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dispensa - Comune di Naso

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dispensa - Comune di Naso
COMUNE DI NASO
Corso di informatore turistico
DISPENSA
Docenti: Angelica Nuccio – Provvidenza De Leo.
Naso, si erge su una collina dalla quale si godono molte variate e suggestive vedute:
mare, fiume, allate, paesaggi, isole, vulcani. Domina, come una terrazza, il mare Tirreno e
le isole Eolie. Essa è chiamata, sin dall'antico, Agatirso, Naxida, Nesos, Naso; a motivo,
probabilmente, della sua ubicazione, ebbe prima il nome di Naso dal vocabolo greco
Nesos che ha il significato di "isola", isolato, anche se probabilmente il nome derivi dal
fiume che la cinge.
La posizione di altura permetteva un efficace controllo della viabilità e del territorio,
elemento di primaria importanza anche per l'edificazione dei conventi dei Minori
Osservanti e dei Cappuccini, costruiti fuori del nucleo abitato. Ruggiero II concesse una
parte di Naso alla famiglia Barresi e l'altra parte della città era amministrata dal Vescovo.
Venne poi venduta nel 1570 alle famiglie Grimaldi e Ventimiglia. Il Ventimiglia riunì il
potere a Naso e nel 1582, per volere di Filippo II, divenne conte di Naso: la città passò
da terra baronale allo stato di contea (1575); l'Università di Naso era amministrata dal
conte che aveva giurisdizione civile e penale sugli abitanti, un fondamentale privilegio
che a partire dal 1610, con l'aggravarsi delle condizioni economiche del regno spagnolo,
insieme alla licentia populandi fu messo in vendita. Nel 1642 Naso acquisì il titolo di città
per l'importanza che aveva raggiunto. Il conte di Naso rimase comunque proprietario
della «torre di guardia, del castello» e del santuario di Capo d'Orlando oltre che del
castello di Naso; gravemente danneggiate dai terremoti del febbraio 1783 e del marzo
1786, il conte avrebbe dovuto restaurare a proprie spese queste fabbriche, per cui non
furono annoverate fra le opere pubbliche soggette alla perizia dei due tecnici incaricati
dal governo reale. Il sisma del 1823 provocò ingenti danni all'abitato di Naso tanto da
fare ipotizzare il trasferimento della città nella zona costiera chiamata Ponte Naso, e ridi
segnò la parte meridionale dell 'urbano.
In ottemperanza alla legge del 20 marzo 1865 Naso diede un nome alle vie, numerandole
e redigendone un elenco; le strade principali erano tre: via Alighieri, poi corso Umberto
I, via della Libertà e via del Castello, poi via Amendola. Alcuni anni prima, nel 1863, data
la necessità di portare avanti un vasto programma di lavori pubblici e, fra questi, la
costruzione e la «riparazione» di strade comunali era stata attivata una tassa sul
commercio che prevedeva la distinzione dei commercianti in quattro classi. Venne
inoltre aperta una nuova via rotabile che metteva in comunicazione piazza Vittorio
Emanuele, oggi Francesco Lo Sardo, con la strada provinciale; furono portati avanti
numerosi lavori stradali quali, ad esempio, la sistemazione del largo del Duomo con la
relativa strada fino al castello, a congiungere con la provinciale la piazzetta Umberto I,
già largo S. Sebastiano, e la strada che dal largo Duomo tramite via Alighieri arrivava a
largo Ruggiero Settimo, ora Gaetano Parisi e Parisi, volgeva al Belvedere Grande e poi
sul piano del SS. Salvatore e da questo, ritornava in alto, alla piazza Vittorio Emanuele.
Questo programma di interventi condotto dal Comune, che interessò le vie interne ed
esterne alla città, portò alla ricostruzione della residenza municipale in seguito alla sua
riduzione planimetrica dovuta all'ampliamento dell'innesto in piazza Vittorio Emanuele
di via Alighieri. . Nel 1871 si rese necessaria la costruzione delle strade
intercomunali,individuando la priorità del collegamento Capo d'Orlando-Naso a
Randazzo. Il sindaco, inoltre, facendo seguito alla stessa legge del 20 marzo 1865, decise
di fare liberare le strade interne e le piazze della città dai numerosi materiali, «pezzi di
pietra, ed altri oggetti di costruzione», detriti dovuti al crollo delle abitazioni private dopo
il terremoto del 1783 e del 1823, che le ingombravano da oltre un trentennio non solo
perché le «deturpano» ma perché dietro a questi «materiali si elevano sterquilini e
pisciatoi, che ammorbano l'aria e danneggiano la pubblica salute»; gli stessi materiali
furono confiscati per impiegarli ad uso pubblico. Nell'aprile 1884, quando Naso e il
«centro secondario di Capo d'Orlando» erano regolati da due diverse Commissioni di
edilizia nominate fin dal 1872 per porre maggiore attenzione a «che i nuovi fabbricati
siano fatti con ordine e senza offendere l'ornato pubblico», venne approvato il nuovo
regolamento edilizio che obbligava i proprietari degli edifici posti lungo il tratto della
strada rotabile provinciale che attraversava l'abitato, di intonacare e tinteggiare le
«facciate in pietra o in laterizio o lavoro di quadro», di demolire ballatoi e scalini
sporgenti sulla via pubblica e di «incanalare le acque piovane, quando appaiono
incomodo al transito»; venne inoltre deciso di far togliere «tutte le mostruosità per
disordine di aperture, indecenza o altro contrarie all'ornato». Nel marzo 1893 il Consiglio
comunale, a integrazione del Regolamento di Pubblica utilità del 1884, obbligò i
proprietari delle case alla sistemazione delle grondaie nelle vie principali della città. Nel
febbraio 1910 per il «progresso» della città il Consiglio comunale deliberò di dotare la
città dell'acqua potabile e dell'illuminazione elettrica, due servizi di grande rilevanza per il
decoro e l'igiene dei cittadini e «fonte di ricchezza per il Comune che, dal canone di uso
dell'acqua potabile e della luce, per parte dei privati, dedotte le spese di esercizio,
ritrarrebbe un utile tale da risolvere tutte le difficoltà e le angustie del proprio bilancio»;
Per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico ancora «assai primitivo», nel
1928 il podestà Gioacchino Xilone stipulò un contratto con la ditta Minciullo di Capo
d'Orlando per il sollevamento «meccanico elettrico ell'acqua» della sorgente posta a valle,
nellacontrada Feudo. Venne inoltre previsto anche l'ammodemamento del sistema di
illuminazione, ancora in parte ad acetilene e in parte a petrolio, e «tenuto in economia». Il
Comune era provvisto di una fognatura che, pur non essendo costruita con sistemi moderni,
aveva un buon funzionamento. Fra gli anni Venti e Trenta in contrada Grazia fu progettato
dall'ingegnere Carlo Busacca il campo sportivo, con gli spogliatoi in stile decò. Nel corso del XX
secolo il centro abitato ha subito diverse trasformazioni all'interno del tessuto preesistente, a
causa dei danni provocati dal terremoto del 1908, dalla frana del 1931 e ancora dal sisma del
1978. La città si è ampliata verso la zona meridionale di Bazia, verso ovest in contrada Grazia,
verso nord lungo la via che conduce al convento dei Minori Osservanti, nelle cui vicinanze sono
state edificate alcune scuole e un ospedale, e lungo la direttrice per Capo d'Orlando con la
contrada Cresta. La zona settentrionale e quella occidentale continuano a mantenere l'assetto
viario medioevale, anche se la configurazione di alcune strade è mutata a causa della demolizione
di alcuni edifici.
GLI EDIFICI STORICI
QUARTIERE CASTELLO E CHIESA MADRE
Nel primo trentennio del Seicento, Naso risulta essere una terra «fertilissima et
abbondante d'ogni cosa pertinente al vitto» e dedita alla produzione di seta, di frumento,
di olio e di vino, in un territorio ricco soprattutto di ulivi e di gelsi e fra le attività
principali, l'allevamento del baco da seta. Nell'organizzazione della città l'area del
mercato delle grasce e dei grani e il mercato del bestiame avevano luogo in diverse sedi,
dentro e fuori le mura, L'area del mercato della carne fino al Settecento si sviluppava a
ridosso della cortina muraria in cui si apriva la Porta Marchesana, in corrispondenza dell'
arrivo della strada; la città era divisa in molti quartieri che traevano nome dalle rispettive
chiese.
Naso era cinta da un alto circuito murario che si sviluppava lungo tutto il lato
occidentale e meridionale, solo in parte nel lato orientale per la presenza di precipizi; un
tratto dell'antica via Libertà fino al 1865, a memoria delle antiche mura, si chiamava
Piano delle Mura. In corrispondenza delle direttrici stradali generatrici, sulle mura, che
nel 1630 furono munite di torri di difesa andate distrutte nel Settecento a causa dei
terremoti, si aprivano cinque porte: a nord la Porta Nuova poi porta Convento, che
costituiva l'ingresso settentrionale al paese, l'arrivo della strada di collegamento con la
costa e con i Minori Osservanti; a est la Porta Varrica, che guardava verso la campagna,
andata perduta durante i terremoti del XVIII secolo; sul lato sud-est, la Porta Piazza in
direzione Bazia, che fino ai primi del Novecento permetteva di accedere allargo della
chiesa Madre, dove aveva luogo una delle più importanti fiere di Naso in onore dei Santi
Filippo e Giacomo. Altre due porte si aprivano in corrispondenza del tracciato viario sud
occidentale, la Porta Marchesana, ingresso alla città anche dal borgo Bazia per la strada
del Soccorso, che terminava nel lato occidentale del castello; nelle sue vicinanze si
trovava Porta Castello che per la via Libertà conduceva alla Porta del Convento. . Il
tessuto viario all'interno della cinta muraria, specialmente nella zona meridionale dove si
sviluppò il primo nucleo del paese, a causa dei diversi sconvolgimenti naturali, nel corso
dei secoli più di altre zone ha subito profonde trasformazioni. Tale nucleo doveva essere
densamente edificato tra la massa emergente del castello, della chiesa Madre e della
chiesa di San Pietro, costruita ante 1438. Il castello, situato quasi all'estremità della parte
meridionale della città, ricostruito più volte a causa dei danni provocati dai sismi, alla fine
del Cinquecento già versava in uno stato di degrado tale da indurre, nel 1576, il conte
Carlo Ventimiglia a decidere di trasferire la propria residenza nell'antico monastero delle
Benedettine, in uno spazio urbano dominante, che costituiva il cuore della città, il Piano
del Monastero, Il castello, situato quasi all'estremità della parte meridionale della città,
ricostruito più volte a causa dei danni provocati dai sismi, alla fine del Cinquecento già
versava in uno stato di degrado tale da indurre, nel 1576, il conte Carlo Ventimiglia a
decidere di trasferire la propria residenza nell'antico monastero delle Benedettine, in uno
spazio urbano dominante, che costituiva il cuore della città, il Piano del Monastero, In
seguito al terremoto del 1613 il castello aggravò ulteriormente le proprie condizioni e fu
oggetto di numerosi interventi da parte della famiglia Cibo; Nella seconda metà
dell'Ottocento, il castello era ormai un «maestoso edificio, per cui venne demolito e una
parte dell' area, quella relativa il carcere, fu occupata dal teatro dedicato a Vittorio Alfieri,
costruito nella seconda metà dell'Ottocento. Sull' antico terrapieno del castello, alto circa
cinque metri dal livello del giardino adiacente, fu invece costruito palazzo Musarra. Lo
spazio urbano in cui si trova il palazzo, denominato piazza Garibaldi, già Largo Castello,
nel 1882 fu oggetto di lavori di «spiazzamento» lungo la linea del parapetto che venne
costruito in pietra, intonacato e tinteggiato, su progetto dell'ingegnere del Genio Civile
Augusto Merluzzi, e dotato di balaustre in ferro. Nel 1897 in piazza Castello, che risulta
essere «la più bella e la più vasta del paese di Naso», vennero collocate due «colonne di
ghisa a uso di fanali della Fonderia Archimede di Messina»; in questo periodo la città era
illuminata da sedici «fanali». A nord- ovest di palazzo Musarra si estendeva un terreno di
loro proprietà destinato ad area fabbricabile che in seguito verrà acquistato dal Comune
per costruire la palazzina degli Uffici comunali, affidandone la progettazione
all'ingegnere messinese Pietro Colonna, e successivamente gli alloggi popolari. Ancora
oggi nello slargo posteriore al palazzo degli Uffici comunali è visibile un tratto delle
mura del castello. Fino agli anni sessanta dell'Ottocento, in prossimità di palazzo Piccolo
Natoli, poi Giuffrè, si trovava l'antica chiesa di San Sebastiano, gravemente danneggiata
dai sismi del 1786 e 1823; il Municipio per procedere ai lavori di risanamento e di
ampliamento degli spazi urbani che modificarono anche la rete viaria interna, acquisì con
una pratica che aveva avuto inizio nel 1866, A ridosso del San Sebastiano si trovava la
chiesa di San Pietro che, a causa dei gravi danni subiti dai terremoti del 1823 e del 1908 e
dalla frana del 1931 , fu demolita assieme all'adiacente campanile nel 1932, realizzando
un spazio vuoto che dapprima venne sistemato su due livelli dando luogo a una piazza
sopraelevata pedonale, piazza Dante, e negli ultimi decenni del Novecento è diventata
una strada allo stesso livello, chiusa nel lato sud dall'ex albergo Miravalle già Peculio
frumentario, da uno spazio aperto in cui si trovava l'ospedale di S. Giovanni di Dio,
demolito in seguito ai danni del terremoto del 1978. Piazza di S. Michele poi di S.
Sebastiano e attualmente piazza Dante, fino al Cinquecento era un nodo urbano di
grande significato in quanto costituiva il fulcro delle direttrici verso porta Castello e
porta Marchesana, e aveva come quinte il castello e San Pietro dei Latini; dalla fine del
Cinquecento tale importanza venne acquisita da piazza di Filippo, oggi Francesco Lo
Sardo.Altri interventi mirati a realizzare ampi spazi urbani erano stati già effettuati
nell'area compresa fra la facciata di San Pietro e la chiesa Madre, con la demolizione
ottocentesca dell'isolato che aveva subito gravi danni durante il sisma del 1823, andando
così ad ampliare e a rialzare il piano di calpestio della «piazzetta» antistante il duomo,
realizzando una piazza che si ampliò ulteriormente nel Novecento con la demolizione di
San Pietro. La differenza di quota fra l'antica «piazzetta» e l'attuale piazza è rilevabile nel
lato nord di quest'ultima, di fronte alla casa adiacente il prospetto principale della chiesa
Madre, che negli anni Trenta era di proprietà Cuffari. Nella primavera del 1927 si decise
di coprire l'area dell'ex chiesa di San Pietro e dell'adiacente campanile, che dovevano
essere demolite, e quella di piazza Castello con una selciatura «o basolatura», un
intervento che faceva parte dei lavori di consolidamento di questa parte dell'abitato
resosi necessario dal movimento frano so del 1919. negli anni Trenta venne costruita la
Casa del Fascio, A partire dal 1941 fu edificato l'edificio delle scuole elementari sul lato della
piazza in cui sorgeva il monastero di Santa Caterina, costruito nel 1628, e un edifico distinto in
tre piani, occupato al pianterreno da botteghe fra cui il caffè Avvenire, che dal 1892 manteneva «
per tutto l'anno la neve a comodo del pubblico in specie degli ammalati». Tra gli anni Sessanta e
Settanta fu costruito l'attuale edificio comunale, per il quale venne redatto un progetto che
prevedeva l'utilizzo dei diritti a mutuo che il Comune aveva sugli edifici di sua proprietà
danneggiati dal terremoto del 1908: la piazza venne ad assumere così l'aspetto di uno spazio
allungato, delimitato da una teoria di edifici pubblici.
PALAZZO PER UFFICI – Via Amendola,1
Nel 1870, dopo l'incendio dell'edificio destinato a sede comunale, e soprattutto dopo il
terremoto del 28 dicembre 1908 che obbligò alla riorganizzazione degli uffici di pubblico
servizio, si inizia a parlare a Naso dell'edificazione di un nuovo palazzo comunale
investendo i fondi derivanti dai «diritti a mutuo in dipendenza dei fabbricati danneggiati
e distrutti dal terremoto». Il progetto realizzato è sostanzialmente diverso rispetto a
quello redatto negli anni Venti: un nuovo gusto razionalista, molto semplificato, tipico
delle architetture della metà del XX secolo subentra a scapito dell' originario linguaggio
architettonico fortemente legato ai più significativi episodi della ricostruzione messinese
post terremoto del 1908, che trova importanti richiami nella sede comunale della vicina
Gioiosa Marea.
