia necessario un surplus di lavoro “sporco” perché bisogna coinvolgersi, “mischiarsi”, per poter in seguito emergere differenziati e capaci di pensiero; - il working through analitico della risposta controtransferale a ciò che il paziente ripetutamente chiede di contenere al posto suo è molto consistente e non immediatamente raggiungibile. Rispetto al Rovesciamento dei Ruoli, sia esso attuato tramite un copione fisso o singoli acting episodici, esso è legato al profondo bisogno che il paziente ha di sondare da vicino e in concreto come la mente dell’altro possa sopravvivere a un trattamento di questo genere. Ciò si manifesta quando ci troviamo a fronteggiare storie segnate da eventi traumatici preverbali che hanno creato un danno così vasto alla strutturazione dell’Io che la loro drammaticità non può più essere drammatizzata. Il Terrorismo della Sofferenza di Ferenczi, inteso come la fobia degli analisti rispetto ai sentimenti del bambino sofferente, secondo Borgogno è ciò che ha impedito di riconoscere appieno l’importanza del rovesciamento dei ruoli nella psicoanalisi. Ferenczi dimostra con il suo lavoro come l’analista abbia la capacità di sperimentare sulla sua pelle il modo in cui il paziente è stato trattato nella sua infanzia. Egli fu capace di intraprendere un lavoro di working through nei confronti delle sue stesse difficoltà ad identificarsi nel genitore inadeguato e nel bambino intruso e spogliato. Ferenczi dimostrò come l’intrapsichico torna a rivivere nell’interpsichico, quindi nella relazione tra analista e paziente. Paula Heimann continua su questa via sottolineando come in presenza di un trauma del paziente, l’analista lo introietta inconsciamente, e agisce dentro di lui in funzione dell’identificazione della figura materna inadeguata, ripetendo le proprie esperienze con un inversione dei ruoli. Borgogno sottolinea che nel caso di M fu proprio attraverso il rovesciamento dei ruoli che lui divenne la “M bambina che era stata” ma soprattutto la “M bambina che non le era stato permesso di essere” nella sua infanzia, cioè una bambina capace di sentire, di reagire e di farsi sentire, procurando quindi ad M un’effetto di contrasto. Le Conclusioni di tale scritto considerano quindi che non è possibile una talking cure in assenza di una interacting cure poiché è l’azione ad essere feconda per il pensiero e per una proficua elaborazione e trasformazione a livello psichico. È necessario un continuo lavoro per raggiungere un’interpretazione mutativa che permetta di rivestire i ruoli che il paziente ci chiede. Sperimentare e ripetere sono allora le condizioni fondamentali per elaborare e ricordare o, addirittura, per lo stesso atto del pensare. CAPITOLO 10 - FERENCZI: IERI, OGGI E DOMANI Ferenczi e Winnicott: "A Partially Missing Link" Le Ragioni del Missing Link (concetto creato dai New Kleinians e che intende l'incapacità di accettare l'altro e il padre nella triangolazione edipica) tra Winnicott e Ferenczi (quindi l'incapacità della psicoanalisi di accettarli nonostante proponessero teorie differenti) sono principalmente tre: - la censura a cui sono state sottoposte le teorie di Ferenczi per più di cinquant'anni, fino alla pubblicazione del "Diario Clinico" nel 1988 ad opera di Judith Dupont; - la specifica personalità di Winnicott che non amava citare altri autori per dimostrare, sopratutto a se stesso, la propria originalità; - l'interesse tardivo per la madre ed il bambino, e difficoltà degli analisti di gestire l'inversione dei ruoli. Si possono ora considerare gli Elementi Comuni tra Winnicott e Ferenczi: - desiderio di parlare alla madri e di occuparsi, viste le loro condizioni famigliari (entrambi, anche se per ragioni diverse, sono di fatto spoilt children), degli effetti della deprivazione infantile e dell'assenza di un ambiente adeguato per lo sviluppo. Il concetto di wise baby di Ferenczi e di Falso Sé di Winnicott riguardano quindi gli effetti di una famiglia inadeguata