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dispensa - Comune di Naso
COMUNE DI NASO Corso di informatore turistico DISPENSA Docenti: Angelica Nuccio – Provvidenza De Leo. Naso, si erge su una collina dalla quale si godono molte variate e suggestive vedute: mare, fiume, allate, paesaggi, isole, vulcani. Domina, come una terrazza, il mare Tirreno e le isole Eolie. Essa è chiamata, sin dall'antico, Agatirso, Naxida, Nesos, Naso; a motivo, probabilmente, della sua ubicazione, ebbe prima il nome di Naso dal vocabolo greco Nesos che ha il significato di "isola", isolato, anche se probabilmente il nome derivi dal fiume che la cinge. La posizione di altura permetteva un efficace controllo della viabilità e del territorio, elemento di primaria importanza anche per l'edificazione dei conventi dei Minori Osservanti e dei Cappuccini, costruiti fuori del nucleo abitato. Ruggiero II concesse una parte di Naso alla famiglia Barresi e l'altra parte della città era amministrata dal Vescovo. Venne poi venduta nel 1570 alle famiglie Grimaldi e Ventimiglia. Il Ventimiglia riunì il potere a Naso e nel 1582, per volere di Filippo II, divenne conte di Naso: la città passò da terra baronale allo stato di contea (1575); l'Università di Naso era amministrata dal conte che aveva giurisdizione civile e penale sugli abitanti, un fondamentale privilegio che a partire dal 1610, con l'aggravarsi delle condizioni economiche del regno spagnolo, insieme alla licentia populandi fu messo in vendita. Nel 1642 Naso acquisì il titolo di città per l'importanza che aveva raggiunto. Il conte di Naso rimase comunque proprietario della «torre di guardia, del castello» e del santuario di Capo d'Orlando oltre che del castello di Naso; gravemente danneggiate dai terremoti del febbraio 1783 e del marzo 1786, il conte avrebbe dovuto restaurare a proprie spese queste fabbriche, per cui non furono annoverate fra le opere pubbliche soggette alla perizia dei due tecnici incaricati dal governo reale. Il sisma del 1823 provocò ingenti danni all'abitato di Naso tanto da fare ipotizzare il trasferimento della città nella zona costiera chiamata Ponte Naso, e ridi segnò la parte meridionale dell 'urbano. In ottemperanza alla legge del 20 marzo 1865 Naso diede un nome alle vie, numerandole e redigendone un elenco; le strade principali erano tre: via Alighieri, poi corso Umberto I, via della Libertà e via del Castello, poi via Amendola. Alcuni anni prima, nel 1863, data la necessità di portare avanti un vasto programma di lavori pubblici e, fra questi, la costruzione e la «riparazione» di strade comunali era stata attivata una tassa sul commercio che prevedeva la distinzione dei commercianti in quattro classi. Venne inoltre aperta una nuova via rotabile che metteva in comunicazione piazza Vittorio Emanuele, oggi Francesco Lo Sardo, con la strada provinciale; furono portati avanti numerosi lavori stradali quali, ad esempio, la sistemazione del largo del Duomo con la relativa strada fino al castello, a congiungere con la provinciale la piazzetta Umberto I, già largo S. Sebastiano, e la strada che dal largo Duomo tramite via Alighieri arrivava a largo Ruggiero Settimo, ora Gaetano Parisi e Parisi, volgeva al Belvedere Grande e poi sul piano del SS. Salvatore e da questo, ritornava in alto, alla piazza Vittorio Emanuele. Questo programma di interventi condotto dal Comune, che interessò le vie interne ed esterne alla città, portò alla ricostruzione della residenza municipale in seguito alla sua riduzione planimetrica dovuta all'ampliamento dell'innesto in piazza Vittorio Emanuele di via Alighieri. . Nel 1871 si rese necessaria la costruzione delle strade intercomunali,individuando la priorità del collegamento Capo d'Orlando-Naso a Randazzo. Il sindaco, inoltre, facendo seguito alla stessa legge del 20 marzo 1865, decise di fare liberare le strade interne e le piazze della città dai numerosi materiali, «pezzi di pietra, ed altri oggetti di costruzione», detriti dovuti al crollo delle abitazioni private dopo il terremoto del 1783 e del 1823, che le ingombravano da oltre un trentennio non solo perché le «deturpano» ma perché dietro a questi «materiali si elevano sterquilini e pisciatoi, che ammorbano l'aria e danneggiano la pubblica salute»; gli stessi materiali furono confiscati per impiegarli ad uso pubblico. Nell'aprile 1884, quando Naso e il «centro secondario di Capo d'Orlando» erano regolati da due diverse Commissioni di edilizia nominate fin dal 1872 per porre maggiore attenzione a «che i nuovi fabbricati siano fatti con ordine e senza offendere l'ornato pubblico», venne approvato il nuovo regolamento edilizio che obbligava i proprietari degli edifici posti lungo il tratto della strada rotabile provinciale che attraversava l'abitato, di intonacare e tinteggiare le «facciate in pietra o in laterizio o lavoro di quadro», di demolire ballatoi e scalini sporgenti sulla via pubblica e di «incanalare le acque piovane, quando appaiono incomodo al transito»; venne inoltre deciso di far togliere «tutte le mostruosità per disordine di aperture, indecenza o altro contrarie all'ornato». Nel marzo 1893 il Consiglio comunale, a integrazione del Regolamento di Pubblica utilità del 1884, obbligò i proprietari delle case alla sistemazione delle grondaie nelle vie principali della città. Nel febbraio 1910 per il «progresso» della città il Consiglio comunale deliberò di dotare la città dell'acqua potabile e dell'illuminazione elettrica, due servizi di grande rilevanza per il decoro e l'igiene dei cittadini e «fonte di ricchezza per il Comune che, dal canone di uso dell'acqua potabile e della luce, per parte dei privati, dedotte le spese di esercizio, ritrarrebbe un utile tale da risolvere tutte le difficoltà e le angustie del proprio bilancio»; Per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico ancora «assai primitivo», nel 1928 il podestà Gioacchino Xilone stipulò un contratto con la ditta Minciullo di Capo d'Orlando per il sollevamento «meccanico elettrico ell'acqua» della sorgente posta a valle, nellacontrada Feudo. Venne inoltre previsto anche l'ammodemamento del sistema di illuminazione, ancora in parte ad acetilene e in parte a petrolio, e «tenuto in economia». Il Comune era provvisto di una fognatura che, pur non essendo costruita con sistemi moderni, aveva un buon funzionamento. Fra gli anni Venti e Trenta in contrada Grazia fu progettato dall'ingegnere Carlo Busacca il campo sportivo, con gli spogliatoi in stile decò. Nel corso del XX secolo il centro abitato ha subito diverse trasformazioni all'interno del tessuto preesistente, a causa dei danni provocati dal terremoto del 1908, dalla frana del 1931 e ancora dal sisma del 1978. La città si è ampliata verso la zona meridionale di Bazia, verso ovest in contrada Grazia, verso nord lungo la via che conduce al convento dei Minori Osservanti, nelle cui vicinanze sono state edificate alcune scuole e un ospedale, e lungo la direttrice per Capo d'Orlando con la contrada Cresta. La zona settentrionale e quella occidentale continuano a mantenere l'assetto viario medioevale, anche se la configurazione di alcune strade è mutata a causa della demolizione di alcuni edifici. GLI EDIFICI STORICI QUARTIERE CASTELLO E CHIESA MADRE Nel primo trentennio del Seicento, Naso risulta essere una terra «fertilissima et abbondante d'ogni cosa pertinente al vitto» e dedita alla produzione di seta, di frumento, di olio e di vino, in un territorio ricco soprattutto di ulivi e di gelsi e fra le attività principali, l'allevamento del baco da seta. Nell'organizzazione della città l'area del mercato delle grasce e dei grani e il mercato del bestiame avevano luogo in diverse sedi, dentro e fuori le mura, L'area del mercato della carne fino al Settecento si sviluppava a ridosso della cortina muraria in cui si apriva la Porta Marchesana, in corrispondenza dell' arrivo della strada; la città era divisa in molti quartieri che traevano nome dalle rispettive chiese. Naso era cinta da un alto circuito murario che si sviluppava lungo tutto il lato occidentale e meridionale, solo in parte nel lato orientale per la presenza di precipizi; un tratto dell'antica via Libertà fino al 1865, a memoria delle antiche mura, si chiamava Piano delle Mura. In corrispondenza delle direttrici stradali generatrici, sulle mura, che nel 1630 furono munite di torri di difesa andate distrutte nel Settecento a causa dei terremoti, si aprivano cinque porte: a nord la Porta Nuova poi porta Convento, che costituiva l'ingresso settentrionale al paese, l'arrivo della strada di collegamento con la costa e con i Minori Osservanti; a est la Porta Varrica, che guardava verso la campagna, andata perduta durante i terremoti del XVIII secolo; sul lato sud-est, la Porta Piazza in direzione Bazia, che fino ai primi del Novecento permetteva di accedere allargo della chiesa Madre, dove aveva luogo una delle più importanti fiere di Naso in onore dei Santi Filippo e Giacomo. Altre due porte si aprivano in corrispondenza del tracciato viario sud occidentale, la Porta Marchesana, ingresso alla città anche dal borgo Bazia per la strada del Soccorso, che terminava nel lato occidentale del castello; nelle sue vicinanze si trovava Porta Castello che per la via Libertà conduceva alla Porta del Convento. . Il tessuto viario all'interno della cinta muraria, specialmente nella zona meridionale dove si sviluppò il primo nucleo del paese, a causa dei diversi sconvolgimenti naturali, nel corso dei secoli più di altre zone ha subito profonde trasformazioni. Tale nucleo doveva essere densamente edificato tra la massa emergente del castello, della chiesa Madre e della chiesa di San Pietro, costruita ante 1438. Il castello, situato quasi all'estremità della parte meridionale della città, ricostruito più volte a causa dei danni provocati dai sismi, alla fine del Cinquecento già versava in uno stato di degrado tale da indurre, nel 1576, il conte Carlo Ventimiglia a decidere di trasferire la propria residenza nell'antico monastero delle Benedettine, in uno spazio urbano dominante, che costituiva il cuore della città, il Piano del Monastero, Il castello, situato quasi all'estremità della parte meridionale della città, ricostruito più volte a causa dei danni provocati dai sismi, alla fine del Cinquecento già versava in uno stato di degrado tale da indurre, nel 1576, il conte Carlo Ventimiglia a decidere di trasferire la propria residenza nell'antico monastero delle Benedettine, in uno spazio urbano dominante, che costituiva il cuore della città, il Piano del Monastero, In seguito al terremoto del 1613 il castello aggravò ulteriormente le proprie condizioni e fu oggetto di numerosi interventi da parte della famiglia Cibo; Nella seconda metà dell'Ottocento, il castello era ormai un «maestoso edificio, per cui venne demolito e una parte dell' area, quella relativa il carcere, fu occupata dal teatro dedicato a Vittorio Alfieri, costruito nella seconda metà dell'Ottocento. Sull' antico terrapieno del castello, alto circa cinque metri dal livello del giardino adiacente, fu invece costruito palazzo Musarra. Lo spazio urbano in cui si trova il palazzo, denominato piazza Garibaldi, già Largo Castello, nel 1882 fu oggetto di lavori di «spiazzamento» lungo la linea del parapetto che venne costruito in pietra, intonacato e tinteggiato, su progetto dell'ingegnere del Genio Civile Augusto Merluzzi, e dotato di balaustre in ferro. Nel 1897 in piazza Castello, che risulta essere «la più bella e la più vasta del paese di Naso», vennero collocate due «colonne di ghisa a uso di fanali della Fonderia Archimede di Messina»; in questo periodo la città era illuminata da sedici «fanali». A nord- ovest di palazzo Musarra si estendeva un terreno di loro proprietà destinato ad area fabbricabile che in seguito verrà acquistato dal Comune per costruire la palazzina degli Uffici comunali, affidandone la progettazione all'ingegnere messinese Pietro Colonna, e successivamente gli alloggi popolari. Ancora oggi nello slargo posteriore al palazzo degli Uffici comunali è visibile un tratto delle mura del castello. Fino agli anni sessanta dell'Ottocento, in prossimità di palazzo Piccolo Natoli, poi Giuffrè, si trovava l'antica chiesa di San Sebastiano, gravemente danneggiata dai sismi del 1786 e 1823; il Municipio per procedere ai lavori di risanamento e di ampliamento degli spazi urbani che modificarono anche la rete viaria interna, acquisì con una pratica che aveva avuto inizio nel 1866, A ridosso del San Sebastiano si trovava la chiesa di San Pietro che, a causa dei gravi danni subiti dai terremoti del 1823 e del 1908 e dalla frana del 1931 , fu demolita assieme all'adiacente campanile nel 1932, realizzando un spazio vuoto che dapprima venne sistemato su due livelli dando luogo a una piazza sopraelevata pedonale, piazza Dante, e negli ultimi decenni del Novecento è diventata una strada allo stesso livello, chiusa nel lato sud dall'ex albergo Miravalle già Peculio frumentario, da uno spazio aperto in cui si trovava l'ospedale di S. Giovanni di Dio, demolito in seguito ai danni del terremoto del 1978. Piazza di S. Michele poi di S. Sebastiano e attualmente piazza Dante, fino al Cinquecento era un nodo urbano di grande significato in quanto costituiva il fulcro delle direttrici verso porta Castello e porta Marchesana, e aveva come quinte il castello e San Pietro dei Latini; dalla fine del Cinquecento tale importanza venne acquisita da piazza di Filippo, oggi Francesco Lo Sardo.Altri interventi mirati a realizzare ampi spazi urbani erano stati già effettuati nell'area compresa fra la facciata di San Pietro e la chiesa Madre, con la demolizione ottocentesca dell'isolato che aveva subito gravi danni durante il sisma del 1823, andando così ad ampliare e a rialzare il piano di calpestio della «piazzetta» antistante il duomo, realizzando una piazza che si ampliò ulteriormente nel Novecento con la demolizione di San Pietro. La differenza di quota fra l'antica «piazzetta» e l'attuale piazza è rilevabile nel lato nord di quest'ultima, di fronte alla casa adiacente il prospetto principale della chiesa Madre, che negli anni Trenta era di proprietà Cuffari. Nella primavera del 1927 si decise di coprire l'area dell'ex chiesa di San Pietro e dell'adiacente campanile, che dovevano essere demolite, e quella di piazza Castello con una selciatura «o basolatura», un intervento che faceva parte dei lavori di consolidamento di questa parte dell'abitato resosi necessario dal movimento frano so del 1919. negli anni Trenta venne costruita la Casa del Fascio, A partire dal 1941 fu edificato l'edificio delle scuole elementari sul lato della piazza in cui sorgeva il monastero di Santa Caterina, costruito nel 1628, e un edifico distinto in tre piani, occupato al pianterreno da botteghe fra cui il caffè Avvenire, che dal 1892 manteneva « per tutto l'anno la neve a comodo del pubblico in specie degli ammalati». Tra gli anni Sessanta e Settanta fu costruito l'attuale edificio comunale, per il quale venne redatto un progetto che prevedeva l'utilizzo dei diritti a mutuo che il Comune aveva sugli edifici di sua proprietà danneggiati dal terremoto del 1908: la piazza venne ad assumere così l'aspetto di uno spazio allungato, delimitato da una teoria di edifici pubblici. PALAZZO PER UFFICI – Via Amendola,1 Nel 1870, dopo l'incendio dell'edificio destinato a sede comunale, e soprattutto dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 che obbligò alla riorganizzazione degli uffici di pubblico servizio, si inizia a parlare a Naso dell'edificazione di un nuovo palazzo comunale investendo i fondi derivanti dai «diritti a mutuo in dipendenza dei fabbricati danneggiati e