Una legge europea per fermare la violenza sul luogo di
by user
Comments
Transcript
Una legge europea per fermare la violenza sul luogo di
Enzo Kermol Silvia Del Fabbro Michele Celeste Spinelli Una legge europea per fermare la violenza sul luogo di lavoro Cosa sono il mobbing, il bullying at work, l’harassment e come affrontarli 2005 1 Indice Prefazione Comunicazione malata: il mobbing di Mariselda Tessarolo Parte prima La violenza sul luogo di lavoro di Enzo Kermol e Silvia Del Fabbro 1. Introduzione 2. Mobbing – Bullying at work 2.1. Gli studi di Heinz Leymann 2.2. Mobbing, bullying, harassment: fenomeni simili? 2.3. Le caratteristiche del mobbing/bullying at work 2.3.1. Durata 2.3.2. Frequenza 2.3.3. La bilancia del potere fra le parti 2.3.4. La reazione della vittima 2.3.5. Condotte mobbizzanti 2.4. La diffusione del mobbing/bullying at work 3. Le cause del mobbing 4. Le conseguenze del mobbing 4.1. Gli effetti della violenza sul luogo di lavoro 4.1.1. Livello individuale 4.1.2. Livello organizzativo 4.1.3. Livello organizzazione sociale 4.2. Gli effetti del mobbing 5. Il mobbing in Italia 5.1. Il bossing 6. Le linee guida della prevenzione 7. Conclusioni Bibliografia indicativa Parte seconda Aspetti giuridici di Michele Celeste Spinelli 1. Introduzione 2. Normativa 2.1. Manca una legge contro il mobbing? Per fortuna si sa già come difendersi! 2.2 Ogni giudice ha le sue leggi 2.3 La prova: un gran problema! 2.4 Tante responsabilità per un risarcimento 2.5 Quale danno e quanto danno ? 2 2.6 L‟imprenditore è tenuto […] a tutelare l‟integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 codice civile – Tutela delle condizioni di lavoro) – fatti giudicati. 2.7 Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto […]. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un‟altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo. (art. 2103 Mansioni del lavoratore ) – fatti giudicati. 2.8 Essere cacciati via ed andarsene sbattendo la porta – fatti giudicati. 2.9 Con il penale non si scherza ! – fatti giudicati. 2.10 Il mobbing difeso qua e là – fatti giudicati. 3. Le proposte di legge 4. La buona volontà delle Regioni 4.1 Aspettando il Parlamento 4.2 Una novità resistente: la legge regionale 8/2005 della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia 5. Contenimento del problema 6. Appendice normativa Bibliografia indicativa Parte terza Comunicare il mobbing di Enzo Kermol, Fanika Feletig, Mirca Zaffalon, Ilaria Nassimbeni e Roberto Cianchetta 3.1. Il mobbing attraverso i quotidiani italiani 3.1.1. La Repubblica 3.1.2. Il Corriere della Sera 3.1.3. Unione Sarda 3.1.4. Il Gazzettino 3.1.5. La Stampa 3.1.6. La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino 3.1.7. CNN Italia 3.1.9. Osservazioni conclusive 3.2. Il mobbing e l’informazione in rete 3.2.1. La ricerca 3.2.2. www.mobbingonline.it 3.2.3. www.jobonline.it 3.2.4. www.vbe-bw.de/aktuell/mobbing/mobbing.htm 3.2.5. http://www.harcelement.info/ 3.2.6. http://www.worktrauma.org/ 3.2.7. http://www.leymann.se 3.2.8. Osservazioni conclusive 3.3. Una ricerca sul mobbing: il sito www.jobonline.it 3.3.1. Descrizione del questionario on-line 3.3.2. Metodologia 3.3.3. Analisi dei risultati 3.3.3.1. Un‟analisi incrociata 3.3.3.1.1. Differenze sessuali 3 3.3.3.1.2. Differenze di provenienza geografica 3.3.3.1.3. Differenze tra pubblico e privato 3.3.4. Osservazioni conclusive 4 Prefazione Comunicazione malata: il mobbing di Mariselda Tessarolo1 Premessa La comunicazione interpersonale è la modalità più “umana” di comunicare. Il termine umana deve essere inteso in senso lato: l‟amore, l‟odio e l‟indifferenza sono tutti compresi nella “umanità” della comunicazione. La comunicazione malata è stata, spesso, oggetto di studio: come mancanza di metacomunicazione, come doppio legame e come mobbing. Il teatro in cui si svolge il mobbing è l‟ambiente lavorativo in cui il rapporto tra persone è stretto e coinvolge tre tipi di attori: il mobbizzato (la vittima); il mobber (l‟aggressore); gli spettatori (coloro che assistono). Nelle comunicazioni interpersonali, in generale i comunicanti apprendono in tenera età come comportarsi, come esprimere l‟affetto, l‟odio o come essere indifferenti e quindi quando si mette in atto un comportamento si sa a quali conseguenze il rapporto va incontro quando non si vuole o, invece, quando si ricerca l‟accordo. Uno dei problemi più consistenti e meno risolubili della comunicazione umana consiste nel dire e nel come dire le cose: in una conversazione è più importante essere educati piuttosto che chiari e pertinenti e che è preferibile rafforzare la relazione piuttosto che lo scambio di informazioni (Grice, 1975; D‟Urso, 1983). La categoria di persone che con maggior frequenza è sottoposta a mobbing è composta da impiegati con poco potere e con situazioni economiche incerte ovvero da quelle persone che non possono permettersi di perdere il lavoro e quindi non possono reagire. A volte si tratta di lavoratori inefficienti, spesso sono i migliori e i più dotati ad essere i bersagli del terrore psicologico. Non c‟è una distinzione netta in base al sesso. Del resto il rapporto tra molestatore e molestato in generale si basa sempre sull‟incapacità o l‟impossibilità di difendersi di una delle parti. In situazioni lavorative in cui lo stato di incertezza e di precarietà sono dominanti è difficile, per la persona che subisce il mobbing, comportarsi normalmente. Questo può valere anche per il mobber e per chi assiste come “spettatore”: possono verificarsi casi in cui l‟aggressore a sua volta è mobizzato dai superiori. I motivi per cui si “accetta” una situazione di mobbing possono essere legati al fatto che i giovani neoassunti accettano più facilmente i piccoli soprusi quotidiani e raramente denunciano le situazioni di violenza psicologica. Tuttavia può anche accadere che lavoratori anziani, che costano molto all‟azienda 2, siano sottoposti a mobbing. Il mobber è prevalentemente un manager. Si tratta quasi sempre di quadri intermedi o di superiori diretti delle vittime e s ono equamente divisi tra uomini e donne e preferiscono colpire persone del loro stesso sesso. Le motivazioni del mobber a continuare la sua azione possono essere molteplici: la paura di perdere 1 Università di Padova. In questo caso si ha mobbing verticale, finalizzato ad ottenere le dimissioni per assumere al suo posto un giovane con meno pretese. La fascia sopra i 55-60 è più a rischio perché il datore di lavoro può essere tentato dall'idea di convincere il dipendente, con le buone o con le cattive, a pre-pensionarsi. 2 5 il lavoro, oppure la posizione guadagnata con difficoltà, paura di essere surclassato ingiustamente, 1‟ansia di carriera, l‟antipatia o l‟intolleranza verso qualcuno. L‟azione che si concretizza nel mobbing può nascere dal libero sfogo di tendenze sadiche. Il mobber “classico” tortura in continuazione la sua vittima in quanto è convinto di trarre vantaggi dalla sua distruzione; può agire da solo o con alleati; può anche essere assolutamente consapevole della sua azione e attuarla di proposito per il gusto di farlo e per divertimento. Ci sono poi alcuni mobber che incarnano questo ruolo per puro caso: è il vincitore di un normalissimo conflitto che porta a termine la distruzione completa della vittima. Poi ci sono quelle persone che hanno un carattere difficile: i collerici, gli autoritari, i megalomani, i criticoni, i frustrati che trovano “pane per i loro denti”. Gli spettatori, che possono essere definit i anche fiancheggiatori, s ono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, che non sono coinvolti direttamente nel mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano, e lo vivono di riflesso. Il fenomeno probabilmente è sempre esistito, soprattutto se lo si analizza all‟interno di teorie inerenti alle dinamiche di gruppo, ma non ha avuto modo di emergere perché, ad esempio, la possibilità di licenziare senza giusta causa attenua alla radice le possibilità di fare mobbing. E‟ la precarizzazione dei rapporti di lavoro, la cosiddetta flessibilità, il terreno su cui il mobbing cresce e la flessibilità è la risposta alla competitività inte rnazionale e alla globalizzazione. La conflittualità fa emergere varie patologie tra cui il mobbing. Con termini più tecnici si sta passando dal paradigma fordista, cioè dalle aziende rigidamente strutturate e gerarchiche, dalla organizzazione scientifica del lavoro, parcellizzato e alienato, ad un nuovo paradigma noto sotto il nome di “economia della conoscenza”, in cui ciascuna azienda deve riorganizzarsi in una struttura leggera, reticolare, riscoprendo al suo interno la funzione delle conoscenze e il lavoro dei gruppi che si traduce nella necessità di produrre sempre nuove conoscenze e incorporarle in nuovi prodotti. Ma il cammino verso il nuovo paradigma è costellato di disagi sociali di cui la precarizzazione dei rapporti di lavoro è uno degli esiti attuali. L‟impossibilità di liberarsi in modo indolore di rapporti di lavoro ritenuti inutili o improduttivi per l‟azienda, spinge verso strategie subdole tramite le quali si giunge allo scopo. Parlando di mobbing si può fare riferimento alla non casuale contemporaneità fra il diffondersi come patologia sociale e le grandi trasformazioni del lavoro degli ultimi decenni (Gilioli e Gilioli, 2000). Alcune delle dinamiche economiche attuali che hanno contribuito al diffondersi del fenomeno mobbing sono la tendenza a rendere il mercato più duttile e mobile, la globalizzazione della concorrenza, la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro e la volontà di ridurre i costi aziendali. Pur non potendo ritenere che questi processi siano direttamente legati all‟insorgere di episodi di mobbing, si può presumere che tutto questo contribuisca all‟aumento dei sentimenti di incertezza e insicurezza tra i lavoratori. Questi sentimenti di precarietà, a forte contenuto ansiogeno, si traducono inevitabilmente in un elevato livello di frustrazione e stress, condizioni ottimali per un aumento del rischio di conflitti sul lavoro. Il mobbing non è una situazione stabile, ma un processo che si evolve continuamente. La vittima del mobbing è un individuo che nel dissidio ha perso la sua abilità di difesa (coping resource). Il mobbing può essere considerato un modello conflittuale. At- 6 tualmente tale modello è visto in prospettiva positiva come “conflitto mirato” (Ege, 1997), ma non si deve dimenticare che il termine stesso “conflitto” non ha un‟accezione positiva in quanto prevede un vincitore e un vinto. Il termine che sembra più adatto è quello luhmaniano di “discussione” perché solo discutendo si può arrivare ad un accordo e quindi alla semplificazione della complessità del sistema. Il mobbing nella sua “crudeltà” conduce la vittima ad uno stato di impotenza ed inevitabile frustrazione. Si attua una spirale persecutoria, organizzata in modo che si concretizzi “la condizione di vittima”. De Falco et al. (2003) hanno elaborato una teoria secondo la quale determinate tipologie di lavoratori sono più di altri soggetti a maltrattamenti: 1. Il lavoratore solo (una donna in un ufficio di uomini) 2. Il lavoratore diverso 3. Il lavoratore che ha successo 4. Il lavoratore nuovo Ogni soggetto può divenire dipendente da questo modo di agire, tanto da rischiare di trasformarsi in un “serial bullies”, cioè un soggetto che, provata un‟azione violenta con successo tenta di ripeterla infinite volte. Il “tiranno” non è solo colui che ha il potere, ma colui che lo esercita senza emozioni (senza pathos). Quale comunicazione? La comunicazione tra mobber e mobizzato è asimmetrica, ma rientra in varie tipologie, come ad esempio nel mobbing dal basso che si ha quando il mobber è in una posizione inferiore rispetto alla sua vittima. Accade quando l‟autorità di un capo viene messa in discussione dai sottoposti. Oppure nel mobbing dall’alto, quando il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima (dirigente, un capo reparto, un capo ufficio, un collega d‟anzianità o di mansioni superiori). Infine nel mobbing tra pari (il mobber e la vittima sono allo stesso livello) la comunicazione, pur allo stesso livello, si realizza in modo asimmetrico a causa del potere che il mobber riversa sul mobizzato. Il mobbing è, quindi, un tipo di comunicazione estremamente patologica, dal momento che nelle situazioni di “terrore psicologico” non è più momentanea come nel caso di un litigio, ma diventa il modo quotidiano di interagire degli attori. Il mobbing ha conseguenze sulla possibilità di comunicare adeguatamente in quanto i superiori limitano le possibilità di esprimersi della vittima che viene sempre interrotta quando parla, viene limitata nelle sue possibilità di esprimersi dai colleghi in vari modi. Le conseguenze di tale situazione si riflettono anche sulla possibilità di mantenere contatti. Queste azioni pur non essendo da sole la causa del disagio della vittima, creano l‟atmosfera che si stabilizza e diviene norma nello specifico ufficio o reparto di lavoro. L‟ambiente di lavoro è caratterizzato da sfiducia, scontento, diffidenza e spirito di vendetta, tutti i fattori che causano la percezione che qualsiasi relazione sia una trappola o una manipolazione. In tutte le comunicazioni interpersonali comprese quelle riguardanti le relazioni di lavoro è utile prendere in considerazione ciò che si vuole ottenere con l‟atto comunicativo. Soprattutto nelle relazioni in cui non l‟accordo è difficile: come nel caso in cui una certa presentazione di sé è messa in discussione dalla controparte, oppure quando nella situazione è presente una forte ambiguità che provoca dubbi circa la posizione ef- 7 fettiva che ciascun membro dovrebbe occupare nello spazio sociale, può accadere che si sia costretti a ricorrere a manovre verbali per equilibrare quelle dell‟interlocutore. Quando la situazione è ancor più grave, come nel caso in cui non ci sia accordo tra gli interlocutori nemmeno sui contenuti (lo scambio comunicativo implica interpretazioni divergenti o interessi contrastanti), si attuano rivendicazioni relative alla definizione della relazione interpersonale tra gli interlocutori producendo un conflitto. Un buon risultato nelle situazioni d‟interazione con gli altri comporta una certa predisposizione a riconoscere i modi in cui le persone comunicano il loro rapporto. Il riuscire a regolare le proprie risposte e le strategie comunicative, in base all‟interlocutore di turno, alla situazione specifica fa parte di una particolare sensibilità che viene data per scontata. Nelle situazioni lavorative c‟è un certo grado di costrizione. Di conseguenza viene messo in evidenza quanto l‟immagine che uno ha di sé dipenda dalle relazioni interpersonali. La soluzione si trova nel divenire una controparte attiva, piuttosto che rimanere passivi e subire una continua sottrazione di supporto al proprio Io sociale, cercando così di strutturare la situazione in modo da ottenere da essa feedback positivi che possono rafforzare a propria autostima. Quando le interazioni divengono manipolatorie cioè quando una parte persegue lo scopo di imporre un esito definito unilateralmente a una certa situazione, allora l‟importanza delle tecniche di comunicazione interpersonale non può essere ignorata”. Nello stigma si realizza la spaccatura tra l‟identità sociale virtuale (ciò che l‟individuo dovrebbe essere in base, ad esempio, al ruolo ricoperto) e l‟identità sociale attualizzata. Essere stigmatizzati significa che, nell‟ambito del proprio gruppo di lavoro, il soggetto passerà dalla condizione di screditabile a quella di screditato. La persona stigmatizzata soffre della mancanza del sostegno offerto dai rapporti sociali quotidiani, e per difendersi diventerà sospettosa, depressa, ostile e ansiosa. Lo stigmatizzato, come il mobbizzato, ha la continua sensazione di non sapere cosa gli altri pensino sinceramente di lui. Studi condotti nell‟ambito della vittimologia (Balducci, 2000) affermano che un individuo costretto a subire gravi e prolungate frustrazioni passerà in momenti successivi a fasi distinte descritte da: shock ed incredulità per l‟accaduto; ripristino del contatto con la realtà; depressione traumatica e auto accuse, isolamento sociale progressivo per evitare nuove frustrazioni. La cultura del litigio L‟aspetto positivo dei sostenitori di questa “cultura” porta a intervenire sulla politica direttiva, rivedere scelte e metodi e giungere ad una “migliore” gestione delle situazioni critiche in generale. Possedere la cultura del litigio non significa conoscere nuove armi con cui reagire al conflitto, bensì avere una visione più chiara del conflitto stesso, il tutto a beneficio sia dell‟azienda che dei singoli dipendenti. La trasparenza del conflitto permetterebbe di gestirlo per quello che è veramente, senza ideologie, positivamente. Per arrivare a questo il primo passo è de-emozionare il conflitto. L‟emotività, per chi si trova davanti ad un conflitto sul posto di lavoro e deve affrontarlo, mediarlo e possibilmente risolverlo, può non essere un aspetto positivo. La cultura del litigio, nonostante sia vantaggiosa dal punto di vista economico e strutturale, viene percepita come un tabù, non solo non se ne parla ma si finge che non ci sia e che il clima aziendale sia sempre assolutamente tranquillo e sereno. Il conflitto, in tal modo, rimarrà latente e influenzerà negativamente il clima aziendale. Il conflitto, non affrontato adeguatamente, si espande e crea malumori, scontentezza preparando il 8 terreno al mobbing. Se invece i diversi punti di vista venissero discussi per raggiungere un compromesso, i problemi sarebbero risolti. L‟obiettivo è quindi di far diventare il conflitto, il problema e la lamentela, normale argomento di discussione. La negoziazione Per negoziazione si intende la capacità di gestione del conflitto. Una delle attività cruciali del manager consiste nel gestire i conflitti interni all‟organizzazione. Se ben gestito il conflitto può trasformarsi in un‟opportunità di crescita aziendale, di rafforzamento della motivazione e del senso di responsabilità delle risorse umane. La negoziazione viene definita come un processo in cui due o più parti, con interessi in comune e in conflitto, si incontrano per presentare e discutere proposte specifiche, al fine di raggiungere un accordo. Le “parti”, nella definizione, sono singole persone o gruppi sufficientemente “liberi” da prendere e rispettare gli accordi presi. La negoziazione è un processo finalizzato alla risoluzione di conflitti, rappresenta il meccanismo più evoluto per generare valore dai conflitti, specialmente se le parti coinvolte percepiscono gli interessi delle controparti come legittimi e non considerano a rischio la propria identità/dignità e i propri principi. Il conflitto appare un fenomeno sociale inevitabile e per alcuni studiosi perfino desiderabile. Putnam (1994) osserva che: “promuovere l’emergere delle conflittualità intraorganizzative pare stimolare la cooperazione, spronare all’impegno, rafforzare il senso di identità comune, attivare più alti livelli di comunicazione, comprensione e consenso”. Gli effetti negativi sono associati alla soppressione del conflitto, tra questi vi sono la riduzione della crescita individuale e di gruppo, l‟abbassamento della qualità e della forza delle decisioni collettive, l‟inibizione dell‟intraprendenza, dello sviluppo e dell‟innovazione, il deterioramento dei processi comunicativi e del benessere relazionale. I conflitti, e di conseguenza la negoziazione, sono presenti in tutte le aree aziendali Il manager è chiamato a rispondere ai fenomeni conflittuali potenziando le proprie abilità negoziali, non solo verso l‟alto, ma anche verso i “pari” e i subordinati che, da “dipendenti” dell‟azienda diventano “costituenti” e quindi partner con i quali non funziona più la strategia di imposizione, ma si rende necessaria la negoziazione che rappresenta la modalità più evoluta per trasformare il conflitto in crescita. Il manager che si impegna a comprendere, personalizzare e automatizzare le competenze cognitive e affettive necessarie a negoziare con efficacia potrà ottenere un vantaggio organizzativo nel raggiungere accordi economicamente più proficui e soprattutto nel trasformare i cambiamenti in opportunità per incrementare la motivazione e il senso di responsabilità dei propri collaboratori (Pietroni, Rumiati, 2004). La risoluzione dei conflitti può avvenire attraverso la negoziazione. E‟ difficile delinearne una tipologia esaustiva del conflitto che è un fenomeno sociale talmente pervasivo che caratterizza la vita interna delle organizzazioni e delle reti di relazioni che lo costituiscono. Viene proposto da Pietroni e Rumiati (2004), un modello che consente di distinguere quattro fondamentali tipologie di conflitto in base alle valutazioni che l‟hanno originato. Prima di illustrarlo è importante sottolinearne la componente soggettiva: gli attori organizzativi non rispondono mai agli elementi oggettivi di una situazione conflittuale, ma a una propria personalissima interpretazione e rappresentazione degli stessi. Ne deriva che, anche affrontando lo stesso conflitto, le parti in gioco ne offrono una lettura personale che, lungi dall‟essere obiettiva, viene costantemente e inevitabilmente distorta da 9 interpretazioni, da generalizzazioni e cancellazioni dei propri schemi mentali dai propri sistemi di credenze. L‟organizzazione che ambisce a promuovere l‟efficacia dei propri processi negoziali interni al fine di stimolare e diffondere responsabilità, coinvolgimento e crescita dovrà assicurarsi che le conflittualità emergenti vengano prontamente ricondotte dalle parti alla tipologia del conflitto generativo. La strada, è quella di una cultura organizzativa forte e condivisa che, promuovendo i valori del dialogo e della comprensione, contrasti la deriva verso le percezioni di illegittimità e, promuovendo i principi del valore e della dignità della persona, argini la deriva verso conflitti di tipo emotivo. Pensando al dipendente come ad un “cliente interno” non dovrebbe essere difficile congiungere le teorie della Qualità Totale a queste nuove teorie del conflitto. L’autodifesa verbale Mentre la cultura del litigio è un programma formativo rivolto alle aziende e in particolar modo ai vertici dirigenziali, i corsi di autodifesa verbale fanno parte della “formazione personale” e si rivolgono alle singole persone per insegnar loro ad a ffrontare e gestire meglio la conflittualità della vita quotidiana. Tali corsi insegnano le tecniche e le strategie che si possono mettere in atto di fronte al conflitto, per bloccare le varie provocazioni e critiche. E‟ stato riscontrato che molte persone in situazione di mobbing si sono rese conto, quando ormai era troppo tardi, di come avrebbero potuto rispondere alle offese dei colleghi o del fatto che a volte, sia stata proprio una loro risposta troppo brusca a scatenare le reazioni. Sia che non si reagisca di fronte all‟attacco o che si reagisca troppo, le cose peggiorano in entrambi i casi. Saper rispondere adeguatamente in qualsiasi circostanza rende più sicuri nei rapporti interpersonali, acquisire questa capacità permette non solo di non temere il conflitto, ma di trarre soddisfazione dall‟aver detto quello che si voleva dire. Nel processo di sviluppo del mobbing c‟è un momento ben preciso in cui il conflitto quotidiano improvvisamente cambia direzione e, da generalizzato che era, si concentra su un‟unica persona. Questa svolta è la chiave di tutto, se riusciamo ad interromperla repentinamente, la conflittualità resterà indefinita e casuale, comportando una reazione adeguata alle provocazioni altrui. Bloccare un attacco, inoltre, può evitare di essere posti in una situazione imbarazzante davanti a tutti (e l‟inizio del mobbing). Se non si sa reagire adeguatamente a un attacco isolato, l‟immobilismo potrebbe essere percepito dai colleghi come un segnale di accettazione e potrebbe dare inizio a episodi simili che a lungo andare si possono definire mobbing. Bloccare l‟attacco e uscire educatamente da una situazione di svantaggio significa solo farsi rispettare. L‟autodifesa verbale consente di salvaguardare la propria dignità evitando di dover sottostare al gioco del mobber. Controbattere gli attacchi significa risolvere la situazione ed evitare l‟ansia e la depressione. Una maggiore fiducia nelle proprie capacità di reazione aiuta anche a non perdere l‟autostima, visto che nelle vittime è la prima caratteristica ad essere colpita. L‟autodifesa verbale serve per fare cadere nel vuoto la strategia dell‟aggressore con lo scopo di far sì che gli attacchi non abbiamo effetti e non lascino segni. Poiché il mobber trova soddisfazione, non tanto nei risultati che ottiene, quanto nel portare avanti il conflitto, così facendo si sentirà frustrato e messo in ridicolo, tanto che potrebbe interrompere i suoi attacchi. La capacità di metacomunicare, cioè di analizzare la comunicazione, per avere una comunicazione di successo non è facile specialmente quando il coinvolgimento emotivo 10 è elevato. Il primo passo è di esplicitare quanto crea disagio. Le risposte alternative possono essere l‟ironia e la creatività che sono in grado di risolvere situazioni dominate dal risentimento e dal senso di sconfitta. La lite avviene secondo parametri appresi dall‟ambiente e litigare significa copiare un processo che già in altre occasioni è stato attuato. L‟ambiente permette di riconoscere la gravità del conflitto attraverso i metodi impiegati dai contendenti. Tutto ciò si realizza attraverso il processo di socializzazione che porta l‟individuo a sviluppare comportamenti sociali adeguati e ad acquisire le coordinate sociali necessarie per vivere all‟interno della cultura circostante. Si tratta di un tipo di educazione che continua per tutta la vita. Accanto alla cultura è importante il clima lavorativo che viene influenzato anche dalla situazione economica e politica generale del Paese e dalle varie reazioni alle crisi. In uno Stato in cui la situazione economica è in un momento di crisi, anche la situazione lavorativa risente del clima generale di incertezza. La crisi economica provoca una stagnazione del mercato e un elevato tasso di disoccupazione. Tutto ciò crea un irrigidimento nei rapporti interpersonali e apre la strada a possibili situazioni di disagio psicologico. Relazioni soddisfacenti Solo attraverso relazioni soddisfacenti tra coloro che lavorano assieme si può operare con serenità e sentirsi realizzati nel lavoro. Attraverso buoni investimenti affettivi con le persone che si affiancano nel lavoro, si può trasformare la noiosa routine d‟ufficio in momenti positivi sul lato umano e professionale. Buoni rapporti con colleghi e collaboratori permettono di superare più facilmente le difficoltà pratiche ed emotive che il lavoro comporta. Le relazioni che sono instaurate in un‟azienda, quindi i fattori umani più di quelli economici, sono i primi responsabili di un impegno lavorativo produttivo. L‟atmosfera che regna nell‟azienda permettere di sentirsi realizzati od oppressi nel lavoro. Se manca l‟appoggio degli altri il lavoro diventa molto più difficile. Sicurezza e fiducia aiutano ad avere migliori relazioni con gli altri. La logica dell‟odio e del disprezzo annulla l‟identità, le potenzialità e la vitalità. Chi è disprezzato da un capo, un manager, un collega diventa insicuro e in questo modo riduce anche la produttività (Lazzari, 1998). Conclusioni La mancanza di una comunicazione significativa, la presenza di una cultura del conflitto contrapposta a una cultura della pace, la carenza di negoziazione che rafforza i motivi della conflittualità (autoritarismo e soggezione) creano situazioni che portano al mobbing. Credo che le parole di Sennet (2005, p. 119) siano più illuminanti di qualsiasi altra opinione in merito a che cos‟è e a come deve essere superato il mobbing, anche se l‟autore non tratta direttamente di tale fenomeno: “Il fallimento è uno dei grandi tabù moderni. La manualistica popolare è piena di ricette per il successo, ma non dice molto su come affrontare un fallimento. Riuscire a fare i conti con un fallimento, dandogli una forma e un posto nella storia della propria vita, è una cosa che può ossessionarci interiormente ma che di rado viene discussa con gli altri. Al contrario, spesso ci affidiamo alla sicurezza dei cliché: i difensori degli sventurati si comportano in questo modo quando cercano di trasformare un lamento ti- 11 po ho fallito con una risposta che dovrebbe essere consolatoria, tipo no tu sei solo una vittima”. Bibliografia indicativa Balducci C. (2000), “I processi psichici nel Mobbing”, Pitagora, Bologna. Carrettin S., Recupero N. (2001), Il mobbing in Italia – terrorismo psicologico nei rapporti di lavoro, Dedalo, Bari. Casilli A. A. (2000), “Stop Mobbing”, DriveApprodi, Roma. D‟Urso V. (1983), La gaffe e i suoi rapporti con il conscio, in F. Orletti, a cura di, Comunicare nella vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, pp. 134-144. De Falco A., Messineo F. (2003), Mobbing: diagnosi, prevenzione e tutela legale, EPC Libri, Roma. Depolo M. (a cura di) (2003), mobbing: quando la prevenzione è intervento, Angeli, Milano. Ege H. (1996), “Mobbing”, Bologna, Pitagora Editrice. Ege H. (1997), Il mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Editrice. Favretto G. (1994), “Lo stress nelle organizzazioni”, Bologna, Il Mulino. Gilioli A., Gilioli R. (2000), Cattivi capi, cattivi colleghi. Come difendersi dal mobbing e dal nuovo “capitalismo selvaggio”, Mondadori, Milano. Grice H. P. (1978), Logica e conversazione, in M. Sbisà, a cura di, Atti linguistici, Feltrinelli, Milano. Lazzari C. (1996), “Adesso mi arrabbio”, Pitagora, Bologna. Lazzari C. (1998), “Volersi bene sul lavoro”, Pitagora, Bologna. Mannheimer R. (1998), “Il benessere sul lavoro”, Sperling & Kupfer, Milano. Pancheri P. (1980), “Stress, emozione, malattia”, Mondadori, Milano. Pietroni D., Rumiati R. (2004), Negoziare, Cortina, Milano. Putnam L.L. (1994), productive conflict: negotiation as implicit coordination. In International Journal of Conflict Management, 5, pp. 207-304. Ranieri D. (2003), Il lavoro molesto - il mobbing: cos‟ è e come prevenirlo, Casa editrice Ediesse, Roma. Sennet R. (2005), L‟uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano. 12 La violenza sul luogo di lavoro di Enzo Kermol e Silvia Del Fabbro 1. Introduzione L‟International Labour Organization (ILO), è l‟agenzia specializzata delle Nazioni Unite3, che persegue la promozione della giustizia sociale, dei diritti umani e dei lavoratori. L‟organizzazione formula modelli internazionali di lavoro nella forma di Convenzioni e Raccomandazioni stabilendo i requisiti minimi dei diritti basilari del lavoro, quali la libertà di associazione, il diritto di organizzarsi, l‟abolizione del lavoro forzato, l‟eguaglianza di opportunità e di trattamento, e tutti i livelli che regolano le condizioni delle questioni correlate al campo del lavoro. L‟Agenzia fornisce assistenza tecnica in tutti i campi della politica dell‟impiego, della legge ed amministrazione del lavoro, della sicurezza sociale, delle condizioni di lavoro, ed elabora statistiche internazionali sul lavoro, sulla sicurezza e salute occupazionale. Nel contesto del “SafeWork inFocus programme 4”, è stato pubblicato nel 1998 il primo rapporto sulla violenza nei luoghi di lavoro 5, problema a lungo ignorato, negato o considerato una dura realtà da accettare come parte della vita quotidiana. La relazione dell‟ILO, invece, ha dimostrato pienamente la gravità del problema, ed i casi isolati di cui si aveva notizia dai mass-media hanno iniziato ad essere considerati parte di un fenomeno molto diffuso e preoccupante. Le informazioni emerse, e che stanno emergendo, indicano che ciò che per ora possiamo vedere è solo la punta di un iceberg, in quanto le reali dimensioni del fenomeno sono ancora ampiamente sconosciute. Stanno diventando, invece, progressivamente visibili gli enormi costi umani ed economici della violenza nel lavoro, a livello individuale, aziendale e sociale. Il luogo di lavoro era considerato generalmente come un ambiente libero dalla violenza, ma una serie di tragedie 6 hanno focalizzato l‟attenzione internazionale su tale problema. Iniziando a studiare il fenomeno si è rilevato che la violenza nel lavoro non riguarda fatti episodici ed individuali, ma è una questione strutturale radicata in più ampi fattori socioeconomici, organizzativi e culturali. A Johannesburg, l‟otto ed il nove novembre del 2000, ha avuto luogo l‟International Conference on Work Trauma, in cui Vittorio Di Martino 7, funzionario dell‟ILO, ha presentato una relazione, “Violence at the Workplace: the Global Challenge”8, in cui delinea gli sviluppi della ricerca sulla violenza nei posti di lavoro. Scrive Di Martino: “…la varietà di comportamenti che può essere inclusa sotto la generica definizione di violence at work è molto ampia, il confine dei comportamenti accettabili è spesso molto vago, e 3 Fu fondata nel 1919 ed è l‟unica grande organizzazione sopravvissuta del Trattato di Versailles che introdusse la Lega delle Nazioni. Nel 1946, l‟ILO divenne la prima agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Nell‟ambito dell‟apparato dell‟O.N.U., l‟ILO ha una struttura tripartita con lavoratori e datori di lavoro che partecipano come partner di pari eguaglianza con i governi nello svolgimento del lavoro dei loro organi governativi. Il suo sito web ufficiale è www.ilo.org. 4 www.ilo.org/public/english/protection/safework.htm. 5 Chappel D., Di Martino V., Violence at work, Geneva, International Labour Office, 1998. 6 Le sparatorie di Dunblane Primary school, Port Arthur (1996) e alla Thurston High School (1998), citati in: Chappel D., Di Martino V., Violence at Work,2nd ed., ILO publication, 2000. Ed in “Introduction to violence at work”,www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/intro.htm. 7 Senior Adviser, Innovation and Organisational Wellbeing, SafeWork. Alto funzionario che si occupa della violenza legata al luogo di lavoro nel SafeWork Programme. 8 In: www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/violwk/violwk.htm 13 la percezione, nei diversi contesti e culture di ciò che costituisce violenza è così diversa, che diviene una sfida importante descrivere e definire questo fenomeno. In pratica la violenza nei luoghi di lavoro può includere una vasta gamma di comportamenti, spesso contigui e sovrapponentisi. Coloro che, nella loro vita lavorativa, non hanno mai esperito od assistito ad uno di questi comportamenti sono probabilmente molto pochi, una fortunata minoranza.” La varietà dei comportamenti riassunti con il termine di violence at work include: omicidio, rapina, stupro, ferimenti, attacchi fisici, calci, morsi, fare a pugni, sputare, graffiare, stringere, pizzicare, inseguire, molestie, incluse quelle sessuali e razziali, bullying, mobbing, vittimizzazioni, intimidazione, minacce, ostracismo, lasciare messaggi offensivi, posture aggressive, gesti rozzi, venire in conflitto con arnesi ed attrezzature da lavoro, comportamento ostile, imprecare, urlare, ingiuriare, insinuazioni maligne, silenzio intenzionale.9 Una ricerca dell‟Unione Europea del 1996, riportata nella relazione di Di Martino, basata su 15.800 interviste a lavoratori di diversi settori economici e di diversi livelli di mansione operativa, ha rilevato che il 4% dei lavoratori (6 milioni) sono stati oggetto di violenza fisica nel corso dell‟anno osservato; il 2% dei lavoratori (3 milioni), in maggioranza donne, hanno subito molestie sessuali; l‟8% dei lavoratori (12 milioni) sono stati sottoposti ad azioni di intimidazione e bullying. I comportamenti considerati non sono quindi solo quelli che implicano l‟uso della violenza fisica, ma anche quelli che si manifestano come casi d‟aggressività psicologica. Una definizione generalmente accettata del comportamento aggressivo, lo descrive come “l‟insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui, tali da infliggere loro sofferenze fisiche e morali, oppure la morte”.10 Le rilevazioni statistiche sull‟incidenza della violenza nei posti di lavoro, indicano che questa è solo una parte di un problema più vasto che sarebbe più appropriato definire workplace aggression, poiché, se certamente molti lavoratori sono vittime di atti di violenza fisica omicida, una parte molto più consistente è oggetto di forme aggressive meno drammatiche. Bjorkqvist., Osterman e Hjelt-Back11 spiegano questa diffusione con il concetto di effect/danger ratio: gli aggressori scelgono quei comportamenti che procurano un effettivo danno alla vittima ma che allo stesso tempo li espongono al minor rischio possibile per sé stessi. Nei luoghi di lavoro, tale scelta è favorita da alcuni fattori come il contatto giornaliero prolungato con la vittima, che quindi aumenta la possibilità di una ritorsione da parte di quest‟ultima, la presenza di altre persone che, per il carattere coordinato del compito lavorativo, si trovano a stretto contatto fra loro. In tali condizioni (possibilità di ritorsione e testimoni), è probabile che il potenziale aggressore tenda a preferire delle condotte ambigue, che lasciano la vittima nell‟incertezza dell‟intenzionalità del torto subito. Queste forme di aggressività dissimulata, che possono mascherare sia l‟identità sia l‟intenzionalità dell‟aggressore sono state anche definite covert forms, distinte da quelle overt in cui l‟identità e le intenzioni aggressive dell‟individuo sono palesi. 