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LA CESSIONE D’AZIENDA: TRATTAMENTO FISCALE Arianna Di Salvatore Dottore Commercialista Revisore dei Conti 15.12.2009 LA CESSIONE D’AZIENDA INTRODUZIONE IMPOSIZIONE DIRETTA IRPEF/IRES - DISCIPLINA GENERALE - CASI PARTICOLARI IMPOSIZIONE INDIRETTA IVA IMPOSTA DI REGISTRO (CENNI) IVA E IMPOSTA DI REGISTRO IMPOSTE IPOTECARIA E CATASTALE IMPOSTE E TASSE LOCALI INTRODUZIONE Per meglio comprendere gli aspetti fiscali che riguardano la cessione d’azienda è doveroso definire, innanzitutto, due concetti: Il concetto giuridico di AZIENDA Il concetto giuridico di NEGOZIO DI CESSIONE Quanto alla nozione di azienda l’art. 2555 c.c. la definisce come “IL COMPLESSO DI BENI ORGANIZZATO DALL’IMPRENDITORE PER L’ESERCIZIO DELL’IMPRESA” quanto al concetto vi sono due teorie distinte: LA TEORIA UNITARIA, secondo la quale l’azienda è l’insieme dei beni accomunati da un’unitaria destinazione ( rappresenta la teoria piu’ seguita dalla giurisprudenza) LA TEORIA ATOMISTICA, secondo la quale l’azienda è costituita da una pluralità di oggetti distinti Tornando ora alla definizione del codice civile, è chiaro che fra azienda ed impresa esiste uno stretto legame di mezzo a fine, nel senso che l’azienda è l’apparato strumentale materiale di cui l’imprenditore si serve per svolgere la sua attività di impresa. Essendoci, pertanto, un simile rapporto strumentale si può ben comprendere l’importanza e la necessità della circolazione dei beni che costituiscono l’azienda. Circolazione che può avvenire in via principale con il CONTRATTO DI CESSIONE, di cui parleremo in seguito, soprattutto con particolare attenzione agli aspetti fiscali conseguenti al trasferimento d’azienda. E’ doveroso precisare che la nozione di azienda contenuta nel codice civile non richiede che l’imprenditore sia proprietario dei beni che utilizza per lo svolgimento dell’impresa. A tal riguardo, la dottrina piu’ autorevole parla di irrilevanza del titolo giuridico che legittima l’imprenditore ad utilizzare i beni che costituiscono l’azienda. L’operazione di cessione d’azienda si caratterizza per : 1. Onerosità della transazione, ossia pattuizione di un corrispettivo dovuto dal cessionario al cedente; 2. Trasferimento a titolo definitivo della proprietà dell’azienda; 3. Non comporta la successione nell’impresa: il cessionario acquista la qualità di imprenditore a titolo originario e non derivato. Considerato che alla cessione di azienda si applica un regime giuridico e fiscale particolare, bisogna distinguere il TRASFERIMENTO DI AZIENDA dal TRASFERIMENTO DEI SINGOLI BENI. Nel caso di cessione di azienda si trasferisce un insieme di beni di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività (come sostiene la giurisprudenza piu’ recente). La cessione può essere totale o parziale( ramo di azienda)e può riguardare anche pacchetti azionari. Il corrispettivo della cessione, secondo una teoria restrittiva deve essere costituito da denaro, mentre per la teoria estensiva, può essere rappresentato dal capitale (azioni, conferimento in società, scorporazioni o fusioni) L’azienda, infatti, quale complesso di elementi materiali ed immateriali, organizzato in una individualità oggettiva per la funzione imprenditoriale, può essere oggetto di conferimento sociale con l’effetto dell’automatica cessione dei crediti relativi all’azienda trasferita. (Cassazione 22 gennaio 1999, sentenza n. 577). Il conferimento d’azienda è ammissibile anche in relazione a società di persone. (Cassazione 28 settembre 2004, sentenza n. 19454). Secondo la giurisprudenza prevalente le autorizzazioni amministrative sono insuscettibili di trasferimento, in virtu’ del loro carattere personale (per tutte Cassazione 30 dicembre 2004, sentenza n. 24184). In caso di cessione della gestione della titolarità di un esercizio commerciale si attribuisce solo un diritto del cessionario ad ottenere da parte dell’autorità amministrativa il rilascio di una licenza a lui intestata, nella ricorrenza dei presupposti di legge. art. 2556 c.c.IL CONTRATTO DI CESSIONE D’AZIENDA “per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto. I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di 30 gg, a cura del notaio rogante o autenticante” OSSERVAZIONI: 1. la forma scritta è necessaria solo ai fini della prova dell’avvenuta transazione (ad probationem) e non ai fini della validità delle cessione (ad substantiam), il che significa che il contratto di cessione, anche non scritto, è valido e vincolante tra le parti, ma per essere opponibile ai terzi deve essere depositato nel registro delle imprese. Di fatto non è pensabile che, anche nelle realtà di piu’ modeste dimensioni, il contratto di cessione d’azienda, data la complessità del patrimonio e dei rapporti giuridici che lo caratterizzano, si perfezioni verbalmente, se non altro per poter provare in sede di contenzioso, per entrambi i contraenti, le rispettive ragioni. 