distrutti dal terremoto». Il progetto realizzato è sostanzialmente diverso rispetto a quello redatto negli anni Venti: un nuovo gusto razionalista, molto semplificato, tipico delle architetture della metà del XX secolo subentra a scapito dell' originario linguaggio architettonico fortemente legato ai più significativi episodi della ricostruzione messinese post terremoto del 1908, che trova importanti richiami nella sede comunale della vicina Gioiosa Marea. TEATRO VITTORIO ALFIERI Il teatro comunale Vittorio Alfieri rappresenta una delle testimonianze più significative della cittadina di Naso, non tanto per il pregio delle sue linee architettoniche neoc1assiche ma soprattutto per il valore culturale dell'attività artistica che lo ha fortemente caratterizzato per quasi un secolo. Sorge all'ingresso ~ principale della città in una parte dell'urbano di notevole rilevanza storica, in parziale sovrapposizione all'antico castello. Più articolato e tipicamente neoc1assico è il primo dei due ordini che scandiscono la facciata dove quattro colonne incorniciano il portale principale posto lungo l'asse centrale della facciata in bozze di pietra artificiale, oggi intonacate ma probabilmente in origine realizzate ad imitazione cromatica della pietra naturale, e sorreggono una trabeazione aggettante. Completamente intonacato e architettonicamente più leggero è invece il secondo ordine, scandito da tre finestre equi distanti, poste in asse con quelle del primo livello. L’interno fa riferimento ad un allestimento all'italiana a pianta elI ittica, troncata perpendicolarmente all'asse maggiore, articolato in altezza da «quattro ordini di palchi». nel 1920 il commissario concede l'autorizzazione a trasformare l'edificio in una sala cinematografica. Si apre a questo punto una fase molto travagliata per la vita del teatro che vede il succedersi di molti interventi di ristrutturazione e trasformazione. Tutta l'impalcatura dei tre ordini di palchi e della muratura di base viene demolita e sostituita da una platea con «tribuna soprastante»; il boccascena subisce un ampliamento attraverso la parziale demolizione delle murature che limitano il palcoscenico per permettere lo svolgimento di spettacoli di arte varia: tutti questi lavori portano alla perdita dell'impianto originario e probabilmente conduce, a partire dal 1947, il teatro Alfieri ad assumere un ruolo marginale all'interno delle iniziative culturali di Naso fino al totale abbandono. PALAZZO MUSSARRA, Via Amendola,2 L'edificio, costruito nella prima metà dell'Ottocento, fu venduto a Giuseppe Giuffrè nel 1867 che per volontà testamentarie lo assegnò alle figlie Susanna e Marietta. Fu Giuseppe Musarra, marito di Marietta, a dare inizio nel marzo 1885 ai lavori di restauro e di completamento del palazzo, che assunse l'assetto attuale, l'intervento ricostituì i volumi essenziali del mastio del castello. La grande dimora, considerata «la casa più signorile dell'abitato di Naso», si sviluppa su tre piani e presenta un impianto quadrangolare articolato su due giardini, di cui quello posto a est è stato ceduto dai Musarra al Comune per adibirlo a giardino pubblico; un'ampia terrazza circonda su tre lati il piano nobile, alla sommità del terrapieno. L'ingresso al palazzo sembra conservare memoria dell'antico accesso al mastio del castello dal momento che si apre sul lato ovest dell'edificio, quello che doveva essere il cortile della 'fortezza'. I lavori di restauro, realizzati dopo il terremoto del1978 e portati avanti dalla nuova proprietà, hanno alterato la distribuzione interna, modificato il cromatismo delle facciate che caratterizzava il palazzo nel contesto urbano, e l'architettura esterna con l'eliminazione delle aggettivazioni decorative e la costruzione delle paraste in lastre di pietra. Lo stemma dei Musarra di Naso in Marmo bianco, murato alla fine dell’ottocento sul portone principale di accesso al palazzo, è stato ricollocato dalla nuova proprietà nel piano terreno, sotto la ringhiera della terrazza. PALAZZO PATEMITI, Via della Libertà,3 Il palazzo, che nei documenti dei primi del Novecento risulta essere una «abitazione signorile» divisa in appartamenti, ha subito nel corso del XX secolo modifiche nella redazione esterna delle finestre e nella distribuzione degli spazi interni. Si può ritenere che il primo impianto dell'edificio sia stato costruito, a partire dal 1878, a ridosso del castello andando a saturare spazi nel lato tergale, e inglobando strutture murarie che facevano parte dell'antico organismo. La scala principale interna prende luce da ocuIi prospettici posti all' interno di lunette, in cui trovavano posto le candele per l'illuminazione notturna. PALAZZO PARISI, Via Mazzini L'edificio, prospetta su via Mazzini e via Libertà; lateralmente si apriva un vicolo, chiuso dopo il 1877, di cui rimane memoria nell'arco in laterizio a sesto ribassato, ora tamponato. E' un edificio di pianta irregolare, articolato in tre piani e distinto in due unità con accessi separati, utilizzati come abitazioni privati dei figli di Nicolo Parisi Lipari. La facciata principale su via Mazzini, in conci di pietra squadrati e intonacati, è decorata con motivi a graffito e a stucco, eseguiti presumibilmente agli inizi del Novecento; dello stesso periodo anche i balconi con ringhiera in ferro battuto in stile liberty come le mensole. I tre portali d'ingresso in via Mazzini, di cui quello centrale evidenziato dallo stemma Parisi in grave degrado, sono in pietra arenaria, con intagli nei dritti e motivi floreali nei semipennacchi dell'arco e nel concio in chiave. I cantonali sono risolti con elementi architettonici in conci di pietra arenaria intonacati, conclusi superiormente da motivi decorativi, da considerare come soluzione linguistica figurativa e risposta ai problemi statici dovuti ai ripetuti eventi sismici. PALAZZO GIUFFRE’ (PICCOLO). Nel 1898, quando venne acquistato da Vincenzo Giuffrè, il palazzo era costituito da due corpi di fabbrica attorno ad una corte, in cui era presente la tipica scala escuberta. Il palazzo è stato edificato alla fine dell'Ottocento su un impianto cinquecentesco di proprietà Piccolo, costituito da «case grandi in più corpi» in prossimità dell'antica chiesa di San Sebastiano e nelle vicinanze della chiesa di San Pietro. Nel 1884, quando venne approvato il Regolamento edilizio, Antonino allineò «la prospettiva del suo nuovo fabbricato in costruzione agli archi di S. Sebastiano, con lo spigolo laterale della distrutta chiesa di S. Pietro», chiudendo da quella parte il 'chiasso S. Pietro', già soppresso dal Municipio per ragioni igieniche ed edilizie, e che dopo la demolizione della chiesa di San Pietro sarebbe stato sostituito da una nuova strada diretta di collegamento di largo Bellini con largo delle Poste. Nel 1896 una parte del secondo piano era stata data in affitto per cinque anni all'arma dei Carabinieri. In occasione del matrimonio dei figli Giuseppe e Anselmo, il palazzo fu diviso in tre appartamenti. I fratelli dopo il terremoto del 1908, viste le condizioni in cui versava il palazzo ne deciserò la ristrutturazione. Il progetto prevedeva interventi sostanziali che andavano a modificare radicalmente la distribuzione interna e i collegamenti verticali, a scapito della corte interna. In questo modo si venivano a determinare nel palazzo quattro appartamenti distinti, due per piano, con una organizzazione distributiva razionale diversamente dalla situazione esistente, dove le distinzioni abitative risultavano alquanto caotiche. La modifica planimetrica più drastica riguardava l'eliminazione dell'androne antico e quindi del ricco portale aperto su via Mazzini, con la valorizzazione dell'ingresso, già esistente, su piazza Dante. Quest’ultimo progetto che non trovò realizzazione. L'accesso al palazzo prospettante su via Mazzini ancora oggi è segnato dal portale ad arco trapezio, in conci di pietra decorati con volute ed elementi vegetali, che si presume provenga dalla chiesa o dal complesso monastico di San Sebastiano, come l'arco dell'androne di accesso alla Corte; molto originale risulta il motivo delle bugne ad x, poco diffuso in Sicilia. Il concio in chiave del portale è evidenziato da una voluta in marmo sulla cui base è riportata la scritta 1515 et iterum 1717, l'una presumibile data di fondazione della chiesa della omonima confraternita, l'altra, l'anno del suo completamento dopo i danni del terremoto del 1693. Sull'asse centrale della trabeazione del portale è murato lo stemma degli Joppolo Ventimiglia, Stemma probabilmente proveniente dai resti del Castello. Sulla stessa facciata, il cantonale serba memoria del sisma del 1739, che provocò gravi danni al palazzo. I prospetti sono conclusi in chiave classicheggiante da un fregio dorico con cornicione aggettante. Il palazzo nella seconda metà del Novecento, in seguito alla vendita e ad un ulteriore frazionamento, è stato oggetto di profondi interventi che hanno modificato sostanzialmente la distribuzione interna dell 'impianto originario mentre sono stati conservati i due accesi su piazza Dante e via Mazzini. CHIESA SAN SEBASTIANO La prima notizia relativa l'antica chiesa di San Sebastiano, sede della omonima compagnia, , risale agli ultimi decenni del Cinquecento, quando l'edificio religioso, trasformato in un monastero per il trasferimento delle Benedettine, divenne sede abitativa della famiglia Ventimiglia, conti di Naso. San Sebastiano andò distrutta durante il terremoto che il 9 e l'Il gennaio 1693 colpì la Sicilia orientale; Naso infatti rimase fra le città più danneggiate della diocesi di Messina. Nell' ottobre dello stesso anno si diede inizio alla ricostruzione della chiesa, a navata unica con tre cappelle distinte dall'aula mediante arcate ricostruite nel 1694, anno in cui venne rifatta anche la copertura voltata ad incannicciato su cui, nel 1701, «Sebastiano di Giovanne pittore» stese una decorazione pittorica attorno alla tela con il San Sebastiano che trovò posto nella specchiatura centrale del soffitto. Nella chiesa si trovava anche il quadro con San Martino, restaurato nel dicembre del 1697, e la statua di San Sebastiano, che veniva portata in processione con le reliquie del santo, con la partecipazione del clero e delle altre compagnie nel giorno della sua festività. La cappella di San Sebastiano, che si presume fosse quella maggiore, era voltata come quella dedicata al SS. Crocifisso, e decorata con stucchi; lo stesso apparato decorativo plastico, realizzato nel 1697 da Antonio La Donna e dai suoi figli, ornava l'aula e gli altari. Nel 1700 furono acquistati «i maduni per lo pavimento della chiesa», calcina e venne messo in opera il nuovo portale ligneo intagliato. L'anno seguente venne rifatta anche la facciata della chiesa, sulla quale si aprivano due finestre, e si diede inizio al campanile; la piccola chiesa si apriva sulla piazza di S. Sebastiano, intitolata a S. Michele fino al 1555. I registri riferiscono anche la realizzazione di paramenti e di addobbi nell'interno della chiesa in «damasco negro», in occasione di alcune celebrazioni In seguito ai danni provocati dal terremoto del 5 febbraio 1783 alla chiesa Madre, il Santissimo Sacramento e le reliquie di quest'ultima furono trasferite nella chiesa di San Sebastiano. Il terremoto del 1823 portò Naso ad una «devastazione quasi totale» e il San Sebastiano fu ridotto allo stato di rudere. Il Comune nel 1866 decise di cedere ad Antonino Natoli Piccolo, proprietario della casa adiacente l'antico complesso religioso, l'area degli «archi della diruta chiesa di S. Sebastiano», «nell'interesse dell'ornato e finanza comunale» dal momento che questi erano «situati in un punto che può dirsi il cuore del paese», con l'obbligo di costruire «sui resti un solaio di legname o a volta», in cambio dell'acquisizione del suo magazzino «diruto», per allargare «i sistemare il Piano Principe Umberto». Si ritiene che il portale del palazzo ad arco trapezio sia quello del San Sebastiano, costruito alla fine del Seicento. EX CASA DEL FASCIO Diversamente da molte Case del Fascio degli anni Venti, che furono realizzate con un carattere tipicamente 'storicista', con il rigore architettonico tipico del periodo, quella di Naso costruita ex novo dopo il 1936 è caratterizzata da un'architettura razionale in linea con le ricerche progettuali dell' epoca. La presenza in facciata dei riferimenti a tematiche celebrative del regime: il Fascio Littorio, l'Aquila imperiale, l'arengario con su scritto "Credere, Obbedire, Combattere", murato sul prospetto laterale volto verso l'ingresso alla città, fece in modo che questo 'faro' del fascismo fosse un elemento distintivo della piazza, in cui prendeva avvio corso Littorio, poi Umberto I. Il partito nazionale fascista, tra il 1922 e l'inizio del secondo conflitto mondiale, costruì sull'intero territorio nazionale e nei possedimenti coloniali oltre undicimila case del fascio generalmente su iniziativa locale. In realtà la Casa del Fascio era già in costruzione e nell'ottobre erano stati assegnati fondi alla locale segreteria del fascio combattenti per l'erezione di una lapide in ricordo dei caduti del primo evento bellico mondiale, da sistemare sulla facciata del nuovo edificio dal momento che fino a questo momento il Comune non era riuscito a trovare i fondi per un monumento. In seguito venne murata sul prospetto anche quella commemorativa dei caduti del secondo evento bellico mondiale. Dopo la caduta del fascismo, il palazzo, come tutti gli edifici del medesimo periodo, divenne sede di uffici comunali. CHIESA SAN PIETRO DEI LATINI Nello spazio compreso tra la Casa del Fascio e largo Bellini si trovava la chiesa di San Pietro dei Latini, già demolita negli anni trenta del Novecento, una delle chiese più importanti di Naso. sarebbe stata fondata non oltre il XVI secolo, a tre navate su colonne di pietra, con ingresso posto ad ovest, verso largo S. Sebastiano. L'edificio, in seguito al sisma del 25 agosto 1613, viene totalmente ricostruito ed ampliato. La nuova fabbrica seicentesca era divisa in tre navate, con colonne di muratura che sostenevano le arcate e la cupola, come si evince da un dipinto del XVIII secolo. All'interno è documentata la presenza di tredici altari, di cui uno dedicato al SS. Crocifisso, uno a San Gaetano, un altro dedicato a Maria SS. del Riparo e un altro ancora a San Giovanni Evangelista; . Il sisma del 1739 danneggiò le strutture del campanile, gli archi e la cupola della chiesa e rase al suolo la sacrestia. Il terremoto del 1783 creò danni tali che si dovette trasferire il culto nella chiesa di San Giovanni di Dio all'interno dell'Ospedale dei Bianchi. Il successivo evento tellurico avvenuto nel 1786 arrecò ulteriori danni alla chiesa e al campanile e, in seguito al sisma del 1823, la fabbrica risulta ormai in «gran parte abbattuta». Sul campanile, alto 25 metri circa per 8 di base, nel 1879, trovò posto l'orologio pubblico. Dopo il terremoto del 1908, i residenti nelle abitazioni limitrofe, temendo imminente il pericolo di crollo, ne chiesero la demolizione insieme alla chiesa. Il comune si divise in due fazioni, una che chiedeva il restauro per entrambi, l’altra la demolizione. Alla fine sul suo terreno ebbe vita la casa del fascio. EX ALBERGO MIRAVALLE L'immobile, che attualmente occupa l'area dell'antico Peculio, è stato realizzato tra il 1943 e il 1950 con funzione di albergo. Il peculio frumentario, altro non era che il deposito di grano per i periodi di carestia, che distribuiva alla popolazione i viveri in cambio di piccole somme di denaro. Per una migliore gestione dello stesso, ogni anno venivano nominati 2 amministratori del bene comunale che avevano il compito di