9 Chappel D., Di Martino V., Violence at Work, Geneva, ILO Publications, 2000, p.11. Gergen Kenneth J. e Gergen Mary M., Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1985. p.379. 11 Bjorkqvist K., Osterman K., Hjelt-Back M., “Agression among university employees”, Aggressive Behavior 1994a, vol.20, p.173-184. Ed anche: Bjorkqvist K., Osterman K.,Lagerspetz K.M J., “Sex differences in covert aggression among adults”. Aggressive Behavior, 1994b, vol.20, p.27-33. 10 14 Baron e Neuman12, in un saggio sulla violenza nei posti di lavoro hanno condotto degli studi sperimentali al fine di esaminare se: vi sia evidenza significativa riguardo all‟ipotesi che le forme verbali, indirette e passive di aggressione (covert forms of agression) siano più comuni nei luoghi lavorativi piuttosto che le forme fisiche dirette ed attive. i cambiamenti, che si sono verificati recentemente in molti ambienti occupazionali, possano aver preparato la scena per l‟aumento dei comportamenti aggressivi. Baron e Neuman hanno assunto la suddivisione, proposta da Buss 13, che riparte gli atti dell‟aggressione umana in tre diverse dicotomie: Verbale – fisica: l‟aggressione verbale privilegia l‟uso delle parole al fine di danneggiare la persona, mentre la forma fisica implica azioni premeditate e manifeste intese a danneggiare la vittima in qualsiasi modo. Diretta – indiretta: un‟azione aggressiva diretta è tale quando il torto od il danno è fatto direttamente alla vittima, si dice indiretta se il torto è compiuto attraverso altre persone oppure tramite attacchi verso persone o cose importanti per la vittima. Attiva – passiva: se il torto è compiuto con l‟attuazione di un certo comportamento è un‟aggressione attiva, qualora il danno procurato alla persona è fatto non compiendo una certa azione, rifiutando o nascondendo di fare qualcosa, si può parlare di un‟aggressione passiva. Comprensibilmente il comportamento aggressivo reale è dato dall‟intersezione fra le componenti di queste bipartizioni, per esempio il non negare false voci su una persona è un comportamento verbale passivo indiretto, mentre diffondere delle dicerie è verbale attivo indiretto e così via. La ricerca di Baron e Neuman, è stata condotta su 178 individui, 92 donne e 86 uomini di età variabile fra i 20 e 60 anni, impiegati a tempo pieno, in diverse organizzazioni sia pubbliche sia private, produttive e di servizi con svariate posizioni lavorative. I soggetti hanno risposto al questionario fornito, riferendo che le forme di aggressione verbali e passive erano molto più diffuse nei loro ambienti di lavoro che quelle fisiche ed attive. Questo risultato è coerente con le conclusioni della ricerca di Bjorkqvist 14 che evidenziano una preferenza per le forme di covert aggression da parte delle persone di entrambi i sessi. Un esito diverso dalle ipotesi iniziali si è verificato invece per le forme di aggressione diretta vs. indiretta. I dati hanno mostrato una frequenza significativamente maggiore delle forme dirette di comportamento aggressivo rispetto a quelle indirette. Il risultato, secondo Baron e Neuman, è dovuto principalmente al fatto che le azioni verbali e passive massimizzano l‟effect/danger ratio per i potenziali aggressori, infatti le ricerche sull‟attribuzione della causa suggeriscono che è più difficile identificare l‟origine e l‟intenzionalità di azioni “non azioni” che di azioni manifeste, e la causa è più facilmente attribuita a fattori esterni all‟ambiente di lavoro. Nel caso invece di forme indirette di aggressione, in cui il torto è compiuto con azioni fatte da altre persone o colpendo gli interessi della vittima, l‟azione è comunque sempre manifesta e comporta il rischio di poterne essere individuato il mandante. 12 Baron R., Neuman J.H., “Workplace violence and Workplace Agression: evidence on their relative frequency and potential causes”, Agressive Behavior, 1996 vol.22, p.161-173. 13 Buss A.H., The Psychology of Aggression, New York, Wiley LTD, 1961. 14 Bjorkqvist K., Osterman K.,Lagerspetz K.M J., “Sex differences in covert aggression among adults”. Aggressive Behavior, 1994b, vol.20, p.27-33. 15 I ricercatori hanno anche rilevato che le azioni negative valutate come frequenti dai soggetti erano quelle che, in altre ricerche sono state definite con il termine comprensivo di organizational politics 15, infatti molte tattiche incluse in tale termine implicano azioni passive, come ad esempio non dare informazioni agli altri, non smentire dicerie su altre persone, non informare qualcuno su appuntamenti importanti, non fornire l‟aiuto richiesto da altre persone. Il fatto che, dai risultati emersi, le forme passive e verbali di aggressività siano maggiormente frequenti nei luoghi di lavoro, rispetto agli attacchi fisici ed attivi, non deve, secondo i due ricercatori, indurre a sottostimare il problema, perché la crescente frequenza di queste forme di aggressione è causa di allarme per le conseguenze negative per la salute fisica e psicologica delle vittime oggetto di tali “attenzioni”, creando spesso un desiderio di vendetta che può innescare una spirale pericolosa di violenza. Per quanto concerne la seconda ipotesi di lavoro di Baron e Neuman, hanno cercato un‟ulteriore conferma sperimentale alle indagini compiute da altri studiosi. Brockner ed altri colleghi in due studi successivi16 hanno riscontrato che, sia i lavoratori licenziati in seguito al downsizing, ridimensionamento, sia quelli sopravvissuti alla ristrutturazione, mostrano un aumento dei sentimenti di rabbia, frustrazione ed ansietà in seguito ai cambiamenti organizzativi delle loro aziende. Altre indagini17 hanno rilevato che quanto maggiore era la diversità etnica e culturale fra gli impiegati, nei diversi luoghi di lavoro, tanto maggiore si rivelava sia il loro atteggiamento negativo nei confronti dell‟organizzazione sia il loro disinteresse nel continuare a lavorarci. Fra le prime ricerche sull‟aggressività 18, alcune ne consideravano la frustrazione la causa principale, oggi invece si preferisce porre la questione nei termini di una serie di condizioni ambientali, disposizionali ed emotive che possono favorire il verificarsi di comportamenti aggressivi. Un‟attivazione emotiva generalizzata è fattore scatenante dell‟aggressività, attivazione che può essere prodotta da diversi stati emotivi dell‟individuo e dalle circostanze situazionali in cui egli si trova. Disposizioni negative, sensazioni d‟ansietà e frustrazione accrescono la tendenza all‟aggressività. Baron e Neuman hanno ipotizzato che i cambiamenti verificatisi ultimamente nelle organizzazioni lavorative, ristrutturazioni, ridimensionamenti, casse integrazione, tagli o congelamenti salariali, producendo un forte aumento delle sensazioni di rabbia, frustrazione e ansietà nei lavoratori, hanno favorito l‟aumento dell‟incidenza di casi di aggressività negli ambienti lavorativi. Somministrando ai soggetti un questionario conoscitivo sui cambiamenti verificatisi negli ultimi 12 mesi nei loro ambienti di lavoro, insieme al questionario sull‟aggressività, i ricercatori hanno rilevato che alcuni tipi di cambiamenti organizzativi erano fortemente correlati con la frequenza di aggressioni riportata. Aumento della diversità e dell‟impiego di lavoratori part-time, mutamenti nel management, tagli e congelamenti di salario, risultavano significativamente relati sia all‟aggressività subita sia a quella testimoniata. 15 Drory A., Romm T., “The definition of organizational politics: A review”, Human Relations, 1990, vol.43, p.1133-1154. 16 Brockner J., Grover S., Reed T., De Witt RL., “Layoffs, job insecurity, and survivors; work effort: Evidence of an inverte -U relationship”, in Academy of management Journal, 1992 vol.35, p.413-425. Konovsky MA., Brockner J., “Managing victim and survivor layoff reactions: A procedural justice perspective”. In Cropanzano R., Justice in the Workplace. Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1993, p.133-153. 17 Tsui,AS. Egan, TD., O‟Reilly CA., “Being different: Relational demography and organizational attachment”. 1994(III), Administrative Science Quarterly, 37, p.549-579. 18 Gergen K.J., Gergen M.M., Psicologia Sociale, Bologna, Il Mulino, 1985, pp.377-421. 16 Tagli di budget, reengineering e job sharing 19 erano in relazione significativa solo con testimonianze d‟aggressioni, invece il controllo tramite computer del rendimento lavorativo era correlato solo con l‟aggressione esperita. In tutti i casi comunque, più grandi erano i cambiamenti percepiti, più alta risultava la frequenza dell‟aggressività denunciata. In particolare, Baron e Neuman hanno ricercato se vi fossero delle variabili di previsione per la frequenza dell‟aggressione negli ambienti di lavoro. Hanno rilevato che alcuni dei mutamenti organizzativi rappresentavano dei significativi fattori di predizione, l‟aumento di impiegati part-time, cambiamenti nel management erano significativi fattori per l‟aggressività testimoniata; l‟aumento di lavoratori part-time e della diversità etnica o culturale, i tagli ed i congelamenti salariali erano significativi per l‟aggressione subita. Tutte le trasformazioni, tagli salariali e di budget, part-time, sostituzioni nella direzione, controllo automatizzato dell‟esecuzione del lavoro, lavoro di gruppo, reenginering, sono anche legate potenzialmente ad un deterioramento dell‟ambiente lavorativo che può portare all‟aumento dei comportamenti aggressivi20. La ricerca di Baron e Neuman, permette di osservare meglio i dati riportati nel rapporto dell‟International Labour Organization e la loro interpretazione. I comportamenti riassunti nel termine di violence at work, sono molto vari e contengono azioni che si pongono sulla linea di confine fra accettabilità/rifiuto di un comportamento, altri possono essere interpretati in modo diverso dalle diverse culture. Nonostante tale ambiguità, la presenza di queste varie forme di violenza subdola, fisicamente manifesta e psicologica, sta divenendo un problema crescente nei luoghi di lavoro di tutto il mondo 21. La relazione dell‟ILO, segnalando l‟aumento di tale violenza a livello mondiale, invita a pensare che il problema sta divenendo sempre più globale e trascende le frontiere dei singoli paesi, i particolari ambienti di lavoro o gruppi professionali, anche se certamente alcuni tipi di lavoro sono più a rischio degli altri, per esempio quelli che implicano il lavorare da soli, o di notte od in luoghi a contatto con il pubblico (banche, negozi, scuole, ospedali). L‟incremento non si riferisce solo alla violenza fisica. Negli ultimi anni l‟impatto ed il danno, causati dalla violenza psicologica, sono emersi nella loro gravità. Sia i lavoratori sia i datori di lavoro hanno dimostrato un crescente riconoscimento che quella psicologica è una grave forma di violenza che causa seri danni alla persona, alle aziende ed alla società. Una ricerca statistica del Canadian Union of Public Employees 22 ha indicato che almeno il 70% degli intervistati riteneva che l‟aggressione verbale fosse la principale forma di aggressione contro di loro. La violenza rilevata negli ambienti lavorativi consiste anche in una serie ripetuta di azioni che, in sé stesse sono considerate degli atti di aggressione relativamente meno gravi, ma che proprio per il loro carattere ripetitivo e cumulativo nel tempo possono di- 19 Reenginering: cambiamenti essenziali nel modo di condurre gli affari della compagnia. Job sharing: condivisione del lavoro, più impiegati partecipano allo stesso lavoro. 20 “Quando mi parlano di lavorare in team, ora capisco cosa vogliono dire: vogliono dire scatenare una guerra fra bande in ufficio.[…]- Roberto, 30 anni, Milano. In: Casilli A.A., Stop mobbing, collana MAP, DeriveApprodi srl., 2000, p.84. 21 www/ilo.org/public/english/bureau/inf/magazine/26/violence.htm “World of Work, When working becomes hazardous”, The Magazine of the ILO No.26, September/October 1998. 22 Chappel D., Di Martino V., Violence at work, Ginevra International Labour Office, 1998. 17 venire una forma grave di violenza come le molestie sessuali, il bullying ed il mobbing23. Le molestie sessuali sono costituite spesso da una serie di azioni sgradite e imposte che si ripetono nel tempo e che nel loro perdurare aggravano i loro effetti negativi sulla vittima. Se il fenomeno delle molestie sessuali ha ricevuto, ormai da un lungo periodo di tempo l‟attenzione degli studiosi, generando un consistente bagaglio di studi psicologici e sociologici ed una serie di interventi legislativi e manageriali in gran parte dei paesi industrializzati, un fenomeno relativamente nuovo è costituito dal mobbing e bullying at work. La comprensione di questo fenomeno è relativamente recente, e fra gli studiosi del campo non vi è ancora un perfetto accordo sulla sua definizione. Come passo introduttivo all‟analisi di questa forma di maltrattamento lavorativo assumiamo le spiegazioni dei concetti riportate da Di Martino, nella sua relazione al congresso di Johannesburg, e dagli articoli disponibili sul sito web dell‟International Labour Organization. Di Martino distingue i due termini definendoli separatamente 24: Workplace bullying: una delle forme di violenza sul lavoro in rapida crescita. Costituisce una condotta d‟offesa, per mezzo di attentati punitivi, crudeli, malevoli o umilianti, al fine di insidiare o danneggiare un individuo od un gruppo di lavoratori con azioni come rendere la vita difficile per coloro che sono potenzialmente in grado di svolgere meglio il lavoro dell‟aggressore (bully), aggredire con urla lo staff per far fare le cose, insistere che “il modo di fare del bullo è quello giusto 25”, rifiutare di delegare i compiti perché il bullo ritiene che non possano essere affidati a nessun altro, punire gli altri con critiche costanti o rimuoverli dalle loro responsabilità perché divenuti troppo competenti. Una ricerca condotta nel Regno Unito ha rivelato che il 53% dei lavoratori è stato vittima del bullying at work ed il 78% testimone di condotte del genere. Uno studio finlandese sugli effetti del bullying negli impiegati municipali ha indicato che il 40% delle vittime –bullied- hanno provato “molto” o “moltissimo” stress, il 49% si è sentito insolitamente stanco sul lavoro, ed il 30% era nervoso “spesso” o “costantemente”. Il Giappone, nel corso degli anni novanta, è stato colpito da una grave recessione economica, che ha indotto le maggiori compagnie ad attuare forti politiche di downsizing abbandonando quelle del lavoro a vita. Alla perdita della sicurezza del lavoro a vita e del sistema d‟avanzamento per anzianità, si è unito un forte bullying contro i colletti bianchi. Il loro sindacato, il “Tokyio Managers‟Union”, ha aperto, per due brevi periodi nel giugno e nell‟ottobre del 1996 un centro d‟ascolto antibullying, “bullying hot-line” che ha risposto a 1.700 richieste d‟aiuto. Tutte le chiamate riguardavano problemi di stress e situazioni che richiedevano un urgente trattamento psicologico. Fra coloro che chiamavano il centro vi erano molti familiari di persone che si erano suicidate od avevano tentato il suicidio. Ganging up or Mobbing: è un problema crescente in Australia, Austria, Danimarca, Germania, Svezia, Gran Bretagna e Stati Uniti. E‟ una forma sistematica di violenza collettiva. Implica l‟attaccare in banda un lavoratore e sottometterlo a molestie psicologiche. Il mobbing comporta costanti osservazioni negative, critiche, isolamento della persona dai contatti sociali, il fare pettegolezzi su di lei e diffondere false informazioni, schernirla sistematicamente. Sebbene tali condotte possano in su23 www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/intro.htm Introduction to violence at work. Violence at the workplace:the Global Challenge, www.ilo.org 25 “the bullys way is the right way”. 24 18 perficie sembrare, se prese singolarmente, azioni minori, la loro persistenza nel tempo può produrre seri danni all‟equilibrio della persona. I ricercatori svedesi hanno stimato che ogni anno il 10-15% dei suicidi in Svezia ha questo tipo di background. La violenza sul lavoro non ha solo degli effetti immediati sulla vittima, ma le sue conseguenze negative si estendono progressivamente ledendo direttamente o indirettamente altre persone, l‟impresa e la comunità sociale 26. Effetti a livello individuale sono l‟umiliazione e la sofferenza della vittima che conducono ad una perdita della motivazione, dell‟autostima e della fiducia in sé stessi. Depressione, rabbia, ansietà, irritabilità, se non curate, con adeguati interventi e con l‟eliminazione della causa della violenza, possono svilupparsi in malattie psicosomatiche, patologie mentali, abuso di alcool e droga. Possono culminare in infortuni sul lavoro, invalidità e, in casi estremi, nel suicidio. Effetti sul luogo di lavoro sono un immediato deterioramento, spesso a lungo termine, delle relazioni interpersonali, dell‟organizzazione del lavoro e dell‟ambiente lavorativo. I datori di lavoro devono sostenere il costo del lavoro mancato, dell‟assenteismo e l‟aumento delle misure di sicurezza. Devono sostenere anche i costi indiretti della ridotta efficienza e produttività, il deterioramento della qualità del prodotto o servizio, la perdita d‟immagine e la riduzione del numero di clienti. Effetti a livello di comunità sociale comprendono le spese mediche, il peso economico e sociale della disoccupazione, i costi del riaddestramento delle vittime che hanno perso il loro lavoro a causa di tale violenza. La pensione di inabilità ed invalidità quando le capacità lavorative della vittima sono definitivamente compromesse. Recentemente, gli esperti hanno iniziato a cercare di quantificare i costi di tale fenomeno. Negli Stati Uniti il costo della violenza sul lavoro è stato stimato approssimativamente in 1,8 milioni di giorni di lavoro persi ogni anno. Si è stimato che in Germania il costo totale del mobbing è pari a 2,5 miliardi di marchi all‟anno, il costo diretto per un‟impresa di mille lavoratori è di 200 mila marchi più i costi indiretti che ammontano a 100 mila marchi all‟anno. Di Martino, ritiene che il nuovo profilo della violenza che emerge dagli studi internazionali, da un lato dà eguale enfasi alle condotte aggressive fisiche ed a quelle psicologiche e, dall‟altro conferisce pieno riconoscimento al significato ed alla gravità di atti di violenza minore. 26 SafeWork Programme. Introduction to violence at work. www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/intro.htm. 19 Capitolo secondo Mobbing - Bullying at work 2.1. Gli studi di Heinz Leymann Lo studio del fenomeno mobbing e bullying at work come nuovo settore di ricerca è relativamente recente, gli atti aggressivi che compongono questo fenomeno erano stati oggetto di vari studi nei diversi campi della psicologia, ma solo con lo psicologo tedesco, trapiantato in Svezia, Heinz Leymann, docente di Psicologia del lavoro all‟Università di Stoccolma, si è isolato e definito questo campo di ricerca. Leymann, studioso delle forme di comportamento ostile di lunga durata di gruppi di bambini contro un altro bambino nelle scuole, si era accorto che uno stesso tipo di fenomeno si verificava negli ambienti lavorativi. Le ricerche su tali forme d‟aggressività, fra bambini ed adolescenti nelle scuole, erano iniziate negli anni settanta a livello internazionale ed il fenomeno è stato definito bullying dal verbo inglese to bully27: fare lo spaccone, tiranneggiare, angariare. La letteratura in questa area di ricerca è vasta ed a livello internazionale, con un generale consenso sulla definizione del fenomeno e l‟adozione di misurazioni standardizzate come ad esempio l‟Olweus bullying index 28. Nei paesi scandinavi Heinemann29 aveva mutuato il termine mobbing dall‟etologia, invece di usare il termine bullying, per definire il complesso di comportamenti aggressivi protratti nel tempo e che possono causare seri danni alla salute psichica e fisica del bambino vittima di tali prepotenze fisiche e verbali. Introdotto dall‟etologo Konrad Lorenz30, il termine è la forma verbale in ing del verbo to mob che significa31 assalire, malmenare, aggredire da parte della folla; accalcarsi, pressarsi intorno a qualcuno. Lorenz con il termine mobbing spiegava uno specifico comportamento di gruppo di piccoli animali: l‟attacco in massa contro un animale nemico, o percepito come tale, per spaventarlo e mandarlo via. Questa modalità del comportamento animale ben descriveva la condotta distruttiva di alcuni gruppi di bambini contro un altro bambino. Leymann32 scelse di adottare tale termine per definire il tipo di conflitto sul luogo di lavoro in cui la vittima è soggetta a un sistematico processo di stigmatizzazione ed abuso dei suoi diritti civili. Se tale processo perdura per un lungo periodo di tempo, può, in ultima analisi, condurre la vittima all‟espulsione permanente dal mercato del lavoro, in quanto, per la persona in questione, diviene impossibile trovare un altro impiego a causa dei danni psicologici provocati dal lungo periodo di aggressività subita. Il fenomeno è certamente molto vecchio ed è ben conosciuto in ogni cultura, ma prima della ricerca di Leymann e Gustavsson iniziata nel 1982 e pubblicata nel 1984 dal National Board of Occupational Safety and Health di Stoccolma, non era mai stato sistematicamente descritto. Le prime ricerche sul mobbing sono state condotte nei paesi scandinavi. Bisogna attendere i primi anni novanta per assistere alla loro diffusione in Germania e poi negli altri paesi europei. 27 Grande dizionario Hazon Garzanti inglese-italiano, italiano-inglese, Garzanti, 1978. Olweus D. Aggression in school: bullies and their whipping boys, Washington DC., Hemisphere, 1978. 29 Citato da Leyman H., in “The Content and Developement of Mobbing at work”, European journal of work and organizational psychology, 1996 vol.5, p.165-184. 30 Lorenz K., Io sono qui, tu dove sei?: etologia dell’oca selvatica, Milano, Mondadori, 1992. 31 Grande dizionario Hazon Garzanti inglese-italiano, italiano-inglese, Garzanti, 1978. 32 Leymann H, “The Contenent and Development of Mobbing at Work”, 1996, European Journal of work and organizational psychology, 5(2), p.165-184. The Mobbing Encyclopaedia, www,leymann.se 28 20 Leymann33, ha definito il fenomeno del terrore psicologico sul lavoro o mobbing come “una comunicazione ostile e non etica che è diretta in modo sistematico da una o più persone contro un individuo, il quale a causa del mobbing è spinto in una posizione in cui è privo di aiuto e difesa, e lì costretto per mezzo di continue azioni mobbizzanti. Ci sono casi in cui il mobbing è reciproco prima che una delle due parti diventi socialmente inferiore. Le azioni mobbizzanti hanno luogo spesso (almeno una alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (almeno sei mesi) e, a causa della loro frequenza e durata, portano ad una considerevole sofferenza psichica e psicosomatica. Tale definizione esclude i conflitti temporanei, e focalizza l‟attenzione in quella zona di transizione in cui la situazione psicosociale inizia a risolversi in uno stato patologico psichiatrico e/o psicosomatico. In altre parole, la distinzione fra un conflitto ed il mobbing non si basa su cosa é fatto o come viene fatto, ma sulla frequenza e la durata di ciò che è fatto e che ne determina la gravità”. La definizione di Leymann si basa su criteri statistici di frequenza e durata delle azioni mobbizzanti molto rigidi ed a tal fine nel 1989 ha elaborato anche un questionario per discriminare le persone mobbizzate da quelle non mobbizzate, il Leymann Inventory of Psychological Terrorization, chiamato abbreviatamente LIPT. Il lavoro di ricerca di Leymann si è svolto inquadrando le indagini sullo stress psicologico o somatico: quanto intenso deve essere il mobbing per condurre ad una malattia psicologica o psicosomatica? Nelle sue indagini il Mobbing è considerato come un fenomeno sociale estremo, innescato da un grave stressore sociale che causa una catena di effetti negativi come per esempio reazioni di stress biologico e psicologico. Leymann ha identificato una serie di attività mobbizzanti in base agli effetti che producono sulla vittima ed ha elaborato un modello a quattro fasi per descrivere ciò che avviene nel mobbing. Le Azioni mobbizzanti, sebbene siano usate in modo distruttivo nei casi di mobbing, in sé stesse non sempre hanno un carattere unicamente negativo. Esse consistono in larga misura in comportamenti interattivi abbastanza normali che, usati frequentemente e per lungo tempo allo scopo di molestare diventano pericolosi, cambiando il loro contenuto e significato. L‟uso sistematico nelle relazioni interpersonali di tali azioni innesca lo sviluppo del processo mobbizzante. Leymann, in base a interviste informali ed alla sua concettualizzazione del fenomeno, ha identificato cinque tipologie di comportamenti a seconda degli effetti che hanno sulla vittima, il mobbizzato: Effetti sulle possibilità di una comunicazione adeguata della vittima. Non è data la possibilità di comunicare, si è zittiti, attacchi verbali contro la persona riguardo ai compiti di lavoro, minacce verbali, comportamenti verbali per rifiutare, respingere l‟individuo. Effetti sulle possibilità della vittima di mantenere contatti sociali. I colleghi non si intrattengono con la persona o evitano di parlare con lei, il management vieta alla vittima di parlare con i colleghi, la persona viene isolata in una stanza lontano da tutti gli altri. 33 Leymann H., “Mobbing and Psychological Terror at Workplaces”, Violence and Victims, 1990, vol.5(2), p.119-126. Leymann H., “The Content and Development of Mobbing at Work”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, vol.5(2), p.165-184. www.leymann.se The Mobbing Encyclopaedia. File 12100e. 21 Effetti sulle possibilità di mantenere la propria reputazione. Pettegolezzi diffusi sulla vittima, la persona é continuamente schernita, gli altri la prendono in giro per un suo handicap o per la sua etnia o per il modo di muoversi, parlare e così via. Effetti sulla situazione occupazionale della vittima. Non viene affidato alcun compito, oppure é dato senza fornire alcuna spiegazione. Effetti sulla salute fisica della vittima. Sono assegnati compiti pericolosi, l‟individuo subisce minacce fisiche o viene attaccato fisicamente, molestie sessuali fisiche dirette. Leymann ha identificato in tal modo 45 tipi diversi d‟attività mobbizzanti, riportate poi nel questionario LIPT. Successive ricerche d‟incidenza statistica, come vedremo, hanno portato a risultati simili. Leymann ha messo in evidenza che le condotte ostili da lui descritte sono desunte da indagini svolte nei paesi nordeuropei, contemplando l‟ipotesi di ritenere che in altri paesi, con culture e mentalità diverse, possano trovare spazio altri tipi di comportamento ostile che non sono diffusi nei paesi della sua area di ricerca. In base ai casi analizzati Leymann ha creato un modello convenzionale di svolgimento del mobbing in quattro fasi. Il mobbing è un processo che si evolve nel tempo, cambiando carattere come cambia la scena sociale. Non è detto che il processo attraversi tutte e quattro le fasi e giunga sempre agli esiti conclusivi che esamineremo, talvolta può fossilizzarsi in una fase per lunghi periodi di tempo o svolgersi a ritmo sostenuto saltando immediatamente alla fase finale. In alcuni casi, all‟inizio non è ben chiaro, fra le due parti in conflitto chi sarà la vittima, solo con l‟evoluzione della disputa diventano evidenti i ruoli di vittima (mobbed) ed aggressore (mobber). Leymann definisce la vittima come quell‟individuo che nel dissidio ha perso le sue abilità di difesa (coping resources). Fase 1. Segnali critici premonitori. In realtà, a stretto giro di definizione, la prima fase non è ancora mobbing, ma costituisce l‟episodio scatenante, di solito un conflitto. Il mobbing, infatti, può essere visto anche come un conflitto intensificato, aggravato, estremizzato. Ci sono varie ipotesi su come un conflitto si evolva in un processo di mobbing che esamineremo analizzandone le cause. Questa fase di solito è molto breve, e talvolta può essere saltata del tutto passando direttamente alla seconda. Fase 2. Mobbing e Stigmatizzazione. In questa fase compaiono le azioni di stigmatizzazione da parte di colleghi, superiori e qualche volta anche da inferiori di grado. Abbiamo visto che questi comportamenti non necessariamente indicano in sé stessi un‟aggressione, od il tentativo di allontanare qualcuno. Il loro carattere continuativo e frequente, unito ai loro scopi ostili, rendono difficile la vita alla persona che li subisce, sottoponendola ad un vero terrorismo psicologico che progressivamente la destabilizza psicologicamente. La vittima spesso non riesce a capire cosa succede intorno a lei e cerca di normalizzare la situazione con il mobber (o i mobbers). Il comune denominatore di tutte queste azioni mobbizzanti è quello di impostarsi sul desiderio di attaccare la persona, punirla in qualsiasi modo, distruggerla. La manipolazione aggressiva è la principale caratteristica di queste situazioni. Vengono manipolate: la reputazione della vittima, la comunicazione nei suoi confronti, l‟interazione sociale, la natura del lavoro o la possibilità di svolgerlo, la violenza o le minacce di violenza. Fase 3. Amministrazione del personale. Quando interviene la direzione, gli accadimenti divengono ufficialmente un caso. La situazione mobbing viene a conoscenza di tutti, ma l‟opera di stigmatizzazione dà i suoi frutti poiché diventa facile giudicare erroneamente gli avvenimenti attribuendone la responsabilità alla vittima. Il management, 22 nel cercare una soluzione alla situazione, tende ad accettare i pregiudizi e le voci diffuse dai colleghi o superiori della vittima nello stadio precedente. Molto spesso la direzione del personale ritiene che il problema sussista a causa della personalità della vittima, considerata deviante in base all‟osservazione dei suoi comportamenti di difesa, di eventuali cadute di rendimento, delle sue lamentele, delle assenze per malattie e deducendo quindi che la persona soffra di problemi psicologici personali. L‟errore di attribuzione della causa induce quindi a trovare spiegazioni basate sulle caratteristiche della persona piuttosto che nell‟ambiente lavorativo. E‟ il caso in cui il management responsabile dell‟ambiente psicologico di lavoro rifiuta di assumersi le responsabilità della situazione. Spesso quindi la soluzione adottata risulta essere quella di liberarsi a tutti i costi della vittima, anche con violazioni dei diritti civili e delle leggi del lavoro, a seconda delle legislazioni dei diversi paesi. Il management cerca di licenziare la vittima o di indurla alle dimissioni in tutti i modi, ad esempio con trasferimenti, demansionamenti, non dando alla persona possibilità di replica, non informandola sui suoi diritti, sovraccaricandola di lavoro da svolgersi in tempi strettissimi. In questa fase, Leymann34 inserisce anche la possibilità di diagnosi scorrette compiute da psichiatri e psicologi cui la vittima talvolta ricorre. Il rischio è che, a causa della non conoscenza del fenomeno mobbing, gli specialisti sottovalutino il contesto ambientale lavorativo in cui si trova la vittima, e la giudichino in base ai sintomi che presenta, diagnosticando per esempio paranoia, sindrome maniaco depressiva, disturbi del carattere. Queste diagnosi possono definitivamente distruggere le possibilità per la vittima di una riabilitazione personale ed occupazionale. Fase 4. Espulsione. Non tutte le situazioni di mobbing arrivano a questa fase estrema rappresentata dall‟espulsione dal mercato del lavoro. Le vittime sono state così stigmatizzate e marchiate come individui disturbanti che difficilmente riescono a rientrare nel mercato del lavoro. Leymann, riferendosi ai paesi scandinavi, rileva che i più pericolosi eventi che provocano ulteriore danno sono lunghi periodi di licenza per malattia, nessun affidamento di compiti lavorativi pur essendo ancora impiegati, trasferimenti a mansioni inferiori e trattamenti psichiatrici. Il lavoro di Leymann è stato molto importante per delineare il fenomeno mobbing, la sua gravità e la sua estensione all‟interno degli ambienti lavorativi. Ha analizzato, come si vedrà, le conseguenze di questo maltrattamento psicologico mettendo in luce la gravità di alcuni esiti drammatici per la vita e la salute delle vittime come lo sviluppo della sindrome post-traumatica da stress e la scelta radicale di rinuncia alla vita, Leymann 35 ha calcolato, in base ai suoi studi ed alla sua vasta esperienza clinica, che il 10-15% dei casi di suicidi che si verificano ogni anno in Svezia hanno come antecedenti situazioni drammatiche di mobbing. Il potenziale distruttivo di questa sistematica destabilizzazione dell‟individuo può essere veramente molto alto e riflettersi sulla stessa impresa e sulla società. Le ricerche di Leymann hanno indotto il governo svedese ad assumere dei provvedimenti per porre un‟argine al fenomeno. Il National Board of Occupational Safety and Health (NBOSH) già nel 1989 aveva distribuito materiale informativo per la diffusione della conoscenza del mobbing e per una prima azione di prevenzione, ed in seguito il governo svedese ha inserito nella legislazione del lavoro inerente la salute fisica e mentale del lavoratore tre successive integrazioni per tutelarlo maggiormente con particolare riguardo al fenome34 www.leymann.se Mobbing-its course over time. File 12220e. Leymann H., “Mobbing and Psychological Terror at Workplaces”, Violence and Victims, 1990, vol.5 (2) p.119-126. 35 23 no mobbing. Al datore di lavoro è imposto di controllare regolarmente l‟ambiente lavorativo per poter intervenire immediatamente in caso di problemi, sono previsti interventi diretti nel caso si verifichino casi di mobbing ed è responsabilità del datore di lavoro attuare la riabilitazione professionale se il dipendente si è assentato per malattia molto spesso durante l‟ultimo anno oppure è rimasto per almeno un mese lontano dal lavoro per malattia. 2.2. Mobbing, bullying, harassment: fenomeni simili? Le ricerche sul mobbing hanno avuto un ampio sviluppo nei paesi del Nord Europa, Svezia, Norvegia, Finlandia, e nei primi anni novanta si sono diffuse in Germania e poi in tutti gli altri paesi. Leymann aveva deciso di proposito di scegliere il termine mobbing nei primi anni ottanta, come spiega nei suoi lavori36, perché le caratteristiche del fenomeno non corrispondono perfettamente a quelle del bullying, molto spesso le azioni mobbizzanti sono contraddistinte da modi molto sensibili, impalpabili, sebbene con grandi effetti di stigmatizzazione. Le caratteristiche del bullying, invece sono l‟aggressione fisica e la minaccia. Il fenomeno del bullying nelle scuole infatti è fortemente contrassegnato da azioni aggressive fisiche dirette mentre la violenza fisica nei casi di mobbing è molto rara, invece sono molto comuni comportamenti più sofisticati e subdoli mirati all‟isolamento sociale della vittima. Leymann suggerisce così di utilizzare il termine bullying per quei fenomeni che si verificano fra bambini in età scolare ed adolescenti, e di riservare il termine mobbing all‟ambito del mondo degli adulti. Di fatto però, tuttora non esiste un‟unificazione terminologica per questo nuovo campo di ricerca, il termine bullying at work identifica il medesimo campo di ricerca del mobbing, e tale termine è diffuso prevalentemente nei paesi di lingua anglossassone. Nella prefazione ad un inserto dedicato al “Mobbing and victimization at work” dell‟European Journal of Work and Organisational Psychology37, Zapf e Leymann rilevano che, come spesso accade nel campo delle scienze sociali, ci sono alcune complicazioni riguardo alla terminologia usata per la denominazione del fenomeno. I ricercatori che hanno iniziato ad occuparsi del problema provengono da diverse tradizioni di ricerca e quindi usano i termini a loro consueti. Alcuni usano mobbing, altri preferiscono il termine bullying, ma entrambi questi termini, nei loro significati originali non si accordano perfettamente con ciò che si vuole intendere nel contesto delle ricerche sul mobbing. In alcuni paesi, come la Germania vi è un‟oscillazione d‟uso del termine da mobbing a bullying, il secondo per sottolineare maggiormente l‟aspetto dell‟aggressività fisica, che però, secondo i due ricercatori, non è un caso frequente nei contesti organizzativi dove risulta essere più appropriato l‟uso del termine mobbing. In ogni modo, di frequente i termini mobbing, bullying ed harassment sono usati in modo intercambiabile, sebbene spesso si usi il termine bullying con riferimento ai casi di violenza psicologica prolungata del superiore nei confronti del suo sottoposto. 