Comments
Description
Transcript
consumatore, marca ed “effetto made in”
Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Giuseppe BERTOLI Bruno BUSACCA Luca MOLTENI CONSUMATORE, MARCA ED “EFFETTO MADE IN”: EVIDENZE DALL’ITALIA E DAGLI STATI UNITI Paper numero 47 Novembre 2005 CONSUMATORE, MARCA ED “EFFETTO MADE IN”: EVIDENZE DALL’ITALIA E DAGLI STATI UNITI di Giuseppe BERTOLI Associato di Economia e gestione delle imprese Università degli Studi di Brescia Bruno BUSACCA Ordinario di Economia e gestione delle imprese Università “L. Bocconi” di Milano Luca MOLTENI Ricercatore di Statistica metodologica Università “L. Bocconi” di Milano Indice 1. Introduzione ............................................................................................... 1 2. L’effetto del «paese di origine» ................................................................. 4 3. I principali filoni di studio sull’effetto del «paese di origine»................... 8 4. L’indagine empirica ................................................................................. 15 4.1. Il disegno di ricerca .............................................................................. 15 4.2. Il campione indagato ............................................................................ 18 4.3. Il metodo di analisi ............................................................................... 20 5. La valutazione degli effetti di interazione fra marca e paese di produzione ............................................................................................... 23 6. Conclusioni .............................................................................................. 28 Bibliografia delle opere citate ...................................................................... 32 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti 1 1. Introduzione E’ noto che il modo in cui il consumatore percepisce e valuta le informazioni riguardanti le caratteristiche intrinseche ed estrinseche 2 dei prodotti esercita notevole influenza sui suoi processi di scelta. Fra le caratteristiche estrinseche si colloca anche l’origine geografica (lo Stato, la regione o anche soltanto la località) alla quale viene associato il prodotto e/o la marca che lo contraddistingue. Ovviamente, il ruolo attribuito a tale origine assume peso diverso a seconda della specifica situazione d’acquisto, della categoria di prodotto considerata, dei criteri di scelta che informano le decisioni del consumatore e – non da ultimo – delle sue caratteristiche individuali. Malgrado il tema sia da tempo oggetto di studio da parte della letteratura di marketing internazionale, le ricerche non sono ancora pervenute a conclusioni univoche. Inoltre, molti di tali studi sono stati condotti in tempi non recenti, in situazioni in cui la globalizzazione dei mercati era certamente in stadi meno avanzati rispetto ad oggi. A ciò si aggiunge il fatto che la gran parte delle ricerche sono svolte con riferimento alla realtà statunitense (anche in connessione alle campagne «buy american» periodicamente lanciate in tale Paese), integrata con il riferimento ad alcune altre realtà (specie il Giappone o taluni paesi sudamericani). Mancano, a tutt’oggi, nella letteratura italiana indagini empiriche recenti condotte nel nostro Paese e all’estero in riferimento a prodotti e/o marchi italiani, anche in confronto a prodotti/marchi esteri concorrenti. Negli ultimi tempi, il tema è divenuto di stringente attualità, in connessione all’agguerrita concorrenza proveniente in particolare dalla Cina e da diversi paesi del sud-est asiatico, i quali si distinguono per costi del lavoro incomparabilmente inferiori a quelli occidentali, macchinari aggiornati importati dall’estero (in primis dall’Italia), capacità di imitazione (e addirittura, 1 Una prima versione di questo lavoro è stata presentata al IV Congresso internazionale sulle Tendenze di Marketing, ESCP-EAP, Parigi, 21-22 gennaio 2005. Il lavoro è ovviamente frutto dello sforzo congiunto degli autori; in sede di stesura finale, tuttavia, i parr. 1, 2 e 3 sono da attribuire a G. Bertoli, i parr. 4.1, 4.2 a B. Busacca, il par. 4.3 a B. Busacca e L. Molteni, il par. 6 a G. Bertoli e B. Busacca, il par. 5 in egual misura ai tre autori. 2 Mentre le caratteristiche intrinseche attengono agli attributi che non possono essere modificati se non modificando le caratteristiche fisiche del prodotto, quelle estrinseche riguardano le caratteristiche non-fisiche del medesimo. 1 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni in non pochi casi, di contraffazione vera e propria), miglioramento progressivo della qualità dei prodotti, evoluzione in senso manageriale della gestione aziendale. Specie nei settori tradizionali 3 , la concorrenza montante dei paesi a basso costo ha comportato la perdita di importanti quote di mercato, per ora in larga prevalenza nelle fasce basse ma con progressiva estensione nelle fasce medie. In Italia, ciò ha stimolato un serrato (anche se a tratti confuso) dibattito sulla necessità di approntare idonei meccanismi di valorizzazione e di difesa del made in nazionale 4 . In Parlamento sono state così presentate varie proposte di legge che, pur con alcune differenze nell’articolato, sono accomunate dall’obiettivo di tutelare i prodotti italiani mediante la predisposizione di una certificazione della loro provenienza. Esse propongono infatti di apporre un marchio di origine (facoltativo od obbligatorio) sui beni che siano stati interamente prodotti sul territorio nazionale, attribuendo in tal modo un significato letterale all’espressione «made in». Altre propongono invece di rendere obbligatoria l’indicazione del paese di origine per i prodotti che giungono dall’estero (similmente a quanto avviene sin dal 1930 negli Stati Uniti e finanche nella stessa Cina). In questi casi, la conseguenza sarebbe quella che le imprese le quali realizzano fasi del ciclo produttivo al di fuori dei confini nazionali – come sempre più spesso avviene nei settori tradizionali – non potrebbero più avvalersi dell’indicazione «made in Italy». Altri hanno allora osservato che tale espressione non dev’essere tanto assunta nella sua pura letteralità lessicale quanto piuttosto nel suo significato 3 Il termine è qui usato nell’accezione proposta da Pavitt (1984) e riunisce i settori produttori di beni di consumo tradizionali legati alla persona e alla casa (tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria, gioielleria-oreficeria, occhialeria, articoli sportivi, mobilio e arredo, utensileria domestica, elettrodomestici bianchi, materiali da costruzione, alcuni comparti alimentari). In quasi tutti questi campi, l’Italia è divenuta style setter, «alimentando una sinergia virtuosa tra l’artigianato di lusso con le sue tradizioni rinascimentali e la creatività imprenditoriale mirata a penetrare fasce medie e medio-alte dei vari mercati, forte di un’immagine collettiva che man mano si è imposta all’attenzione del mondo» (Onida, 2004, p. 70). 4 Mette conto ricordare che la legislazione italiana e quella comunitaria, al momento, non prevedono disposizioni specifiche circa l’indicazione di provenienza geografica sui prodotti. Anzi, le sentenze della Corte europea di Giustizia hanno considerato il marchio di origine nazionale come una restrizione al commercio intracomunitario. Esistono, invece, norme (ad esempio, il Codice doganale comunitario) che disciplinano il riconoscimento dell’origine delle merci, da indicare sul «certificato di origine», documento che viene rilasciato dal paese esportatore su domanda del soggetto esportatore secondo logiche legate alle attività dello stesso soggetto e dietro sua dichiarazione specifica circa l’origine. 2 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti simbolico/affettivo, ossia come sintesi di una serie di caratteristiche in termini di creatività, di eleganza, di raffinatezza (anche tecnica) e così via. In quest’ottica, un prodotto impeccabile, integralmente progettato da un’impresa italiana, che lo fa realizzare all’estero sotto stretta sorveglianza dei suoi tecnici secondo processi e metodologie controllati e certificati, apparirebbe più connotato di italianità che non un prodotto mediocre per concezione, materie prime e lavorazione, fabbricato però interamente in Italia (magari da un laboratorio cinese). Non è nostra intenzione entrare qui nel merito di tali pur rilevanti questioni, delle quali dovrebbe necessariamente considerarsi anche la compatibilità con l’esistenza del mercato unico europeo e con la regolamentazione sull’origine delle merci definita dall’Organizzazione mondiale del commercio. Ci interessa piuttosto osservare che, nel dibattito in corso a livello politico e imprenditoriale, tali questioni vengono affrontate senza attribuire adeguata attenzione ad alcuni aspetti che si collocano più a monte rispetto alle stesse: - - qual è il rilievo che il paese di origine dei prodotti esercita sui processi di scelta degli acquirenti? per quali tipologie di beni, di situazioni d’acquisto e di consumatori tale origine appare maggiormente connotante? che incidenza assume l’origine geografica dei prodotti rispetto ad altri criteri di valutazione (per esempio, il prezzo e la marca) ai quali i consumatori possono ispirare i propri processi di scelta? quale impatto possono esercitare i processi di delocalizzazione della produzione sulla percezione dell’origine dei prodotti? Si tratta di questioni complesse, che evidentemente non possono essere tutte affrontate in questa sede. Nel breve spazio a disposizione, facendo riferimento a un più ampio studio in corso di realizzazione, ci si limita a presentare alcuni risultati di tale ricerca, focalizzando l’attenzione sugli effetti esercitati sui processi di scelta del consumatore dall’interazione fra il paese di produzione del bene e la nazionalità della marca che contraddistingue quest’ultimo, alla luce dell’immagine del brand, nonché dell’immagine sviluppata dai paesi nella specifica categoria di prodotto considerata e dei diversi livelli di prezzo applicati. L’analisi è così condotta. Premessa una rapida rassegna dei principali filoni di studio sviluppati sul tema del «country-of-origin effect», con particolare attenzione agli studi che hanno indagato gli effetti di interazione fra “paese d’origine e “marca”, nei paragrafi successivi vengono precisati gli obiettivi e la metodologia della ricerca empirica di natura esplorativa condotta nonché l’analisi dei risultati da essa emersi. Il lavoro si chiude con 3 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni l’indicazione di alcune implicazioni manageriali di particolare rilievo nell’attuale contesto competitivo. 