rispetto ai bisogni del bambino; - necessità di una madre capace di sostenere il bambino. In caso contrario si sviluppa quell'inversione dei ruoli che conduce alla psicopatologia; - concetto di trauma inteso non come rappresentazione intrapsichica degli oggetti (come teorizzava Melanie Klein) ma come qualcosa che è accaduto e che deve accadere. Questa concezione ha poi un forte impatto sulla clinica in quanto la relazione analitica si trasforma in un luogo in cui gli eventi devono riaccadere (o accadere per la prima volta) al fine di giungere ad un nuovo inizio; - riduzione di quel Terrorismo della Sofferenza dell'analista, incontrato con i pazienti più difficili, attraverso una riscoperta di aree di sé e di funzioni fino ad allora negate ma necessarie nel rapporto interpersonale con i pazienti. Ferenczi, "l'Analista Introiettivo" Nel suo primo scritto del 1908, "Il Significato dell'Eiaculazione Precoce", Ferenczi anticipa già quella che sarà la sua Direzione Introiettiva in quanto teorizza la frustrazione del partner a contatto con un eiaculatore precoce. Borgogno, seguendo le teorizzazioni successive di Ferenczi che giunge nel 1924 a connettere coito sessuale e coito mentale, interpreta questo testo come simbolizzazione del rapporto tra paziente ed analista in cui quest'ultimo, spinto dal fanatismo interpretativo (che Ferenczi caratterizza come cerebrale e masturbatorio) e da caratteristiche schizoidi di ritiro dalla relazione, impone la propria personalità sul paziente non giungendo quindi ad un vero e proprio incontro con l'altro. Come giunge ad affermare nel 1919 in "La Tecnica Psicoanalitica", Ferenczi teorizza la necessità di una riduzione delle componenti narcisistiche dell'analista in modo che riesca a modulare i propri impulsi al fine di non cadere né nel troppo che nel troppo poco, elementi che genererebbero le stesso resistenze al transfert presenti nei pazienti. In "Introiezione e Transfert" del 1909, Ferenczi crea poi il concetto di Introiezione a cui affida un'importanza paritaria al tema della Proiezione (in quegli anni particolarmente rilevante per Freud) in quanto il bambino, che fin dalla nascita è affamato di oggetti e affetti, non sarebbe in grado di selezionare gli elementi che assume dentro di se e quindi rischiare un'Identificazione con l'Aggressore in cui gli ordini ipnotici genitoriali vengono assorbiti nonostante siano disfunzionali e mortiferi (concetti ben espressi, anche grazie ai casi clinici, in "Il Piccolo Uomo-Gallo" del 1913 ed in "Il Bambino Mal Accolto e la sua Pulsione di Morte" del 1929). Questi elementi rendono il rapporto con l'analista ed il transfert elementi fondamentali in quanto la valutazione del contesto vicino e attuale, e degli stessi sintomi che si sviluppano nello svolgimento dell'analisi, sarebbero importanti per comprendere il passato e le sofferenze infantile del paziente. Dal 1927 al 1932 Ferenczi si occupa poi di studiare approfonditamente due elementi: - l'identificazione primaria con annesse le strategie arcaiche di difesa; - l'esigenza di una più corposa immedesimazione immaginativa nel paziente. Risulta quindi chiaro perché nei suoi ultimi scritti Ferenczi si focalizza sui punti deboli degli analisti "classici" dell'epoca, i quali attuano modalità di no-entry difensive che non permettono ai pazienti di giungere alla guarigione. In definitiva l'analista deve "lasciarsi invadere" dal paziente, divenendo in primis l'oggetto cattivo che ha condotto alla deprivazione infantile (generalmente il genitore) e successivamente impersonificare quel bambino scisso che il paziente stesso non è potuto essere nella sua infanzia. Deve quindi assumersi l'onere di divenire l'Assassino del Paziente (Ferenczi, 1932) per far si che l'infanzia ferita e misconosciuta si faccia viva per essere ricostruita, completata ed integrata. Le Conclusioni di Borgogno si basano poi su due ulteriori considerazioni: - le teorie di Ferenczi, lungi dall'essere perfette al