acquistare la materia prima e distribuirla a chi ne facesse richiesta. Nel consiglio comunale dell'ottobre 1891 l'amministrazione del Peculio frumentario viene riunita a quella della Congregazione della Carità per «maggiore tutela, economia e garanzia». Da questo momento in poi l'ente andrà sempre più declinando fino alla sua dismissione che avverrà negli anni quaranta del Novecento. Il primo piano dell’edificio venne in seguito utilizzato come piccolo teatro. UFFICIO TURISTICO La «sala operatoria», è l'unica parte ancora esistente dell'antico ospedale di S. Maria della Pietà, risalente alla seconda metà del Cinquecento, in parte demolita dopo il sisma del 1978 creando quel vuoto urbano limitrofo la «sala operatoria». Il fronte principale, unico esempio nasitano di neogotico, è serrato da due cantonali e diviso in due ordini; nell'ordine inferiore, sull'asse centrale si apre la porta di accesso conclusa da un arco ogivale, e due finestre; l'ordine superiore è scandito da tre aperture al disopra delle quali si imposta una trabeazione aggettante. Al piano terra oggi è ospitato l'ufficio turistico comunale; all'interno un piccolo altare in muratura memoria dell'antica chiesa di San Michele, che occupava l'area. L'ospedale fondato nel 1384 accanto alla chiesa della SS. Trinità, venne trasferito nelle case limitrofe alla chiesa di San Michele nel 1555. La cura dell'ospedale fu assegnata alla Compagnia dei Bianchi, istituita a Naso nel 1572 da Carlo Ventimiglia; da questo momento entrò nell'uso anche la denominazione di Ospedale dei Bianchi. La Compagnia dei Bianchi operò fino al 1681, quando la cura dell'ospedale venne trasferita ai padri ospedalieri di S. Giovanni di Dio. I padri ospedalieri manterranno la cura dell'ospedale fino al 1866, anno della soppressione dell'ordine; l'amministrazione dell'ospedale fu trasferita alla locale Congregazione della Carità e risulta attivo ancora nel 1940. L'ospedale, danneggiato dal sisma del 1908, venne restaurato. Da questa data il nucleo dell' ospedale risulta costituito dalla «Sala Operatoria» e dalla piccola cappella interna; fu rialzato di un piano e venne riordinata la facciata in forme neogotiche. Dalla documentazione fotografica si evince come questo edificio fosse ad una unica elevazione fino al 1924 e presentasse un piccolo campanile a vela, forse ad evidenziare gli spazi dove si trovava la chiesa; fino al recente restauro, al disotto dell'attuale paramento murario erano ancora visibili gli antichi cantonali seicenteschi. CIRCOLO AGATIRSIO Su largo Giovanni Bellini, già del Tocco, si affaccia il circolo cittadino Agatirso fondato nel 1868 nell'area che anticamente ospitava il Monte di Prestanza. L'edificio, di modeste dimensioni, all'esterno non è caratterizzato da nessun elemento decorativo. L'ingresso principale è quello che si apre su largo Bellini che dà accesso al salone principale ancora arredato con mobili d'epoca; seguono le sale di lettura e la sala da biliardo. . Il sisma del 1783 non ha arrecato gravi danni alla struttura, permettendo al suo interno la realizzazione di un altare per il trasferimento del culto officiato nella gravemente danneggiata chiesa del SS. Salvatore. A cavallo del 1880 il «casino di compagnia» è ancora incompleto, ma già sulla volta del salone si ammirano «splendide pitture» ispirate all' Amleto, eseguite dal milazzese Luigi FIeri e, sulle pareti laterali, bozzetti rappresentanti paesaggi del pittore De Gregorio da S. Lucia. I restauri del 1935, eseguiti per risolvere i danni del terremoto del 1908, determinano la distruzione delle decorazioni. SCUOLE ELEMENTARI L'edificio, che presenta una copertura piana praticabile, si articola su tre livelli, uno seminterrato costruito sfruttando il dislivello del terreno, distribuito in cinque vani, e due piani fuori terra articolati complessivamente in sedici ambienti, di cui undici adibiti ad aule scolastiche, che si affacciano all'esterno con ampie finestrature e sono distribuite lungo un corridoio a L. Nel lato ovest il prospetto è caratterizzato da una torretta che permette il collegamento verticale fra i diversi piani. L'accesso principale si apre su piazza Roma, quello secondario sul lato nord. Le facciate si qualificano nello spazio urbano della piazza per il cromatismo del laterizio del paramento contro il grigio della pietra arenaria del piano inferiore e delle fasce marcapiano. L'area dell'edificio scolastico era anticamente occupata dal monastero delle Benedettine, costruito intorno al 1628 per volere della contessa Flavia Cibo La Rocca; la scelta di questo spazio urbano nel tempo è risultata poco idonea in quanto più soggetto rispetto altri, agli effetti dei numerosi sismi portandolo agli inizi del Novecento al completo degrado. i svariati sismi, porteranno ad una mutazione completa dell’impianto monastico che ospitava parte della scuola, fino alla chiusura dello stesso per inagibilità, con la ricollocazione scolastica in altra sede più idonea. IL MONASTERO DI CLAUSURA DELLE BENEDITTINE. Il monastero di clausura delle Benedettine risulta documentato negli anni settanta del Cinquecento, quando Carlo Ventimiglia, essendo il castello ormai non adatto a residenza familiare, decide di trasferirsi nel monastero femminile che si trovava nel centro della città, adiacente a quello che non a caso veniva chiamato Piano del Monastero e che di lì a poco assumerà il nome di piazza di Filippo. Le suore vennero trasferite in un nuovo complesso adiacente la piccola chiesa di San Sebastiano, ed in seguito vicino la chiesa madre. Per i vari movimenti tellurici, purtroppo il monastero di S.Caterina venne del tutto distrutto e dichiarato inagibile (ricordiamo che in esso vi era la sede delle scuole elementari). Nel maggio 1905 la chiesa di Santa Caterina, essendo in uno stato di grave degrado, era stata chiusa al culto e gli arredi sacri, i preziosi e gli oggetti mobili, tra cui tredici quadri su tela e due piccole statue di legno dorato, pissidi, vesti di seta ricamata in argento, mitre e stole, vennero depositati all'Ufficio del Registro e Bolli della città dove rimasero fino al trasferimento di una esigua parte al Museo regionale di Messina; il crocifisso in carta pesta, che in realtà proveniva da San Pietro dei Latini, fu riconsegnato alla parrocchia di appartenenza. Nelle collezioni del Museo regionale pervenne nel 1924, già in cattivo stato di conservazione, assieme a tre crocifissi in argento e a orecchini d'oro, anche la tavola di forma ovale di scuola bizantina, olio e tempera, rappresentante Il santuario di San Spiridione, vescovo e taumaturgo di Trimitunde a Cipro, di autore ignoto del XVIII secolo, restaurato nel 2006 con finanziamento del Comune di Naso. CHIESA MADRE La chiesa dedicata ai Santi Filippo e Giacomo anche detta Matrice o chiesa Madre, prima tra le chiese di Naso sia per antichità che per importanza, fu fondata dai primi coloni nasensi rifugiatisi a Naso. Il fronte principale, che si apre su piazza Roma, è articolato in tre campate da lesene binate sormontate da una trabeazione dorica, e concluso da un grande frontone triangolare. Tre portali danno accesso alla chiesa che all'interno risulta divisa in tre navate con nove altari e quattro cappelle laterali, una finta cupola all'incrocio tra la navata centrale e il transetto, e torre campanaria sul lato sinistro. L'attuale fabbrica è il risultato degli ampliamenti e delle trasformazioni attuate dal Seicento fino alla prima metà del Novecento. Entrando sulla sinistra si trova il fonte battesimale opera probabilmente seicentesca; il primo altare della navata dedicato a San Francesco di Paola, con un ricco apparato decorativo a marmi mischi, è singolare rispetto alla semplicità degli altri; il secondo altare è sormontato dal dipinto della Madonna degli Agonizzanti con i Santi Placido e Tecla realizzato nel 1660 dal pittore tortoretano Giuseppe Tomasi, su commissione di Giacomo Astoni. Proseguendo troviamo la cappella del Rosario, collocata negli anni '30 del Novecento nello spazio occupato fino ad allora dalla cappella della Madonna del Carmelo. La fastosa decorazione è opera dello scultore palermitano Bartolomeo Travaglia; di seguito si trova l'altare dedicato a Sant'Antonio con la cornice della nicchia che custodisce il simulacro del santo decorata a mischio. Nel transetto si aprono la cappella del Crocifisso, con la croce lignea, e un dipinto raffigurante la Madonna, la Maddalena e San Giovanni; fino agli anni Trenta era ancora presente nello spazio compreso tra le braccia della croce e il quadro un ricco reliquiario. Le cappelle seguenti sono state in parte trasformate nella prima metà del Novecento dall'arciprete Portale: la cappella alla sinistra dell'altare maggiore, oggi dedicato a Santa Rita, era intitolata alla Madonna della Neve e ospitava al suo interno le sepolture della famiglia Petrelli, sulla parete sinistra un quadro con la Crocifissione realizzato nel 1716 dal pittore Mario Ruggeri. L'altare maggiore con il suo apparato decorativo è databile alla prima metà dell'Ottocento tranne il tabernacolo, probabilmente cinquecentesco, che fino agli interventi del Portale era collocato sulla parete sinistra; sul retro, gli stalli del coro ligneo settecentesco, al disopra del quale si imposta la cantoria in legno scolpito nel cui centro è collocato il dipinto dell'Addolorata. La cappella alla destra dell' altare maggiore, oggi dedicata al Sacro Cuore di Gesù, era la cappella del "Divinissimo" e, ultimo nel transetto, l'altare della Madonna di Lourde. Percorrendo la navata destra, il primo altare è ornato dalla tela della Madonna del Carmelo con i Santi Silvestro e Simone Stock a cui è dedicato, attribuito al pittore Sebastiano Calà del 1690; sul secondo altare, il quadro della Madonna del Monserrato con i 'Santi Giuseppe e Girolamo, realizzato dal Tomasi nel 1647, riporta nella parte bassa due curiose figure forse i ritratti dei committenti; al disopra della tela si trova una pittura murale con la Predicazione di Gesù al tempio. Superato l'ingresso laterale, che si apre su via Marconi, una grande nicchia incornicia la statua dell'Assunta con Angeli, scolpita nel 1549 da Vincenzo Gagini; concludendo il percorso lungo la navata laterale destra, troviamo la tela dipinta da Giuseppe Tomasi raffigurante l'Incredulità di San Tommaso nella cui parte bassa è rappresentato San Cono e il mezzo busto del committente. All'interno della chiesa sono state fondate nella prima metà del Cinquecento la confraternita del Santissimo Gesù, nella Cattedrale, in Santa Cita e in San Francesco. In questi stessi anni si costruì la «nuova» cappella del Carmine e nel 1682 si procedette alla realizzazione della nicchia per la statua, commissionata presumibilmente nello stesso anno. A distanza di circa ottanta anni un nuovo terremoto colpì Naso e danni importanti si rilevarono nella chiesa, dovuti principalmente al crollo di parte del «vecchio» campanile sulla navata sinistra; si spezzarono anche molti degli elementi decorativi in pietra scolpiti dal Musca. Si rimese nuovamente mano alla chiesa costruendo un «nuovo» campanile, spostato di qualche metro rispetto al precedente, e si procedette a serrare la chiesa con un sistema di catene che avrebbe migliorato le caratteristiche antisismiche. Nel 1716 si procedette all'unione parrocchiale tra la chiesa Madre e quella di San Cono, visto lo stato di indigenza in cui versava la chiesa del navacita. Nella prima metà del Settecento, nella cripta in corrispondenza dell'altare maggiore, risulta essere collocata la «sepoltura dei sacerdoti», a cui si accedeva grazie ad una scala a doppia rampa posta sotto la cupola. Questo ambiente, nella prima metà del Novecento, è stato trasformato in cappella in cui si conservava la statua della Pietà; il rifacimento della pavimentazione, negli anni successivi, ne ha occluso l'accesso. Nel 1866, in seguito al terremoto quello del 1864, si sono realizzati lavori significativi alla navata, al coro, all' oratorio e alla sacrestia; probabilmente sono gli interventi che ci restituiscono l'aspetto attuale; infatti, nel transetto si ritrovano elementi decorati vi in stucco, quali trombe, tamburi, aquile tipiche dello stile impero. Il nuovo secolo si apre con il terremoto di Messina del 1908 che determina la chiusura al culto della chiesa per sei mesi; l'edificio viene riaperto dopo piccoli lavori di messa in sicurezza e richiuso nel 1933 per lavori che durarono due anni. A questo intervento si deve la ridecorazione della facciata e del campanile, la pavimentazione e il rimontaggio all'interno della cappella del Carmelo dell' apparato decorativo della cappella del Rosario, già in San Pietro dei Latini La casa canonica risulta già ultimata nel 1936. QUARTIERI DEGLI ANGELI E DI SAN CONO Via Marconi, antica via degli Angeli, fino agli anni trenta del Novecento delimitata dal monastero di Santa Caterina e dal suo giardino, dopo l'alluvione del 1931 fu ampliata su progetto dell'ingegnere Vitale con la demolizione di alcuni ambienti dell'ex monastero prospicienti la strada e di altri edifici minori, al fine di regolarizzare un percorso di grande rilevanza in quanto costituiva il collegamento fra la piazza principale di Naso e San Cono. Nello stesso 1932 l'arciprete don Antonino Portale ottenne dal Comune la chiusura al transito «con opere di muratura» della parte di vicolo Gaetano Pavone compreso fra il lato sud della chiesa Madre e lo spigolo della costruenda casa canonica, dal momento che questo vicolo largo circa un metro non aveva manutenzione ed era stato trasformato in una «pubblica latrina»; Lungo la strada prospettavano la chiesa di Santa Maria degli Angeli, documentata dal XV secolo, oggi adibita ad uso di abitazione, e la casa La Dolcetta poi Drago che si qualifica per il portale bugnato. Proseguendo per la via intitolata a Ignazio Drago, scrittore nasitano della prima metà del Novecento, si arriva in via Navacita dove la città si apre con una veduta a 180 gradi che comprende Piraino fino a Sinagra; si giunge quindi alla chiesa di San Cono, dove domina l'antico campanile costruito sui resti di una medioevale torre di avvistamento, nodo significati o di un sistema difensivo che riguardava le città lungo il torrente Timeto o Xaso. CHIESA SANTA MARIA DEGLI ANGELI, Via Marconi Nello slargo antistante la casa Drago, negli ambienti oggi adibiti ad abitazione si trovava la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Le prime notizie relative l'edificio religioso sono del 1438, quando l'arcivescovo di Messina la ridusse da parrocchia a «gangia» della chiesa di San Cono. Al nome più comune di Santa Maria degli Angeli si alterna quello di Santa Maria di Brizzi. Nella chiesa aveva sede, già dal 1604, la Confraternita delle Anime del Purgatorio. Nel 1699, presumibilmente in seguito al sisma del 1693, viene ricostruito l'altare maggiore con struttura in muratura e rivestimento in maioliche decorate; al di sopra della mensa si trovava il dipinto rappresentante la Madonna, del pittore Francesco Lanza. Il terremoto del 1739 danneggiò gravemente l'edificio rendendo lo inagibile; il campanile viene in un primo momento puntellato per permettere lo spostamento delle campane, prima di procedere alla demolizione e successiva ricostruzione. A cavallo tra il 1770 e il 1771 il pittore Saverio Biscotto decorò la cappella delle Anime del Purgatorio. Il sisma del 1783 colpì nuovamente la chiesa e soprattutto il campanile, tanto da doversi procedere immediatamente alla messa in sicurezza e alla sua risistemazione. Nello stesso isolato si trovavano anche la chiesa di San Nicolò e la casa di Giacomo Cuffari e Faraci. Il sisma del 1864 distrusse definitivamente l'edificio che perse le prerogative