2. L’effetto del «paese di origine» Come si è anticipato, il tema del rilievo dell’origine geografica del prodotto sul comportamento d’acquisto del consumatore è da tempo oggetto di studio da parte della letteratura di marketing (cfr., ad es., Schooler, 1965). Pur nella multiformità delle impostazioni metodologiche adottate, dei prodotti, dei paesi e delle situazioni d’acquisto considerati, le ricerche sono accomunate dall’obiettivo di indagare l’effetto esercitato sui processi di scelta dei consumatori dal fatto che questi inferiscano gli attributi del prodotto (Erickson et al., 1984; Johansson et al., 1985) anche sulla base del paese ai quali essi associano l’origine del medesimo. L’ipotesi è cioè quella che, in talune circostanze, tale paese (e dunque la sua immagine) possa essere utilizzato dal consumatore quale «sostituto dell’informazione», ovvero come un indicatore delle caratteristiche del prodotto, caratteristiche sulla base delle quali esso consumatore valuta le alternative d’acquisto disponibili. Gli studi in materia (cfr., ad es., Johanson, 1989) hanno messo in evidenza che, dal punto di vista del processo valutativo del consumatore, l’informazione sul paese d’origine del prodotto può esercitare due effetti, comunemente denominati «effetto alone» (halo construct) ed «effetto sintesi» (summary construct). Il primo si riferisce all’influenza esercitata dall’informazione concernente il paese d’origine del prodotto sul processo valutativo dei consumatori che non hanno maturato alcuna esperienza diretta nei confronti dei prodotti provenienti da un dato paese. I consumatori in questione possono comunque essersi creata un’immagine di tale paese, per effetto dell’insieme di convinzioni dedotte dal complesso di informazioni possedute in merito al paese (la sua politica, il suo livello di sviluppo economico e sociale, le sue tradizioni). In questo caso, i consumatori impiegano l’immagine del paese di produzione nella valutazione degli attributi del prodotto perché non sono in grado, prima dell’acquisto, di valutarne l’effettiva qualità. In quest’ottica, il ruolo del paese di provenienza ai fini della valutazione del prodotto è analogo a quello svolto dal prezzo. Come molte ricerche hanno in effetti da tempo dimostrato, in talune situazioni (quando la qualità del prodotto non è chiaramente percepibile a priori, quando il rischio connesso alla decisione d’acquisto è elevato ecc.), i consumatori tendono a utilizzare il prezzo come indicatore della qualità del prodotto. L’immagine del paese, influenzando le convinzioni sugli attributi, incide anche sull’atteggiamento nei confronti 4 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti della marca e, quindi, sulla propensione all’acquisto finale. La relazione è così sintetizzabile (Han, 1989, p. 223): Immagine del paese di produzione Æ convinzioni sugli attributi del prodotto Æ atteggiamento verso la marca L’«effetto sintesi» nasce invece, per un processo di astrazione, nel momento in cui l’immagine di un paese si basa sulle precedenti esperienze del consumatore e sulla percezione degli attributi che caratterizzano i beni provenienti da quel determinato paese. L’esperienza non dev’essere necessariamente diretta, ma può derivare anche da altre fonti di informazioni, come le comunicazioni interpersonali o i mass media. La relazione ipotizzata è la seguente: Esperienze Æ convinzioni sugli attributi del prodottoÆ immagine del paese di produzione Æ atteggiamento verso la marca. I due effetti sono comunque fra loro collegati. Il modello «dinamico» rappresentato nella Fig. 1 evidenzia l’azione congiunta e ciclica dei due effetti, pervenendo all’individuazione di tre fasi: - - - prima di qualunque familiarità, l’immagine di un paese opera come un alone in grado di influenzare aspettative e convinzioni nei confronti degli attributi dei prodotti e, di conseguenza, gli atteggiamenti verso tali prodotti e marche. Questa fase, quindi, è caratterizzata dall’azione dell’effetto alone; in seguito all’acquisto, l’esperienza maturata permette di aumentare la familiarità con gli attributi e quindi di «aggiustare» l’immagine del paese di origine del bene. Quanto più questa immagine si fonda su esperienze recenti tanto più funziona da sintesi; la nuova immagine del paese così maturata consente al consumatore di maturare nuove attese nei confronti degli attributi del prodotto. 5 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Figura 1. Effetto alone ed effetto sintesi: un modello dinamico Fonte: Jaffe e Nebenzahl (2001, p. 45). Tornando alle relazione fra immagine del paese e immagine del prodotto, la percezione della prima è influenzata sia da componenti cognitive (riferibili cioè alle caratteristiche sociali, economiche, culturali e politiche del paese considerato) sia da componenti affettive (vale a dire dai sentimenti avvertiti nei confronti di tale paese). Alla formazione dell’immagine del paese concorrono altresì gli stereotipi (ossia i preconcetti radicati) diffusi a livello internazionale nei suoi confronti 5 . Tali preconcetti – che permettono al consumatore di semplificare il proprio processo valutativo – traggono origine dalla sintesi di alcuni aspetti della cultura nazionale, del sistema economico, politico e sociale, della storia, della religione, nonché di certi tratti del comportamento dei cittadini. Usunier (2002) ha recentemente avanzato l’ipotesi che l’influenza esercitata dal paese di origine sul processo valutativo dei consumatori sia nella realtà meno significativa di quanto supposto dagli studi in materia, che tenderebbero a “esagerarne” l’importanza. Affinché l’informazione relativa al paese di produzione eserciti una qualche influenza sul processo d’acquisto del consumatore, pare necessario il verificarsi di una serie di condizioni che lo stesso Usunier (2002, pp. 50-51) ha così efficacemente sintetizzato. 5 Cfr. ad esempio: Nagashima (1970); Bannister e Saunders (1977); Erickson et al. (1984); Papadopoulos e Heslop (1993). 6 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Innanzitutto, è necessario che il consumatore consideri l’informazione sulla provenienza del prodotto come pertinente rispetto alla propria scelta, il che può dipendere dalla categoria di prodotto considerata. In secondo luogo, l’importanza attribuita a questa informazione dev’essere tale da indurlo a investire tempo ed energie cognitive nella sua ricerca e nella comparazione di provenienze alternative. In linea di massima, ciò appare più probabile nel caso di prodotti o di situazioni di acquisto ad alto coinvolgimento psicologico, in cui il rischio percepito è più elevato. Rimane in ogni caso il fatto che, normalmente, l’informazione sul paese di origine non è l’unica considerata dal soggetto acquirente. Il rilievo che essa assume rispetto alle altre possibili dipende in parte dalla preferenza che questi può aver sviluppato per prodotti appartenenti al proprio paese oppure, al contrario, dalla predilezione per prodotti stranieri o, ancora, dalla preferenza per specifici paesi ai quali egli associ favorevolmente determinati attributi del prodotto. Di conseguenza, parrebbe che i soggetti che non si trovano in alcuno dei tre casi appena indicati siano relativamente indifferenti rispetto alla provenienza del prodotto oggetto d’interesse. Anche nel caso in cui questa informazione trovi considerazione nel processo valutativo del consumatore, occorre che alla provenienza del prodotto sia attribuita importanza tale da indurlo a porre in secondo piano altre caratteristiche (in primis, ma non solo, il prezzo o la marca). Infine, ma non da ultimo, è necessario che il soggetto acquirente possa reperire agevolmente l’informazione relativa alla provenienza geografica del prodotto, essendo questa indicata sul prodotto stesso, su un documento che lo accompagna (e visibile all’acquirente), o fornita dal venditore. 6 6 E’ appena il caso di osservare come la sussistenza di tale condizione risulti progressivamente meno frequente, giacché a livello mondiale – oltre alla diffusione di indicazioni decisamente generiche (made in Europe), o di assoluta fantasia (made in nowhere) o piuttosto complesse (ad esempio, assembled in … from US made parts) (Samie, 1994, p. 594) – in mancanza di un obbligo di legge, non poche imprese preferiscono omettere l’indicazione dell’origine del prodotto sul prodotto stesso. Per quanto riguarda l’indicazione «made in Italy», il comma 49 dell’art. 4 della legge 350/2003, oltre a ribadire che importare e vendere prodotti con false o fallaci indicazioni di provenienza è reato (art. 517 c.p.), specifica che costituisce «falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine». Quest’ultima è contenuta nel Codice doganale (Regolamento Ce 2913 del 12 ottobre 1992), secondo il quale «una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione». Il regolamento Ce 2454/1993, poi, elenca le operazioni (pulitura, assemblaggio ecc.) insufficienti a conferire il carattere originario. 7 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Prima di procedere, è bene precisare che lo stesso concetto di «paese di origine» è meno univoco di quanto potrebbe a tutta prima apparire. Al passo con la crescente tendenza delle imprese ad articolare a livello sovranazionale la catena del valore, è infatti sempre meno frequente il caso in cui la lavorazione di un prodotto venga interamente svolta in unico paese. Così, per esempio, un abito può essere realizzato da un’impresa italiana a partire da un tessuto importato dalla Cina, tagliato e cucito tramite un contratto di subfornitura in Ungheria, reimportato in Italia per le rifiniture e il controllo di qualità e successivamente esportato nel resto del mondo. La letteratura di marketing – che inizialmente identificava il paese di origine di un prodotto con quello in cui ne ha luogo la fabbricazione o l’assemblaggio (Bilkey e Nes, 1982; Han e Terpstra, 1988; Papadopoulos, 1993) o quello in cui è ubicata la sede legale dell’impresa (Johansson et al., 1985) – ha allora proposto varie tassonomie. Secondo un’impostazione ormai consolidata negli studi di marketing (cfr., per es., Nebenzahl et al., 1997) è possibile distinguere fra: - - origin country, ossia il paese che i consumatori associano a uno specifico prodotto e a una particolare marca, indipendentemente dalla conoscenza del luogo dove il prodotto è stato fabbricato; designed-in country, vale a dire il paese in cui in cui ha luogo la concezione, la progettazione o il design del prodotto; made in contry (o country of manufacture), ovvero il paese in cui avviene la produzione (o l’assemblaggio dei componenti) del bene e che può essere indicato sull’etichetta che lo accompagna. 