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IL SISTEMA MONDOel`occhio realista
IL SISTEMA MONDO E L’OCCHIO REALISTA Disamina di testi letterarî dell’Ottocento alla luce di Auerbach, Mimesis L’ESATTEZZA COME ESIGENZA ETICA “mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare, non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni di insoddisfazione di cui posso rendermi conto”. (Calvino, Lezioni americane) Anche per sentire fino in fondo la pregnanza (per la ragione e per il sentimento) e la bellezza del vago e dell’indefinito leopardiani occorrono attenzione e precisione Di esattezza necessita l’occhio realista. Gustave Flaubert (1821-1880), uno dei grandi maestri del realismo ottocentesco, nonché l’iniziatore del naturalismo, ha detto “le bon Dieu est dans le détail”, con riferimento a quanto di indispensabile per pervenire a un intendimento del mondo sia presente negli anfratti della realtà. Stendhal, 1783 Grenoble - 1842 Parigi, autore di Le rouge et le noir (1830) e La chartreuse de Parme (1837) Balzac, 1799 Tours – Parigi 1850) autore di Eugénie Grandet, Père Goriot (1833, 1834) ovvero della Comédie humaine (137 opere comprendenti romanzi realistici, fantastici, filosofici, ma anche racconti, saggi, studi analitici e novelle, a volta raggruppate in un solo titolo, secondo le edizioni. I testi sono classificati per ambiente sociale, per luoghi geografici o per categorie psicologiche, scene di vita privata, scene della vita di provincia, riunite in insiemi generici, studi di costume, studi analitici, studi filosofici. La scrittura dell'insieme si estende dal1831, con La pelle di zigrino, al 1850, con le opere incompiute alla sua morte e completate da Charles Rabou Nell’Avant-propos della Comédie humaine, apparso nel 1842 Balzac inizia la presentazione della sua opera con una similitudine fra il regno animale e la società umana, ispirandosi alle teorie di Geoffroy Saint-Hilaire, il biologo che, sotto l’influsso della contemporanea filosofia tedesca della natura, aveva sostenuto il principio dell’unità tipica dell’organizzazione, cioè il concetto che nell’organizzazione delle piante (e degli animali) esista un piano generale. L’idea è che il Creatore (come lo chiama lui) abbia utilizzato un unico prototipo per tutti gli esseri organizzati, che si differenziano poi per adattamento all’ambiente. L’analogia con la biologia gli serve per distinguere l’uno dall’altro i milieu. Balzac decide di scrivere la storia del costume, che secondo lui sarebbe sempre stata trascurata (dimentica Voltaire, ma cita come unico predecessore Petronio e indica in Walter Scott uno scrittore che si sta impegnando nella stessa direzione). Ha anche l’ambizione di essere un moralista classico, talvolta si trovano in lui reminiscenze di La Bruyère, ma è soprattutto nel contesto del racconto che si trovano le sue migliori sentenze morali. Jean de La Bruyère fu scrittore moralista (Parigi i 1645 - Versailles 1696). Nel 1688 pubblicò, anonima, la sua grande opera Les caractères de Théophraste, traduits du grec, avec les caractères ou les moeurs de ce siècle, il cui titolo, che farebbe pensare a poco più che una traduzione di Teofrasto, in realtà preso solo a modello, sembra quasi volerne nascondere o attenuare l'assoluta originalità. Il libro ebbe un grande successo e otto edizioni (definitiva la nona ed., del 1699, arricchita di molte aggiunte) mentre l'autore era ancora in vita. Fra i moralisti francesi del sec. 17º, La B. si distingue per uno spirito di osservazione attento, preciso, che conferisce ai suoi ritratti un possente rilievo, fra ironico e drammatico; egli non espose una filosofia sistematica, ma, attraverso l'analisi dei costumi della propria epoca, espresse in modo lapidario verità generali di un calmo, rassegnato pessimismo, rivelandosi fautore di una monarchia forte e di un cattolicesimo ortodosso. Accolto, in seguito a qualche contrasto, nell'Académie française (1693), prese parte alla Querelle des Antiques et des modernes come difensore degli scrittori antichi. - La simulazione (La Bruyère) 1 La simulazione, a considerarla nelle sue linee generali, parrebbe essere una finzione in peggio di atti e di parole; e il simulatore 2 un tale che, incontrando i suoi nemici, suole conversare con loro e non mostrare odio; e loda, quando sono presenti, quelli che alle spalle ha attaccati, e si conduole con loro, quando hanno la peggio; ed usa indulgenza con quelli che sparlano di lui e per le cose che si dicono per fargli dispetto. 