2. per il trasferimento di determinati beni compresi nel patrimonio aziendale (art. 1350 c.c., ad es. beni immobili e mobili registrati) o per la particolare natura del contratto è necessario rispettare le formalità tipiche prescritte dalla legge. 3. dal punto di vista giuridico, in sede di contratto non è necessario individuare esattamente i beni oggetto della cessione: essi sono identificabile mediante la loro inerenza all’organizzazione apprestata dall’imprenditore per l’esercizio della propria attività economica, secondo quanto stabilito dall’art. 1346 del c.c. (per la validità del contratto è sufficiente che l’oggetto sia determinato o determinabile). Al contrario bisogna individuare esattamente i beni che si intende escludere. Va da sé che tale pratica nella prassi è inammissibile, per cui è necessario identificare i beni appartenenti al complesso aziendale per mezzo della redazione di inventari. art. 2558 c.c. SUCCESSIONE NEI CONTRATTI L’acquirente subentra in tutti i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, ad eccezione dei contratti aventi natura personale e dei contratti che i contraenti decidono di escludere, tranne i contratti di lavoro. Non è ammessa l’esclusione dei contratti “indispensabili” per l’esercizio dell’impresa. Generalmente quando si parla di cessione di contratto (art. 1406 c.c.) la legge richiede il consenso del terzo contraente: in questo caso, invece, il trasferimento non comporta alcun consenso, avvenendo in maniera automatica, tenendo presente, però, che il secondo comma dell’art. 2558 c.c., prevede che il terzo contraente possa recedere, entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, purché in presenza di giusta causa. Il disposto dell’art. 2558 c.c. è inequivocabile: l’insieme dei beni trasferiti avrebbe ben poca rilevanza se al contempo non fossero stati trasferiti tutti quei rapporti contrattuali (forza lavoro, licenze, contratti di somministrazione, etc.) sui quali si fonda la redditività aziendale. ADEMPIMENTO IN BUONA FEDE : se il contraente ceduto è in buona fede ed adempie la sua prestazione nei confronti di chi ha venduto l’azienda (creditore apparente) è liberato dalla sua prestazione se la vendita non è stata ancora iscritta nel registro delle imprese o è stata omessa. Nel caso contrario dovrebbe provare l’incolpevole ignoranza riguardo al proprio rapporto contrattuale all’azienda ceduta. CONTRATTI DILOCAZIONE: quando l’azienda è esercitata in un immobile condotto dall’imprenditore cedente a titolo di locazione commerciale, la legge prevede che il conduttore che cede l’azienda possa cedere anche il contratto di locazione senza il consenso del locatore, purché ne dia comunicazione al locatore, il quale, per gravi motivi, può opporsi nel termine di 30 gg dalla comunicazione. Il locatore può agire contro il cedente qualora il cessionario non adempia le proprie obbligazioni. Il cessionario conserva il diritto all’indennità di avviamento, già del cedente, in caso di mancato rinnovo del contratto. Il cessionario conserva il diritto di prelazione sull’immobile, già del cedente, in caso di alienazione da parte del locatore. DITTA: l’art.2565 c.c., impone che il trasferimento della ditta deve avvenire insieme all’azienda, ciò non toglie tuttavia che l’azienda possa essere ceduta senza il trasferimento della ditta, salvo il caso di successione mortis causa nel quale, salvo diversa pattuizione testamentaria, la ditta si trasmette sempre al successore. Con riguardo al trasferimento di azienda per atto tra vivi, il contestuale trasferimento della ditta, ai sensi del comma 2 dell’art. 2565 c.c., deve essere oggetto di una distinta manifestazione di volontà negoziale. MARCHIO: è cedibile indipendentemente dall’azienda (art. 2573 comma 1, c.c.). Tuttavia, quando, esso è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto al suo uso esclusivo si trasferisca insieme con l’azienda (art. 2573, comma 2, c.c.). LICENZE ED AUTORIZZAZIONI: di regola non sono trasmissibili, in quanto presentano un carattere personale, tuttavia è possibile che nel contratto di cessione d’azienda il cedente, titolare della licenza, possa rinunciare alle stesse o impegnarsi a favorire la nuova intestazione in capo al cessionario. art. 2559 c.c. CREDITI RELATIVI ALL’AZIENDA CEDUTA: “La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese”. Si tratta dunque di una deroga alla disciplina generale (artt. 1260, 1264, 1265 c.c.) in forza della quale la cessione del credito ha effetto nei confronti del debitore se questi l’ha accettata o gli è stata notificata. continua l’art. 2559 c.c.: “ …tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienanate”. E’ buona regola per l’acquirente mettere a conoscenza i debitori dell’avvenuto trasferimento dell’azienda. I crediti possono essere ceduti PRO SOLUTO o PRO SOLVENDO. I crediti fiscali non si trasferiscono automaticamente: CREDITI PER IMPOSTE DIRETTE (art. 43 bis DPR 602/73 e DM n.394 del 30.09.97): per il trasferimento è necessario che il credito risulti dalla dichiarazione dei redditi e sia stato chiesto a rimborso; la cessione deve avvenire con atto pubblico o scrittura privata autenticata da notificare all’Agenzia delle Entrate ed al concessionario per la riscossione; CREDITO IVA: non è richiesta alcuna procedura particolare, ma è opportuno inserirlo nell’atto di cessione tra i crediti da trasferire. art. 2560 c.c. DEBITI RELATIVI ALL’AZIENDA CEDUTA: “ L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno acconsentito. Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”. OSSERVAZIONI: 1. I debiti dell’azienda possono essere ceduti a seguito di accettazione da parte del cessionario; 2. Il creditore ceduto deve dare la propria adesione, di conseguenza è necessaria la notifica al creditore; 3. L’adesione libera il cedente dall’obbligo del pagamento, che viene trasferito al cessionario; il rifiuto opera nel senso contrario. DEBITI TRIBUTARI: LA RESPONSABILITA’ SOLIDALE DEL CESSIONARIO PER I DEBITI TRIBUTARI L’art. 14 del D.lgs 472/1997 prescrive la responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari. Il legislatore ha voluto tutelare l’Amministrazione Finanziaria, prevedendo due figure distinte di debitore responsabili per il pagamento, ognuno per l’intero. Il cessionario che abbia fatto richiesta all’A.F. di un certificato di esistenza di contestazioni in corso, risulta liberato da ogni responsabilità se entro 40 gg il suddetto certificato non viene rilasciato o se lo stesso non riporta contestazioni. art. 2557 c.c DIVIETO DI CONCORRENZA La ratio dell’articolo è quella di tutelare il cessionario dall’attività concorrenziale del cedente. In ogni caso il riferimento dell’articolo è una nuova impresa, di conseguenza l’alienante potrà continuare l’esercizio di impresa se questa esisteva al momento del trasferimento e se è stato ceduto solo un ramo di azienda. Il divieto di concorrenza non si applica nei seguenti casi: A chi vende un’azienda subito dopo averla acquistata a sua volta per scopo di speculazione; A che vende l’azienda ricevuta in eredità o il legato prima di averla gestita; Al fallito la cui azienda sia stata venduta nell’ambito di una procedura concorsuale; Al coniuge dell’alienante, quando l’azienda ceduta sia stata di proprietà esclusiva di quest’ultimo. ASPETTI FISCALI La cessione di un’azienda o di un singolo ramo di essa, determina l’insorgere di componenti positivi e negativi di reddito che influenzano il risultato di esercizio, sia in ordine alla sua determinazione che riguardo alla tassabilità delle imposte IRPEF, IRES. Allo stesso tempo, il passaggio dell’azienda da un soggetto all’altro obbliga gli interessati ad ottemperare ad una serie di adempimenti in tema di imposte indirette. IMPOSIZIONE DIRETTA IRPEF/ IRES DISCIPLINA GENERALE Nel corso degli ultimi anni sono stati molteplici gli interventi del legislatore tributario in tema di tassazione del reddito derivante da cessione d’azienda, al fine di raggiungere i seguenti obiettivi: RIDURRE IL GRAVAME TRIBUTARIO PER LE AZIENDE CON ATTIVITA’ SUPERIORE A PIU’ ESERCIZI; INTRODURRE LE NORME ANTIELUSIVE, SCONGIURANDO INGIUSTIFICATI VANTAGGI FISCALI, IN ASSENZA DI VALIDE RAGIONI ECONOMICHE; UNIFORMARE LA TASSAZIONE DELLE OPERAZIONI STRAORDINARIE, CON L’INTRODUZIONE DI UN’ALIQUOTA UNICA. L’attività sopradescritta ha comportato la nascita dei nuovi principi che regolano la materia: ABOLIZIONE DELL’IMPOSTA SOSTITUTIVA (Decreto Visco n. 358 del 1997, che ha introdotto nel nostro ordinamento la tassazione uniforme dei redditi derivanti da operazioni straordinarie con l’applicazione di un’aliquota unica pari al 19%); 2. RIDETERMINAZIONE DEI REGIMI DI NEUTRALITA’ FISCALE E REDDITO IMPONIBILE IN MATERIA DI OPERAZIONI STRAORDINARIE; 3. SPOSTAMENTO DELL’ATTENZIONE DALL’AZIENDA ALLE PARTECIPAZIONI. 1. DETREMINAZIONE DELLA PLUSVALENZA Ai fini delle imposte dirette la determinazione della plusvalenza si ottiene confrontando il PREZZO DI VENDITA PATTUITO con il VALORE DEI BENI CEDUTI CHE RAPPRESENTANO L’AZIENDA. Il valore di quest’ultimi non è quello contabile, bensì quello fiscale, di conseguenza valgono le seguenti regole: il valore dei beni strumentali ceduti sarà rappresentato dal costo di acquisto, maggiorato delle rivalutazioni monetarie e di quelle economiche che hanno concorso a formare il reddito, al netto degli ammortamenti effettuati negli anni precedenti e dedotti fiscalmente in sede di determinazione del reddito; Il magazzino sarà determinato in ragione delle quantità effettivamente esistenti alla data di cessione dell’azienda, secondo i criteri indicati dagli artt. 92, 93 e 94 del nuovo Testo Unico delle Imposte sui Redditi; i crediti ed i debiti saranno considerati al valore di iscrizione in bilancio, al netto di eventuali fondi rettificativi; i valori