36 The Mobbing Encyclopaedia, www,leymann.se. AAVV “Mobbing and Victimization at Work”, European Journal of Work and Organizational Psychology, guest editors Dieter Zapf, Heinz Leymann, 1996 vol.5 n.2 p.160-320. 37 24 Nell‟introduzione al suo articolo “Organisational, work group related and personal causes of mobbing/bullying at work”38, Zapf, opera una distinzione teorica dei termini. Definisce il mobbing come un‟aggressione psicologica che spesso implica un gruppo di aggressori, mobbers, piuttosto che una sola persona. E‟ una forma estrema di stressore sociale nel lavoro, ma diversamente dagli stressori sociali “normali”, il mobbing si contraddistingue per un conflitto crescente di lunga durata con frequenti azioni di vessazione sistematicamente dirette ad una persona presa come bersaglio (target person). Il bullying è connotato invece dalla presenza di aggressioni fisiche compiute prevalentemente da una singola persona, spesso un superiore. Operata questa distinzione teorica, Zapf, subito dopo, afferma che, nel proseguo del suo saggio, i termini mobbing e bullying saranno usati in modo intercambiabile. Le diverse denominazioni del fenomeno, più che per differenze teoriche, paiono dipendere molto dall‟area geografica di provenienza degli studi. Nei paesi di lingua anglosassone, in Norvegia, e Giappone è più diffuso il termine bullying at work, in Svezia, Francia, Italia, nei paesi di lingua tedesca e dell‟Europa dell‟est è più usato il termine mobbing. Molto diffuso è anche il termine work harrassment, harcèlement moral au travail in francese, solitamente per definire un evento negativo singolo, e non un insieme di comportamenti, sebbene il termine inglese harassment abbia anche il significato di un bersagliare ininterrotto con continui attacchi39. L‟uso del termine harassment diffuso nei paesi anglosassoni, è legato al campo di studio delle molestie sessuali e razziali. Un importante testo è il saggio del 1976 di Carrol Brodsky, The Harassed Worker40. L‟autore, come Independent Medical Examiner per il California Workers‟ Compensation Appeals Board, ha raccolto i casi esaminati dal suo ufficio. Nel libro sono state esaminate da un punto di vista clinico le varie forme di discriminazione ed abuso lavorativo; da questo studio iniziarono le ricerche americane sulle molestie sessuali e le discriminazioni razziali. Brodsky ha rilevato che le molestie sessuali erano solo uno dei cinque tipi di vessazioni sul lavoro; le ingiurie, il processo di capro espiatorio, gli abusi fisici e le pressioni lavorative erano frequenti quanto le molestie sessuali. Ha definito l‟harassment come tutti quegli atti che ripetutamente e persistentemente mirano a tormentare, logorare, frustrare una persona, sia pure come tutti i comportamenti ripetuti che in definitiva vorrebbero provocare, spaventare, intimidire o procurare disagio alla persona destinataria di tali atteggiamenti. Individua come attore del comportamento un singolo individuo, come si evince dal testo41, e considera che le molestie possano essere di fatto una caratteristica intrinseca, un meccanismo fondamentale all‟interno di tutte le relazioni umane. Dall‟analisi dei suoi casi ha concluso che se si verificano molestie, ciò avviene perché gli elementi della molestia esistono all‟interno di una cultura che permette o addirittura ricompensa tali comportamenti. 38 Zapf D., “Organisational, Work Group Related and Personal Causes of Mobbing/Bullying at Work”, International Journal of Manpower, 1999, vol.20, n.1/2, p.70-85. Reperibile anche sul sito web: www.worktrauma.org 39 Grande Dizionario Hazon Garzanti, Milano, Garzanti Editore,1978. 40 Brodsky C.M., The Harassed Worker, Toronto, Lexington Books, DC Heath and Company, 1976. 41 “[…] repeated and persistent attempts by one person to torment, wear down, frustrate, or get a reaction from another […]”. Brodsky C.M., The Harassed Worker, Lexington Books, 1976, p.2. 25 Brodsky distingue fra molestia soggettiva, riferendosi alla consapevolezza della vessazione da parte della vittima, e molestia oggettiva, che si riferisce alla situazione dove è trovata un‟evidenza esterna della molestia. Le ricerche sulle molestie sessuali hanno mostrato che un evento considerato mediamente offensivo da una persona, da altre può essere percepito come abbastanza serio da giustificare delle lamentele formali. La distinzione fatta da Brodsky permette ai ricercatori di valutare, in relazione al comportamento, se la persona si sente attaccata o meno, e in relazione alle reazioni della vittima alla situazione, se altre persone le giudicherebbero come aggredite o meno. Alcuni ricercatori come Einarsen 42, del gruppo norvegese che si occupa di mobbing/bullying at work, dissentono da questa dicotomia, perché hanno osservato che gli effetti della cultura del lavoro sono un parametro di cui tener conto, perché influenzano l‟interpretazione del comportamento come aggressione o meno e la sua accettabilità. La cultura agisce infatti come uno schermo attraverso il quale vengono interpretate le azioni ed i comportamenti, ed inoltre persone diverse possono avere diverse soglie di accettabilità di uno stesso comportamento. Il lavoro di Brodsky, sebbene non sia stato il punto di partenza per lo studio del mobbing, almeno nei paesi del Nord Europa, come affermato da Leymann, ha costituito sicuramente un utile elemento di confronto e spunto di analisi per le ricerche sul mo bbing. Per quanto vi siano differenti termini usati per descrivere il fenomeno come mobbing, harrassment, bullying, victimisation, emotional abuse, Einarssen43 ritiene che tutti si riferiscano al medesimo fenomeno che è la sistematica persecuzione di un collega, un subordinato e qualche volta un superiore che, se continuato nel tempo, può causare alla vittima gravi problemi psicologici e psicosomatici. Nella letteratura psicologica si possono trovare anche altri termini come: employee abuse, emotional abuse, petty tyranny, psychological terrorization, horizontal violence. La presenza di questi molteplici termini può indurre una certa confusione e molti ricercatori auspicano una unificazione terminologica. Ege44, ricercatore tedesco che è stato il primo studioso ad introdurre in Italia lo studio del fenomeno mobbing, appoggiandosi agli studi sulla terminologia in uso di Niedl, ha deciso di utilizzare solo il termine mobbing perché ritiene che possa raggruppare sotto di sé il significato degli altri termini, come bullying, che avviene fra superiore e sottoposto, employee abuse, abuso di potere che è anch‟esso una delle forme del mobbing. Una precisazione invece richiede il termine bossing, assimilabile al mobbing quanto alla modalità di azione, ma in un certo senso diverso perché vede all‟opera l‟azienda stessa contro i suoi dipendenti divenuti scomodi per varie ragioni. In quest‟analisi del fenomeno mobbing, dovendo fare riferimento soprattutto a ricerche sviluppatesi in altri paesi, useremo in modo intercambiabile i termini di mobbing e bullying at work, seguendo il lavoro dei ricercatori, ma ponendo le necessarie chiarificazioni di definizione ove dovute. Lo sviluppo degli studi sul mobbing è molto recente, a parte alcuni lavori come quello di Brodsky. Solo negli anni novanta il fenomeno è emerso come una specifica area di studio rivelandosi un campo di ricerca molto complesso, perché fa riferimento ad un 42 Einarsen S., Raknes B., Matthiesen S.B., “Bullying and its relationship to work and environment quality. An Exploratory study”, European Work and Organisational Psycologist, 1994a,4, pp.381-401. 43 Einarsen S., “The Nature and Causes of Bullying at Work”, International journal of Manpower, 1999, 20, 1|2. 44 Ege H., Mobbing, Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora, 1996. 26 gran numero di situazioni e contesti diversi dove hanno luogo questi comportamenti aggressivi. Si sono sviluppati tre approcci di ricerca, il primo studia l‟incidenza del fenomeno nei vari paesi, il secondo cerca di spiegare il processo di mobbing mentre il terzo si occupa delle persone che hanno riportato gravi traumi a causa del mobbing. 2.3. Le caratteristiche del mobbing/bullying at work Le ricerche sul fenomeno del bullying scolastico hanno costituito un background fecondo per lo sviluppo dell‟analisi del mobbing. Le indagini sui problemi di bullismo fra i bambini hanno ricevuto una forte attenzione da parte dei ricercatori, del pubblico e degli enti governativi. Il bullismo viene definito 45, con un generale accordo fra gli studiosi, come un‟aggressione a lungo termine contro un bambino, che non riesce a difendersi, e che porta alla sua vittimizzazione. Gli attacchi possono essere perpetrati da un singolo bambino (bullo) o da gruppi di bambini. Ciò che non può essere chiamato bullying sono le lotte ed i conflitti quotidiani che fanno parte normalmente delle relazioni sociali. Olweus46, uno dei maggiori ricercatori che si occupa di queste relazioni distruttive fra i bambini ha distinto fra direct bullying, che si riferisce ad attacchi fisici e verbali palesi, e indirect bullying, che assume la forma di un maggior utilizzo di strategie subdole come l‟isolamento sociale o l‟esclusione dal gruppo; alcuni ricercatori invece lo vedono come una serie di azioni poste in atto fuori dalla vista della vittima. Fra i fattori descrittivi del fenomeno sono stati studiati la frequenza e la durata dei comportamenti, la situazione di sbilanciamento del potere, l‟intenzionalità dell‟aggressore, le reazioni della vittima ed i tipi di comportamento attuati. Questi parametri si sono rivelati utili per lo studio del mobbing 47. I fattori frequenza e durata sono stati ritenuti importanti per discriminare le situazioni di mobbing nell‟ambito delle varie forme di violenza sul posto di lavoro e nelle ricerche sull‟incidenza del fenomeno nei vari contesti lavorativi. Il generico termine di violence at work comprende singoli eventi traumatizzanti come per esempio una rapina, oppure più casi di molestie provocati da individui diversi come può accadere ad un taxista o ad un qualsiasi lavoratore a contatto con altre persone. Nel mobbing, invece, la vittima è soggetta a degli attacchi da parte di un altro individuo o di un gruppo per un lungo periodo di tempo. Bullying at work e mobbing sono concetti che implicano la ripetizione e la persistenza nel tempo dei comportamenti negativi, la durata e la frequenza quindi sono un‟importante componente della definizione di questi fenomeni. 2.3.1. Durata Leymann48, pone un preciso criterio statistico per il fenomeno mobbing al fine di distinguerlo da un conflitto temporaneo. Le azioni mobbizzanti devono ricorrere per un periodo di tempo di almeno sei mesi. Il gruppo di ricerca norvegese dell‟Università di Bergen (Bergen group) ha considerato che gli episodi mobbizzanti dovevano essersi verificati entro gli ultimi sei mesi. 45 Einarsen S., “Norwegian Research on Bullying at Work: empirical and theoretical contributions”. Foundation for the study of work trauma, www.worktrauma.org/foundation/research/ 46 Olweus D., Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford, Blackwell, 1993. 47 Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace bullying”, International Review of Industrial and organisational Psychology, 1999, vol.14, pp.195-230. 48 Leymann H., “The Content and Developement of Mobbing at Work”, European Journal of Work and Organisational Psychology, 1996, vol.5(2), pp.165-184. 27 Mentre i ricercatori finlandesi49, finnish group, guidati da Bjorkqvist hanno considerato le ripetute manifestazioni ostili avvenute entro l’ultimo anno. 2.3.2. Frequenza Leymann ha precisato nella sua definizione che, affinché si possa parlare di mobbing, è necessario che i comportamenti negativi contro la vittima siano avvenuti almeno una volta la settimana. Einarsen e Skogstad50, del gruppo di ricerca norvegese, nello studio sulla frequenza dei casi nel loro paese fanno riferimento alle misurazioni adottate da Olweus 51 per studiare il bullying fra gli scolari scandinavi. Olweus, ha stimato che, perché uno scolaro sia da considerarsi vittima del bullying, la frequenza delle azioni negative cui è sottoposto deve essere riferita come “now and then”, ogni tanto, o, più frequentemente (settimanalmente o giornalmente). Questa misurazione ha permesso delle analisi comparative fra il bullying a scuola e quello sul posto di lavoro, infatti Einarsen ed i suoi colleghi hanno rilevato che il bullying fra gli adulti è altrettanto frequente di quello fra bambini. Alcuni dati anedottici, però, mostrano che è possibile che vi sia bullying anche se i parametri della frequenza non sono rispettati. Casilli 52, osserva che l‟adesione rigida a parametri statistici può indurre a sottostimare il fenomeno, ed a non riconoscere casi di mobbing che si verifichino con un andamento temporale diverso da quello assunto come modello. 2.3.3. La bilancia del potere fra le parti Un elemento importante nella definizione del mobbing e bullying at work è lo squilibrio di potere fra vittima ed aggressori. Leymann, nella sua definizione del mobbing esprime chiaramente tale squilibrio di potere sostenendo che “la vittima, a causa del mobbing, è spinta in una posizione priva di difese ed aiuto, ed ivi schiacciata da una continua pressione delle azioni mobbizzanti” 53. Einarsen e Skogstad nella loro ricerca epidemiologica sul bullying at work54, hanno considerato che la vittima del bullying, per essere ritenuta tale, debba aver provato un senso di inferiorità e, quindi, di impossibilità a difendersi nella situazione in cui si trovava. Questa valutazione si basa sulle ricerche di Olweus del fenomeno bullying nelle scuole e dal lavoro di Brodsky sulle molestie. La persona che sta vivendo delle situazioni di bullying o di molestie, è tormentata, maltrattata, insultata e sente di non riuscire a reagire alla situazione. Il mobbing, il bullying, le molestie implicano una differenza di forza e potere reale o percepito fra l‟aggressore/i e la vittima. Questo sbilanciamento di potere è comune a tutte le situazioni in cui uno o più individui sono soggetti ad azioni negative a cui non riescono ad opporre una difesa efficace. Quindi, tale squilibrio è considerato una discriminante fra le 49 Bjorkqvist k.; Osterman k., Hjelt-Back M., “Agression among University Employees” Aggressive behavior, 1994, vol.20, pp.173-184. Bjorkqvist k.; Osterman k., Lagerspetz K.M.J., “Sex differences in covert agression among adults”, Aggressive Behavior, 1994, vol.20, pp.27-33. 50 Einarsen S., Skogstad A., “Bullying at work: Epidemiological Findings in Public and private Organizations”, European Journal of Work and Organisational Psychology, 1996, vol.5(2), pp.185-201. 51 Olweus D., Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford, Blackwell Publishers, 1993. 52 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi srl, collana MAP, 2000. 53 Leymann H., “The Content and Development of Mobbing”, European Journal of Work and organisational Psychology, 1996, vol.5(2) p.168. 54 Einarsen S., Skogstad A., “Bullying at Work: Epidemiological Findings in Public and Private Organisations”, European Journal of Work and organisational Psychology, 1996, vol.5(2), pp.185-201. 28 situazioni di bullying ed altri episodi conflittuali. I conflitti, anche gravi, fra parti con eguale forza non possono essere considerati mobbing o bullying. Einarsen e Skogstad, nel questionario proposto ai soggetti in esame hanno fornito una precisa definizione: “per definire qualcosa bullying, esso deve accadere ripetutamente per un certo periodo di tempo, e la persona deve avere difficoltà a difendersi. Non è bullying se due parti approssimativamente di eguale forza sono in conflitto o l‟incidente è un evento isolato”55. All‟inizio nella situazione di conflitto si può notare un equilibrio di posizioni ma nel caso mobbing, l‟evoluzione e la sua estremizzazione conduce la vittima in una posizione più debole che la rende molto vulnerabile agli attacchi e soggetta più facilmente ad azioni di stigmatizzazione da parte dei colleghi o del superiore. Il potere di cui si parla non è solo quello dato dalla posizione lavorativa e dallo status del persecutore, infatti se certamente sono molto frequenti i casi di un superiore che perseguita uno o più sottoposti, (propriamente definiti bullying), sono altrettanto frequenti i casi in cui gruppi di co lleghi molestano un loro pari (mobbing), in cui è la forza di coesione del gruppo persecutore e la sua superiorità percepita dalla vittima a porre questa in una posizione di incapacità di difesa. Sono meno comuni, ma comunque esistono, casi in cui è proprio un superiore ad essere oggetto di azioni mobbizzanti da parte dei suoi sottoposti, come nel caso di Eve, descritto da Heinz Leymann 56, in cui una nuova manager, supervisore della mensa di una prigione, è stata sistematicamente mobbizzata dal personale della cucina, suo sottoposto. La complessità del fattore potere è stata messa in luce da molti studiosi, vi sono varie forme di potere coinvolte nelle relazioni sociali, come hanno evidenziato le ricerche di psicologia sociale. La caratterizzazione generale del potere, data da Thibaut e Kelley57, come la capacità di condizionare le azioni degli altri, sussume sotto di sé una vasta tipologia di forme, oltre a quello dato dal proprio status, attraverso le quali le persone riescono ad esercitare potere sulle altre. Le ricerche inducono a ritenere che in ogni interazione tra persone si crei una struttura informale di potere, che non sempre coincide con la struttura ufficiale di distribuzione del potere. Baum58 parla, in ambito lavorativo, di una struttura sociale, il disegno formale dell‟organizzazione, e di una struttura psicologica, rappresentata dall‟organizzazione come viene vissuta dalle persone, e sostiene che vi può essere una differenza anche molto significativa fra queste due forme. Esaminando le organizzazioni burocratiche, in cui la struttura formale è volta ad eliminare la discrezionalità ed il potere su base personale, ha osservato che la struttura psicologica è incline ad articolarsi in modalità di relazione asimmetriche in cui il potere deriva più dalla capacità personale di influenza e persuasione dei singoli che da quello derivato dalla mansione lavorativa o dalle competenze tecniche. I vari aspetti del potere implicati nel processo del mobbing non sono stati ancora chiaramente precisati ed alcuni ricercatori59 valutano che per ora forse è più appropriato sostenere con McCarthy e She- 55 “To label something bullying it has to occur repeatedly over a period of time, and the person confronted has to have difficulties defending himself/herself. It is not bullying if two parties of approximately equal “strength” are in conflict or the incident is an isolated event.” Einarsen S., Skogstad A., “Bullying at Work: Epidemiological Findings in Public and Private Organisations”, European Journal of Work and organisational Psychology, 1996, vol.5(2), p.191. 56 Leymann H., “The Content and Development of Mobbing”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1966, vol.5(2), p.166. 57 Thibaut J.W., Kelley H.H., (1959), La psicologia sociale dei gruppi, Bologna, Il Mulino, 1974. 58 Baum H.S., The Invisible Bureaucracy, New York, Oxford University Press, 1987. 59 Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace Bullying”, International Review of Industrial and Organisational Psychology, vol.14, 1999. 29 enan60 che il bullying esiste quando qualcuno esercita un potere su qualcun altro e ci si accorge che rafforza la sua superiorità senza che vi sia alcuna necessità. 2.3.4. La reazione della vittima Le definizioni correnti del mobbing e del bullying segnalano la reazione della vittima ai ripetuti attacchi subiti. Leymann61 definisce la vittima come la persona che nel processo di mobbing ha perso le sue risorse di difesa dagli attacchi mobbizzanti, anche se, nelle sue ricerche epidemiologiche, ha dato rilievo esclusivamente ai criteri statistici di durata e frequenza del fenomeno. Di più, distingue lo studio del fenomeno mobbing dalle ricerche sul conflitto proprio per l‟attenzione data agli effetti che tale tipo di comportamento produce sulla vittima in termini di salute fisica e psicologica, autostima e rendimento lavorativo. Einarsen62, definendo il bullying, afferma che avviene quando qualcuno, per un lungo periodo di tempo, si sente essere bersaglio di azioni negative da parte di una o più persone, ed in tale situazione si trova in difficoltà nel respingere e difendersi da tali attacchi. Si è già visto, parlando del potere, che Einarsen e Skogstad63, hanno messo in rilievo che un individuo per essere considerato vittima del bullying deve sentirsi anche in uno stato di inferiorità, impossibilità a difendersi. La stima della diffusione del fenomeno, nella loro ricerca, era ottenuta presentando ai soggetti un questionario in cui era definito chiaramente il concetto di bullying e veniva chiesto ai soggetti se essi si sentivano o meno vittime di tale fenomeno. Infatti vi è un generale accordo fra gli studiosi che è importante riuscire a differenziare sia le azioni negative che sono tollerate da quelle che non lo sono, sia le situazioni che possono essere gestite efficacemente dalle persone da quelle in cui l‟individuo è incapace di tutelarsi. Il metodo soggettivo può indurre dei dubbi sull‟accuratezza dei dati epidemiologici, ma Einarsen e Skogstad hanno osservato che nelle ricerche sul bullying scolastico, Olweus si è posto il problema di un‟eventuale stima esagerata della frequenza dei casi con tale metodo, ed ha posto a confronto i self-reports dei bambini con le opinioni di testimoni e maestri, riscontrando un sostanziale accordo fra le due risposte. Un altro problema inerente la percezione di sé come vittima del bullying è dato anche da una certa tendenza riscontrata a sottostimare o anche negare l‟abuso. L‟ammissione comporta l‟accettazione di una immagine di sé debole ed inadeguata a predisporre strategie efficaci di difesa, e questa è una forte minaccia all‟autostima nella maggior parte degli individui, evidenziata anche nelle ricerche sul bullismo scolastico. La percezione di essere stata molestata da parte della vittima ha importanza dal punto di vista legale, nel caso di ricorso alla giustizia sia civile che penale, ed è una condizione necessaria anche se da sola non sufficiente, in quanto è necessario portare in giudizio anche altre prove. Dal punto di vista della ricerca psicologica è stato approfondito invece il caso in cui persone, che pur essendo state oggetto di molestie o azioni mobbizzanti, non si riconoscono come vittime. Con l‟utilizzo dei self reports in cui è richiesto di riconoscersi o 60 AAVV, Bullying: from backyard to boardroom, McCarthy P., Sheenan M., Wilkie W. (eds), Alexadria, Australia, Millenium Books, 1996. 61 Leymann H., “Mobbing and Psychological Terror at Workplaces”, Violence and Victims, vol.5(2), 1990, pp.119-126. 62 Einarsen S., “Norwegian Research on Bullying at Work: Empirical and Theoretical Contributions”, www.worktrauma.org/foundation/research/ 63 Einarsen S., Skogstad A., “Bullying at Work: Epidemiological Findings in Public and Private Organisations”, European Journal of Work and organisational Psychology, 1996, vol.5(2), pp.185-201. 30 meno in una precisa definizione di bullying o mobbing, si può verificare il caso che individui realmente vittime di attività mobbizzanti non si identifichino come tali. Questa evenienza è stata oggetto di uno studio di Hubert 64 che ha rilevato come, nel suo campione di soggetti, vi fosse un gruppo di individui che non si autodefinivano vittime del bullying, ma però erano considerate tali dagli altri. Varie ricerche 65 portano a ritenere che il numero di falsi negativi, vale a dire i casi in cui i soggetti non si classificavano come mobbizzati o bullied pure essendo tali sono più probabili che i falsi positivi, soggetti che si riconoscono mobbizzati ma non lo sono. Per Hoel ed i suoi colleghi, la percezione della vittima di essere oggetto di una qualche forma di aggressione persistente è uno degli elementi comuni a tutti i casi di mobbing e bullying. Credono che non si debba abolire questo elemento soggettivo nelle indagini sul fenomeno, a causa dei problemi metodologici insiti nell‟utilizzo di tale forma d‟analisi, perché le percezioni della molestia e il riconoscimento di sé come vittima sono una parte fondamentale del fenomeno mobbing o bullying. Da questo riconoscimento del ruolo dell‟esperienza e delle reazioni della vittima, non deve però discendere una semplificazione nella ricerca delle ragioni del fenomeno che individui la situazione di mobbing o bullying come effetto unilaterale di cause riconducibili alle personalità degli individui, oppure di fattori inerenti il contesto lavorativo. Gli studi compiuti indirizzano verso una spiegazione del mobbing in cui è individuata la presenza di più cause, riconducibili ai diversi livelli di analisi del fenomeno, che determinano probabilmente l‟insorgere e l‟estremizzarsi del conflitto. L‟analisi del mobbing condotta esclusivamente nei termini di uno studio delle personalità degli individui coinvolti rischia di spiegare solo una piccola parte dei casi presenti nel contesto lavorativo, e mina alla base la possibilità di attuare interventi di prevenzione efficaci. Inoltre insinua il dubbio di una predisposizione di certe persone ad assumere il ruolo di vittima. 2.3.5. Condotte mobbizzanti Il mobbing non è caratterizzato dal verificarsi di un solo tipo di azioni mobbizzanti; molti studi hanno cercato di catalogare le possibili condotte aggressive che le vittime subiscono nel processo di mobbing. Leymann66 ha distinto diverse classi di comportamento mobbizzante: Attacchi alle possibilità di comunicazione di una persona; Attacchi alle relazioni sociali; Attacchi alla reputazione, all‟immagine sociale; Attacchi alla qualità della situazione occupazionale e personale; Attacchi alla salute. Inoltre ha rilevato dei comportamenti che ha definito di comunicazione negativa (negative communication), di umiliazione, di isolamento, di violenza o minaccia di violenza, e delle condotte miranti a punire attraverso frequenti cambiamenti di mansione. Ashforth67 ha sviluppato un questionario sui comportamenti tirannici (tyrannical behaviours) trovando sei diversi fattori: arbitrarietà e autoesagerazione, sminuire e svalu- 64 Hubert A., Eighth European Congress on Work and Organizational Psychology, Aprile 1997, Italia. Citato in Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace Bullying” International Review of Industrial and Organizational Psychology, 1999, vol.14, pp.195-230. 65 Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace bullying”, International Review of Industrial and Organizational Psychology, vol.14, 1999. 66 www.leymann.se The Mobbing Encyclopedia. 31 tare i subordinati, mancanza di considerazione e uno stile coercitivo di risoluzione dei conflitti, iniziative scoraggianti, punizioni non contingenti. Vartia68 ha osservato sei principali forme di mobbing: la calunnia, l‟isolamento sociale, l‟assegnare ad una persona compiti troppo esigui o troppo semplici, le minacce o critiche, la violenza fisica o le minacce di violenza, le insinuazioni sulla salute mentale della vittima. Bjorkqvist69 ha identificato principalmente due strategie, una razionale come criticare, interrompere o giudicare ingiustamente il lavoro di qualcuno, ed una di manipolazione sociale come diffondere dicerie sulla persona. Niedl, ha diviso le condotte in: attacchi all‟integrità della persona, isolamento, critiche dirette e indirette, sanzioni attraverso l‟assegnamento di certe mansioni, minacce, abusi sessuali e attacchi alla sfera privata delle persone. Einarsen et al70., hanno rilevato che le condotte mobbizzanti più comuni fra 137 vittime norvegesi erano l‟isolamento sociale o l‟esclusione, la svalutazione del lavoro e degli sforzi della vittima, dispetti, insulti, commenti, canzonature e scherni. In uno studio successivo71 fra i lavoratori dei cantieri navali, Einarsen ha riscontrato che a fronte di una percentuale dell‟ 88% di soggetti che aveva subito una qualche forma di molestia negli ultimi sei mesi, solo il 2,4% di essi aveva denunciato di essere stato soggetto a violenza fisica o a minacce di violenza fisica. Zapf, Knorz e Kulla72 hanno condotto un‟indagine per verificare questi risultati nella realtà tedesca. Si sono basati sulla traduzione tedesca adattata del LIPT, Leymann Inventory of Psychological Terrorization, somministrato a 2 gruppi di soggetti mobbizzati e ad un gruppo di controllo. L‟ipotesi era che se tutti i comportamenti rilevati facevano parte del fenomeno mobbing, allora dovevano esserci delle correlazioni fra di essi, poiché dall‟analisi dei casi risultava che il mobbing non era attuato attraverso un solo tipo di azione; ma le correlazioni non avrebbero dovuto essere molto alte altrimenti avrebbero suggerito una discriminante fra ciò che era mobbing e ciò che non lo era. “Azioni mobbizzanti: Attacchi alla vittima con misure organizzative. - Restrizioni del superiore sulle possibilità di parlare della vittima. - Spostamenti della persona in una stanza lontano dai colleghi. - Vietare ai colleghi di parlare con la persona. - Forzare qualcuno a eseguire dei compiti che provocano imbarazzo. - Giudicare la performance di lavoro di una persona in modo ingiusto o offensivo. 67 Ashforth B.E., “Organizations and the petty tyrant: An exploratory study”, citato in “Petty tyranny in organizations”, Human Relations, 1994, 42, pgg.171-188. 68 Vartia M., “Psychological harassment (bulllying, mobbing) at work.”in: OECD Panel Goup on women, work,and health, Helsinki, Ministry of Social Affairs and Health, 1993. Citato in: Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationships between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes.”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2). 69 Bjorkqvist e Niedl:citati in Zapf, Knorz e Kulla, 1996. 70 Einarsen S., Raknes B.I., Matthiesen S.M., “Bullying and Harassment at Work and their Relationships to work environment qality –an exploratory study” European Work and Organizational Psychologist, 1994, 4, pgg.381-401. 71 Einarsen S., Raknes B.I., “Harassment at Work and Victimization of Men”, Violence and Victims, 1997, 12, pgg.247-263. 72 Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationships between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes.”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2). 32 - Contestare le decisioni di una persona. Rifiutare di assegnare qualsiasi compito alla persona interessata. Rimuovere una persona da tutte le occupazioni fino a che la persona interessata non sa più cosa fare dopo. - Assegnare lavori senza senso - Assegnare compiti molto al di sotto delle capacità della persona - Assegnare lavori umilianti. Attacchi alle relazioni della vittima con isolamento sociale. - Restrizioni dei colleghi sulle possibilità di esprimersi della persona. - Rifiuto di comunicare con la persona per mezzo di sguardi e gesti di disprezzo. - Rifiuto di comunicare con la persona per mezzo di cenni allusivi senza parlare francamente. - Nessuno parla con la persona. - Nessuno accetta che gli venga rivolta la parola dalla persona interessata. - La persona è trattata come se non ci fosse. Attacchi alla vita privata. - Critiche costanti alla vita privata. - Minacce telefoniche. - Far sembrare stupida la persona. - Insinuare il sospetto che la persona sia psicologicamente disturbata. - Prendere in giro la persona per un suo difetto fisico o handicap. - Imitare il portamento o la voce o i gesti di una persona per ridicolizzarla e farla apparire stupida. - Farsi gioco della vita privata della persona. Violenza fisica. - Forzare ad un trattamento psichiatrico. - Approcci sessuali e offerte sessuali. - Minacce di violenza fisica. - Atti di violenza minore. - Maltrattamenti fisici - Violenza sessuale. Attacchi al modo di pensare della persona. - Attacchi alle convinzioni politiche della persona. - Attacchi alle convinzioni religiose della persona. - Prendersi gioco della nazionalità della persona. Aggressioni verbali. - Urla o imprecazioni ad alta voce dirette contro una persona. - Critiche continue al lavoro della persona. - Minacce verbali. Dicerie. - Parlare male di una persona alle sue spalle. - Far circolare dicerie, voci false e tendenziose sulla persona” 73. 73 Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationships between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes.”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pg.221-222, table1. 33 Zapf ha rilevato che vi erano correlazioni significative fra “misure organizzative”, “isolamento sociale”, “attacchi alla vita privata”, “aggressioni verbali” e “dicerie”. Invece mediamente “attacchi al modo di pensare” e “violenza fisica” mostravano basse correlazioni. I primi cinque tipi di condotte mobbizzanti sono emerse come tipiche strategie del mobbing, mentre le altre due accadono solo occasionalmente. Infatti sono apparse poche differenze per questi comportamenti fra il gruppo delle vittime e quello di controllo. Questi risultati confermano che il mobbing si verifica principalmente attraverso azioni di aggressività psicologica piuttosto che di aggressività fisica. Fra le strategie individuate, in ordine alla frequenza rilevata, risultava che la più frequente era “dicerie” seguita da “isolamento sociale”, “aggressione verbale” e “misure organizzative”. Meno frequenti erano invece “attacchi alla vita privata” e “attacchi al modo di pensare”; la minor frequenza era stata registrata per “violenza fisica”. 2.4. La diffusione del mobbing/bullying at work L‟incidenza del mobbing e del bullying è stata studiata in vari paesi, le prime indagini sono state avviate in Svezia da Leymann ed altri suoi colleghi. Negli anni novanta sono stati avviati i primi studi a livello mondiale per quantificare l‟ampiezza del fenomeno. L’European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions74 ha sviluppato dei progetti di ricerca al fine di monitorare le condizioni di lavoro in tutti i paesi europei. Nella seconda European Working Conditions Survey, del 1996, sono stati raccolti dati relativi alle condizioni di lavoro nei paesi dell‟Unione Europea. La ricerca, basata su 15.800 lavoratori intervistati, ha analizzato tutti gli aspetti delle condizioni di lavoro, l‟ambiente fisico, le ore ed il tipo di lavoro, l‟organizzazione del lavoro, le relazioni sociali all‟interno dell‟ambiente lavorativo e così via. Per quanto riguarda l‟analisi della violenza sul posto di lavoro, la ricerca europea ha rilevato che il 4% dei lavoratori europei (6 milioni) hanno subito violenza fisica, il 2% (3 milioni) molestie sessuali, 8% (12 milioni) è stato oggetto di intimidazioni e bullying. I dati raccolti nell‟ESWC (European Survey on Working conditions) offrono un allarmante quadro del fenomeno delle molestie psicologiche e si basano sulle risposte fornite dai soggetti intervistati sull‟esposizione o meno, negli ultimi dodici mesi, ad atti di bullismo e di intimidazione. I risultati della ricerca denunciano la presenza di situazioni di mobbing e di bullying in tutti i paesi dell‟Unione Europea. L’European Agency for Safety and Health at Work 75, nel febbraio 2000 ha pubblicato un rapporto, The State of Occupational Safety and Health in the European Union - Pilot Study76 che rappresenta un primo passo nello sviluppo di un sistema di monitoraggio della sicurezza e salute occupazionale nei paesi dell‟Unione Europea. 