3 E discorre affabilmente con quelli che hanno avuto.3 un torto e sono sdegnati; ed a chi vuol parlargli con urgenza, dice di ripassare. 4 E non ammette niente di quello che fa, ma assicura che sta ancora prendendo una decisione; e finge d'essere arrivato allora allora, che si è fatto tardi, che a lui è sopraggiunto un malessere. 5 Ed a quelli che chiedono denaro in prestito o che fanno una colletta, dice che non ha nulla da vendere, ed all'incontro, quando non ha intenzione di vendere, dice che vende. E se ha sentito dire qualcosa, finge di non aver sentito; se ha visto, dice di non aver visto; se ha ammesso qualcosa, dice di non ricordarsene. E di certe cose dice che ci sta pensando su; di altre, che non ne sa niente; di altre, che se ne meraviglia; di altre, che anche lui, una volta, era già di quell'idea. 6 Ed insomma è uomo da usare siffatti modi di dire: «Non ci credo», «Non mi pare», «Resto sbalordito», «Di sé dice che è diventato un altro», «Eppure non erano questi i discorsi che faceva a me», «Per me il fatto è veramente strano», «Raccontala a un altro», «Sto in dubbio se io debba negarti fede o giudicare male di lui». 7 Ma guarda che tu non corra troppo a prestar fede a tali espressioni, arzigogoli e frasi contraddittorie, di cui niente di peggio si può trovare. Ed invero dalle indoli non schiette, ma subdole bisogna guardarsi più che dalle vipere. Stendhal, col sottotitolare Le rouge et le noir come Chronique du dix-neuvième siècle mostra di intendere la sua attività artistica e inventiva come un’interpretazione della storia, anzi addirittura una filosofia della storia. Secondo Auerbach, prima di Stendhal e di Balzac non si trova nulla di così consapevole e esatto, e il secondo supera notevolmente il primo nel collegamento organico fra l’uomo e la storia: concezione e prassi sono del tutto storicistiche. “Ce ne seront pas des faites immaginaires; ce sera ce qui se passe partout ». L’invenzione non attinge dalla fantasia ma dalla realtà quale si presenta ovunque, ripresa in tutti i suoi aspetti, compresi i bassi e volgari, prendendoli tutti sul serio, addirittura tragicamente. C’è in loro però una caratteristica destinata a cambiare radicalmente a metà secolo, con Flaubert e la nascita del naturalismo: il moralismo. Da Flaubert in poi, il realismo diventa imparziale, impersonale e obiettivo, come ben risulta leggendo Madame Bovary (1856) “Ma era soprattutto all’ora dei pasti, che lei non ne poteva più, in quella stanzuccia a pianterreno, con la stufa che faceva fumo, la porta che cigolava, i muri trasudanti, le mattonelle umide; tutta l’amarezza dell’esistenza le sembrava scodellata nel suo piatto e, col fumo del lesso, salivano dal fondo del suo animo altri vapori di squallidezza. Carlo era lungo a mangiare, lei sgranocchiava qualche nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si divertiva a fare con la punta del coltello delle righe sulla tela incerata.” (G. Flaubert, Madame Bovary) L’ufficio dello scrittore consiste nella scelta dei fatti e nella loro traduzione in linguaggio letterario. La scena di cui sopra è effettivamente eloquente per illustrare questo nuovo modo scrivere: mostra marito e moglie a tavola, la più comune situazione che si possa rappresentare. In altre epoche sarebbe potuta essere una scena da commedia, da farsa, da idillio, da satira. Qui essa è un quadro dell’insofferenza, non momentanea, ma cronica, che domina totalmente tutta la vita di Emma Il romanzo è fatto di quadri quotidiani, di indugi su gesti e parole comuni, che restituiscono lo stato in sé confuso di interiore insofferenza di Emma, che trascina una vita monotona e comune, una vita grigia e qualunque. Il mondo intorno a loro non è differente: mediocrità, stoltezza, incomprensione dominano sovrane, la realtà è stupida e la letteratura la rappresenta brutalmente, ossia nella sua bruta espressione. Ai Promessi sposi, romanzo storico e realista, manca un fondamento politico. L’intento dell’Autore, esplicito fin dall’incipit che contiene l’espediente del manoscritto ritrovato, è quello di esprimere soprattutto una visione esistenziale e religiosa del mondo, che si colloca in un contesto storico accuratamente delineato, ma con una continuo rimando (che viene fatto per bocca dell’Autore onnisciente) alla dimensione universale, morale, teologica.