numerari saranno valutati in base alla loro effettiva consistenza; eventuali oneri pluriennali, f.di per rischi futuri, costi capitali ed altri oneri non cedibili concorreranno alla formazione del reddito in base alle regole ordinarie e, nell’ipotesi di cessione dell’unica azienda da parte dell’imprenditore individuale, concorreranno immediatamente alla formazione del reddito. La somma dei valori fiscali così determinati ed il prezzo di cessione dell’azienda, al netto degli oneri finanziari concordati a fronte di possibili pagamenti rateali, rappresentano la PLUS/MINUSVALENZA rilevante ai fini del calcolo delle imposte sui redditi. E’ assai probabile l’ipotesi in cui la plusvalenza iscritta in bilancio non coincida con quella fiscale, se il valore contabile e quello fiscale del bene non è il medesimo. DETERMINAZIONE DELLA PLUSVALENZA NELL’IPOTESI DI AZIENDA AFFITTATA Secondo quanto stabilito dal Ministero delle Finanze nella Circolare n. 72/14552 del 4 novembre 1986, l’imprenditore individuale che affitta l’unica azienda perde la qualifica di imprenditore commerciale. Nessun problema si pone se lo stesso, al termine del contratto di locazione, riacquista la disponibiltà dell’azienda, la qualifica di imprenditore commerciale e successivamente cede a terzi l’azienda. L’ipotesi è piu’ complessa se il proprietario allo scadere del contratto cede direttamente l’azienda al conduttore. In tal caso la cessione viene effettuata da un soggetto che realizza un reddito diverso ai sensi dell’art. 67 del Tuir. In ogni caso, la plusvalenza realizzata, così come sostiene l’appena citato art.67, deve essere determinata secondo il dettame dell’art. 58, ovvero in base alla differenza tra valore fiscale dell’azienda e corrispettivo. - - - - Piu’ in dettaglio, il valore dell’azienda sarà rappresentato da: Valore fiscale dei beni alla data di inizio della locazione; Valore fiscale dei beni acquistati dal conduttore durante la locazione, se espressamente previsto dal contratto; Differenze di inventario tra le consistenze iniziali e finali rispetto alla data del contratto di locazione, aumentate o diminuite di eventuali conguagli in denaro; Ammortamenti dedotti dal conduttore, nell’ipotesi di opzione ex art. 102, comma 8 Tuir. TASSAZIONE DELLE PLUSVALENZE Secondo il disposto del comma 2, art. 86 Tuir: “nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo pattuito o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso. Se il corrispettivo della cessione è costituito esclusivamente da beni ammortizzabili, anche se costituenti un complesso o ramo aziendale, e questi vengono complessivamente iscritti in bilancio allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti, si considera plusvalenza soltanto il conguaglio in denaro eventualmente pattuito.” Prosegue il comma 4: “Le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo Non inferiore a tre anni, o a un anno per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata”. Dalla lettura del comma 2 e del comma 4, si evince con chiarezza l’intento del legislatore di ricomprendere le aziende, intese come universitas rerum, nel concetto di beni. Il che conferma la tesi del Ministero delle Finanze, sostenuta in via interpretativa, nella Risoluzione n.9/199 dell’8 febbraio 1979. La previsione della tassazione rateale, ovviamente, ha il solo scopo di ridurre il carico finanziario in un determinato anno, ma non opera alcuna riduzione della tassazione: si tratta di un semplice rinvio. Sotto il profilo pratico il rinvio della tassazione si manifesta con l’apporto di VARIAZIONI IN DIMINUZIONE, il primo anno, e VARIAZIONI IN AUMENTO, negli anni successivi, in sede di dichiarazione dei redditi (MODELLO UNICO). Es. realizzo una plusvalenza pari a 2000, il primo anno effettuo una variazione in diminuzione di 1800, gli anni seguenti, fino al 4° successivo, una variazione in aumento di 200. E’ opportuno ricordare che alla scelta della tassazione rateale deve seguire un preciso piano (vedi esempio successivo), che non può essere modificato nel tempo e che deve essere effettuato in sede di dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta in cui è stata realizzata la plusvalenza. 