74 European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions è un autonomo centro consultivo e di ricerca europeo, istituito dal Consiglio dei Ministri della Comunità Europea nel 1975 per contribuire alla pianificazione e all‟affermazione di migliori condizioni di vita e lavoro all‟interno dei paesi dell‟Unione Europea. http://www.eurofound.ie/. 75 European Agency for Safety and Health at Work, è una agenzia europea, con sede a Bilbao (E) istituita nel 1996 in base a 2 regolamenti del Consiglio Europeo; l‟obiettivo dell‟Agenzia è quello di incoraggiare miglioramenti negli ambienti di lavoro fornendo informazioni scientifiche, economiche e tecniche agli Organi Comunitari, agli Stati Membri ed a coloro che sono coinvolti nelle problematiche della salute e sicurezza sul lavoro. E‟ una network organization che è costituita e lavora con vari gruppi ed organi: expert groups, focal point nazionali e consultants. http://agency.osha.eu.int/. 76 http://agency.osha.eu.int/publications/reports/stateofosh 34 Il rapporto è il risultato della sintesi di indagini condotte nei paesi membri dell‟Unione Europea (Focal Points), e della ricerca condotta nel 1996 dall‟European Foundation. Per delineare la diffusione del bullying e del mobbing e evidenziare quelli che sono i settori lavorativi e le occupazioni maggiormente a rischio, i dati statistici degli studi ora citati forniscono un primo quadro d‟insieme che permette di notare l‟ampiezza del fenomeno e la sua per così dire democraticità, infatti il fenomeno è denunciato in modo più o meno rilevante da lavoratori appartenenti a tutti i settori economici e che ricoprono svariate mansioni lavorative. Fra tutti i lavoratori intervistati, che avevano subito atti di intimidazione, il 9% erano dipendenti ed il 5% lavoratori autonomi. Percentuale di lavoratori che, negli ultimi dodici mesi, sono stati soggetti a intimidazioni sul lavoro nei paesi dell’Unione Europea (ESWC, 1996) Paesi membri dell’Unione Europea Tot.% A B DK FIN F D GR NL IRL I L P E S 8 7 7 5 5 10 16 4 6 9 9 8 5 7 8 4 UK Percentuale di lavoratori per settore economico che, negli ultimi dodici mesi, sono stati soggetti a intimidazioni sul luogo di lavoro (ESWC, 1996) Settore economico Agricoltura, caccia, pesca, silvicultura Minerario-estrattivo, manifatturiero Servizi di fornitura elettricità, gas, acqua Costruzioni Commercio (ingrosso, al minuto), riparazioni Alberghi e ristorazione Trasporti, magazzinaggio, comunicazioni Intermediazione finanziaria Compravendita e affitto di immobili, noleggio, attività d‟affari Amministrazione pubblica, difesa, previdenza sociale obbligatoria Altri servizi % 9 6 5 5 8 8 8 10 9 13 10 Percentuale di lavoratori per settori d’occupazione che, negli ultimi 12 mesi, hanno subito intimidazioni sul luogo di lavoro (ESWC, 1996) Occupazioni Legislatori, funzionari capi, managers Professionisti Tecnici e professionisti associati Impiegati Lavoratori dei servizi, addetti alle vendite % 8 11 9 7 11 35 Lavoratori specializzati settore agricolo e della pesca Craft and related trades workers Operai di stabilimento, operatori di macchina, addetti catena di montaggio Occupazioni elementari Forze armate 6 5 5 8 20 La comparazione dei risultati della ricerca ESWC ed i dati raccolti a livello nazionale dai singoli paesi, nel rapporto dell‟European Agency, ha presentato alcune difficoltà. In primo luogo, non tutti i paesi hanno fornito dati nazionali sufficienti per un esame sulle eventuali differenze rispetto allo studio dell‟European Foundation. Inoltre, l‟indicatore della ESWC richiedeva una risposta positiva o negativa alla domanda se il soggetto era stato sottoposto ad intimidazione negli ultimi dodici mesi; invece l‟indicatore svedese, per esempio, evitava di usare i termini mobbing, bullying o vittimizzare e aveva come criterio di risposta tre possibilità, ogni giorno, una o due volte negli ultimi dodici mesi, mai negli ultimi dodici mesi, e faceva riferimento nella domanda solo a persecuzioni, come comportamenti o parole spiacevoli, messi in atto da superiori o colleghi, non contemplando il caso di malversazioni causate da comportamenti di clienti esterni al luogo di lavoro. Questa diversità rispecchia le difficoltà già delineate riguardanti la denominazione del fenomeno che presenta delle distinzioni nella terminologia e nei criteri adottati dai ricercatori nei diversi paesi. Gli unici paesi che hanno presentato dati quantitativi addizionali sono stati la Grecia, l‟Olanda e la Svezia. In sintesi, la ricerca dell‟European Foundation ha indicato quelli che sono i settori in cui è stato rilevato un maggior numero di casi di bullying, vale a dire il comparto dei servizi, specialmente la pubblica amministrazione ed il settore finanziario. Fra le occupazioni, le più soggette a rischio di bullying sono risultate essere quelle inerenti i servizi e le vendite e la categoria dei professionisti. I dipendenti sono risultati essere più soggetti ad atti di bullying rispetto ai lavoratori autonomi. Fra i lavoratori dipendenti, quelli con un impiego precario - contratti a termine o lavoratori interinali - hanno denunciato in una percentuale maggiore situazioni di molestie sul luogo di lavoro. Dai dati raccolti risulta una maggior incidenza del fenomeno fra le lavoratrici donne (9%) rispetto agli uomini (7%). Totale lavoratori che hanno riferito situazioni di bullying Lavoratori Lavoratrici Dipendenti Impiego precario Addetti vendita e servizi, professionisti Servizi finanziari ed altri Pubblica amministrazione 8% 7% 9% 9% 10% 11% 10% 13% Nel dicembre 2000, L‟European Foundation77 ha presentato la terza indagine europea sulle condizioni di lavoro, basata su 21.500 interviste a lavoratori di tutti i paesi europei. 77 Press release: www.eurofound.ie/news/ 36 I risultati indicano per alcuni aspetti un peggioramento della situazione. I problemi di salute connessi al lavoro sono in aumento, l‟intensificazione di lavoro e l‟impiego flessibile stanno causando un deterioramento delle condizioni di lavoro in maggior parte dei paesi europei. Pascal Paoli, research manager, responsabile del coordinamento dell‟indagine citata ha affermato che “gli esiti della ricerca indicano che oltre 15 milioni di persone hanno avuto esperienza di fenomeni di violenza, molestie sessuali o bullying sul posto di lavoro. Mentre i termini ed i concetti usati nell‟indagine includono diverse realtà in differenti paesi, la violenza sul posto di lavoro rimane il maggior problema. E‟ di particolare interesse che l‟intimidazione, bullying, sul lavoro continua a crescere.” I dati78 percentuali ricavati dall‟indagine indicano che in Europa: il 2% (3 milioni) di lavoratori sono sottoposti a violenza fisica da parte di persone appartenenti al loro ambiente di lavoro, il 4% (6 milioni) hanno subito atti di violenza fisica causati da persone che non appartengono al posto di lavoro, il 2% (3 milioni) ha subito molestie sessuali il 9% (13 milioni) è stato sottoposto a intimidazione e bullying. Totale lavoratori che hanno riferito situazioni di bullying Dipendenti Lavoratori maschi Lavoratrici Addetti alle vendite ed ai servizi Hotels-Restaurants Pubblica amministrazione 9% 9% 8% 10% 13% 13% 14% Il dato percentuale dell‟esposizione al bullying, è quindi cresciuto di un punto rispetto all‟indagine europea del 1996, ed analogamente sono cresciute le percentuali per settori d‟occupazione dei lavoratori bullizzati. Vi è una considerevole differenza nell‟incidenza del bullying fra i paesi membri dell‟unione Europea: tale diversità, secondo i ricercatori, sembra essere dovuta più ad una insufficienza di indagini sul fenomeno in alcuni paesi e ad una maggiore consapevolezza e sviluppo di ricerche in altri. Vengono citati ad esempio i dati del 2000 relativi a Finlandia (15%), Inghilterra (14%), Svezia (12%) rispetto invece a quelli di Italia e Portogallo (4%) e della Spagna (5%). Per L‟Italia, possiamo dire che del fenomeno mobbing si è iniziato a parlare a metà degli anni novanta, ed i mass media hanno iniziato ad occuparsene solo negli ultimi tre anni. Ma solo lo scorso anno un sindacato italiano (UIL) ha approntato un‟indagine conoscitiva a livello nazionale per esaminare la situazione, la prima ricerca sull‟incidenza del mobbing in Italia era stata condotta da Ege 79 con l‟associazione Prima. 78 www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/eusurvey/eusurvey.htm Violence at Work in the European Union Recent Finds.Courtesy of Pascal Paoli, Project Manager European Foundation, 2000. 79 Ege H., I Numeri del Mobbing, Bologna, Pitagora 1998. 37 L‟indagine conoscitiva dell‟European Agency for Safety and health at Work, attuata utilizzando dei focal points80 in tutti i paesi membri dell‟Unione Europea, ha messo chiaramente in luce queste diversità di consapevolezza del fenomeno e di raccolta di informazioni utili al delineamento del problema nei singoli stati. Molti paesi non hanno fornito dati sufficienti per tracciare differenze fra i dati nazionali e quelli dell‟indagine dell‟European Foundation, oppure per evidenziare nuovi aspetti da studiare non evidenti nella ricerca europea. I paesi dove le indagini sul mobbing e bullying sono più sviluppate sono quelli del Nord Europa, in cui il fenomeno del terrorismo psicologico sul luogo di lavoro è più conosciuto e dove vi è maggior consapevolezza degli effetti negativi causati da tale pratica vessatoria. Per delineare le caratteristiche della popolazione lavorativa che ha subito azioni mobbizzanti, utilizzeremo alcune ricerche sul campo condotte prevalentemente in stati nordeuropei. Heinz Leymann, è stato il primo ricercatore ad attuare un vasto programma di ricerca volto ad individuare il grado di incidenza del mobbing negli ambienti di lavoro svedesi. L‟indagine condotta nel 1992 81 era basata sul questionario LIPT, da lui approntato e somministrato ad un campione di 2.400 dipendenti, rappresentativo della popolazione lavoratrice dipendente svedese. Il 3.5% del campione intervistato è risultato essere stato sottoposto a mobbing, secondo la definizione strettamente statistica di Leymann, vale a dire aver subito azioni mobbizzanti negli ultimi sei mesi e con una frequenza settimanale. Per quanto concerne il sesso delle vittime, 45% uomini e 55% donne, Leymann non ha riscontrato una differenza di percentuale tale da essere significativa. La sua ricerca ha mostrato che il 76% degli uomini sono mobbizzati da altri uomini, il 3% da donne ed il 21% da entrambi. Le donne risultavano essere attaccate per il 40% dei casi da altre donne, per il 30% da uomini e per il restante 30% da entrambi. Secondo lo psicologo tedesco la spiegazione del perché le donne siano mobbizzate prevalentemente da altre donne e gli uomini da altri uomini è da ricercare nella struttura del mondo del lavoro che, almeno per quanto riguarda la Svezia, è ancora divisa ed in cui gli uomini lavorano prevalentemente con altri uomini e le donne con altre donne. Rileva che gli uomini che mobbizzano donne sono prevalentemente loro superiori. Anche l‟esame dell‟età dei soggetti mobbizzati, non ha dato differenze significative, anche se Leymann segnala che le fasce d‟età fra i 21 ed i 40 anni sono più rappresentate, diversamente da altre ricerche in cui si osserva che la fascia d‟età intermedia dai 40 ai 50 anni è quella in cui è più alta la percentuale di soggetti che hanno subito mobbing. La percentuale di soggetti mobbizzati in relazione al tipo di lavoro svolto è stata oggetto di studio, ma Leymann ha ritenuto che il campione da lui esaminato non fosse abbastanza vasto da costituire un buon esempio del mondo del lavoro svedese. Comunque ha individuato alcune categorie che erano maggiormente presenti nei casi di mobbing rilevati, il settore dell‟industria di beni e servizi con il 21.2% di individui mobbizzati, seguiva il settore scolastico (scuole, università), con il 14% , l‟ambito sanitario ospedaliero con 11.8% ed il settore del commercio con il 9.4%. 80 Per l‟Italia, il focal point è costituito dall‟ISPESL: Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro. 81 Pubblicata per la prima volta in lingua inglese in:Leymann H., The Content and Developement of Mobbing at Work, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5 (2), pgg.165-184. 38 Un altro dato rilevato da Leymann riguardava il numero dei mobber riferiti dai soggetti, un terzo delle vittime ha affermato di essere stata attaccata da un‟altra persona, mentre circa il 40% dei soggetti ha risposto di essere stato aggredito da due o più persone; molto raro invece il caso di interi gruppi di lavoro. Una posizione che Leymann riteneva che dovesse essere approfondita era quella dei testimoni del mobbing che potrebbero fermare le aggressioni ma non lo fanno, e di fatto quindi diventano dei bystanders (spettatori) se non dei side mobbers (fiancheggiatori). Einarsen e Skogstad82 nel 1996 hanno presentato i dati sulla frequenza del bullying di 14 indagini norvegesi sulla qualità della vita lavorativa condotte dal Research Centre for Occupational Health and Safety dell‟Università di Bergen fra il 1990 ed il 1994. Il campione comprendeva una vasta gamma di organizzazioni ed occupazioni come insegnanti di scuola, dipendenti dell‟Università, psicologi, lavoratori del settore alberghiero, della ristorazione, della sanità, impiegati, dipendenti delle industrie. Cinque studi riguardavano singole organizzazioni ed includevano tutti i dipendenti di ogni livello. Le altre nove ricerche erano state realizzate in collaborazione con diversi sindacati norvegesi e la Norwegian Employers‟ Federation. Sono stati 7787 i soggetti che hanno risposto al questionario anonimo che comprendeva domande per stabilire la demografia del campione osservato e questionari inerenti il bullying. Il metodo per la misurazione del fenomeno è stato riprodotto sul modello di quello usato da Olweus per studiare il bullying scolastico, e differiva dal metodo di Leymann perché era data ai soggetti una precisa definizione del bullying 83, e veniva chiesto se lo avevano subito nell‟arco degli ultimi sei mesi. Le opzioni possibili erano: No; Si, una o due volte; Si, ogni tanto; Si, una volta la settimana; Si, molte volte alla settimana. Il campione esaminato era composto dal 43.9% di uomini e dal 55.6% di donne, l‟età media era di 41 anni, erano presenti gruppi di età che coprivano tutto l‟arco della vita lavorativa, dai 17 anni ai 70. Maggior parte dei soggetti era impiegato in organizzazioni pubbliche, ed il 51.4% era laureato. Su un totale di 7787 soggetti, il 91,4% non riportava esperienze di bullying negli ultimi sei mesi, mentre l‟8.6% aveva risposto positivamente alla domanda e la frequenza era così suddivisa: Si una volta o due, 4%. Si di tanto in tanto, 3.4%. Si settimanalmente, 1.2%. Coloro che erano frequentemente soggetti ad atti di molestie risultavano anche quelli che riportavano una più lunga esperienza di bullying. Alcuni risultati riguardavano la percezione di chi fosse il molestatore. Su 469 vittime, il 36,8% aveva risposto che erano mobbizzati da colleghi appartenenti al loro stesso gruppo di lavoro o allo loro stessa professione, il 23% denunciava colleghi appartenenti ad altri teams o ad un‟altra professione. In generale, il 54% delle vittime riconosceva 82 Einarsen S., Skogstad A., Bulying at work: Epidemiological Findings in Public and Private Organizations, European Journal of Work and Organizational psychology, 1996, 5 (2), pgg.185-201. 83 “Il Bullying (molestia, tormento, esclusione, offesa di qualcuno) è un problema in molti luoghi di lavoro e per molti lavoratori. Per definire qualcosa come bullying deve accadere ripetutamente per un certo periodo di tempo e la persona che si trova ad affrontarlo deve aver difficoltà nel difendere sé stesso/a. Non è bullying se le due parti approssimativamente di egual forza sono in conflitto, oppure se l‟incidente è solo un evento isolato”. 39 come aggressore uno o più colleghi del loro stesso livello. Il 25% riteneva responsabile delle aggressioni il manager del luogo di lavoro ed il 28% il loro immediato superiore. Il 54% denunciava fra gli aggressori uno o più superiori. Il 20% delle vittime affermava di essere mobbizzato sia da colleghi sia da superiori, mentre il 68% o dagli uni o dagli altri. Inoltre il 15% riteneva di essere aggredito da clienti o da studenti, nel caso degli insegnanti. 392 vittime avevano risposto anche alle domande sul sesso e sul numero degli aggressori. Il 42% affermava di essere bullizzato da una sola persona, il 23% da un solo uomo ed il 19% da una sola donna. Fra le vittime maschili, il 70% era aggredito solo da uomini, mentre il 10% solo da donne. Le donne affermavano di essere vittime sia di uomini sia di altre donne. In generale, gli uomini erano maggiormente aggrediti da altri uomini e le donne da altre donne, come si è visto anche nell‟indagine di Leymann. I dati raccolti inerenti l‟età, hanno mostrato che i dipendenti più anziani erano maggiormente a rischio di quelli più giovani, questo risultato differiva da altri studi in cui erano i lavoratori più giovani a denunciare maggiormente casi di bullying. Questi dati mostrano che bisogna tener conto delle valutazioni soggettive e della vulnerabilità sociale e psicologica dei soggetti come aveva già segnalato Painter84, ed anche dell‟ambiente sociale e culturale in cui tali soggetti si trovano ad agire, la percezione di un comportamento come molestia dipende anche dalla propria aspettativa su come ci si attende di essere trattati e considerati sul luogo di lavoro. La percentuale più alta di casi di bullying, era fra i lavoratori dell‟industria, e nelle organizzazioni a gerarchia maschile con molti dipendenti, diversamente da altre ricerche in altri paesi che indicavano come settore maggiormente a rischio quello pubblico e dei servizi. Einarsen e Skogstad notando che le vittime, che da più lungo tempo denunciavano situazioni di bullying, erano anche quelle che subivano con più frequenza le aggressioni, hanno ritenuto di cogliere in questa connessione l‟indicazione del fatto che il fenomeno assume la forma di un processo in escalation. All‟inizio le aggressioni si verificano ogni tanto, ma nel tempo il processo si evolve verso un‟esacerbazione degli attacchi che divengono sempre più frequenti fino a diventare anche giornalieri, confermando il modello di Leymann. Il continuum del processo di vittimizzazione, risulta così strettamente connesso alla durata degli episodi di bullying. Le ricerche finora condotte per definire quelle che sono le categorie e le strutture lavorative più a rischio, paiono indicare che queste dipendono anche dalla struttura economica del paese. Casilli85 ha evidenziato che osservando l‟incidenza del mobbing nei vari paesi dell‟Europa si nota che nei paesi dove il processo di trasformazione del lavoro è più avanzato l‟incidenza del mobbing è più alta. Mc Carthy 86 inquadra efficacemente il fenomeno del mobbing all‟interno delle trasformazioni dell‟economia postfordista, inserendolo fra le disfunzioni psico-socio-economiche che ne sono conseguite. Nell‟ottica di tale tesi, il mobbing è il “prodotto tipico” delle organizzazioni economiche contemporanee coinvolte nel processo di globalizzazione che richiede una sempre maggior competitività per la sopravvivenza nel mercato mondiale. Da questo punto di vista trovare un colpevole e delineare quella che potrebbe essere la vittima predestinata costituisce una semplificazione del problema, perché dalle ricerche condotte si evince che in 84 Painter k., “Violence and vulnerability in the workplace: Psychosocial and legal implications”, AAVV, Vulnerable workers: Psychosocial and legal issue, New York, Wiley &Sons, 1991. 85 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana Map, 2000. 86 AAVV, Bullying: from backyard to boardroom, editors: Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium books, 1996. Ed in Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, 2000. 40 realtà tutti possono trovarsi a svolgere il ruolo di vittima o di persecutore in una realtà lavorativa in cui vengono progressivamente meno le garanzie di sicurezza del lavoro ed in cui le organizzazioni economiche sono tese ad una continua ricerca della riduzione dei costi aziendali. Le indagini epidemiologiche indicano che questa forma di disagio lavorativo è diffusa in tutti i contesti lavorativi e riguarda individui che svolgono svariati tipi di mansioni. Ovviamente, in base al tipo di sviluppo economico e di organizzazione e tutela del lavoro di ciascun paese, è possibile che vi siano settori in cui è più alta la percentuale di casi di mobbing e di bullying. Guardando le statistiche bisogna però tenere presente che individui con un certo grado di istruzione sono certamente più consapevoli dei loro diritti e percepiscono con maggior consapevolezza che quello che stanno vivendo o vedono accadere agli altri è un abuso, e più facilmente prendono la decisione di denunciare una situazione di violenza psicologica. I primi casi87 di mobbing, ma sarebbe più appropriato parlare di bossing, sono avvenuti nei primi anni ottanta nelle fabbriche, ed hanno riguardato migliaia di operai, che sono stati costretti ad abbandonare il posto di lavoro, per le trasformazioni strutturali delle aziende nell‟economia postindustriale. Secondo Gilioli, il fatto che il problema del mobbing sia emerso negli anni ottanta non è affatto casuale, ma, come per Mc Carthy, è da porre in relazione con le trasformazioni del lavoro della nuova economia postindustriale. La precarietà del lavoro, la disoccupazione crescente, lo sviluppo della flessibilità e delle nuove forme d‟impiego temporaneo, ha aumentato nelle persone l‟insicurezza e la paura di perdere il posto di lavoro, che da un lato possono deteriorare le relazioni sociali sul lavoro e dall‟altro determinare una sorta di passività e rassegnazione a subire degli abusi pur di non perdere l‟impiego. 87 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 41 Capitolo terzo Le cause del mobbing L‟analisi delle cause del mobbing è molto complessa; ciò che ci troviamo di fronte non è un fenomeno univoco ma un processo in evoluzione caratterizzato da una serie di situazioni differenti inserite in contesti diversi, la cui nota comune è costituita da una serie di aggressioni ripetute nel tempo che mirano a distruggere la persona obiettivo di tali comportamenti. Il mobbing può verificarsi in diversi contesti lavorativi, in situazioni di apparente parità come invece in condizioni in cui la vittima è di fatto in una posizione inferiore rispetto al suo/suoi aggressori o che può anche occupare una posizione superiore nella gerarchia aziendale. Il caso forse più semplice, ma per certi versi più grave, è quello del bossing, vale a dire quando il mobbing è intenzionalmente perseguito come strategia aziendale per la gestione del personale. Molto spesso però il mobbing avviene senza che vi sia una precisa volontà da parte della direzione, e ciò può accadere per molte ragioni. Einarsen88 riprendendo le analisi di Felson e Tedeschi, distingue principalmente i casi di mobbing come ogni tipo di comportamento aggressivo in: dispute-related (riferiti ad una controversia) e predatory (predatoria), sebbene possano esistere casi in cui coesistono entrambe le forme. Predatory bullying si riferisce a quei casi in cui la vittima personalmente non ha fatto nulla di provocatorio che potrebbe in un certo modo giustificare il comportamento del mobber. La vittima si trova accidentalmente in una situazione in cui il mobber vuole dimostrare potere, oppure è attaccata a causa della sua appartenenza ad un certo gruppo, per esempio la prima donna in un luogo di lavoro di soli uomini, o entra in un ambiente di lavoro ad alto livello di omogeneità culturale, sociale, etnica o d‟età. La vittima può ritrovarsi tale anche perché rappresenta un facile obiettivo di sfogo della frustrazione e dello stress dovuti ad altri fattori. Esempi di predatory bullying sono: leadership distruttiva: in alcune aziende la molestia è istituzionalizzata come parte della leadership e della pratica manageriale; processo di capro espiatorio: quando una persona diventa l‟obiettivo ed è ritenuta responsabile di tutte le situazioni di insuccesso, insoddisfazione di un gruppo di lavoro che riversa su di essa tutta l‟ostilità del gruppo; condotte basate sul pregiudizio: le fasi del mobbing individuate da Leymann hanno infatti una forte rassomiglianza con il modello proposto da Allport89 sul pregiudizio. Una prima fase è caratterizzata dall‟inizio delle dicerie, ma è ristretta ad un piccolo gruppo di persone e all‟insaputa della vittima. Nella seconda fase, il pregiudizio è più diffuso e qualcuno inizia ad evitare la vittima; in seguito, terza fase, il bersaglio è apertamente vessato e discriminato con l‟esclusione o con continui rimproveri e canzonature. Nella quarta fase possono verificarsi attacchi fisici che possono portare all‟esito più drammatico definito come “distruzione”. Le cause del predatory bullying sono, secondo Einarsen, da ricercare in una combinazione di vari elementi costituiti da un clima sociale del luogo di lavoro dove le ostilità 88 Einarsen S., “Dealing with bullying at work: the Norwegian lesson”, presentato al Bullying at Work Research Update Conference Stattfordshire University, 1998. Einarsen S., “The Nature and Causes of Bullying at Work”, International Journal of Manpower, 1999 vol.20, 1|2, www.worktrauma.org/foundation/research/. 89 Allport G.W., La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1976. 42 e l‟aggressività prevalgono e da una cultura dell‟organizzazione che è tollerante verso queste forme di comportamento. Brodsky, aveva già evidenziato negli anni settanta che il verificarsi delle molestie è favorito da quella cultura che permette o addirittura premia tali tipi di comportamento. L‟aggressore agisce perché sente che ha il supporto o almeno una sorta di permesso implicito dato anche dalla mancanza di sanzioni da parte dei superiori o della struttura sociale dell‟organizzazione. Dispute related bullying, sono quei casi risultato di un forte conflitto interpersonale che si estremizza in un escalation di aggressività. Secondo Leymann e Einarsen è proprio un conflitto legato al lavoro a costituire la tipica situazione grilletto - trigger situation - che innesca il processo del mobbing. Sebbene le lotte ed i conflitti interpersonali facciano parte normalmente delle relazioni umane, vi è una linea molto sottile che separa queste condotte dai comportamenti aggressivi messi in atto nel mobbing. Infatti in alcuni casi il clima sociale sul luogo di lavoro può divenire molto aspro e creare dei conflitti lavorativi che, se non correttamente gestiti, evolvono verso una personalizzazione delle ostilità fino a diventare, talvolta, vere e proprie guerre d‟ufficio, in cui la totale distruzione della parte opposta è l‟obiettivo da perseguire. In tali casi le parti in conflitto possono giungere a non considerare il valore umano, a mettere in atto manipolazioni, ritorsioni e vendette; e la parte che si trova nella situazione più svantaggiosa può così ritrovarsi a subire il mobbing. Un contrasto causato da problemi lavorativi diviene una guerra estremamente personale in cui l‟obiettivo è rappresentato dall‟eliminazione della persona avversa. I conflitti interpersonali, in cui è l‟identità delle parti la posta in gioco (è attaccata o negata l‟immagine dell‟altro), sono spesso caratterizzati da un forte coinvolgimento emotivo costituito dalla sensazione di essere insultati e da sentimenti di paura, sospetto, rancore rabbia e disprezzo. In questa atmosfera gli individui possono adottare reciprocamente condotte mobbizzanti, o risentirsi a tal punto del comportamento degli avversari da arrivare a sentirsi molestati e vittimizzati. In alcuni casi, entrambe le parti si sentono mobbizzate e gli sfoghi aggressivi provengono da ambo le parti in conflitto rendendo la situazione molto complessa e delicata. In queste situazioni, le condotte mobbizzanti possono essere usate come vere tattiche per distruggere la parte avversaria; spesso accade che ogni atto viene percepito dalla parte avversa come profondamente aggressivo ed offensivo, regnando ormai un clima di totale sospetto e perdita del rispetto. Gli studi sulla ricerca delle cause che provocano, o solo favoriscono, lo sviluppo del mobbing hanno focalizzato l‟attenzione principalmente su: personalità dell‟aggressore e della vittima; caratteristiche intrinseche delle relazioni umane nelle organizzazioni; fattori legati al lavoro ed all‟ambiente lavorativo. Il tema comune90 alle molte definizioni della personalità date dagli studiosi fa riferimento alle “peculiari modalità di comportamento, incluso pensiero ed emozioni, che caratterizzano l’adattamento dell’individuo alle situazioni della vita”. Alcuni studi longitudinali condotti sul bullismo scolastico, hanno mostrato che, spesso, le caratteristiche delle personalità riscontrate negli aggressori e nelle vittime sono costituite da tratti relativamente stabili che sono presenti dall‟infanzia e adolescenza fino all‟età adulta91. 90 91 Mischel W., Lo studio della personalità, Bologna, Il Mulino, 1986, p.14. Olweus D., Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford, Blackwell,1993. 43 Diversi autori, descrivono gli aggressori e le vittime in termini patologici e facendo riferimento a vari disordini della personalità; ad esempio Crawford92 considera il bullo come una persona che ha problemi conflittuali dell‟infanzia irrisolti. Secondo tale modello, i tratti della personalità che vengono più frequentemente riconosciuti negli attori del mobbing sono il prodotto delle esperienze infantili, influenzate dalla personalità dei genitori e dal tipo di rapporti genitore-bambino. In questa prospettiva, i modelli di comportamento osservati negli adulti riflettono lo sviluppo infantile dell‟individuo, ciò dà adito all‟idea di un ciclo vitale della violenza in cui le condotte bullizzanti si affermano e perfezionano durante l‟età giovanile e continuano a verificarsi in diverse situazioni della vita. Come sottolineano Hoel, Rayner e Cooper93, questa prospettiva deve essere certamente considerata con estrema cautela, perché c‟è il rischio di etichettare i bambini fin da piccoli con ulteriori conseguenze future. Ci sono casi in cui alcuni bambini si considerano, con persone diverse, allo stesso tempo sia aggrediti sia aggressori. Olweus94 ha osservato nelle sue ricerche sul bullying fra i bambini in età scolare, che i bambini “bullies” erano sicuri di sé, impulsivi, non presentavano problemi di perdita o mancanza di autostima ed avevano reazioni aggressive in altre e diverse situazioni, quindi una maggior inclinazione al comportamento aggressivo. La vittima risultava essere invece più ansiosa ed insicura ed aveva una minor autostima rispetto agli altri studenti, era spesso cauta, sensibile, docile e reagiva agli attacchi ritirandosi e allontanandosi. Olweus ha anche individuato, nelle sue ricerche, un gruppo di vittime che ha definito come “provocative victims”, bambini che risultavano essere contemporaneamente ansiosi ed aggressivi, ed erano considerati dalla maggior parte degli altri bimbi noiosi, fastidiosi e seccanti. Einarsen95 ha osservato che i mobbers, nei self reports, hanno descritto sé stessi come piuttosto aggressivi e con una bassa autostima. Vari studi hanno spesso rilevato che le vittime, rispetto ai soggetti non bullizzati, risultavano essere maggiormente sensibili, sospettose, con una bassa autostima, depresse e maggiormente ansiose nei rapporti sociali. Molti autori hanno ipotizzato che ci possano essere degli individui che, per i loro tratti personali, possono risultare disturbanti e, in alcune situazioni, provocare atteggiamenti aggressivi negli altri. Si potrebbe continuare a lungo con le valutazioni delle personalità degli attori del mobbing, ma ciò che qui è importante rilevare è che, queste analisi, hanno condotto alcuni a sostenere due opinioni opposte che Zapf96 ha adeguatamente riassunto. Una parte dei media ed alcuni datori di lavoro, ritengono responsabile dell‟essere mobbizzata la vittima stessa. Alcuni medici e psicologi appoggiano questo punto di vista, perché non ritengono che i gravi sintomi osservati nelle vittime delle molestie siano il risultato della situazione creatasi sul lavoro. La loro diagnosi è spesso di querulous 92 Crawford N., “The Psychology of Bully “, in Adams A., Bullying at Work: How to Confront and Overcome it. London, Virago, 1992. 93 Hoel H., Rayner C., Cooper C., “Workplace Bullying”, International Review of Industrial and Organizational Psychology, 1999, vol.14, pgg.195-230. 94 Olweus D., “Bully/victim problems among schoolchildren:basic facts and effects of a school-based intervention program.” In: Rubin K., Pepler D.(eds), The developement and Treatment of Childhood Aggression. Hillsdale, Erlbaum, 1991. Olweus D., Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford, Blackwell,1993. 95 Einarsen S., “The Nature and Causes of Bullying at Work”, International Journal of Manpower, 1999 vol.20, 1|2, www.worktrauma.org/foundation/research/. 96 Zapf D., “Organizational, work group related and personal causes of mobbing/bullying at work”, International Journal of Manpower, 1999, vol.20,1/2, pgg.70-85. 44 behaviour97 o general anxiety disorder -sindrome da angoscia generalizzata - e valutano che i disturbi esistevano prima che iniziasse il mobbing, e che proprio tali disturbi sono stati la causa del suo sviluppo. L‟opinione opposta, attribuisce la totale responsabilità al mobber o bully, affetto da disturbi della personalità, prevaricatore, mosso da sete di potere, controllo, invidia e vendetta. Assumere come causa principale la personalità degli attori, spesso equivalente ad attribuirne la colpa, comporta dei rischi che sono stati sottolineati da diversi autori. Per quanto riguarda il mobber, addossare prevalentemente su di lui la causa del processo di mobbing è una soluzione un po‟ semplicistica che rischia di creare il “mostro”, una specie di sociopatico, affetto dalla più tenera età da disturbi della personalità e che si aggira per gli uffici seminando il panico. Inoltre non chiarirebbe molto i casi in cui un intero reparto si coalizza contro un collega, sarebbe infatti difficile sostenere che in tutti questi casi siamo di fronte a personalità disturbate che casualmente si sono trovate tutte nello stesso posto. Hirigoyen98, ha delineato la figura del mobber come un narcisista perverso, una persona che nutre un piacere appagante nel ferire e nell‟aggredire, che ha bisogno di sminuire gli altri per acquisire stima di sé e conquistare il potere, che è incapace di instaurare relazioni se non su un registro perverso di cattiveria distruttiva. La forza di questi individui sta nella loro insensibilità, sono impermeabili al prossimo ed alla sua diversità, il loro motore è l‟invidia ed il loro scopo l‟appropriazione e il trionfo sugli altri. Certamente vi possono essere casi di mobbing in cui sono all‟opera persone così, ma questi casi costituiscono solo una piccola parte del fenomeno, e comunque devono trovare un ambiente a loro favorevole o almeno non punitivo per poter agire, come affermato dalla stessa autrice. Gilioli99 ritiene che la definizione della Hirigoyen sia un po‟ riduttiva perché riguarda alcune persone, ma non tutte. In base alla sua esperienza clinica ha osservato che spesso si ha a che fare con persone “normali” che eseguono una strategia aziendale o imitano un gruppo. Ritiene che più ancora dei “cattivi”, siano da tenere in considerazione i conformisti, sensibili all‟autorità o alle forti personalità, che si adeguano facilmente ed acriticamente al gruppo. Limitarsi ad individuare la personalità del mobber come causa, attribuendo alla sua personalità tutte le colpe, può innescare un processo di capro espiatorio all‟incontrario in cui gli vengono addossate tutte le responsabilità. Se i vari ritratti delle caratteristiche delle personalità, specialmente per i capiufficio, fossero sufficienti a spiegare la nascita del mobbing, la maggior parte dei lavoratori dovrebbe essere mobbizzata. Casilli100 ha delineato i tratti caratteriali del potenziale mobber: scarsa stima di sé, carente capacità comunicativa, mediocre abilità nelle relazioni interpersonali, mentalità vendicativa e incline alle rappresaglie, inefficienza. La maggior parte dei lavoratori sarebbe pronta a sottoscrivere questo ritratto del loro capo, ed anche di molti colleghi, ma non tutti i lavoratori subiscono una continua, vera e propria persecuzione distruttiva. 