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Costituzione
“Una nazionalità,ne’suoi caratteri astratti,comprende un pensiero comune,un dirittoecomune,un fine comune:questi ne sonoe glipresente. elementi Repubblica Costituzione: tra passato essenziali. Una nazione è l ’associazione di tutti gli uomini che, per lingua,per condizioni geografiche, e per la parte assegnata loro nella Storia,formano un solo gruppo,riconoscono uno stesso principio e s’avviano, sotto la scorta di un diritto comune, al conseguimento di un medesimo fine. Dove manchi un diritto generale s’accampano caste, privilegi, ineguaglianze, oppressione….” “… Quando Iddio creò la vita di un popolo, dicendogli: Sii Nazione! Non gli dice: Goditi l ’esser tuo come l ’avaro il proprio tesoro; la tua libertà, come se fosse delitto; la parola ch’io t’ho messo nel cuore come se fosse un secreto che nessun altro debba conoscere. Ei gli dice invece:Va, con la fronte alta, tra i fratelli ch’io t’ho dato, libero e senza ritegno, come conviene a chi ha ricevuto nella sua coscienza il mio verbo: prendi il tuo posto tra le nazioni,secondo il segno che da me tieni, secondo la parola ch’io ti ho sussurrato all ’orecchio quand’eri ancora infante nella cuna: compi nobilmente e coraggiosamente l ’ufficio tuo sopra la terra,perché da questo sarai guidato: confessa altamente davanti al mondo e ai padroni del mondo, la fede dei tuoi padri.” ( Giuseppe Mazzini) Abbiamo deciso di iniziare cosi il nostro cammino nella storia della Costituzione italiana, con il discorso di colui che giudichiamo essere il padre della nostra Repubblica, Giuseppe Mazzini, nel quale riteniamo ci siano alcuni principi che oggi stanno alla base della nostra Costituzione. Un viaggio multimediale che ricalca gli anni più significativi per la nostra Repubblica, quelli del passaggio dallo Statuto Albertino alla stesura della nostra Costituzione, arricchito da un’attenta analisi di alcuni articoli. Ma la tematica che più urge di attenzione è la invariabilità della Carta Costituzionale in una società mutevole come la nostra … fine Lo Statuto Albertino fu emanato da Carlo Alberto, re del Regno di Sardegna, il 4 marzo 1848 come “legge fondamentale ed irrevocabile” che sostituiva l’ordinamento monarchico costituzionale alla monarchia assoluta nello stato piemontese. Con la formazione del Regno d’Italia, divenne la legge fondamentale del nuovo Stato e restò in vigore fino al 1 gennaio 1948. Lo statuto Albertino si componeva di 81 articoli 22 dei quali erano riservati per definire le prerogative del re al quale era attribuito il potere esecutivo, la nominale sovrintendenza del potere giudiziario, la partecipazione al potere legislativo insieme al Parlamento. Lo Statuto era caratterizzato dal fatto di essere: - una costituzione concessa: lo Statuto non era frutto di una collaborazione con il popolo; - una costituzione flessibile: lo Statuto poteva essere modificato con leggi ordinarie. La sua elasticità permise il passaggio da una forma costituzionale pura ad una parlamentare; non garantì le libertà democratiche e permise il passaggio al regime fascista in modo formalmente legale; - una costituzione monarchica: la struttura dello Stato era di tipo monarchico; - una costituzione rappresentativa: la camera dei deputati era un’assemblea eletta. Con le leggi fasciste del 1925, lo Statuto Albertino venne notevolmente alterato, al punto da rendere la struttura stessa dello Stato di tipo autoritario-totalitario. La crisi costituzionale seguita alle vicende belliche che sconvolsero il paese si aprì il 25 luglio 1943 con la revoca di Mussolini da capo del Governo; Il 2 giugno 1946 ci fu il referendum, al quale tutta la popolazione italiana fu convocata per la scelta fra Monarchia e Repubblica, in questo modo fu proclamata la Repubblica. Dopo il referendum, il 25 giugno 1946, si riunì l’Assemblea Costituente (assemblea formata da 556 membri, per approvare la nuova Costituzione repubblicana) che affidò la redazione della nuova Costituzione repubblicana a una commissione formata da 75 deputati, ( suddivisa in tre sottocommissioni, rispettivamente incaricate di elaborare le diverse parti dell’intero progetto costituzionale), che concluse i lavori, in seduta plenaria, il 22 dicembre 1947 con l’approvazione a scrutinio segreto del testo definitivo. « L'Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa la affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. » (Umberto Terracini, Presidente dell‘Assemblea Costituente) « Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione. » (Piero Calamandrei) La costituzione è la legge fondamentale dello stato, che si colloca al primo posto della gerarchia delle fonti: è infatti la fonte delle fonti. Entrata in vigore il 1 Gennaio 1948, fu firmata dal presidente della repubblica Enrico De Nicola e controfirmata dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi e dal presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini. La Costituzione è composta da 139 articoli e da 18 disposizioni transitorie e finali. •I principi fondamentali (art. 1 -2). •Parte prima(art. 13-54) riguarda i diritti e i doveri dei cittadini. •Parte seconda (art. 55-139) è la parte più estesa della costituzione. In questa sezione sono stabiliti i poteri, la composizione e la nomina degli organi fondamentali dello stato. La Costituzione è caratterizzata dal fatto di essere: - una costituzione compromesso. -una costituzione lunga: il testo costituzionale indica le linee fondamentali dell’ordinamento dello Stato, definisce i diritti fondamentali, organizza i diversi aspetti della società; -- una costituzione votata: il testo costituzionale è approvato da un’Assemblea costituente eletta dal popolo; -- una costituzione rigida: a differenza dello Statuto albertino, essa può essere modificata solo attraverso un procedimento speciale. Ciò fornisce una garanzia al mantenimento delle libertà democratiche; -- una costituzione laica: tutte le fedi religiose, se in linea con il nostro ordinamento, hanno uguale diritto di esistere e operare sul territorio nazionale;-una costituzione pluralista -- una costituzione liberale; i principi di libertà sono riconosciuti e garantiti dall’ordinamento; - una costituzione sociale: lo Stato interviene in modo diretto per garantire l’uguaglianza fra i cittadini L'Assemblea costituente fu eletta per mezzo di un sistema elettorale proporzionale, che consentì la rappresentanza di tutti i partiti in proporzione ai voti conseguiti. Da quel momento i partiti cessarono di essere tutti uguali, in quanto se ne poteva misurare la forza secondo il consenso riscosso presso l'elettorato. Il quadro che si delineò fu il seguente: Democrazia cristiana: 35.1% dei voti e 207 seggi, era la maggior forza politica; Partito comunista: 18.9% dei voti 104 seggi; Partito socialista: 20.7% dei voti e 115 seggi. Il quadro politico della nuova Italia aveva quindi due schieramenti maggiori a confronto: la Democrazia cristiana da un lato, i partiti comunisti e socialisti dall'altro; le forze liberali erano incapaci di una politica costituzionale autonoma, ma capace di influenzare quella degli altri. Tra queste forze maggiori nacque la COSTITUZIONE come un contratto politico in cui ciascuna forza è riuscita a ottenere qualcosa, rinunciando ad altro. Per questo si è parlato di COMPROMESSO COSTITUZIONALE. Ad esempio, le forze marxiste rinunciarono alla socializzazione dei mezzi di produzione e si accontentarono della promessa di future riforme sociali i liberali accettarono che l'economia potesse essere indirizzata a fini sociali; le forze laiche ammisero i Patti Lateranensi nella Costituzione; la Democrazia cristiana rinunciò all'idea di fare del Senato una camera rappresentativa delle forze economiche; i partiti di sinistra a loro volta, contro l’esigenza di uno Stato forte, capace di imporre grandi riforme sociali, accettarono le limitazioni del potere politico che potevano derivare dalle Regioni o dalla Corte costituzionale. Il compromesso costituzionale venne fin da subito interpretato in modo diverso, e non sempre benevolmente. Gli esponenti della tradizione liberale vedevano nella Costituzione il prodotto di un mercanteggiamento tra DC, PCI e PSI e perciò parlavano spregiativamente di "Costituzione tripartita". In fondo, rimpiangevano le norme semplici, chiare e brevi dello Statuto Albertino e temevano che le promesse di giustizia sociale contenute nella Costituzione potessero servire da pretesti per limitare la libertà economica. Altri vedevano nel compromesso costituzionale una parziale temporanea rinuncia ai loro ideali, necessaria per trovare l’accordo. La Costituzione appariva un compromesso transitorio, basato su questa riserva: alla