di edificio sacro. PALAZZO DRAGO E LA CHIESA DI SAN NICOLO’ – Via Marconi L'edificio di grandi dimensioni, che costituisce l'isolato compreso fra via Marconi, via Ignazio Drago e via Navacita, articolato in due piani fuori terra e diviso in numerose unità abitative, è caratterizzato da un portale bugnato che costituisce l'unica soluzione decorativa distintiva del prospetto su via Marconi, già via degli Angeli, attribuibile al Seicento, anche se questa tipologia inizia a diffondersi in Sicilia nel corso della seconda metà del Cinquecento. Dal portale si accede ad un ampio atrio, sulla cui parete sinistra si apre un'arcata d'ingresso ad una scala in pietra che nel concio in chiave riporta la data 1727. Nell'ordine superiore della facciata aggettano due balconi che potrebbero datare tra la fine dell'Ottocento e il primo trentennio del Novecento. La facciata del lato est, sull'antica via Navacita, che si apre sulla vallata del torrente Naso verso il mare, è caratterizzata ancora oggi da un cantonale in pietra squadrata ed è in parte conclusa da un fastigio curvilineo. Si trattava di un edificio molto ampio, diviso in tredici stanze fra cui l'alcova e la biblioteca, otto magazzini e una cucina. CHIESA DI SAN CONO L'edificio, realizzato nella parte orientale dell'abitato di Naso, con la sua severa mole caratterizza tutto l'intorno. Arrivando da via Navacita l'imponente campanile realizzato sopraelevando una torre di avvistamento medievale, e l'ingresso laterale, che si apre sul transetto, sono i primi elementi della chiesa che si offrono ai visitatori. Il portale cinquecentesco si caratterizza per la ricchezza decorativa, con tralci di vite e vari elementi fioreali realizzati sugli stipiti, mentre sull'architrave sormontata da due scudi ormai illeggibili, e da una finestra affiancata da semicolonne, sono rappresentate alcune scene con draghi e altri elementi fitomorfi forse un ricordo della preesistente chiesa di San Michele, sulle cui impianto è stata costruita la chiesa attuale. La finestra posta sopra l'accesso è sormontata da un cartiglio, per metà mancante, che fa ipotizzare un abbassamento della linea di gronda della navata. Sul fronte principale i tre portali come le tre finestre superiori mostrano una evidente strombatura a causa dell'elevato spessore murario, dovuto alla realizzazione di una contro facciata alla fine dell'Ottocento per evitame il crollo. Sull'asse centrale dello spazio compreso tra il portale principale e la finestra si apre una profonda nicchia che accoglie il mezzo busto del santo assiso su una nuvola, unico elemento decorativo della severa facciata. L'interno, di semplice ma colta fattura, è diviso in tre navate da colonne dori che su basamento, concluse da pulvini databile all'impianto cinquecentesco della chiesa, come le facce apotropaiche comprese tra le ghiere degli archi che si aprono sulla navata principale. La chiesa, oggi pavimentata con mattoni in cotto, sin dal Settecento presentava un impiantito in maioliche realizzato nelle vicine fornaci in contrada Bazia. Percorrendo la chiesa dall' ingresso principale, sulla sinistra il fonte battesimale con i pochi elementi lignei dell'antico coperchio, sulla navata laterale sinistra la tela con la Madonna della Mercede ed i Santi Pietro Nolasco e Raimondo Nonnato attribuita Francesco Napoli, ricordo della visita o della permanenza a Naso dei componenti dell'ordine mercedario; l'altare, come tutti gli altri presenti nelle navatelle, è databile agli anni venti del Novecento dopo un incendio che danneggiò la chiesa e i suoi arredi. Il secondo altare è sormontato da un dipinto dedicato a Sant'Antonio; segue la tela di San Nicola rappresentato in abiti pontificali, attribuito a Giovanni Tuccari. Chiude la navata l'Adorazione dei Pastori, pregevole opera realizzata nel 1648 da Giuseppe Tomasi. Nel profondo spazio absidale trovano posto l'altare del Crocifisso, con il sacro legno della Croce circondato da personaggi ed elementi decorativi riconducibili alla Passione di Cristo; l'altare maggiore, opera ragguardevole in marmi policromi, unica testimonianza degli altari barocchi che probabilmente decoravano la chiesa prima dell'incendio, anche se non è certo se questo sia sempre statonell'aula o se provenga, come la maggior parte dei dipinti, da altri edifici religiosi; una profonda nicchia con all'interno il simulacro processionale del santo patrono individua il terzo altare. Lo spazio delimitato dai tre altari è concluso da una cupola ellittica in incannucciato. Nello spazio retro stante l'altare maggiore, i semplici stalli del coro; San Cono è l'unica tra le chiese parrocchiali cittadine senza cantoria sopra il coro perché probabilmente distrutta dall'incendio. Un piccolo ma profondo ambiente compreso tra l'abside e la sacrestia ospitava le scale che salivano al coro alto. Fronteggia l'ingresso laterale sul transetto, la cappella di San Michele mutila dopo uno dei tanti sismi che colpì Naso, ma ricordata dalla documentazione storica, che fino all'evento tellurico risultava coperta con «volta reale». Sempre nel transetto, in corrispondenza delle navate laterali, si aprono due scale di accesso alla cappella delle Reliquie e dell'Ecce Homo, nel luogo in cui il navacita morì nel 1236. La cappella delle Reliquie, pregevole opera del Barocco siciliano realizzata tra gli anni sessanta del Seicento e i venti del Settecento da vari artisti e maestranze; spicca per qualità decorativa la parete di fondo, con l'altare e il reliquiario, realizzata da Bartolomeo Travaglia; il complesso gioco cromatico dei marmi mischi alternato alle figure aggettanti e a statue a tutto tondo rendono l'insieme opulento e maestoso. Il paliotto, che sembra non appartenere al primitivo sacello, risulta sproporzionato rispetto all' armonia compositiva che contraddistingue l'apparato decorativo. I decori a marmi mischi delle pareti laterali, di fattura inferiore, vengono realizzati da diversi artisti, nel primo quarto del Settecento; Fronteggia la cappella in marmi mischi, la cappella dell'Ecce Homo restaurata anch'essa nella prima metà del Novecento. In fondo al corridoio che divide le due cappelle, una nicchia nel muro individua il luogo dove la tradizione vuole che San Cono sia morto il 28 marzo 1236. Risalendo l'aula destra, il primo altare è dedicato alla Madonna delle Catene, come si evince dalla tela dipinta da Giuseppe Tomasi nel 1667, a cui fa seguito l'altare con la tela della Deposizione, proveniente probabilmente dalla chiesa di San Pietro dei Latini; il terzo altare della navata è decorato con le Storie di Tobia, attribuito a Giovanni Tuccari. Chiude la navata la Circoncisione di Gesù, opera di pregevole fattura attribuita a Pietro D'Asaro; nella parte superiose del dipinto, circondato da putti, il monogramma gesuitico prova della permanenza a Naso di questo ordine. La data di fondazione dell'edificio è incerta. Il nuovo tempio dedicato a San Cono viene consacrato nel giugno del 1511, e per forma e dimensione non doveva essere molto diverso, dalla chiesa attuale. La chiesa risulta molto danneggiata dal sisma del 1739 nella sua parte tergale, dove si affaccia su uno strapiombo che amplifica gli effetti dei sismi; crollano anche parzialmente la canonica, la sacrestia e ne risente anche il campanile. Nel terzo quarto del Settecento viene realizzata la prima guglia a conclusione del campanile, utilizzando una tecnica riscontrabile in diverse zone della Sicilia. La struttura portante della guglia è costruita con travi e tavolato in legno, ricoperta con elementi maiolicati, polilobati e cuneiforrni a formare disegni geometrici o vegetali colorati. Il campanile è da sempre l'oggetto maggiormente colpito dagli eventi tellurici e dai fulmini tanto da ricostruirsi diverse volte negli anni cinquanta del Novecento; l'ultima ricostruzione viene effettuata in conglomerato cementizio armato. Nel gennaio del 1792 un grave incendio, scaturito da un fulmine, colpì il campanile e la chiesa che si salvò solo per il repentino intervento della popolazione. Il sisma del 1864 danneggiò la facciata principale provocando un fuori piombo che la faceva definire «crollante». L'attuale facciata è stata ridecorata subito dopo la seconda guerra mondiale. Nel gennaio 1920 un incendio colpisce nuovamente l'edificio causando la perdita di diverse opere d'arte e degli apparati decorativi. Nelle antiche catacombe, estese a quasi tutta la lunghezza delle navate, è stato realizzato negli anni Novanta il museo di Arte Sacra. MUSEO D’ARTE SACRA Nelle catacombe della chiesa di San Cono, negli anni novanta del Novecento viene realizzato il museo di Arte Sacra, che raccoglie oggetti provenienti da tutti gli edifici sacri presenti nel territorio comunale. Gli spazi denunciano chiaramente le diverse fasi costruttive e le unità strati grafiche murarie segnalando la maggiore antichità dell'ipogeo rispetto alla soprastante chiesa. La struttura museale si sviluppa in otto ambienti che a loro interno custodiscono diverse categorie di oggetti. La sala d'ingresso oltre la biglietteria accoglie le sculture lignee; sulla sinistra il Salvator Mundi appartenente alla chiesa del SS. Salvatore, la Madonna del Carmelo proveniente dall'omonima cappella nella chiesa Madre, cinque piccole statue di santi e sante provenienti probabilmente dalla chiesa del monastero delle Benedettine, parte dell'apparato decorativo di un antico coro, forse quello della chiesa San Cono e, a seguire, la statua di San Biagio proveniente dall'omonima chiesa. Al centro, una serie di teche raccolgono una ricca collezione di maioliche pavimentali provenienti dalle chiese di Naso e dai paesi limitrofi, realizzate dai maiolicari nasitani che avevano le loro fabbriche nella contrada Bazia. Attraverso un profondo arco che evidenzia le due facciate addossate, si passa nella seconda sala, dove alla sinistra trovano posto abiti talari di pregevole fattura realizzati in diverse epoche; , anch' essi di varie provenienze e un trono in legno intagliato e dorato del Settecento, proveniente dalla chiesa Madre. Sulla destra due ovali, trasferiti dalla chiesa Madre, con San Giovanni Bergmans circondato da angeli e San Calcedonio che con la palma in mano mira il monogramma dell'ordine gesuitico; segue la tela di San Cono che ascende al cielo. Frontalmente ai tre dipinti, una tela con San Giovanni di Dio proveniente dall'ospedale dei Bianchi tenuto per un certo tempo anche dai Fatebenefratelli, aggiunto di recente alla collezione, diversi stendardi processionali e una teca contenente lezionari con elementi decorativi in argento sbalzato; La terza sala è dedicata alla scultura e alla pittura; la maggior parte degli elementi plastici provengono dalla chiesa dei Minori Osservanti, ad accezione delle lapidi terragne provenienti dal SS. Salvatore. Aprono la sala tre statue marmoree, la Vergine e il Bambino, San Giovanni e San Cristoforo anticamente posizionati sopra la tomba del conte di Naso Pietro Maria Cybo; accanto due tombe pavimentali destinate a prelati e altri elementi provenienti dalla tomba Arcobasso. Sulla parete sinistra il dipinto su rame con San Giuseppe della chiesa del SS. Salvatore e la tela della Madonna del Lume proveniente dalla chiesa Madre, attribuita al pittore settecentesco Domenico Provenzani. Sulla parete nord Bergmans circondato da angeli e San Calcedonio che con la palma in mano mira il monogramma dell'ordine gesuitico; segue la tela di San Cono che ascende al cielo. Frontalmente ai tre dipinti, una tela con San Giovanni di Dio proveniente dall'ospedale dei Bianchi tenuto per un certo tempo anche dai Fatebenefratelli, aggiunto di recente alla collezione, diversi stendardi processionali e una teca contenente lezionari con elementi decorativi in argento sbalzato; sulla parete sud, una grande campana proveniente dal soprastante campanile. Sopraelevata la quinta sala del museo, la prima della sezione argenti; sulla destra tre croci astili processionali, opere seisettecentesche; sulla sinistra, turiboli e navicelle accostati ad altri oggetti liturgici; sul fondo, dentro una grande teca, pissidi, calici, reliquiari, ostensori, solo una parte dei ricchi arredi delle chiese nasitane, realizzati dai migliori argentieri siciliani in un periodo compreso tra la seconda metà del Seicento ai primi decenni del Novecento. Tra gli oggetti più pregiati una pisside, due calici e un reliquiario di Sebastiano Juvarra e una piccola pisside di Pietro Juvarra, padre di Filippo noto architetto nato a Messina ma attivo in molti stati italiani ed esteri. Nell'ultima sala sono conservati dentro opportune teche messali e libri sacri di pregevole fattura, solo una piccola parte del ricco patrimonio librario-documentario ecclesiastico. CHIESA DI SAN BIAGIO Il fronte principale della chiesa di San Biagio si apre sull' omonima piazzetta, con un portale centrale concluso da un timpano spezzato e uno laterale, architravato, che riporta l'iscrizione 1739, a memoria del grave sisma che colpì Naso. L'asse centrale della facciata è evidenziato da un campanile a vela in pietra locale finemente decorato. Il paramento, ancora a vista, è realizzato con muratura detta bizantina, cioè caratterizzata da elementi litici sbozzati interstiziati da cocci in laterizio, nota tecnica antisismica. L'interno risulta scomposto dal sisma del 1978 e in stato di abbandono, dopo i lavori realizzati nell'intento di restaurarlo ma che l'hanno invece fortemente degradato. La chiesa, suddivisa in tre navate, due campate e con la zona presbiteriale rialzata di due scalini, è ingombra di materiali provenienti da numerosi edifici religiosi. Dei tre altari che chiudevano le navate, oggi rimangono solo il principale e il laterale destro anche se in pessime condizioni. L'altare maggiore, in muratura rivestito con lastre di marmo riconducibili ai primi del Novecento, è sormontato da una cornice in stucco conclusa con motivi fioreali, al centro della quale era posta una tela raffigurante San Biagio in abiti ontificali, oggi la tela è conservata, per motivi di sicurezza, all'interno della chiesa Madre. La mensa dell'altare laterale destro, sempre in muratura rivestita di lastre di marmo, funge da base a una decorazione lignea al cui centro era inquadrata, tra due colonnine bugnate, una statua; sempre figure sacre dovevano occupare le nicchie che tutt' oggi sono presenti nelle navate laterali. Nella parte sinistra della chiesa si nota una interessante sovrapposizione di pavimentazioni. La chiesa oggi risulta spogliata di tutti gli arredi sacri. Le prime notizie documentarie relative la chiesa di San Biagio risalgono al 1438 anno in cui l'arcivescovo di Messina decise di ridurre il numero delle parrocchie accorpando la chiesa di San Biagio alla chiesa Madre insieme alle chiese di San Teodoro e di Tutti i Santi. QUARTIERE DI SAN GIOVANNI E DI SAN FILIPPO Da piazza Roma si accede a corso Umberto I, già viaAlighieri, una delle tre vie carrozzabili di Naso assieme a via della Libertà e via Castello. Lungo la strada si affacciano alcuni tra i più significativi palazzi signorili della città; PALAZZO LANZA (CALDERARO) Il palazzo, di grandi dimensioni, è serrato nel corpo aggettante da due cantonali in pietra su cui sono visibili gli stemmi con un leone rampante della famiglia Lanza, che già nel Seicento era proprietaria dell'edificio. I cantonali costituiscono in questo caso un elemento architettonico distintivo in quanto vengono a costituire dei veri e propri punti di fuga nello stretto percorso di via Alighieri, ampliato nell'Ottocento. Il portale centrale si apre in un ampio atrio su cui si imposta una scala di collegamento con i piani superiori, differenziati a causa del dislivello del terreno. Anche