3. I principali filoni di studio sull’effetto del «paese di origine» Dati gli stringenti vincoli di spazio assegnati, in questa sede non è evidentemente possibile proporre una rassegna critica della copiosissima letteratura sviluppata in materia e delle opzioni metodologiche in essa presenti. Ci si limita a segnalare come tale letteratura possa essere sintetizzata in alcuni grandi filoni, in relazione alle diverse prospettive d’indagine adottate dagli autori. Le prime ricerche empiriche condotte in materia di country of origin effect adottavano un approccio single-cue, ossia valutavano l’impatto esercitato sui consumatori dal paese d’origine di un dato bene essendo questa l’unica informazione agli stessi fornita in occasione della simulazione del 8 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti processo valutativo 7 . E’ facile intuire come ciò comportasse il rischio di un forte sovradimensionamento di tale impatto (Bilkey e Nes, 1982). Progressivamente, le ricerche in materia hanno pertanto abbandonato tale approccio in favore di quello cosiddetto multi-cue, in modo da poter valutare l’impatto del paese d’origine in termini relativi, ossia rispetto ad altre variabili che tipicamente intervengono nei processi di scelta degli individui. Gli studi in questione hanno evidenziato come l’introduzione di tali variabili porti a una moderazione dell’effetto esercitato dal paese d’origine. Peterson e Jolibert (1995), per esempio, hanno messo a confronto i due approcci (single-cue e multi-cue) mediante una meta-analisi di 52 studi condotti sul tema del country of origin effect, giungendo alla conclusione che l’effetto medio del paese d’origine sulla qualità e affidabilità percepita del prodotto è pari al 30% negli studi condotti secondo l’approccio single-cue, mentre si riduce al 16% allorché vengono introdotte anche variabili diverse dalla nazionalità del bene (multi-cue). Ancora più interessante è l’effetto esercitato dall’origine del prodotto sulle intenzioni d’acquisto, che dal 19% rilevato negli studi uni-attributo crolla al 3% quando si considera la provenienza in combinazione con altri attributi. Le variabili introdotte dai ricercatori sono numerose. Per esigenze di semplificazione espositiva, è possibile riunirle in alcune grandi classi (Valdani e Bertoli, 2003, p. 218), a seconda che abbiano esaminato l’impatto dell’immagine che connota il paese d’origine dei prodotti facendo riferimento ad aspetti: - che qualificano il consumatore; relativi al prodotto e/o al paese a cui esso è associato; legati all’ambiente economico; connessi alla marca. Per quanto riguarda il primo aspetto, certamente il più indagato in letteratura, molti studi hanno preso in considerazione le caratteristiche sociodemografiche (età, sesso, status sociale, istruzione, grado di patriottismo o di etnocentrismo ecc.) dei consumatori. Per esempio, parecchie ricerche hanno cercato di stimare il grado di propensione all’acquisto di prodotti provenienti dall’estero rispetto a quelli nazionali a seconda delle caratteristiche socio-demografiche dei consumatori, rilevando che, in presenza di ele7 Per esempio, in uno dei primi studi condotti in materia, Schooler (1965) indaga l’impatto sul comportamento d’acquisto di un gruppo di studenti statunitensi riguardo a due categorie di prodotti (orologi e succhi di frutta), identici, contraddistinti da etichette fittizie indicanti la provenienza da quattro diversi paesi. Lo studio dimostra che entrambi i prodotti provenienti da paesi considerati economicamente meno avanzati sono reputati come di bassa qualità. L’Autore conclude quindi che il paese di provenienza di un bene può influenzare l’opinione del consumatore riguardo a tale bene. 9 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni vati livelli di reddito e di scolarizzazione (ai quali si associano con maggiore frequenza viaggi all’estero e interazioni con altre culture), la preferenza verso prodotti di provenienza straniera sembra accrescersi, mentre pare ridursi al crescere dell’età (Shimp e Sharma, 1987). Più controversa appare invece l’incidenza del sesso dei consumatori, giacché a fianco di alcuni studi che segnalano una maggiore preferenza da parte delle donne per i prodotti stranieri (parendo gli uomini più sensibili alle campagne «buy national») (Johansson, 1985; Ettenson et al., 1988; Usunier, 1994) altri studi affermano la mancanza di tale correlazione (Anderson e Cunningham, 1972) e altri ancora sostengono il contrario (Usunier, 2002). Per quanto attiene ancora alle variabili di tipo socio-demografico, un aspetto frequentemente indagato in letteratura è costituito degli atteggiamenti etnocentrici (Shimp e Sharma, 1987; Brodowsy, 1998; Balabanis e Diamantopoulos, 2004) o, comunque, patriottici (Han, 1988), per effetto dei quali il consumatore manifesta un atteggiamento a priori favorevole nei confronti dei prodotti del proprio paese rispetto a quelli provenienti dall’estero. 8 Tali atteggiamenti, a loro volta, risultano influenzati dalle caratteristiche socio-demografiche individuali (specie l’età, il sesso e il reddito). Sempre a proposito degli aspetti connessi al consumatore, oltre al grado di familiarità nei confronti del prodotto (Erikson et al., 1984; Maheswaram, 1994), un’altra variabile introdotta negli studi è costituita dal livello di coinvolgimento del consumatore nel processo d’acquisto. Per esempio, Ahmed e d’Astous (1993) rilevano che l’influenza del paese di origine è inversamente proporzionale al livello di coinvolgimento: in altre parole, quanto più l’acquisto è reputato importante tanto minore sembra essere la rilevanza attribuita al paese di origine del prodotto, probabilmente perché l’acquirente tende a valutare con maggiore attenzione tutte le altre caratteristiche del bene, al contrario di ciò che avviene per acquisti a basso coinvolgimento psicologico. Allo stesso modo, le ricerche segnalano come l’importanza dell’informazione concernente l’origine del prodotto tende ad aumentare con l’accrescersi del rischio percepito nell’acquisto. In questa situazione, il consumatore percepisce un rischio più ridotto acquistando i prodotti del proprio paese o, comunque, prodotti provenienti da paesi nei confronti dei quali egli ha maturato una percezione favorevole (Lumpkin et al. 1985). 8 La preferenza per i prodotti nazionali indotta dall’etnocentrismo consegue dalla convinzione circa la superiorità delle produzioni nazionali rispetto a quelle estere. Nel caso del patriottismo, invece, la scelta del consumatore è indotta dalla convinzione del consumatore che l’acquisto dei prodotti nazionali sia utile per sostenere l’economia del proprio Paese. Etnocentrismo e patriottismo, a loro volta, appaiono spesso associati ad altre caratteristiche socio-demografiche (età, sesso, reddito ecc.). 10 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Una seconda classe di variabili introdotte negli studi in materia di country of origin effect attiene al prodotto e/o al paese a cui esso è associato. Gli aspetti in questione si ricollegano alla tradizione produttiva del paese, alle caratteristiche del prodotto (ivi compreso il prezzo), alla forza delle marche concorrenti. In particolare, l’impatto dell’origine geografica sembrerebbe essere più forte per quelle categorie di prodotti la cui realizzazione è associata a paesi rinomati per la propria tradizione produttiva (per esempio: il caffè brasiliano, il cioccolato svizzero, i jeans americani, le macchine utensili tedesche, i profumi francesi, la moda italiana) (Baumgartner e Jolibert, 1977; Roth e Romeo, 1992) 9 . Inoltre, l’impatto dell’immagine in questione sembra inversamente proporzionale al grado di complessità del prodotto: infatti, per prodotti complessi, ossia caratterizzati da un elevato numero di attributi diversi (qualità, affidabilità, design, prestigio ecc.), l’impatto del paese di origine potrebbe essere positivo in relazione ad alcuni attributi, ma negativo per altri 10 . Per quanto riguarda la marca, parrebbe che l’influenza dell’origine geografica sul processo di scelta del consumatore risulti maggiore in quelle categorie di prodotto in cui non esistono marchi particolarmente affermati, la cui forza finirebbe per offuscare l’effetto dell’indicazione del paese di origine (vale però anche il contrario, giacché una marca forte può richiamare alla mente una specifica provenienza). Infine, ma non da ultimo, è interessante osservare che l’immagine di un dato paese (sotto il profilo politico, economico, culturale e sociale) è in grado di influenzare l’intenzione dei consumatori esteri di acquistare i prodotti da esso provenienti, indipendentemente dal giudizio circa la qualità di tali prodotti (Wang e Lamb, 1983). Una terza classe di variabili alla luce delle quali si è cercato di esaminare l’impatto dell’immagine che connota il paese di origine in relazione attengono ad alcune caratteristiche dell’ambiente economico, fra le quali il processo di globalizzazione dei mercati e il grado di sviluppo economico del paese di origine. Per esempio, nei settori a competizione globale, l’influenza del paese d’origine parrebbe destinata a ridursi, o quantomeno a subire 9 Per esempio, in uno studio non recente (Gaedeke, 1973) si è rilevato che la carne in scatola made in Brasile ottiene una considerazione decisamente migliore che non i televisori prodotti in tale Paese, come pure i videoregistratori made in Corea sono percepiti decisamente meglio che non le calzature realizzate nello stesso Paese. A questo filone di ricerca sono riconducibili parecchi studi concernenti i beni industriali, dai quali emerge la positiva percezione sistematicamente associata ai prodotti made in Germany, reputati superiori ai propri anche dagli acquirenti statunitensi (Cattin et al., 1982). 10 Si consideri, tuttavia, che da alcune ricerche volte a rilevare l’impatto del paese di origine a seconda del suo livello di sviluppo economico emerge che la percezione dei prodotti a elevato contenuto tecnico è tanto meno positiva quanto meno avanzato è il livello di sviluppo economico del paese in cui esso è realizzato. 