TEATRO VITTORIO ALFIERI
Il teatro comunale Vittorio Alfieri rappresenta una delle testimonianze più significative
della cittadina di Naso, non tanto per il pregio delle sue linee architettoniche
neoc1assiche ma soprattutto per il valore culturale dell'attività artistica che lo ha
fortemente caratterizzato per quasi un secolo. Sorge all'ingresso ~ principale della città in
una parte dell'urbano di notevole rilevanza storica, in parziale sovrapposizione all'antico
castello.
Più articolato e tipicamente neoc1assico è il primo dei due ordini che scandiscono la
facciata dove quattro colonne incorniciano il portale principale posto lungo l'asse
centrale della facciata in bozze di pietra artificiale, oggi intonacate ma probabilmente in
origine realizzate ad imitazione cromatica della pietra naturale, e sorreggono una
trabeazione aggettante. Completamente intonacato e architettonicamente più leggero è
invece il secondo ordine, scandito da tre finestre equi distanti, poste in asse con quelle
del primo livello. L’interno fa riferimento ad un allestimento all'italiana a pianta elI ittica,
troncata perpendicolarmente all'asse maggiore, articolato in altezza da «quattro ordini di
palchi». nel 1920 il commissario concede l'autorizzazione a trasformare l'edificio in una
sala cinematografica. Si apre a questo punto una fase molto travagliata per la vita del
teatro che vede il succedersi di molti interventi di ristrutturazione e trasformazione.
Tutta l'impalcatura dei tre ordini di palchi e della muratura di base viene demolita e
sostituita da una platea con «tribuna soprastante»; il boccascena subisce un ampliamento
attraverso la parziale demolizione delle murature che limitano il palcoscenico per
permettere lo svolgimento di spettacoli di arte varia: tutti questi lavori portano alla
perdita dell'impianto originario e probabilmente conduce, a partire dal 1947, il teatro
Alfieri ad assumere un ruolo marginale all'interno delle iniziative culturali di Naso fino al
totale abbandono.
PALAZZO MUSSARRA, Via Amendola,2
L'edificio, costruito nella prima metà dell'Ottocento, fu venduto a Giuseppe Giuffrè nel
1867 che per volontà testamentarie lo assegnò alle figlie Susanna e Marietta. Fu
Giuseppe Musarra, marito di Marietta, a dare inizio nel marzo 1885 ai lavori di restauro e
di completamento del palazzo, che assunse l'assetto attuale, l'intervento ricostituì i
volumi essenziali del mastio del castello. La grande dimora, considerata «la casa più
signorile
dell'abitato
di
Naso»,
si
sviluppa
su
tre
piani
e
presenta
un
impianto quadrangolare articolato su due giardini, di cui quello posto a est è stato ceduto
dai Musarra al Comune per adibirlo a giardino pubblico; un'ampia terrazza circonda su
tre lati il piano nobile, alla sommità del terrapieno. L'ingresso al palazzo sembra
conservare memoria dell'antico accesso al mastio del castello dal momento che si apre
sul lato ovest dell'edificio, quello che doveva essere il cortile della 'fortezza'. I lavori di
restauro, realizzati dopo il terremoto del1978 e portati avanti dalla nuova proprietà,
hanno alterato la distribuzione interna, modificato il cromatismo delle facciate che
caratterizzava il palazzo nel contesto urbano, e l'architettura esterna con l'eliminazione
delle aggettivazioni decorative e la costruzione delle paraste in lastre di pietra.
Lo stemma dei Musarra di Naso in Marmo bianco, murato alla fine dell’ottocento sul
portone principale di accesso al palazzo, è stato ricollocato dalla nuova proprietà nel
piano terreno, sotto la ringhiera della terrazza.
PALAZZO PATEMITI, Via della Libertà,3
Il palazzo, che nei documenti dei primi del Novecento risulta essere una «abitazione
signorile» divisa in appartamenti, ha subito nel corso del XX secolo modifiche nella
redazione esterna delle finestre e nella distribuzione degli spazi interni. Si può ritenere
che il primo impianto dell'edificio sia stato costruito, a partire dal 1878, a ridosso del
castello andando a saturare spazi nel lato tergale, e inglobando strutture murarie che
facevano parte dell'antico organismo. La scala principale interna prende luce da ocuIi
prospettici posti all' interno di lunette, in cui trovavano posto le candele per
l'illuminazione notturna.
PALAZZO PARISI, Via Mazzini
L'edificio, prospetta su via Mazzini e via Libertà; lateralmente si apriva
un vicolo, chiuso dopo il 1877, di cui rimane memoria nell'arco in laterizio a sesto
ribassato, ora tamponato. E' un edificio di pianta irregolare, articolato in tre piani e
distinto in due unità con accessi separati, utilizzati come abitazioni privati dei figli di
Nicolo Parisi Lipari. La facciata principale su via Mazzini, in conci di pietra squadrati e
intonacati, è decorata con motivi a graffito e a stucco, eseguiti presumibilmente agli inizi
del
Novecento;
dello
stesso
periodo
anche
i
balconi
con
ringhiera
in
ferro battuto in stile liberty come le mensole. I tre portali d'ingresso in via Mazzini, di cui
quello centrale evidenziato dallo stemma Parisi in grave degrado, sono in pietra arenaria,
con intagli nei dritti e motivi floreali nei semipennacchi dell'arco e nel concio in chiave. I
cantonali sono risolti con elementi architettonici in conci di pietra arenaria intonacati,
conclusi superiormente da motivi decorativi, da considerare come soluzione linguistica
figurativa e risposta ai problemi statici dovuti ai ripetuti eventi sismici.
PALAZZO GIUFFRE’ (PICCOLO).
Nel 1898, quando venne acquistato da Vincenzo Giuffrè, il palazzo era costituito da due
corpi di fabbrica attorno ad una corte, in cui era presente la tipica scala escuberta. Il
palazzo è stato edificato alla fine dell'Ottocento su un impianto cinquecentesco di
proprietà Piccolo, costituito da «case grandi in più corpi» in prossimità dell'antica chiesa
di San Sebastiano e nelle vicinanze della chiesa di San Pietro. Nel 1884, quando venne
approvato il Regolamento edilizio, Antonino allineò «la prospettiva del suo nuovo
fabbricato in costruzione agli archi di S. Sebastiano, con lo spigolo laterale della distrutta
chiesa di S. Pietro», chiudendo da quella parte il 'chiasso S. Pietro', già soppresso dal
Municipio per ragioni igieniche ed edilizie, e che dopo la demolizione della chiesa di San
Pietro sarebbe stato sostituito da una nuova strada diretta di collegamento di largo
Bellini con largo delle Poste. Nel 1896 una parte del secondo piano era stata data in
affitto per cinque anni all'arma dei Carabinieri. In occasione del matrimonio dei figli
Giuseppe e Anselmo, il palazzo fu diviso in tre appartamenti.
I fratelli dopo il terremoto del 1908, viste le condizioni in cui versava il palazzo ne
deciserò la ristrutturazione. Il progetto prevedeva interventi sostanziali che andavano a
modificare radicalmente la distribuzione interna e i collegamenti verticali, a scapito della
corte interna. In questo modo si venivano a determinare nel palazzo quattro
appartamenti
distinti,
due
per
piano,
con
una
organizzazione
distributiva razionale diversamente dalla situazione esistente, dove le distinzioni abitative
risultavano alquanto caotiche. La modifica planimetrica più drastica riguardava
l'eliminazione dell'androne antico e quindi del ricco portale aperto su via Mazzini, con la
valorizzazione dell'ingresso, già esistente, su piazza Dante. Quest’ultimo progetto che
non trovò realizzazione. L'accesso al palazzo prospettante su via Mazzini ancora oggi è
segnato dal portale ad arco trapezio, in conci di pietra decorati con volute ed elementi
vegetali, che si presume provenga dalla chiesa o dal complesso monastico di San
Sebastiano, come l'arco dell'androne di accesso alla Corte; molto originale risulta il
motivo delle bugne ad x, poco diffuso in Sicilia. Il concio in chiave del portale è
evidenziato da una voluta in marmo sulla cui base è riportata la scritta 1515 et iterum
1717, l'una presumibile data di fondazione della chiesa della omonima confraternita,
l'altra, l'anno del suo completamento dopo i danni del terremoto del 1693. Sull'asse
centrale della trabeazione del portale è murato lo stemma degli Joppolo Ventimiglia,
Stemma probabilmente proveniente dai resti del Castello. Sulla stessa facciata, il
cantonale serba memoria del sisma del 1739, che provocò gravi danni al palazzo. I
prospetti sono conclusi in chiave classicheggiante da un fregio dorico con cornicione
aggettante. Il palazzo nella seconda metà del Novecento, in seguito alla vendita e ad un
ulteriore frazionamento, è stato oggetto di profondi interventi che hanno modificato
sostanzialmente la distribuzione interna dell 'impianto originario mentre sono stati
conservati i due accesi su piazza Dante e via Mazzini.
CHIESA SAN SEBASTIANO
La prima notizia relativa l'antica chiesa di San Sebastiano, sede della omonima
compagnia, , risale agli ultimi decenni del Cinquecento, quando l'edificio religioso,
trasformato in un monastero per il trasferimento delle Benedettine, divenne sede
abitativa della famiglia Ventimiglia, conti di Naso. San Sebastiano andò distrutta durante
il terremoto che il 9 e l'Il gennaio 1693 colpì la Sicilia orientale; Naso infatti rimase fra le
città più danneggiate della diocesi di Messina. Nell' ottobre dello stesso anno si diede
inizio alla ricostruzione della chiesa, a navata unica con tre cappelle distinte dall'aula
mediante arcate ricostruite nel 1694, anno in cui venne rifatta anche la copertura voltata
ad incannicciato su cui, nel 1701, «Sebastiano di Giovanne pittore» stese una decorazione
pittorica
attorno
alla
tela
con
il
San
Sebastiano
che trovò posto nella specchiatura centrale del soffitto. Nella chiesa si trovava anche il
quadro con San Martino, restaurato nel dicembre del 1697, e la statua di San Sebastiano,
che veniva portata in processione con le reliquie del santo, con la partecipazione del
clero e delle altre compagnie nel giorno della sua festività. La cappella di San Sebastiano,
che si presume fosse quella maggiore, era voltata come quella dedicata al SS. Crocifisso,
e decorata con stucchi; lo stesso apparato decorativo plastico, realizzato nel 1697 da
Antonio La Donna e dai suoi figli, ornava l'aula e gli altari. Nel 1700 furono acquistati «i
maduni per lo pavimento della chiesa», calcina e venne messo in opera il nuovo portale
ligneo intagliato. L'anno seguente venne rifatta anche la facciata della chiesa, sulla quale
si aprivano due finestre, e si diede inizio al campanile; la piccola chiesa si apriva sulla
piazza di S. Sebastiano, intitolata a S. Michele fino al 1555. I registri riferiscono anche la
realizzazione di paramenti e di addobbi nell'interno della chiesa in «damasco negro», in
occasione di alcune celebrazioni In seguito ai danni provocati dal terremoto del 5
febbraio 1783 alla chiesa Madre, il Santissimo Sacramento e le reliquie di quest'ultima
furono trasferite nella chiesa di San Sebastiano. Il terremoto del 1823 portò Naso ad una
«devastazione quasi totale» e il San Sebastiano fu ridotto allo stato di rudere. Il Comune
nel 1866 decise di cedere ad Antonino Natoli Piccolo, proprietario della casa adiacente
l'antico complesso religioso, l'area degli «archi della diruta chiesa di S. Sebastiano»,
«nell'interesse dell'ornato e finanza comunale» dal momento che questi erano «situati in
un punto che può dirsi il cuore del paese», con l'obbligo di costruire «sui resti un solaio
di legname o a volta», in cambio dell'acquisizione del suo magazzino «diruto», per
allargare «i sistemare il Piano Principe Umberto». Si ritiene che il portale del palazzo ad
arco trapezio sia quello del San Sebastiano, costruito alla fine del Seicento.
EX CASA DEL FASCIO
Diversamente da molte Case del Fascio degli anni Venti, che furono realizzate con un
carattere tipicamente 'storicista', con il rigore architettonico tipico del periodo, quella di
Naso costruita ex novo dopo il 1936 è caratterizzata da un'architettura razionale in linea
con
le
ricerche
progettuali
dell'
epoca.
La
presenza
in
facciata
dei riferimenti a tematiche celebrative del regime: il Fascio Littorio, l'Aquila imperiale,
l'arengario con su scritto "Credere, Obbedire, Combattere", murato sul prospetto laterale
volto verso l'ingresso alla città, fece in modo che questo 'faro' del fascismo fosse un
elemento distintivo della piazza, in cui prendeva avvio corso Littorio, poi Umberto I. Il
partito nazionale fascista, tra il 1922 e l'inizio del secondo conflitto mondiale, costruì
sull'intero territorio nazionale e nei possedimenti coloniali oltre undicimila case del fascio
generalmente su iniziativa locale. In realtà la Casa del Fascio era già in costruzione e
nell'ottobre erano stati assegnati fondi alla locale segreteria del fascio combattenti per
l'erezione di una lapide in ricordo dei caduti del primo evento bellico mondiale, da
sistemare sulla facciata del nuovo edificio dal momento che fino a questo momento il
Comune non era riuscito a trovare i fondi per un monumento. In seguito venne murata
sul prospetto anche quella commemorativa dei caduti del secondo evento bellico
mondiale. Dopo la caduta del fascismo, il palazzo, come tutti gli edifici del medesimo
periodo, divenne sede di uffici comunali.
CHIESA SAN PIETRO DEI LATINI
Nello spazio compreso tra la Casa del Fascio e largo Bellini si trovava la chiesa di
San Pietro dei Latini, già demolita negli anni trenta del Novecento, una delle chiese
più importanti di Naso. sarebbe stata fondata non oltre il XVI secolo, a tre navate su
colonne di pietra, con ingresso posto ad ovest, verso largo S. Sebastiano. L'edificio,
in seguito al sisma del 25 agosto 1613, viene totalmente ricostruito ed ampliato. La
nuova fabbrica seicentesca era divisa in tre navate, con colonne di muratura che
sostenevano le arcate e la cupola, come si evince da un dipinto del XVIII secolo.
All'interno è documentata la presenza di tredici altari, di cui uno dedicato al SS.
Crocifisso, uno a San Gaetano, un altro dedicato a Maria SS. del Riparo e un altro
ancora a San Giovanni Evangelista; . Il sisma del 1739 danneggiò le strutture del
campanile, gli archi e la cupola della chiesa e rase al suolo la sacrestia. Il terremoto del
1783 creò danni tali che si dovette trasferire il culto nella chiesa di San Giovanni di Dio
all'interno dell'Ospedale dei Bianchi. Il successivo evento tellurico avvenuto nel 1786
arrecò ulteriori danni alla chiesa e al campanile e, in seguito al sisma del 1823, la fabbrica
risulta ormai in «gran parte abbattuta». Sul campanile, alto 25 metri circa per 8 di base,
nel 1879, trovò posto l'orologio pubblico. Dopo il terremoto del 1908, i residenti nelle
abitazioni limitrofe, temendo imminente il pericolo di crollo, ne chiesero la demolizione
insieme alla chiesa. Il comune si divise in due fazioni, una che chiedeva il restauro per
entrambi, l’altra la demolizione. Alla fine sul suo terreno ebbe vita la casa del fascio.
EX ALBERGO MIRAVALLE
L'immobile, che attualmente occupa l'area dell'antico Peculio, è stato realizzato tra il
1943 e il 1950 con funzione di albergo. Il peculio frumentario, altro non era che il
deposito di grano per i periodi di carestia, che distribuiva alla popolazione i viveri in
cambio di piccole somme di denaro. Per una migliore gestione dello stesso, ogni anno
venivano nominati 2 amministratori del bene comunale che avevano il compito di
acquistare la materia prima e distribuirla a chi ne facesse richiesta. Nel consiglio
comunale dell'ottobre 1891 l'amministrazione del Peculio frumentario viene riunita a
quella della Congregazione della Carità per «maggiore tutela, economia e garanzia». Da
questo momento in poi l'ente andrà sempre più declinando fino alla sua dismissione che
avverrà negli anni quaranta del Novecento. Il primo piano dell’edificio venne in seguito
utilizzato come piccolo teatro.