l'impianto architettonico del palazzo al di là delle attuali ripartizioni in numerose unità immobiliari, e la sua collocazione urbanistica denuncia il carattere di residenza signorile. CHIESA DI SAN GIOVANNI San Giovanni è l'unico edifico religioso ancora esistente a Naso di quel gruppo di chiese realizzate tra il XIII e il XIV secolo in questo spazio urbano, lungo l'antica via Alighieri, durante uno dei più significativi periodi di sviluppo della città. La chiesa, ad una sola navata, presenta quattro altari laterali, due per ciascun lato, lavorati a marmo mischio e tramischio, risultato di una ricomposizione poco omogenea di altari di provenienza diversa, collocati nell'aula nel 1954, dai gravi danni subiti dalla chiesa durante il sisma del 28 dicembre 1908. Sulla parete di fondo si apre la cappella maggiore, in cui trovava posto la tavola lignea con la rappresentazione di Maria Ss. del Rosario, attribuita a Deodato Guinaccia, proveniente dalla cappella del Rosario nella chiesa di San Pietro dei Latini come le due colonne che sostengono il coro alto in controfacciata, nobilitato dalla grande tela con la Visita di santa Elisabetta, in grave stato di degrado, posta fra le due finestre. La tavola lignea di Maria ss. del Rosario dopo il restauro sarà ricollocata nella cappella di provenienza, oggi rimontata nella chiesa Madre, e sostituita con la tela di San Giovanni Evangelista. L'altare maggiore in marmi policromi potrebbe provenire dalla demolita chiesa di San Pietro dal momento che al centro del paliotto presenta uno scudo con tiara e le chiavi simbolo del potere pietrino, come l'acquasantiera posta a ridosso dell'ingresso principale, sul lato destro, dove trova posto l'altare dedicato a San Giovanni Battista. Lungo la navata sinistra, il fonte battesimale marmoreo e l'altare dedicato a San Gaetano, come denuncia la tela di autore ancora da identificare, attribuita al XVII secolo, di grande significato per il brano urbano dipinto sulla parte destra. Proseguendo lungo la stessa parete, l'altare dedicato alla Madonna col bambino, in stato di degrado e, a fronte, l'altare del Crocifisso. Lateralmente all'arco trionfale con i piedritti a finto marmo, si aprono due nicchie in cui trovano posto due statue. La facciata principale, costruita alla fine dell'Ottocento dopo il trasferimento della funzione cultuale di San Pietro in San Giovanni nel 1883, è serrata da due cantonali in finto marmo su via Alighieri e in pietra sul fronte laterale, e conclusa da un frontone triangolare. La diversa altezza dei cantonali e la presenza di mensole sul prospetto laterale sinistra, in via Torquato Tasso, lasciano presumere che l'antica chiesa di San Giovanni fosse di dimensioni minori. La chiesa, che fin dal Seicento aveva funzione cimiteriale, nel tempo è stata più volte danneggiata dai sismi. CASA MILIO MANERI (MONASTERO DELLE BENEDETTINE) L'ampio edificio, che definisce l'isolato compreso tra corso Umberto I, piazza Vittorio Emanuele e le vie Mazzini e Manzoni, si apre su corso Umberto con un ampio androne coperto da una volta alla cappuccina, che dà accesso ad una corte interna che ancora mostra i segni delle arcate tamponate dell'antico monastero delle Benedettine; anche in facciata sono evidenti le numerose trasformazioni subite nel corso del tempo. Il fabbricato è stato sede del monastero di clausura, in seguito abitazione del Ventimiglia. Nella parte della casa gentilizia di proprietà Milio, articolata in tre piani, compresa fra le vie Mazzini, Manzoni e corso Umberto, è ancora presente nel primo piano sull'angolo fra via Manzoni e corso Umberto una alcova con adiacenti due camerini laterali il cui apparato decorativo risulta in parte ancora scialbato; accanto a questa si apre un'ampia sala documentata anche nell'Ottocento. Il diverso spessore dell'apparato murario dell'edificio volto verso San Giovanni attesta i lavori di ristrutturazione condotti dopo il terremoto del 1908; un cantonale in pietra, concluso da un motivo decorativo fioreale dipinto, posto nell'angolo tra via Manzoni e via Mazzini, è una testimonianza dell'antico impianto di questa facciata, che ha ormai perso i caratteri architettonici distintivi della casa signorile. CASA LO PRESTI (GIUFFRE’) Il «caseggiato signorile», posto nell'antico quartiere di S. Niccolò il Vecchierello, di proprietà della famiglia Giuffrè fino alla fine dell'Ottocento quando Antonino lasciò Naso per Milano dove nel 1931 fondò la casa editrice omonima, è stato modificato dopo i gravi danni subiti durante il sisma del 1908, tali da renderlo «inabitabile». L'edificio si articola in due piani fuori terra e presenta un'ampia terrazza che domina la vallata; la fronte posteriore affaccia sulla piazzetta Filippo Cangemi con cui è collegato tramite un androne passante aperto su via Verdi. La casa venne acquistata da Fortunato Lo Presti, perito agronomo di Naso che dal 1907 ebbe numerosi incarichi dal Comune; a lui si devono numerosi rilievi degli edifici storici della città danneggiati dal terremoto del 1908. PALAZZO TRASSARI ((DRAGO) E LA CHIESA DI SAN GIUSEPPE L'edificio costituito da tre piani, con magazzini terreni e numerosi vani al primo piano, adiacente l'abitazione di Niccolò Trassari, sindaco di Naso nel 1874 e sposato con Mariannina Germanà del fu barone Giuseppe, e alla chiesa di San Giuseppe di proprietà Drago. Nel 1884 l'ampliamento di via Alighieri nel tratto compreso tra la chiesa di San Giovanni e piazza Vittorio Emanuele ha interessato il lato destro, modificando l'isolato costituito dall'antica chiesa di San Giuseppe, che venne demolita, portando alla riduzione planimetrica delle proprietà Drago. I tre corpi di fabbrica subirono gravi danni durante i terremoti del 1908 e del 1978 e i lavori di recupero hanno profondamente modificato la distribuzione interna; nella casa Trassari, a tre piani fuori terra prospettanti corso Umberto I e quattro su via Naxida, fino all'ultimo evento sismico era presente l'alcova decorata con stucchi floreali dorati e dipinti che ne attestano il carattere signorile. BIBBLIOTECA COMUNALE (MUNICIPIO) Nella piazza Francesco Lo Sardo, sul lato est, si trova la Biblioteca Comunale, collocata nell'antica residenza municipale, costruita tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento; più volte rimaneggiata tra la fine dell'Ottocento e tutto il Novecento, fino al recente restauro conservava l'apparato decorativo realizzato nel ventennio fascista. Oggi ne risulta modificata la cromia e la qualità formale. L'edificio venne costruito con i proventi del Peculio fiumentario, come da disposizione testamentarie volute dai fondatori del Peculio. Nel 1750 sul fronte viene collocato l'orologio . Nel 1879, probabilmente per la volontà di ridimensionare la Casa Comunale dovuta al taglio di corso Umberto I, l'orologio viene trasferito sulla torre della chiesa di San Pietro dei Latini. I lavori di seguito riportati fanno parte di quel gruppo di interventi mirati a ridurre le dimensioni della Casa Comunale e dell' attigua casa Lanza. PALAZZO PICCOLO Il palazzo signorile, formatosi nel tempo dall' accorpamento di diverse unità, domina con le sue notevoli dimensioni il tessuto urbano circostante e piazza Francesco Lo Sardo a cui fa da cortina sul lato nord. Presenta un assetto nobiliare su tre livelli, con il pianterreno occupato da botteghe con apertura archivoltata, un piano nobile e un piano attico. I cantonali terminano con lacerti di trabeazione dorica; questi, unitamente alla forma del portale e alle cornici delle finestre collocano l'edificio tra la fine del Cinquecento e il primo ventenni o del Seicento. Dal portale bugnato, aperto su via Controsceri e chiuso da una cancellata realizzata con gli elementi delle ringhiere a petto dei balconi che si aprivano fino agli anni settanta del Novecento sul fronte prospettante la piazza, si accede ad una corte interna tramite un androne. Sull'angolo dell' arcata di accesso all'edificio dalla scala escuberta è murato un putto che sostiene lo stemma della famiglia Cicero. La facciata prospettante la piazza, come tutto il palazzo, è stata oggetto di interventi sostanziali che hanno modificato anche le altezze degli ambienti interni, come si può evincere all'esterno dalle finestre aperte sullo stesso prospetto, che fino agli anni Ottanta erano dotate di ringhiere a petto. In corrispondenza delle quattro finestre si aprono nel piano terreno delle arcate, presumibili accessi alle botteghe documentate nell' edificio già nel Seicento, una tipologia ricorrente a Naso e diffusa in gran parte della Sicilia. L'edificio può essere identificato con l'antica residenza del conte a partire dalla prima metà del Seicento quando il castello risulta ormai ridotto ad uno stato di rudere. Il palazzo rimase residenza del conte fino alla seconda metà del Settecento; EX CHIESA DI SAN DEMETRIO Nell'edificio che fronteggia la Biblioteca Comunale fino alla prima metà del Novecento si trovava la chiesa di San Demetrio, fatta edificare dal conte Pietro Maria Cibo dopo il sisma del 1613, che prendeva il titolo della più antica chiesa di San Demetrio posizionata nel centro dell'attuale piazza. L'antica chiesa, ante 1613, fu sede parrocchiale fino al 1438 e aggregata poi alla chiesa del SS. Salvatore, a seguito delle redistribuzioni stabilite dal vescovo di Messina. Fu sede della Compagnia della Misericordia, la. cui peculiarità era di seppellire gratuitamente i «morti poveri», fino alla sua cessazione nel XVIII secolo. Nel 1615 il conte Cibo per realizzare la nuova piazza la fece demolire e ricostruire affacciata sul nuovo spazio urbano. EDICOLA VOTIVA EX CHIESA DI TUTTI I SANTI È il luogo dove oggi sorge una piccola edicola votiva, sorgeva la chiesa di Tutti i Santi, antica parrocchia ridotta a «gangia» della chìesa Madre daì provvedimenti dell'arcivescovo Bernardo de' Gattulis nel 1438. L'analisi dei danni del sisma del 1823 ha evidenziato che si trovava nell' isolato 40, quello del palazzo di Gaetano Piccolo Petrelli, già di Ignazio Perlongo. Si parla ancora della chiesa negli anni venti del Novecento quando viene collocata accanto alla residenza di Gaetano Milio Marchiolo. PALAZZO MILIO Il palazzo si distingue nel contesto urbano per il cromatismo dell'apparato decorativo in laterizio della facciata che denota una reimpaginazione dei primi del Novecento, quando vengono costruiti anche i tre balconi in luogo dell'unico e ampio sovrastante l'accesso principale. In questa occasione viene rifatta anche la copertura, modificandone la sua geometria originaria. La caduta dell' intonaco nell' ordine inferiore del prospetto ha messo in evidenza l'apparecchiatura muraria in conci di pietra alternati a mattoni, secondo una tipologia in uso nei primi del Novecento. Fino al terremoto del 1978 lo stemma Milio posto sul concio in chiave del portale principale era sormontato da una corona. L'edificio, pur essendo stato oggetto di interventi di riparazione ai danni provocati dal sisma del 1978, non ha perso completamente, nemmeno negli ambienti interni, i propri caratteri distintivi di residenza signorile. Il palazzo alla fine del Seicento era di proprietà di Ignazio Perlongo, reggente di Sicilia nel Supremo Consiglio di Spagna della corte viennese; morendo senza prole, tutti i beni nel 1742 furono acquisiti per poi diventare di proprietà Milio. PALAZZO PARISI – Via Ignazio Collica,4 La casa signorile, costituita da diversi corpi di fabbrica si articola attorno ad un baglio in cui si imposta una scala escuberta, in cui si apre un portale bugnato seicentesco, con lo stemma Parisi murato sulla chiave dell'arco, una tipologia che troviamo a Naso in poche residenze. Un altro accesso al palazzo si apre sulla stessa via mediante una scala esterna e un piccolo portale databile fra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, di collegamento con il piano nobile. QUARTIERI DI SAN PIETRO E SS. SALVATORE Da piazza Francesco Lo Sardo si segue via Giuseppe Mazzini e via Gian Giacomo Cuffari verso la parte settentrionale della città. per giungere alla chiesa del Ss. Salvatore percorrendo l'antica via della Libertà e guardando in alto a destra il «piano Barone». Nel quartiere, a causa dei danni tellurici Vincenzo Giuffrè, Rosina Milio, Alfredo Cuffari, Salvatore Vitanza e Salvatore Giordano avevano richiesto da parte del Comune l'acquisto di queste case per destinare l'area a pubblica piazza, a vantaggio delle proprie residenze. Dal momento che da questo intervento l'intero quartiere avrebbe avuto grande beneficio dal punto di vista igienico ed edilizio, i proponenti si impegnarono a versare nella cassa comunale, una certa cifra da destinare all'acquisto dei due fabbricati. Questi ultimi interventi hanno modificato sostanzialmente l'aspetto di questo brano urbano che dal Seicento era costituito dalle residenze signorili. PALAZZO CUFFARI L'isolato, posto nel quartiere di S. Giovanni e compreso fra la piazzetta Tenente Ignazio Cuffari, posta a nord, via Giovan Giacomo Cuffari, via Mazzini e via Ferreri, fin dal Seicento risulta diviso in due proprietà delle famiglie Cuffari, provenienti dai due rami facenti capo ai fratelli Giovan Francesco e Giovan Giacomo, quest'ultimo medico come il padre Antonino e autore di opere di carattere scientifico e di alcune di contenuto religioso e morale. La casa che prospetta anche su via Gian Giacomo Cuffari, nel corso del Novecento, dopo i danni provocati dal terremoto del 1908, ha subito pesanti interventi architettonici pur rimanendo civile abitazione. , il palazzo di Ignazio Cuffari e Parisi risulta articolato su tre piani, con venti due vani di cui otto al pianterreno, otto al primo e sei al secondo oltre allo «spazio riservato per lo sviluppo delle scale», in lastroni di pietra arenaria dal pianterreno al primo piano e di legno fino al piano superiore. I lavori di recupero si protrassero nel tempo, per circa un ventennio. Adiacente questa, si sviluppava a sud, la casa di Giuseppe Cuffari e Trassari (18501946) fu Andrea e, sul lato opposto, quella degli eredi di Domenico Cuffari proprietari di una parte consistente su via Mazzini, pari a quella di Giuseppe su via Giovan Giacomo Cuffari; queste due proprietà intorno alla metà del Novecento furono acquisite dalla famiglia Mormino e trasformate in cinema, ora di proprietà comunale. PALAZZO PETRELLI Il palazzo, diviso attualmente in tre proprietà, è caratterizzato da un portale in pietra seicentesco, con accesso in un baglio in cui si imposta una scala escuberta. E' ancora in parte visibile, nonostante le trasformazioni dovute anche ai lavori di riparazione ai danni provocati dal sisma del 1908, il collegamento con la parte di palazzo Lanza prospettante l'odierno corso Umberto I di cui faceva parte fino agli inizi del Settecento. La facciata su via Caduti della Polizia di Stato, già largo F. Ferrer, presenta un elemento distintivo nel balcone con mensole in pietra, uno dei pochi esempi nasitani di questa tipologia, e trova il proprio completamento in un fastigio settecentesco a motivi curvilinei analogo a quello di casa Drago. CASA MILIO (LA DOLCETTA) Sulla facciata a cortina prospettante via Mazzini, conclusa da un motivo a merli, si apre l'accesso al baglio; quella su vico Cesare Cantù conserva elementi architettonici distintivi dell'impianto originario. L'edificio, di proprietà La Do1cetta fin dal Seicento, diventa Cuffari La Do1cetta negli anni venti del Settecento in seguito al matrimonio di Antonia La Do1cetta con Andrea Cuffari. Nel 1823 risulta appartenere ai Milio che ne mantengono la proprietà fino alla seconda metà del Novecento. CAPPELLE DI PIANO DELLE MURA La cappella, è stata costruita nel 1958 nel terreno di proprietà di don Antonino Portale, come