97 Querulous behaviour: Querulomane, individuo che ha un‟alta stima si sé e un carattere stenico ed espansivo, ma insieme un delicato senso del proprio valore e autismo (fino a una scarsa comprensione della realtà), il quale, conforme alla malattia personale, reagisce a presunte lesioni di diritto o abusi pubblici in maniera non adeguata con proteste e istanze ripetute. Voce in:Arnold H., Eysenck H.J., Meili R., Dizionario di Psicologia, Milano, San Paolo Edizioni, 5° ed.,.1996. 98 Hirigoyen M.F., Molestie morali, la violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi Tascabili, 2000. 99 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 100 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana MAP, 2000. 45 D‟altra parte in alcuni casi sono gli stessi dirigenti prepotenti che divengono i bersagli di dirigenti superiori o di loro sottoposti. Casilli conclude quindi che “avere un aguzzino incompetente per capo può facilitare, ma non necessariamente causare il mobbing”101. Una precisazione importante riguarda la necessità di tenere separata la ricerca della causa dall‟attribuzione della colpevolezza, della totale responsabilità degli accadimenti. Identificare come possibile causa del mobbing, o meglio una delle cause del mobbing, la personalità della vittima o dell‟aggressore non deve voler dire scaricare tutta la responsabilità su quella persona, perché ciò potrebbe portare a non prendere in considerazione gli altri aspetti della situazione e soprattutto ad etichettare le persone in mobbizzati e mobbizzatori, entrambi affetti da disturbi della personalità che li renderebbero inadatti alla vita sociale e lavorativa. Scivolare a questo punto su posizioni estreme come quella di Tim Field102, che ha incluso fra gli psicopatici pericolosi da rinchiudere tutti i bulli da ufficio, potrebbe essere facile ma molto pericoloso per le implicazioni morali a cui questa posizione potrebbe condurre. Identificare alcuni tratti della personalità, o delineare dei profili tipici del mobber o della vittima come responsabili del mobbing, potrebbe aprire la strada ad una discriminazione di tutte quelle persone che risultassero compatibili con tali profili, insinuando inoltre l‟idea, come scrive Casilli103, che esiste una “razza padrona ed una razza di perdenti”. Per la vittima poi, la condizione di malato mentale o la colpevolizzazione per ciò che ha subito porterebbe alla sua definitiva sconfitta personale e sociale, rendendo impossibile una sua reintegrazione non solo nel mondo lavorativo, ma anche nel mondo sociale. Zapf104 ha chiaramente messo in luce la differenza che deve essere sempre tenuta presente fra la ricerca della causa e l‟attribuzione della colpevolezza. Le persone fisicamente disabili possono avere più probabilità di essere esposte al mobbing rispetto a quelle fisicamente sane. Anche se fosse dimostrato che è proprio il loro handicap, e nessuna altra variabile, ad accrescere la probabilità di essere mobbizzate, non avrebbe molto senso accusare la disabilità fisica: la vera causa è da ricercare nel gruppo sociale dell‟organizzazione che non ha saputo confrontarsi con le persone che appaiono diverse ed anche nel management che non è stato capace di gestire in modo appropriato la situazione. Gli approcci psicoanalitici concentrano l‟attenzione sulle caratteristiche intrinseche di tutte le interazioni umane, sottolineando come la “disposizione all‟aggressività” sia un normale aspetto della vita organizzativa. Crawford105 ritiene che il bullying rappresenti una misura della società in cui viviamo, è un fenomeno caratterizzato da un comportamento border-line, prossimo a quei comportamenti che la società considera come criminali. Considerando uno spettro dell‟aggressività nei luoghi di lavoro, il livello più drammatico è rappresentato dall‟omicidio, i livelli inferiori che si succedono lungo il continuum sono la violenza fisica, la molestia sessuale, il bullying, e l‟estremo opposto è rappresentato dal livello 101 Casilli A.A., op. cit., p.44. www.successunlimited.co.uk 103 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, 2000, pg.72. 104 Zapf D., “Organizational, work group-related and personal causes of mobbing/bullying at work”, International Journal of Manpower, 1999, 20,1/2, pgg.70-85. 105 Crawford N., “Bullying at Work: A Psychoanalitic Perspective”, Journal of Community & Applied Social Psychology, 1997, 7, pgg.219-225. 102 46 dell‟imbrigliamento degli istinti primitivi, essenziale per lo sviluppo delle organizzazioni e funzionale al compito lavorativo. Il bullying è considerato come un sintomo della disfunzione organizzativa, un conflitto serpeggiante che scoppia improvvisamente sulla superficie mostrando la sua gravità. I comportamenti che caratterizzano il bullying, secondo Crawford, sono normalmente presenti e sono intessuti nella struttura del lavoro, per esempio nella vendita ne costituiscono spesso il modus operandi, come anche fanno parte della vita sociale in generale. Ciò che Crawford evidenzia è che i datori di lavoro dovrebbero essere maggiormente coscienti e responsabili di ciò che accade all‟interno della loro organizzazione. Per definizione l‟organizzazione crea gruppi per svolgere il compito lavorativo, ma spesso non accetta alcuna responsabilità per ciò che vi accade all‟interno e per le dinamiche che possono emergere nel corso delle relazioni umane. Gli istinti aggressivi sono necessari per la sopravvivenza e per essere utilizzati nelle mansioni lavorative. L‟invidia, la rivalità, l‟aggressività, il desiderio di vendetta ed anche i pensieri delittuosi dovrebbero essere visti come una faccenda di ordinaria amministrazione. Dove tali sentimenti non sono considerati, nessuno sente la responsabilità di dover confrontarsi con loro nella gestione dell‟organizzazione e questo apre la strada all‟indulgenza verso condotte tiranniche, ad ambienti di lavoro come campi di battaglia ed ai maltrattamenti psicologici. Per Crawford, ciò avviene nella maggior parte dei casi e ritiene che questo livello rozzo delle gestione delle risorse umane sia quasi endemico. Thylefors106 rappresenta il bullying come un processo di capro espiatorio in cui le frustrazioni sono proiettate sugli individui dando soddisfazione ai bisogni degli individui-bulli e dell‟organizzazione. Il bullying è considerato un processo interattivo, in cui l‟organizzazione, il gruppo e la vittima hanno ognuno uno specifico ruolo. La frustrazione è identificata con gli impulsi che sono sentiti come inaccettabili, con i pensieri conflittuali più che con la frustrazione provocata dall‟alienazione del lavoro. Il processo di capro espiatorio, come il bullying, riflette le strategie di difesa imparate per far fronte alla frustrazione nell‟infanzia. E sono proprio quelle situazioni che più possono rassomigliare alle esperienze dell‟infanzia che possono condurre ad una ripetizione dei modelli comportamentali, in particolare quelle dove le strategie di difesa non sono state correttamente adattate. Waugh107, ritiene che i precursori del bullying sono parte del normale sviluppo dell‟uomo dall‟età di 3 anni. Questi precursori sono collegati all‟onnipotenza infantile108, ai sentimenti associati di trionfo e disprezzo, al desiderio di essere pienamente potente ed al desiderio conseguente di proiettare le parti di sé stesso impotenti, vulnerabili e disprezzabili su un‟altra persona che diviene quindi oggetto di disprezzo. Waugh nella sua definizione descrive il bullying come “una violenza, fisica o psicologica, di un individuo o un gruppo contro un altro individuo che non è in grado di difendersi in quella 106 Citato in: Vartia, M., “The sources of bullying- Psychological Work Environment and Organizational Climate”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5, (2). Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace Bullying”, International Review of Industrial and Organizational Psychology, 1999, 14. Einarsen S., “Norwegian Research on Bullying at Work: Empirical and Theoretical contributions”, www.worktrauma.org/foundation/research. 107 Waugh S., “The Darkness Within”, in: AA.VV. Bullying, Causes, Costs and Cures, a cura di Mc Carthy P., Sheenhan M., Wilkie S., Nathan (Australia), Beyond Bullying Association inc., 1998. 108 “L‟onnipotenza infantile è un pensiero inconscio sviluppato nella primissima infanzia, che c‟è qualcuno, sia sé stessi sia altri per esempio la propria madre, che possiede tutto il potere, tutta la conoscenza, l‟immortalità e l‟invulnerabilità e che questo qualcuno non commette mai nessun errore.” Waugh, op.cit., p.3. 47 situazione. Bullying è di solito un desiderio conscio di attaccare un altro individuo, ma sotto questo desiderio conscio di vittimizzare l’altro, c’è un desiderio inconscio del bullo di ripudiare e proiettare le proprie vulnerabilità, fragilità e paure disprezzate e di credere che questi attributi appartengano solamente all’individuo attaccato nel quale possono essere sicuramente disprezzati e scherniti”109. Questa definizione però rischia di creare ambiguità nella terminologia. Non è chiaro se si sta parlando del bullying come di un fenomeno, un processo caratterizzato da una condotta ostile ripetuta e persistente che provoca seri danni alla vittima, oppure il termine bullying è usato per indicare una condizione dell‟individuo. Qui, il termine bullying si riferisce al desiderio o al fenomeno che può essere causato dal desiderio? Molti degli autori che hanno centrato la loro attenzione sugli aspetti della personalità degli attori del mobbing e sui caratteri intrinseci alle dinamiche delle relazioni umane in ambito lavorativo, hanno anche messo in luce l‟importanza del ruolo del management e dell‟ambiente sociale nel processo del bullying. Brodsky ha affermato che anche se le vessazioni possono essere un carattere intrinseco ed un meccanismo di base all‟interno di tutte le relazioni interpersonali, è altrettanto vero che affinché si verifichino, gli elementi della molestia devono sussistere all‟interno di una cultura che permette o addirittura ricompensa questi tipi di comportamento. In effetti, il bullying avrà luogo se l‟aggressore/i ne avranno benefici, sentiranno il sostegno od almeno il permesso implicito dei superiori per comportarsi in quel modo. Se la condotta non è permessa o sostenuta da superiori, dalla pratica manageriale, l‟aggressore rischia di potersi ritrovare egli stesso vittima di contrattacchi o di severe punizioni. Alcune organizzazioni, sembrano aver istituzionalizzato la vessazione come parte dell‟attività di comando e lo stile della leadership assolutista è ancora valutata positivamente in molte compagnie. Molti saggi, descrivendo storie di mobbing, hanno mostrato quante facce può assumere questo fenomeno a seconda dell‟ambiente di lavoro in cui si trova la vittima. E‟ una strategia di comportamento che può servire a colpire un elemento considerato dal gruppo di lavoro e/o dai superiori come whistleblower110, o in qualche modo diverso e pericoloso per la posizione o per le possibilità di carriera; è una strategia formalizzata quando un dipendente rifiuta di abbracciare la politica aziendale, ma può essere usata come metodo per aumentare la produttività e rappresenta anche una possibilità per liberarsi di qualcuno quando il licenziamento risulta troppo oneroso. Casilli111 sostiene quindi che “Si può capire il senso del mobbing - e la maniera di combatterlo - solo se si studia l’ambiente di lavoro in cui vittime e mobber vivono quotidianamente. Forse la 109 Waugh, op.cit., p.8. Nei paesi anglossassoni le persone che vengono definite whistleblowers sono quei dipendenti che hanno il coraggio di denunciare situazioni di illegalità e di malaffare nella propria azienda o ufficio pubblico e che possono coinvolgere colleghi o superiori. Nella maggior parte dei casi queste persone divengono bersaglio di molestie e atti vessatori, anche orchestrati in modo da minare la loro credibilità. Spesso, senza alcun aiuto e tutela, sono costretti a lasciare il posto di lavoro. Nel mondo esistono molte associazioni per aiutare queste persone e nel Regno Unito è stata approvata una legge nel 1999 che tutela i whistlebolwers dagli abusi e molestie lavorative che subiscono in seguito al loro atto di denuncia. In Italia il termine sarebbe delatore che però ha una valenza negativa: accusatore per denaro o interesse, spia ( Gabrielli A., Grande Dizionario illustrato della lingua italiana, Mondadori, 1989), mentre il termine anglosassone ha valenza positiva:suonatore di fischietto d‟allarme. (AAVV., Bullying from Backyard to Boardroom, a cura di Mc Carhy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium Books, 1996. Casilli A.A., Stop Mobbing, Milano, DeriveApprodi, 2000). 111 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana Map, 2000, pg.37. 110 48 prepotenza e il bullismo sono tendenze innate in alcune persone, ma sarebbe sbagliato fare finta che il contesto lavorativo non conti.” Gli studi scandinavi, per primi, hanno inquadrato il problema delle cause focalizzando l‟attenzione sulla qualità dell‟ambiente sociale e lavorativo all‟interno delle organizzazioni e considerandolo un fattore importante se non determinante per l‟occorrenza del mobbing. Leymann112 basandosi sull‟analisi di oltre 800 casi di mobbing, ha rilevato che tutti avevano in comune una scarsa organizzazione produttiva e metodi di lavoro inefficienti, ed in quasi tutti i casi è stato rilevato un management debole o disinteressato. Come esempio ha descritto l‟organizzazione del lavoro di strutture ospedaliere in cui si erano verificati molti dei casi da lui osservati. Ha rilevato la presenza di due gerarchie parallele quella dei medici e quella delle infermiere, entrambe con una direzione che dà gli ordini; spesso il personale non sa bene chi sia il suo capo, perché i responsabili di entrambe le gerarchie hanno l‟autorità per dire ciò che deve essere fatto. Frequentemente in questa situazione di ambiguità di potere si instaura una sorta di leadership informale per far andare avanti il lavoro, leadership che gli studi sul management e sulle organizzazioni considerano molto pericolosa perché può determinare facilmente dei conflitti. Quando questi accadono, se si prolungheranno nel tempo o saranno invece risolti dipende molto di più dalla dinamica informale esistente all‟interno del gruppo piuttosto che dalla direzione ufficiale. Il rischio di mobbing aumenta maggiormente se, in tali situazioni di conflitto, il capo di una delle due gerarchie invece di trovare una soluzione sceglie di prendere parte attiva nel problema, optando per una delle due parti in conflitto oppure negando l‟esistenza del dissidio. Entrambi questi comportamenti dei superiori peggiorano la situazione innescando un‟escalation del conflitto. Leymann, dalle interviste alle vittime, ha constatato che i fattori più importanti che possono condurre al terrorismo psicologico sul posto di lavoro sono le inefficienze nella strutturazione del lavoro e nelle condotte di comando, una posizione socialmente esposta della vittima ed un basso standard morale nel reparto. Il mobbing inizia quindi da un conflitto e la catena causale degli eventi individuata da Leymann, secondo Vartia 113, è la seguente: gravi fattori di stress legati all‟organizzazione del lavoro ed alla leadershipfrustrazioneliberazione delle emozioniterrore psicologico. Leymann ha criticato le affermazioni circa l‟importanza dei tratti della personalità nello sviluppo del processo di mobbing ritenendo che fossero un falso problema. Ha sottolineato infatti come il luogo di lavoro è sempre disciplinato da regole comportamentali, una delle quali riguarda la cooperazione controllata dai superiori. Ovviamente i conflitti possono sempre nascere ma devono essere sanati, ed uno degli obblighi dei superiori è precisamente quello di gestire questo genere di eventi. Quando ciò non accade, il management permette di fatto l‟escalation del conflitto verso un possibile processo di mobbing. Il dissidio nato per problemi inerenti il compito lavorativo può estremizzarsi ed assumere una veste privata, in cui si manifesta una profonda avversione ed antipatia fra gli individui coinvolti. Quando è raggiunto questo stadio, secondo Leymann114, “non ha 112 Leymann H., “The content and developement of Mobbing”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pgg.165-184. 113 Vartia M., “The Sources of Bullying”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pgg.203-214. 114 Leymann H., “The Content and Developement of Mobbing”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), p.179. 49 molto significato accusare o biasimare la personalità di qualcuno, anche se ricerche ulteriori dovessero individuare la personalità come una causa dei conflitti di questo genere. Se un conflitto si è sviluppato in un processo di mobbing la responsabilità risiede innanzitutto nel management, sia nel caso di gestione inefficiente della situazione particolare, sia per mancanza di politiche organizzative circa la gestione dei dissidi in generale.” Inoltre Leymann ha giudicato che i problemi caratteriali delle vittime rilevati negli studi sul mobbing non deponessero a favore dell‟ipotesi della personalità come causa del fenomeno, ma ne fossero invece il risultato, ha sostenuto infatti che lo sviluppo della sindrome post traumatica da stress in un individuo può comportare come sintomo dei mutamenti nella personalità della vittima. Tali sintomi di cambiamento della personalità sono abbastanza tipici e distinguibili ma psichiatri, che non sono al corrente delle nuove conoscenze sulla sindrome come tipico disturbo della vittima, possono interpretare scorrettamente tali sintomi come disturbi della persona preesistenti al mobbing e che hanno contribuito al verificarsi dello stesso. Molti ricercatori ritengono che tale ipotesi non sia da scartare, ma neppure da accettare con certezza fino a quando non sarà possibile effettuare degli studi longitudinali su questo aspetto del mobbing. Lo studio delle possibili cause del mobbing è stato condotto prevalentemente raccogliendo i dati con interviste alle vittime, chiedendo quale ritenessero fosse la ragione di ciò che avevano subito e somministrando questionari sul tipo di lavoro svolto, sull‟ambiente e sull‟organizzazione del lavoro. Le risposte però potevano essere il risultato di un errore di attribuzione. In base alla teoria dell‟attribuzione le persone tendono ad ascrivere i propri successi a sé stessi, gli insuccessi a condizioni esterne o altre persone, e nel valutare i comportamenti altrui tendono ad attribuirne le cause alla persona piuttosto che alle condizioni ambientali. Un dato importante riguarda le cause del mobbing così come sono percepite dai soggetti. Seigne115 ha rilevato che tutte le vittime accusavano la personalità difficile dell‟aggressore; la metà di esse riteneva che questa si combinava con un cambiamento nella posizione lavorativa, cioè il raggiungimento di una posizione di potere del bullo. Due vittime su tre ritenevano che l‟invidia per le loro capacità fosse il movente dell‟aggressore. Bjorkvist116 ed altri ricercatori hanno rilevato che le tre principali cause percepite erano la competizione per lo status e la posizione nel lavoro, l‟invidia, e l‟insicurezza dell‟aggressore. Molti soggetti avevano anche indicato la personalità della vittima, e le stesse vittime erano in dubbio sul fatto di essere la causa di ciò che era loro successo o meno. Anche Einarsen117, ha rilevato che l‟invidia era la risposta più comune menzionata dalle vittime, seguita da una valutazione negativa della leadership dell‟immediato superiore. Ma le stesse vittime sentivano che la loro incapacità di difesa, la loro bassa autostima, la timidezza e la mancanza di abilità nel gestire i conflitti avevano contribuito al problema. Solo alcune delle vittime facevano riferimento a fattori esterni all‟aggressore o a loro stessi, come per esempio una situazione lavorativa stressante o il 115 Seigne E., “Bullying at Work in Ireland”, in AA:VV, Bullying at Work, 1998 Research Update Conference: Proceedings, a cura di Rayner C., Sheehan M., Barker M., Staffordshire University, Stafford. 116 Bjorkvist K., Osterman K., Hjelt-Back M., “Aggression among University Employees”, Aggressive Behavior, 1994, 20, pp.27-33. 117 Einarsen S., Raknes B.I., Matthiesen S.M., “Bullying and harassment at work and their relationships to work environment quality: an exploratory study”, The European Work and Organizational Psychologist,1994, vol.4, pp.381-401. 50 clima sociale del luogo di lavoro. Vartia 118, ha ottenuto risultati simili. L‟invidia quale causa del bullying era il motivo più citato dalle vittime, seguito da un superiore debole, competizione per le mansioni o per avanzamenti e competizione per l‟approvazione o il favore dei superiori. Meno diffusa l‟insicurezza dovuta al rischio di perdere il lavoro. Una vittima su cinque riteneva che la sua diversità rispetto agli altri fosse la ragione di ciò che aveva subito. Zapf Knorz e Kulla 119 hanno rilevato che le ragioni più comunemente addotte dalle vittime del mobbing erano che “i mobbers volevano mandarle via dall‟organizzazione”e “una certa persona aveva influenzato gli altri”. Molte segnalavano cause organizzative, come il clima sociale, conflitti irrisolti e lo stress. Alcuni ricercatori hanno cercato conferme alla validità dei risultati ottenuti formando dei gruppi di controllo i cui soggetti non avevano assistito o subito azioni mobbizzanti, e gruppi di individui che invece avevano assistito a casi di mobbing ma non ne erano stati direttamente coinvolti, gli “observers”. Diverse ricerche effettuate hanno rilevato che sia le vittime del mobbing sia gli osservatori riferivano una generale insoddisfazione per l‟ambiente lavorativo, rispetto a coloro che non si erano trovati coinvolti in alcun modo in situazioni di mobbing. In una indagine fra trenta vittime irlandesi del bullying Seigne 120 ha rilevato che, in base alle interviste raccolte, il loro ambiente di lavoro era molto stressante e competitivo, con un‟alta incidenza di conflitti interpersonali e mancanza di un‟atmosfera amichevole e di sostegno, inoltre vi erano cambiamenti organizzativi in corso gestiti con uno stile assolutista di leadership. Einarsen ed altri121 in un‟indagine che coinvolgeva 2.200 aderenti a sei sindacati del lavoro norvegesi, hanno riscontrato che sia le vittime sia gli osservatori confermavano una maggior insoddisfazione del clima sociale sul posto di lavoro. Segnalavano la mancanza di una leadership costruttiva, l‟impossibilità di monitorare e controllare il loro compito lavorativo, una non chiarezza nelle mete previste dal lavoro, e la presenza all‟interno dell‟organizzazione di un alto livello di conflittualità di ruolo (role conflict). In una successiva ricerca 122 fra lavoratori maschi dell‟industria, i ricercatori hanno trovato una forte correlazione fra le vessazioni e l‟insoddisfazione per il lavoro pressante, per il clima sociale, per il tipo di leadership e per la mancanza di un lavoro stimolante. Vartia123 in un‟indagine su 949 lavoratori finlandesi occupati in diversi tipi di attività, ha analizzato l‟incidenza del bullying e le sue relazioni con l‟ambiente lavorativo. Nel campione osservato il 10,1% dei soggetti si considerava vittima del bullying, l‟8.7% era stato “osservatore” di casi di bullying all‟interno del suo luogo di lavoro e l‟81,1% non aveva segnalato casi nella sua organizzazione. 118 Vartia M., “The Sources of Bullying: Psychological Work Environment and Organizational Climate”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.203-214. 119 Zapf D., Knorz C., Kulla M, “Causes, coping, and consequences of various mobbing factors at work”, presentato al VII European Congress of Work and Organizational Psychology, Ungheria Aprile 1995. 120 Seigne E., “Bullying at Work in Ireland”, in AA:VV, Bullying at Work, 1998 Research Update Conference: Proceedings, a cura di Rayner C., Sheehan M., Barker M., Staffordshire University, Stafford. 121 Einarsen S., Raknes B.I., Matthiesen S.M., “Bullying and harassment at work and their relationships to work environment quality: an exploratory study”, The European Work and Organizational Psychologist,1994, vol.4, pp.381-401. 122 Einarsen S., Raknes B.I., “Harassment at Work and Victimization of Men”, Victims and Violence, 1997,12(3). 123 Vartia M., “The Sources of Bullying: Psychological Work Environment and Organizational Climate”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.203-214. 51 L‟atmosfera generale in cui lavoravano le vittime e gli osservatori risultava essere più tesa e competitiva di quella in cui non vi erano azioni mobbizzanti, considerata invece più amichevole e piacevole. Alcune caratteristiche dell‟ambiente psicologico e del clima sociale di lavoro erano molto associate al bullying con differenze fra il gruppo delle vittime, il gruppo degli spettatori ed il gruppo no-bullying: modo autoritario di sistemare le divergenze d‟opinione senza discussione e negoziazione; poche possibilità di influenzare le faccende riguardanti se stessi; inadeguato flusso di informazioni; carenza di mutue discussioni reciproche circa i compiti e le mete; scarsa chiarezza sui traguardi del proprio lavoro. Questi elementi sono risultati aspetti importanti dell‟ambiente lavorativo che possono promuovere e favorire il bullying; in queste aree non solo le vittime ma anche gli osservatori avevano segnalato delle deficienze. Molte di queste caratteristiche sono legate al tipo di leadership ed alla pratica manageriale presente nell‟organizzazione, e denotano quindi l‟importanza del ruolo della direzione nell‟influenzare questi aspetti dell‟ambiente lavorativo. Un altro aspetto importante che era connesso al bullying è costituito dall‟atteggiamento verso l‟innovazione, rilevato maggiormente negativo nel caso del gruppo delle vittime e degli osservatori. Inoltre il 63% delle vittime, il 68% degli osservatori e il 48% del gruppo no-bullying aveva riferito che erano stati prospettati loro dei grandi cambiamenti all‟interno del loro ambiente di lavoro. Vi erano quindi maggiori cambiamenti previsti nei luoghi di lavoro affetti da bullying. Vartia ha considerato infatti, come negli ultimi anni in Finlandia la depressione economica e le trasformazioni delle organizzazioni abbiano portato ad una situazione lavorativa in cui il numero delle persone impiegate è diminuito e lo stress dei lavoratori è molto aumentato. La difficile circostanza che si è così creata nel lavoro e le sue trasformazioni, rendendo incerto e molto competitivo il mondo del lavoro, possono quindi ragionevolmente favorire lo sviluppo del bullying. In una studio finlandese di Appelberg 124, erano state individuate delle relazioni fra la monotonia, ritmi febbrili del lavoro e l‟esperienza di conflitti e problemi. Queste caratteristiche sono state esaminate da altri autori, Vartia, Einarsen e Raknes, ma non hanno dato esito positivo all‟ipotesi che monotonia e ritmo febbrile possano essere in se stesse delle caratteristiche in grado di causare il bullying, sebbene vi siano delle relazioni fra il bullying ed il sovraccarico e monotonia di lavoro. Zapf, Knorz e Kulla125 hanno esaminato le relazioni fra stressori sociali o interpersonali, stressori legati al lavoro ed il mobbing. I ricercatori tedeschi hanno inquadrato il problema mobbing nell‟ambito delle ricerche sullo stress, considerandolo come una forma estrema di stressore sociale sul lavoro. Gli stressori sociali: clima negativo all‟interno del gruppo, conflitti fra colleghi e con superiori ecc., si caratterizzano per il loro legame con le relazioni sociali fra i dipendenti all‟interno dell‟organizzazione, mentre gli stressori legati al lavoro: caratteristiche del lavoro, problemi organizzativi, incertezza, condizioni ambientali e pericolo di incidenti, 124 Appelberg K., Romanov K., Honkasalo M.L., Koskenvuo M., “Interpersonal Conflicts at Work and Psychosocial Characteristics of Employees”, Social Science Medicine, 1991, 32, pp.1051-1056. 125 Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationship between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pgg.215-237. 52 sono caratterizzati dal legame con il tipo di lavoro svolto e di organizzazione in cui si opera. I risultati oltre a confermare i fattori già visti, hanno mostrato che le vittime del mobbing svolgevano lavori di media complessità ed avevano meno controllo sul tempo rispetto agli altri soggetti, che è stato interpretato come un avere minori possibilità di tempo per risolvere i conflitti che possono nascere sul posto di lavoro, favorendo così il prolungarsi del dissidio con il rischio di causare la sua escalation. Le vittime hanno evidenziato che nel lavoro avevano forti richieste di cooperare. Questa necessità è stata interpretata, in base a studi precedenti, come una dipendenza negativa dai colleghi, un essere forzati a lavorare insieme; tale costrizione alla cooperazione favorisce l‟insorgere di conflitti anche gravi che, se non correttamente gestiti, possono divenire il substrato favorevole allo sviluppo del mobbing. I soggetti mobbizzati segnalavano anche un minor sostegno sociale dei colleghi e dei superiori rispetto agli altri soggetti. In effetti una forma di mobbing abbastanza diffusa è l‟isolamento sociale della vittima, atteggiamento presente maggiormente nel caso di mobbing orrizzontale fra colleghi, rispetto a quello verticale. L‟individuazione delle possibili cause del mobbing, lascia ancora però oscura la sua dinamica. Infatti non si può tralasciare l‟ipotesi che, l‟ambiente di lavoro negativo, i problemi presenti nell‟organizzazione e nel clima sociale possano essere una conseguenza del processo di mobbing e non i suoi antecedenti. Come per il ruolo giocato dalla personalità del mobber e della vittima rimane il dubbio su come si svolga la catena causale degli eventi. I modelli realizzati per chiarire la catena causale del mobbing sono complessi e molti ricercatori suggeriscono di non fermarsi ad una spiegazione unilaterale che prenda in considerazione solo alcuni fattori di rischio, ma di valutare la presenza di più cause che simultaneamente concorrono a creare il terreno fertile per lo sviluppo del mobbing. I fattori legati all‟ambiente lavorativo e le personalità degli attori del mobbing possono giocare quindi ruoli diversi a differenti stadi del processo di escalation. Le teorie dell‟aggressività, dell‟attribuzione e le ricerche sullo stress sono state utilizzate per cercare di interpretare la dinamica degli eventi del mobbing e le interazioni persona - situazione che la caratterizzano 126. La tensione, lo stress e la frustrazione causate da una situazione lavorativa negativa caratterizzata dai fattori che sono stati evidenziati può determinare un peggioramento del clima sociale all‟interno del gruppo di lavoro. Generalmente l‟esperienza di una forte tensione lavorativa ha un impatto negativo sulle relazioni interpersonali di una persona con i suoi colleghi. Questo può condurre a comportamenti aggressivi a causa della disposizione negativa che si è creata. Tale ipotesi implica che il bullying può verificarsi in ambienti di lavoro “malati”, molto probabilmente attraverso gli effetti dei fattori ambientali sul comportamento aggressivo. In alternativa, l‟approccio interazionista, considera invece che gli eventi stressanti influenzano indirettamente l‟aggressività attraverso i suoi effetti sul comportamento della vittima. Le persone stressate possono violare delle aspettative, disturbare gli altri, lavorare con minore competenza ed anche infrangere le norme sociali alla base delle relazioni educate e amichevoli, provocando così una risposta aggressiva negli altri. 126 Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace Bullying”, International Review of Industrial and Organizational Psychology, 1999, 4, pp.195-230. 53 Le relazioni fra mobbing e stress caratterizzano gli studi del fenomeno. Il termine stress –sforzo- definisce lo stato dell‟organismo in occasione di una sollecitazione che può subire o attivare e dei processi di elaborazione della sollecitazione stessa confrontata con le sue cause, gli stressori, sia interni che esterni 127. Il fenomeno dello stress è caratterizzato da una serie di processi psicofisiologici di adattamento alla modificazione dello stato di equilibrio della persona causata dagli stressori. Si tratta di un‟esperienza che attraversa la vita delle persone in presenza di eventi della vita, sia positivi sia negativi, che causano modificazioni alla normale routine individuale e che richiedono degli adattamenti. Se la situazione stressante si protrae nel tempo o si ripete ad intervalli ravvicinati, va oltre la capacità di adattamento dell‟individuo e lo stato di allarme persiste logorando progressivamente la resistenza del soggetto. E‟ stata definita reazione da stress sia l‟adozione da parte del singolo di un atteggiamento di difesa, sia l‟alterazione delle funzioni controllate dal sistema nervoso autonomo, quali il battito cardiaco, l‟affanno e così via. L‟intensità della reazione allo stress è data dall‟importanza e gravità percepita dell‟evento stressante e dalla valutazione cognitiva dell‟evento: previsione della sua durata nel tempo, della controllabilità dell‟evento, della capacità di predisporre delle strategie di difesa 128. Lo stress ed il mobbing sono due fenomeni distinti. Scrive Leymann129: “In scandinavian research, as in the present article, mobbing is seen as an extreme social phenomenon, triggered by extreme social stressors, causing a range of negative effects, e.g. biological and psychological stress reactions”. Il mobbing si verifica esclusivamente nei luoghi di lavoro, e descrive un processo in escalation di aggressione prevalentemente psicologica, di vere e proprie strategie persecutorie protratte nel tempo e che si concentrano su un soggetto che si trova in una situazione di inferiorità strategica. Lo stress invece è un‟esperienza soggettiva che si verifica in tutti gli ambiti della vita di un individuo. Mobbing e stress sono fortemente interrelati fra loro, in un reciproco rapporto di causa effetto. Il mobbing provoca stress ed a sua volta lo stress può essere causa del mobbing, ma non bisogna confondere i due concetti, il mobbing include sempre la nascita dello stress, mentre lo stress può verificarsi indipendentemente dal mobbing. Il mobbing può essere causato dallo stress nel senso che una persona stressata, od anche un gruppo di individui in una situazione stressante possono diventare dei mobbers sia come valvola di sfogo sia come reazione ad una persona che, a sua volta stressata, può disturbare la stabilità del gruppo o violare delle norme informali in esso presenti e provocare così delle reazioni aggressive. Il mobbing può però verificarsi indipendentemente dallo stress lavorativo, vi sono casi nella letteratura anedottica dovuti alla noia, all‟antipatia, alla diversità della vittima prescelta rispetto al gruppo, ad una strategia pianificata per eliminare persone considerato in esubero o pericolose per il loro comportamento oppure per politica aziendale. 127 Ege H., Lancioni M., Stress e Mobbing, Bologna, Pitagora Editrice, 1998. Gergen K., Gergen M., Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1985. Mischel W., Lo studio della personalità, Bologna, Il Mulino, 1986. 129 Leymann H., “The Content and Development of Mobbing”, European Journal of Work and organizational Psychology, 1996, 5(2), p.169: nelle ricerche scandinave, come nel presente articolo, il mobbing è considerato come un fenomeno sociale estremo, innescato da gravi stressori sociali, che causano una serie di effetti negativi, per esempio reazioni biologiche e psicologiche da stress. 