11 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni un’evoluzione, essendo possibile realizzare prodotti (i cosiddetti hybrid products) ai quali associare l’immagine di più paesi in relazione ai vari attributi che li contraddistinguono (per esempio: il design italiano, la tecnologia giapponese, l’affidabilità tedesca ecc.). Per quanto riguarda il grado di sviluppo economico del paese di origine, le ricerche (Johanson e Nebenzahl, 1986) segnalano che i consumatori concedono maggiore fiducia ai prodotti provenienti da paesi economicamente avanzati. Altre ricerche hanno indagato l’interazione esistente fra livello di sviluppo economico (anche in termini di affermazione dell’economia di mercato) del paese di origine e tipologia di prodotto, rilevando che tale interazione è massima – nell’ordine – per i beni speciali, ad acquisto saltuario (shopping) e ad acquisto ricorrente (convenience) (Manrai et al., 1998). Nella prospettiva del presente studio, un’attenzione meno succinta richiede la quarta classe di variabili sopra indicata: la marca, la quale è stata introdotta negli studi in materia di country of origin effect secondo varie prospettive. Per esempio, una ricerca molto citata in letteratura (Ettenson, 1993) ha indagato l’effetto congiunto esercitato dal paese di origine di un dato prodotto (un televisore a colori) e dalla marca che lo contraddistingue sul processo decisionale di un campione di consumatori appartenenti a paesi ex-socialisti (Russia, Ungheria e Polonia). La ricerca si è svolta mediante due disegni sperimentali. Il primo consiste in un disegno fattoriale frazionato, nel quale ciascuno dei sette attributi considerati (tra cui marca e paese d’origine) viene articolato su due livelli, al fine di poter valutare le possibili interazioni. I risultati di tale disegno identificano il paese d’origine come il più importante, sia per i consumatori russi sia per quelli polacchi, mentre esso è solo terzo (dopo due attributi tecnici) per quelli ungheresi. Relativamente all’attributo “marca”, questo è secondo in ordine d’importanza per i russi, terzo per i polacchi e poco influente per gli ungheresi. Lo studio segnala come ai consumatori che reputano importanti il paese di produzione e/o la marca sia quasi sempre associata una spiccata preferenza per i prodotti stranieri. L’interazione fra le due variabili, marca e paese di produzione, sembra invece non essere significativa per nessuno dei campioni indagati. Quest’ultimo risultato è stato approfondito con un secondo disegno fattoriale 11 , giungendo però a conclusioni diverse. Quando i due attributi sono gli unici a variare, infatti, il valore di una particolare marca si modifica a seconda del luogo di produzione. Questa interazione risulta particolarmente significativa (p<0,05) per i consumatori russi e ungheresi, mentre è solo marginale per quelli polacchi. Inoltre, le rispettive marche nazionali vengono sempre considerate, da ogni gruppo, peggiori rispetto a quelle estere, e si 11 Trattasi di un disegno fattoriale completo 6X6, in cui si considerano esclusivamente la marca e il paese di origine, entrambi articolati su sei livelli. 12 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti assiste anche a una generale preferenza per i televisori prodotti nei paesi occidentali. Un altro studio importante è stato svolto da Johansson e Nebenzahl (1986), i quali hanno cercato di analizzare gli effetti che l’interazione fra paese di produzione del bene e paese al quale viene associata la marca che contraddistingue tale bene esercitano sui processi di scelta del consumatore. In quest’ottica, hanno rilevato l’effetto prodotto sul sistema valutativo di un campione di consumatori statunitensi a seguito della spostamento della produzione di quattro marche di automobili (Chevrolet, Buick, Honda e Mazda) dai paesi a cui ne è associata la marca (Stati Uniti per le prime due e Giappone per la altre) alla Germania Ovest e ad alcuni paesi contraddistinti dal basso costo della manodopera (Messico, Corea del Sud, e Filippine). Dallo studio emerge che, nel primo caso, lo spostamento è percepito positivamente (eccezion fatta per le marche giapponesi), mentre nel secondo caso i medesimi consumatori collegano a tale spostamento una perdita in termini di status sociale e di rapporto qualità/prezzo connessi al prodotto. Agli aspetti appena indicati si connette un’importante questione, concernente la riduzione di prezzo in corrispondenza della quale i consumatori sarebbero disposti ad acquistare una determinata marca con un’origine «meno favorevole». Johansson e Nebenzahl (1986) hanno per esempio rilevato che a fronte della disponibilità a pagare un prezzo pari a 10.258 dollari per un’automobile a marca Buick prodotta negli Stati Uniti, tale prezzo si riduce a 7.351 dollari per la stessa marca allorché essa risulti fabbricata nelle Filippine. In una ricerca successiva e in riferimento a un campione di consumatori israeliani, 12 i medesimi Autori (1989) hanno stimato l’elasticità della domanda rispetto al prezzo in relazione a tre possibili paesi di produzione (Corea del Sud, Giappone e Germania Ovest) e a tre marche (Sanyo, Grunding e Sony). Lo studio ha rilevato che nel caso di prodotti realizzati in Corea, al fine di indurre i consumatori esaminati ad acquistare le marche giapponesi e tedesche, risulterebbe necessario uno sconto compreso fra il 30 e il 40 per cento rispetto al prezzo praticato allorché i prodotti contraddistinti dalle medesime marche sono realizzati nel paese di provenienza delle stesse13 . In una ricerca successiva, Han e Terpstra (1988) hanno cercato di stimare se eserciti maggiore influenza sui processi di scelta del consumatore il paese in cui ha luogo la produzione del bene o la marca che lo contraddistingue, giungendo alla conclusione che «the sourcing country has greater effects on 12 Il medesimo studio è stato replicato su un campione di consumatori francesi da Usunier et al. (1993). 13 E’ interessante osservare che l’ammontare di sconto richiesto dai consumatori per acquistare un prodotto al quale è associata una provenienza meno favorevole risulta influenzato in misura significativa dal loro status sociale (Usunier, 1994). 13 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni consumer evaluations of product quality than does the brand name» (p. 244). Da uno studio condotto da Ahmed et al. (1994) con specifico riferimento ai beni industriali emerge invece che il country of design è fattore in grado di esercitare maggiore influenza sulle decisioni di approvvigionamento che non il paese in cui ha luogo l’assemblaggio (country of assembling) e la marca. Sempre in tema di impatto delle decisioni di localizzazione produttiva sulla percezione della marca, un altro studio importante è stato condotto da Nebenzahl e Jaffe (1996). In particolare, i due Autori esaminano come si modificano le percezioni del valore di una data marca, allorché la produzione (nella specie di videoregistratori e di forni a microonde) venga trasferita dalla home country a un paese economicamente avanzato o a uno in via di sviluppo. Il disegno della ricerca considera due marche globali dotate di elevata notorietà (Sony e General Electric) e cinque paesi di produzione (Giappone, Stati Uniti, Russia, Ungheria e Polonia), per un totale di dieci combinazioni. Basandosi su studi precedenti (Han e Terpstra, 1988), gli Autori assumono che l’immagine del Giappone sia migliore di quella degli Stati Uniti, ed entrambe superiori a quelle dei paesi est-europei. A un campione di consumatori statunitensi viene chiesto di valutare, oltre alle dieci combinazioni individuate, anche le marche e i paesi singolarmente considerati (ossia senza altri attributi). In particolare, la ricerca si prefigge la verifica delle seguenti ipotesi: - il valore atteso di una marca globale “forte” (i), quando prodotta in un paese con un’immagine debole (j), si posiziona fra il valore della singola marca Xi e quello del paese Xj: Xj < E(Xij) < Xi - il valore atteso di una marca globale “debole” (i), quando prodotta in un paese con immagine positiva (j), si posiziona fra il valore della singola marca Xi e quello del paese Xj: Xi < E(Xij) < Xj I risultati dell’indagine confermano entrambe le ipotesi, dimostrando così che il valore percepito della marca è fortemente influenzato dal luogo di produzione. In particolare, quando la produzione dei prodotti a marchio Sony viene spostata dal Giappone agli Stati Uniti, si assiste a un peggioramento dell’immagine della marca, amplificato ulteriormente nel caso di una produzione in un paese est-europeo. Tale deterioramento riguarda soprattutto gli attributi cognitivi del prodotto. A differenza di Sony, nel caso dei prodotti a marchio General Electric non si registra invece alcun cambiamento 14 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti significativo in caso di trasferimento della produzione degli Stati Uniti al Giappone. 4. L’indagine empirica L’obiettivo dell’indagine empirica di carattere esplorativo di cui si dà conto in queste pagine è rappresentato dalla verifica degli effetti d’interazione fra paese di produzione del bene, marca proponente e livelli di prezzo con riferimento a una categoria di prodotto (magliette sportive “polo”) appartenente a un settore di grande rilevanza per l’economia italiana. Tali effetti di interazione sono stati analizzati considerando diversi livelli di immagine dei paesi di produzione delle marche. Con specifico riferimento ai paesi caratterizzati da elevata immagine, un ulteriore obiettivo di ricerca è rappresentato dalla verifica dell’impatto che la coincidenza fra paese di produzione, paese di origine della marca e nazionalità del consumatore esercita sulle preferenze di quest’ultimo. 4.1. Il disegno di ricerca Per conseguire gli obiettivi di ricerca indicati, si è proceduto in primo luogo alla costruzione di un disegno fattoriale non frazionato (full factorial design), sulla base dei fattori e dei livelli specificati nella tabella 1. Tabella 1. Fattori e livelli considerati nella ricerca empirica FATTORI CONSIDERATI Paese di produzione del bene (made-in country) Marca (brand) Prezzo LIVELLI DI CIASCUN FATTORE - Paese A con produzione di alta qualità (Italia) - HQMCA - Paese B con produzione di alta qualità (Stati Uniti) - HQMCB - Paese con produzione low cost (Cina) – LCMC B - Marca statunitense di alta qualità (ad es. Ralph Lauren) – HQUB - Marca italiana di alta qualità (Prada) – HQIB - Marca statunitense di basso prezzo (ad es. Sunbelt) – LCUB - Marca italiana di basso prezzo (ad es. Almeria) – LCIB - 15 euro - 80 euro Come si nota, per quanto riguarda il primo fattore l’attenzione è stata concentrata su due paesi che si qualificano per una consolidata tradizione produttiva nella categoria di prodotto oggetto di studio e su un paese emergente, caratterizzato da bassi costi di manodopera e da politiche commerciali molto aggressive in termini di prezzo. La considerazione di due paesi che si connotano per un’immagine di alta qualità è dovuta all’obiettivo di verifi- 15 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni care, con specifico riferimento alle marche di qualità elevata, l’impatto esercitato sul processo valutativo del consumatore dalla coincidenza fra paese di produzione, paese origine della marca e nazionalità del consumatore stesso. I livelli del secondo fattore (ossia la marca) sono stati invece definiti considerando la nazionalità e l’immagine delle marche, declinando quest’ultima con riferimento alla qualità e al prezzo. In particolare, si sono considerate quattro marche, di cui le prime due si caratterizzano per un posizionamento di alta qualità e le altre due per un prezzo competitivo. Per chiarire ai consumatori intervistati il significato di tale classificazione, si è fatto riferimento alle marche indicate fra parentesi nella tabella 1, identificate sulla base di alcune interviste a consumatori e distributori italiani e statunitensi. Infine, l’intervallo di variazione dei prezzi di vendita è risultato compreso fra gli estremi di 15 euro e di 80 euro sia per il contesto italiano sia per quello statunitense 14 . Tali intervalli sono stati fissati successivamente alla rilevazione dei prezzi praticati per le marche selezionate nei principali punti di vendita delle località in cui è avvenuta la raccolta dei giudizi dei consumatori 15 . Dall’incrocio fra i livelli dei tre fattori considerati, sono emerse 24 combinazioni (4x3x2), in merito alle quali sono stati raccolti i giudizi dei consumatori, mediante interviste personali 16 svolte in Italia e negli Stati Uniti nel periodo giugno-agosto 2004, utilizzando una scala di valutazione a 9 punti. La tabella 2 riporta il disegno fattoriale completo e le valutazioni medie ottenute Negli Stati Uniti, in Italia e per il campione nel suo complesso. Nelle rilevazioni è stato utilizzato un questionario articolato in tre sezioni: la prima contenente i profili di offerta (opportunamente ruotati) sui quali esprimere un giudizio di gradimento complessivo; la seconda alcune varia14 Per le interviste condotte negli Stati Uniti, tali valori sono stati convertiti in dollari sulla base del cambio vigente al momento dell’intervista. 