ricorda la lapide murata sul timpano che decora il portale di accesso in pietra scolpita. La facciata è serrata da due paraste e conclusa superiormente da un timpano triangolare spezzato in cui trova posto la statua dell'Immacolata. All'interno la cappella trova continuità in un altro piccolo spazio religioso adiacente, ricavato nel piano terreno di casa Portale e non caratterizzato all'esterno da elementi architettonici. Due altari in muratura con paliotto occupano le pareti di fondo delle due cappelle. Don Portale, arciprete dal 1926 al 1962, anno della morte, cercò di tutelare il patrimonio artistico di Naso sollecitando più volte le competenti istituzioni centrali e regionali. CASA CRIMI La casa signorile è costituita da due corpi di fabbrica di cui quello più antico databile presumibilmente al 1699, come riferisce la data riportata sull'architrave della porta di accesso aperta sulla facciata prospettante via Lucio Papa, rimodellata nel 1894 durante i lavori di costruzione della strada nazionale Capo d'Orlando-Randazzo. Degni di nota i balaustri in pietra finemente decorata del terrazzo, impostato sulle arcate terrene. Il corpo adiacente mostra una tessitura muraria tradizionale, costituita da elementi litici sbozzati e fitti li a dare continuità ai ricorsi della muratura, che riprende tradizioni costruttive 'bizantine' per aumentare la duttilità della muratura, e creano un piacevole effetto cromatico. La copertura, pur mostrando i segni di un rifacimento novecentesco a seguito dei danni provocati dal sisma del 1908, mantiene i buttato i fittili. Sull'asse centrale del portale in pietra è murata una lapide marmorea che ricorda Gioacchino Crimi, «folklorista, storico e poeta» vissuto fra l'Ottocento e il primo decennio del Novecento. PALAZZO LO SARDO L'edificio ha acquisito la tipologia del palazzo, distinto in due appartamenti ciascuno di sette vani con giardino sul lato ovest, nella seconda metà dell'Ottocento ad opera di Gaetano Lo Sardo, con l' accorpamento e la riplasmazione di più unità abitative da lui acquistate. Infatti nella documentazione relativa i danni causati dal sisma del 1823, in questa area della città la famiglia Lo Sardo non compare tra i proprietari di abitazioni. Il portale di accesso ottocentesco si apre sulla facciata prospettante via Francesco Riso, che versa in uno stato di grave degrado dopo il terremoto del 1978. Gli elementi architettonici caratterizzanti il palazzo si leggono ancora sulla facciata prospettante la vallata, dove le finestre sono concluse da timpani nel piano nobile e da alte cimase nell'ordine superiore. CHIESA SS. SALVATORE La chiesa del Santissimo Salvatore, con i suoi due campanili, primeggia per la qualità decorativa della facciata barocca, esempio significativo del Barocco siciliano. I tre portali, anche se in due scale diverse, sono evidenziati da colonne su basamento e capitello corinzio, concluso da timpani spezzati a valva di conchiglia con gli stemmi della famiglia Piccolo, al centro, e Cuffari a sinistra; nell'ingresso destro non è più visibile lo scudo che la tradizione riferisce essere Cuffari; queste due famiglie nasitane, nella seconda metà del Settecento con i loro prelati reggevano la chiesa dedicata al Salvatore. Un artistico selciato in pietra e mattoni fa da collegamento con le due torri campanarie mozze forse a causa dei vari sismi o perché mai terminate, creando un affaccio suggestivo sulla collina di Grazia. La chiesa è divisa in tre navate e cinque campate da colonne monolitiche in marmo di Biliemi; le arcate sinistre riccamente decorate con putti, fiori e frutta che incorniciano dipinti sono il risultato degli interventi settecenteschi e di probabili ridipinture dell'Ottocento. Alla destra dell'ingresso il fonte battesimale risulta chiuso da un coperchio ligneo. Gli altari laterali sono stati smontati e mai più rimontati negli anni Settanta in occasione dei lavori di rifacimento della pavimentazione, dove trovavano collocazione le tombe terragne delle più illustri famiglie nasitane, oggi in parte conservate nel museo di Arte Sacra e negli ambienti limitrofi alla chiesa e al convento dei Minori Osservanti. Anche gli stucchi barocchi della navata centrale sono stati smontati in seguito ai lavori di restauro condotti dopo il terremoto del 1978, e sono ancora in attesa di essere rimontati. Lungo la navata sinistra troviamo: le tele dell'Angelo Custode, di Sant'Andrea di Avellino, il trittico marmoreo gaginiano con la Vergine tra i Santi Andrea e Gregorio, il quadro con San rancesco di Paola attribuito ad Antonio Grano con la sua sfarzosa cornice; nel transetto, il dipinto con la Madonna del! 'Itria attribuito a Filippo Trancredi, la cappella di San Girolamo dove si trovava l'omonimo dipinto di Gaspare Camarda del 1626, ora conservato in altro luogo, l'altare maggiore con il coro ligneo e la cantoria con l'antico organo da poco restaurato e reso funzionante, la cappella in marmi mischi dedicata alla Madonna di Portosalvo, opera attribuita al palermitano Bartolomeo Travaglia. Due cornici in stucco, in corrispondenza dei pilastri che dividono l'altare maggiore dalle due cappelle laterali, ora vuote, conservavano due piccoli quadri uno su rame con dipinto San Giuseppe, l'altro su tavola con la Madonna e il Bambino opera eccellente attribuita alla scuola di Joos Van Cleve, ora conservata nel museo di Arte Sacra; il transetto si chiude con il legno della croce. Riprendendo la navata la Madonna dei poveri, la Trasfigurazione attribuita a Francesco Napoli del 1695, la Salita al monte Calvario, e la Madonna dei pellegrini. Interessante il grande pulpito ligneo sospeso con "ombrello", unico esempio conservato a Naso di questo genere. I sismi che hanno colpito Naso nei secoli hanno contribuito a modificare il suo aspetto. Il primo terremoto documentato che ha interessato il SS. Salvatore è quello del 1739, che «squarciò» il fronte e fece crollare la copertura creando ingenti danni all'interno; danni che furono aggravati dal vento «impetuoso» de125 gennaio 1740. In seguito a questo grave evento, probabilmente per volontà del sacerdote Pietro Piccolo, si decise di far decorare la facciata e le navate in stile barocco. A distanza di meno di cinquant' anni, nel 1783, con uno sciame che durò fino al 1786, un nuovo evento sismico si abbattè sull' abitato nasense; i danni all' edificio risultarono tanti e tali da doverne trasferire il culto «nell'officine del Monte di Pietà» che, essendo un edificio ad uso civile, venne dotato di altare e trasformato in «forma propria di chiesa». QUARTIERE BELVEDERE GRANDE E PICCOLO Dalla chiesa del Ss. Salvatore per via Firenze si giunge al largo Leopardi e si prosegue lungo via Belvedere Grande fino al largo Filippo Cangemi, percorrendo via Antonino Giuffrè già via Verdi. Via del Belvedere Grande, in posizione dominante rispetto il Belvedere Piccolo, è così denominata fin dall'antichità per lo splendido panorama da cui si può godere. E 'una parte dell 'urbano che è sempre stata sottoposta a frane; in seguito a un movimento franoso del 1955 è andato perduto una parte consistente dell'urbano. PALAZZO GERMANA’ Il palazzo di impianto seicentesco, costituito da tre corpi di fabbrica, occupa gran parte dell' iso lato compreso tra largo Leopardi, via Firenze, via Cavour e via Alagona. Sulla facciata principale si apre un portale bugnato il cui asse centrale è segnato dallo scudo araldico della famiglia Germanà che acquistò l'edificio dagli Agliè, una famiglia documentata fin dal Cinquecento nel quartiere del SS. Salvatore. Il prospetto posteriore che si apre sul giardino e domina la vallata, è serrato da cantonali litici e articolato da finestre concluse da timpani spezzati. Nel gennaio 1890 il palazzo di Vincenzo Germanà divenne sede della Pretura che, fino a questa data, trovava posto nella Casa comunale. Il trasferimento si rese necessario a causa dei lavori di sistemazione del palazzo pubblico, in seguito all' ampliamento di via Alighieri e di piazza Vittorio Emanuele. PALAZZO CANGEMI Il palazzo si articolava su due piani e magazzini terreni a doppia altezza mentre sul lato della strada presentava un unico piano, a causa dell'andamento del terreno. Sul portale bugnato di accesso alla corte superiore è murato uno stemma Cangemi con la data 1771, presumibilmente l'anno del termine dei lavori di ricostruzione dell'edificio. Dopo i gravi danni subiti a causa del terremoto del 1978, la casa signorile è stata venduta e trasformata completamente. GIUFFRE’ nel novembre 1742 ampliò ulteriormente le sue proprietà nel quartiere di San Niccolò lo Vecchierello con l'acquisto dai procuratori della chiesa Madre di due «casaleni con il di loro piano e terreno», compresa una cisterna diroccata, confinanti con il giardino delle sue residenze, e li trasformò in una casa «grande e solarata e in diversi corpi». Questo edificio, adiacente il precedente, versa ora in uno stato di rudere. PALAZZO CANGEMI – Largo Filippo Cangemi,1 Il palazzo, posto nell'antico quartiere di Varrica poi di San Niccolò il Vecchierello, si affaccia su uno slargo intitolato a uno dei membri più significativi della famiglia, Filippo Cangemi, vissuto nell'Ottocento. La facciata, articolata fino al 1978 da lesene trabeate, è caratterizzata da un grande portale a grossi conci bugnati, sormontato da uno stemma marmoreo finemente scolpito che riporta la data 1814, anno in cui terminarono i lavori di restauro. La casa, che «era tutta precipitata e minacciava rovina», assieme al giardino fu acquistata il 16 marzo 1738 da Giovanni Cangemi dalla madre badessa del monastero benedettino di Santa Caterina, Anna Joppolo e Ventimiglia, a cui era stata assegnata nel 1737 dal conte Ignazio Perlongo, uno dei personaggi più singolari della storia siciliana, che morì a Vienna il17 febbraio 1737. Antonino Cangemi, figlio di Giovanni, nell'aprile 1741 diede inizio ai lavori di ricostruzione anche dei muri di recinzione del giardino in cui si trovavano gelsi. Questa residenza non appartiene più alla famiglia Cangemi. NASO FUORI LE MURA IL CONVENTO DEI MINORI OSSERVANTI E LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL GESU’ Il primo impianto del convento affidato ai «frati di S. Maria del Gesù delli zoccolanti» si ritiene sia stato fondato nella seconda metà del Quattrocento da Artale I Cardona, conte di Collegano, marchese della Padula e signore di Naso, con il contributo dell'Università di Naso che ancora nel 1597 erogava denaro per «fabbriche et altre opere necessarie» da realizzare nel complesso conventuale. Infatti, col crescere della comunità di religiosi, il convento venne ampliato e ai lavori parteciparono anche le famiglie dei notabili con lasciti testamentari; la chiesa diventò sede di sepoltura delle nobili famiglie nasitane, secondo la tradizione conventuale. Si può presumere che il convento quattrocentesco sia un ampliamento di un precedente impianto medioevale, per alcuni connotata architettonici e per lo sviluppo planimetrico. Il complesso è andato ad occupare, in contrada Corazza, una vasta area su di un colle fuori le mura cittadine della parte settentrionale dell'abitato, in prossimità della chiesa del SS. Salvatore, lungo la strada di collegamento con la costa. La porta Nuova, che si apriva nelle mura di questo spazio urbano, dopo l'insediamento francescano acquisì il nome di Porta Convento. Poco rimane della struttura quattrocentesca del convento a causa dei significativi danni causati dai sismi, a partire da quello del 1613 che lo distrusse quasi completamente. La chiesa a navata unica con scarsella che oggi ammiriamo, posta nel lato orientale del complesso, è perciò in massima parte frutto delle ricostruzioni fatte nell'Otto e Novecento, con alcune permanenze degli impianti precedenti quali l'ampio arco presbiteriale seicentesco in pietra cenerina, i cui piedritti, nel lato volto verso la navata, sono decorati da motivi fitomorfi; l'imposta dell'arco, la cui ghiera è ornata con ovuli, dardi e palmette dal disegno molto raffinato, è evidenziata da una mensola ornata da una voluta inferiore e dagli stemmi nobiliari dei Cibo, murati ai lati, mentre il simbolo francescano è messo in evidenza nel concio in chiave dello stesso arco. Sull'altare maggiore è collocata la grande «sacra custodia», un ciborio eucaristico a forma di tempi etto, in legno di pino lavorato a ricchissimo intaglio dal catanese Emanuele Angelo Caserta, nel 1694. A ridosso del presbiterio si trova il sarcofago del nobile Artale Cardona del 1477, attribuito alla bottega di Domenico Gagini, che mostra i segni di un non attento rimontaggio, sorretto nella redazione originaria da una colonna e da quattro piccole statue allegoriche delle Virtù a tutto tondo,di cui una andata perduta e le altre attualmente conservate nel museo di Arte Sacra di Naso. Alla fine dell'Ottocento furono effettuati lavori di integrazione al coperchio del sarcofago, riassestato il «fronte di destra», costruito il gradino della base di tutto il monumento già snaturato nella disposizione dei suoi elementi, quali le figurazioni plastiche e «il colonnino». La muratura esterna corrispondente al monumento funebre mostra le tracce di una porta acuta tamponata, presumibilmente l'antica porta dei morti, chiusa in occasione della collocazione del sarcofago. A fronte, nel lato destro, il pregevole monumento funebre con intarsi di marmi policromi del conte Pietro Maria Cibo, datato 1615; sopra il coperchio tre statue, alte m. 0,65, in marmo bianco, al centro la Vergine col Bambino, a destra San Giovanni Battista col libro e l'agnello e, a sinistra, San Cristoforo che porta l'Infante sulle spalle e stringe un bastone con la destra. Anche questo monumento subì gravi danni durante il sisma del 28 dicembre 1908. Le famiglie notabili quali i Piccolo, i Mercurio, gli Arcobasso e i Perlongo trovarono sepoltura nelle rispettive cappelle di giuspatronato ricavate nel lato destro della navata su cui si aprono con alte arcate in pietra, modanate e decorate con stemmi, oppure in tombe terragne sull'asse centrale dell'aula, come quella dei Zaffarana che seguiva quella dei padri francescani. Lungo il lato destro della navata, la prima cappella ora spoliata dei suoi apparati; la seconda della famiglia Piccolo, dedicata al SS. Crocifisso, dove ancora si può ammirare il monumento funebre a marmi mischi di Antonino Piccolo Timpanaro, figlio di Anton Vito Piccolo e di Margherita Timpanaro, sposato con Delfina Lanza; sul coperchio dell'urna poggiano due statue marmoree dormienti, un vecchio e una giovane donna, recanti il teschio, con il capo poggiato sulla palma della mano, di autore ignoto; la successiva, di Sant' Antonio da Padova, dedicata fino alla seconda metà dell'Ottocento a San Francesco, accoglie la tomba di marmo bianco, sostenuta da due leoni, di Gaspare e Beatrice Arcobasso, figli del giureconsulto Rocco e di Ninfa Mercurio. Nella cappella dedicata a Santa Maria del Gesù, disposta nel lato sinistro della navata a ridosso del portale d'ingresso, le tombe di Assenzio Lanza, datata 1628, e addossato alla parete destra il sarcofago marmoreo del giureconsulto Benedetto Calderaro del 1519. Sul coperchio del sarcofago è scolpita a tutto rilievo la figura del principe Calderaro, col capo adorno di una breve chioma poggiante su un cuscino, con le braccia distese a croce su di un libro aperto. Ai due spigoli del sarcofago sono riprodotte figure zoomorfe alate, a tutto rilievo, che si congiungono alle due testuggini sottostanti che fungono da piede di sostegno del sarcofago. Sul frontale della parte vascolare è l' epigrafe con ai lati due stemmi a forma di scudo, entro i quali sono riprodotti due leoni ritti sulle gambe anteriori, mentre con le