128 54 Le ricerche condotte in Germania hanno focalizzato l‟attenzione sul mobbing considerandolo come una forma estrema di stressore sociale. Quest‟ottica, oltre ad avere vantaggi metodologici, ha indubbiamente il merito di contribuire a rimuovere lo stigma attribuito molto spesso alla vittima. I ricercatori sono sempre più propensi a ritenere che solo dei modelli che contemplino delle cause multiple e delle influenze reciproche possono illustrare il processo del mobbing. I livelli d‟analisi a cui può essere condotta l‟indagine sono diversi: teorie della personalità, ambiente lavorativo, cultura organizzativa, cambiamenti organizzativi, ambiente sociale e culturale. I modelli prodotti non dovrebbero essere in competizione, ma integrarsi a vicenda fornendo un quadro più completo possibile del mobbing, utile soprattutto a creare le condizioni per interventi efficaci di prevenzione. Zapf ha elaborato un modello di cause e conseguenze del mobbing combinando insieme i vari dati raccolti. Ha approntato un schema esplicativo che, basandosi sui dati, ipotizza che debbano essere prese in considerazione varie cause che interagendo simultaneamente formano una miscela di fattori che concorrono a creare la situazione di mobbing. Cause Mobbing Conseguenze Organizzative -Leadership -Cultura Organizzativa -Stressori del lavoro -Organizzazione del lavoro -Dicerie -Isolamento sociale Aggressore Gruppo sociale -Ostilità -Invidia -Pressione del gruppo -capro espiatorio -Aggressione verbale -Depressione -Misure organizzative -Ansia -Attacchi alla sfera privata -Ptsd -Aggressioni fisiche -Ossessione Persona -Personalità -Qualifiche -abilità sociali -stigmata -Disturbi psicosomatici -Attacchi agli atteggiamenti Figura 1. Causes and consequences of mobbing. Fonte: Zapf D., “Organizational, work group related and personal causes of mobbing/bullying at work”, International Journal of Manpower, 1999, 20, 1|2, pg.71. Il modello contempla fattori organizzativi, sociali, come pure fattori personali del mobber e della vittima che possono essere causa del mobbing. Lo schema di Zapf illustra come non sia chiaro se la catena causale si muova da sinistra a destra o da destra verso sinistra. Ad esempio vi sono cause nell‟organizzazione che conducono al mobbing, il quale induce nella vittima problemi di salute. Ma vi sono casi in cui un comportamento ansioso, depressivo o ossessivo della vittima può indurre una reazione negativa 55 del gruppo di lavoro che nel tempo può condurre a condotte mobbizzanti. Il mobbing può indurre un peggioramento del clima sociale nell‟ambiente di lavoro che si ripercuote sulla comunicazione delle informazioni e sul rendimento lavorativo, ciò accresce gli stressori lavorativi come l‟incertezza sul raggiungimento dei traguardi prefissi e aumenta i problemi organizzativi. Abbiamo visto che Zapf considera come spesso la causa è equiparata alla colpa, la quale invece è un problema di interpretazione come si è visto nel suo esempio sulla disabilità come potenziale causa di mobbing. Ricorda anche che, in realtà, i problemi di leadership o organizzativi non possono molestare le persone, ma sono sempre le persone che reagiscono in questo modo a tali problemi. In senso lato è però possibile parlare di organizzazione come causa del mobbing perché, in determinate circostanze, i fattori organizzativi possono contribuire a peggiorare il clima sociale e ad aumentare ed esasperare i conflitti inerenti il lavoro favorendo, di fatto, la possibilità di occorrenza del mobbing. Zapf ha esaminato tutte e quattro le potenziali cause presenti nel modello, utilizzando con i soggetti (vittime e gruppi di controllo) dell‟indagine diverse scale per misurare tutti i fattori inerenti il lavoro, gli aspetti del sistema sociale e organizzativo e la personalità. Ha misurato la frequenza dei comportamenti mobbizzanti e i disturbi delle vittime. Ai partecipanti dell‟esperimento è stato anche chiesto di compilare una serie di items inerenti la causa percepita del mobbing. Per confermare i risultati dei self reports sulle ragioni percepite, ha confrontato i risultati con le misurazioni inerenti il lavoro e l‟organizzazione riscontrando che, per esempio, per quanto riguarda i problemi organizzativi, coloro che non li sentivano come causa del mobbing avevano anche mostrato negli altri rilevamenti meno problemi organizzativi nel loro posto di lavoro. Questo conferma che da un lato, i self reports non sono inaffidabili e dall‟altro che l‟organizzazione è una potenziale causa del mobbing. Le risposte sulle cause percepite prevedevano una serie di items che riguardavano la vittima stessa come causa. Confrontando i soggetti che si erano considerati come causa del mobbing con le misurazioni inerenti la loro personalità, abilità sociale e assertività, Zapf ha rilevato che fra le vittime del mobbing, vi era un gruppo di individui che aveva sintomi di ansietà, depressione e eccitazione negativa (negative affect) preesistenti al mobbing. Questo gruppo aveva anche minori abilità sociali e comportamenti sociali inadeguati rispetto ad altri soggetti, non erano sensibili al conflitto, tendevano ad evitarlo per quanto possibile o altrimenti a cedere facilmente ed erano incapaci di costruire una stabile rete di rapporti sociali: tutto questo aveva accresciuto la loro possibilità di divenire vittime del mobbing. Per contrasto lo stesso confronto fra le misurazioni avevano evidenziato anche vittime che non avevano queste caratteristiche, e non differivano dal gruppo di controllo. Zapf ha quindi costruito dei gruppi secondo le quattro cause di mobbing: gruppo “organizzazione” come causa. Riuniva quei soggetti che indicavano l‟organizzazione come causa ed avevano un alto punteggio nelle misurazioni dei problemi organizzativi, ma non segnalavano un clima sociale molto aspro. I soggetti del gruppo non appartenevano al gruppo estremo della scala nonassertività/evitamento; gruppo ”perpetratore” come causa. I soggetti riconoscevano come causa la presenza di una persona ostile nell‟organizzazione; gruppo “sistema sociale” come causa. I soggetti risultavano bassi nei punteggi della scala del supporto sociale dei colleghi ed in quella del clima comunicativo; 56 gruppo “vittime” come causa. Aveva riportato alti punteggi nella scala nonassertività/evitamento. Confrontando questi gruppi con le caratteristiche del lavoro, il gruppo con sistema sociale come causa e quello con l‟organizzazione presentavano le peggiori condizioni lavorative rispetto agli altri, specialmente per quanto riguardava l‟incertezza, i problemi organizzativi e la pressione del tempo. Il gruppo “sistema sociale” rivelava la presenza dei punteggi più alti negli stressori sociali. In merito al mobbing, il gruppo “sistema sociale” risultava quello con il più alto livello di condotte mobbizzanti, mentre il gruppo “perpetratore” quello più basso. Riguardo agli effetti, il gruppo “vittima” mostrava i più alti punteggi nelle misurazioni dell‟ansia, depressione e eccitazione negativa. Zapf ha ritenuto di poter concludere che, invece di ricercare una singola causa per il fenomeno del mobbing, sia più opportuno considerare più cause che simultaneamente partecipano a rendere la situazione sul luogo di lavoro propizia per l‟emergere del mobbing. I dati sulle ragioni percepite hanno evidenziato che il 62% delle vittime ritiene una precisa persona la causa del mobbing. Zapf, anche considerando l‟errore di attribuzione, ritiene inverosimile che tutti questi soggetti percepiscano e interpretino male la loro situazione. E‟ vero che può darsi il caso che la causa reale sia l‟organizzazione ma questa si celi dietro il comportamento di un singolo individuo, oppure che vi sia un intero gruppo che aggredisce la vittima ma che emerga quello che si potrebbe definire il capobanda, ma il 62%, anche se può essere esagerato è comunque un risultato da tenere in considerazione. Le correlazioni trovate, da Leymann e da altri ricercatori, fra frequenza del mobbing e variabili organizzative depongono a favore di una possibile causa del mobbing nell‟organizzazione. E‟ più che plausibile l‟ipotesi che nei luoghi di lavoro che presentano poco controllo e molti problemi organizzativi come pressione sul tempo, ambiguità ed incertezza dei ruoli e delle responsabilità, la probabilità dei conflitti divenga molto alta e cresca quindi la possibilità di una possibile escalation del dissidio e di conseguenza del mobbing. Inoltre la presenza di molti problemi organizzativi e di ambiguità potrebbero indicare che ci troviamo di fronte ad una situazione di forte conflitto radicato nel tempo, che innalza il potenziale di sviluppo del mobbing. E‟ da tenere presente che sia dati quantitativi che molte analisi di casi ci dicono che vi sono molte situazioni in cui il mobbing sostituisce misure organizzative che non possono essere eseguite su basi legittime 130. D‟altra parte non si può non considerare che condizioni di lavoro negative possano essere anche un risultato del mobbing. In effetti alcuni problemi, come ad esempio la carenza di comunicazione o una comunicazione di informazioni volutamente errata rappresentano in sé stesse delle strategie mobbizzanti che deteriorano l‟ambiente di lavoro, la cooperazione ed il flusso informativo. Ci sono indicazioni che vi sono alcuni fattori della personalità che possono contribuire alla probabilità di divenire vittima del mobbing: un alto grado di ansietà, depressione, incapacità a riconoscere il conflitto o adozione di un comportamento di evitamento, timidezza e minimo sforzo esibito per integrarsi nel gruppo di lavoro. Ma anche qui è chiaro dai dati che non tutte le vittime del mobbing hanno queste caratteristiche o sono carenti nelle competenze sociali. Anche per quanto attiene al singolo perpetratore, ci sono persone che hanno una tendenza ad aggredire, sopraffare e molestare gli altri (un 130 Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationship between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.215-237. 57 preciso individuo come causa), ma può accadere che una persona non sia consapevole di creare dei danni a causa di una mancata informazione di ritorno sugli effetti del suo comportamento. Per le persone che hanno una tendenza alla molestia ed alla sopraffazione può essere più facile aggredire individui che non si sono integrati nel gruppo (caratteristiche della vittima come causa), oppure in una situazione lavorativa caratterizzata da un‟alta ambiguità di ruoli, responsabilità e da problemi organizzativi. Le condizioni negative o ambigue di lavoro possono portare una persona a commettere degli errori nelle sue mansioni che possono poi essere usate come armi contro la persona stessa (l‟organizzazione come causa). Il mobbing può anche avvenire perché in presenza di attriti all‟interno del gruppo di lavoro, può essere vantaggioso trovare un capro espiatorio su cui scaricare la tensione accumulata (sistema sociale come causa). L‟analisi delle cause del mobbing è spesso una questione d‟interpretazione in cui più fattori possono determinare il crearsi della situazione mobbizzante, Zapf delinea anche come esempio il caso di individui con alti rendimenti lavorativi che costituiscono un tipico gruppo di mobbizzati, contrariamente all‟idea di considerare le vittime sempre dei perdenti con basse performance lavorative. Secondo il ricercatore, questo può accadere perché le ottime performance di una persona possono non conformarsi a quelle del gruppo e ciò può non essere tollerato dai colleghi, ma può anche accadere che il gruppo non tolleri l‟individuo capace che fa pesare i suoi successi in modo arrogante e provocatorio. Alcuni ricercatori hanno inquadrato il problema “bullying at work” nello scenario dei cambiamenti dell‟economia postindustriale, considerandolo uno dei risultati delle trasformazioni economiche e strutturali che si sono verificate negli ultimi anni. Se il fenomeno delle vessazioni sul posto di lavoro è sempre esistito è anche vero però che solo in questi ultimi dieci anni si è iniziato a considerarlo un grave problema in preoccupante crescita nei paesi sviluppati. La consapevolezza della sua esistenza e gravità è dovuta probabilmente ad una maggiore attenzione ai diritti dei lavoratori, ma anche alle nuove condizioni del mercato del lavoro sempre più competitivo, incerto e instabile. Nel passato il mercato offriva delle alternative ai lavoratori in difficoltà, oggi invece la ricerca di una nuova occupazione, specialmente in alcuni settori e per lavoratori di determinate fasce d‟età, diventa sempre più difficile ed il rischio di uscire definitivamente dal mercato del lavoro è un pericolo maggiormente percepito dai lavoratori. Per questa situazione molti lavoratori non possono scegliere di lasciare l‟occupazione quando iniziano a subire dei maltrattamenti ma si sentono costretti a sopportare le molestie, che nel lungo periodo possono causare gravi danni alla salute della persona. Carman e Rafferty131, due delle fondatrici del programma “Workplace Bullying Referral Service” del Queensland Working Womens Service hanno segnalato che a fronte di un aumento delle denunce di bullying, la proporzione delle persone che sta subendo bullying e che cerca di affrontare il datore di lavoro o di compiere azioni che risolvano la situazione rimane molto piccola. L‟incertezza sulla validità dei possibili interventi e la paura di perdere il lavoro bloccano molto spesso qualsiasi tentativo di reagire al bullying. Molte vittime sebbene offese, lo hanno accettato come un fatto normale che fa parte della vita lavorativa e contro il quale ritengono di non poter fare niente. 131 Carman J., Rafferty C., “The QWWS Bullying Support Program” in Bullying, Causes, Costs and Cures, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Nathan, Beyond Bullying Association Inc., 1998, pgg.133145. 58 Mc Carthy e Sheehan132 hanno esaminato il legame fra i cambiamenti dell‟economia post industriale e il bullying. Hanno esplorato il gap esistente fra la retorica dei programmi di ristrutturazione e l‟impatto reale che spesso questi cambiamenti hanno sui lavoratori. Scrive Mc Carthy “The experience of many seemed to belie the optimistic rhetoric with which management introduced restructuring programs, and pointed to a less visible, coercive face of restructuring. …Yet the pervasiveness of the rhetoric of restructuring and its appeals to flexibility, multiskilling, excellence, and quality, seemed to push such degrading outcomes into the background.133” La tesi dei due ricercatori australiani è che i comportamenti bullizzanti dei managers, che si verificano nell‟era delle ristrutturazioni, derivano dal contesto economico sociale in cui la mission delle organizzazioni consiste nell‟impiegare capitali, materiali, apparecchiature e persone in una lotta all‟ultimo sangue per il profitto e l‟efficienza in condizioni di mercato globalizzato e capitalismo senza regole. Ritengono che le organizzazioni permettono alla violenza della globalizzazione e dei mercati liberalizzati di penetrare nelle dinamiche interne delle aziende generando una tale pressione psicologica sul personale dovuta all‟incertezza esterna da favorire l‟insorgere di condotte aggressive e inappropriatamente coercitive. La retorica della ristrutturazione, che maschera la violenza, la brutalità, l‟incertezza e la stretta logica del profitto a tutti i costi dei cambiamenti nel mercato globale, è composta da un discorso il cui linguaggio circa i modi di fronteggiare i cambiamenti socioeconomici, formato da parole chiave “managerial buzzwords134”, si presenta come finalizzato ad aumentare l‟eguaglianza di accesso al lavoro, maggiormente attento all‟apporto qualitativo dei lavoratori, alle loro potenzialità, incline alla cooperazione, alla partecipazione attiva dei dipendenti ed a una diminuzione della disparità di potere della gerarchia aziendale. Promette la soluzione migliore all‟ansietà e alla insicurezza circa l‟esistenza stessa dell‟organizzazione all‟interno delle nuove condizioni economiche. Gli esiti negativi di questi mutamenti aziendali rimangono marginali, il bullying è considerato come una devianza occasionale, giustificato con l‟alibi del rifiuto dei dipendenti ad uniformarsi alle nuove strategie, attribuito a cause afferenti alla predisposizione individuale delle vittime e dei bulli. Il mettere in luce la necessità della riabilitazione delle vittime del bullying può essere sia un atto civile sia un‟ulteriore vittimizzazione perché il considerare la vittima “da riabilitare” storna l‟attenzione da ciò che veramente dovrebbe essere sottoposto a riabilitazione, cioè la struttura organizzativa stessa, il sistema aziendale con i suoi processi e stili manageriali, in cui scorrono flussi sotterranei di potere e brutalità. Anche l‟identificazione del bullo o aggressore e la sua consegna ad una cura riabilitativa di- 132 AA.VV, Bullying: from backyard to boardroom, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium Books, 1996. AA.VV., Bullying, Causes, Costs and Cures, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Nathan, Beyond Bullying Association Inc., 1998. 133 Mc Carthy P., When the mask slips: inappropriate coercion in organizations undergoing restructuring”, in: AA.VV, Bullying: from backyard to boardroom, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium Books, 1996, p.47. “L‟esperienza di molti ha parso smentire la retorica ottimistica con cui il management ha introdotto i programmi di ristrutturazione, e ha indicato la faccia meno visibile e coercitiva della ristrutturazione. … Ancora la pervasività della retorica della ristrutturazione ed i suoi appelli alla flessibilità, alla polifunzionalità, all‟eccellenza e alla qualità sembravano aver spinto i risultati degradanti sullo sfondo.” 134 Mc Carthy P., op. cit., 1996, p.52. 59 strae l‟esame dalla reale situazione, dal contesto di questa “normalised violence135” che costituisce la vera condizione che rende possibile il verificarsi del bullying. Secondo l‟approccio di Mc Carthy, la considerazione del bullying come un disturbo della società moderna a cui si deve porre rimedio con dei trattamenti lascia sullo sfondo la possibilità di vedere la violenza implicita nella ristrutturazione che continua così ad essere giudicata come necessaria, positiva, “best practice of production and organization136” nell‟interesse della sopravvivenza del singolo, del gruppo, dell‟azienda e della nazione. Le tendenze economiche, sociali e culturali contemporanee che includono la crescita degli scambi internazionali a livello economico e culturale, la nascita delle economie del nordest asiatico, la deindustrializzazione dell‟ovest con il trasferimento delle industrie a forte richiesta di manodopera nei paesi in cui il costo del lavoro è minore, la crescita dei media elettronici, l‟eclissi delle tradizionali classi lavoratrici entro la nuova classe media, la crescente economia dei servizi ed il progressivo affermarsi di un sistema di lavoro flessibile e sempre più restio a seguire regole che non provengano dall‟interno del mercato del lavoro sono state definite come tendenze il cui fattore comune è il “capitalismo disorganizzato137”. In questo contesto la ristrutturazione potrebbe essere considerata come la reazione all‟incertezza dovuta a questo capitalismo senza regole, che legittima qualsiasi comportamento finalizzato alla sopravvivenza economica come risposta alla violenza endemica del nuovo mercato. La ricerca dell‟eccellenza manageriale richiama la ricerca della figura carismatica capace di resistere alle turbolenze del mercato, si creano alleanze e networks contro l‟esterno, costituito da altre minacciose alleanze. Il mondo potrebbe essere visto come un luogo pericoloso e selvaggio diretto unicamente dalle leggi del mercato, una forza quasi trascendentale che dirige le scelte economiche e sociali e autorizza la selezione darwiniana del più adatto, “let the fittest in the market survive138”, marginalizzando quei settori economici e sociali che sono considerati non produttivi, non competitivi e vanificando la cultura della cooperazione e della solidarietà. Sheehan, Mc Carthy e Kearns139 hanno analizzato i risultati di quaranta interviste condotte con soggetti appartenenti ad organizzazioni sia pubbliche sia private che hanno avviato programmi di ristrutturazione negli ultimi 3-5 anni. Le interviste semistrutturate hanno mostrato che esiste il gap fra ciò che viene affermato ufficialmente nelle ristrutturazioni e la realtà delle esperienze dei lavoratori: “Within organizations with a culture of care and concern for their staff, over and above the eloquence that often permeats modern organizational value statements, we find a dark side of restructuring.140”. I casi hanno mostrato situazioni di vittimizzazione, complicità, ambiguità, abuso emotivo, biasimo, management sadico e crudele, abusi verbali, disonestà, intimidazione, molestie, isolamento, pratiche finalizzate a indurre le dimissioni. Questi comportamenti venivano spesso associati a gravi inadeguatezze che minano i fini della ristrutturazione. 135 Mc Carthy P., op.cit., 1996, p.59. Mc Carthy P., op.cit., 1996, p.59. 137 Mc Carthy P., op.cit., 1996, p.59. 138 Mc Carthy P., op.cit., 1996, p.61. 139 Sheehan M., “Case studies in organizational restructuring”, in: AA.VV, Bullying: from backyard to boardroom, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium Books, 1996, p.67. 140 Sheehan M., op.cit., 1996, p.77. “All‟interno di organizzazioni con una cultura della cura e interesse per il loro staff, oltre e al di là dell‟eloquenza che spesso permea le moderne asserzioni organizzative di valore, noi troviamo il lato oscuro della ristrutturazione”. 136 60 La causa dell‟inefficienza è rinvenuta nel comportamento bullizzante dei managers che distruggono le condizioni ottimali per svolgere in modo efficiente il compito lavorativo. La terminologia adottata per le ristrutturazioni è comune a tutti i casi, la giustificazione per la trasformazione è quella di divenire più competitivi, di migliorare il servizio, e di essere maggiormente efficaci nei costi. Gli stili manageriali inappropriati identificati dai soggetti erano quelli di uno comportamento assolutista, mancanza di comunicazione, intimidazione e umiliazione, violazione dei diritti del lavoratore. I soggetti hanno segnalato un degrado della loro salute e benessere e delle loro relazioni sociali, riportavano stati d‟ansia depressione, incertezza, frustrazione, rabbia e paura. I soggetti hanno anche riportato quali erano i comportamenti adottati per resistere: ritiro emotivo e psicologico dall‟organizzazione e non aiutavano in alcun modo il cambiamento. Le vittime ritenevano che dietro le affermazioni ufficiali della positività della ristrutturazione vi fossero altri motivi o “hidden agendas”, ordini del giorno celati, ad esempio dietro l‟incremento di produttività c‟era la volontà di mandare via dipendenti. Non credevano più ai superiori e dopo anni di fedeltà e lealtà alla loro azienda si sent ivano traditi e costretti o ad accettare i cambiamenti oppure a trovare un altro lavoro. Ulteriori dati sono stati pubblicati141 nel 1998: sono state raccolte 62 interviste e 373 questionari, i soggetti erano suddivisi: 59% maschi, 41%donne, il 72% proveniva dal settore pubblico ed il 26% dal privato. L‟età era suddivisa in 7 fasce dai 15 ai 65 anni. Il linguaggio dei manager suggerisce l‟esistenza di una retorica della ristrutturazione: flatten hierarchies: appiattimento delle gerarchie, amalgamate: fusione, multiskill: polifunzionali, cut costs: tagli ai costi, regionalise: zonizzazione, achieve quality: raggiungimento della qualità, downsize: ridimensionare. Le giustificazioni per il cambiamento sono quelle di migliorare l‟efficienza, il servizio al cliente, la qualità del servizio e la comunicazione. Le richieste dell‟organizzazione erano dirette ad una intensificazione del lavoro ed un sovraccarico dei ruoli. I soggetti avevano rilevato un cambiamento dei valori sociali e culturali all‟interno delle compagnie in via di ristrutturazione, considerati dalla maggior parte degli individui in termini negativi. Erano maggiormente segnalate esperienze negative di condotte manageriali che avevano effetti negativi sia a livello individuale sia di organizzazione del lavoro. I soggetti sentivano che vi erano motivi diversi che guidavano il cambiamento come la ricerca del profitto attraverso l‟intensificazione del lavoro e il taglio dei dipendenti. La maggior parte dei lavoratori aveva vissuto o assistito a situazioni di marginalizzazione ed isolamento con episodi anche di violenza fisica. I questionari segnalavano un degrado della qualità del lavoro e della produttività dei partecipanti. La maggior parte dei soggetti indicava un aumento del carico di lavoro, del tempo passato sul luogo di lavoro, e del carico di lavoro portato a casa. I comportamenti coercitivi dei manager registrati dai soggetti sia come testimoni sia come vittime erano: minacce verbali, rimproveri e accuse contro la personalità delle persone. La realtà della ristrutturazione quindi si è spesso tradotta in un aumento di responsabilità, delle ore di lavoro, di intensità del lavoro e di tipi di lavoro svolto. Casilli142 propone una interessante lettura delle cause del mobbing considerandolo come il “prodotto delle aziende moderne”. Il mobbing può essere produttivo perché potrebbe essere utilizzato dai dirigenti come mezzo per “spremere” il lavoratore al fine di aumentare la produttività aziendale. Casilli fa l‟esempio dei lavoratori di un azienda. Per 141 Sheehan M., “Restructuring: Rhetoric versus Reality”, in: AA.VV., Bullying, Causes, Costs and Cures, a cura di Mc Carthy P., Sheehan M., Nathan, Beyond Bullying Association Inc., 1998, p.153. 142 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana MAP, 2000, p.96. 61 farli produrre di più il management potrebbe decidere di utilizzare la reazione ad uno stress psicologico prolungato degli individui che si svolge secondo una curva ad U rovesciata, all‟inizio l‟individuo ha un aumento di rendimento a causa dei forti stimoli che riceve (reazione positiva allo stress). In seguito quando lo stress diviene troppo prolungato e persistente il rendimento del singolo inizierà a calare (distress). L‟unione di tutte le singole curve ad U rovesciata, considerando anche la variabilità fra gli individui, forma nei punti dei loro picchi massimi una linea orizzontale che Casilli definisce come il rendimento atteso dall‟azienda. Alla direzione non importa dei singoli rendimenti individuali altalenanti, ma interessa solo che il rendimento atteso permanga al massimo livello. Le aziende in quest‟ottica favorirebbero il mobbing, verticale o orizzontale, per raggiungere il rendimento atteso, quando poi un dipendente è nella fase calante un ulteriore utilizzo del mobbing lo induce a lasciare il posto di lavoro. Questa strategia ha dei costi economici e di tempo per la sostituzione del dipendente non più produttivo e comporta il rischio di azioni legali, ma le aziende scaricano maggior parte di questi costi sulla società, sulla previdenza pubblica, sulla famiglia e sulla comunità. 62 Capitolo quarto Le conseguenze del mobbing 4.1. Gli effetti della violenza sul luogo di lavoro “Come un sasso lanciato nell’acqua, la violenza nei luoghi di lavoro non solo ha un immediato impatto sulla vittima, ma si espande in progressivi anelli sempre più larghi che colpiscono direttamente o indirettamente altre persone coinvolte, come pure le imprese interessate e la comunità sociale. Questo effetto spiega perché il costo della violenza sul lavoro è stato spesso sottovalutato. Solo recentemente gli esperti hanno iniziato a quantificare i suoi molteplici e massicci costi”143. La violenza produce effetti distruttivi sia immediati sia a lungo termine sulla vittima, sulle relazioni interpersonali, sull‟organizzazione del lavoro e sull‟ambiente occupazionale. Chappell e Di Martino hanno suddiviso gli effetti ed i costi in differenti livelli di analisi: 4.1.1. Livello individuale La sofferenza fisica e psicologica, l‟umiliazione e il dolore portano la vittima ad una perdita di motivazione, sicurezza, confidenza e stima di sé. Depressione e rabbia, ansietà e irritabilità sono i sintomi più comuni di questa sofferenza. Lo stress causato dalla violenza nel lavoro è una conseguenza molto grave, e se le cause non sono rimosse o almeno contenute attraverso strategie d‟intervento efficaci, i sintomi dello stress possono indurre l‟abuso di tabacco, alcool e droghe, evolvere verso lo sviluppo di malattie fisiche e disturbi psicologici che possono portare all‟inabilità al lavoro, oppure provocare incidenti sul lavoro o tentativi di suicidio. L‟European Foundation for The Improvement of Living and Working Conditions nella seconda European Survay on Working Conditions144, l‟indagine sulle condizioni di lavoro nell‟Unione Europea del 1996, ha rilevato che la violenza sul luogo di lavoro determina chiaramente un aumento dei disturbi della salute fisica e psicologica dei lavoratori coinvolti, in particolare provoca un aumento dello stress. La media di esposizione allo stress fra tutti i lavoratori esaminati, è risultata del 28%. La percentuale si eleva nettamente fra i lavoratori che hanno subito atti di violenza sul posto di lavoro, in particolare hanno riferito esperienze di stress: il 40% dei soggetti che aveva subito violenza fisica, il 46% di coloro che sono stati sottoposti a molestie sessuali, il 47% dei lavoratori che ha vissuto esperienze di bullying. Questi effetti negativi non colpiscono solo la vittima ma si estendono a tutte le persone appartenenti al suo luogo di lavoro, alla sua famiglia ed alla comunità sociale in cui vive. 4.1.2. Livello organizzativo La violenza causa un deterioramento immediato delle relazioni sociali all‟interno del posto di lavoro ed influisce negativamente sulla sua organizzazione interna. I datori di lavoro devono sostenere i costi del lavoro perso, in termini di produttività e di oneri finanziari, e devono migliorare i sistemi di sicurezza. Si determina una ridotta efficienza e produttività, una perdita nella qualità del prodotto servizio offerto, e si diffonde un‟immagine negativa dell‟azienda che può portare ad una riduzione del numero di 143 Chappell D., Di Martino V., Violence at Work, Geneva, International Labour Office, 2000, pg.47. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Second European Survey on Working Conditions 1995-1996, Dublino, 1997. www..eurofound.ie. 144 63 clienti. Gli aspetti negativi più comuni dei luoghi di lavoro che vengono segnalati come effetto della violenza, sono l‟aumento dello stress e della paura, la diminuzione di produttività e di fiducia dei lavoratori verso l‟azienda. La ricerca del 1996 sulle condizioni di lavoro dell‟European Foundation ha segnalato che per quanto concerneva le assenze dal lavoro per problemi di salute, la media fra tutti i lavoratori intervistati era del 23% nell‟arco degli ultimi 12 mesi. Tra i lavoratori che avevano subito forme di violenza sul posto di lavoro, si erano assentati dal lavoro per malattia durante gli ultimi 12 mesi: 35% dei soggetti che avevano subito violenza fisica. 34% dei soggetti sottoposti a bullying, 31% dei soggetti con esperienze di molestie sessuali. Questo dato ci conduce immediatamente a considerare anche le conseguenze ed i costi della violenza sul lavoro che si riverberano sulla comunità. 4.1.3. Livello organizzazione sociale Le cure mediche, la riabilitazione delle vittime, la disoccupazione e il riaddestramento di coloro che hanno perso il lavoro a causa della violenza, la non abilità al lavoro e l‟invalidità causata dal deterioramento delle capacità lavorative, sono tutti costi sociali ed economici pagati dalla comunità. A cui si deve aggiungere: gli effetti indiretti della violenza sulle persone vicine alla vittima e l‟effetto negativo moltiplicatore della paura, dell‟ansietà e dell‟incertezza all‟interno della società. 4.2. Gli effetti del mobbing I dati europei riguardanti l‟aumento dello stress e l‟assenteismo nel caso del bullying, ci danno già l‟idea della gravità che può assumere il fenomeno all‟interno del mondo del lavoro. Si è visto che molti dei comportamenti che vengono messi in atto nel processo di mobbing, sebbene negativi, non costituiscono degli eventi anomali rispetto a quelli che sono considerati comportamenti normali all‟interno delle relazioni sociali che quotidianamente intrecciamo con altre persone. E‟ la ripetitività, la regolarità e l‟ostinazione nel tempo, con cui queste condotte vengono messe in atto, ciò che potremmo definire maggiormente come un‟anomalia e che trasforma lo scenario lavorativo in un incubo di terrore e paura per la vittima prescelta. Si è già esaminato come il mobbing sia un processo che si evolve nel tempo e sia costituito da una serie di fasi; a titolo convenzionale si può assumere le 4 fasi generali individuate da Leymann, su cui tutti i ricercatori sono sostanzialmente d‟accordo salvo aggiustamenti riconducibili alle diverse realtà sociali e culturali dei paesi analizzati. Le fasi individuate rappresentano anche il progressivo peggioramento della situazione del lavoratore e delle sue possibilità di difendersi dagli attacchi. Casilli145 ha delineato quella che potrebbe essere una tipica storia di vessazioni sul luogo di lavoro, sceneggiando come in un film gli eventi che si succedono nel processo di escalation del mobbing. All‟inizio l‟apertura delle ostilità può essere causata come si è visto dai più svariati motivi; la vittima spesso non si rende conto di quello che sta succedendo ed anzi molte volte è difficile individuare chi sia la vittima e gli aggressori fino a quando non si raggiunge lo stadio che potremmo definire conclamato, quando cioè il processo di stigmatizzazione è ormai iniziato e la massa di azioni mobbizzanti è considerevole. Nei primi stadi del mobbing la vittima si chiede in cosa possa aver sbagliato e tende a cercare in sé stessa la causa di ciò che sta accadendo nel suo ambiente di lavoro, 145 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana MAP, 2000. 64 e prova un forte senso di isolamento e solitudine 146. Inizia a lamentarsi con i propri familiari ed i colleghi più vicini, può cercare di chiarire la situazione con i propri persecutori, ma non ottiene nulla e spesso peggiora la situazione. Anche il ricorso ai superiori solitamente è un altro autogol della vittima, sia perché può essere lo stesso superiore il reale persecutore della vittima, sia perché il superiore sottovaluta le sue lamentele. Casilli descrive i due errori più comuni che il superiore può compiere nei casi di mobbing. Chiamare a colloquio il mobber da solo, che ovviamente mentirà e riverserà le accuse sulla vittima; oppure fissare un incontro a tre, la vittima, il mobber ed il superiore stesso per risolvere il contrasto in modo informale e amichevole, anche in questo caso ci sono forti possibilità che la vittima esca sconfitta dal colloquio perché il mobber minimizzerà l‟accaduto, sostenendo che si tratta di un equivoco e, apparentemente, normalizzerà la situazione per poi continuare le sue pratiche vessatorie. Intanto la vittima che subisce le molestie psicologiche sente aumentare l‟ansia e lo stress ed inizia ad avere i primi sintomi, quali ad esempio: insonnia, affaticamento, emicranie, forti sentimenti di vergogna, sensi di colpa, insicurezza e calo del desiderio sessuale. Lo stato di perpetuo allarme in cui vive induce i primi cedimenti nella salute psicologica e fisica della vittima. Le lamentele le hanno procurato solo il marchio di elemento di disturbo nel suo gruppo di lavoro. Spesso si trova nelle condizioni in cui tutti, persecutore/i, superiori e colleghi negano che stia accadendo qualcosa, perché “nessuno ha interesse a riconoscere che si sta verificando un vero e proprio abuso psicologico continuato ai suoi danni”147. Dopo i tentativi della vittima di risolvere in qualche modo la situazione, può intervenire un intervallo di latenza, in cui le condotte di mobbing divengono più subdole e sofisticate; il/i mobbers “hanno smesso di insultarla pubblicamente, ma la calunniano alle spalle, il capo non la sovraccarica più di lavoro, ma magari ha già avviato i colloqui di assunzione per il suo sostituto”148. Lo stato di apparente calma non fa presagire nulla di buono, la negazione ed il silenzio circondano la vittima che si sente sempre più isolata e ossessionata da ciò che gli sta accadendo. Al di fuori del lavoro le difficoltà di relazione, anche con le persone più vicine, aumentano e la vittima si sente sempre più sola e incapace di difendersi; i sintomi del malessere si acutizzano e può avere disturbi di concentrazione, difficoltà di memoria, aumenta l‟insicurezza ed è incapace di prendere le decisioni più semplici, ha la tendenza agli sbalzi d‟umore e vive in una continua ipervigilanza che le altre persone bollano come paranoia o manie di persecuzione. Il periodo in cui si alternano momenti di calma apparente con altri di conflitto più visibile può essere di pochi mesi, di un anno o molto di più, dipende sicuramente dalle possibilità di cambiare lavoro della vittima, ma anche dalla sua capacità di resistenza. Chi è più vulnerabile va incontro più velocemente ad un peggioramento dei sintomi del malessere psicologico, ma anche chi è più forte corre seri pericoli perché sopportando, prolungherà la persecuzione per molto tempo; inoltre la sua forza e stabilità possono esasperare ulteriormente il conflitto provocando delle azioni mobbizzanti più pesanti da parte degli aggressori. Durante questo periodo la vittima tende a perdere progressivamente la capacità di reagire in una sorta di “anestesia reattiva149”, in cui resta come immobile di fronte alle vessazioni crescenti, e più la pressione aumenta più l‟immobilità cresce. Intanto lo svolgimento del compito lavorativo ed il rendimento della vittima iniziano a peggiorare, non necessariamente solo nel senso 146 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori Editore, 2000. Casilli A.A., op.cit., p.55. 