15 L’ampiezza degli intervalli di prezzo evidenziati nel testo ha ovviamente accentuato il rischio di produrre effetti distorsivi nei giudizi di gradimento dei profili selezionati, in quanto alcuni di questi risultano irrealistici, accostando marche caratterizzate da elevata immagine e notorietà a livelli di prezzo molto contenuti. Il ricorso a un disegno fattoriale completo ha impedito di gestire il problema eliminando i profili suscettibili di catalizzare le preferenze dei consumatori e ciò rappresenta un limite della ricerca, giustificato tuttavia dalla necessità di contenere il numero di combinazioni da sottoporre a test unificando in un unico attributo due fattori (posizionamento e nazionalità della marca) rilevanti per le finalità dell’indagine svolta. Va comunque sottolineato che, come verrà meglio chiarito nel prossimo paragrafo, dall’analisi della varianza non sono emersi significativi effetti di interazione fra marche e livelli di prezzo. 16 Tali interviste sono state effettuate, con la supervisione degli autori, dalle dott. Maria Rita Cappelletti e Claudia La Notte. A entrambe desideriamo esprimere un sentito ringraziamento per l’impegno profuso e per la qualità del lavoro svolto. 16 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti bili descrittive di natura socio-demografica; la terza le variabili di moderazione considerate rilevanti alla luce degli obiettivi dell’indagine, ossia: la propensione a ricercare informazioni sui paesi di produzione e il livello di coinvolgimento psicologico nella categoria di prodotto. Quest’ultima variabile è stata misurata utilizzando una scala Likert (1 = completo disaccordo; 9 = completo accordo) multi-item già sperimentata in letteratura, basata sulle dimensioni “interesse”, “importanza” e “significato personale” (Zaichkowsky, 1985). Tabella 2 - Disegno fattoriale completo e punteggi medi delle 24 combinazioni di attributi (scala 1-9, 1=poco gradito 9=molto gradito) Profilo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 Marca HQUB HQUB HQUB HQUB HQUB HQUB HQIB HQIB HQIB HQIB HQIB HQIB LCUB LCUB LCUB LCUB LCUB LCUB LCIB LCIB LCIB LCIB LCIB LCIB Paese di produzione Prezzo Stati Uniti Italia 80 6,6 Italia 15 7,42 Usa 80 6,61 Usa 15 7,61 Cina 80 4,21 Cina 15 5,29 Italia 80 6,88 Italia 15 7,47 Usa 80 6,73 Usa 15 7,36 Cina 80 4,33 Cina 15 4,7 Italia 80 2,98 Italia 15 3,89 Usa 80 3,05 Usa 15 4,8 Cina 80 2,09 Cina 15 2,62 Italia 80 2,94 Italia 15 3,74 Usa 80 3,07 Usa 15 4,64 Cina 80 2,16 Cina 15 2,37 17 Italia 6,27 6,97 6,12 6,82 3,61 4,49 6,72 7,32 6,09 6,47 3,52 4,55 3,33 4,02 2,78 4,02 2,19 2,98 3,09 4,22 3,06 4,13 2,05 2,79 Totale 6,44 7,2 6,37 7,22 3,91 4,9 6,8 7,4 6,42 6,92 3,94 4,63 3,15 3,95 2,92 4,42 2,14 2,8 3,02 3,98 3,06 4,39 2,11 2,58 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni 4.2. Il campione indagato Lo svolgimento dell’indagine empirica ha comportato l’effettuazione di 265 interviste personali, 130 a consumatori italiani e 135 a consumatori statunitensi. La tabella 3 evidenzia le principali caratteristiche sociodemografiche del campione, individuate alla luce dell’analisi della letteratura svolta nel paragrafo precedente. In particolare, mette conto sottolineare il tentativo di mantenere, per entrambi i campioni, valori pressoché omogenei in termini di classi d’età e di sesso degli intervistati. Come già evidenziato, infatti, dall’analisi degli studi condotti sul tema non emergono risultati univoci per quanto attiene all’influenza di tali fattori. Per questo motivo, nella presente ricerca, si è cercato di “coprire” tutte le classi di età e di prendere in considerazione entrambi i sessi in misura il più possibile simile. Per quanto riguarda le altre variabili, si riscontra per entrambi i paesi una predominanza di consumatori che vivono in famiglia (circa il 75% per entrambi i campioni) e residenti in centri urbani con più di 500.000 abitanti (42,3% per gli intervistati italiani e 54,1% per gli statunitensi). E’ inoltre interessante notare che il campione statunitense è caratterizzato da un più elevato livello di istruzione (44% di laureati rispetto al 33% dell’Italia) e da una frequenza nettamente maggiore frequenza di viaggi all’estero 17 , in quanto circa il 70% degli intervistati statunitensi dichiara di aver effettuato l’ultimo viaggio all’estero “negli ultimi sei mesi” rispetto a circa il 46% degli italiani. 17 Con questa espressione si intende uno stato diverso da quello di residenza. 18 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Tabella 3 - Il campione di consumatori intervistato: variabili descrittive Variabili descrittive Età 18-30 31-45 > 46 Sesso Maschile Femminile Abitate con Familiari/conviventi Amici/conoscenti Soli Professione Studente scuola superiore Studente universitario Studente master Amministratore di società /imprenditore Impiegato Operaio Casalinga Disoccupato Libero professionista Pensionato Attuale livello Diploma di scuola media d'istruzione inferiore Diploma di scuola media superiore Laurea Master Dottorato/Ph.D Ultimo viaggio Ultimi 6 mesi all'estero: Ultimo anno Ultimi 2-3 anni 4 anni fa/oltre Ampiezza centro < 2.000 abitato (abitanti) 2.000-10.000 10.000-100.000 100.000-500.000 > 500.000 Italia V.A. % 49 37,7 38 29,2 43 33,1 61 46,9 69 53,1 98 75,4 16 12,3 16 12,3 2 1,5 27 20,8 4 3,1 12 9,2 19 Stati Uniti V.A. % 30 22,2 43 31,9 62 45,9 67 49,6 68 50,4 103 76,3 14 10,4 18 13,3 3 2,2 10 7,4 3 2,2 15 11,1 Totale V.A. % 79 29,8 81 30,6 105 39,6 128 48,3 137 51,7 201 75,8 30 11,3 34 12,8 5 2 37 14 7 2,6 27 10,2 43 4 5 2 25 6 14 33,1 3,1 3,8 1,5 19,2 4,6 10,8 24 8 19 2 44 7 3 17,8 5,9 14,1 1,5 32,6 5,2 2,2 67 12 24 4 69 13 17 25,3 4,5 9 1,5 26 5 6,4 62 47,7 30 22,2 92 34,7 44 8 2 61 30 19 20 5 15 40 15 55 33,8 6,2 1,5 46,9 23,1 14,6 15,4 3,8 11,5 30,8 11,5 42,3 58 30 14 94 25 10 6 5 11 20 26 73 43,0 22,2 10,4 69,6 18,5 7,4 4,4 3,7 8,1 14,8 19,3 54,1 102 38 16 155 55 29 26 10 26 60 41 128 38,5 14,3 6 58,5 21 11 10 3,8 9,8 22,6 15,5 48,3 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Con riferimento alle variabili di moderazione (tabella 4), merita sottolineare la maggiore propensione dei consumatori statunitensi a ricercare informazioni sul paese di produzione del bene durante il processo di acquisto. Infatti, ben l’83,7% degli intervistati giudica necessario informarsi sul paese di provenienza del prodotto, contro poco meno del 50% degli italiani. Meno marcate appaiono invece le differenze fra i due contesti nazionali in merito al coinvolgimento nella categoria di prodotto. Tabella 4 - Il campione di consumatori intervistato: le variabili di moderazione considerate Variabili di moderazione Propensione a ricercare informazioni sul paese di produzione Importanza della Polo Interesse per la Polo Significato della Polo Importanza+ interesse+ Significato Sì No Solo per prodotti tecnologici Solo per prodotti alimentari Solo per l’abbigliamento da 1 a 3 da 4 a 6 da 7 a 9 da 1 a 3 da 4 a 6 da 7 a 9 da 1 a 3 da 4 a 6 da 7 a 9 da 1 a 3 da 4 a 6 da 7 a 9 Italia Stati Uniti V.A. % V.A % 64 49,2 113 83,7 42 32,3 19 14,1 10 7,7 1 0,7 9 6,9 2 1,5 5 3,8 0 0,0 55 42,3 56 41,5 54 41,5 54 40,0 21 16,2 25 18,5 35 26,9 51 37,8 61 46,9 62 45,9 34 26,2 22 16,3 78 60,0 60 44,4 41 31,5 54 40,0 11 8,5 21 15,6 41 31,5 54 40,0 72 55,4 58 43,0 17 13,1 23 17,0 Totale V.A. % 177 66,8 61 23 11 4,2 11 4,2 5 2 111 42 108 41 46 17 86 32 123 46 56 21 138 52 95 36 32 12 95 36 130 49 40 15 4.3. Il metodo di analisi Per l’analisi dei dati si è fatto ricorso a una consolidata tecnica statistica multivariata: l’analisi congiunta (conjoint analysis). Successivamente, è stata effettuata un’analisi della varianza (ANOVA), al fine di determinare le interdipendenze fra i livelli dei fattori considerati18 . Tale analisi consente 18 L’utilizzo di questo approccio nell’analisi del cosiddetto “country of origin effect” non è nuovo in letteratura, essendo per esempio già stato sperimentato negli studi di: Henson et al. (1988); Ahmed e d’Astous (1993); Ettenson (1993); Nebenzahal e Jaffe (1996). 20 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti infatti di determinare la percentuale di varianza spiegata dalle interazioni (di primo grado, cioè fra coppie di fattori, e di ordine superiore) e di valutarne la significatività statistica. Come evidenziato in un precedente lavoro (Busacca e Bertoli, 2003), l’analisi congiunta consente di scomporre i giudizi globali formulati dai consumatori su un dato insieme di combinazioni di fattori (rappresentati nel nostro caso dalle marche, dai paesi di produzione dei beni e dai prezzi), ciascuno articolato in più livelli (nel nostro caso: quattro nomi di marca, tre paesi e due prezzi), in valori di utilità distinti per i diversi livelli dei fattori, attraverso i quali i suddetti giudizi globali possono essere ricostruiti. Il metodo più utilizzato per la stima dei valori di utilità è la regressione multipla. Essa viene applicata a un sistema lineare composto da un numero di equazioni pari al numero delle combinazioni di fattori selezionate; i giudizi espressi su ciascuna combinazione costituiscono le variabili dipendenti, mentre le variabili indipendenti sono rappresentate dai livelli discreti (opportunamente codificati) dei fattori che definiscono la combinazione. L’elaborazione fornisce i coefficienti numerici relativi ai livelli dei fattori considerati, che di fatto sono espressione del peso (utilità) ad essi associato da ciascun consumatore nel processo di scelta. Una volta ottenuti tali valori, è possibile quantificare l’importanza relativa dei diversi fattori, rapportando la differenza tra il coefficiente massimo e il coefficiente minimo dei livelli di ciascuno di essi (scarto di utilità) alla sommatoria delle stesse. Ai fini della valutazione degli effetti di interazione oggetto del presente studio, dev’essere prestata particolare attenzione alla fase di definizione del disegno sperimentale. Questa avviene in genere selezionando alcune delle possibili combinazioni derivanti dall’incrocio tra i livelli discreti di ciascun fattore, mediante disegni fattoriali frazionati. Ciò in quanto sottoporre a valutazione tutte le alternative risulta impossibile già a partire da un numero di fattori e di livelli relativamente basso. Molto spesso, tuttavia, la riduzione del numero di combinazioni da presentare agli intervistati comporta la rinuncia alla stima degli effetti di interazione fra i fattori, consentendo soltanto la quantificazione dei loro effetti principali, cioè dei cambiamenti medi che intervengono nei giudizi degli intervistati in seguito alla modifica del livello di un fattore, tenuti costanti i livelli dei rimanenti fattori. E’ evidente che tale rinuncia può distorcere in misura notevole i risultati dell’indagine, in quanto – in presenza di effetti di interazione significativi – le preferenze manifestate per i livelli di un fattore dipendono dai livelli di altri fattori. Questa dipendenza può tradursi in una modifica della gerarchia di preferenze relativa ai livelli del fattore considerato (interazioni incrociate) o in un cambiamento dell’intervallo di variazione dei valori di utilità dei livelli, e quindi dell’importanza relativa del fattore (interazioni non incrociate). 