posteriori reggono una caldaia esposta alle sotto stanti fiamme. Sulla parete d'altare, all'interno di una nicchia trova posto la Madonna del Gesù attribuita a Stefano di Martino. La presenza delle tombe testimonia che l'ordine dei Minori Osservanti godeva del favore della classe nobiliare. Dei quattro altari documentati lungo il lato sinistro dell'aula rimane quello dedicato alla Madonna degli Angeli, la cui statua lignea, recentemente restaurata, si trova nella chiesa Madre. La copertura a capriata lignea della navata, che fino agli trenta del Novecento conservava ancora elementi del XV secolo, specialmente nelle mensole sotto stanti gli appoggi delle capriate, è stata rifatta come quella di due cappelle laterali intorno alla metà del Novecento per lo stato di completo degrado in cui versava dopo il terremoto del 1908 e per i danni subiti durante l'ultima guerra mondiale. Si può presumere che la chiesa nell'impianto quattrocentesco fosse preceduta da un piccolo portico che in seguito, nel Cinquecento, venne accorpato all'aula assieme ad un ambiente conventuale che faceva parte del loggiato parallelo al prospetto, per ampliarla e ottenere anche lo spazio per la cappella dedicata a Santa Maria del Gesù. Venne quindi costruito un altro portico di accesso, replicato per simmetria anche davanti all'ingresso del convento, il cui portale fu eseguito nel 1577 da lapicidi che nel disegno del manufatto e nella decorazione delle bugne di arenaria finemente scolpite con motivi geometrici e floreali diversificati, si ispirarono a modelli palermitani. Nel convento, il chiostro con il pozzo al centro e i loggiati sui quattro lati consentiva il collegamento con il corpo di fabbrica della chiesa, che occupa la parte destra del complesso, e permetteva la distribuzione e il disimpegno degli ambienti di vita che comprendevano il refettorio, la cucina, il dormitorio al primo piano che si affacciava sul chiostro mediante una loggia, una importante biblioteca. I colonnati del chiostro erano costituiti da piccole colonne dal fusto in arenaria databili al XIV secolo per i capitelli, uno dei quali con lo stemma della famiglia Cardona, che presentano la forma a fogliami lisci. Gli archi a sesto acuto furono costruiti in laterizio; le pareti erano ornate da apparati pittorici distinti in quadri da cariatidi, rappresentanti episodi della vita di San Francesco, realizzati nel XVII dal torinese Francesco Faucena con le offerte della cittadinanza, come riportava la prima scena datata 1600. Su ogni quadro era dipinto uno stemma; anche questi apparati decorativi sono andati perduti a causa del degrado della copertura che fin dalla prima metà dell'Ottocento lasciava filtrare l'acqua sulle pareti, che risultano già «oramai guaste e bruttate con pena dell'arte». Il convento, eccettuato il chiostro, venne quasi completamente ricostruito nel XVII secolo, come attestavano le mostre decorate delle porte. Dopo la soppressione degli ordini religiosi in base alla legge del 7 luglio 1866, la chiesa e il convento, distinto in 38 vani oltre i cortili e il grande giardino recintato da una muratura a secco, furono ceduti al Municipio; purtroppo a causa dell'incuria è andato in gran parte perduto e l'ultimo intervento di 'restauro' ha completamente alterato il disegno delle fabbriche conventuali; del chiostro sopravvive il braccio parallelo alla facciata. Il convento andò ad assumere dalla seconda metà del Seicento una significativa importanza per la comunità nasense, quando i Minori sservanti assieme ai Cappuccini acquisirono l'amministrazione di due importanti istituzioni quali il Peculio frumentario e il Monte di Prestanza. Fino al 1877 a Naso si seppellirono i morti nei cimiteri dei conventi dei Minori Osservanti e dei Cappuccini. CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLE CATENE La chiesa di Maria Santissima delle Catene si trova nella parte alta dell'abitato di Bazia; il fronte, dalle forme molto semplici, si apre sulla strada di collegamento con il comune di Castell'Umberto. L'interno a navata unica con abside poligonale presenta il coro alto in controfacciata e cinque altari. Da sinistra si riconosce quello dedicato al Crocifisso, il secondo all'Immacolata, l'altare maggiore decorato dal quadro della Madonna delle Catene e i Santi Leonardo e Cono; segue l'altare di Nostra Signora delle Catene e, l'ultimo, con la tavola dell'Annunziata che fino a qualche anno fa era conservata nell'omonima chiesa in una contrada limitrofa. La chiesa di Maria SS. delle Catene risulta documentata già nel 1630; secondo Girolamo Lanza fu edificata insieme alla chiesa di San Leonardo come ex voto da due donne che avevano i mariti imprigionati nelle galere del Negroponto. La campana nel 1879 viene trasferita sulla torre di San Pietro e combinata con l'orologio proveniente dalla residenza municipale. Dopo il terremoto nel 1783, per pochi mesi, la chiesa diviene sede arcipretale, visti i notevoli danni subiti dalla chiesa Madre, prerogative acquisite nel 1784 dalla più centrale chiesa di San Sebastiano. La chiesa viene demolita dopo il1887 per permettere la realizzazione della SS. 116 Capo d'Orlando-Randazzo. Il nuovo edificio, ricostruito a poca distanza dal precedente, risulta terminato nel 1906 come si legge nell'iscrizione murata sopra l'arco di accesso al presbiterio. I bombardamenti del 1943 danneggiarono gravemente la chiesa tanto da chiuderla al culto. Sul fronte principale, al disopra del portale di accesso, si trova uno scudo lapideo con l'immagine di San Cono con la croce e il libro in mano. Questi tre elementi insieme alla statuaria che decora l'interno della chiesa e al quadro della Madonna delle Catene, potrebbero provenire dalle chiese di San Leonardo e di Maria SS. delle Catene, demolite alla fine del XIX secolo. CHIESA DI SAN LEONARDO E LE LOGGE DELLA FIERA Tra la fine del 1739 e il 1740 si procedette ai lavori «per sfabricare e principiare della fabbrica di San Leonardo», che dureranno diversi anni, dovuti al sisma del 1739 che colpì Naso duramente. Negli anni seguenti la chiesa venne ripavimentata, risistemato il portale maggiore, realizzato un accesso minore, aperte due finestre, e due «occhialuni» e la scolpitura di due fonti in pietra. Nel 1764 si diede avvio alla costruzione del campanile che durerà circa quattro anni. La chiesa nel 1864 risulta «ruinata» e da allora se ne è persa la memoria. Dalla documentazione di archivio sappiamo che le logge si presentavano come spazi aperti su tre lati, con copertura ad elementi in laterizio sorretta da archi impostati su pilastri. La maggior parte dalla struttura era in muratura e in legno. Nel 1655 l'Università di Naso aumenta il numero delle giornate di fiera e concede alla chiesa di San Cono la tassa degli esteri per la costruzione di nuove quindici logge. Era dunque l'amministrazione della chiesa di San Cono a curare la manutenzione, visto che i proventi andavano a confluire nel patrimonio di questa chiesa. Annualmente le logge venivano sottoposte a lavori di manutenzione ordinaria che prevedevano il riassetto delle coperture e la sostituzione degli elementi danneggiati dal passare del tempo. A partire dal 1704 si procedette a nuovi lavori che alla fine di agosto sembrano praticamente finiti e la chiesa di San Leonardo, che era stata utilizzata come deposito, risulta sgombrata. CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLE GRAZIE L'edificio si affaccia su un piccolo slargo, con un fronte semplice e ordinato. L'interno a navata unica si contraddistingue per una grande cancellata che divide l'abside dalla navata è individua l'antica cappella votiva, realizzata per accogliere il simulacro sacro della Madonna delle Grazie. Presenta un altare centrale che accoglie il quadro della Madonna e uno laterale con il crocifisso di cartone alla romana. I recenti restauri hanno modificato l'aspetto formale mantenendo intatto l'impianto planimetrico. La chiesa venne edificata in seguito all'autorizzazione dell'arcivescovo di Messina Andrea Mastrilli del 15 maggio 1619, per conservare un quadro dalla Madonna con il Bambino dipinta su «lapide di Genova». L'immagine della Madonna, trasportata a dorso di mulo, arrivata alle porte di Naso e proprio nella contrada Colliri diede segni miracolosi facendo fermare il mulo che trasportava il simulacro. Questo evento fece si che in quel luogo, ritenuto miracoloso, si costruisse la nuova chiesa con il contributo dell'Università di Naso e di diversi cittadini tra i quali Assenzio Lanza. In una lapide si ricorda il conte Scipione Cottone e i componenti del corpo Giuratorio ne eleggeva gli ufficiali. Nel 1823 Ferdinando I la dichiara chiesa di patronato comunale; dopo l'Unità d'Italia si voleva includere il piccolo edificio nelle proprietà demaniali. I bombardamenti del 1943 danneggiarono la chiesa, già colpita dal sisma del 1908; per essere riaperta al pubblico necessitò di lavori alle murature portanti, come da progetto datato 1953. IL CONVENTO DEI CAPPUCCINI E LA CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DELLA CONSOLAZIONE La memoria storica dell'antico complesso cappuccino è mantenuta dalla piccola chiesa dedicata alla Consolazione; sul fronte del portico addossato al prospetto della chiesa è murata una lapide di maiolica del 1831 con il simbolo francescano e, nella parte alta, si imposta il piccolo campanile a vela anch'esso decorato con uglioli di maiolica. La chiesa a navata unica, dedicata a Nostra Signora della Consolazione, è coperta con volta a botte lunettata; sulla parate di fondo, l'altare maggiore con la tela rappresentante l'Adorazione dei Magi circondata da una ricca cornice. Al disotto del presbiterio si fronteggiano sulla sinistra l'altare con il crocifisso incorniciato da un dipinto con la Madonna e San Giovanni, a destra un imponente reliquiario. Nella prima parte della navata, vicino all'ingresso, troviamo il quadro con la Madonna degli Angeli e i santi Cono, Francesco, Chiara, Antonio che mostra i segni di un grave degrado: tra i vari elementi decorativi il pregevole tabernacolo ligneo e la statua di San Francesco. L'edificio «d'una architettura semplice e rusticana» consistente in quattro corridoi con ventisei letti, una terrazza affacciata sul lato occidentale del paese al primo piano; al piano terra si trovavano il refettorio, le cucine, la dispensa con la stalla e il fienile. La necessità del nuovo camposanto è dettata dalla legge del 1829 che obbligava i Comuni a porre i cimiteri in zone extra urbane. Il cimitero oggi si presenta ricco di architetture funerarie e alcune cappelle gentilizie mostrano ancora i caratteri dell'architettura di fine Ottocento, in stile neogotico, neorinascimentale, neobarocco; due esempi riprendono le linee del liberty alla palermitana. Diversi monumenti funerari con statue e lapidi ricordano alcuni illustri nasitani e non. Da quel momento in poi l'incuria e il tempo hanno logorato il complesso conventuale fino a farlo crollare quasi totalmente; l'abbandono portò alla spoliazione della ricca biblioteca, degli arredi e di alcune opere d'arte tra le quali i due quadri di Padre Paolo e di Padre Mariano rubati nel 1927. Oggi alcuni volumi della biblioteca sono conservati nella sezione manoscritti della biblioteca comunale di Naso. Tra il 1930 e il 1939 il vescovo di Patti, dietro pressioni dell' arciprete Antonino Portale, cercò di riacquistare l'edificio che ritornò di proprietà ecclesiastica per atto del notaio Giovanni Lipari di Sant'Agata di Militello. Nel 1985 si procedette allo svincolo della chiesa e del convento dalle proprietà della chiesa Madre a quella della nuova parrocchia di Santa Barbara. Il nuovo verbale cerca di sottolineare le differenze che vi sono con il verbale di dissequestro del 25 giugno 1947 in modo da poter valutare gli arredi mancanti. Nel portico d'ingresso alla chiesa nel 1985 era visibile ancora l'affresco dell'Annunziata, andato perduto, che presentava diversi punti di distacco a causa delle infiltrazioni. Oggi l'edificio conventuale è stato ristrutturato; la chiesa, pur mantenendo la sua volumetria originaria è stata oggetto di pesanti lavori di restauro che le hanno fatto perdere le sue peculiarità. SCULTURA, PITTURA, ARTI DECORATIVE A NASO DAL XV AL XIX SECOLO Numerosissimi son stati i ritrovamenti di pitture e decorazioni nel Comune di Naso dopo i terremoti che si son susseguiti nei secoli. Molte di queste opere a carattere religioso, come testimonianza della devozione nasitana nei confronti dei suoi protettori. Mancano invece testimonianze pittoriche e decorative più recenti, invece, per quanto concerne la scultura, essa fa la sua prima apparizione nei decenni del xv secolo, con monumenti di committenza prettamente privata dovuta all’affermazione del potere feudale e monastico. Le prime opere sculteree che si affacciano nell’ambiente nasitano, son per la maggior parte opere a carattere funebre, statue di vergini e bambini, tabernacoli e polittici marmorei. La povertà di materiale edilizio e la mancanza di decorazioni architettoniche valide, lasciarono il Comune di Naso fuori dal susseguirsi di periodi artistici e culturali. La stessa architettura nasitana, più che seguire nei secoli le tematiche architettoniche, che nelle altre città si son avvicendate, sembra perseguire incessantemente, la necessità di trovare una soluzione ai numerosi sismi che l’hanno colpita, modificandone l’assetto fino ai nostri giorni. La conquista normanna, segnò comunque il Comune nasitano, con svariate opere (ahimè ormai andate perdute) come gli insediamenti a S.Basilio, a S.Maria de Lacu e di S.Maria Krista. Importante la campana della chiesa di S.Pietro dei Latini, del 1200, la cui rappresentazione rievoca la storia del santo nasitano San Cono. Dal passaggio dalla signoria al feudalesimo, il Comune di Naso, rivive uno splendore economico-culturale, soprattutto con l’arrivo dell’ordine dei Minori Osservanti. Il Monumento funebre di Artale Cardona è la prima e più significativa scultura giunta in città, l’opera attribuita alla bottega del Gagini, rivela almeno due personalità artistiche. La prima di Pietro de Bonate a cui fan riferimento le formelle che compongono l’arco e il coperchio con la figura giacente (la nostra moderna foto nelle lapidi) e le due statue allegoriche della Temperanza e della Fortezza, la seconda riconoscibile allo scultore Mancino con le statue allegoriche della Giustizia e della Prudenza, nonché i putti reggi stemma con il festone contornato d’alloro. La datazione effettuata non consente però di stabilire con certezza la tempistica dell’esecuzione. Negli stessi anni, la scultura di Madonna col Bambino, che presenta il medesimo schema di altre Madonne posizionate nelle chiese dei comuni limitrofi. La prima scultura marmorea di sicura datazione cinquecentesca esistente a Naso è il monumento funebre del giureconsulto Benedetto Calderaro, in S. Maria di Cesu, il cui coperchio è una evidente derivazione da quello del monumento Cardona e il cui sarcofago, a forma di vasca decorata sulla fronte da due arpie ad alto rilievo e poggiante su due testuggini, mostra caratteri stilistici arcaizzanti. Appartengono invece alla bottega di Antonello Gagini il ciborio in marmo dell'altare maggiore del Duomo. il cui zoccolo presenta una testa di cherubino di delicata fattura, degna della mano del maestro, la Madonna della Neve dello stesso Duomo, in cui si può vedere la fiacca traduzione di un fortunato modello del caposcuola; infine il trittico marmoreo della chiesa del Ss. Salvatore con la Vergine tra i Se. Andrea e Gregorio, il cui pannello centrale è una replica edulcorata di quello che si vede fra Ss. Pietro e Paolo nel trittico della chiesa di S. Maria in S. Salvatore