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Matteo Motolese Istituzioni di storia della lingua italiana (Linguistica italiana) Settore L-FIL-LET/12 – I semestre Informazioni su ricevimento, programmi, esami: http://www.lettere.uniroma1.it/users/matteo-motolese Lezione I Exaceratis quodam modo vulgaribus ytalis, inter ea que remanserunt in cribro comparationem facientes honorabilius atque honorificentius breviter seligamus. [DVE I, xii, 1] Liberati in qualche modo dalle scorie i volgari italiani, passiamo a confrontare quelli che sono rimasti nel setaccio e scegliamo rapidamente quello che merita e conferisce più onore. [trad. M. Tavoni] Et primo de siciliano examinemus ingenium: nam videtur sicilianum vulgare sibi famam pre aliis asciscere eo quod quicquid poetantur Ytali sicilianum vocatur, et eo quod perplures doctores indigenas invenimus graviter cecinisse, puta in cantionibus illis Ancor che l'aigua per lo foco lassi et Amor, che lungiamente m'hai menato. [DVE I, xii, 2] E per primo interroghiamoci sul siciliano: è evidente infatti che il volgare siciliano attira a sé fama superiore agli altri perché tutto ciò che scrivono in poesia gli italiani si chiama siciliano, e perché troviamo che molti maestri siciliani hanno cantato con solennità, per esempio nelle canzoni Ancor che l'aigua per lo foco lassi e Amor, che lungiamente m'hai menato. [trad. M. Tavoni] Sed hec fama trinacrie terre, si recte signum ad quod tendit inspiciamus, videtur tantum in obproprium ytalorum principum remansisse, qui non heroico more sed plebeio secuntur superbiam. [DVE I, xii, 3] Ma questa fama della terra di Trinacria, se guardiamo bene a quale bersaglio punta, appare esser rimasta in vigore solo a vergogna dei principi italiani, i quali seguono la superbia non al modo degli eroi ma al modo dei plebei. [trad. M. Tavoni] Siquidem illustres heroes, Fredericus Cesar et benegenitus eius Manfredus, nobilitatem ac rectitudinem sue forme pandentes, donec fortuna permisit humana secuti sunt, brutalia dedignantes. Propter quod corde nobiles atque gratiarum dotati inherere tantorum principum maiestati conati sunt, ita ut eorum tempore quicquid excellentes animi Latinorum enitebantur primitus in tantorum coronatorum aula prodibat. [DVE I, xii, 3] E certo quegli eroi luminosi, Federico imperatore e il suo degno figlio Manfredi, spandendo la nobiltà e la dirittura del loro spirito, finché la fortuna lo permise perseguirono ciò che è umano, sdegnando ciò che è da bruti. Per questo, quanti erano nobili di cuore e ricchi di qualità si sforzarono di restare vicini alla maestà di principi tanto grandi, sicché ai loro tempi tutto ciò che partorivano gli spiriti più insigni fra gli italiani vedeva la luce nella reggia di quei sovrani. [trad. M. Tavoni] Post hec veniamus ad Tuscos, qui propter amentiam suam infroniti titulum sibi vulgaris illustris arrogare videntur. Et in hoc non solum plebeia dementat intentio, sed famosos quamplures viros hoc tenuisse comperimus: [DVE I, xiii, 1] Dopo di che veniamo ai toscani, i quali, ingordi della loro dissennatezza, pretendono di arrogarsi il titolo del volgare illustre. E in ciò non vaneggia solo il sentire del popolino, ma sappiamo che hanno questa convinzione anche tanti uomini famosi: [trad. M. Tavoni] puta Guittonem Aretinum, qui nunquam se ad curiale vulgare direxit, Bonagiuntam Lucensem, Gallum Pisanum, Minum Mocatum Senensem, Brunectum Florentinum, quorum dicta, si rimari vacaverit, non curialia sed municipalia tantum invenientur. [DVE I, xiii, 1] per esempio Guittone Aretino, che mai s'indirizzò al volgare curiale, Bonagiunta Lucchese, Gallo Pisano, Mino Mocato Senese, Brunetto Fiorentino, i versi dei quali, se ci sarà spazio per frugarci dentro, si riveleranno non curiali ma solo municipali. [trad. M. Tavoni] Et quoniam Tusci pre aliis in hac ebrietate baccantur, dignum utileque videtur municipalia vulgaria Tuscanorum sigillatim in aliquo depompare. [DVE I xiii 2] E poiché i toscani più degli altri delirano in questa ubriachezza, sembra giusto e utile sgonfiare i volgari municipali della Toscana, uno per uno, in qualcosa. [trad. M. Tavoni] Locuntur Florentini et dicunt Manichiamo introcque, che noi non facciamo altro. Pisani: Bene andonno li fanti de Fiorensa per Pisa. Lucenses: Fo voto a Dio ke in gassarra eie lo comuno de Lucca. Senenses: Onche renegata avess'io Siena, ch'ee chesto? Aretini: Vuo' tu venire ovelle? De Perusio, Urbe Veteri, Viterbio, nec non de Civitate Castellana, propter affinitatem quam habent cum Romanis et Spoletanis, nichil tractare intendimus. [DVE I xiii 2-3] Sed quanquam fere omnes Tusci in suo turpiloquio sint obtusi, nonnullos vulgaris excellentiam cognovisse sentimus, scilicet Guidonem, Lapum et unum alium, Florentinos, et Cynum Pistoriensem, quem nunc indigne postponimus, non indigne coacti. [DVE I xiii 4] Ma, benché quasi tutti i toscani siano arrochiti nel loro turpiloquio, riteniamo che alcuni abbiano conosciuto l'eccellenza del volgare, e cioè Guido, Lapo e un altro, fiorentini, e Cino da Pistoia, che nominiamo ingiustamente per ultimo, costretti da una ragione non ingiusta. [trad. M. Tavoni] Itaque si tuscanas examinemus loquelas, et pensemus qualiter viri prehonorati a propria diverterunt, non restat in dubio quin aliud sit vulgare quod querimus quam quod actingit populus Tuscanorum. [DVE I xiii 5] Perciò, se esaminiamo le parlate toscane, e consideriamo come gli uomini più insigni si sono distaccati dalla propria, è indubbio che il volgare che cerchiamo è altro da quello a cui arriva il popolo toscano. [trad. M. Tavoni]