21 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni L’utilizzo dell’analisi congiunta per la stima del valore-utilità attribuito alle marche e al loro accostamento implica pertanto l’utilizzo di disegni fattoriali completi, in cui tutte le possibili combinazioni fra i fattori considerati sono sottoposte al giudizio dei consumatori. In alternativa, è anche possibile ricorrere ai cosiddetti disegni a risoluzione V o ai compromise design, che consentono, rispettivamente, di stimare le interazioni di primo grado di tutti i fattori o di un loro sottoinsieme definito a priori. In ogni caso, la necessità di impiegare disegni fattoriali in grado di cogliere gli effetti di interazione impone di limitare il numero dei fattori e/o dei livelli considerati. Dopo aver costruito il disegno sperimentale, rispettando le condizioni sopra esposte, e aver effettuato le interviste a un campione di consumatori opportunamente selezionato, è quindi possibile eseguire un’analisi della varianza sui voti medi ottenuti da ciascuna combinazione, al fine di determinare le interdipendenze tra i livelli dei fattori considerati. Tale analisi consente infatti di determinare la percentuale di varianza spiegata dalle interazioni (di primo grado, cioè fra coppie di fattori, e di ordine superiore) e di valutarne la significatività statistica. Più specificamente, l’analisi della varianza è una tecnica di analisi statistica multivariata utilizzata per stimare gli effetti principali e di interazione di variabili indipendenti categoriche (chiamate fattori) e eventualmente quantitative (covariate) su una variabile dipendente quantitativa. Un effetto principale, come accennato in precedenza, è l’effetto diretto di una variabile esplicativa sulla variabile dipendente; un effetto di interazione è l’effetto congiunto di due o più variabili indipendenti sulla variabile dipendente. La statistica chiave nell’ANOVA è il test F per la verifica della significatività della differenza tra medie, che consente di verificare se le medie della variabile dipendente nei gruppi formati dalle combinazioni di valori delle variabili indipendenti sono così diverse da non poter essere generate dal caso. Una volta individuata la significatività della relazione, è ovviamente possibile esplorare quali livelli delle variabili esplicative generano tale significatività. Alcune ipotesi chiave dell’ANOVA riguardano l’omogeneità della varianza nei gruppi formati dalle combinazioni di valori delle variabili esplicative e la normalità della distribuzione della variabile dipendente per ogni categoria (o combinazione di categorie) delle variabili indipendenti. Come esempio di formalizzazione del modello, si consideri la seguente notazione, valida per una ANOVA a due vie (due fattori A e B), ma facilmente generalizzabile al caso multivariato. Siano: - A un fattore con a livelli; B un fattore con b livelli; nij il numero di valutazioni nella cella (i,j), ovvero il numero di valutazioni disponibili per la combinazione di Ai e Bj; 22 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti - yijk la k-esima valutazione nella cella (i,j)l, dove i=1,..,a; j=1,..,b; k=1,..,nij; N = nij. Il modello può essere scritto come: yijk = + i + j +( )ij + ijk dove: - è la media complessiva; i è l’effetto principale dell’i-esimo livello del fattore A; - j - è l’effetto principale del j-esimo livello del fattore B; ( )ij è un effetto di interazione di primo ordine (o a due fattori) che caratterizza la combinazione di livelli (i,j) dei fattori A e B considerati. Il presente studio, relativo alle preferenze espresse per differenti marche di magliette tipo polo, prevede la considerazione di tre fattori (marca, paese di produzione, prezzo) e pertanto possono essere stimati al massimo tre effetti principali, tre effetti di interazione di primo ordine e un effetto del secondo ordine. Quest’ultimo è stato trascurato nell’analisi. Infine, si è proceduto ad alcune analisi di cross tabulation e alla verifica dell’impatto esercitato dalle variabili di moderazione considerate. Nel prosieguo dell’esposizione, per intuibili ragioni di spazio, non ci si soffermerà su queste ultime elaborazioni. 5. La valutazione degli effetti di interazione fra marca e paese di produzione I risultati ottenuti elaborando i dati raccolti mediante il pacchetto statistico SPSS per Windows sono evidenziati nelle tabelle da 5 a 10, che si riferiscono: all’intero campione, ai consumatori statunitensi e ai consumatori italiani. Da esse emergono gli effetti principali e l’effetto di interazione fra marca e paese di produzione, l’unico risultato significativo sia a livello complessivo (la significatività supera il 99%) sia per i due sottocampioni analizzati (la significatività dell’effetto è pari al 96,5% per l’Italia e superiore al 99% per gli Stati Uniti). Per quanto riguarda i dati concernenti l’intero campione (cfr. Tab. 5), innanzitutto è interessante osservare che l’importanza relativa dell’effetto d’interazione fra i fattori “marca” e “paese” (pari al 39,6%) è superiore a quella di tali due fattori singolarmente considerati (33,6% per il primo e 23 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni 18,6% per il secondo). Più in dettaglio, dalla tabella 6 si evince come per le marche che si connotano per alti livelli di qualità – siano esse italiane o statunitensi – l’effetto di interazione con il paese di produzione risulti positivo allorché quest’ultimo si caratterizza per l’immagine positiva nella categoria di prodotto, mentre è invece negativo quando si considera il paese a basso costo. Il contrario avviene per le marche a minor prezzo. Tabella 5 - Output dell’analisi congiunta: effetti principali e effetti di interazione fra marca e paese di produzione – Totale campione Fattori Brand Made in Prezzo Brand * Made in Livelli HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad es. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) LCIB (ad es. Almeria) HQMCA (Italia) HQMCB (Stati Uniti) LCMC (Cina) 15 80 HQUB * Made in Italy HQUB * Made in USA HQUB * Made in China HQIB * Made in Italy HQIB * Made in USA HQIB * Made in China LCUB * Made in Italy LCUB * Made in USA LCUB * Made in China LCIB * Made in Italy LCIB * Made in USA LCIB * Made in China B Valori-utilità dei livelli 2,09 2,10 0,09 -4,28 1,11 1,21 -2,33 0,78 -0,78 1,26 1,01 -2,27 1,66 1,00 -2,67 -0,07 -0,19 0,26 -2,85 -1,82 4,67 24 Scarti di utilità Importanza % attributi 6,38 33,6 3,54 18,6 1,56 7,53 7,53 39,6 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Tabella 6 - Il segno e l’intensità* dell’effetto di interazione fra marca e paese di origine – totale campione HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) LCIB (ad es. Almeria) HQMCA (Made in Italy) ++ ++ _ ___ HQMCB (Made in USA) + + _ __ LCMC (Made in China) ___ ___ + ++++ * L’intensità dell’effetto di interazione è stata valutata considerando il primo valore decimale. Questa evidenza trova altresì conferma dall’analisi dei dati a livello disaggregato, utile anche per valutare l’impatto esercitato dalla nazionalità dei consumatori. Nel contesto statunitense (cfr. Tabb. 7 e 8), l’effetto di interazione fra “marca” e “paese di produzione” assume rilevanza pari a quella del fattore “marca” singolarmente considerato (per entrambi i fattori l’importanza è infatti uguale al 38,1%, come risulta dall’ultima colonna della tabella 7). Per ambedue le marche di alta qualità, sia la produzione in Italia sia quella negli Stati Uniti generano un effetto di interazione positivo, mentre nel caso della produzione in Cina tale interazione è negativa (cfr. Tab. 8). Come rilevato in precedenza, queste considerazioni non valgono per le marche di minor prezzo. In particolare, per la marca statunitense low cost l’effetto di interazione è irrilevante, mentre la produzione in Cina della marca italiana a basso prezzo viene preferita alla produzione della stessa marca realizzata in Italia o negli Stati Uniti (l’effetto di interazione è pari a 4,47). Un ulteriore aspetto meritevole di approfondimento riguarda il maggiore valore dell’effetto di interazione fra marca e made in Italy attribuito dai consumatori statunitensi, indipendentemente dalla nazionalità della marca di alta qualità interessata. In altre parole, nella percezione dei consumatori in questione, per entrambe le marche di alta qualità considerate nell’analisi, la produzione in Italia aggiunge più valore rispetto alla produzione negli Stati Uniti (rispettivamente 1,19 vs. 0,77 e 1,59 vs. 0,94). Da questi dati non sembra quindi che la coincidenza fra la nazionalità del consumatore, quella della marca e il paese di produzione influenzi l’effetto di interazione fra gli ultimi due fattori. 25 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Tabella 7- Output dell’analisi congiunta: effetti principali e effetti di interazione fra marca e paese di produzione – Stati Uniti Fattori Brand Made in Prezzo Brand * Made in Livelli Valori-utilità dei livelli HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad es. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) LCIB (ad es. Almeria) HQMCA (Italia) HQMCB (Stati Uniti) LCMC (Cina) 15 80 2,43 2,42 -0,01 -4,83 0,96 1,24 -2,20 0,55 -0,55 HQUB * Made in Italy HQUB * Made in USA HQUB * Made in China HQIB * Made in Italy HQIB * Made in USA HQIB * Made in China LCUB * Made in Italy LCUB * Made in USA LCUB * Made in China LCIB * Made in Italy LCIB * Made in USA LCIB * Made in China 1,19 0,77 -1,96 1,59 0,94 -2,53 0,00 -0,02 0,01 -2,78 -1,69 4,47 B Scarti di utilità Importanza % attributi 7,26 38,1 3,44 18 1,1 5,8 7,25 38,1 Tabella 8 - Il segno e l’intensità* dell’effetto di interazione fra marca e paese di origine – Stati Uniti HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) HQMCA (Made in Italy) ++ ++ Effetto di interazione irrilevante HQMCB (Made in USA) + + LCIB (ad es. Almeria) _ _ _ Effetto di interazione _ _ irrilevante LCMC (Made in China) _ _ _ _ _ Effetto di interazione ++++ irrilevante * L’intensità dell’effetto di interazione è stata valutata considerando il primo valore decimale. Nel contesto italiano, come si può notare dalla tabella 9, i risultati appaiono nella sostanza i medesimi. Va tuttavia precisato che, per i consuma- 26 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti tori italiani, l’effetto di interazione fra “marca” e “paese di produzione” assume importanza ancora maggiore (41,1%); si conferma, inoltre, la preferenza per il made in Italy, nel caso delle marche di alta qualità (cfr. Tab. 10). In particolare, mentre l’effetto di interazione “HQUB*made in Italy” è pari a 1,33 (1,19 per i consumatori americani), quello “HQIB*made in Italy” risulta uguale a 1,74 (1,59 per gli statunitensi). Sempre con riferimento alle marche di alta qualità, dal confronto fra i dati relativi ai due paesi emerge anche l’esistenza di una lieve differenza tra la marca italiana e quella statunitense; in particolare, la produzione in Cina della marca italiana è penalizzata in misura simile dagli intervistati italiani e statunitensi, mentre questi ultimi paiono leggermente più disponibili ad accettare la produzione della marca del loro Paese in Cina; il risultato è probabilmente legato alla maggior forza relativa del made in Italy nella categoria di prodotto considerata. Invece, in presenza di coincidenza fra nazionalità del consumatore, della marca di qualità e paese di produzione del bene, l’effetto di interazione assume un valore positivo più elevato per i consumatori italiani (HQIB*made in Italy = 1,74 – cfr. Tab. 9; HQUB*made in Usa = 0,77 – cfr. Tab. 7). Tabella 9 - Output dell’analisi congiunta : effetti principali e effetti di interazione fra marca e paese di produzione – Italia Fattori Brand Made in Prezzo Brand * Made in Livelli HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad es. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) LCIB (ad es. Almeria) HQMCA (Italia) HQMCB (Stati Uniti) LCMC (Cina) 15 80 HQUB * Made in Italy HQUB * Made in USA HQUB * Made in China HQIB * Made in Italy HQIB * Made in USA HQIB * Made in China LCUB * Made in Italy LCUB * Made in USA LCUB * Made in China LCIB * Made in Italy LCIB * Made in USA LCIB * Made in China B Valori-utilità dei livelli 1,74 1,77 0,20 -3,71 1,28 1,18 -2,46 1,01 -1,01 1,33 1,25 -2,58 1,74 1,07 -2,81 -0,15 -0,36 0,51 -2,93 -1,96 4,88 27 Scarti di utilità Importanza % attributi 5,45 28,7 3,73 19,6 2,02 10,6 7,81 41,1 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Tabella 10 - Il segno e l’intensità* dell’effetto di interazione fra marca e paese di origine – Italia HQUB (ad es. Ralph Lauren) HQIB (ad. Prada) LCUB (ad es. Sunbelt) LCIB (ad es. Almeria) HQMCA (Made in Italy) ++ ++ _ _ _ _ HQMCB (Made in USA) ++ + _ _ _ LCMC (Made in China) _ _ _ _ _ _ _ ++++ * L’intensità dell’effetto di interazione è stata valutata considerando il primo valore decimale. 6. Conclusioni L’indagine condotta, pur presentando i tipici limiti delle ricerche esplorative basate sul medesimo approccio metodologico 19 , conferma il rilievo che esso assume per lo studio degli effetti di interazione fra marca e paese di produzione, nell’ambito del filone di ricerca sul country-of-origin effect. Tale effetto sembra ancora in grado di incidere in misura rilevante sul valore della marca per i consumatori; riflettendosi quest’ultimo in via diretta sul differenziale di prezzo praticabile, ne derivano evidenti conseguenze sul piano dei risultati economico-finanziari conseguibili. Ad esempio, ragionando sui dati relativi al totale campione (cfr., supra, Tab. 5), la decisione di una marca italiana di alta qualità di decentralizzare la produzione in un paese a basso costo e di accostare al proprio brand name l’indicazione del made in country, si tradurrebbe per i consumatori in una perdita di utilità pari a 7,77 (- 2,90 – 4,8), con effetti negativi sull’immagine e sul premium price sostenibile. Come si nota dalla tabella 11, tale perdita di utilità dipende sia dall’effetto principale associato al fattore “made-in country” sia, in misura ancora più rilevante, dall’effetto di interazione “marca*made-in”. Dai dati empirici rilevati, il contrario sembrerebbe accadere nel caso di una marca di basso prezzo, caratterizzata da un’immagine di convenienza e da minore notorietà (cfr. Tab. 12); in questa fattispecie, infatti, l’effetto di interazione fra marca e paese di produzione “low cost” risulta molto elevato e positivo (4,67), compensando lo score negativo associato all’effetto prin19 Limiti relativi in particolare allo scarso numero di fattori considerati e alla scelta di un campione di intervistati non statisticamente rappresentativo. 28 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti cipale del livello “made-in China” (-2,33). Ne deriverebbe una sostanziale convenienza ad associare la marca al paese a basso costo anziché al paese “high quality”, chiaramente espressa dal differenziale di utilità esistente fra le due alternative (4,07). Tabella 11 - L’impatto dell’effetto di interazione fra marca e made-in country sull’utilità del consumatore: il caso delle marche “high quality” Utilità marca Utilità "made in country" Utilità "marca*made in" Totale A HQIB * Made in Italy 2,1 1,11 1,66 4,87 B HQIB*Made in China 2,1 -2,33 -2,67 -2,90 C = (B- A) Differenziale di utilità 0 - 3,44 -4,33 -7,77 Tabella 12 - L’impatto dell’effetto di interazione fra marca e made-in country sull’utilità del consumatore: il caso delle marche “low cost” Utilità marca Utilità "made in country" Utilità "marca*made in" Totale A LCIB * made in Italy -4,28 1,11 -2,84 -6,01 B LCIB * Made in China - 4,28 -2,33 4,67 -1,94 C = (B – A) Differenziale di utilità 0 -3,44 7,51 4,07 Pur con le cautele imposte dalla natura esplorativa dell’indagine, i dati empirici suggeriscono che il segno e l’intensità dell’effetto di interazione fra “marca” e “made-in country” siano marcatamente influenzati dalla consonanza percettiva esistente fra immagine della marca e immagine del paese di produzione. Come emerge dalle tabelle 11 e 12 e dalla figura 2, in presenza di consonanza fra immagine del paese e immagine di marca l’effetto di interazione presenta infatti valori positivi, sia a livello aggregato che disaggregato. Nel caso di marche e paesi low cost, tale effetto positivo assume un valore decisamente più elevato per i consumatori italiani. 29 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Figura 2 - La coerenza fra immagine della marca e immagine del paese di produzione come condizione per l’esistenza di un effetto di interazione positivo MARCA Immagine High Quality Immagine LowCost Immagine High Quality Effetto di interazione negativo Effetto di interazione positivo Effetto di interazione positivo Effetto di interazione negativo PAESE DI PRODUZIONE Immagine Low Cost Tale risultato è coerente con quanto verificato da Haubl e Helrod (1999) 20 , con riferimento a una diversa categoria di prodotto e con un differente metodo di analisi ed è ricco di implicazioni, tanto teoriche quanto manageriali. In particolare, esso suggerisce che l’accostamento del luogo di produzione a una marca debba essere affrontato secondo le logiche che regolano le strategie di co-branding. In altre parole, la scelta di esplicitare il paese di produzione dev’essere attentamente meditata, ponendo in primo piano il tema della consonanza percettiva. Non è infatti sufficiente verificare che il paese di produzione a cui accostare la marca sia caratterizzato da elevata notorietà e da un’immagine ricca di valenze positive e significative nella categoria di prodotto; se tale immagine non si rivelasse coerente con quella della marca, l’effetto di interazione risulterebbe infatti negativo. Di conseguenza, la decisione di enfatizzare l’associazione fra marca e paese di produzione determinerebbe una riduzione dell’utilità percepita dal consumatore e, quindi, del valore della marca. 20 In particolare, gli Autori dimostrano l’impatto della congruità esistente fra marca e paese di produzione sui giudizi espressi dai consumatori in merito alla qualità dei prodotti. Dimostrano altresì che l’effetto positivo della congruità sui giudizi dei consumatori si amplifica all’aumentare dell’associazione esistente fra marca e paese di produzione. 30 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Un’interessante prospettiva di ricerca attiene pertanto l’approfondimento degli aspetti indicati, considerando le tipologie in cui si articola il concetto di “consonanza percettiva” (fit funzionale e fit simbolico), le dimensioni da cui dipendono i giudizi a esse relative e l’eventuale effetto di mediazione esercitato dalla coincidenza fra nazionalità del consumatore, della marca e di paese di produzione. 31 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Bibliografia delle opere citate Agrawal J. e Kamakura W.A. (1999), «Country of Origin: A Competitive Advantage?», International Journal of Research in Marketing, vol. 16, n. 4, pp. 255-67. Amhed S.A., d’Astous A. (1993), «A Cross-national Evaluation of Made in Concept Using Multiple Cues», European Journal of Marketing, vol. 27, n. 7. Amhed S.A., d’Astous A., Mostafa El Adraoui (1994), «Country-of-Origin Effects on Purchase Managers’ Product Perceptions», Industrial Marketing Management, vol. 23, n. 4, pp. 323-32. Anderson e Cunningham (1972), «Gaugin Foreign Product Promotion», Journal of Advertising Research, vol. 12, pp. 29-34. Balabanis G., Diampantopoulos A. (2004), «Domestic Country Bias, Country-ofOrigin Effects and Consumer Ethnocentrism: a Multidimensional Unfolding Approach», Journal of the Academy of Marketing Science. Bannister J.P., Saunders J.A. (1978), «UK Consumers’ Attitudes Toward Imports: the Measurement of National Stereotype Image», European Journal of Marketing, vol. 12, n. 8, pp. 562-70. Baumgartner G., Jolibert A. (1977), «The Perception of Foreign Products in France», Advances in Consumer Research, vol. 16, pp. 103-105. Beretta C., Dordi C., De Antoni A. (2003), L’origine delle merci nell’Unione europea, Milano, Ipsoa. Bertoli G. e Busacca B. (2003), “Co-Branding e valore della marca”, in U. Collesei, J.C. Andreani (a cura di), Atti del terzo Congresso internazionale sulle Tendenze di Marketing, Ca’ Foscari, Venezia, 27-28 novembre. Bilkey W.J. e Nes E. (1982), «Country-of-origin Effects on Product Evaluations», Journal of International Business Studies, vol. 47, Spring-Summer, pp. 88-99. Brodowky (1998), «The Effects of Country of design and Country of assembly on Evaluative Beliefs about Automobiles and Attitudes toward Buying Them: a Comparision between Low and High Ethnocentric Consumers», Journal of International Consumer Marketing, vol. 10, pp. 85-113. Cattin P., Jolibert A., Lohnes C. (1982), «A Cross-cultural Study of “Made-in” Concepts», Journal of International Business Studies, vol. 13, Winter, pp. 131-41. Chao P. (1998), «Impact of Origin Dimensions on Product Quality and Design Quality Perceptions», Journal of Business Research, vol. 42, pp. 1-6. 