di Fitalia. La penetrazione del gusto manieristico anche a Naso ci viene però attestata, almeno nell'architettura, dal grande portale del Convento dei Minori Osservanti, eseguito nel 1577 da lapicidi, presumibilmente attivi sul luogo, che si ispirano nella decorazione delle bugne, oltre che nel disegno complessivo del manufatto, a modelli palermitani. Alla fine del secolo il Portale data in maniera generica il simulacro processionale in legno policromo della Madonna di Portosalvo nella chiesa del SS. Salvatore. La scultura, che sembra contaminare modi gagineschi e forme calamecchiane, potrebbe invece risalire ai primi anni del secolo XVII, se, come afferma il Sidoti-Migliore, la processione del simulacro fu concessa dall'Arciprete alla Confraternita di Nostra Signora di Portosalvo il 10 aprile 1616. Quasi a compensare la mancanza di sculture, su quattro dipinti cinquecenteschi conservati nella cittadina, tre sono databili alla seconda metà del secolo. Il piu antico di questi dipinti, una tavoletta della chiesa del SS. Salvatore, che raffigura la Madonna col Bambino dormiente, per la sua qualità stilistica. Il dipinto della Madonna del Rosario, posta sull’altare maggiore della chiesa di S.Giovanni porta la data errata del 1500 (1580/90 quella corretta). Essa è un prodotto di grandissima diffusione, grazie soprattutto , al proliferare di molte confraternite ed al culto verso la Vergine dopo la vittoria cristiano di Lepanto contro la flotta Turca. Nel secolo XVII la storia di Naso è scandita da avvenimenti luttuosi, quali i terremoti del 1613 e del 1693 e la peste del 1624, ma anche da fatti culturali assai importanti, dei quali il potere feudale seppe farsi promotore: fra questi meritano di essere ricordati il nuovo assetto urbanistico dato alla città con la creazione della Piazza di Filippo ad opera del conte Pier Maria Cybo, nonchè la fondazione del Monastero delle Benedettine e la venuta dei Gesuiti volute dalla contessa Flavia Cybo Cottone. Anche se la residenza gesuitica, non fu mai tramutata in Collegio e le trattative con la principessa di Roccafiorita durarono per diversi anni, l'attività di insegnamento svolta dai padri della Compagnia dovette incidere parecchio sulla istruzione dei giovani nasitani e delle terre vicine, se è vero che, da qui, gli scolari affluivano anche alle scuole gestite dai padri in Randazzo e se, nel 1648, i maestri privati secolari del luogo, preoccupati della concorrenza, presentavano alla stessa principessa le loro rimostranze. La qualità artistica più importante della scultura secentesca a Naso è quella decorazione a “Mischio Tramischio Rabisco”, si tratta del suontoso apparato decorativo barocco di tre cappelle, tra le quali quella relativa le reliquie di S.Cono, nella cripta dell’omonima chiesa. Le decorazioni all’interno della chiesa Madre, risalgono in prima fase verso il 1667 ed in seconda fase verso il 1720, quando fu compiuto il rivestimento delle due pareti laterali . Intorno al secolo XVII vanno datati gli stucchi della volta che rivestirono dapprima anche le pareti per poi esser manomessi durante l’esecuzione delle opere marmoree. Il motivo di due colonnine tortili, ripreso sul paliotto (pannelli decorativi parte anteriore dell’altare), né scandisce la superficie con cinque arcate entro le quali campeggiano due targhe scartocciate e coronate recanti la storia del Santo ed un veliero a ricordo del miracolo della nave carica di grano nella carestia del 1471. La pittura del seicento a Naso si nute soprattutto di opere devozionali, dovute alla presenza in città di ordini monastici che spingono la popolazione verso il rinnovamento. Ecco perché molte delle opere decorative si anno dopo la presenza dei Minori Osservanti all’interno del Comune nasitano. Verso il XVIII secolo la storia di Naso si incentra per la lotta dalla libertà del dominio feudale, portando Naso a tornare come città di Demanio. Iniziano ad apparire botteghe di intagliatori di legno, botteghe marmoree, anche nei Paesi vicini, pronti dopo il terremoto del 1689 a ricostruire il Paese. La fine del dominio feudale e l'ascesa della borghesia liberale, sotto l'egida della quale nacquero e si svilupparono i fermenti rivoluzionari che portarono all'unità d'Insieme con il conseguente affievolirsi dello spirito devo le, fecero venire meno sin dai primi dell'Ottocento presupposti dai quali, nei secoli precedenti, avevano le mosse le varie committenze artistiche. Nè i ceti popolari fatti oggetto di nuove intollerabili vessazioni e lasciati nelle loro croniche condizioni di debolezza economica dalle politiche dei governi pre e post-unitari, furono in grado di mere iniziative culturalmente valide in tal senso. A ciò si aggiunga, per effetto delle "leggi eversive" del 1866, la pressione degli ordini religiosi con il saccheggio sistematico e il degrado subiti dai conventi. Il costituirsi di nuovi interessi nella fascia costiera, favoriti dalle nuove vie di comunicazione con i Paesi limitrofi, spostano la cultura dai paesi montani a quelli costieri, favorendo il loro sviluppo. Per tale ragione il terremoto del 1823 prima e del 1908 dopo, pur essendo stati poco disastrosi nel Comune di Naso, hanno impoverito indirettamente il patrimonio edilizio cittadino. VISITE IN LOCO LA CULTURA MATERIALE ED ETNOANTROPOLOGICA A NASO La “cultura” come qui intesa, nella ricordata accezione antropologica e sistemica, corrisponde in ogni caso, e quasi coincide, con la vita del gruppo umano che la esprime, del quale organizza (sembra inopportuno usare l’espressione “codifica”) in qualche modo tutti gli aspetti di vita e comportamento. In tal senso non esiste una netta separazione tra dimensioni che analiticamente possiamo individuare come differenziate, ma tuttavia sappiamo strettamente intrecciate, più ancora che complementari. Può essere il caso, tra l’altro, delle attuali suddivisioni tra comportamenti assegnati a campi diversi, e nella nostra cultura quasi autonomi, quali “economia”, “politica”, “diritto”, “scienza”, “religione”, ecc.); questo tipo di classificazioni applicato alle culture del passato o alle culture cosiddette “primitive” si presta senza dubbio a forti accuse di visione eurocentrica e modernocentrica, e porta a grossi errori di prospettiva. “Per lo più gli esseri umani trascorrono la maggior parte del tempo in compagnia di altri esseri umani; generalmente è in gruppo che si adattano all’ambiente e cercano di procurarsi tutto ciò che il sostentamento richiede. Si può affermare, in linea generale, che le strategie adattative si basano su tre elementi portanti: la tecnologia, l’organizzazione sociale, le credenze religiose e i valori, tutti frutti della nostra intelligenza, a sua volta dovuta alla crescita e alla riorganizzazione del nostro cervello, risultati di un lungo processo biologico di evoluzione. Questi tre elementi sono la parte preponderante di ciò che si definisce la cultura di un popolo. La cultura, come è intesa dagli antropologi, è dunque il modo particolare dell’ uomo in quanto membro di una società di organizzare il suo pensiero e il suo comportamento in relazione all’ambiente. Definito in questo modo, il concetto presenta tre aspetti particolari: comportamentali, cognitivi, materiali. 1. La componente comportamentale (da cui l’organizzazione sociale) si riferisce al modo in cui gli individui agiscono e interagiscono l’uno con l’altro. 2. La componente cognitiva ( da cui le credenze, le idee e i valori), si riferisce alle idee che gli uomini hanno del mondo, e al modo in cui queste idee filtrano la loro comprensione del mondo e la loro esperienza. 3. La componente materiale (da cui la tecnologia), infine, si riferisce agli oggetti fisici che vengono prodotti.” In sintesi, siamo in presenza di una partizione, ora abbastanza diffusa negli studi etnografici, tra una dimensione sociale (o comportamentale-relazionale, e anche “istituzionale”), una dimensione materiale (ma meglio forse sarebbe dire “tecnologicofunzionale”), una dimensione “simbolica” o “ideologica” (di cui fa parte una categoria specifica quale quella dei sub-sistemi comunicativi: figurativi, verbali orali e poi scritti, ecc.). La cultura popolare tradizionale (folklore, ecc.) intesa dunque come un ‘sistema’, in altre parole un insieme articolato, ma unitario, ovvero globale ma composto al suo interno, sarebbe allora osservabile, fatte salve diverse cautele metodologiche, singolarmente sotto questi aspetti distinti. Deve essere ben chiaro che quest’ultima, per quanto più convincente, tripartizione non è meno approssimativa di altre, e può dar luogo a gravi equivoci, ove dalla distinzione si pretendesse di passare a una logica di separazione, o anche solo di presunta autonomia di ciascuno dei tre settori. Le cose sono e restano complesse, in questo campo come in altri, malgrado i tentativi di semplificazione. La cultura materiale ha un rapporto evidente con le costrizioni materiali che gravano sulla vita dell’uomo e alle quali l’uomo oppone una risposta che è appunto la cultura. Ma non tutto il contenuto della risposta riguarda la cultura materiale. La materialità implica che, nel momento in cui la cultura si esprime in modo astratto, la cultura materiale non è più in causa. Ne sono esclusi dunque non solo il campo delle rappresentazioni mentali, del diritto, del pensiero religioso e filosofico, della lingua e delle arti, ma anche le strutture socio-economiche, le relazioni sociali e i rapporti di produzione, insomma i rapporti tra uomo e uomo. La cultura materiale sta fra le infrastrutture, ma non le comprende tutte; essa si esprime solo nel concreto, negli oggetti e attraverso gli oggetti”. Come si è visto le valenze simboliche sono presenti fin dall’inizio, già nelle ‘cose’, ma soprattutto nella costruzione di oggetti ‘artificiali’. Ponendo un’attenzione particolare su tre concetti basilari che spesso ricorrono nella cultura materiale: 1 Le Cose – definiamo cose tutto ciò che è percepibile al nostro orizzonte; 2 Gli Oggetti – definiamo oggetti tutto ciò che l’uomo realizza; 3 Gli Utensili – definiamo utensili tutto ciò che l’uomo utilizza per realizzare degli Oggetti; Più ancora: “gli oggetti sono parte integrante e decisiva dei processi di identità e di alterità che l’antropologia studia. L’approccio antropologico mostra i diversi valori di cui gli oggetti diventano portatori. Ciò induce a far emergere lo statuto non interrogato dell’oggettività e della materialità, a coglierne anche le diverse valenze. E ci fa vedere come gli oggetti non sono solo cose, dotate di determinate proprietà e funzioni, ma attori e eroi di narrazioni mitopoietiche di vasta portata e operatori dell’agire sociale. Essi stanno al centro dell’agire sociale, sono agenti attivi di appropriazione del mondo, in correlazione con le pratiche della vita, le relazioni, le negoziazioni, le gerarchizzazioni che la contraddistinguono. Gli oggetti incorporano valori: in essi l’immateriale del senso sta insieme alla materialità fisica, e fa tutt’uno con essa”. Alle cose in genere, agli elementi della sua esperienza concreta l’uomo affida anche sovente una funzione di memoria, di conservazione e stimolazione del suo ricordo personale o collettivo. Con K. Pomian, uno dei massimi teorici della problematica della memoria, rammentiamo che “Il contenuto della memoria individuale scompare, se si tratta di un animale, insieme all’individuo che ne è portatore. Per l’uomo le cose vanno in tutt’altro modo, perché le vestigia del passato possono venire trasmesse sotto forma di creazioni esterne all’organismo stesso, atte a una esistenza autonoma nei confronti di quest’ultimo”. Prima della scrittura, che consente una fissazione permanente, il racconto orale ha svolto una funzione importante di trasmissione, ma, prima ancora, e sempre poi accanto a queste forme più evolute, sono state importanti semplici “reliquie – se si vuole indicare con questo termine qualsiasi frammento di un essere o di un oggetto inanimato” o anche “immagini”, che “sotto forma di cose (…) sono la correlazione oggettiva di quella memoria specificamente umana che è la memoria collettiva e transgenerazionale”. Anche gli umili oggetti della vita quotidiana o gli attrezzi di lavoro hanno svolto, dunque, assieme alla esperienza diretta delle attività tradizionali, una fondamentale funzione, e tuttora possono svolgerla, anche se in forme molto diverse. Non più l’immediato riferimento a pratiche locali e meno locali ben note, ma sempre più una funzione di rimando a epoche e attività che acquistano uno spessore ‘storico’, sia pure di una storia minore, storia sociale, o della lunga ‘durata’. Infine, la cultura materiale reca un apporto fondamentale alla questione della quotidianità, della vita quotidiana, con la relativa stabilità delle cose e degli oggetti, con la loro ‘durata’. Questo almeno fino alla produzione di massa e al consumismo odierni che introducono una elemento di labilità, di non permanenza dei prodotti Si potrà sostenere, allora, che non si può e forse non si deve fare una storia separata della cultura materiale, ma la cultura materiale può sicuramente contribuire alla storia, appunto sull’asse della ‘lunga durata’. L’intervento sull’ambiente naturale, presente fin dalle origini dell’umanità, acquista un carattere e una rilevanza particolari in riferimento all’ambiente montano, alle sue caratteristiche generali (verticalità, impervietà ecc.) e particolari (morfologia e natura specifica dei suoli). E’ proprio in base a queste caratteristiche morfologiche che l’uomo opera al cambiamento delle stesse ed alla realizzazione dei suoi manufatti (edifici pubblici e privati), nonché all’adattamento culturale e giornaliero della propria esistenza. Così come importante risultano i tratti viari che si vengono a creare lungo percorsi che direttamente ed indirettamente l’individuo utilizza per raggiungere velocemente le sue destinazioni. L’ALIMENTAZIONE Come qui innanzi le ‘tecniche del corpo’, così anche l’alimentazione è strutturalmente connessa con la socialità e con “l’ordine simbolico, che definisce che cosa è l’alimento e stabilisce le forme sociali della sua acquisizione, della sua preparazione e del suo consumo”. Tuttavia è anche possibile cercare di identificare alcuni aspetti più specificamente ‘tecnologici’. E’ comunque evidente la stretta connessione con le tecniche culinarie. Riguardo all’alimentazione locale, sembra chiaro un pesante condizionamento della situazione ambientale, geologica, pedologica e climatica. Così ciascuna area tendeva anzitutto a sfruttare le risorse che potevano crescere sul proprio territorio, anche se non erano esclusi gli scambi, a lungo peraltro prevalentemente interni alla provincia. FESTE RELIGIOSE E PROFANE – EVENTI E TRADIZIONI Proprio come per gli edifici e le opere decorative, anche le festività che si susseguono derivano da adattamenti umani al territorio circostante ed alle credenze popolari che nei secoli si son succedute. La devozione verso una particolare stagione o verso un Santo patrono portano gli individui a riunirsi in collettività per festeggiare insieme gli stessi. Le processioni tipiche dei periodi monastici permettevano il passaggio del protettore lungo le vie cittadine, proteggendo così la popolazione e le loro abitazioni dagli effetti tellurici del territorio e da eventuali malattie contagiose. Come in ogni cultura, le feste religiose e profane, hanno caratteristiche non soltanto comportamentali degli individui, ma anche estetici di abbigliamento, che si riflettono a loro volta nell’alimentazione e nei cibi tipici per la determinata festa (di sicuro per la presenza di un determinato prodotto alimentare più frequente di altri nel periodo specifico).