1°anno 1 rata 100% 2 rata 50% 2°anno 3°anno 4°anno 5°anno 50% 3 rata 33,33% 33,33% 33,33% 4 rata 25% 25% 25% 25% 5 rata 20% 20% 20% 20% 20% TASSAZIONE DELLE PLUSVALENZE PER LE PERSONE FISICHE Secondo quanto stabilito dall’art. 17, comma 1, lettera g) del Tuir il contribuente può optare per la tassazione separata in luogo di quella ordinaria nei seguenti casi: Qualora le plusvalenze, compreso il valore di avviamento, siano state realizzate per mezzo di cessione a titolo oneroso di aziende possedute da un periodo superiore a 5 anni; Qualora i redditi siano stati conseguiti a seguito di liquidazione, anche concorsuale, di imprese commerciali, con attività superiore a 5 esercizi. Va da sé che la scelta per la tassazione separata deve essere operata sempre in sede di dichiarazione dei redditi (UNICO PF). E’ inoltre importante notare come il legislatore abbia voluto introdurre il riferimento temporale, ovvero il possesso ininterrotto per 5 anni, per evitare che il contribuente possa avere benefici fiscali derivanti dalla tassazione separata per la cessione di aziende costituite da poco. Riepilogando in base al periodo di possesso dell’azienda avremo: Tassazione ordinaria Tassazione ordinaria con rateazione fino a 5 esercizi Tassazione separata Possesso per almeno 5 anni SI SI SI Possesso per almeno 3 anni SI SI NO Possesso inferiore a 3 anni SI NO NO TASSAZIONE DELLE PLUSVALENZE PER LE SOCIETA’ Alle società, sia di persone che di capitali, non si estende l’opzione per la tassazione agevolata, quella separata, prevista per le persone fisiche. L’unico regime applicabile è quello ordinario, in ragione di una precisa scelta operata, di recente, dal legislatore nell’intento di operare una netta distinzione tra le società ed i soci. La disciplina precedente (Decreto n. 597 del 1973), al contrario prevedeva la possibilità di applicare il regime agevolato di tassazione anche alle società di persone. Attualmente per le società commerciali, l’unica agevolazione ammessa è quella della rateazione della plusvalenza, se il possesso dell’azienda supera il periodo di 3 anni (art. 86, comma 4, Tuir). Schematizzando avremo: Tassazione ordinaria Tassazione ordinaria con rateazione fino a 5 esercizi Tassazione separata Possesso per almeno 5 anni SI SI NO (?) Possesso per almeno 3 anni SI SI NO Possesso inferiore a 3 anni SI NO NO TASSAZIONE AGEVOLATA PER I SOCI Fermo restando quanto sostenuto fin’ora, vi è un’ipotesi in cui, stante alcune precise condizioni, il legislatore riconosce la tassazione separata: Art.17, comma 1, lettera l, possono essere tassati separatamente:” redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell’articolo 5 (*) nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso o dell’esclusione, la delibera di riduzione del capitale sociale, la morte del socio o l’inizio della liquidazione è superiore a cinque anni”. (*) Società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice In questo caso il legislatore pone l’attenzione, oltre che sul possesso protratto per almeno 5 anni, sulla circostanza che la società si trovi in una particolare situazione, come ad esempio, la liquidazione ordinaria. CONSOLIDATO FISCALE NAZIONALE Il D.Lgs 344/2003 relativo al consolidato fiscale nazionale (artt. 117-119 Tuir) ammetteva la possibilità di effettuare cessioni di aziende o di rami aziendali tra società rientranti nello stesso gruppo, senza che venissero realizzate plus/minusvalenze fiscalmente rilevanti. Tuttavia tale disciplina non ha mai trovato riscontro nella circolare n.53/E del 2004, ma solamente in un articolo apparso sulla rivista telematica, fiscooggi del 20.10.2004, firmato da A. Mastroberti, dal titolo “Effetti del consolidato. Il regime di neutralità per i trasferimenti infragruppo”. La finanziaria 2008, è intervenuta disponendo l’assoggettamento ad imposta sostitutiva della differenza tra valori civili e valori fiscali delle società aderenti al consolidato fiscale al netto delle rettifiche già operate. ADEMPIMENTI DICHIARAZIONE DEI REDDITI: i termini di presentazione sia per il cessionario che per il cedente restano quelli normalmente in vigore; DICHIARAZIONE DEI SOSTITUTI DI IMPOSTA: nell’ipotesi in cui alla cessione d’azienda o di un ramo di essa, consegua il trasferimento del personale dipendente, senza interruzione del rapporto di lavoro, l’acquirente dovrà operare le ritenute sulla base di quanto fatto dal cedente, effettuare il conguaglio di fine anno, rilasciare il CUD, indicare nel mod. 770, tutti i dati relativi ad ogni singolo dipendente, compresi quelli di competenza del cedente; Il cedente deve compilare il modello 770 con i dati relativi al personale ceduto. ACCONTI DI IMPOSTA: l’acquirente determina gli acconti in relazione al reddito conseguito nell’anno precedente, non tenendo conto del maggior reddito, mentre il cedente può ridurre gli acconti in ragione del fatto che conseguirà un reddito minore a seguito della cessione. CASI PARTICOLARI REDDITO DA LIQUIDAZIONE D’IMPRESA L’art.17, comma 1, lettera g) Tuir stabilisce che i redditi derivanti dalla liquidazione di un’impresa individuale sono assoggettabili a tassazione separata, allorquando l’impresa commerciale è esercitata di piu’ di 5 anni. E’ questo il caso di un soggetto che esercita un’attività di commercio al dettaglio a Firenze dal 1998; nel 2003 decidere di cedere la sua attività e di acquistarne un’altra a Genova, dove, nel frattempo, si è trasferito. Nel 2005 cede anche l’attività di Genova. La plusvalenza conseguita da quest’ultima cessione non può essere assoggettata all’imposta sostitutiva. Il contribuente potrà, però, scegliere di passare attraverso