prima occasione favorevole per qualcuna delle grandi forze politiche, l’accordo sarebbe stato rotto e se ne sarebbe scritta una nuova. Altri ancora parlarono di compromesso, come ricerca di unità per costruire un regime nuovo, uno Stato di tutti e non di uno o di un altro partito, di una o di un’altra ideologia. La Costituzione come compromesso appariva, in questa luce, il prodotto dello sforzo unitario che le forze politiche fecero, dopo la fine del fascismo, per creare uno Stato che fosse di tutti, cioè uno stato democratico. Oggi, dopo quasi mezzo secolo, si può dire che la storia ha convalidato la terza interpretazione del compromesso costituzionale. Se la Costituzione fosse stata solo un mercanteggiamento o solo rinuncia, non avrebbe retto così tanto tempo. Essa non avrebbe svolto per così lungo tempo il suo compito di unificazione della vita politica e di pacificazione dei contrasti. Ancora oggi, le più intense controversie politiche si placano davanti alle norme costituzionali, a dimostrazione della vitalità del compromesso da cui trassero origine. La ragione della riuscita del compromesso costituzionale è che i singoli partiti non concepirono la Costituzione secondo il loro immediato vantaggio particolare. Ciò avrebbe reso impossibile ogni accordo. L’Assemblea costituente lavorò invece con lo sguardo rivolto al futuro: fu un’Assemblea "presbite". Ciò fu possibile grazie a quello che si denomina il "velo dell’ignoranza", cioè il fatto che nessuna parte politica allora, all’inizio dell’esperienza costituzionale, era in grado di sapere se, nel futuro, sarebbe stato danneggiato o favorito da questa o quella norma costituzionale. Il pluralismo è uno dei principi fondamentali di uno Stato democratico. La nostra costituzione prevede pluralismo organizzativo (art.18) e pluralismo ideologico (art.21). Innanzitutto credo che sia importante analizzare il contenuto degli articoli della Costituzione riguardanti il pluralismo. Nell’art.21 è sancito il diritto alla libertà di manifestazione del proprio pensiero. La Costituzione garantisce al cittadino la libertà di manifestare le proprie opinioni attraverso ogni mezzo disponibile e pone, allo stesso tempo, due limiti a tale diritto: il primo riguarda il rispetto della libertà altrui (in nome della libertà di opinione non sono ammesse espressioni diffamatorie o calunniose), il secondo limite riguarda il buon costume e cioè quelle manifestazioni che possono turbare la sensibilità e la morale sessuale. L’art.18 della Costituzione sancisce, invece, la piena libertà di associazione, qualunque siano gli scopi, vietando allo stesso tempo le associazioni per delinquere, le associazioni segrete e le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni a carattere militare. Il pluralismo è quindi la difesa delle pluralità delle ideologie e delle associazioni in genere presenti in uno Stato. Il pluralismo discende storicamente dalla Riforma religiosa attuata nel XVI sec. . Le prime teorizzazioni della tolleranza religiosa, dovute a esponenti di correnti riformatrici quali Castellione e Aconcio, furono raccolte tra la fine del XVI sec. e l’inizio del XVII sec., da pensatori come Bordin e Grozio, i quali fondarono la teoria della tolleranza con riferimento all’idea della religione naturale. Successivamente, l’eredità di tali posizioni confluì nell’Illuminismo (XVIII sec.). Quest’ultimo rappresenta, sotto questo profilo, non solo il momento più maturo per quanto riguarda la teoria, basti citare i nomi di Boyle, Voltaire, Lessing e Locke (fine ‘600), ma anche il periodo in cui la pratica della tolleranza venne generalizzandosi, sostenuta dal richiamo a quelle carte costituzionali della tolleranza. Quest’ultime furono la Dichiarazione dei diritti americana (1776) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (Francia 1789). Tali carte costituzionali saranno, in seguito, prese come esempio dagli uomini di quegli Stati in cui si affermerà la democrazia. Il nostro stato ha assunto, con l’emanazione della costituzione del 1947, alcune determinate caratteristiche che differenziano profondamente la sua struttura da quella impressagli dallo statuto albertino. In base alla costituzione lo stato italiano può definirsi come: Repubblicano, democratico, fondato sul lavoro (art. 1,2,4,18, 21,139) Interventista (art. 2,3,4,41,43,44) Parlamentare ( art. 