Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri
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Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri
«Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri. Considero il popolo come un fanciullo e tratto i soldati come fossero miei fratelli. I miei progetti sempre concordano [con la ragione]. Quando faccio il bene, ho sempre cura [degli uomini]. Quando mi servo delle miriadi di miei soldati, mi pongo sempre alla loro testa. Mi sono trovato in cento battaglie e non ho mai pensato se c'era qualcuno dietro me. Ho affidato il comando delle truppe a quelli in cui l'intelligenza era pari al coraggio. A chi era attivo e capace ho affidato la cura degli accampamenti. Agli zotici ho fatto mettere in mano la frusta e li ho mandati a sorvegliare le bestie». (citazione di Gengis Khan, da una stele taoista del 1219) SIAMO TUTTI FIGLI DI TEMUJIN di Federico Pistone (da "Mongolia L'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri" - Polaris) Se fino a quindici anni fa evocare il nome di Gengis Khan poteva portare di fornte a un plotone di esecuzione del governo filosovietico, oggi parlare male o a vanvera del grande condottiero viene considerata una bestemmia e insieme un vilipendio. Gengis Khan (la pronuncia corretta assomiglia a Cinghis Haan, con l’acca molto aspirata), il più grande conquistatore di tutti i tempi, riposa in pace, probabilmente in un luogo del Khentii, nel nord della Mongolia, dov’è nato intorno 1162, incoronato imperatore nel 1206 e morto nel 1227. Aveva conquistato il mondo a cavallo e l’unica volta che ne è sceso, per una caduta, è morto. Eppure Gengis Khan è stato riesumato e torna a vivere nell’orgoglio dei mongoli: è diventato perfino un’ossessione, soprattutto dopo la celebrazione degli 800 anni dell’impero festeggiati nel 2006. Si comincia già allo sbarco a Ulaanbaatar: l’aeroporto, dal maggio 2006, si chiama Chinggis Khaan, e non più col nome storico Buyant Ukhaa. Dal marzo 2008 dagli aerei in atterraggio è possibile scorgere un gigantesco ritratto del condottiero formato da 430.000 tessere di cristallo, dono del Rotary club di Taipei. In qualsiasi bar si può bere l’ottima birra Genghis Khan e sugli scaffali dei supermercati sono infilate centinaia di bottiglia dell’omonima vodka, tra l’altro eccellente grazie all’acqua purissima che viene utilizzata. Uno degli alberghi più prestigiosi della capitale si chiama Chinggis Hotel, una bizzarra struttura rosa e nera che assomiglia a un castello di carte in riva al fiume Selbe. Uno dei pub-ristoranti più frequentati è il Chinggis Club, a nord della città, con cucina tedesca e birra dedicata a Temujin. Ma c’è un concorrente proprio davanti allo State Department Store che offre esclusivamente cucina mongola, soprattutto i buuz, i tradizionali ravioli al vapore ripieni di carne di montone: si chiama Khaan Buuz. Anche una delle principale banche di Ulaanbaatar non si è fatta sfuggire l’occasione di garantire i risparmi sotto il nome più rassicurante: Khaan bank, un grande edificio immacolato a est di Ub. Uno dei gruppi musicali rock più popolari si è assicurato il battesimo dell’imperatore. Infinita la teoria di negozi e locali con il nome del condottiero. Che, a scanso di equivoci, campeggia anche su manifesti giganti, come quelli che pubblicizzano la compagnia telefonica mongola e sulle banconote più diffuse, da 500 a 10.000 tugrig, cioè da 30 centesimi a 6,5 euro. Per accontentare i sovietici, non solo i mongoli hanno eretto statue ad eroi forestieri (la Mongolia è stato l’ultimo Paese al mondo, Russia compresa, a tenere in piedi le statue di Stalin) ma hanno dedicato la piazza principale e il nome della capitale (Ulaanbaatar: eroe rosso) a Sukhbaatar (eroe con l’ascia, sempre lui), colui che nel 1921 capeggiò la rivolta mongola contro i cinesi per consegnare la patria direttamente nelle mani dei sovietici. C’è da scommettere che nei prossimi anni la piazza cambierà nome: nel frattempo è stata eretta una sontuosa statua di Gengis Khan al centro di un colonnato di fronte al Parlamento che fa quasi impallidire Sukhbaatar a cavallo. I mongoli, anche i più giovani, sono orgogliosi di essere discendenti di Gengis Khan. La bibbia qui è La Storia segreta dei mongoli che viene letta e studiata già nelle scuole elementari. Ma forse non sanno che anche noi siamo un po’ figli di Gengis Khan. Una ricerca genetica condotta da Chris Tyler-Smith e pubblicata dall’American Journal of Human genetics ha accertato che lo 0,5% dell’intera popolazione mondiale e l’8% di quella asiatica discende da un uomo solo che ha trasmesso il cromosoma battezzato super Y e che ha vissuto tra il XII e il XIII secolo. Allo stesso risultato era giunta un’altra ricerca condotta da Bryan Sykes dell’Università di Oxford che aveva ricondotto senza incertezza il gene a Temujin per “la consuetudine dell’imperatore mongolo di uccidere i nemici e violentare le donne quando i suoi eserciti conquistavano un nuovo territorio. “Non c’è dubbio – ha ribadito David Morgan, docente di storia mongola all’Università del Wisconsin – che Gengis Khan lasciò una progenie sterminata”. Insomma, siamo un po’ tutti figli di Gengis Khan. E chi ha la cosiddetta macchia mongolica stampata sul corpo può vantare una vera e propria certificazione genetica di garanzia.