32 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Erikson G.M., Johansson J.K., Chao P. (1984), «Images Variables in Multiattribute Product Evaluations: Country of Origin Effects», Journal of Consumer Research, vol. 11 (september), pp. 694-99. Eroglu S.A., Machleit K.A. (1989), «Effects of Individual and Product Specific Variables on Utilizing Country of Origin as a Product Quality Cue», International Marketing Review, vol. 6, n. 6, pp. 27-41. Ettenson R. (1993), «Brand Name and Country of Origin Effects in the Emerging Market Economies of Russia, Poland and Ungary», International Marketing Review, vol. 10, pp. 14-36. Ettenson R., Wagner J., Gaeth G. (1988), «Evaluating the Effect of Country of Origin and the “Made in USA” Campaign: a Conjoint Approach», Journal Of Retailing, vol. 64. Gaedeke R. (1973), «Consumer Attitudes toward Products “Made in” Developing Countries», Journal of Retailing, vol. 49 (Summer), pp. 13-34. Han C. Min (1988), «The Role of Consumer Patriotism in the Choice of Domestic Versus Foreign Products», Journal of Advertising Research, June-July, pp. 25-32. Han C. Min (1989), «Country Image: Halo or Summary Construct? », Journal of Marketing Research, vol 26, May, pp. 222-29. Han C. Min e Terpstra V. (1988), «Country of Origin Effects for Uni-National and Bi-National products», Journal of International Business Studies, vol. 16, summer, pp. 235-55. Haubl G., Elrod T. (1999), «The Impact of Congruity between Brand Name and Country of Production on Consumers’ Product Quality Judgements», International Journal of Research in Marketing, vol. 16, pp. 199-215. Hui M.K., Zhou L. (2003), «Country-of-Manifacture for Known Brands», European Journal of Marketing, vol. 37, n. 1-2, pp.133-53. Jaffé E.D. e Nebenzahl I.D. (2001), National Image and Competitive Advantage: The Theory and Practice of Country-of-Origin Effects, Copenhagen, Copenhagen Business School Press. Johanson J.K. (1989), «Determinants and Effects of the Use of “Made in” labels», International Marketing Review, vol. 6, n.1, pp. 47-58. Johansson J.K. e Nebenzahl I.D. (1986), «Multinational Production: Effects on Brand Value», Journal of International Business Studies, vol. 17, n. 3, pp. 101-26. Johanson J.K., Douglas S.P., Nonaka I. (1985), «Assessing the Impact of Country of Origin on Product Evaluations: a New Methodological Perspective», Journal of Marketing Research, vol. 22, November, pp. 388-96. 33 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni Lumpkin J.R., Crawford J.C. e Kim G. (1985), «Perceived Risk as a Factor in Buying Foreign Clothes», International Journal od Advertising, n. 4, pp. 15771. Manrai L.A., Lascu D.N., Manrai A.K. (1998), «Interactive Affects of Country of Origin and Product Category on Product Evaluations», International Business Review, vol. 7, n. 6, pp. 591-615. Nagashima A. (1970), «A Comparison of Japanese and U.S. Attitudes Towards Foreign Products», Journal of Marketing, vol. 34, january, pp. 68-74. Nebenzahl I.D., Jaffé E.D. (1996), «Measuring the Joint Effect of Brand and Country of Image in Consumer Evaluation of Global Products», International Marketing Review, vol. 13, pp. 5-22. Nebenzahl I.D., Jaffé E.D. e Lampert S.I. (1997), «Towards a Theory of Country Image Effect on Product Evaluation», Management International Review, vol. 37, n.1, pp. 27-49. Onida F. (2004), Se il piccolo non cresce. Piccole e medie imprese italiane in affanno, Bologna, il Mulino. Pavitt K. (1984), “Sectoral Patterns of Technological Change. Toward a tTaxonomy and a Theory”, Research Policy, n. 6. Papadopoulos N., Heslop L.A. (1993), Product and Country Images: Research and Strategy, New York, The Haworth Press. Peterson R.A., Jolibert A.J.P. (1995), «A Meta Analysis of Country of Origin Effects», International Journal of Business Studies, vol. 26, n. 4, pp. 883900. Roth M.S, Romeo G.B. (1992), «Matching Product Category and Country Image Perceptions: a Framework for Managing Country of Origin Effects», Journal of International Business Studies, vol. 3, winter, pp. 447- 97. Samie S. (1994), «Customer Evaluation of Products in a Global Market», Journal of International Business Studies, vol. 25, n. 3, pp. 579-604. Schooler R.D. (1965), «Product bias in Central American Common market», Journal of Marketing Research, vol. 2, November, pp. 394-97. Shimp T.A., Sharma S. (1987), «Consumer Ethnocentrism: Construction and Validation of the CETSCALE», Journal of Marketing Research, August, 26, pp. 280-89. Srinivasan N., Jain S.C., Sikand K. (2004), «An Experimental Study of two Dimensions of Country-of-Origin (manufacturing country and branding country) Using Intrinsic and Extrinsic Cues», International Business Review, vol. 13, n. 1. Usunier J.-C., Nebenzahl I.D., Jaffé E.D. (1993), «Pays d’origine et stratégie de prix», Revue Francaise du Marketing, n. 141, pp. 35-47. 34 Consumatore, marca ed “effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti Usunier J.-C. (1994), «Social Status and Country-of-Origin Preferences», Journal of Marketing Management, vol. 10, pp. 765-83. Usunier J.-C. (2002), «Le pays d’origine du bien influence-t-il encore les évaluations des consommateur?», Revue Francaise du Marketing, n. 189-190, pp. 49-65. Valdani E., Bertoli G. (2003), Mercati internazionali e marketing, Milano, Egea. Verlegh P. W.J. e Steenkamp J.-B. (1999), «A Review and Meta-analysis of Country of Origin Research», Journal of Business Research, vol. 20, pp. 521-46. Wang C.-K., Lamb C.W. (1983), «The Impact of Selected Environmental Forces upon Consumers’ Willingness to Buy Foreign Products», Journal of Academy of Marketing Science, vol. 11 (Winter), pp. 71-84. Zaichkowsky J.L. (1985), «Measuring the Involvement construct», Journal of Consumer Research, vol. 12, pp. 341-52. 35 Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Luca Molteni 36 DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI ∗ : 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. Arnaldo CANZIANI, La ricerca nelle scienze sociali: note metodologiche e premetodologiche, novembre 1998. Daniela M. SALVIONI, Controllo di gestione e comunicazione nell’azienda pubblica, aprile 1999. Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria nei ricordi di un allievo, luglio 1999. Rino FERRATA, Tecnologia e mercato: i criteri di scelta dei metodi di valutazione, luglio 1999. Giuseppe BERTOLI, Salvatore VICARI, L'impresa diversificata come organizzazione che apprende, dicembre 1999. Virna FREDDI, Attività economica e impresa nella concezione economicista, febbraio 2000. Virna FREDDI, L'approccio Resource-based alla teoria dell'impresa: fattori interni e competitività aziendale, febbraio 2000. Maria MARTELLINI, Sviluppo, imprese e società, maggio 2000. Arnaldo CANZIANI, Per la critica della teoresi zappiana, e delle sue forme di conoscenza, dicembre 2000. Giuseppe BERTOLI, Gabriele TROILO, L'evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta, dicembre 2000. Giuseppe BERTOLI, Profili di efficienza delle procedure concorsuali. Il concordato preventivo nell’esperienza del tribunale di Brescia, dicembre 2000. Daniele RONER, Domanda e offerta di beni economici. Rassegna critica dall’irrealismo neoclassico alla differenziazione dei prodotti, marzo 2001. Elisabetta CORVI, Le valenze comunicative del bilancio annuale. I risultati di un'indagine empirica, luglio 2001. Ignazio BASILE, Nicola DONINELLI, Roberto SAVONA, Management Styles of Italian Equity Mutual Funds, agosto 2001. Arnaldo CANZIANI, I processi competitivi fra economia e diritto, settembre 2001. André Carlo PICHLER, L'Economic Value Added quale metodo di valutazione del capitale economico e strumento di gestione aziendale, dicembre 2001. Monica VENEZIANI, Economicità aziendale e capacità informativa del bilancio nelle aziende cooperative agricole, dicembre 2001. Pierpaolo FERRARI, La gestione del capitale nelle principali banche internazionali, febbraio 2002. Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Il valore della marca. Modello evolutivo e metodi di misurazione, marzo 2002. Paolo Francesco BERTUZZI, La gestione del rischio di credito nei rapporti commerciali, aprile 2002. Vincenzo CIOFFO, La riforma dei servizi a rete e l'impresa multiutility, maggio 2002. Giuseppe MARZO, La relazione tra rischio e rendimento: proposte teoriche e ricerche empiriche, giugno 2002. Sergio ALBERTINI, Francesca VISINTIN, Corporate Governance e performance innovativa nel settore delle macchine utensili italiano, luglio 2002. ∗ Serie depositata a norma di legge 37 24. Francesco AVALLONE, Monica VENEZIANI, Models of financial disclosure on the Internet: a survey of italian companies, gennaio 2003. 25. Anna CODINI, Strutture organizzative e assetti di governance del non profit, ottobre 2003. 26. Annalisa BALDISSERA, L’origine del capitale nella dottrina marxiana, ottobre 2003. 27. Annalisa BALDISSERA, Valore e plusvalore nella speculazione marxiana, ottobre 2003. 28. Sergio ALBERTINI, Enrico MARELLI, Esportazione di posti di lavoro ed importazione di lavoratori:implicazioni per il mercato locale del lavoro e ricadute sul cambiamento organizzativo e sulla gestione delle risorse umane, dicembre 2003. 29. Federico MANFRIN, Sulla natura del controllo legale dei conti e la responsabilità dei revisori esterni, dicembre 2003. 30. Rino FERRATA, Le variabili critiche nella misurazione del valore di una tecnologia, aprile 2004. 31. Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Co-branding e valore della marca, aprile 2004. 32. Arnaldo CANZIANI, La natura economica dell’impresa, giugno 2004. 33. Angelo MINAFRA, Verso un nuovo paradigma per le Banche Centrali agli inizi del XXI secolo?, luglio 2004. 34. Yuri BIONDI, Equilibrio e dinamica economica nell’impresa di Maffeo Pantaleoni, agosto 2004. 35. Yuri BIONDI, Gino Zappa lettore degli Erotemi di Maffeo Pantaleoni, agosto 2004. 36. Mario MAZZOLENI, Co-operatives in the Digital Era, settembre 2004. 37. Claudio TEODORI, La comunicazione via WEB delle imprese italiane quotate: un quadro d’insieme, dicembre 2004. 38. Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, Il ruolo di internet nelle relazioni con gli stakeholder: il settore dell’energia elettrica, dicembre 2004. 39. Yuri BIONDI, Zappa, Veblen, Commons: azienda e istituzioni nel formarsi dell’Economia Aziendale, dicembre 2004. 40. Federico MANFRIN, La revisione del bilancio di esercizio e l’uso erroneo degli strumenti statistici, dicembre 2004. 41. Monica VENEZIANI, Effects of the IFRS on Financial Communication in Italy: Impact on the Consolidated Financial Statement, febbraio 2005. 42. Anna Maria TARANTOLA RONCHI, Domenico CERVADORO, L’industria vitivinicola di Franciacorta: un caso di successo, marzo 2005. 43. Paolo BOGARELLI, Strumenti economico aziendali per il governo delle aziende familiari, marzo 2005. 44. Anna CODINI, I codici etici nelle cooperative sociali, luglio 2005. 45. Francesca GENNARI, Corporate Governance e controllo della Brand Equity nell’attuale scenario competitivo, luglio 2005. 46. Yuri BIONDI, The Firm as an Entity: Management, Organisation, Accounting, agosto 2005. 38 ARTI GRAFICHE APOLLONIO Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814 e-mail: [email protected]