94,95) Decentrato ( art. 5,114,115,117,118) Non confessionale ( art. 8,19) Aperto alla comunità internazionale ( art. 10,11) La Costituzione, al suo art. 1, definisce l’Italia una Repubblica e la qualifica ulteriormente come << democratica>> e <<fondata sul lavoro>>. Il lavoro è inquadrato anche nell’art. 4, non solo come diritto, ma anche come dovere civile. Non è facile dare una definizione della democrazia. Nel suo significato etimologico, democrazia sta ad indicare <<governo di popolo>>. questa definizione, che contiene in se i presupposti per un completo svolgimento del concetto, è stata disciplinata e garantita dalla Costituzione:<<la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione>>. L’inserzione nelle attività di governo delle esigenze popolari è resa possibile dall’esercizio dei <<diritti inviolabili>> (art.2); fra questi diritti vanno ricordati il diritto di associazione(art.18) e alla libera manifestazione del pensiero(art.21). A ciò si aggiunga cha la Costituzione contiene una <<norma di chiusura>>: l’art. 139 (“ la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”); in altri termini, il nostro attuale ordinamento o è o non è repubblicano. Cosi, se per avventura si volesse restaurare la monarchia, si dovrebbe ricorrere non alle vie legali ma ad un procedimento extralegale. L’ Assemblea costituente, nonostante i diversi orientamenti dei suoi deputati, ha concordemente ritenuto che l’assetto politico-sociale andava modificato. A riguardo, basterebbe ricordare l’art. 3 che, dopo aver stabilito che:<< tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, d lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.>>ha assegnato alla Repubblica il compito di rimuovere ogni ostacolo per rendere effettiva l’uguaglianza. Oltre all’art. 3, si possono ancora citare l’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo; l’art. 4, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e fa carico al legislatore futuro di porre in essere le condizioni necessarie per raggiungere la piena occupazione. Che tipo di stato ha creato la nostra costituzione? Parliamo pure di stato interventista che, pur tutelando l’iniziativa economica privata, ritiene necessario intervenire nel settore dei rapporti economici per coordinare l’attività economica ed indirizzarla al raggiungimento di un maggiore benessere comune. Gli articoli della costituzione nei quali è delineato lo schema di intervento dello stato nel settore dell’economia sono in particolare: art. 41, art. 43, art. 44, che definiscono il rapporto fra iniziativa economica e proprietà privata ed intervento dei pubblici poteri in una economia che possiamo chiamare mista e tenendo ad istituire un sistema di economia regolata. La norma costituzionale che caratterizza la nostra forma di Governo come parlamentale è contenuta nell’art. 94, comma 1, il quale dispone che << il Governo deve avere la fiducia delle due camere>>. I commi successivi disciplinano le modalità per la concessione o la revoca della fiducia. Come conseguenza del rapporto fiduciario che si instaura fra il Parlamento ed il Governo, l’art. 95 prevede la responsabilità politica ( davanti alle camere) del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. La direzione della politica generale del Governo è affidata al Presidente del Consiglio. La mancata attribuzione al Presidente della Repubblica di poteri di indirizzo politico fa si, che tali poteri accentrati nel raccordo ParlamentoGoverno. Possiamo quindi definire il tipo di governo parlamentare delineato nella nostra Costituzione << a tendenza equilibratrice>>, che si ha quando nessuno degli organi di indirizzo (Parlamento e Governo) ha assegnata la prevalenza, essendo essi chiamati ad operare in condizioni di parità, pur nella distinzione dei ruoli loro propri. All’opposto dello Stato monarchico, che era rigidamente accentrato, << la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e rimuove le autonomie locali>> (art. 5). In esecuzione di tale principio, la Costituzione ha previsto la creazione di regioni, quali enti autonomi con propri poteri e funzioni (art.115), che si affiancano ai tradizionali enti territoriali minori, province e comuni (art. 114). Alle regioni è stato attribuito il potere di emanare norme legislative in determinate materie ed entro certi limiti, mentre le stesse svolgono funzioni amministrative