momento in cui sono state formulate, hanno permesso di portare alla luce l'importanza del contesto interpersonale dell'analisi e come esso possa essere usato nell'azione sugli elementi intrapsichici; - utilizzo di una capacità interpretativa dell'analista che si basi sull'apprendimento relativo ad albergare dentro se le proiezioni caotiche del paziente, tollerando l'inesistenza che il paziente ha sperimentato da bambino, al fine di fornire una restituzione che non sia una risposta personale ma giunga da una reverie autentica. PARTE TERZA CAPITOLO 11 - NON ESISTE UNA CONCLUSIONE Scrivono i Poeti Questo libro testimonia il modo d’essere psicoanalista di Borgogno negli ultimi dieci- quindici anni ed è quindi la descrizione del suo percorso e, in quanto tale, non ha una conclusione se non provvisoria, poiché, come scrivono i poeti, è l’andare l’essenza stessa di un cammino, non il punto d’arrivo. Borgogno d’altronde, quando ha voltato lo sguardo indietro per raccontare il proprio percorso, si è accorto di non essere più lo stesso viaggiatore che lo aveva iniziato e di stare incontrando un paesaggio diverso, senza saperlo aveva iniziato una nuova esplorazione. Per sottolineare questa sua visione della Psicoanalisi, Borgogno cita le poesie di Machado (1907) e Saramago(1990) relative al viaggio come metafora del percorso di vita. Il Mio Percorso Analitico Sino a Oggi: un'Intervista (Intervista fatta dalla redazione del "Ruolo Terapeutico" a Borgogno, dove è già stata pubblicata nel 2010). 1. Come è arrivato alla scelta di questo mestiere? Sebbene non sia cresciuto in una famiglia davvero attenta ai bisogni e ai sentimenti dei bambini, ho sempre avuto l’idea che da qualche parte esistesse qualcuno che mi avrebbe potuto capire comprendendo le mie fantasie, aspirazioni e angosce. A un certo punto ho identificato che fosse la psicoanalisi il luogo dove avrei potuto incontrare questo qualcuno, che mi sono sempre raffigurato in carne e ossa. Giunto alla psicoanalisi in base a questa credenza ho avuto una prima esperienza con un analista che non è stato un modello di ascolto sollecito, ma un essere silente e misterioso. Solo con l’inizio della seconda esperienza analitica, con un nuovo analista molto più loquace e dalle interpretazioni simbolicamente rilevanti (vedi "Rosso Borgogno" e "Rosso Bordeaux" in "The Vancouver Interview") ho constato cosa volesse dire trovarsi con una persona reale, e la psicoanalisi è stata sin d’allora un’esperienza speciale di conversazione in cui si viene ascoltati, compresi e in cui si ottiene una risposta. 2. Lo vede, per quanto la riguarda, più una professione o più la realizzazione di una vocazione? Per me è stata una sorta di chiamata dal preconscio, preannunciata da due sogni (vedi Vancouver Interview). Certo questo non basta per fare di una persona uno psicoanalista, e neppure essere curiosi rispetto all’ascoltare gli altri e indovinarne i pensieri e sentimenti, ma è necessario un lungo confronto con qualcun altro che ti indichi come percorrere la tua via e che ti sostenga. E' dunque essenziale l’analisi personale con qualcuno più saggio di te e anche il dialogo con i pari, per discutere dell’esperienza personale e clinica. Solo più avanti, con questa base, arrivi a essere te stesso anche sul lavoro. 3. Quali libri hanno contribuito maggiormente alla sua formazione? Inizialmente Freud che, letto nel percorso ovvero esplorando e conoscendo la sua esperienza emozionale con i pazienti, mi ha permesso di capire come sulla base di essa fosse arrivato a comprenderli e a costruire una teoria sul funzionamento della mente. Ho letto allo stesso modo la Klein e successivamente Bion. Alla Klein rivolgevo la critica che la spinta alla ricerca della verità dei bambini non si originasse dalla loro sessualità, come sosteneva Freud, o dalla loro distruttività e sadismo primari, al contrario pensavo che i bambini possedessero una loro saggezza e che si potessero ammalare perché nessuno rispondeva a loro rispettandone l’intelligenza e il bisogno di una leale relazione affettiva. Successivamente ho riletto Ferenczi, sentendomi rassicurato rispetto alla somiglianza delle sue concettualizzazioni con questo mio modo di vedere, e ho trovato una similarità tra il suo "Diario Clinico" e le "Cogitation" di Bion. Ho apprezzato anche Paula Heimann, Winnicott, molti Indipendenti Britannici (Margaret Little, Rycroft, Bollas) e sul versante americano Searles e Erikson. 