UFFICIO TURISTICO
La «sala operatoria», è l'unica parte ancora esistente dell'antico ospedale di S. Maria della
Pietà, risalente alla seconda metà del Cinquecento, in parte demolita dopo il sisma del
1978 creando quel vuoto urbano limitrofo la «sala operatoria». Il fronte principale, unico
esempio nasitano di neogotico, è serrato da due cantonali e diviso in due ordini;
nell'ordine inferiore, sull'asse centrale si apre la porta di accesso conclusa da un arco
ogivale, e due finestre; l'ordine superiore è scandito da tre aperture al disopra delle quali
si imposta una trabeazione aggettante. Al piano terra oggi è ospitato l'ufficio turistico
comunale; all'interno un piccolo altare in muratura memoria dell'antica chiesa di San
Michele, che occupava l'area. L'ospedale fondato nel 1384 accanto alla chiesa della SS.
Trinità, venne trasferito nelle case limitrofe alla chiesa di San Michele nel 1555. La cura
dell'ospedale fu assegnata alla Compagnia dei Bianchi, istituita a Naso nel 1572 da Carlo
Ventimiglia; da questo momento entrò nell'uso anche la denominazione di Ospedale dei
Bianchi. La Compagnia dei Bianchi operò fino al 1681, quando la cura dell'ospedale
venne trasferita ai padri ospedalieri di S. Giovanni di Dio. I padri ospedalieri
manterranno la cura dell'ospedale fino al 1866, anno della soppressione dell'ordine;
l'amministrazione dell'ospedale fu trasferita alla locale Congregazione della Carità e
risulta attivo ancora nel 1940. L'ospedale, danneggiato dal sisma del 1908, venne
restaurato. Da questa data il nucleo dell' ospedale risulta costituito dalla «Sala
Operatoria» e dalla piccola cappella interna; fu rialzato di un piano e venne riordinata la
facciata in forme neogotiche. Dalla documentazione fotografica si evince come questo
edificio fosse ad una unica elevazione fino al 1924 e presentasse un piccolo campanile a
vela, forse ad evidenziare gli spazi dove si trovava la chiesa; fino al recente restauro, al
disotto dell'attuale paramento murario erano ancora visibili gli antichi cantonali
seicenteschi.
CIRCOLO AGATIRSIO
Su largo Giovanni Bellini, già del Tocco, si affaccia il circolo cittadino Agatirso fondato
nel 1868 nell'area che anticamente ospitava il Monte di Prestanza. L'edificio, di modeste
dimensioni, all'esterno non è caratterizzato da nessun elemento decorativo. L'ingresso
principale è quello che si apre su largo Bellini che dà accesso al salone principale ancora
arredato con mobili d'epoca; seguono le sale di lettura e la sala da biliardo. . Il sisma del
1783 non ha arrecato gravi danni alla struttura, permettendo al suo interno la
realizzazione di un altare per il trasferimento del culto officiato nella gravemente
danneggiata chiesa del SS. Salvatore. A cavallo del 1880 il «casino di compagnia» è ancora
incompleto, ma già sulla volta del salone si ammirano «splendide pitture» ispirate all'
Amleto, eseguite dal milazzese Luigi FIeri e, sulle pareti laterali, bozzetti rappresentanti
paesaggi del pittore De Gregorio da S. Lucia. I restauri del 1935, eseguiti per risolvere i
danni del terremoto del 1908, determinano la distruzione delle decorazioni.
SCUOLE ELEMENTARI
L'edificio, che presenta una copertura piana praticabile, si articola su tre livelli, uno
seminterrato costruito sfruttando il dislivello del terreno, distribuito in cinque vani, e due
piani fuori terra articolati complessivamente in sedici ambienti, di cui undici adibiti ad
aule scolastiche, che si affacciano all'esterno con ampie finestrature e sono distribuite
lungo un corridoio a L. Nel lato ovest il prospetto è caratterizzato da una torretta che
permette il collegamento verticale fra i diversi piani. L'accesso principale si apre su piazza
Roma, quello secondario sul lato nord. Le facciate si qualificano nello spazio urbano
della piazza per il cromatismo del laterizio del paramento contro il grigio della pietra
arenaria del piano inferiore e delle fasce marcapiano. L'area dell'edificio scolastico era
anticamente occupata dal monastero delle Benedettine, costruito intorno al 1628 per
volere della contessa Flavia Cibo La Rocca; la scelta di questo spazio urbano nel tempo è
risultata poco idonea in quanto più soggetto rispetto altri, agli effetti dei numerosi sismi
portandolo agli inizi del Novecento al completo degrado. i svariati sismi, porteranno ad
una mutazione completa dell’impianto monastico che ospitava parte della scuola, fino
alla chiusura dello stesso per inagibilità, con la ricollocazione scolastica in altra sede più
idonea.
IL MONASTERO DI CLAUSURA DELLE BENEDITTINE.
Il monastero di clausura delle Benedettine risulta documentato negli anni settanta
del Cinquecento, quando Carlo Ventimiglia, essendo il castello ormai non adatto a
residenza familiare, decide di trasferirsi nel monastero femminile che si trovava nel
centro della città, adiacente a quello che non a caso veniva chiamato Piano del
Monastero e che di lì a poco assumerà il nome di piazza di Filippo. Le suore
vennero trasferite in un nuovo complesso adiacente la piccola chiesa di
San Sebastiano, ed in seguito vicino la chiesa madre. Per i vari movimenti tellurici,
purtroppo il monastero di S.Caterina venne del tutto distrutto e dichiarato inagibile
(ricordiamo che in esso vi era la sede delle scuole elementari). Nel maggio 1905 la
chiesa di Santa Caterina, essendo in uno stato di grave degrado, era stata chiusa al
culto e gli arredi sacri, i preziosi e gli oggetti mobili, tra cui tredici quadri su tela e
due piccole statue di legno dorato, pissidi, vesti di seta ricamata in argento, mitre e
stole, vennero depositati all'Ufficio del Registro e Bolli della città dove rimasero
fino al trasferimento di una esigua parte al Museo regionale di Messina; il crocifisso
in carta pesta, che in realtà proveniva da San Pietro dei Latini, fu
riconsegnato alla parrocchia di appartenenza. Nelle collezioni del Museo regionale
pervenne nel 1924, già in cattivo stato di conservazione, assieme a tre crocifissi in
argento e a orecchini d'oro, anche la tavola di forma ovale di scuola bizantina, olio
e tempera, rappresentante Il santuario di San Spiridione, vescovo e taumaturgo di
Trimitunde a Cipro, di autore ignoto del XVIII secolo, restaurato nel 2006 con
finanziamento del Comune di Naso.
CHIESA MADRE
La chiesa dedicata ai Santi Filippo e Giacomo anche detta Matrice o chiesa Madre, prima
tra le chiese di Naso sia per antichità che per importanza, fu fondata dai primi coloni
nasensi rifugiatisi a Naso. Il fronte principale, che si apre su piazza Roma, è articolato in
tre campate da lesene binate sormontate da una trabeazione dorica, e concluso da un
grande frontone triangolare. Tre portali danno accesso alla chiesa che all'interno risulta
divisa in tre navate con nove altari e quattro cappelle laterali, una finta cupola all'incrocio
tra la navata centrale e il transetto, e torre campanaria sul lato sinistro. L'attuale fabbrica
è il risultato degli ampliamenti e delle trasformazioni attuate dal Seicento fino alla prima
metà del Novecento. Entrando sulla sinistra si trova il fonte battesimale opera
probabilmente seicentesca; il primo altare della navata dedicato a San Francesco di Paola,
con un ricco apparato decorativo a marmi mischi, è singolare rispetto alla semplicità
degli altri; il secondo altare è sormontato dal dipinto della Madonna degli Agonizzanti con i
Santi Placido e Tecla realizzato nel 1660 dal pittore tortoretano Giuseppe Tomasi, su
commissione di Giacomo Astoni. Proseguendo troviamo la cappella del Rosario,
collocata negli anni '30 del Novecento nello spazio occupato fino ad allora dalla cappella
della Madonna del Carmelo. La fastosa decorazione è opera dello scultore palermitano
Bartolomeo Travaglia; di seguito si trova l'altare dedicato a Sant'Antonio con la cornice
della nicchia che custodisce il simulacro del santo decorata a mischio. Nel transetto si
aprono la cappella del Crocifisso, con la croce lignea, e un dipinto raffigurante la
Madonna, la Maddalena e San Giovanni; fino agli anni Trenta era ancora presente nello
spazio compreso tra le braccia della croce e il quadro un ricco reliquiario. Le cappelle
seguenti sono state in parte trasformate nella prima metà del Novecento dall'arciprete
Portale: la cappella alla sinistra dell'altare maggiore, oggi dedicato a Santa Rita, era
intitolata alla Madonna della Neve e ospitava al suo interno le sepolture della famiglia
Petrelli, sulla parete sinistra un quadro con la Crocifissione realizzato nel 1716 dal pittore
Mario Ruggeri. L'altare maggiore con il suo apparato decorativo è databile alla prima
metà dell'Ottocento tranne il tabernacolo, probabilmente cinquecentesco, che fino agli
interventi del Portale era collocato sulla parete sinistra; sul retro, gli stalli del coro ligneo
settecentesco, al disopra del quale si imposta la cantoria in legno scolpito nel cui centro è
collocato il dipinto dell'Addolorata. La cappella alla destra dell' altare maggiore, oggi
dedicata al Sacro Cuore di Gesù, era la cappella del "Divinissimo" e, ultimo nel transetto,
l'altare della Madonna di Lourde. Percorrendo la navata destra, il primo altare è ornato
dalla tela della Madonna del Carmelo con i Santi Silvestro e Simone Stock a cui è dedicato,
attribuito al pittore Sebastiano Calà del 1690; sul secondo altare, il quadro della Madonna
del Monserrato con i 'Santi Giuseppe e Girolamo, realizzato dal Tomasi nel 1647, riporta nella
parte bassa due curiose figure forse i ritratti dei committenti; al disopra della tela si trova
una pittura murale con la Predicazione di Gesù al tempio. Superato l'ingresso laterale, che si
apre su via Marconi, una grande nicchia incornicia la statua dell'Assunta con Angeli,
scolpita nel 1549 da Vincenzo Gagini; concludendo il percorso lungo la navata laterale
destra, troviamo la tela dipinta da Giuseppe Tomasi raffigurante l'Incredulità di San
Tommaso nella cui parte bassa è rappresentato San Cono e il mezzo busto del
committente. All'interno della chiesa sono state fondate nella prima metà del
Cinquecento la confraternita del Santissimo Gesù, nella Cattedrale, in Santa Cita e in San
Francesco. In questi stessi anni si costruì la «nuova» cappella del Carmine e nel 1682 si
procedette alla realizzazione della nicchia per la statua, commissionata presumibilmente
nello stesso anno. A distanza di circa ottanta anni un nuovo terremoto colpì Naso e
danni importanti si rilevarono nella chiesa, dovuti principalmente al crollo di parte del
«vecchio»
campanile
sulla
navata
sinistra;
si
spezzarono
anche
molti
degli elementi decorativi in pietra scolpiti dal Musca. Si rimese nuovamente mano alla
chiesa costruendo un «nuovo» campanile, spostato di qualche metro rispetto al
precedente, e si procedette a serrare la chiesa con un sistema di catene che avrebbe
migliorato le caratteristiche antisismiche. Nel 1716 si procedette all'unione parrocchiale
tra la chiesa Madre e quella di San Cono, visto lo stato di indigenza in cui versava la
chiesa del navacita. Nella prima metà del Settecento, nella cripta in corrispondenza
dell'altare maggiore, risulta essere collocata la «sepoltura dei sacerdoti», a cui si accedeva
grazie ad una scala a doppia rampa posta sotto la cupola. Questo ambiente, nella prima
metà del Novecento, è stato trasformato in cappella in cui si conservava la statua della
Pietà; il rifacimento della pavimentazione, negli anni successivi, ne ha occluso l'accesso.
Nel 1866, in seguito al terremoto quello del 1864, si sono realizzati lavori significativi alla
navata, al coro, all' oratorio e alla sacrestia; probabilmente sono gli interventi che ci
restituiscono l'aspetto attuale; infatti, nel transetto si ritrovano elementi decorati vi in
stucco, quali trombe, tamburi, aquile tipiche dello stile impero. Il nuovo secolo si apre
con il terremoto di Messina del 1908 che determina la chiusura al culto della chiesa per
sei mesi; l'edificio viene riaperto dopo piccoli lavori di messa in sicurezza e richiuso nel
1933 per lavori che durarono due anni.
A questo intervento si deve la ridecorazione della facciata e del campanile, la
pavimentazione e il rimontaggio all'interno della cappella del Carmelo dell' apparato
decorativo della cappella del Rosario, già in San Pietro dei Latini La casa canonica risulta
già ultimata nel 1936.
QUARTIERI DEGLI ANGELI E DI SAN CONO
Via Marconi, antica via degli Angeli, fino agli anni trenta del Novecento delimitata dal
monastero di Santa Caterina e dal suo giardino, dopo l'alluvione del 1931 fu ampliata su
progetto dell'ingegnere Vitale con la demolizione di alcuni ambienti dell'ex monastero
prospicienti la strada e di altri edifici minori, al fine di regolarizzare un percorso di
grande rilevanza in quanto costituiva il collegamento fra la piazza principale di Naso e
San Cono. Nello stesso 1932 l'arciprete don Antonino Portale ottenne dal Comune la
chiusura al transito «con opere di muratura» della parte di vicolo Gaetano Pavone
compreso fra il lato sud della chiesa Madre e lo spigolo della costruenda casa canonica,
dal momento che questo vicolo largo circa un metro non aveva manutenzione ed era
stato trasformato in una «pubblica latrina»; Lungo la strada prospettavano la chiesa di
Santa Maria degli Angeli, documentata dal XV secolo, oggi adibita ad uso di abitazione, e
la casa La Dolcetta poi Drago che si qualifica per il portale bugnato. Proseguendo per la
via intitolata a Ignazio Drago, scrittore nasitano della prima metà del Novecento, si
arriva in via Navacita dove la città si apre con una veduta a 180 gradi che comprende
Piraino fino a Sinagra; si giunge quindi alla chiesa di San Cono, dove domina l'antico
campanile costruito sui resti di una medioevale torre di avvistamento, nodo significati o
di un sistema difensivo che riguardava le città lungo il torrente Timeto o Xaso.
CHIESA SANTA MARIA DEGLI ANGELI, Via Marconi
Nello slargo antistante la casa Drago, negli ambienti oggi adibiti ad abitazione si trovava la chiesa
di Santa Maria degli Angeli. Le prime notizie relative l'edificio religioso sono del 1438, quando
l'arcivescovo di Messina la ridusse da parrocchia a «gangia» della chiesa di San Cono. Al nome più
comune di Santa Maria degli Angeli si alterna quello di Santa Maria di Brizzi. Nella chiesa aveva
sede, già dal 1604, la Confraternita delle Anime del Purgatorio. Nel 1699, presumibilmente in
seguito al sisma del 1693, viene ricostruito l'altare maggiore con struttura in muratura e
rivestimento in maioliche decorate; al di sopra della mensa si trovava il dipinto rappresentante la
Madonna, del pittore Francesco Lanza. Il terremoto del 1739 danneggiò gravemente l'edificio
rendendo lo inagibile; il campanile viene in un primo momento puntellato per permettere lo
spostamento delle campane, prima di procedere alla demolizione e successiva ricostruzione. A
cavallo tra il 1770 e il 1771 il pittore Saverio Biscotto decorò la cappella delle Anime del
Purgatorio. Il sisma del 1783 colpì nuovamente la chiesa e soprattutto il campanile, tanto da
doversi procedere immediatamente alla messa in sicurezza e alla sua risistemazione. Nello stesso
isolato si trovavano anche la chiesa di San Nicolò e la casa di Giacomo Cuffari e Faraci. Il sisma
del 1864 distrusse definitivamente l'edificio che perse le prerogative di edificio sacro.