relativamente alle materie nelle quali possono legiferare ed inoltrare altre funzioni amministrative il cui esercizio è loro delegato con legge dello stato (art.118) Il carattere non confessionale dello Stato italiano discende da quelle norme costituzionali che riconoscono la più ampia libertà di religione e l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose ed escludono che queste possano costituire criterio discriminante fra i cittadini. Per l’art. 8 infatti, << tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge>> e per l’art. 19 << tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata …>> cosi come l’art. 20 stabilisce che << il carattere ecclesiastico ed il fine di religione e di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative …>>. Possiamo in fine affermare che lo Stato italiano è uno Stato laico non perché si disinteressa del problema religioso, bensì nel senso che riconosce l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge. Il nostro Stato si caratterizza per la sua vocazione internazionalistica. In particolare, lo Stato italiano si è impegnato ad uniformare il suo ordinamento alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10, comma 1) ; a disciplinare la condizione giuridica dello straniero in conformità delle norme e dei trattati internazionali ( art. 10, comma 2) ; a concedere lo stesso diritto di asilo (art. 10, comma 3) ; a ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed a consentire, in condizione di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni ( art. 11). LA NOSTRA COSTITUZIONE NELLA SOCIETA’ DELL’INCERTEZZA Le profonde modificazioni intervenute nella società globale ed i riflessi che esse hanno nel nostro Paese hanno determinato l’esigenza di una maggiore velocizzazione delle decisioni. Sorge pertanto il problema di come coniugare i principi di democrazia e partecipazione contenuti nella Costituzione Italiana con lo svilupparsi di una società in cui si manifestano, come asserisce Bauman, le paure postmoderne ed in cui l’incertezza non viene più vinta dalle fabbriche dell’ordine della modernità ( scuole, ospedali, welfare....) ma da ogni individuo con i propri mezzi. E’ questo il quadro in cui faticosamente la società italiana e le forze politiche rappresentate in Parlamento stanno cercando una soluzione per le cosiddette riforme istituzionali, che garantendo i principi fondamentali della nostra Costituzione dovrebbero portare ad un maggiore adeguamento dello Stato alle esigenze del mondo attuale. Ma, fino a che punto è accettabile un “inciucio” nella Costituzione? GIU LE MANI DALLA COSTITUZIONE Dai più diversi pulpiti si susseguono dichiarazioni favorevoli a una “grande riforma” della Costituzione. Esse contribuiscono a trasformare in senso comune questa discutibile opinione: il Paese è bloccato, spezzato, esige da troppi anni una riforma della Costituzione che lo renda governabile, efficiente e moderno. NO! Propongo di ribadire fino a trasformare in patrimonio condiviso delle persone ragionevoli questi semplici concetti: -Il 25 giugno 2006 la gran maggioranza dei votanti ha confermato fiducia alla vigente Costituzione, dicendo NO alla “devolution”, al “premierato forte” e al resto. Occorre rispettare questa decisione. - Prima di essere cambiata, la Costituzione italiana merita di essere difesa, rispettata e attuata. per esempio con riguardo allo status dei partiti (art. 49). - Le priorità dell’Italia sono di ordine morale e politico, non costituzionale. - Può essere necessario provvedere a qualche aggiornamento della Carta, ma in punti specifici, con ampio dibattito nella società e attraverso le procedure ordinarie, previste dall’articolo 138 della Costituzione medesima. - Viceversa non ci sono le condizioni, né storiche né politiche, per metter mano a una “grande riforma delle regole” attraverso apposite commissioni parlamentari o addirittura assemblee costituenti. - Il rischio di nuovi inciuci è dietro l’angolo. Meglio non concedere nuove occasioni ai barattieri. di Piero Ricca Liceo classico F. Fiorentino Progetto creato dagli alunni: Longo Elisabetta con la collaborazione di: Roberta Ferrante, Vanessa Bertuca e Simona Trino. Con l’incoraggiante sostegno di tutta la classe II A e la coordinazione dei docenti: Bruni Daniela (diritto); Leone Augusto (Italiano); Rizzo Anna Maria (storia e filosofia)