148 Casilli A.A., op.cit, p.56. 149 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori Editore, 2000, p.10. 147 65 che lavora di meno o commette degli errori. Ma anche che per ottenere gli stessi risultati deve lavorare di più, poiché spesso lavora da sola, perché isolata o perché non si fida più delle altre persone, non è più motivata né concentrata su quello che deve fare ed i problemi di salute che sta accumulando la costringono ad assentarsi spesso dal lavoro. Disturbi tiroidei, cali delle difese immunitarie, sindromi da affaticamento cronico, attacchi di panico, malattie che richiedono lunghe degenze ospedaliere, problemi cardiaci, disturbi all‟apparato digerente sono affezioni presenti frequentemente nelle vittime del mobbing, e se spesso è difficile dimostrare il legame diretto fra la violenza psicologica patita e l‟insorgenza di queste malattie, si può affermare, dice Casilli, che il mobbing può provocare un deciso peggioramento di patologie preesistenti150. L‟intensa frustrazione e lo stress crescente possono indurre la vittima a cercare una soluzione definitiva alla situazione in cui si trova affrontando apertamente gli aggressori in quella che Casilli definisce una “missione suicida”151. Il mobbizzato può provocare l‟aggressore, cercare lo scontro aperto o avere sfoghi violenti d‟ira, ma con questo comportamento affretta la sua fine perché innesca il processo delle sanzioni, dei rapporti ai superiori e delle denunce; in definitiva fornisce agli aggressori o all‟amministrazione le armi per la sua sconfitta finale: l‟allontanamento dal lavoro. Il problema è diventato la sua presenza disturbante e destabilizzante all‟interno dell‟ambiente di lavoro, il comportamento della vittima ha fornito la prova della sua instabilità mentale, ed ormai il licenziamento o le sue dimissioni volontarie sono solo questione di tempo e gli aggressori hanno la strada spianata per poter infierire sulla vittima senza temere ritorsioni. Una volta che la vittima ha lasciato il lavoro volontariamente o forzatamente, gli effetti della violenza psicologica non scompaiono immediatamente, ma spesso ci vogliono periodi di cura anche molto lunghi e in alcuni casi i disturbi patiti provocano la totale inabilità al lavoro dell‟individuo. Questa cronaca degli avvenimenti è un esempio di un possibile svolgersi degli eventi e delle sue ripercussioni su un individuo che vi si trova coinvolto. Nella realtà le storie di mobbing possono presentare circostanze molto diverse a seconda di chi siano gli aggressori e la vittima e di quale sia l‟ambiente lavorativo. Non sempre le fasi si susseguono nel medesimo ordine, infatti molte persone lasciano il lavoro prima di arrivare a situazioni estreme oppure il processo di mobbing può ristagnare nelle fasi iniziali senza raggiungere l‟intensità delle fasi finali. Si può sostenere però, che l‟esito per la vittima è sempre lo stesso, quello di una forte sofferenza e condizione di disagio psicologico che può compromettere la sua autostima, sicurezza e fiducia di sé fino a provocare un crollo del suo equilibrio psicofisico, delle sue performance lavorative e delle relazioni interpersonali all‟interno e all‟esterno del luogo di lavoro. Si potrebbe dire che il mobbing invade e pervade la vita della persona e assorbe progressivamente tutte le energie della vittima impegnata nel tentativo di farvi fronte e sopportarlo in qualche modo. Si è visto delineando le cause del mobbing la stretta relazione che intercorre fra mobbing e stress, se lo stress può essere in alcuni casi causa del mobbing, questo è sempre un evento stressante non solo per la vittima, ma anche per tutti gli altri componenti dell‟ambiente di lavoro. I dati dell‟European Foundation hanno mostrato come fra le vittime della violenza sul luogo di lavoro, la percentuale maggiore di soggetti che ha segnalato esperienze di stress apparteneva ai casi di bullying. Gli studi sul fenomeno dello stress e le sue manifestazioni a livello fisiologico, biochimico e psicologico sono stati ampiamente studiati in campo medico e psicologico, 150 151 Casilli A.A., op.cit., p.58. Casilli A.A., op.cit., p.59. 66 anche se rimangono ancora oscuri molti suoi meccanismi ed effetti. La definizione di Selye152 dello stress come “la reazione non specifica esibita dall’organismo quando deve affrontare un’esigenza o adattarsi ad una novità” evidenzia che la reazione esibita dall‟organismo è stereotipa, cioè i mutamenti biochimici sono sempre uguali e tendono a preparare l‟organismo ad affrontare qualsiasi nuova prestazione che gli viene richiesta. Gli stimoli e le circostanze che possono divenire stressori, secondo Selye, possono essere sia piacevoli sia spiacevoli, tutti attivano lo stesso meccanismo di reazione ed il bisogno non specifico di adattarsi ad una situazione nuova permane lo stesso in entrambi i casi. La reazione dell‟organismo consiste nell‟attivazione delle difese attraverso il sistema nervoso e quello ormonale; entrambi hanno un ruolo importante sia nell‟attivare lo stato d‟allerta sia nel mantenere costanti alcune caratteristiche interne dell‟organismo (omeostasi) anche in presenza dei mutamenti provocati dagli stressori. A livello fisiologico e biochimico 153, la prima reazione dell‟organismo in condizioni di stress, è data dall‟attivazione dell‟ipotalamo, che attraverso l‟ipofisi, secerne due ormoni: ACTH, che attiva il sistema nervoso simpatico, e il TSH che attiva la tiroide. L‟attivazione dell‟asse neurale del sistema nervoso simpatico provoca un immediata e breve liberazione di noradrenalina nel punto in cui le terminazioni nervose si inseriscono negli organi e tessuti. L‟asse neuro-ormonale del sistema nervoso simpatico, zona midollare delle ghiandole surrenali, immette nella circolazione sanguigna adrenalina e noradrenalina che producono effetti più lenti ma di maggiore durata. Adrenalina e noradrenalina, chiamate catecolamine, rispondendo a bisogni energetici immediati, liberano nel sangue zucchero di riserva del fegato e dei muscoli, aumentano la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, accrescendo l‟irrorazione sanguigna nei muscoli e nel cervello, stimolano la respirazione, aumentando il consumo di ossigeno e provocano un senso di euforia ed esaltazione. La zona corticale delle ghiandole surrenali secerne gli ormoni dello stress o adattivi, i corticoidi, il principale dei quali è il cortisone. I corticoidi determinano l‟immediato utilizzo degli aminoacidi nel circolo sanguigno, aumentandone quindi la disponibilità per la conversione in glucosio nel fegato, stimolano la secrezione gastrica, inibiscono le reazioni infiammatorie, limitano il dolore delle contrazioni muscolari che si manifestano nei momenti d‟ansia, di pressione e di tensione. Alcuni studi hanno mostrato che il cortisone migliora l‟apprendimento negli animali di laboratorio. La sollecitazione della tiroide determina la produzione dell‟ormone tiroideo che accelera il metabolismo in modo da permettere un maggior consumo di zuccheri e grassi. Tutti questi processi fisiologici biochimici avvengono contemporaneamente ed insieme alla produzione di endorfina del sistema nervoso centrale, che provoca un immediata sensazione di rilassamento e benessere permettendo all‟individuo un miglioramento della concentrazione. In questo modo l‟organismo si prepara a reagire agli stressori, potenziando la disponibilità delle proprie risorse energetiche e mentali. Una certa misura di stress è indispensabile alla vita, Selye ha infatti dimostrato che la totale mancanza di stress può condurre alla morte, mentre un certo livello di stress migliora il comportamento perché l‟organismo è, in un certo senso, preparato nel modo migliore ad affrontare le situazioni critiche. Vi sono prove sperimentali154 che un livello ottimale di stress influisce sulla stabilità dell‟organismo, e migliora le capacità di percezione, concentra152 Selye H., The stress of Life, New York, McGraw–Hill Book Co., 1976. Green J.H., Introduzione alla fisiologia umana, Zanichelli, Bologna 1977. 154 Farnè M., “Lo stress. Il punto sulle nostre conoscenze attuali e sulle principali tecniche d‟intervento”, Psicologia Contemporanea, 1987, vol.XIV, n.84, p.24-32. 153 67 zione e d‟apprendimento, se però viene superato il livello la carica diviene eccessiva determinando un comportamento disorganizzato ed inefficiente. Lo stress contenuto entro certi limiti non deve essere quindi evitato. Il rapporto fra l‟intensità della stimolazione ed il grado di stress è tale che sia la mancanza sia l‟eccesso di stimoli portano all‟aumento del grado di stress in un individuo. Un livello moderato di stress, eustress, ha effetti positivi, un eccessivo aumento del grado di stress, distress, invece comporta degli effetti negativi, ed in tal caso può divenire causa di disfunzioni e di malattie, definite psicosomatiche, di un organo bersaglio che manifesta i danni di uno stress esagerato. L‟esposizione continua a stressori fisici o psicologici e sociologici, il loro succedersi insistente, una stimolazione stressante di lungo periodo possono quindi provocare effetti negativi, anche gravi, sulla salute fisica e psicologica delle persone. Nel lungo periodo, se gli stimoli interni o esterni che hanno indotto la reazione persistono e lo stress non si esaurisce dopo un periodo di adattamento, le stesse sostanze, che sono servite ad aumentare la quantità di energia disponibile, persistendo in dosi elevate nell‟organismo, provocano il suo indebolimento e l‟insorgere di disturbi fisici. I corticoidi, se presenti a lungo e in dosi elevate riducono le difese immunitarie; le catecolamine determinano disturbi cardiaci, ipertensione, dipendenza emotiva; l‟endorfina provoca indolenzimento articolare, atrofia muscolare e mal di testa, mentre l‟ormone tiroideo insonnia e dimagrimento. Le disfunzioni iniziali provocate dallo stress definite da Selye, come dei campanelli d‟allarme hanno dei sintomi obiettivi: aumento dei corticoidi e delle catecolamine nel sangue e nelle urine, aumento del colesterolo e degli acidi grassi liberi e diminuzione dei globuli bianchi. Fra i segni soggettivi, sempre segnali d‟allarme di uno stress eccessivo, si possono citare disturbi gastrointestinali ed all‟apparato urinario, sudorazione eccessiva, emicrania, alterazioni dell‟appetito, ipertensione, palpitazioni, dolori muscolari e articolari, allergie ed eruzioni cutanee, ansia, insonnia, incubi notturni, difficoltà di memoria e concentrazione, instabilità emotiva, senso di irrealtà e di vertigine, apatia e perdita della gioia di vivere, bruxismo, tensione e allarme, disturbi della sfera sessuale, aumento del consumo di sigarette, alcool, tranquillanti o stimolanti. Somatizzazioni gravi a carico dell‟apparato digerente possono favorire l‟insorgere di ulcere gastroduodenali e di blocchi digestivi, a carico dell‟apparato respiratorio possono svilupparsi in affezioni dovute anche all‟aumento del fumo. Una ricerca155 effettuata nel 1999 all‟Istituto di medicina del lavoro dell‟Università di Palermo su dirigenti d‟azienda italiani ha rilevato che lo stress da lavoro può creare un anomalo deposito di grassi nel fegato come se l‟individuo abusasse di alcool o cibi grassi, anche quando tali soggetti sono astemi od hanno un regime dietetico magro. Il cuore risente direttamente delle alterazioni ormonali e dell‟aumento della pressione arteriosa ed è sottoposto ad un super lavoro che, se protratto nel tempo, lo può indebolire causando malattie come l‟arteriosclerosi o la comparsa dell‟infarto. Fra le altre malattie che hanno lo stress come background156 si può citare l‟ipertiroidismo, la depressione, l‟artrite reumatoide, fino a casi in cui lo stress favorisce l‟insorgere di malattie neoplastiche157. Gli studi sul mobbing hanno tutti rilevato l‟impatto negativo sulla salute e sul 155 Citata in: Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori, 2000, p.12. Cooper C.L., Earnshaw J., Stress and Employer liability, London, IPD, 1996. 157 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 156 68 benessere fisico e psicologico delle persone e la presenza di sintomi psicosomatici da stress nelle vittime del mobbing. Cassitto158 del Centro di Disadattamento lavorativo della Clinica del Lavoro di Milano ha così schematizzato le conseguenze del mobbing: lo stato d‟isolamento e di autocolpevolizzazione si accompagnano a disturbi fisici a tre livelli: emozionale: con variabilità dell‟umore, irritabilità e aggressività, ansia, depressione, attacchi di panico, cambiamento radicale nel modo di reagire alle situazioni; livello psicosomatico: insonnia, somatizzazioni soggettive dal mal di testa al vomito alla cervicale; livello del comportamento: massiccio aumento di fumo o alcool, perdita dell‟appetito o fame smodata, progressivo isolamento rispetto al mondo esterno, perdita d‟ogni interesse e nei casi di mobbing molto prolungato perdita della progettualità e di visione di un futuro. Leymann159 ha sintetizzato i risultati delle sue ricerche suddividendo i dati raccolti in: sintomi da pressione psicologica, difficoltà nelle funzioni intellettuali, disturbi del sonno, alterazioni delle funzioni gastriche e digestive, dolori muscolari, sintomi di nervosismo, manifestazioni depressive. Gli effetti cognitivi e i sintomi psicosomatici erano i fattori che differenziavano maggiormente il gruppo delle vittime da quello del gruppo di soggetti non mobbizzati. Ha inoltre messo in luce che comportamenti aggressivi o autoaggressivi possono anche essere conseguenza del mobbing. Un‟indagine dell‟Health and Safety Authority dell‟Irlanda 160 ha rilevato che la violenza morale provoca effetti negativi sulla salute emotiva, sulle capacità cognitive e pratiche e sulla salute fisica, determina anche un aumento dell‟uso di alcool e fumo ed alterazione del comportamento alimentare. Einarsen et al. 161 hanno rilevato un associazione negativa fra l‟esposizione al bullying e il benessere e la salute psicologica. Significative correlazioni sono risultate nell‟indagine condotta con i sindacati norvegesi, fra l‟esperienza del bullying e disturbi psicosomatici, psicologici e dolori muscolo-scheletrici. Gli effetti che presentavano maggiori differenze fra i gruppi di vittime e quelli di soggetti non bullizzati, erano la depressione e la tensione psicologica (ansia e astenia nervosa ). Hanno inoltre rilevato che gli effetti negativi del bullying sulla vittima potevano essere moderati dal livello d‟ansia delle vittime, dalla loro autostima e dall‟aiuto sociale. Vittime con un alto sostegno sociale sul lavoro o al di fuori di esso sono probabilmente meno vulnerabili agli attacchi aggressivi, ed il sostegno sociale può ridurre l‟attivazione fisiologica ed emotiva della vittima riducendo quindi gli effetti della molestia. Bjorkqvist162 et al., in un indagine fra i dipendenti dell‟università, hanno osservato che tutti i soggetti intervistati vittime di molestie, riportavano insonnia, diversi sintomi di nervosismo, ansia, aggressività, depressione, apatia, mancanza di concentrazione e sociofobia. Una ricerca del sindacato dei lavoratori pubblici inglesi, UNISON, commissionata alla Staffordshire University163, ha rilevato che il 75,6% delle vittime del bullying aveva denunciato problemi di salute connessi allo stress, depressione e perdita di autostima. 158 Cassitto M.G., “Mobbing e Spleen”, intervista, www.aidp.it/ART16/. Citato in Ege H., Mobbing, che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora Editrice, 1996, p.178. 160 Citata in: Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano Mondadori, 2000, p.12. 161 Einarsen S., “Norwegian research on bullying at work: empirical and theoretical contributions”, www.worktrauma.org/foundation/research/norwegian_research. 162 Bjorkqvist K., Osterman K., Hjelt-Back M., “Aggression among university employees”, Aggressive Behavior, 1994, vol.20, pp.173-184. 163 UNISON, Members’ Experience of Bullying at Work, London, UNISON, 1997. 159 69 Zapf, Knorz e Kulla164 hanno riscontrato profonde differenze nelle condizioni di salute fra il campione di soggetti mobbizzati ed il gruppo di controllo. I disturbi più ricorrenti erano disturbi psicosomatici, depressione e calo dell‟autostima. Hanno inoltre evidenziato che le persone che avevano subito azioni mobbizzanti con attacchi alla loro vita privata avevano riportato i danni più gravi alla salute fisica e psicologica. Alte correlazioni sono state trovate anche fra gli effetti sulla salute delle vittime ed azioni mobbizzanti attuate attraverso misure organizzative, isolamento sociale, aggressione verbale e dicerie. Gilioli165, afferma che non esiste un parametro medico specifico per affermare che un lavoratore è mobbizzato, “la valutazione è di tipo qualitativo e gli effetti del mobbing sono comuni a quelli di altre situazioni difficili della vita, come la perdita di una persona cara. La reazione è nei due casi la stessa, cioè una depressione reattiva o una sindrome ansioso depressiva reattiva, come si chiamava un tempo, oppure, in base ad una terminologia più moderna, un disturbo dell’adattamento”. Alcuni ricercatori hanno osservato una relazione fra il mobbing e il Post Traumatic Stress Disorder (PTSD). Leymann e Gustafsson166, hanno descritto quelli che sono i principali effetti della violenza psicologica sulla salute fisica e mentale della vittima, ed hanno ipotizzato che la PTSD, disturbo post traumatico da stress, era probabilmente la diagnosi più corretta per circa il 95% dei casi di vittime del mobbing. I dati che hanno raccolto si basavano su indagini nazionali e sulla loro consistente esperienza clinica con pazienti mobbizzati. Nei primi anni novanta, il Work Environment Fund svedese, nell‟ambito di un progetto di ricerca sul mercato del lavoro riguardante l‟espulsione sociale, il mobbing e la vittimizzazione nel lavoro, ha incluso nell‟indagine una serie di interviste con il questionario LIPT, elaborato da Leymann nel 1990. I risultati del LIPT hanno rilevato che 350 lavoratori, su 2.428, avevano subito mobbing. I soggetti avevano risposto a domande riguardanti un certo numero di sintomi dello stress scelti dai questionari neurologici in uso presso il Dipartimento di Neurologia nel Swedish National Board of Occupational Health Research Institute. Per ogni sintomo i soggetti dovevano stabilire se ne avevano sofferto nell‟arco degli ultimi 12 mesi e con quale frequenza. I sintomi così rilevati nei soggetti mobbizzati sono stati ripartiti in 7 gruppi. 164 Gruppo 2 Gruppo 3 -Incubi -Dolori di stomaco o addominali -Diarrea -Vomito -Sensazione di nausea -Perdita di appetito -Nodo in gola -Crisi di pianto -Solitudine, mancanza di contatti -Dolore al petto -Sudorazione -Secchezza alla bocca -Palpitazioni cardiache -Respiro affannoso -Blood surgings Gruppo 1 Gruppo 4 -Dolori alla schiena -Dolori cervicali -Dolori muscolari Gruppo 5 Zapf D., Knorz C., Kulla M., On The Relationships between Mobbing Factors, and Job Content, So-Disturbi della memoria cial Work Environment, and Health Outcomes”, European Journal of Work and Organizational Psychol- ad -Difficoltà -Difficoltà di concentrazione ogy, 1996, 5(2), pgg.215-237. -Spirito abbattuto, depresso 165 Gilioli R., neuropsichiatra e coordinatore dell‟equipe -Mancanza medicadi della iniziativa, Clinica apatiadel Lavoro di dormentarsi, Milano, “Ser-Facile irritazione ve una nuova cultura sul posto di lavoro" intervista di Anna Avitabile, Rassegna on Line, -Irrequietezza, nervosismo generale www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/luglio-dicembre/mobbing/gilioli.htm sonnia -Aggressività 166 Leymann H., “The content and developement of mobbing”, European -Sentimenti di insicurezzaJournal of Work and Organiza-Sonno interrotto tional Psychology”, 1996, 5(2), pgg.165-184. -Suscettibilità ai contrattempi precoce Leymann H., Gustafsson A., “Mobbing at Work and the Development of Post-traumatic-Risveglio Stress Disorders”, European Journal of Work and Organizational Psychology”, 1996, 5(2), pgg.251-275. www.leymann.se. 70 adin- Fonte:Leymann H., Gustafsson A., “Mobbing and the development of Post - Traumatic Stress Disorders”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), p.253. Gruppo Leymann ha interpretato clinicamente i gruppi 7 di sintomi così suddivisi: Gruppo 6 -Svenimento Il gruppo 1 riguardava gli effetti-Tremori cognitivi di forti stressori -Debolezza che producono iper reanelle gambe zioni psicologiche. -Spossatezza Il gruppo 2 indicava una sindrome con sintomi psicosomatici da stress. Il gruppo 3 concerneva sintomi che nascono in connessione con la produzione degli ormoni e le attività del sistema nervoso autonomo negli organismi sotto stress. Il gruppo 4 descriveva dei sintomi che si trovano spesso negli individui sotto stress per lunghi periodi di tempo ed i cui sintomi hanno a che fare con le tensioni muscolari. Il gruppo 5 comprendeva problemi di alterazione del sonno. Leymann ha quindi confrontato i suoi risultati con delle sindromi psichiatriche ben conosciute descritte nei manuali diagnostici dell‟American Psychiatric Association (APA) e dell‟World Health Organization (WHO). I primi cinque gruppi di sintomi realizzati dai ricercatori appartenevano alla categoria dei disturbi d‟ansia (anxiety disorders), e parti delle loro classificazioni di sintomi erano descritti nelle diagnosi della PTSD e della “generalized anxiety disorder” (GAD). I gruppi 4, 6 e7 erano individuabili nei criteri diagnostici della GAD nel raggruppamento “tensione motoria”, i gruppi 2 e 3 in quello “iperattività autonoma” ed i gruppi 1 e 5 nel raggruppamento “vigilanza e scanning". I criteri diagnostici della PTSD corrispondevano ai gruppi di fattori 1 e 5. Il modello post traumatic stress disorder (PTSD), delineatosi negli anni settanta ed affermatosi negli anni ottanta, abbraccia uno spettro vasto ed eterogeneo di avvenimenti stressanti che va dagli eventi naturali di dimensione catastrofica agli incidenti, dalle violenze ed aggressioni fisiche ai maltrattamenti ed abusi sui bambini e sugli adulti, dalle gravi malattie ed interventi chirurgici a gravi problemi sul lavoro. La letteratura167 ha messo però in evidenza che, a fronte della diversità di vissuto psicologico esistente fra questi eventi, vi sono di fondo alcune caratteristiche simili, ad esempio: il carattere di imprevedibilità e immediatezza, l‟angoscia e la paura che vive l‟individuo in tali situazioni, la presenza di processi psicobiologici simili in tutti questi tipi di stress gravi sia in fase acuta sia nella loro cronicizzazione, la presenza di strategie simili di difesa e coping, la comparsa di una gamma di disturbi che in genere presenta molte similitudini fra le persone, l‟adozione di comportamenti maladattivi simili e l‟esistenza di alcuni fattori protettivi e curativi che funzionano in diverse circostanze. Quindi, sebbene si faccia riferimento a varie situazioni traumatiche ed a contenuti interiori traumatici diversi, si può parlare della PTSD come di un‟entità scientifica specifica. Il disturbo post traumatico da stress costituisce una variante dei disturbi d‟ansia ed è caratterizzato dall‟esperienza di uno stato d‟animo di forte risonanza affettiva evocato da eventi particolarmente traumatizzanti di cui rimane vittima il soggetto o ne è testimone in qualche modo. 167 Sgarro M., “Gravi stress, traumi e salute, breve premessa”, www.psychomedia.it/pm/grpind/social/sgarro.htm. 71 La sintomatologia presenta l‟esistenza di un ricordo molto invasivo, flash back in cui la vittima rivive l‟evento, un attenuazione della responsività, un ridotto coinvolgimento nel mondo esterno, disturbi neurovegetativi, disforici e cognitivi; una tendenza ad evitare tutte quelle attività, situazioni e circostanze che richiamano il ricordo dell‟evento traumatico vissuto, insonnia168. Leymann aveva delineato, riprendendo il manuale diagnostico dell‟APA (versione 1987), i caratteri guida in cui sono divisi i criteri diagnostici della PTSD 169: A: l‟individuo è stato testimone di un evento estremamente duro e al di fuori dell‟esperienza normale, come una grave minaccia alla propria vita o alla propria integrità fisica o psicologica, una grave minaccia o lesioni ai propri familiari, un improvvisa distruzione della propria casa o una distruzione catastrofica della propria zona di residenza, vedere una persona che è stata appena gravemente ferita o uccisa in un incidente o in seguito ad un atto di violenza o assistere all‟intero svolgersi di eventi del genere. B: l‟evento traumatico è rivissuto in almeno uno di questi modi: ritorno insistente e doloroso alla memoria delle immagini del trauma; incubi ricorrenti sugli eventi accaduti; un improvviso agire o provare emozioni come se l‟evento si stesse ripetendo, illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi (flash back) anche quelli che accadono al risveglio o sotto l‟effetto di droghe; un intenso disagio psicologico in occasione di fenomeni che possono rappresentare una simbolizzazione dell‟evento o sono per certi aspetti simili all‟evento traumatico, per esempio l‟anniversario del trauma subito. C: la persona evita costantemente gli stimoli che possono essere associati in qualche modo al trauma oppure mostra un attenuazione della capacità di reagire emotivamente che non è preesistente al trauma e che si verifica in almeno tre di questi modi: sforzi per evitare pensieri ed emozioni che sono associati al trauma; sforzi per evitare attività e situazioni che possono richiamare il trauma alla memoria; incapacità a ricordare alcuni aspetti importanti del trauma; interesse molto scarso e ridotto per attività importanti; sensazione di mancanza di interesse o esclusione da parte degli altri; affettività limitata come per esempio l‟incapacità di nutrire sentimenti amorosi; sensazione di non avere alcun futuro, nessuna aspettativa di carriera, di sposarsi, avere figli o di vivere a lungo. D: segni permanenti di ipersensibilità che non erano presenti prima dell‟evento traumatico e che si mostrano in almeno due dei modi seguenti: difficoltà ad addormentarsi o sonno disturbato; irritabilità e scatti d‟ira; difficoltà di concentrazione e ipervigilanza; reazione esagerata a stimoli esterni inaspettati; reazioni fisiologiche in relazione ad eventi che possono simboleggiare il fatto traumatico od assomigliargli per alcuni aspetti. E: il disagio deve essere presente per almeno un mese con i sintomi menzionati in B, C e D. F: il disturbo influisce gravemente sulla vita quotidiana familiare e lavorativa e sulla vita sociale della persona. 168 Rosati O., “Gravi stress negli ambienti lavorativi. Il mobbing ed altri problemi”, in www.psychomedia .it/pm/grpind/social/sgarro.htm. 169 Leymann H., e Gustafsson A., “Mobbing and the Development of PTSD”, European Journal of Work and Organizational Psychology”, 1996, 5(2), pgg.254-255. 72 Leymann aveva rilevato sia che molti pazienti avevano valori PTSD molto alti e sia che alcuni dei raggruppamenti dei sintomi delle vittime del mobbing erano compatibili con alcuni criteri della general anxiety disorder, ed ha proceduto ad una verifica del fatto che i sintomi del gruppo D della PTSD spesso peggiorano nel corso di profonde e prolungate reazioni dello stress post traumatico. Il gruppo di criteri diagnostici D della GAD differenzia i sintomi psicosomatici da stress in tre gruppi; almeno sei dei diciotto sintomi devono essere presenti in contemporanea alle sensazioni d‟ansia: Tensioni muscolari: tremiti, eccitazione, vacilli; tensione, muscoli dolenti o infiammati; nervosismo, irrequietezza; stanchezza insolita. Iperattività del sistema nervoso autonomo: fame d‟aria o sensazione d‟affanno; palpitazioni al cuore o pulsazioni rapide; sudorazione o sudori freddi alle mani; secchezza della bocca; vertigine o capogiro; sensazione di nausea, diarrea, o altri disturbi gastrointestinali; sensazione improvvisa di caldo o freddo; frequente bisogno di urinare; difficoltà nel deglutire o nodo in gola. Ipervigilanza e ipersensibilità: affected or uptight; reazione esagerata a stimoli esterni inaspettati; difficoltà di concentrazione o mente completamente vuota, difficoltà ad addormentarsi o sonno agitato; irritabilità. Leymann rifacendosi sempre ai manuali diagnostici dell‟APA e del WHO, ha rilevato che la PTSD nella sua cronicizzazione può comportare alterazioni della personalità permanenti. Il manuale WHO descrive i sintomi tipici degli individui affetti dalla PTSD cronica. Il mutamento sembra predominare in uno dei due effetti dell‟ansia, depressione grave o ossessione. Nell‟esperienza clinica di Leymann vi erano casi di individui che presentavano entrambi i sintomi, specialmente quegli individui che dopo alcuni anni stavano ancora soffrendo della grave vittimizzazione sul lavoro subita. In base a tale esperienza clinica Leymann ha ampliato la descrizione dei sintomi del mutamento permanente di personalità descritti nel manuale WHO, suddividendoli in tre gruppi: Mutamenti permanenti della personalità in cui predomina principalmente l’ossessione: atteggiamento ostile e sospettoso verso l‟ambiente (presente anche nel manuale); stato di nervosismo cronico per la sensazione di costante pericolo (presente nel manuale); fissazione compulsiva sul proprio destino fino ad un livello tale che eccede i limiti di sopportazione delle persone vicine e che conduce all‟isolamento ed alla solitudine; ipersensibilità verso le ingiustizie ed una costante identificazione con la sofferenza altrui in modo patologico e compulsivo. Mutamenti permanenti della personalità in cui predomina la depressione: senso di vuoto e disperazione (presente nel manuale); incapacità cronica a provare gioia dalla quotidianità; rischio costante di abuso di psicofarmaci. Mutamenti permanenti della personalità con sintomi supplementari che indicano che il paziente si è rassegnato alla situazione: la persona si isola; non si sente più parte della società; tiene un atteggiamento cinico verso il mondo che la circonda. Leymann afferma che i dati clinici dei suoi pazienti e i risultati statistici conducono alla conclusione che gli individui già soggetti ad un mobbing intenso sul posto di lavoro sono a rischio di sviluppo di PTSD. Leymann sostiene che sia da rigettare l‟ipotesi che la vittima delle molestie abbia una personalità morbosa preesistente al mobbing e che proprio questa debba essere considerata come la sua causa sociale scatenante. Infatti non è possibile valutare la personalità originaria della vittima durante la fase cronica della PTSD, perché si è di fronte alla distruzione della personalità. Leymann ha osserva- 73 to che le reazioni PTSD di macchinisti dei treni coinvolti in casi di suicidi ferroviari erano statisticamente più leggere raffrontate con quelle dei suoi pazienti mobbizzati gravi; e la proporzione dei ferrovieri che soffrivano di PTSD in modo grave era più piccola rispetto alle vittime del mobbing. Le reazioni dei suoi pazienti erano comparabili invece con quelle delle donne violentate. Ha fatto l‟ipotesi che gli alti valori riscontrati nei suoi pazienti mobbizzati e nelle donne stuprate nella scala Impact of Event Scale che misura il distress, i pensieri intrusivi e la compulsione ad evitare le situazioni che ricordano il trauma (pensieri ossessivi e comportamenti di evitamento) sono così alti perché l‟evento traumatico è stato seguito da una serie di violazioni ulteriori e traumatizzanti dei propri diritti e da insulti alla propria identità compiute da diverse strutture sociali. In questa prospettiva, quindi, la PTSD potrebbe avere uno sviluppo più grave se gli eventi traumatici perdurano per un lungo periodo di tempo e sono seguiti poi da violazioni dei diritti causate dal sistema giudiziario o dal sistema sanitario. “I lavoratori mobbizzati che sono divenuti nostri pazienti sono afflitti da un ambiente traumatico: psichiatri, servizi di assicurazione sociale, personale dell’ufficio, managers, colleghi, sindacati del lavoro, dottori, compagnie di cura, ecc. possono, se gli eventi progrediscono, produrre traumi sempre peggiori. Così i nostri pazienti come le donne violentate, si sentono costantemente minacciati. … Invece di una reazione PTSD breve e normale!, che può decrescere dopo un certo periodo di tempo, la loro reazione è costantemente rinforzata: nuovi traumi si aggiungono e nuove sorgenti di ansietà si accavallano in un flusso continuo durante il quale gli individui sperimentano violazioni dei diritti che minano ulteriormente la fiducia in se stessi e la loro salute psicologica. La loro situazione sociale è tale che soffrono non solo di un grave trauma psicologico, ma di una condizione stressante estremamente prolungata nel tempo che minaccia seriamente l’esistenza socio economica dell’individuo”170. Groeblinghoff e Becker171 hanno presentato due studi di casi di mobbing estremo, confermando sostanzialmente i danni alla salute fisica e psicologica delle vittime. I due pazienti appartenevano ad alti livelli di management di una stessa azienda ed erano stati mobbizzati dalla stessa persona, l‟ananmesi dei due individui, un uomo ed una donna, non aveva presentato particolari disturbi preesistenti al mobbing. I due ricercatori hanno stimato in base ai risultati del loro studio che entrambe le persone erano in buone condizioni di salute; che non vi erano indicazioni di problemi durante lo sviluppo infantile e nell‟adolescenza; che avevano buone competenze sociali e professionali e non avevano avuto problemi sul lavoro o nel contesto sociale, questo era desunto dalla loro carriera professionale e dalla loro vita sociale, fino all‟arrivo del supervisore mobber, momento in cui è iniziato il loro declino ed il peggioramento delle condizioni ambientali a causa del meccanismo di funzionamento del sistema organizzativo. Il rapporto fra il mobbing e il Post traumatic Stress Disorder è riferito anche da parecchi altri ricercatori. La definizione della PTSD a cui si rifaceva Leymann era del manuale dell‟American Psychiatric Association e si riferiva ad un singolo trauma violento. Scott e Stradling172 hanno proposto, in base a recenti analisi degli stressori legati al lavoro che sarebbe utile distinguere fra stressori psicologici acuti e durevoli, e di conside170 Leymann H., Gustafsson A., “Mobbing and the Development of Post traumatic Stress Disorder”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), p.272-273. 171 Groeblinghoff D., Becker M., “A Case Study of Mobbing and The Clinical Treatment of Mobbing Victims”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pgg.277-294. 172 Scott M.J., Stradling S.G., “Post traumatic stress disorder without the trauma”, British Journal of Clinical Psychology, 1994, 33, pgg.71-74. 