PALAZZO DRAGO E LA CHIESA DI SAN NICOLO’ – Via Marconi
L'edificio di grandi dimensioni, che costituisce l'isolato compreso fra via Marconi, via Ignazio
Drago e via Navacita, articolato in due piani fuori terra e diviso in numerose unità abitative, è
caratterizzato da un portale bugnato che costituisce l'unica soluzione decorativa distintiva del
prospetto su via Marconi, già via degli Angeli, attribuibile al Seicento, anche se questa tipologia
inizia a diffondersi in Sicilia nel corso della seconda metà del Cinquecento. Dal portale si accede
ad un ampio atrio, sulla cui parete sinistra si apre un'arcata d'ingresso ad una scala in pietra che
nel concio in chiave riporta la data 1727. Nell'ordine superiore della facciata aggettano due
balconi che potrebbero datare tra la fine dell'Ottocento e il primo trentennio del Novecento. La
facciata del lato est, sull'antica via Navacita, che si apre sulla vallata del torrente Naso verso il
mare, è caratterizzata ancora oggi da un cantonale in pietra squadrata ed è in parte conclusa da un
fastigio curvilineo. Si trattava di un edificio molto ampio, diviso in tredici stanze fra cui l'alcova e
la biblioteca, otto magazzini e una cucina.
CHIESA DI SAN CONO
L'edificio, realizzato nella parte orientale dell'abitato di Naso, con la sua severa mole
caratterizza tutto l'intorno. Arrivando da via Navacita l'imponente campanile realizzato
sopraelevando una torre di avvistamento medievale, e l'ingresso laterale, che si apre sul
transetto, sono i primi elementi della chiesa che si offrono ai visitatori. Il portale
cinquecentesco si caratterizza per la ricchezza decorativa, con tralci di vite e vari elementi
fioreali realizzati sugli stipiti, mentre sull'architrave sormontata da due scudi ormai
illeggibili, e da una finestra affiancata da semicolonne, sono rappresentate alcune scene
con draghi e altri elementi fitomorfi forse un ricordo della preesistente chiesa di San
Michele, sulle cui impianto è stata costruita la chiesa attuale. La finestra posta sopra
l'accesso è sormontata da un cartiglio, per metà mancante, che fa ipotizzare un
abbassamento della linea di gronda della navata. Sul fronte principale i tre portali come le
tre finestre superiori mostrano una evidente strombatura a causa dell'elevato spessore
murario, dovuto alla realizzazione di una contro facciata alla fine dell'Ottocento per
evitame il crollo. Sull'asse centrale dello spazio compreso tra il portale principale e la
finestra si apre una profonda nicchia che accoglie il mezzo busto del santo assiso su una
nuvola, unico elemento decorativo della severa facciata. L'interno, di semplice ma colta
fattura, è diviso in tre navate da colonne dori che su basamento, concluse da pulvini
databile all'impianto cinquecentesco della chiesa, come le facce apotropaiche comprese
tra le ghiere degli archi che si aprono sulla navata principale. La chiesa, oggi pavimentata
con mattoni in cotto, sin dal Settecento presentava un impiantito in maioliche realizzato
nelle vicine fornaci in contrada Bazia. Percorrendo la chiesa dall' ingresso principale,
sulla sinistra il fonte battesimale con i pochi elementi lignei dell'antico coperchio, sulla
navata laterale sinistra la tela con la Madonna della Mercede ed i Santi Pietro Nolasco e
Raimondo Nonnato attribuita Francesco Napoli, ricordo della visita o della permanenza a
Naso dei componenti dell'ordine mercedario; l'altare, come tutti gli altri presenti nelle
navatelle, è databile agli anni venti del Novecento dopo un incendio che danneggiò la
chiesa e i suoi arredi. Il secondo altare è sormontato da un dipinto dedicato a
Sant'Antonio; segue la tela di San Nicola rappresentato in abiti pontificali, attribuito a
Giovanni Tuccari. Chiude la navata l'Adorazione dei Pastori, pregevole opera realizzata nel
1648 da Giuseppe Tomasi. Nel profondo spazio absidale trovano posto l'altare del
Crocifisso, con il sacro legno della Croce circondato da personaggi ed elementi
decorativi riconducibili alla Passione di Cristo; l'altare maggiore, opera ragguardevole in
marmi policromi, unica testimonianza degli altari barocchi che probabilmente
decoravano la chiesa prima dell'incendio, anche se non è certo se questo sia sempre
statonell'aula o se provenga, come la maggior parte dei dipinti, da altri edifici religiosi;
una profonda nicchia con all'interno il simulacro processionale del santo patrono
individua il terzo altare. Lo spazio delimitato dai tre altari è concluso da una cupola
ellittica in incannucciato. Nello spazio retro stante l'altare maggiore, i semplici stalli del
coro; San Cono è l'unica tra le chiese parrocchiali cittadine senza cantoria sopra il coro
perché probabilmente distrutta dall'incendio. Un piccolo ma profondo ambiente
compreso tra l'abside e la sacrestia ospitava le scale che salivano al coro alto. Fronteggia
l'ingresso laterale sul transetto, la cappella di San Michele mutila dopo uno dei tanti sismi
che colpì Naso, ma ricordata dalla documentazione storica, che fino all'evento tellurico
risultava coperta con «volta reale». Sempre nel transetto, in corrispondenza delle navate
laterali, si aprono due scale di accesso alla cappella delle Reliquie e dell'Ecce Homo, nel
luogo in cui il navacita morì nel 1236. La cappella delle Reliquie, pregevole opera del
Barocco siciliano realizzata tra gli anni sessanta del Seicento e i venti del Settecento da
vari artisti e maestranze; spicca per qualità decorativa la parete di fondo, con l'altare e il
reliquiario, realizzata da Bartolomeo Travaglia; il complesso gioco cromatico dei marmi
mischi alternato alle figure aggettanti e a statue a tutto tondo rendono l'insieme opulento
e maestoso. Il paliotto, che sembra non appartenere al primitivo sacello, risulta
sproporzionato rispetto all' armonia compositiva che contraddistingue l'apparato
decorativo. I decori a marmi mischi delle pareti laterali, di fattura inferiore, vengono
realizzati da diversi artisti, nel primo quarto del Settecento; Fronteggia la cappella in
marmi mischi, la cappella dell'Ecce Homo restaurata anch'essa nella prima metà del
Novecento. In fondo al corridoio che divide le due cappelle, una nicchia nel muro
individua il luogo dove la tradizione vuole che San Cono sia morto il 28 marzo 1236.
Risalendo l'aula destra, il primo altare è dedicato alla Madonna delle Catene, come si evince
dalla tela dipinta da Giuseppe Tomasi nel 1667, a cui fa seguito l'altare con la tela della
Deposizione, proveniente probabilmente dalla chiesa di San Pietro dei Latini; il terzo altare
della navata è decorato con le Storie di Tobia, attribuito a Giovanni Tuccari. Chiude la
navata la Circoncisione di Gesù, opera di pregevole fattura attribuita a Pietro D'Asaro; nella
parte superiose del dipinto, circondato da putti, il monogramma gesuitico prova della
permanenza a Naso di questo ordine. La data di fondazione dell'edificio è incerta. Il
nuovo tempio dedicato a San Cono viene consacrato nel giugno del 1511, e per forma e
dimensione non doveva essere molto diverso, dalla chiesa attuale. La chiesa risulta molto
danneggiata dal sisma del 1739 nella sua parte tergale, dove si affaccia su uno strapiombo
che amplifica gli effetti dei sismi; crollano anche parzialmente la canonica, la sacrestia e
ne risente anche il campanile. Nel terzo quarto del Settecento viene realizzata la prima
guglia a conclusione del campanile, utilizzando una tecnica riscontrabile in diverse zone
della Sicilia. La struttura portante della guglia è costruita con travi e tavolato in legno,
ricoperta con elementi maiolicati, polilobati e cuneiforrni a formare disegni geometrici o
vegetali colorati. Il campanile è da sempre l'oggetto maggiormente colpito dagli eventi
tellurici e dai fulmini tanto da ricostruirsi diverse volte negli anni cinquanta del
Novecento; l'ultima ricostruzione viene effettuata in conglomerato cementizio armato.
Nel gennaio del 1792 un grave incendio, scaturito da un fulmine, colpì il campanile e la
chiesa che si salvò solo per il repentino intervento della popolazione. Il sisma del 1864
danneggiò la facciata principale provocando un fuori piombo che la faceva definire
«crollante». L'attuale facciata è stata ridecorata subito dopo la seconda guerra mondiale.
Nel gennaio 1920 un incendio colpisce nuovamente l'edificio causando la perdita di
diverse opere d'arte e degli apparati decorativi. Nelle antiche catacombe, estese a quasi
tutta la lunghezza delle navate, è stato realizzato negli anni Novanta il museo di Arte
Sacra.
MUSEO D’ARTE SACRA
Nelle catacombe della chiesa di San Cono, negli anni novanta del Novecento viene
realizzato il museo di Arte Sacra, che raccoglie oggetti provenienti da tutti gli edifici sacri
presenti nel territorio comunale. Gli spazi denunciano chiaramente le diverse fasi
costruttive e le unità strati grafiche murarie segnalando la maggiore antichità dell'ipogeo
rispetto alla soprastante chiesa. La struttura museale si sviluppa in otto ambienti che a
loro interno custodiscono diverse categorie di oggetti. La sala d'ingresso oltre la
biglietteria accoglie le sculture lignee; sulla sinistra il Salvator Mundi appartenente alla
chiesa del SS. Salvatore, la Madonna del Carmelo proveniente dall'omonima cappella nella
chiesa Madre, cinque piccole statue di santi e sante provenienti probabilmente dalla
chiesa del monastero delle Benedettine, parte dell'apparato decorativo di un antico coro,
forse quello della chiesa San Cono e, a seguire, la statua di San Biagio proveniente
dall'omonima chiesa. Al centro, una serie di teche raccolgono una ricca collezione di
maioliche pavimentali provenienti dalle chiese di Naso e dai paesi limitrofi, realizzate dai
maiolicari nasitani che avevano le loro fabbriche nella contrada Bazia. Attraverso un
profondo arco che evidenzia le due facciate addossate, si passa nella seconda sala, dove
alla sinistra trovano posto abiti talari di pregevole fattura realizzati in diverse epoche; ,
anch' essi di varie provenienze e un trono in legno intagliato e dorato del Settecento,
proveniente dalla chiesa Madre. Sulla destra due ovali, trasferiti dalla chiesa Madre, con
San Giovanni Bergmans circondato da angeli e San Calcedonio che con la palma in mano mira il
monogramma dell'ordine gesuitico; segue la tela di San Cono che ascende al cielo.
Frontalmente ai tre dipinti, una tela con San Giovanni di Dio proveniente dall'ospedale dei
Bianchi tenuto per un certo tempo anche dai Fatebenefratelli, aggiunto di recente alla
collezione, diversi stendardi processionali e una teca contenente lezionari con elementi
decorativi in argento sbalzato; La terza sala è dedicata alla scultura e alla pittura; la
maggior parte degli elementi plastici provengono dalla chiesa dei Minori Osservanti, ad
accezione delle lapidi terragne provenienti dal SS. Salvatore. Aprono la sala tre statue
marmoree, la Vergine e il Bambino, San Giovanni e San Cristoforo anticamente posizionati
sopra la tomba del conte di Naso Pietro Maria Cybo; accanto due tombe pavimentali
destinate a prelati e altri elementi provenienti dalla tomba Arcobasso. Sulla parete sinistra
il dipinto su rame con San Giuseppe della chiesa del SS. Salvatore e la tela della Madonna
del Lume proveniente dalla chiesa Madre, attribuita al pittore settecentesco Domenico
Provenzani. Sulla parete nord Bergmans circondato da angeli e San Calcedonio che con la
palma in mano mira il monogramma dell'ordine gesuitico; segue la tela di San Cono che
ascende al cielo. Frontalmente ai tre dipinti, una tela con San Giovanni di Dio proveniente
dall'ospedale dei Bianchi tenuto per un certo tempo anche dai Fatebenefratelli, aggiunto
di recente alla collezione, diversi stendardi processionali e una teca contenente lezionari
con elementi decorativi in argento sbalzato; sulla parete sud, una grande campana
proveniente dal soprastante campanile. Sopraelevata la quinta sala del museo, la prima
della sezione argenti; sulla destra tre croci astili processionali, opere seisettecentesche;
sulla sinistra, turiboli e navicelle accostati ad altri oggetti liturgici; sul fondo, dentro una
grande teca, pissidi, calici, reliquiari, ostensori, solo una parte dei ricchi arredi delle chiese
nasitane, realizzati dai migliori argentieri siciliani in un periodo compreso tra la seconda
metà del Seicento ai primi decenni del Novecento. Tra gli oggetti più pregiati una pisside,
due calici e un reliquiario di Sebastiano Juvarra e una piccola pisside di Pietro Juvarra,
padre di Filippo noto architetto nato a Messina ma attivo in molti stati italiani ed esteri.
Nell'ultima sala sono conservati dentro opportune teche messali e libri sacri di pregevole
fattura, solo una piccola parte del ricco patrimonio librario-documentario ecclesiastico.
CHIESA DI SAN BIAGIO
Il fronte principale della chiesa di San Biagio si apre sull' omonima piazzetta, con un
portale centrale concluso da un timpano spezzato e uno laterale, architravato, che riporta
l'iscrizione 1739, a memoria del grave sisma che colpì Naso. L'asse centrale della facciata
è evidenziato da un campanile a vela in pietra locale finemente decorato. Il paramento,
ancora a vista, è realizzato con muratura detta bizantina, cioè caratterizzata da elementi
litici sbozzati interstiziati da cocci in laterizio, nota tecnica antisismica. L'interno risulta
scomposto dal sisma del 1978 e in stato di abbandono, dopo i lavori realizzati
nell'intento di restaurarlo ma che l'hanno invece fortemente degradato. La chiesa,
suddivisa in tre navate, due campate e con la zona presbiteriale rialzata di due scalini, è
ingombra di materiali provenienti da numerosi edifici religiosi. Dei tre altari che
chiudevano le navate, oggi rimangono solo il principale e il laterale destro anche se in
pessime condizioni. L'altare maggiore, in muratura rivestito con lastre di marmo
riconducibili ai primi del Novecento, è sormontato da una cornice in stucco conclusa
con motivi fioreali, al centro della quale era posta una tela raffigurante San Biagio in abiti
ontificali, oggi la tela è conservata, per motivi di sicurezza, all'interno della chiesa Madre.
La mensa dell'altare laterale destro, sempre in muratura rivestita di lastre di marmo,
funge da base a una decorazione lignea al cui centro era inquadrata, tra due colonnine
bugnate, una statua; sempre figure sacre dovevano occupare le nicchie che tutt' oggi
sono presenti nelle navate laterali. Nella parte sinistra della chiesa si nota una interessante
sovrapposizione di pavimentazioni. La chiesa oggi risulta spogliata di tutti gli arredi sacri.
Le prime notizie documentarie relative la chiesa di San Biagio risalgono al 1438
anno in cui l'arcivescovo di Messina decise di ridurre il numero delle parrocchie
accorpando la chiesa di San Biagio alla chiesa Madre insieme alle chiese di San
Teodoro e di Tutti i Santi.
QUARTIERE DI SAN GIOVANNI E DI SAN FILIPPO
Da piazza Roma si accede a corso Umberto I, già viaAlighieri, una delle tre vie
carrozzabili di Naso assieme a via della Libertà e via Castello. Lungo la strada si
affacciano alcuni tra i più significativi palazzi signorili della città;
PALAZZO LANZA (CALDERARO)
Il palazzo, di grandi dimensioni, è serrato nel corpo aggettante da due cantonali in pietra
su cui sono visibili gli stemmi con un leone rampante della famiglia Lanza, che già nel
Seicento era proprietaria dell'edificio. I cantonali costituiscono in questo caso un
elemento architettonico distintivo in quanto vengono a costituire dei veri e propri punti
di fuga nello stretto percorso di via Alighieri, ampliato nell'Ottocento. Il portale centrale
si apre in un ampio atrio su cui si imposta una scala di collegamento con i piani superiori,
differenziati a causa del dislivello del terreno. Anche l'impianto architettonico del palazzo
al di là delle attuali ripartizioni in numerose unità immobiliari, e la sua collocazione
urbanistica denuncia il carattere di residenza signorile.