la fase di liquidazione dell’impresa, esercitata fin dal 1998, ed assoggettare, dopo aver provveduto a tutti gli adempimenti del caso (lettera a.r. all’Agenzia delle Entrate) il reddito conseguito a tassazione separata. Un’ultima differenza tra reddito derivante da cessione d’azienda e reddito derivante da liquidazione dell’impresa è rappresentata dal fatto che nel secondo caso è possibile assoggettare a tassazione separata tutto il reddito conseguito, non soltanto le eventuali plusvalenze realizzate. DETERMINAZIONE DELL’ALIQUOTA Abbiamo visto che i redditi, in caso di cessione d’azienda e di liquidazione dell’impresa, possono essere assoggettati a tassazione separata. L’imposta viene determinata applicando all’ammontare conseguito, l’aliquota prevista per la metà del reddito complessivo netto dichiarato dal contribuente nel biennio anteriore. Per fare un esempio: 2005 REALIZZO LA PLUSVALENZA REDDITO DI RIFERIMENTO REDDITO 2003 + REDDITO 2004/ 2 ALIQUOTA DI RIFERIMENTO quella in vigore nel 2005 N.B. Vale il principio di competenza ed inoltre non sono dovute imposte addizionali in quanto calcolate sul reddito complessivo. Sui redditi soggetti a tassazione separata è dovuto un ACCONTO DI IMPOSTA pari al 20% (art. 1, comma 3, Dl 31 dicembre 1996 n. 669), da versare con le stesse modalità e scadenze previste per le imposte sui redditi dovute a saldo. Rispetto agli altri acconti, questo rappresenta un’anticipazione di imposte vera e propria che, secondo quanto è stabilito dall’Amministrazione Finanziaria nella circolare n. 25/E del 1997, è dovuto in ogni caso. Qualora il versamento a saldo dovesse risultare inferiore, l’ufficio è tenuto alla restituzione dell’eccedenza. PAGAMENTO DILAZIONATO DEL PREZZO Gli interessi percepiti non concorrono alla formazione della plusvalenza, ma devono essere tassati separatamente, secondo il dettato dall’art. 6 del Tuir che recita: “gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati”. COSTITUZIONE DI RENDITA VITALIZIA Numerose sono le problematiche che si presentano quando si verifica una cessione d’azienda con la contestuale costituzione di una RENDITA VITALIZA, in luogo del pagamento del prezzo. La normativa fiscale non dà luogo a dubbi: i presupposti per la tassazione di una plusvalenza conseguente alla cessione d’azienda sono: CESSIONE A TITOLO ONEROSO e REALIZZO DELLA PLUSVALENZA. La mancanza di un introito a fronte della cessione ha scatenato la giurisprudenza che si è pronunciata in diverse occasioni ( Commissione Tributaria Centrale, sez. XXII, decisione n. 1206 del 15.02.1990; Commissione Tributaria Provinciale di Modena, sentenza n. 417 del 2.04.2002; Commissione Tributaria Centrale, sez. XXI, sentenza n.3384 del 26.05.1999; Commissione Tributaria Regionale di Bari, sez. XXVI, Sezione Staccata di Foggia, sentenza n. 101 del 26.10.2004; Commissione Tributaria Regionale di Bologna , sez. VIII, sentenza n.63 del 17.05.2005) tutte orientate a far emergere l’assenza del presupposto e, soprattutto, l’aleatorietà e l’indeterminatezza della rendita vitalizia, correlata all’esistenza in vita del beneficiario. CESSIONE DELL’IMPRESA FAMILIARE Dalla lettura combinata degli art. 230-bis c.c. (i soggetti partecipanti all’impresa familiare hanno il diritto ad ottenere una quota degli incrementi dell’azienda, anche in riferimento all’avviamento) e 5 Tuir ( i redditi dell’impresa familiare, limitatamente al 49% del loro ammontare desumibile dalla dichiarazione dei redditi, devono essere imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività nell’impresa) si evince che la plusvalenza derivante dalla cessione dell’impresa familiare deve essere imputata a tutti i partecipanti, secondo quelli che sono i diritti civilistici agli stessi spettanti. Tale affermazione comporta notevoli problemi pratici relativi alla determinazione degli incrementi verificatisi ed attribuibili ai singoli componenti l’impresa. A tal proposito è intervenuto il Ministero delle Finanze che, con la Circolare n. 320 del 19 dicembre 1997, ha stabilito che l’operazione di liquidazione dei diritti dei collaboratori non ha rilevanza tributaria, stante la natura personale degli stessi. Meno problematico è il caso di cessione di azienda coniugale. In tal caso, infatti, la plusvalenza realizzata viene attribuita al 50 % fra i due coniugi quando l’azienda è stata costituita da entrambi; in misura direttamente proporzionale alla quota spettante ed agli incrementi di valore avvenuti a partire dalla data di cogestione. SUCCESSIONE E DONAZIONE D’AZIENDA Particolare attenzione è stata rivolta dal legislatore alla materia, nell’intento di azzerare definitivamente il problema della tassazione. Finché si è giunti alla stesura del nuovo art.58, comma 1, Tuir: “…il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti del dante causa. I criteri di cui al periodo precedente si applicano anche qualora, a seguito dello scioglimento, entro 5 anni dall’apertura della successione, della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi….”