4. E i colleghi “in carne e ossa” che più hanno contribuito alla sua formazione? Innanzitutto il mio secondo analista, Franco Ferradini, che mi ha insegnato che cos’è l’ascolto rispettoso e creativo dei pensieri del paziente, che cos’è trasfondere fiducia e speranza e come la propria storia sia il capitale che ciascuno di noi ha, storia fatta di eventi di vita, di vissuti e di identificazioni inconsce che ognuno porta dentro di sé. Fondamentali sono stati poi i miei supervisori, quelli ufficiali (Luciana Nissim Momigliano e Giuseppe Di Chiara) e non (Stefania Turillazzi e Pierandrea Lussana), e colleghi come Dina Vallino, Speziale-Bagliacca e altri che hanno rappresentato il mio gruppo di pari. Fondamentali sono state anche mia moglie e mia figlia. 5. Nel complesso del suo bagaglio professionale, che cosa è originalmente suo? Sul piano clinico l’attenzione all’onda lunga relazionale, in cui si inseriscono parole e silenzi, non prestando quindi solo attenzione all’hic et nunc, dato che la percezione delle singole sedute si modificava se guardate nel loro insieme e a partire dal tipo specifico di relazione che si stava attuando, tenendo in conto che la relazione in corso deriva da un’evoluzione e non è qualcosa che sorge nell’immediato. Allo stesso modo appare chiara la necessità di prendere coscienza di quali messaggi inconsci un partner trasmette all’altro nel dialogo analitico, e l’iniziare a pensare che l’analista quando sta in silenzio o interpreta, metacomunica qualcosa circa i suoi sentimenti verso il paziente, il trattamento, i suoi desideri, preoccupazioni, angosce e dà quindi giudizi su tutto, cercando di addestrare il paziente e omologandolo ai propri valori, come già teorizzato dalla Heimann. Un altro aspetto che sento mio è il lavoro clinico sul Rovesciamento dei Ruoli, un tipo di dinamica interattiva frequente in pazienti con storie familiari travagliate, connotate dall’assenza psicologica dei genitori. Una forma di Omissione di Soccorso, in cui il paziente si identifica con l’adulto aggressore dissociando da sé la sua vita emozionale infantile, che dovrà essere vissuta nel trattamento analitico al posto suo da parte dell’analista. È proprio tale approccio alle dinamiche di transfert e controtransfert e alla teorizzazione sugli spoilt children che mi rende un punto di riferimento per la visione analitica derivata da Ferenczi. 6. Definizione personale di psicoterapia e psicoanalisi? L’analisi è una conversazione speciale al cui centro vi è l’ascolto responsivo che sa mettere in parole gli accadimenti della relazione emotiva che avvengono nell’esperienza analitica, connettendoli alla storia di vita del paziente, dell’analisi e al suo mondo interno. Con l’onda lunga si presuppone che il cammino sia interminabile, e ciò è anche necessario se si vuole venire a capo delle proprie difficoltà esistenziali. Nonostante ciò ci possono essere anche tempi più brevi, una temporanea rianimazione, ma quando vi è un blocco del movimento psichico i tempi sono lunghi, dato che si tratta di una riconfigurazione strutturale della persona e non apprendimento intellettivo o imitativo. 7. Ha mai pensato di cambiare mestiere? No, in linea di massima, se non a livello di fantasia. 