CHIESA DI SAN GIOVANNI
San Giovanni è l'unico edifico religioso ancora esistente a Naso di quel gruppo di chiese
realizzate tra il XIII e il XIV secolo in questo spazio urbano, lungo l'antica via Alighieri,
durante uno dei più significativi periodi di sviluppo della città. La chiesa, ad una sola
navata, presenta quattro altari laterali, due per ciascun lato, lavorati a marmo mischio e
tramischio, risultato di una ricomposizione poco omogenea di altari di provenienza
diversa, collocati nell'aula nel 1954, dai gravi danni subiti dalla chiesa durante il sisma del
28 dicembre 1908. Sulla parete di fondo si apre la cappella maggiore, in cui trovava posto
la tavola lignea con la rappresentazione di Maria Ss. del Rosario, attribuita a Deodato
Guinaccia, proveniente dalla cappella del Rosario nella chiesa di San Pietro dei Latini
come le due colonne che sostengono il coro alto in controfacciata, nobilitato dalla
grande tela con la Visita di santa Elisabetta, in grave stato di degrado, posta fra le due
finestre. La tavola lignea di Maria ss. del Rosario dopo il restauro sarà ricollocata nella
cappella di provenienza, oggi rimontata nella chiesa Madre, e sostituita con la tela di San
Giovanni Evangelista. L'altare maggiore in marmi policromi potrebbe provenire dalla
demolita chiesa di San Pietro dal momento che al centro del paliotto presenta uno scudo
con tiara e le chiavi simbolo del potere pietrino, come l'acquasantiera posta a ridosso
dell'ingresso principale, sul lato destro, dove trova posto l'altare dedicato a San Giovanni
Battista. Lungo la navata sinistra, il fonte battesimale marmoreo e l'altare dedicato a San
Gaetano, come denuncia la tela di autore ancora da identificare, attribuita al XVII secolo,
di grande significato per il brano urbano dipinto sulla parte destra. Proseguendo lungo la
stessa parete, l'altare dedicato alla Madonna col bambino, in stato di degrado e, a fronte, l'altare
del Crocifisso. Lateralmente all'arco trionfale con i piedritti a finto marmo, si aprono due nicchie
in cui trovano posto due statue. La facciata principale, costruita alla fine dell'Ottocento dopo il
trasferimento della funzione cultuale di San Pietro in San Giovanni nel 1883, è serrata da due
cantonali in finto marmo su via Alighieri e in pietra sul fronte laterale, e conclusa da un frontone
triangolare. La diversa altezza dei cantonali e la presenza di mensole sul prospetto laterale
sinistra, in via Torquato Tasso, lasciano presumere che l'antica chiesa di San Giovanni fosse di
dimensioni minori. La chiesa, che fin dal Seicento aveva funzione cimiteriale, nel tempo è stata
più volte danneggiata dai sismi.
CASA MILIO MANERI (MONASTERO DELLE BENEDETTINE)
L'ampio edificio, che definisce l'isolato compreso tra corso Umberto I, piazza Vittorio
Emanuele e le vie Mazzini e Manzoni, si apre su corso Umberto con un ampio androne
coperto da una volta alla cappuccina, che dà accesso ad una corte interna che ancora
mostra i segni delle arcate tamponate dell'antico monastero delle Benedettine; anche in
facciata sono evidenti le numerose trasformazioni subite nel corso del tempo. Il
fabbricato è stato sede del monastero di clausura, in seguito abitazione del Ventimiglia.
Nella parte della casa gentilizia di proprietà Milio, articolata in tre piani, compresa fra le
vie Mazzini, Manzoni e corso Umberto, è ancora presente nel primo piano sull'angolo
fra via Manzoni e corso Umberto una alcova con adiacenti due camerini laterali il cui
apparato decorativo risulta in parte ancora scialbato; accanto a questa si apre un'ampia
sala documentata anche nell'Ottocento. Il diverso spessore dell'apparato murario
dell'edificio volto verso San Giovanni attesta i lavori di ristrutturazione condotti dopo il
terremoto del 1908; un cantonale in pietra, concluso da un motivo decorativo fioreale
dipinto, posto nell'angolo tra via Manzoni e via Mazzini, è una testimonianza dell'antico
impianto di questa facciata, che ha ormai perso i caratteri architettonici distintivi della
casa signorile.
CASA LO PRESTI (GIUFFRE’)
Il «caseggiato signorile», posto nell'antico quartiere di S. Niccolò il Vecchierello, di
proprietà della famiglia Giuffrè fino alla fine dell'Ottocento quando Antonino lasciò
Naso per Milano dove nel 1931 fondò la casa editrice omonima, è stato modificato dopo
i gravi danni subiti durante il sisma del 1908, tali da renderlo «inabitabile». L'edificio si
articola in due piani fuori terra e presenta un'ampia terrazza che domina la vallata; la
fronte posteriore affaccia sulla piazzetta Filippo Cangemi con cui è collegato tramite un
androne passante aperto su via Verdi. La casa venne acquistata da Fortunato Lo Presti,
perito agronomo di Naso che dal 1907 ebbe numerosi incarichi dal Comune; a lui si
devono numerosi rilievi degli edifici storici della città danneggiati dal terremoto del 1908.
PALAZZO TRASSARI ((DRAGO) E LA CHIESA DI SAN GIUSEPPE
L'edificio costituito da tre piani, con magazzini terreni e numerosi vani al primo piano,
adiacente l'abitazione di Niccolò Trassari, sindaco di Naso nel 1874 e sposato con
Mariannina Germanà del fu barone Giuseppe, e alla chiesa di San Giuseppe di proprietà
Drago. Nel 1884 l'ampliamento di via Alighieri nel tratto compreso tra la chiesa di San
Giovanni e piazza Vittorio Emanuele ha interessato il lato destro, modificando l'isolato
costituito dall'antica chiesa di San Giuseppe, che venne demolita, portando alla riduzione
planimetrica delle proprietà Drago. I tre corpi di fabbrica subirono gravi danni durante i
terremoti del 1908 e del 1978 e i lavori di recupero hanno profondamente modificato la
distribuzione interna; nella casa Trassari, a tre piani fuori terra prospettanti corso
Umberto I e quattro su via Naxida, fino all'ultimo evento sismico era presente l'alcova
decorata con stucchi floreali dorati e dipinti che ne attestano il carattere signorile.
BIBBLIOTECA COMUNALE (MUNICIPIO)
Nella piazza Francesco Lo Sardo, sul lato est, si trova la Biblioteca Comunale, collocata
nell'antica residenza municipale, costruita tra la fine del Seicento e i primi decenni del
Settecento; più volte rimaneggiata tra la fine dell'Ottocento e tutto il Novecento, fino al
recente restauro conservava l'apparato decorativo realizzato nel ventennio fascista. Oggi
ne risulta modificata la cromia e la qualità formale. L'edificio venne costruito con i
proventi del Peculio fiumentario, come da disposizione testamentarie volute dai
fondatori del Peculio. Nel 1750 sul fronte viene collocato l'orologio . Nel 1879,
probabilmente per la volontà di ridimensionare la Casa Comunale dovuta al taglio di
corso Umberto I, l'orologio viene trasferito sulla torre della chiesa di San Pietro dei
Latini. I lavori di seguito riportati fanno parte di quel gruppo di interventi mirati a
ridurre le dimensioni della Casa Comunale e dell' attigua casa Lanza.
PALAZZO PICCOLO
Il palazzo signorile, formatosi nel tempo dall' accorpamento di diverse unità, domina con
le sue notevoli dimensioni il tessuto urbano circostante e piazza Francesco Lo Sardo a
cui fa da cortina sul lato nord. Presenta un assetto nobiliare su tre livelli, con il
pianterreno occupato da botteghe con apertura archivoltata, un piano nobile e un piano
attico. I cantonali terminano con lacerti di trabeazione dorica; questi, unitamente alla
forma del portale e alle cornici delle finestre collocano l'edificio tra la fine del
Cinquecento e il primo ventenni o del Seicento. Dal portale bugnato, aperto su via
Controsceri e chiuso da una cancellata realizzata con gli elementi delle ringhiere a petto
dei balconi che si aprivano fino agli anni settanta del Novecento sul fronte prospettante
la piazza, si accede ad una corte interna tramite un androne. Sull'angolo dell' arcata di
accesso all'edificio dalla scala escuberta è murato un putto che sostiene lo stemma della
famiglia Cicero. La facciata prospettante la piazza, come tutto il palazzo, è stata oggetto
di interventi sostanziali che hanno modificato anche le altezze degli ambienti interni,
come si può evincere all'esterno dalle finestre aperte sullo stesso prospetto, che fino agli
anni Ottanta erano dotate di ringhiere a petto. In corrispondenza delle quattro finestre si
aprono nel piano terreno delle arcate, presumibili accessi alle botteghe documentate nell'
edificio già nel Seicento, una tipologia ricorrente a Naso e diffusa in gran parte della
Sicilia. L'edificio può essere identificato con l'antica residenza del conte a partire dalla
prima metà del Seicento quando il castello risulta ormai ridotto ad uno stato di rudere. Il
palazzo rimase residenza del conte fino alla seconda metà del Settecento;
EX CHIESA DI SAN DEMETRIO
Nell'edificio che fronteggia la Biblioteca Comunale fino alla prima metà del Novecento si
trovava la chiesa di San Demetrio, fatta edificare dal conte Pietro Maria Cibo dopo il
sisma del 1613, che prendeva il titolo della più antica chiesa di San Demetrio posizionata
nel centro dell'attuale piazza. L'antica chiesa, ante 1613, fu sede parrocchiale fino al 1438
e aggregata poi alla chiesa del SS. Salvatore, a seguito delle redistribuzioni stabilite dal
vescovo di Messina. Fu sede della Compagnia della Misericordia, la. cui peculiarità era di
seppellire gratuitamente i «morti poveri», fino alla sua cessazione nel XVIII secolo. Nel
1615 il conte Cibo per realizzare la nuova piazza la fece demolire e ricostruire affacciata
sul nuovo spazio urbano.
EDICOLA VOTIVA EX CHIESA DI TUTTI I SANTI
È il luogo dove oggi sorge una piccola edicola votiva, sorgeva la chiesa di Tutti i Santi,
antica parrocchia ridotta a «gangia» della chìesa Madre daì provvedimenti
dell'arcivescovo Bernardo de' Gattulis nel 1438. L'analisi dei danni del sisma del 1823 ha
evidenziato che si trovava nell' isolato 40, quello del palazzo di Gaetano Piccolo Petrelli,
già di Ignazio Perlongo. Si parla ancora della chiesa negli anni venti del Novecento
quando viene collocata accanto alla residenza di Gaetano Milio Marchiolo.
PALAZZO MILIO
Il palazzo si distingue nel contesto urbano per il cromatismo dell'apparato decorativo in
laterizio della facciata che denota una reimpaginazione dei primi del Novecento, quando
vengono costruiti anche i tre balconi in luogo dell'unico e ampio sovrastante l'accesso
principale. In questa occasione viene rifatta anche la copertura, modificandone la sua
geometria originaria. La caduta dell' intonaco nell' ordine inferiore del prospetto ha
messo in evidenza l'apparecchiatura muraria in conci di pietra alternati a mattoni,
secondo una tipologia in uso nei primi del Novecento. Fino al terremoto del 1978 lo
stemma Milio posto sul concio in chiave del portale principale era sormontato da una
corona. L'edificio, pur essendo stato oggetto di interventi di riparazione ai danni
provocati dal sisma del 1978, non ha perso completamente, nemmeno negli ambienti
interni, i propri caratteri distintivi di residenza signorile. Il palazzo alla fine del Seicento
era di proprietà di Ignazio Perlongo, reggente di Sicilia nel Supremo Consiglio di Spagna
della corte viennese; morendo senza prole, tutti i beni nel 1742 furono acquisiti per poi
diventare di proprietà Milio.
PALAZZO PARISI – Via Ignazio Collica,4
La casa signorile, costituita da diversi corpi di fabbrica si articola attorno ad un baglio in
cui si imposta una scala escuberta, in cui si apre un portale bugnato seicentesco, con lo
stemma Parisi murato sulla chiave dell'arco, una tipologia che troviamo a Naso in poche
residenze. Un altro accesso al palazzo si apre sulla stessa via mediante una scala esterna e
un piccolo portale databile fra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, di
collegamento con il piano nobile.
QUARTIERI DI SAN PIETRO E SS. SALVATORE
Da piazza Francesco Lo Sardo si segue via Giuseppe Mazzini e via Gian Giacomo
Cuffari verso la parte settentrionale della città. per giungere alla chiesa del Ss. Salvatore
percorrendo l'antica via della Libertà e guardando in alto a destra il «piano Barone».
Nel quartiere, a causa dei danni tellurici Vincenzo Giuffrè, Rosina Milio, Alfredo Cuffari,
Salvatore Vitanza e Salvatore Giordano avevano richiesto da parte del Comune l'acquisto
di queste case per destinare l'area a pubblica piazza, a vantaggio delle proprie residenze.
Dal momento che da questo intervento l'intero quartiere avrebbe avuto grande beneficio
dal punto di vista igienico ed edilizio, i proponenti si impegnarono a versare nella cassa
comunale, una certa cifra da destinare all'acquisto dei due fabbricati. Questi ultimi
interventi hanno modificato sostanzialmente l'aspetto di questo brano urbano che dal
Seicento era costituito dalle residenze signorili.
PALAZZO CUFFARI
L'isolato, posto nel quartiere di S. Giovanni e compreso fra la piazzetta Tenente
Ignazio Cuffari, posta a nord, via Giovan Giacomo Cuffari, via Mazzini e via Ferreri,
fin dal Seicento risulta diviso in due proprietà delle famiglie Cuffari, provenienti dai due
rami facenti capo ai fratelli Giovan Francesco e Giovan Giacomo, quest'ultimo medico
come il padre Antonino e autore di opere di carattere scientifico e di alcune di
contenuto religioso e morale. La casa che prospetta anche su via Gian Giacomo
Cuffari, nel corso del Novecento, dopo i danni provocati dal terremoto del 1908, ha
subito pesanti interventi architettonici pur rimanendo civile abitazione. , il palazzo di
Ignazio Cuffari e Parisi risulta articolato su tre piani, con venti due vani di cui otto al
pianterreno, otto al primo e sei al secondo oltre allo «spazio riservato per lo sviluppo
delle scale», in lastroni di pietra arenaria dal pianterreno al primo piano e di legno fino
al piano superiore. I lavori di recupero si protrassero nel tempo, per circa un ventennio.
Adiacente questa, si sviluppava a sud, la casa di Giuseppe Cuffari e Trassari (18501946) fu Andrea e, sul lato opposto, quella degli eredi di Domenico Cuffari proprietari
di una parte consistente su via Mazzini, pari a quella di Giuseppe su via Giovan
Giacomo Cuffari; queste due proprietà intorno alla metà del Novecento furono
acquisite dalla famiglia Mormino e trasformate in cinema, ora di proprietà comunale.
PALAZZO PETRELLI
Il palazzo, diviso attualmente in tre proprietà, è caratterizzato da un portale in pietra
seicentesco, con accesso in un baglio in cui si imposta una scala escuberta. E' ancora in
parte visibile, nonostante le trasformazioni dovute anche ai lavori di riparazione ai
danni provocati dal sisma del 1908, il collegamento con la parte di palazzo Lanza
prospettante l'odierno corso Umberto I di cui faceva parte fino agli inizi del Settecento.
La facciata su via Caduti della Polizia di Stato, già largo F. Ferrer, presenta un elemento
distintivo nel balcone con mensole in pietra, uno dei pochi esempi nasitani di questa
tipologia, e trova il proprio completamento in un fastigio settecentesco a motivi
curvilinei analogo a quello di casa Drago.
CASA MILIO (LA DOLCETTA)
Sulla facciata a cortina prospettante via Mazzini, conclusa da un motivo a merli, si apre
l'accesso al baglio; quella su vico Cesare Cantù conserva elementi architettonici
distintivi dell'impianto originario. L'edificio, di proprietà La Do1cetta fin dal Seicento,
diventa Cuffari La Do1cetta negli anni venti del Settecento in seguito al matrimonio di
Antonia La Do1cetta con Andrea Cuffari. Nel 1823 risulta appartenere ai Milio che ne
mantengono la proprietà fino alla seconda metà del Novecento.