. La ratio della norma è chiara: vi è una sospensione della tassazione, rinviata al momento della eventuale successiva cessione. La neutralità fiscale persiste anche nell’ipotesi di scioglimento della società, entro 5 anni dall’apertura della successione, costituita tra gli eredi, con assegnazione dell’azienda ad uno solo di essi. Ciò non vale per le donazioni. Infine se l’erede/ donatario affitta l’azienda, il reddito ottenuto rientra tra i redditi diversi previsto dall’art. 67, comma 1, lettera h)-bis del Tuir. (Corte di Cassazione, sentenza n. 353 del 23 gennaio 1990). NUOVI SCENARI Con la riscrittura del Tuir, per poter sfruttare le opportunità previste dal legislatore in materia di cessione di aziende o di rami di esse, è necessario procedere ad una riformulazione dell’impianto costruttivo dell’operazione. In particolare ci si può focalizzare sulla cessione delle partecipazioni, piuttosto che sulla cessione delle aziende. Nella pratica, ad esempio, è assai comune l’operazione di conferire l’azienda in una società esistente, anche se creata per l’occasione, e cedere in un momento successivo le partecipazioni ricevute a fronte del conferimento. Utilizzando la disciplina della PEX (Partecipation Examption), ex art. 87 DPR n. 917 del 22 dicembre 1986, prevista per le società e gli enti commerciali indicati all’art. 73 del Tuir, si potrà usufruire della detassazione del 95% della plusvalenza realizzata. La legge Finanziaria del 2008 ha introdotto novità in tema di cessione d’azienda o vendita di partecipazioni, che devono essere prese in considerazione per il calcolo della convenienza economica e fiscale di tali operazioni: Soggetti IRES, con partecipazioni in regime di PEX, esenzione pari al 95%; Soggetti IRPEF, con partecipazioni in regime di PEX, tassazione della plusvalenza pari al 40%,che sale al 49,72%, se realizzata successivamente al 31.12.2008. In realtà dalla lettura dell’art. 107 del Tuir, che disciplina il conferimento neutrale, si determina l’innescarsi di un meccanismo assai complicato che tuttavia si traduce in un rinvio al futuro dell’imposizione fiscale, e non, come si sperava, in una riduzione della stessa. IMPOSIZIONE INDIRETTA IVA IMPOSTA DI REGISTRO (CENNI) IVA E IMPOSTA DI REGISTRO IMPOSTE IPOTECARIA E CATASTALE IMPOSTE E TASSE LOCALI IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la cessione d’azienda non è considerata una cessione e, pertanto, è un’operazione che esula dalla base imponibile, con la conseguenza che non vi sono obblighi di fatturazione, registrazione e dichiarazione. L’art. 2, comma 3, lettera B) del DRP 633/1972 dispone: “ non sono considerate cessioni di beni le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa”. Del resto l’IVA assoggetta a tassazione definitiva la circolazione di beni, quando gli stessi giungono al consumatore finale. Tuttavia, sebbene il dettato della norma è così chiaro, la sua concreta applicazione è abbastanza controversa. - - Può accadere, per esempio, che il contribuente qualifichi una cessione come cessione di beni, mentre l’Amministrazione Finanziaria vi ravveda una cessione d’azienda. Il contribuente che, nel frattempo, avrà applicato l’Iva, in luogo dell’imposta di registro dovrà: chiedere il rimborso dell’Iva indebitamente versata all’erario; pagare l’imposta di registro, con l’applicazione delle dovute sanzioni; Dal canto suo, il cessionario, avendo detratto l’imposta, dovrà riversarla all’erario ed attendere che il cedente gli restituisca l’importo addebitato in precedenza. Sarà il caso, pertanto di valutare bene di volta in volta, l’operazione che vogliamo realizzare, in tal caso potrebbe esserci di sicuro aiuto una sentenza della Corte di Cassazione (n. 24913 del 2008) che ravvede la cessione d’azienda allorquando LA CAUSA DEL CONTRATTO IN OGGETTO E’ IL TRASFERIMENTO DI UN COMPLESSO DI BENI STRUMENTALI CHE “ANCHE SOLO IN VIA POTENZIALE SIANO ATTI, NEL LORO COMPLESSO O NELLA LORO INTERDIPENDENZA, ALL’ESERCIZIO DI UN’IMPRESA”. ADEMPIMENTI CEDENTE IMPRENDITORE INDIVIDUALE: entro 30 gg deve provvedere a chiudere la partita IVA (art.35 DPR 633/72); CESSIONARIO SENZA PARTITA IVA: entro 30 gg deve provvedere ad aprire la partita IVA (art.35 DPR 633/72); Salvo diversa pattuizione tra le parti, il contratto di cessione d’azienda prevede il passaggio del diritto ad acquistare beni e servizi senza applicazione dell’imposta (cosiddetto PLAFOND IVA); DICHIARAZIONI: Circolare 188/E, 16 luglio 1998 Subentro dell’acquirente nel credito/debito IVA espressamente previsto nell’atto di cessione UNICA DICHIARAZIONE presentata dal cessionario Subentro dell’acquirente nel credito/debito IVA non previsto nell’atto di cessione DUE DICHIARAZIONI presentate dal cessionario e dal cedente ognuno per il periodo di propria competenza Infine, il cessionario