8. Qual è il fattore essenziale della sua funzione terapeutica? Esso ha a che fare con la relazione speciale che si crea, costituita da disponibilità emotiva e un generoso porsi al servizio dell’altro, che richiede all’analista di ammalarsi dello stesso male del paziente, senza il timore di rimanerne invischiato ma proponendo dei modi alternativi di viverlo ed elaborarlo. Questo è un punto di contatto con Bion e Ferenczi che teorizzavano che il paziente vuole toccare con mano se l’analista conosce il suo dolore e come lo sa gestire. Fondamentali per fare ciò sono le qualità personali dell’analista, tra cui pazienza, perseveranza e tenacia, fiducia nelle proprie e nelle altrui risorse e nella possibilità di cambiamento, quindi l’essere capaci di sostare nelle situazioni difficili, continuando a pensare e lasciando aperto uno spiraglio per il futuro. L’analisi è un lavoro di squadra fatto da due persone, in cui il paziente ha la chiave del proprio inconscio e l’analista deve aiutarlo a trovarle, in quanto basta un pensiero o un’associazione per dischiudere una nuova porta. 9. Lo scarto tra prassi e teoria è eliminabile? La teoria, nella pratica, deve rimanere sullo sfondo, non deve sostituirsi a noi nell’incontro con il paziente e nella ricerca di significatività in ciò che porta. Questo perché nella pratica, nello sforzo di incontrare l’altro dobbiamo mettere tutto noi stessi, testa, cuore e pancia, dato che è lì che nasce quella risposta affettiva che elaborata diviene strumento di comprensione e aiuto. Tale risposta affettiva, che Freud chiama associazione libera, necessita comunque di far riferimento a una teoria. Per quanto riguarda la diversità delle teorie e degli orientamenti teorici ritengo che questi sia dovuta ai diversi stili di analisi delle persone, per cui esso non rappresenta un problema in quanto ogni punto di vista diverso può essere utile, a patto che le persone non abbiano la pretesa di essere portatrici di verità: Rispetto alla domanda se la teoria non è utile alla pratica o si, io direi che le risposte potrebbero essere entrambe, in quanto già in Freud si manifestava la contraddittorietà per cui aveva creato una teoria della cura bi-personale ma che si basava su una teoria metapsicologica che andava in direzione opposta. 10. Personale concezione dell’esistenza? Laica, rifiuto i significati dei concetti cristiani, per incarnarli nella pratica, per cui la fede, la speranza e la carità avanzano lentamente dall’impegno che si mette nella vita, dovendola vivere appieno per possederle. 11. Posizione dello psicoanalista di fronte all’etica? La mia riflessione teorica, ispirata al concetto di omissione di soccorso, che rappresenta per me il principale problema etico degli analisti, ha come obiettivo quello di ricercare migliori capacità di soccorrere un’altra mente non solo a livello clinico, ma anche teorico, quando formuliamo una teoria sullo sviluppo cognitivo e affettivo del bambino. 12. La psicoanalisi ha un futuro? La psicoanalisi gode e godrà di buona salute se accetta di rettificare qualche aspetto datato delle sue teorie e taluni atteggiamenti di chiusura con i pazienti e il mondo esterno. Ci spetta un hara-kiri simbolico, in quanto bisogna in sostanza aprirsi al confronto con le diversità e con lo sconosciuto, con gli attigui orientamenti teorici, tecnici e terapeutici, “mostrando un po’ delle nostre viscere”, uscendo quindi dalla stanza d’analisi. Per il resto non è possibile sapere oggi quale sarà la psicoanalisi del futuro, ma sicuramente sarà diversa da quella attuale, anche se il cuore del metodo freudiano rimarrà vivo e fonte di ispirazione. 13. Che cosa significa essere psicoanalisti oggi? Tirarsi su le maniche e lavorare alacremente, senza guardarsi allo specchio e senza continuare a pensare che siamo i figli eletti. 14. Suggerimenti agli allievi? Armarsi di umiltà è fondamentale, come la pazienza e la dedizione per affrontare il percorso analitico, senza aspettarsi un guadagno immediato, dato che questo arriverà solo più avanti, grazie al cammino che si è compiuto. Sono fondamentali allo stesso modo avere fede, speranza e carità che giungono mediante l’esperienza e l’indomita perseveranza nell’andarvi incontro.