CAPPELLE DI PIANO DELLE MURA
La cappella, è stata costruita nel 1958 nel terreno di proprietà di don Antonino Portale,
come ricorda la lapide murata sul timpano che decora il portale di accesso in pietra
scolpita. La facciata è serrata da due paraste e conclusa superiormente da un timpano
triangolare spezzato in cui trova posto la statua dell'Immacolata. All'interno la cappella
trova continuità in un altro piccolo spazio religioso adiacente, ricavato nel piano
terreno di casa Portale e non caratterizzato all'esterno da elementi architettonici. Due
altari in muratura con paliotto occupano le pareti di fondo delle due cappelle. Don
Portale, arciprete dal 1926 al 1962, anno della morte, cercò di tutelare il patrimonio
artistico di Naso sollecitando più volte le competenti istituzioni centrali e regionali.
CASA CRIMI
La casa signorile è costituita da due corpi di fabbrica di cui quello più antico databile
presumibilmente al 1699, come riferisce la data riportata sull'architrave della porta di
accesso aperta sulla facciata prospettante via Lucio Papa, rimodellata nel 1894 durante i
lavori di costruzione della strada nazionale Capo d'Orlando-Randazzo. Degni di nota i
balaustri in pietra finemente decorata del terrazzo, impostato sulle arcate terrene. Il
corpo adiacente mostra una tessitura muraria tradizionale, costituita da elementi litici
sbozzati e fitti li a dare continuità ai ricorsi della muratura, che riprende tradizioni
costruttive 'bizantine' per aumentare la duttilità della muratura, e creano un piacevole
effetto cromatico. La copertura, pur mostrando i segni di un rifacimento novecentesco
a seguito dei danni provocati dal sisma del 1908, mantiene i buttato i fittili. Sull'asse
centrale del portale in pietra è murata una lapide marmorea che ricorda Gioacchino
Crimi, «folklorista, storico e poeta» vissuto fra l'Ottocento e il primo decennio del
Novecento.
PALAZZO LO SARDO
L'edificio ha acquisito la tipologia del palazzo, distinto in due appartamenti ciascuno di
sette vani con giardino sul lato ovest, nella seconda metà dell'Ottocento ad opera di
Gaetano Lo Sardo, con l' accorpamento e la riplasmazione di più unità abitative da lui
acquistate. Infatti nella documentazione relativa i danni causati dal sisma del 1823, in
questa area della città la famiglia Lo Sardo non compare tra i proprietari di abitazioni. Il
portale di accesso ottocentesco si apre sulla facciata prospettante via Francesco Riso,
che versa in uno stato di grave degrado dopo il terremoto del 1978. Gli elementi
architettonici caratterizzanti il palazzo si leggono ancora sulla facciata prospettante la
vallata, dove le finestre sono concluse da timpani nel piano nobile e da alte cimase
nell'ordine superiore.
CHIESA SS. SALVATORE
La chiesa del Santissimo Salvatore, con i suoi due campanili, primeggia per la qualità
decorativa della facciata barocca, esempio significativo del Barocco siciliano. I tre
portali, anche se in due scale diverse, sono evidenziati da colonne su basamento e
capitello corinzio, concluso da timpani spezzati a valva di conchiglia con gli stemmi
della famiglia Piccolo, al centro, e Cuffari a sinistra; nell'ingresso destro non è più
visibile lo scudo che la tradizione riferisce essere Cuffari; queste due famiglie nasitane,
nella seconda metà del Settecento con i loro prelati reggevano la chiesa dedicata al
Salvatore. Un artistico selciato in pietra e mattoni fa da collegamento con le due torri
campanarie mozze forse a causa dei vari sismi o perché mai terminate, creando un
affaccio suggestivo sulla collina di Grazia. La chiesa è divisa in tre navate e cinque
campate da colonne monolitiche in marmo di Biliemi; le arcate sinistre riccamente
decorate con putti, fiori e frutta che incorniciano dipinti sono il risultato degli interventi
settecenteschi e di probabili ridipinture dell'Ottocento. Alla destra dell'ingresso il fonte
battesimale risulta chiuso da un coperchio ligneo. Gli altari laterali sono stati smontati e
mai più rimontati negli anni Settanta in occasione dei lavori di rifacimento della
pavimentazione, dove trovavano collocazione le tombe terragne delle più illustri
famiglie nasitane, oggi in parte conservate nel museo di Arte Sacra e negli ambienti
limitrofi alla chiesa e al convento dei Minori Osservanti. Anche gli stucchi barocchi
della navata centrale sono stati smontati in seguito ai lavori di restauro condotti dopo il
terremoto del 1978, e sono ancora in attesa di essere rimontati. Lungo la navata sinistra
troviamo: le tele dell'Angelo Custode, di Sant'Andrea di Avellino, il trittico marmoreo
gaginiano con la Vergine tra i Santi Andrea e Gregorio, il quadro con San rancesco di
Paola attribuito ad Antonio Grano con la sua sfarzosa cornice; nel transetto, il dipinto
con la Madonna del! 'Itria attribuito a Filippo Trancredi, la cappella di San Girolamo
dove si trovava l'omonimo dipinto di Gaspare Camarda del 1626, ora conservato in
altro luogo, l'altare maggiore con il coro ligneo e la cantoria con l'antico organo da
poco restaurato e reso funzionante, la cappella in marmi mischi dedicata alla Madonna
di Portosalvo, opera attribuita al palermitano Bartolomeo Travaglia. Due cornici in
stucco, in corrispondenza dei pilastri che dividono l'altare maggiore dalle due cappelle
laterali, ora vuote, conservavano due piccoli quadri uno su rame con dipinto San
Giuseppe, l'altro su tavola con la Madonna e il Bambino opera eccellente attribuita alla
scuola di Joos Van Cleve, ora conservata nel museo di Arte Sacra; il transetto si chiude
con il legno della croce. Riprendendo la navata la Madonna dei poveri, la
Trasfigurazione attribuita a Francesco Napoli del 1695, la Salita al monte Calvario, e la
Madonna dei pellegrini. Interessante il grande pulpito ligneo sospeso con "ombrello",
unico esempio conservato a Naso di questo genere. I sismi che hanno colpito Naso nei
secoli hanno contribuito a modificare il suo aspetto. Il primo terremoto documentato
che ha interessato il SS. Salvatore è quello del 1739, che «squarciò» il fronte e fece
crollare la copertura creando ingenti danni all'interno; danni che furono aggravati dal
vento «impetuoso» de125 gennaio 1740. In seguito a questo grave evento,
probabilmente per volontà del sacerdote Pietro Piccolo, si decise di far decorare la
facciata e le navate in stile barocco. A distanza di meno di cinquant' anni, nel 1783, con
uno sciame che durò fino al 1786, un nuovo evento sismico si abbattè sull' abitato
nasense; i danni all' edificio risultarono tanti e tali da doverne trasferire il culto
«nell'officine del Monte di Pietà» che, essendo un edificio ad uso civile, venne dotato di
altare e trasformato in «forma propria di chiesa».
QUARTIERE BELVEDERE GRANDE E PICCOLO
Dalla chiesa del Ss. Salvatore per via Firenze si giunge al largo Leopardi e si prosegue
lungo via Belvedere Grande fino al largo Filippo Cangemi, percorrendo via Antonino
Giuffrè già via Verdi. Via del Belvedere Grande, in posizione dominante rispetto il
Belvedere Piccolo, è così denominata fin dall'antichità per lo splendido panorama da
cui si può godere. E 'una parte dell 'urbano che è sempre stata sottoposta a frane; in
seguito a un movimento franoso del 1955 è andato perduto una parte consistente
dell'urbano.
PALAZZO GERMANA’
Il palazzo di impianto seicentesco, costituito da tre corpi di fabbrica, occupa gran parte
dell' iso lato compreso tra largo Leopardi, via Firenze, via Cavour e via Alagona. Sulla
facciata principale si apre un portale bugnato il cui asse centrale è segnato dallo scudo
araldico della famiglia Germanà che acquistò l'edificio dagli Agliè, una famiglia
documentata fin dal Cinquecento nel quartiere del SS. Salvatore. Il prospetto posteriore
che si apre sul giardino e domina la vallata, è serrato da cantonali litici e articolato da
finestre concluse da timpani spezzati.
Nel gennaio 1890 il palazzo di Vincenzo Germanà divenne sede della Pretura che, fino
a questa data, trovava posto nella Casa comunale. Il trasferimento si rese necessario a
causa dei lavori di sistemazione del palazzo pubblico, in seguito all' ampliamento di via
Alighieri e di piazza Vittorio Emanuele.
PALAZZO CANGEMI
Il palazzo si articolava su due piani e magazzini terreni a doppia altezza mentre sul lato
della strada presentava un unico piano, a causa dell'andamento del terreno. Sul portale
bugnato di accesso alla corte superiore è murato uno stemma Cangemi con la data
1771, presumibilmente l'anno del termine dei lavori di ricostruzione dell'edificio. Dopo
i gravi danni subiti a causa del terremoto del 1978, la casa signorile è stata venduta e
trasformata completamente. GIUFFRE’ nel novembre 1742 ampliò ulteriormente le
sue proprietà nel quartiere di San Niccolò lo Vecchierello con l'acquisto dai procuratori
della chiesa Madre di due «casaleni con il di loro piano e terreno», compresa una
cisterna diroccata, confinanti con il giardino delle sue residenze, e li trasformò in una
casa «grande e solarata e in diversi corpi». Questo edificio, adiacente il precedente, versa
ora in uno stato di rudere.
PALAZZO CANGEMI – Largo Filippo Cangemi,1
Il palazzo, posto nell'antico quartiere di Varrica poi di San Niccolò il Vecchierello, si
affaccia su uno slargo intitolato a uno dei membri più significativi della famiglia, Filippo
Cangemi, vissuto nell'Ottocento. La facciata, articolata fino al 1978 da lesene trabeate, è
caratterizzata da un grande portale a grossi conci bugnati, sormontato da uno stemma
marmoreo finemente scolpito che riporta la data 1814, anno in cui terminarono i lavori
di restauro. La casa, che «era tutta precipitata e minacciava rovina», assieme al giardino
fu acquistata il 16 marzo 1738 da Giovanni Cangemi dalla madre badessa del
monastero benedettino di Santa Caterina, Anna Joppolo e Ventimiglia, a cui era stata
assegnata nel 1737 dal conte Ignazio Perlongo, uno dei personaggi più singolari della
storia siciliana, che morì a Vienna il17 febbraio 1737. Antonino Cangemi, figlio di
Giovanni, nell'aprile 1741 diede inizio ai lavori di ricostruzione anche dei muri di
recinzione del giardino in cui si trovavano gelsi. Questa residenza non appartiene più
alla famiglia Cangemi.
NASO FUORI LE MURA
IL CONVENTO DEI MINORI OSSERVANTI E LA CHIESA DI SANTA
MARIA DEL GESU’
Il primo impianto del convento affidato ai «frati di S. Maria del Gesù delli zoccolanti» si
ritiene sia stato fondato nella seconda metà del Quattrocento da Artale I Cardona,
conte di Collegano, marchese della Padula e signore di Naso, con il contributo
dell'Università di Naso che ancora nel 1597 erogava denaro per «fabbriche et altre
opere necessarie» da realizzare nel complesso conventuale. Infatti, col crescere della
comunità di religiosi, il convento venne ampliato e ai lavori parteciparono anche le
famiglie dei notabili con lasciti testamentari; la chiesa diventò sede di sepoltura delle
nobili famiglie nasitane, secondo la tradizione conventuale. Si può presumere che il
convento quattrocentesco sia un ampliamento di un precedente impianto medioevale,
per alcuni connotata architettonici e per lo sviluppo planimetrico. Il complesso è
andato ad occupare, in contrada Corazza, una vasta area su di un colle fuori le mura
cittadine della parte settentrionale dell'abitato, in prossimità della chiesa del SS.
Salvatore, lungo la strada di collegamento con la costa. La porta Nuova, che si apriva
nelle mura di questo spazio urbano, dopo l'insediamento francescano acquisì il nome di
Porta Convento. Poco rimane della struttura quattrocentesca del convento a causa dei
significativi danni causati dai sismi, a partire da quello del 1613 che lo distrusse quasi
completamente. La chiesa a navata unica con scarsella che oggi ammiriamo, posta nel
lato orientale del complesso, è perciò in massima parte frutto delle ricostruzioni fatte
nell'Otto e Novecento, con alcune permanenze degli impianti precedenti quali l'ampio
arco presbiteriale seicentesco in pietra cenerina, i cui piedritti, nel lato volto verso la
navata, sono decorati da motivi fitomorfi; l'imposta dell'arco, la cui ghiera è ornata con
ovuli, dardi e palmette dal disegno molto raffinato, è evidenziata da una mensola ornata
da una voluta inferiore e dagli stemmi nobiliari dei Cibo, murati ai lati, mentre il
simbolo francescano è messo in evidenza nel concio in chiave dello stesso arco.
Sull'altare maggiore è collocata la grande «sacra custodia», un ciborio eucaristico a
forma di tempi etto, in legno di pino lavorato a ricchissimo intaglio dal catanese
Emanuele Angelo Caserta, nel 1694. A ridosso del presbiterio si trova il sarcofago del
nobile Artale Cardona del 1477, attribuito alla bottega di Domenico Gagini, che mostra
i segni di un non attento rimontaggio, sorretto nella redazione originaria da una
colonna e da quattro piccole statue allegoriche delle Virtù a tutto tondo,di cui una
andata perduta e le altre attualmente conservate nel museo di Arte Sacra di Naso. Alla
fine dell'Ottocento furono effettuati lavori di integrazione al coperchio del sarcofago,
riassestato il «fronte di destra», costruito il gradino della base di tutto il monumento già
snaturato nella disposizione dei suoi elementi, quali le figurazioni plastiche e «il
colonnino». La muratura esterna corrispondente al monumento funebre mostra le
tracce di una porta acuta tamponata, presumibilmente l'antica porta dei morti, chiusa in
occasione della collocazione del sarcofago. A fronte, nel lato destro, il pregevole
monumento funebre con intarsi di marmi policromi del conte Pietro Maria Cibo,
datato 1615; sopra il coperchio tre statue, alte m. 0,65, in marmo bianco, al centro la
Vergine col Bambino, a destra San Giovanni Battista col libro e l'agnello e, a sinistra,
San Cristoforo che porta l'Infante sulle spalle e stringe un bastone con la destra. Anche
questo monumento subì gravi danni durante il sisma del 28 dicembre 1908.