che inizia la propria attività a seguito dell’operazione di cessione non è tenuto al versamento di alcun ACCONTO. In caso contrario dovrà versarlo ma solo per l’attività svolta precedentemente. IMPOSTA DI REGISTRO Poiché tra IVA ed Imposta di registro vale il principio dell’alternatività (art.40 Testo Unico sull’imposta di registro DPR 131/86), le cessioni di azienda sono soggette ad Imposta di registro nella misura del 3% del valore netto di cessione, ossia quello dichiarato nell’atto dalle parti, ad esclusione degli immobili ai quali si applica l’aliquota ordinaria (8 o 7%). IVA E IMPOSTA DI REGISTRO Il principio appena ricordato dell’alternatività tra Iva ed Imposta di registro, attribuisce a quest’ultima la caratteristica di tributo residuale rispetto all’Iva, di conseguenza: - ATTI NON ASSOGGETTABILI AD IVA: IMPOSTA DI REGISTRO PROPORZIONALE; - ATTI ASSOGGETTABILI AD IVA: IMPOSTA DI REGISTRO FISSA; Torna la considerazione che abbiamo fatto in precedenza circa l’attenta valutazione dell’operazione che stiamo realizzando. E’ opportuno verificare se stiamo ponendo in essere un’operazione che ha ad oggetto la cessione frazionata dell’azienda e,quindi, vendiamo i singoli beni che la compongono, anche a diversi soggetti, oppure vendiamo il complesso aziendale nel suo insieme. Nel primo caso applichiamo l’Iva e l’imposta di registro in misura fissa, nell’altro solo l’imposta di registro in misura proporzionale. Una volta stabilito, dunque, che si tratta di una cessione di azienda o di un ramo della stessa, è necessario individuare la base imponibile per il calcolo dell’imposta di registro. L’art. 51, ultimo comma, DPR 131/86 afferma che la base imponibile è data dal valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, al netto delle passività riscontrabili dai libri obbligatori o da atti aventi data certa, ai sensi del c.c. E’ opportuno ricordare che l’azienda è composta da diversi beni, seppure legati fra loro da un vincolo unitario. Per ognuno dei suddetti beni vi è una differente aliquota ai fini dell’imposta di registro. Riepilogando bisogna individuare nell’ordine: i beni, il loro valore, l’aliquota applicabile. Nella pratica sono assai frequenti i casi di dissimulazione di contratti di cessione d’azienda: la vendita frazionata non comporta costi aggiuntivi per le parti, visto che l’Iva rappresenta una partita di giro per entrambe. E’ ovvio che il Fisco ponga particolare attenzione a suddette operazioni, per verificarne la corretta applicazione dell’imposta. A tal riguardo è bene ricordare che esiste una consolidata giurisprudenza che piu’ che far emergere la volontà delle parti, tende a valutare il reale risultato ottenuto con il contratto di cessione, andando oltre la loro natura. Di seguito le principali decisioni della Commissione tributaria centrale e le sentenze della Corte di Cassazione: Decisione n. 404 del 16.1.1983 Sez. XV Ctc; Decisione n. 652 del 7.5.1983 Sez. XXIV Ctc; Decisione n. 3270 del 5.4.1985 Sez. XIV Ctc; Decisione n. 7610 del 14.11.1988 Sez. XIV Ctc; Decisione n. 6353 del 17.12.1996 Sez. XXVII Ctc; Decisione n. 485 del 5.2.1998 Sez. XXVI Ctc; Sentenza n. 4319 del 28.4.1998 Sez. I Corte di Cassazione; Decisione n. 6875 dell’1.10.2002 Sez. I Ctc; Sentenza n. 11457 del 30.5.2005 Corte di Cassazione; Tale interpretazione ha indotto gli Uffici Finanziari ad agire con un indiscriminato e sistematico disconoscimento della libera volontà contrattuale delle parti, ravvisando un’operazione di cessione d’azienda anche allorquando risulta chiara l’intenzione delle parti di alienare solo una serie di beni materiali. Il che sotto il profilo dell’Iva genera una situazione neutra tra erario, acquirente e alienante, creditori e debitori reciproci di una somma pari all’Iva in contestazione. Ai fini dell’imposta di registro, in rispetto del principio di alternatività di cui sopra, gli effetti sono limitati alla differenza tra importo dovuto in misura proporzionale ed importo versato in misura fissa. Effetti devastanti si registrano per l’acquirente dei singoli beni che, vedendosi attribuire la qualifica di cessionario d’azienda, ai sensi dell’art. 2560 c.c. diventa debitore in solido con il cedente per tutti i debiti dell’azienda ceduta. IMPOSTA IPOTECARIA E CATASTALE Quando l’azienda ceduta comprende beni immobili, sono dovute anche le imposte ipotecaria e catastale (D.lgs n. 347 del 31 ottobre 1990), in misura proporzionale. IMPOSTA IPOTECARIA 2% IMPOSTA CATASTALE 1% Se nell’atto il valore degli immobili non è espressamente indicato, la base imponibile è data dal loro valore corrente, diminuito solo del valore dell’avviamento. IMPOSTE E TASSE LOCALI Un suggerimento riguardo l’IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI: è opportuno che nell’atto di cessione sia indicato che tale imposta, per l’anno in cui è avvenuta l’operazione, è a carico delle parti proporzionalmente al periodo di possesso.