Le famiglie notabili quali i Piccolo, i Mercurio, gli Arcobasso e i Perlongo trovarono
sepoltura nelle rispettive cappelle di giuspatronato ricavate nel lato destro della navata
su cui si aprono con alte arcate in pietra, modanate e decorate con stemmi, oppure in
tombe terragne sull'asse centrale dell'aula, come quella dei Zaffarana che seguiva quella
dei padri francescani. Lungo il lato destro della navata, la prima cappella ora spoliata dei
suoi apparati; la seconda della famiglia Piccolo, dedicata al SS. Crocifisso, dove ancora
si può ammirare il monumento funebre a marmi mischi di Antonino Piccolo
Timpanaro, figlio di Anton Vito Piccolo e di Margherita Timpanaro, sposato con
Delfina Lanza; sul coperchio dell'urna poggiano due statue marmoree dormienti, un
vecchio e una giovane donna, recanti il teschio, con il capo poggiato sulla palma della
mano, di autore ignoto; la successiva, di Sant' Antonio da Padova, dedicata fino alla
seconda metà dell'Ottocento a San Francesco, accoglie la tomba di marmo bianco,
sostenuta da due leoni, di Gaspare e Beatrice Arcobasso, figli del giureconsulto Rocco e
di Ninfa Mercurio. Nella cappella dedicata a Santa Maria del Gesù, disposta nel lato
sinistro della navata a ridosso del portale d'ingresso, le tombe di Assenzio Lanza, datata
1628, e addossato alla parete destra il sarcofago marmoreo del giureconsulto Benedetto
Calderaro del 1519. Sul coperchio del sarcofago è scolpita a tutto rilievo la figura del
principe Calderaro, col capo adorno di una breve chioma poggiante su un cuscino, con
le braccia distese a croce su di un libro aperto. Ai due spigoli del sarcofago sono
riprodotte figure zoomorfe alate, a tutto rilievo, che si congiungono alle due testuggini
sottostanti che fungono da piede di sostegno del sarcofago. Sul frontale della parte
vascolare è l' epigrafe con ai lati due stemmi a forma di scudo, entro i quali sono
riprodotti due leoni ritti sulle gambe anteriori, mentre con le posteriori reggono una
caldaia esposta alle sotto stanti fiamme. Sulla parete d'altare, all'interno di una nicchia
trova posto la Madonna del Gesù attribuita a Stefano di Martino. La presenza delle
tombe testimonia che l'ordine dei Minori Osservanti godeva del favore della classe
nobiliare. Dei quattro altari documentati lungo il lato sinistro dell'aula rimane quello
dedicato alla Madonna degli Angeli, la cui statua lignea, recentemente restaurata, si
trova nella chiesa Madre. La copertura a capriata lignea della navata, che fino agli trenta
del Novecento conservava ancora elementi del XV secolo, specialmente nelle mensole
sotto stanti gli appoggi delle capriate, è stata rifatta come quella di due cappelle laterali
intorno alla metà del Novecento per lo stato di completo degrado in cui versava dopo il
terremoto del 1908 e per i danni subiti durante l'ultima guerra mondiale. Si può
presumere che la chiesa nell'impianto quattrocentesco fosse preceduta da un piccolo
portico che in seguito, nel Cinquecento, venne accorpato all'aula assieme ad un
ambiente conventuale che faceva parte del loggiato parallelo al prospetto, per ampliarla
e ottenere anche lo spazio per la cappella dedicata a Santa Maria del Gesù. Venne
quindi costruito un altro portico di accesso, replicato per simmetria anche davanti
all'ingresso del convento, il cui portale fu eseguito nel 1577 da lapicidi che nel disegno
del manufatto e nella decorazione delle bugne di arenaria finemente scolpite con motivi
geometrici e floreali diversificati, si ispirarono a modelli palermitani. Nel convento, il
chiostro con il pozzo al centro e i loggiati sui quattro lati consentiva il collegamento
con il corpo di fabbrica della chiesa, che occupa la parte destra del complesso, e
permetteva la distribuzione e il disimpegno degli ambienti di vita che comprendevano il
refettorio, la cucina, il dormitorio al primo piano che si affacciava sul chiostro mediante
una loggia, una importante biblioteca. I colonnati del chiostro erano costituiti da
piccole colonne dal fusto in arenaria databili al XIV secolo per i capitelli, uno dei quali
con lo stemma della famiglia Cardona, che presentano la forma a fogliami lisci. Gli
archi a sesto acuto furono costruiti in laterizio; le pareti erano ornate da apparati
pittorici distinti in quadri da cariatidi, rappresentanti episodi della vita di San Francesco,
realizzati nel XVII dal torinese Francesco Faucena con le offerte della cittadinanza,
come riportava la prima scena datata 1600. Su ogni quadro era dipinto uno stemma;
anche questi apparati decorativi sono andati perduti a causa del degrado della copertura
che fin dalla prima metà dell'Ottocento lasciava filtrare l'acqua sulle pareti, che risultano
già «oramai guaste e bruttate con pena dell'arte». Il convento, eccettuato il chiostro,
venne quasi completamente ricostruito nel XVII secolo, come attestavano le mostre
decorate delle porte. Dopo la soppressione degli ordini religiosi in base alla legge del 7
luglio 1866, la chiesa e il convento, distinto in 38 vani oltre i cortili e il grande giardino
recintato da una muratura a secco, furono ceduti al Municipio; purtroppo a causa
dell'incuria è andato in gran parte perduto e l'ultimo intervento di 'restauro' ha
completamente alterato il disegno delle fabbriche conventuali; del chiostro sopravvive il
braccio parallelo alla facciata. Il convento andò ad assumere dalla seconda metà del
Seicento una significativa importanza per la comunità nasense, quando i Minori
sservanti assieme ai Cappuccini acquisirono l'amministrazione di due importanti
istituzioni quali il Peculio frumentario e il Monte di Prestanza. Fino al 1877 a Naso si
seppellirono i morti nei cimiteri dei conventi dei Minori Osservanti e dei Cappuccini.
CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLE CATENE
La chiesa di Maria Santissima delle Catene si trova nella parte alta dell'abitato di Bazia;
il fronte, dalle forme molto semplici, si apre sulla strada di collegamento con il comune
di Castell'Umberto. L'interno a navata unica con abside poligonale presenta il coro alto
in controfacciata e cinque altari. Da sinistra si riconosce quello dedicato al Crocifisso, il
secondo all'Immacolata, l'altare maggiore decorato dal quadro della Madonna delle
Catene e i Santi Leonardo e Cono; segue l'altare di Nostra Signora delle Catene e,
l'ultimo, con la tavola dell'Annunziata che fino a qualche anno fa era conservata
nell'omonima chiesa in una contrada limitrofa. La chiesa di Maria SS. delle Catene
risulta documentata già nel 1630; secondo Girolamo Lanza fu edificata insieme alla
chiesa di San Leonardo come ex voto da due donne che avevano i mariti imprigionati
nelle galere del Negroponto.
La campana nel 1879 viene trasferita sulla torre di San Pietro e combinata con
l'orologio proveniente dalla residenza municipale. Dopo il terremoto nel 1783, per
pochi mesi, la chiesa diviene sede arcipretale, visti i notevoli danni subiti dalla chiesa
Madre, prerogative acquisite nel 1784 dalla più centrale chiesa di San Sebastiano. La
chiesa viene demolita dopo il1887 per permettere la realizzazione della SS. 116 Capo
d'Orlando-Randazzo. Il nuovo edificio, ricostruito a poca distanza dal precedente,
risulta terminato nel 1906 come si legge nell'iscrizione murata sopra l'arco di accesso al
presbiterio. I bombardamenti del 1943 danneggiarono gravemente la chiesa tanto da
chiuderla al culto. Sul fronte principale, al disopra del portale di accesso, si trova uno
scudo lapideo con l'immagine di San Cono con la croce e il libro in mano. Questi tre
elementi insieme alla statuaria che decora l'interno della chiesa e al quadro della
Madonna delle Catene, potrebbero provenire dalle chiese di San Leonardo e di Maria
SS. delle Catene, demolite alla fine del XIX secolo.
CHIESA DI SAN LEONARDO E LE LOGGE DELLA FIERA
Tra la fine del 1739 e il 1740 si procedette ai lavori «per sfabricare e principiare della
fabbrica di San Leonardo», che dureranno diversi anni, dovuti al sisma del 1739 che colpì
Naso duramente. Negli anni seguenti la chiesa venne ripavimentata, risistemato il portale
maggiore, realizzato un accesso minore, aperte due finestre, e due «occhialuni» e la
scolpitura di due fonti in pietra. Nel 1764 si diede avvio alla costruzione del campanile
che durerà circa quattro anni. La chiesa nel 1864 risulta «ruinata» e da allora se ne è persa
la memoria. Dalla documentazione di archivio sappiamo che le logge si presentavano
come spazi aperti su tre lati, con copertura ad elementi in laterizio sorretta da archi
impostati su pilastri. La maggior parte dalla struttura era in muratura e in legno. Nel 1655
l'Università di Naso aumenta il numero delle giornate di fiera e concede alla chiesa di San
Cono la tassa degli esteri per la costruzione di nuove quindici logge. Era dunque
l'amministrazione della chiesa di San Cono a curare la manutenzione, visto che i proventi
andavano a confluire nel patrimonio di questa chiesa. Annualmente le logge venivano
sottoposte a lavori di manutenzione ordinaria che prevedevano il riassetto delle
coperture e la sostituzione degli elementi danneggiati dal passare del tempo. A partire dal
1704 si procedette a nuovi lavori che alla fine di agosto sembrano praticamente finiti e la
chiesa di San Leonardo, che era stata utilizzata come deposito, risulta sgombrata.
CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLE GRAZIE
L'edificio si affaccia su un piccolo slargo, con un fronte semplice e ordinato. L'interno a
navata unica si contraddistingue per una grande cancellata che divide l'abside dalla navata
è individua l'antica cappella votiva, realizzata per accogliere il simulacro sacro della
Madonna delle Grazie. Presenta un altare centrale che accoglie il quadro della Madonna e
uno laterale con il crocifisso di cartone alla romana. I recenti restauri hanno modificato
l'aspetto formale mantenendo intatto l'impianto planimetrico. La chiesa venne edificata
in seguito all'autorizzazione dell'arcivescovo di Messina Andrea Mastrilli del 15 maggio
1619, per conservare un quadro dalla Madonna con il Bambino dipinta su «lapide di
Genova». L'immagine della Madonna, trasportata a dorso di mulo, arrivata alle porte di
Naso e proprio nella contrada Colliri diede segni miracolosi facendo fermare il mulo che
trasportava il simulacro. Questo evento fece si che in quel luogo, ritenuto miracoloso, si
costruisse la nuova chiesa con il contributo dell'Università di Naso e di diversi cittadini
tra i quali Assenzio Lanza. In una lapide si ricorda il conte Scipione Cottone e i
componenti del corpo Giuratorio ne eleggeva gli ufficiali. Nel 1823 Ferdinando I la
dichiara chiesa di patronato comunale; dopo l'Unità d'Italia si voleva includere il piccolo
edificio nelle proprietà demaniali.
I bombardamenti del 1943 danneggiarono la chiesa, già colpita dal sisma del 1908; per
essere riaperta al pubblico necessitò di lavori alle murature portanti, come da progetto
datato 1953.
IL CONVENTO DEI CAPPUCCINI E LA CHIESA DI NOSTRA SIGNORA
DELLA CONSOLAZIONE
La memoria storica dell'antico complesso cappuccino è mantenuta dalla piccola chiesa
dedicata alla Consolazione; sul fronte del portico addossato al prospetto della chiesa è
murata una lapide di maiolica del 1831 con il simbolo francescano e, nella parte alta, si
imposta il piccolo campanile a vela anch'esso decorato con uglioli di maiolica. La chiesa a
navata unica, dedicata a Nostra Signora della Consolazione, è coperta con volta a botte
lunettata; sulla parate di fondo, l'altare maggiore con la tela rappresentante l'Adorazione
dei Magi circondata da una ricca cornice. Al disotto del presbiterio si fronteggiano
sulla sinistra l'altare con il crocifisso incorniciato da un dipinto con la Madonna e San
Giovanni, a destra un imponente reliquiario. Nella prima parte della navata, vicino
all'ingresso, troviamo il quadro con la Madonna degli Angeli e i santi Cono, Francesco,
Chiara, Antonio che mostra i segni di un grave degrado: tra i vari elementi decorativi il
pregevole tabernacolo ligneo e la statua di San Francesco.
L'edificio «d'una architettura semplice e rusticana» consistente in quattro corridoi con
ventisei letti, una terrazza affacciata sul lato occidentale del paese al primo piano; al
piano terra si trovavano il refettorio, le cucine, la dispensa con la stalla e il fienile. La
necessità del nuovo camposanto è dettata dalla legge del 1829 che obbligava i Comuni a
porre i cimiteri in zone extra urbane. Il cimitero oggi si presenta ricco di
architetture funerarie e alcune cappelle gentilizie mostrano ancora i caratteri
dell'architettura di fine Ottocento, in stile neogotico, neorinascimentale, neobarocco; due
esempi riprendono le linee del liberty alla palermitana. Diversi monumenti funerari con
statue e lapidi ricordano alcuni illustri nasitani e non. Da quel momento in poi l'incuria e
il tempo hanno logorato il complesso conventuale fino a farlo crollare quasi totalmente;
l'abbandono portò alla spoliazione della ricca biblioteca, degli arredi e di alcune
opere d'arte tra le quali i due quadri di Padre Paolo e di Padre Mariano rubati nel 1927.
Oggi alcuni volumi della biblioteca sono conservati nella sezione manoscritti della
biblioteca comunale di Naso. Tra il 1930 e il 1939 il vescovo di Patti, dietro pressioni
dell' arciprete Antonino Portale, cercò di riacquistare l'edificio che ritornò di proprietà
ecclesiastica per atto del notaio Giovanni Lipari di Sant'Agata di Militello. Nel 1985 si
procedette allo svincolo della chiesa e del convento dalle proprietà della chiesa Madre a
quella della nuova parrocchia di Santa Barbara. Il nuovo verbale cerca di sottolineare le
differenze che vi sono con il verbale di dissequestro del 25 giugno 1947 in modo da
poter valutare gli arredi mancanti. Nel portico d'ingresso alla chiesa nel 1985 era visibile
ancora l'affresco dell'Annunziata, andato perduto, che presentava diversi punti di
distacco a causa delle infiltrazioni. Oggi l'edificio conventuale è stato ristrutturato; la
chiesa, pur mantenendo la sua volumetria originaria è stata oggetto di pesanti lavori di
restauro che le hanno fatto perdere le sue peculiarità.
SCULTURA, PITTURA, ARTI DECORATIVE A NASO DAL XV AL XIX
SECOLO
Numerosissimi son stati i ritrovamenti di pitture e decorazioni nel Comune di Naso
dopo i terremoti che si son susseguiti nei secoli. Molte di queste opere a carattere
religioso, come testimonianza della devozione nasitana nei confronti dei suoi protettori.
Mancano invece testimonianze pittoriche e decorative più recenti, invece, per quanto
concerne la scultura, essa fa la sua prima apparizione nei decenni del xv secolo, con
monumenti di committenza prettamente privata dovuta all’affermazione del potere
feudale e monastico.
Le prime opere sculteree che si affacciano nell’ambiente nasitano, son per la maggior
parte opere a carattere funebre, statue di vergini e bambini, tabernacoli e polittici
marmorei.
La povertà di materiale edilizio e la mancanza di decorazioni architettoniche valide,
lasciarono il Comune di Naso fuori dal susseguirsi di periodi artistici e culturali.
La stessa architettura nasitana, più che seguire nei secoli le tematiche architettoniche, che
nelle altre città si son avvicendate, sembra perseguire incessantemente, la necessità di
trovare una soluzione ai numerosi sismi che l’hanno colpita, modificandone l’assetto fino
ai nostri giorni.
La conquista normanna, segnò comunque il Comune nasitano, con svariate opere (ahimè
ormai andate perdute) come gli insediamenti a S.Basilio, a S.Maria de Lacu e di S.Maria
Krista.
Importante la campana della chiesa di S.Pietro dei Latini, del 1200, la cui
rappresentazione rievoca la storia del santo nasitano San Cono.
Dal passaggio dalla signoria al feudalesimo, il Comune di Naso, rivive uno splendore
economico-culturale, soprattutto con l’arrivo dell’ordine dei Minori Osservanti.
Il Monumento funebre di Artale Cardona è la prima e più significativa scultura giunta in
città, l’opera attribuita alla bottega del Gagini, rivela almeno due personalità artistiche. La
prima di Pietro de Bonate a cui fan riferimento le formelle che compongono l’arco e il
coperchio con la figura giacente (la nostra moderna foto nelle lapidi) e le due statue
allegoriche della Temperanza e della Fortezza, la seconda riconoscibile allo scultore
Mancino con le statue allegoriche della Giustizia e della Prudenza, nonché i putti reggi
stemma con il festone contornato d’alloro.
La datazione effettuata non consente però di stabilire con certezza la tempistica
dell’esecuzione.
Negli stessi anni, la scultura di Madonna col Bambino, che presenta il medesimo schema
di altre Madonne posizionate nelle chiese dei comuni limitrofi.
La prima scultura marmorea di sicura datazione cinquecentesca esistente a Naso è il
monumento funebre del giureconsulto Benedetto Calderaro, in S. Maria di Cesu, il cui
coperchio è una evidente derivazione da quello del monumento Cardona e il cui
sarcofago, a forma di vasca decorata sulla fronte da due arpie ad alto rilievo e poggiante
su due testuggini, mostra caratteri stilistici arcaizzanti.
Appartengono invece alla bottega di Antonello Gagini il ciborio in marmo dell'altare
maggiore del Duomo. il cui zoccolo presenta una testa di cherubino di delicata fattura,
degna della mano del maestro, la Madonna della Neve dello stesso Duomo, in cui si può
vedere la fiacca traduzione di un fortunato modello del caposcuola; infine
il trittico marmoreo della chiesa del Ss. Salvatore con la Vergine tra i Se. Andrea e
Gregorio, il cui pannello centrale è una replica edulcorata di quello che si vede fra Ss.
Pietro e Paolo nel trittico della chiesa di S. Maria in S. Salvatore di Fitalia.
La penetrazione del gusto manieristico anche a Naso ci viene però attestata, almeno
nell'architettura, dal grande portale del Convento dei Minori Osservanti, eseguito nel
1577 da lapicidi, presumibilmente attivi sul luogo, che si ispirano nella decorazione delle
bugne, oltre che nel disegno complessivo del manufatto, a modelli palermitani. Alla fine
del secolo il Portale data in maniera generica il simulacro processionale in legno
policromo della Madonna di Portosalvo nella chiesa del SS. Salvatore. La scultura, che
sembra contaminare modi gagineschi e forme calamecchiane, potrebbe invece risalire ai
primi anni del secolo XVII, se, come afferma il Sidoti-Migliore, la processione del
simulacro fu concessa dall'Arciprete alla Confraternita di Nostra Signora di Portosalvo il
10 aprile 1616. Quasi a compensare la mancanza di sculture, su quattro dipinti
cinquecenteschi conservati nella cittadina, tre sono databili alla seconda metà del secolo.
Il piu antico di questi dipinti, una tavoletta della chiesa del SS. Salvatore, che raffigura la
Madonna col Bambino dormiente, per la sua qualità stilistica.
Il dipinto della Madonna del Rosario, posta sull’altare maggiore della chiesa di
S.Giovanni porta la data errata del 1500 (1580/90 quella corretta). Essa è un prodotto di
grandissima diffusione, grazie soprattutto , al proliferare di molte confraternite ed al
culto verso la Vergine dopo la vittoria cristiano di Lepanto contro la flotta Turca.
Nel secolo XVII la storia di Naso è scandita da avvenimenti luttuosi, quali i terremoti del
1613 e del 1693 e la peste del 1624, ma anche da fatti culturali assai importanti,
dei quali il potere feudale seppe farsi promotore: fra questi meritano di essere ricordati il
nuovo assetto urbanistico dato alla città con la creazione della Piazza di Filippo ad opera
del conte Pier Maria Cybo, nonchè la fondazione del Monastero delle Benedettine e la
venuta dei Gesuiti volute dalla contessa Flavia Cybo Cottone. Anche se la residenza
gesuitica, non fu mai tramutata in Collegio e le trattative con la principessa di
Roccafiorita durarono per diversi anni, l'attività di insegnamento svolta dai padri della
Compagnia dovette incidere parecchio sulla istruzione dei giovani nasitani e delle terre
vicine, se è vero che, da qui, gli scolari affluivano anche alle scuole gestite dai padri in
Randazzo e se, nel 1648, i maestri privati secolari del luogo, preoccupati della
concorrenza, presentavano alla stessa principessa le loro rimostranze.
La qualità artistica più importante della scultura secentesca a Naso è quella decorazione a
“Mischio Tramischio Rabisco”, si tratta del suontoso apparato decorativo barocco di tre
cappelle, tra le quali quella relativa le reliquie di S.Cono, nella cripta dell’omonima chiesa.
Le decorazioni all’interno della chiesa Madre, risalgono in prima fase verso il 1667 ed in
seconda fase verso il 1720, quando fu compiuto il rivestimento delle due pareti laterali .
Intorno al secolo XVII vanno datati gli stucchi della volta che rivestirono dapprima
anche le pareti per poi esser manomessi durante l’esecuzione delle opere marmoree.
Il motivo di due colonnine tortili, ripreso sul paliotto (pannelli decorativi parte anteriore
dell’altare), né scandisce la superficie con cinque arcate entro le quali campeggiano due
targhe scartocciate e coronate recanti la storia del Santo ed un veliero a ricordo del
miracolo della nave carica di grano nella carestia del 1471.
La pittura del seicento a Naso si nute soprattutto di opere devozionali, dovute alla
presenza in città di ordini monastici che spingono la popolazione verso il rinnovamento.
Ecco perché molte delle opere decorative si anno dopo la presenza dei Minori
Osservanti all’interno del Comune nasitano.
Verso il XVIII secolo la storia di Naso si incentra per la lotta dalla libertà del dominio
feudale, portando Naso a tornare come città di Demanio. Iniziano ad apparire botteghe
di intagliatori di legno, botteghe marmoree, anche nei Paesi vicini, pronti dopo il
terremoto del 1689 a ricostruire il Paese.
La fine del dominio feudale e l'ascesa della borghesia liberale, sotto l'egida della quale
nacquero e si svilupparono i fermenti rivoluzionari che portarono all'unità d'Insieme con
il conseguente affievolirsi dello spirito devo le, fecero venire meno sin dai primi
dell'Ottocento presupposti dai quali, nei secoli precedenti, avevano le mosse le varie
committenze artistiche. Nè i ceti popolari fatti oggetto di nuove intollerabili vessazioni e
lasciati nelle loro croniche condizioni di debolezza economica dalle politiche dei governi
pre e post-unitari, furono in grado di mere iniziative culturalmente valide in tal senso. A
ciò si aggiunga, per effetto delle "leggi eversive" del 1866, la pressione degli ordini
religiosi con il saccheggio sistematico e il degrado subiti dai conventi. Il costituirsi di
nuovi interessi nella fascia costiera, favoriti dalle nuove vie di comunicazione con i Paesi
limitrofi, spostano la cultura dai paesi montani a quelli costieri, favorendo il loro
sviluppo. Per tale ragione il terremoto del 1823 prima e del 1908 dopo, pur essendo stati
poco disastrosi nel Comune di Naso, hanno impoverito indirettamente il patrimonio
edilizio cittadino.
VISITE IN LOCO
LA CULTURA MATERIALE ED ETNOANTROPOLOGICA A NASO
La “cultura” come qui intesa, nella ricordata accezione antropologica e sistemica,
corrisponde in ogni caso, e quasi coincide, con la vita del gruppo umano che la esprime,
del quale organizza (sembra inopportuno usare l’espressione “codifica”) in qualche
modo tutti gli aspetti di vita e comportamento.
In tal senso non esiste una netta separazione tra dimensioni che analiticamente possiamo
individuare come differenziate, ma tuttavia sappiamo strettamente intrecciate, più ancora
che complementari. Può essere il caso, tra l’altro, delle attuali suddivisioni tra
comportamenti assegnati a campi diversi, e nella nostra cultura quasi autonomi, quali
“economia”, “politica”, “diritto”, “scienza”, “religione”, ecc.); questo tipo di
classificazioni applicato alle culture del passato o alle culture cosiddette “primitive” si
presta senza dubbio a forti accuse di visione eurocentrica e modernocentrica, e porta a
grossi errori di prospettiva.
“Per lo più gli esseri umani trascorrono la maggior parte del tempo in compagnia di altri
esseri umani; generalmente è in gruppo che si adattano all’ambiente e cercano di
procurarsi tutto ciò che il sostentamento richiede. Si può affermare, in linea generale, che
le strategie adattative si basano su tre elementi portanti: la tecnologia, l’organizzazione
sociale, le credenze religiose e i valori, tutti frutti della nostra intelligenza, a sua volta
dovuta alla crescita e alla riorganizzazione del nostro cervello, risultati di un lungo
processo biologico di evoluzione. Questi tre elementi sono la parte preponderante di ciò
che si definisce la cultura di un popolo. La cultura, come è intesa dagli antropologi, è
dunque il modo particolare dell’ uomo in quanto membro di una società di organizzare il
suo pensiero e il suo comportamento in relazione all’ambiente.
Definito in questo modo, il concetto presenta tre aspetti particolari: comportamentali,
cognitivi, materiali.
1. La componente comportamentale (da cui l’organizzazione sociale) si riferisce al modo
in cui gli individui agiscono e interagiscono l’uno con l’altro.
2. La componente cognitiva ( da cui le credenze, le idee e i valori), si riferisce alle idee
che gli uomini hanno del mondo, e al modo in cui queste idee filtrano la loro
comprensione del mondo e la loro esperienza.
3. La componente materiale (da cui la tecnologia), infine, si riferisce agli oggetti fisici che
vengono prodotti.”
In sintesi, siamo in presenza di una partizione, ora abbastanza diffusa negli studi
etnografici, tra una dimensione sociale (o comportamentale-relazionale, e anche
“istituzionale”), una dimensione materiale (ma meglio forse sarebbe dire “tecnologicofunzionale”), una dimensione “simbolica” o “ideologica” (di cui fa parte una categoria
specifica quale quella dei sub-sistemi comunicativi: figurativi, verbali orali e poi scritti,
ecc.).
La cultura popolare tradizionale (folklore, ecc.) intesa dunque come un ‘sistema’, in altre
parole un insieme articolato, ma unitario, ovvero globale ma composto al suo interno,
sarebbe allora osservabile, fatte salve diverse cautele metodologiche, singolarmente sotto
questi aspetti distinti. Deve essere ben chiaro che quest’ultima, per quanto più
convincente, tripartizione non è meno approssimativa di altre, e può dar luogo a gravi
equivoci, ove dalla distinzione si pretendesse di passare a una logica di separazione, o
anche solo di presunta autonomia di ciascuno dei tre settori.
Le cose sono e restano complesse, in questo campo come in altri, malgrado i tentativi di
semplificazione. La cultura materiale ha un rapporto evidente con le costrizioni materiali
che gravano sulla vita dell’uomo e alle quali l’uomo oppone una risposta che è appunto
la cultura. Ma non tutto il contenuto della risposta riguarda la cultura materiale. La
materialità implica che, nel momento in cui la cultura si esprime in modo astratto, la
cultura materiale non è più in causa. Ne sono esclusi dunque non solo il campo delle
rappresentazioni mentali, del diritto, del pensiero religioso e filosofico, della lingua e
delle arti, ma anche le strutture socio-economiche, le relazioni sociali e i rapporti di
produzione, insomma i rapporti tra uomo e uomo.
La cultura materiale sta fra le infrastrutture, ma non le comprende tutte; essa si esprime
solo nel concreto, negli oggetti e attraverso gli oggetti”.
Come si è visto le valenze simboliche sono presenti fin dall’inizio, già nelle ‘cose’, ma
soprattutto nella costruzione di oggetti ‘artificiali’. Ponendo un’attenzione particolare su
tre concetti basilari che spesso ricorrono nella cultura materiale:
1 Le Cose – definiamo cose tutto ciò che è percepibile al nostro orizzonte;
2 Gli Oggetti – definiamo oggetti tutto ciò che l’uomo realizza;
3 Gli Utensili – definiamo utensili tutto ciò che l’uomo utilizza per realizzare degli
Oggetti;
Più ancora: “gli oggetti sono parte integrante e decisiva dei processi di identità e di
alterità che l’antropologia studia. L’approccio antropologico mostra i diversi valori di cui
gli oggetti diventano portatori. Ciò induce a far emergere lo statuto non interrogato
dell’oggettività e della materialità, a coglierne anche le diverse valenze. E ci fa vedere
come gli oggetti non sono solo cose, dotate di determinate proprietà e funzioni, ma
attori e eroi di narrazioni mitopoietiche di vasta portata e operatori dell’agire sociale. Essi
stanno al centro dell’agire sociale, sono agenti attivi di appropriazione del mondo, in
correlazione con le pratiche della vita, le relazioni, le negoziazioni, le gerarchizzazioni
che la contraddistinguono. Gli oggetti incorporano valori: in essi l’immateriale del senso
sta insieme alla materialità fisica, e fa tutt’uno con essa”.
Alle cose in genere, agli elementi della sua esperienza concreta l’uomo affida anche
sovente una funzione di memoria, di conservazione e stimolazione del suo ricordo
personale o collettivo. Con K. Pomian, uno dei massimi teorici della problematica della
memoria, rammentiamo che “Il contenuto della memoria individuale scompare, se si
tratta di un animale, insieme all’individuo che ne è portatore. Per l’uomo le cose vanno in
tutt’altro modo, perché le vestigia del passato possono venire trasmesse sotto forma di
creazioni esterne all’organismo stesso, atte a una esistenza autonoma nei confronti di
quest’ultimo”. Prima della scrittura, che consente una fissazione permanente, il racconto
orale ha svolto una funzione importante di trasmissione, ma, prima ancora, e sempre poi
accanto a queste forme più evolute, sono state importanti semplici “reliquie – se si vuole
indicare con questo termine qualsiasi frammento di un essere o di un oggetto inanimato”
o anche “immagini”, che “sotto forma di cose (…) sono la correlazione oggettiva di
quella memoria specificamente umana che è la memoria collettiva e transgenerazionale”.
Anche gli umili oggetti della vita quotidiana o gli attrezzi di lavoro hanno svolto, dunque,
assieme alla esperienza diretta delle attività tradizionali, una fondamentale funzione, e
tuttora possono svolgerla, anche se in forme molto diverse. Non più l’immediato
riferimento a pratiche locali e meno locali ben note, ma sempre più una funzione di
rimando a epoche e attività che acquistano uno spessore ‘storico’, sia pure di una storia
minore, storia sociale, o della lunga ‘durata’. Infine, la cultura materiale reca un apporto
fondamentale alla questione della quotidianità, della vita quotidiana, con la relativa
stabilità delle cose e degli oggetti, con la loro ‘durata’. Questo almeno fino alla
produzione di massa e al consumismo odierni che introducono una elemento di labilità,
di non permanenza dei prodotti Si potrà sostenere, allora, che non si può e forse non si
deve fare una storia separata della cultura materiale, ma la cultura materiale può
sicuramente contribuire alla storia, appunto sull’asse della ‘lunga durata’.
L’intervento sull’ambiente naturale, presente fin dalle origini dell’umanità, acquista un
carattere e una rilevanza particolari in riferimento all’ambiente montano, alle sue
caratteristiche generali (verticalità, impervietà ecc.) e particolari (morfologia e natura
specifica dei suoli). E’ proprio in base a queste caratteristiche morfologiche che l’uomo
opera al cambiamento delle stesse ed alla realizzazione dei suoi manufatti (edifici
pubblici e privati), nonché all’adattamento culturale e giornaliero della propria esistenza.
Così come importante risultano i tratti viari che si vengono a creare lungo percorsi che
direttamente ed indirettamente l’individuo utilizza per raggiungere velocemente le sue
destinazioni.
L’ALIMENTAZIONE
Come qui innanzi le ‘tecniche del corpo’, così anche l’alimentazione è strutturalmente
connessa con la socialità e con “l’ordine simbolico, che definisce che cosa è l’alimento e
stabilisce le forme sociali della sua acquisizione, della sua preparazione e del suo
consumo”.
Tuttavia è anche possibile cercare di identificare alcuni aspetti più specificamente
‘tecnologici’. E’ comunque evidente la stretta connessione con le tecniche culinarie.
Riguardo all’alimentazione locale, sembra chiaro un pesante condizionamento della
situazione ambientale, geologica, pedologica e climatica. Così ciascuna area tendeva
anzitutto a sfruttare le risorse che potevano crescere sul proprio territorio, anche se non
erano esclusi gli scambi, a lungo peraltro prevalentemente interni alla provincia.
FESTE RELIGIOSE E PROFANE – EVENTI E TRADIZIONI
Proprio come per gli edifici e le opere decorative, anche le festività che si susseguono
derivano da adattamenti umani al territorio circostante ed alle credenze popolari che nei
secoli si son succedute.
La devozione verso una particolare stagione o verso un Santo patrono portano gli
individui a riunirsi in collettività per festeggiare insieme gli stessi. Le processioni tipiche
dei periodi monastici permettevano il passaggio del protettore lungo le vie cittadine,
proteggendo così la popolazione e le loro abitazioni dagli effetti tellurici del territorio e
da eventuali malattie contagiose.
Come in ogni cultura, le feste religiose e profane, hanno caratteristiche non soltanto
comportamentali degli individui, ma anche estetici di abbigliamento, che si riflettono a
loro volta nell’alimentazione e nei cibi tipici per la determinata festa (di sicuro per la
presenza di un determinato prodotto alimentare più frequente di altri nel periodo
specifico).
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