74 rare questi ultimi nel Post traumatic Prolonged Duress, PTPD, disturbi da stress per violenza prolungata. Niedl173 ha studiato in Austria i rapporti fra il mobbing, la salute delle vittime ed i possibili effetti organizzativi in connessione ai comportamenti di coping attuati dalle persone mobbizzate. Il campione osservato era costituito dai dipendenti di un ospedale pubblico sia personale medico sia infermieristico e sia amministrativo. Su 378 persone che avevano compilato il questionario esplorativo, il 26.6% di loro era risultato mobbizzato. Il questionario proposto da Niedl presentava invece della LIPT stress scale, le scale di Mohr del danno psicologico della salute, che comprendevano le misurazioni di: depressione, autostima, ansietà, irritazione e sintomi psicosomatici. I questionari hanno mostrato differenze fra i soggetti mobbizzati e quelli non mobbizzati, confermando i risultati degli altri studi sull‟impatto negativo del mobbing sulla salute e sul benessere dei lavoratori. Per analizzare gli effetti organizzativi ha studiato un gruppo di 10 pazienti tedeschi mobbizzati che partecipavano ad un programma di riabilitazione in un ospedale tedesco. Tutte le vittime avevano lasciato il loro posto di lavoro a causa del mobbing. Le interviste aperte (open-ended) erano basate sul modello EVLN di Withey e Cooper che propone quattro comportamenti di coping finali nel caso la persona sia infelice sul lavoro: Exit (uscita): lasciare il lavoro. Voice (voce): cercare di migliorare la situazione parlando, active problem solving. Loyalty (lealtà, fedeltà): rimanere e sostenere l‟organizzazione con lealtà e fedeltà, passive hope of problem solving. Neglect (negligenza trascuratezza): spostare la loro attenzione ed interesse verso altri campi. I risultati hanno indicato che i soggetti avevano usato una sequenza di diverse strategie di coping influenzate da diversi fattori organizzativi, scelte in momenti diversi del processo di mobbing, e non semplicemente la scelta fra la lotta o la fuga. Ma alla fine del processo, la maggior parte delle persone mobbizzate mostravano reazioni distruttive verso l‟organizzazione, riducevano l‟impegno verso il loro lavoro o lasciavano l‟azienda. Molti studi hanno mostrato la relazione fra il malessere e l‟insoddisfazione dei lavoratori e gli effetti di questo stato sull‟organizzazione come per esempio l‟aumento del turn over, la crescita dell‟assenteismo e la diminuzione della produttività. Rayner174 ha rilevato da diversi studi che la percentuale di individui che lasciano il lavoro a causa del bullying è di circa il 25% delle vittime e questi abbandoni rappresentano un costo per l‟organizzazione, inoltre anche testimoni di casi di bullying hanno dichiarato di aver lasciato l‟impiego come risultato di un forte incremento del livello di stress dovuto a questa esperienza indiretta. Rayner ha affermato che la scoperta di Leymann del "ripple effect", cioè l‟effetto cascata del mobbing in cui vengono coinvolti familiari ed amici che non sono presenti sul posto di lavoro, deve essere maggiormente considerata e studiata sia all‟interno dell‟organizzazione sia, come ha affermato Randall175, nell‟ambiente domestico. 173 Niedl K., Mobbing and Well Being: Economic and Personnel Development Implications”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pgg.239-249. 174 Rayner C., “From Research to Implementation: finding leverage for prevention”, International Journal of Manpower, 1999, 20,1/2. E Rayner C., Hoel H., “A Summary Review of Literature Relating to Workplace Bullying”, Journal of Community & Applied Social Psychology, 1997, 7, pgg.181-191. 175 Randall, P, Adult Bullying: Perpetrators and Victims, London Routledge, 1996. 75 Le indagini sugli effetti e sui costi del mobbing per l‟organizzazione sono importanti per motivare le organizzazioni ed i manager ad attuare programmi di prevenzione e di assistenza verso i loro dipendenti. Anche gli effetti e costi sociali del mobbing, di cui sono stati avviati degli studi esplorativi e di cui abbiamo fatto cenno parlando della violenza sul luogo di lavoro, devono costituire un incentivo per le amministrazioni dello stato a predisporre dei programmi di ampio respiro per la prevenzione e repressione del fenomeno. Alcune indagini sono state avviate da economisti per trovare un metodo efficace per quantificare i costi del mobbing e del bullying per le organizzazioni e gli Stati nazionali. L‟International Labour Organisation176 ha commissionato nel 2000 un analisi approfondita dei costi sociali ed economici, diretti ed indiretti, della violenza e del bullying nei luoghi di lavoro, sulla salute e sulla sicurezza a livello individuale, organizzativo e sociale. 176 www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence/costof.htm. 76 Capitolo quinto Il mobbing in Italia In Italia solo a metà degli anni novanta si è iniziato a parlare di mobbing, e solo negli ultimi anni i mezzi d‟informazione hanno cominciato ad occuparsi di questo problema ed a divulgarne l‟informazione. I punti di riferimento iniziali sono stati gli studi di Ege all‟Università di Bologna, negli anni novanta, sul fenomeno mobbing nel nostro paese e la Clinica del lavoro di Milano, che nel 1996 ha realizzato il Centro per lo studio, diagnosi e prevenzione del disadattamento lavorativo che si occupa del rapporto fra salute neuropsichica, lavoro e mobbing nei suoi aspetti clinici, diagnostici, terapeutici e riabilitativi sotto la direione del neuropsichiatra Renato Gilioli. A questi primi centri di riferimento si sono aggiunti quelli dell‟Ispesl177, del Centro di Psicologia del Lavoro dell‟Istituto per lo studio delle Psicoterapie di Roma, diverse associazioni fondate da gruppi di vittime del mobbing, ed alcuni sportelli antimobbing, non ancora diffusi su tutto il territorio nazionale, a cura dei Sindacati nazionali dei lavoratori. Internet ha svolto in questo senso una funzione informativa molto importante, negli ultimi due anni i siti italiani che si occupano del mobbing sono letteralmente triplicati; se i canali d‟informazione tradizionale, giornali radio e televisione si sono occupati a ondate successive di questo problema fenomeno, internet pare essersi imposto per la continuità e l‟aggiornamento delle informazioni. Nel febbraio 1999 si è tenuto presso l‟Istituto di Medicina del Lavoro dell‟Università degli Studi di Milano il primo seminario sul Mobbing178 in collaborazione con l‟associazione antimobbing “Prima” 179, fondata da Ege. In questa sede Gilioli, aveva auspicato la creazione di microstrutture d‟intervento in tutto il territorio nazionale. Negli ultimi anni sono state avviate varie iniziative per diffondere la conoscenza del fenomeno e per attuare i primi centri di riferimento per le vittime del mobbing; hanno avuto luogo diversi convegni e seminari e sono stati creati dei punti d‟informazione e sostegno presso le sedi dei sindacati, in alcune ASL e presse le associazioni sorte in questo periodo. Gruppi di auto-aiuto e sportelli antimobbing dove i lavoratori possono rivolgersi per trovare assistenza e collaborazione per la loro tutela stanno diffondendosi su tutto il territorio nazionale. Il problema mobbing è entrato anche nelle aule dei due rami del parlamento con 6 proposte di legge di diverse forze politiche, la prima delle quali risalente al 1996. L‟Italia è in forte ritardo rispetto ad altri paesi europei, sia dal punto di vista della ricerca sia da quello della prevenzione; altre nazioni europee già da tempo hanno predisposto delle misure di prevenzione e repressione del fenomeno, ad esempio i paesi scandinavi, la Germania, l‟Inghilterra e la Francia. Il volano per la presa di coscienza dell‟esistenza di questo grave problema e la percezione della sua rilevanza e pericolosità sociale è probabilmente stato il caso della Palazzina LAF dell‟Ilva di Taranto180, reso pubblico nel novembre 1998 con una lettera denuncia della dott.ssa Marisa Lieti direttrice del Centro di Igiene e Salute Mentale di Ta177 ISPESL, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, focal point italiano per la European Agency for Safety and Health. www.ispesl.it. 178 I° seminario nazionale “Mobbing: una nuova causa di malattia legata al lavoro”, 24 febbraio 1999, Istituto di Medicina del Lavoro - L.Devoto - Università degli Studi di Milano. 179 PRIMA: Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale, fondata nel 1996 a Bologna. 180 cfr. cap.VIII, Bossing. 77 ranto. Lieti181, da tempo impegnata nello studio delle problematiche del lavoro e sui loro riflessi sulla salute dei lavoratori, all‟inizio degli anni ottanta, nella provincia di Torino, aveva condotto una ricerca su “Cassa Integrazione e Disagio Psichico” in collaborazione con l‟Associazione per la Lotta contro le Malattie Mentali e le Confederazioni Sindacali, ed aveva rilevato numerosi casi di suicidio fra i cassaintegrati e diversi casi di disagio psichico fra gli stessi ed anche fra i loro familiari, in particolare lo studio aveva evidenziato che gli individui più colpiti erano quelli che avevano maggiormente investito psicologicamente sul lavoro o sull‟attività sindacale. Alla fine degli anni ottanta a Taranto, è stato pubblicato un altro studio “Cassa integrazione – Prepensionamenti – Licenziamenti a capitalizzazione. La via Tarantina alla Malattia Mentale”, evidenziando il legame fra queste condizioni e fenomeni di depressione che colpivano i lavoratori e molto spesso anche i loro familiari. Nel 1999 con una relazione sulla “Deprivazione da lavoro e Disagio Psichico”, presentata al Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria, ha posto in rilievo fra l‟altro che il percepire un salario senza compiere alcun lavoro comportava l‟insorgere di enormi disagi psichici a carico del lavoratore. Nel 1998 ha predisposto un centro di ascolto, diagnosi e cura per mobbizzati, presso il C.S.M. di Taranto 1, in seguito all‟affluire al centro di molti dipendenti dell‟Ilva sottoposti a bossing dai nuovi proprietari dell‟azienda. La pubblica denuncia sui giornali della dottoressa Lieti ed una denuncia ufficiale alla Magistratura del caso della Palazzina lager in cui erano tenuti 79 dipendenti, impiegati e dirigenti, senza svolgere alcun lavoro, ha avuto forte rilievo sull‟informazione pubblica che ha iniziato ad occuparsi di questo problema. Il centro di ascolto nei primi 2 anni di attività, ha seguito 180 casi di mobbing accertati, il 33% delle vittime erano dipendenti dell‟Ilva, impiegati, dirigenti e tre operai. Il restante 67% dei casi era così composto: 20% dipendenti della sanità pubblica e privata, un altro 20% costituito da dipendenti degli enti locali, 16% da dipendenti bancari, 15% appartenenti al pubblico impiego, 11% giornalisti, 5% dipendenti di aziende di grandi dimensioni, un altro 5% lavoratori delle ditte appaltatrici dell‟arsenale, 10% dal settore terziario ed il 2% da dirigenti nel settore agricoltura, altri casi riguardavano piccole aziende locali di vario genere. Il 70% dei casi concernevano dirigenti, quadri ed impiegati, ed il 30% aveva funzioni esecutive. Il 70% delle vittime del mobbing era costituito da uomini, il 30% da donne, secondo Lieti questi dati sono dovuti al fatto che molti dei casi riguardavano dipendenti dell‟Ilva ed inoltre nel sud dell‟Italia il numero delle donne che lavorano è inferiore rispetto al resto d‟Italia ed agli altri paesi, in cui secondo le statistiche internazionali sono le donne ad essere più frequentemente vittime del mobbing. Nel 25% dei casi osservati la diagnosi era di sindrome post-traumatica da stress; nella maggior parte delle vittime è stata riscontrata una sindrome di disadattamento lavorativo, con alcuni casi di gravi depressioni con pensieri autosoppressivi; frequenti anche le malattie psicosomatiche come l‟ipertensione, l‟artrite, l‟ulcera e dermatiti. Due vittime con una lunga storia di mobbing alle spalle durata anche più di dieci anni, avevano sviluppato una sindrome psicotica, una forte depressione con allucinazioni uditive che gli suggerivano il suicidio allargato cioè di togliere la vita oltre che a se stessi anche ai loro familiari e l‟anamnesi di questi due casi, secondo la Lieti, ha rivelato che non vi erano stati disturbi mentali o caratteriali preesistenti al mobbing. La quasi totalità dei casi accertati di mobbing seguiti nella sua struttura non avevano mostrato disturbi preesistenti, e Lieti ritiene che l‟ipotesi che le vittime del mobbing siano in un certo modo predesti181 Convegno su “Mobbing, un fenomeno da debellare”, intervento dott.ssa Marisa Lieti, responsabile C.S.M. Taranto, Hotel Ermitage, Galatina (Lecce), 16 giugno 2000. www.uilca.le.anet.it. 78 nate a divenire tali essendo psicologicamente più deboli sia molto riduttiva nell‟approccio ad un problema così complesso come il mobbing. Il mobbing non è certamente un fenomeno nuovo, è nuova forse la percezione della sua pericolosità sociale per le drammatiche conseguenze che può indurre sull‟individuo e di riflesso sulla sua famiglia, sull‟ambiente lavorativo e sulla società. Il lavoro è sempre stato considerato un fattore di protezione e di integrazione sociale anche nell‟ambito della cura dei malati di mente, ma spesso si può rivelare un fattore di rischio poiché l‟emarginazione, l‟isolamento e l‟espulsione dall‟ambiente lavorativo a causa della loro diversità costituisce una minaccia molto reale, Lieti infatti ritiene che fra i primi a subire questo problema siano stati i malati di mente a causa della loro diversità e del loro livello produttivo. Ma il lavoro e l‟ambiente di lavoro, per Lieti, si stanno trasformando da fattore protettivo e d‟integrazione anche rispetto alle malattie, a fattore di rischio di sviluppo di malattie per tutti gli individui, non solo per i malati di mente o per soggetti psicologicamente più deboli come mostrano le statistiche nazionali ed internazionali. Cassitto182 della Clinica del Lavoro di Milano ha spiegato che negli ultimi anni si è assistito ad una crescita esponenziale dei casi di mobbing; all‟inizio i pazienti che si rivolgevano all‟Istituto subivano molestie morali da colleghi o superiori in conseguenza di rapporti interpersonali anormali in cui la diversità di qualsiasi genere, dalle banali passioni sportive all‟essere portatori di handicap, costituiva la situazione grilletto del mobbing, ora invece le situazioni di mobbing che si riscontrano con maggior frequenza sono costituite da casi di mobbing, o meglio di bossing, in concomitanza con ristrutturazioni aziendali o fusioni, eventi aziendali in cui è tipica l‟esigenza di eliminare personale in esubero. Gilioli183, che coordina l‟equipe medica del Centro di Disadattamento Lavorativo della Clinica del lavoro di Milano, ha riferito che dall‟inizio dell‟attività del centro, le persone che si sono rivolte al centro per avere assistenza sono più di millecinquecento e, solo nel 2000, il Centro ha seguito milleduecento casi di mobbing. I lavoratori che si sono rivolti al centro appartengono prevalentemente ai livelli medio alti d‟inquadramento di entrambi i settori pubblico e privato, pochi invece i casi che coinvolgono operai o lavoratori con basse qualifiche, una decina di casi sono costituiti da lavoratori immigrati, i quali in altri paesi come la Svezia rappresentano una categoria fortemente a rischio di mobbing. Gilioli184 suddivide il mobbing in: mobbing emozionale quando deriva da un‟esaltazione dei comuni sentimenti di ciascun individuo come rivalità, invidia, gelosia, paura e antipatia; mobbing strategico quando è una strategia deliberata, un disegno preciso di esclusione teso ad ottenere le dimissioni spontanee della persona colpita. Ritiene che potenzialmente tutti possano essere colpiti, ma ha osservato che vi sono alcune categorie di persone che più frequentemente possono divenire dei bersagli: i diversi, i 182 www.aidp.it/art16/h16.18.htm, Intervista a Mariagrazia Cassitto di Silvia Bassino, “Mobbing e Spleen”, AIDP: Associazione Italiana per la Direzione del Personale. 183 www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/luglio-dicembre/mobbing/gilioli.htm. “Serve una nuova cultura sul posto di lavoro”, intervista a Renato Gilioli di Anna Avitabile, Rassegna on line, 7 novembre 2000. 184 Gilioli R., relazione “Definizione della nozione di mobbing nel campo clinico-epidemiologico”, Convegno “La tutela giuridica del lavoratore nei casi di mobbing”, Milano, 10 ottobre 2000, Aula Magna Palazzo di Giustizia. Relazione “Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un‟analisi quantitativa”, Convegno “Mobbing, un male oscuro”, Milano, 31 maggio 2000, Camera del Lavoro di Milano. In sito web: www.cgil.milano.it/CDLM/PolSociali/progetti/OSSERVATORIO/index.htm. 79 creativi, gli onesti, i disabili, gli anziani, i superflui. Al Convegno “Mobbing, un male oscuro”, ha reso noto i dati inerenti 250 persone che si sono rivolte al Centro di Disadattamento lavorativo, di queste oltre la metà era già in terapia con psicofarmaci. Le donne erano in lieve maggioranza, 131, rispetto agli uomini. I soggetti si situavano in fasce d‟età e scolarità medio alte. I settori di provenienza erano costituiti da pubblico, 140 casi e privato 110 casi; le categorie lavorative più frequenti erano costituite da impiegati 130, quadri 53, dirigenti 26, insegnanti 13, ma anche 4 liberi professionisti. Più di metà delle vittime, 139, proveniva dalla Lombardia, il resto da quasi tutte le regioni d‟Italia. Regione di provenienza Numero Piemonte 25 Lombardia 139 Valle D‟Aosta 2 Veneto 15 Friuli-Venezia Giulia 8 Liguria 8 Emilia Romagna 7 Toscana 6 Marche 2 Lazio 18 Campania 8 Puglia 5 Calabria 2 Basilicata 1 Sicilia 4 Totale 250 Fonte: Gilioli R., relazione “Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un‟analisi quantitativa”, Convegno “Mobbing, un male oscuro”, Milano 31 maggio 2000, Camera del Lavoro di Milano, www.cgil.milano.it. I soggetti hanno segnalato nell‟89% dei casi che l‟aggressore era un superiore e nel 76% che il management era il principale sostenitore dell‟aggressore, nel 56% erano ritenuti sostenitori i colleghi del lavoratore. Nel 30% dei casi l‟ufficio personale era ritenuto sostenitore del mobber. Le strutture aziendali che i soggetti hanno indicato come quelle che avevano fornito il minor aiuto erano l‟ufficio del personale e l‟alta dirigenza. Gli effetti sulla salute riportati dalle vittime erano ansia (79,4%), depressione (64,7%), prostrazione (64%), insicurezza e perdita dell‟autostima (59%), senso di colpa e vergogna (58%), pensiero ossessivo ed incubi notturni (58%), scarsa capacità di concentrazione (56%), insonnia (53%). Alcuni colleghi medici, secondo Gilioli, ritengono che i disturbi accusati dalle vittime siano disturbi fittizi che non corrispondano alla realtà, ma egli ritiene invece che i disturbi denunciati “esistano realmente sotto forma di ansia e depressione, con tutte le manifestazioni ad esse associate come la perdita dell’autostima e di progettualità”185. Il fatto che le denunce provengano più frequente185 Gilioli R., relazione “Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un‟analisi quantitativa”, Convegno “Mobbing, un male oscuro”, Milano, 31 maggio 2000, Camera del Lavoro di Milano. In sito web: www.cgil.milano.it/CDLM/PolSociali/progetti/OSSERVATORIO/index.htm 80 mente dalle situazioni lavorative più moderne in cui la competizione è più forte, banche ed assicurazioni sono i settori fra i primi posti, e manager, dirigenti, quadri ed in generale lavoratori con una scolarità medio-alta le vittime che più spesso denunciano il mobbing186, è probabilmente dovuto ad una maggior consapevolezza ed informazione che ciò che si sta subendo è una vera e propria violazione dei propri diritti. I primi casi di mobbing verticale di massa e bossing, hanno riguardato, negli anni ottanta, migliaia di operai espulsi dal lavoro con vessazioni, trasferimenti, angherie da parte delle aziende che avevano avviato i processi di trasformazione per aumentare la loro competitività nel mercato globalizzato del postindustriale. In Italia, il mobbing verticale riguarda la metà dei casi di situazioni di molestie morali e la fascia d‟età degli individui che richiedono aiuto più frequentemente è quella dai 45 anni in poi. La media della durata delle molestie in Italia è di circa quattro cinque anni, con punte di dieci/quindici, mentre per esempio in Germania la durata media del mobbing è di due anni 187, tale diversità è probabilmente dovuta al fatto che in Italia c‟è un maggior attaccamento al posto fisso e lo spettro della mancanza di lavoro è più temibile dati gli indici di disoccupazione in Italia. Gilioli osserva che l‟aumento dei casi di mobbing sta avvenendo in concomitanza con l‟aumento dei casi di generale disagio lavorativo, cioè “situazioni di lavoro inadeguato dal punto di vista dei compiti o sovraccarichi di lavoro…o una serie di richieste pressanti in generale che comportano tensioni, ansia, disturbi del sonno”188. Ritiene quindi molto verosimile che vi sia una connessione fra l‟incremento degli infortuni sul lavoro e la crescita dei casi mobbing, una sorta di ricaduta di un fenomeno sull‟altro. In relazione alle affermazioni di coloro che ritengono che il fenomeno mobbing sia sempre esistito Gilioli considera che questo è certamente vero, ma mentre prima il problema era affrontato in modo parcellizzato, oggi viene considerato come una totalità interconnessa in cui si tiene conto contemporaneamente degli aspetti sociologici, interpersonali, medici e legali, ed è la complessità di questo approccio che costituisce un fenomeno importante e nuovo. Il fatto che si sia iniziato a parlare di mobbing come di una grave patologia sociale a cominciare dagli anni ottanta, in cui sono iniziati in maniera massiccia l‟evoluzione dell‟economia postindustriale, la globalizzazione dei mercati e dei servizi e le trasformazioni del mercato del lavoro per adeguarlo alle nuove esigenze economiche non è quindi una contemporaneità casuale. Le indagini epidemiologiche italiane sono ancora inadeguate per stabilire con una certa sicurezza il grado di incidenza del mobbing nel nostro paese, alcuni dati sono stati raccolti da analisi condotte da sindacati in associazione con istituti di ricerca, la UIL.CA Piemonte, ad esempio, ha condotto uno studio189, in collaborazione con l‟istituto di ricerca Ares, nel settore creditizio ed assicurativo, pubblicato nel convegno di Torino del febbraio 2000 190. Su 426 risposte ai questionari da parte di dipendenti di età compresa fra i 21 ed i 60 anni, è emerso che il 62,7% aveva subito azioni di mobbing, il 40% di questi ha riportato attacchi da almeno un anno, il 18,5% con frequenza giornaliera. Le persone più colpite avevano superato i cinquant‟anni, ed il 57,3% delle vittime si riteneva mobbizzata da parte dei superiori. Le 186 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori, 2000. Gilioli A., Gilioli R., Cattivi Capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori, 2000.p.16. 188 www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/luglio-dicembre/mobbing/gilioli.htm, “Serve una nuova cultura sul posto di lavoro”, intervista a Renato Gilioli di Anna Avitabile, Rassegna on line, 7 novembre 2000. 189 www.uil.it. 190 Convegno:“Mobbing. Un fenomeno da debellare.” Torino, 28 febbraio 2000, organizzato da UIL C.A: Nazionale, UIL piemontese e ARES. 187 81 azioni mobbizzanti riportate erano attuate attraverso 5 strategie: isolamento: 46% dei casi; calunnie: 46%; svalutazione della professionalità attraverso l‟assegnazione di mansioni umilianti: 38%; negazione della possibilità di esprimere il proprio punto di vista: 21%; minare la salute psico-fisica: 7%. L‟ISPESL, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro ha divulgato, nel marzo 2000191, i dati dell‟attività del suo centro d‟ascolto fra maggio e novembre 1999. Su 772 telefonate pervenute in questo periodo di tempo, il 64% riguardava situazioni di mobbing ed il 28% casi di disagio lavorativo. Le telefonate provenivano soprattutto da: Lazio, 43%; Campania, 7%; Sicilia, 6%; Veneto, 6%. I lavoratori che avevano denunciato situazioni di mobbing appartenevano per il 63% ad imprese pubbliche, 37% ad imprese private, ed il settore servizi era più presente: 71%, rispetto a quello industriale: 27%. Quadri, 73% e dirigenti, 24%, i ruoli ricoperti dalle vittime che erano in maggioranza uomini, 57% che donne, 43%. Fra le principali cause del mobbing riferite dalle vittime vi era: cattiva gestione dei capi, 72%; ristrutturazioni e privatizzazioni, 68%; rifiuto ad adeguarsi ai metodi dei vertici aziendali, 26%; incompatibilità con i capi, 3%. I primi studi sul fenomeno mobbing in ambito italiano sono stati avviati da Ege che, giunto in Italia dalla Germania nel 1992 per specializzarsi all‟Università di Bologna in Relazioni Industriali e del lavoro, ha iniziato a svolgere attività di ricerca sul mobbing pubblicando i primi libri divulgativi italiani su questo fenomeno ed ha fondato nel 1996 l‟associazione Prima. Ege ha elaborato due modelli di ricerca per affrontare lo studio del fenomeno nella situazione culturale e sociale italiana. Lo studio delle cause del mobbing si è svolto nella direzione dell‟approfondimento di 3 fattori che caratterizzano il processo del mobbing192: il comportamento, o la reazione, del mobber; il comportamento, o la reazione, della vittima; l‟ambiente in cui accade l‟evento. Tutti questi elementi possono agire in due modi, favorire il mobbing o provocarlo direttamente. Per quanto riguarda il mobber, la sua azione mobbizzante potrebbe essere causata dalla sua personalità, ad esempio una tendenza sadica a perseguitare la vittima; o la causa dell‟azione vessatoria potrebbe risiedere nel comportamento della vittima che può indurre una reazione mobbizzante, ad esempio un comportamento arrogante e provocatorio oppure una sua qualche diversità; od ancora potrebbe essere l‟ambiente lavorativo a favorire un comportamento distruttivo. Relativamente alla vittima, il suo comportamento potrebbe essere una reazione rabbiosa o indifferente al mobber che da lungo tempo la sottopone a persecuzioni, la reazione della vittima può però in tal modo favorire nel mobber un aumento delle strategie persecutorie; il comportamento della vittima può essere usato per motivare le strategie persecutorie del mobber, che ricerca nelle condotte del mobbizzato delle anomalie per considerarlo anormale, anche senza alcun riscontro oggettivo. L‟ambiente fisico, sociale e organizzativo di lavoro in cui si svolge il processo di mobbing è di grande importanza, l‟organizzazione, i colleghi, i superiori svolgono un ruolo molto importante nel mobbing, di fatto potrebbero fermarlo immediatamente, ma quasi sempre non lo fanno. L‟ambiente può favorire il mobbing, ad esempio una struttura organizzativa carente, o problemi di leadership, od un alto grado di conflittualità fra 191 fonte: www.ansa.it/settori/societa/20000301201731506130.html, in:sito web Cesap: Centro Studi Abusi Psicologici: http://utenti.tripod.it/cesap/mobbing.htm. 192 Ege H., Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora Ed., 1996. 82 colleghi può favorire la degenerazione di un conflitto in un processo di mobbing. L‟ambiente di lavoro può provocare direttamente il mobbing come reazione del mobber al contesto ambientale, ad esempio il bossing, in cui l‟azienda persegue l‟obiettivo di eliminare personale in esubero od allontanare lavoratori non più desiderati attraverso strategie mobbizzanti ritenute come l‟unica via d‟uscita possibile. L‟interazione complessa di questi tre elementi è stata esemplificata in una struttura a cubo del sistema di cause, elaborata da Ege ed esemplificata nella seguente tabella: CAUSE Comportamento del mobber Del mobber Comportamento della vittima 1. Reazione del mobber fa- 3. La reazione del mobber 5. La situazione ambientavorisce il mobbing grazie al rispetto al comportamento le favorisce il mobbing. suo comportamento. della vittima favorisce il mobbing. REAZIONE 2. Il mobber provoca il 4. La reazione del mobber mobbing per soddisfare un rispetto al comportamento proprio bisogno personale. della vittima provoca il mobbing. Della vittima Ambiente 6. Il mobbing viene provocato dalla reazione del mobber rispetto alla condizione ambientale. 7. Il mobbing è favorito dalla reazione della vittima rispetto al comportamento del mobber. 9. La vittima favorisce il 11. La reazione della vitmobbing grazie alla rea- tima rispetto all‟ambiente zione compiuta rispetto a favorisce il mobbing. proprie caratteristiche. 8. Il mobbing è provocato dalla reazione della vittima rispetto al comportamento del mobber. 10. Il comportamento della vittima, nato da una reazione causata da proprie caratteristiche provoca il mobbing. 12. La reazione della vittima rispetto alla situazione ambientale provoca il mobbing. Fonte: Ege H., Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora Ed., 1996, p.166, tab.1: Le diverse cause del Mobbing seguendo il “cubo” del sistema delle cause. La tabella mostra tutti i possibili incroci che si possono realizzare in una situazione di mobbing, ed è messa in evidenza la complessità delle interazione dei comportamenti e delle reazioni del mobber, della vittima e dell‟ambiente inteso nel senso più generale e che si può dire comprenda il contesto lavorativo, l‟ambiente fisico, l‟organizzazione, l‟ambiente sociale composto da tutte quelle persone, dai superiori ai colleghi agli addetti alla gestione del personale, che sono spettatori di ciò che accade e che sono suddivisibili in tre classi: side-mobbers, che favoriscono il mobber con il loro sostegno o alleanza; indifferenti, che non intervenendo di fatto favoriscono il perdurate dell‟azione distruttiva in atto sulla vittima; oppositori, che rifiutano il clima persecutorio creatosi intorno alla vittima e cercano di aiutarla o di trovare una soluzione alla tensione ed al conflitto. Ege, osservando il contesto culturale e la realtà lavorativa italiana ha ritenuto che il modello di sviluppo del mobbing a 4 fasi di Leymann ed il suo questionario LIPT non si adattasse in maniera esauriente alla situazione del nostro paese. Il modello di Leymann era stato elaborato in base all‟esperienza maturata nella realtà svedese in cui operava, e 83 questo modello applicato alla realtà sociale italiana, secondo Ege193, lasciava dei vuoti e delle imprecisioni che non soddisfacevano i requisiti per un valido e preciso studio scientifico. Leymann delineando il corso del mobbing nel tempo secondo un modello aveva già precisato che: “Il corso del mobbing cambia il suo carattere nel tempo come cambia il setting sociale. Le ricerche scandinave, austriache e finlandesi rivelano fin qui dei corsi degli avvenimenti molto convenzionali”194. Ancora Leymann, nell‟identificazione delle attività mobbizzanti suddivise in cinque categorie aveva messo in evidenza che: “In tutto, sono state identificate quarantacinque differenti azioni mobbizzanti usate nel processo di mobbing. … Tuttavia, deve essere dato rilievo al fatto che queste attività mobbizzanti descrivono principalmente le interazioni ostili come sono effettuate nei paesi del nord Europa. Alcuni studi compiuti in Austria da Niedl supportano una prima ipotesi che ulteriori condotte mobbizzanti possano essere usate in altre culture, mentre alcune di quelle usate nella cultura nordeuropea possono non essere usate proprio”195. Il termine cultura non a caso è citato da Leymann, una delle definizioni antropologiche divenuta canonica del concetto di cultura è quella di Taylor: “la cultura è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità ed abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”196. Questo patrimonio culturale una volta interiorizzato dagli uomini agisce come un elemento istintivo, sebbene sia appreso mediante il processo educativo, ed il suo contenuto è composto da modelli cognitivi, valutativi ed operativi che presiedono ai processi di conoscenza, all‟atteggiamento positivo o negativo che l‟individuo adotta di fronte alla realtà conosciuta, all‟organizzazione dell‟azione volta al raggiungimento del fine determinatosi in base ai due processi precedenti. I modelli culturali, specializzati o propri del pensiero comune, orientano l‟uomo nella realtà e presiedono all‟organizzazione dei rapporti sociali, che assumono la forma di forze sociali, di istituzioni e delle pratiche sociali in genere in cui questi rapporti si realizzano. Il contesto culturale e sociale è importante nello studio del mobbing perché può fornire la prospettiva adatta a raccogliere una griglia di informazioni in grado di rendere conto delle differenze nei caratteri del mobbing che si possono riscontrare nei singoli paesi. Si è visto, parlando delle cause di questo fenomeno, come sia necessario affrontare il loro studio intrecciando più livelli d‟analisi per riuscire a fornire un quadro soddisfacente ed efficacemente finalizzato alla realizzazione di politiche di prevenzione e d‟intervento, che siano in grado di prevenire o interrompere la spirale di escalation del mobbing prima che sia troppo tardi e questa sia giunta al suo limite estremo che può portare fino all‟esplosione di un‟aggressività autodistruttiva od eterodiretta. Il valore che viene dato al lavoro all‟interno della vita umana, le aspettative culturali e sociali che influenzano la condotta di una persona, i modelli di interazione sociale accettabili, il livello di aggressività giudicato tollerabile all‟interno della società, la preferenza a modelli culturali di competitività o di cooperazione, l‟approccio culturale alla diversità, alla multiculturalità ed allo scambio fra i popoli, la presenza o l‟assenza di una rete istituzionale e sociale di solidarietà e sostegno in grado di funzionare da ammortizzatore nei 193 Ege H., Il Mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Ed., 1997, p.46. Leymann H., “The Content and Developement of Mobbing”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), p.171. 195 Leymann, op.cit., p.171. 196 Altan C.T., Antropologia. Storia e Problemi, Milano, Feltrinelli, 1983, p.148. 194 84 casi critici della vita di un individuo, sono alcuni degli elementi che possono spiegare le differenze di diffusione, di modalità e gravità del mobbing 197. Ege ha ritenuto di ravvisare nel modello di Leymann a quattro fasi una carenza d‟informazioni sulla situazione della vittima del mobbing e una mancanza di connessione logica fra le varie fasi, ha quindi elaborato un aggiustamento del modello tenendo conto delle diversità della realtà culturale e sociale italiana rispetto a quella nordeuropea. Il modello da lui proposto e chiamato “modello italiano a sei fasi” costituisce così un ampliamento del modello di Leymann e si articola in sei fasi di mobbing precedute da una pre-fase o condizione zero che non è ancora mobbing ma ne costituisce la premessa. Condizione Zero. E‟ una situazione iniziale che è comunemente in atto nella realtà lavorativa italiana e che Ege non ha riscontrato in quella nordeuropea, vale a dire un elevato grado di conflittualità fra i lavoratori normalmente presente, che è percepito come una regola, accettato da tutti e non è considerato pericoloso. “Una tipica azienda italiana è conflittuale. Sono poche le aziende che sfuggono a questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce mobbing anche se evidentemente è un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata”198. Questo clima conflittuale emerge sotto forma di discussioni, accuse e ripicche, tentativi di emergere rispetto agli altri. Ciò che è importante evidenziare, secondo Ege, è il fatto che in questa fase non c‟è da parte di nessuno la volontà di distruggere l‟altro ma solo quella di emergere ed elevarsi. Conflitto mirato. L‟ostilità si indirizza verso una persona individuata come vittima. Ora il conflitto fisiologico di base prende una direzione precisa, non è più oggettivo e limitato al lavoro ma si avvia sul piano personale della vita privata della persona e l‟obiettivo non è più quello di emergere ma di distruggere l‟avversario. In questa fase ogni piccolo pretesto è sfruttato per poter aggredire e attaccare la persona. L’inizio del Mobbing. Come nella seconda fase di Leymann, il conflitto quotidiano diviene continuativo, i ruoli dell‟aggressore/i e della vittima si definiscono e le aggressioni diventano sistematiche ed intenzionali. Il processo di stigmatizzazione è ormai iniziato, e la persona diventa agli occhi di tutti la vittima. Le viene attribuita la responsabilità di qualsiasi problema aziendale o dei singoli lavoratori, è il capro espiatorio di ogni situazione. La reputazione, le possibilità di comunicazione, la socializzazione, la capacità di lavorare della vittima iniziano ad essere manipolate. Gli attacchi causano alla vittima un senso di disagio e fastidio, ha percepito questo inasprimento dei rapporti e si chiede il perché del mutamento e cosa ha fatto per meritarsi questo trattamento. Primi sintomi psicosomatici. Secondo Ege questo stadio nel modello di Leymann era contenuto nelle prime due fasi e non particolarmente definito, mentre in Italia è una vera e propria fase del processo che si interpone fra l‟inizio del mobbing ed il suo divenire di dominio pubblico. Il lavoratore mobbizzato inizia ad accusare i primi problemi di salute ed i sintomi iniziali sono spesso costituiti da: problemi nella sfera del sonno, incubi o insonnia; problemi digestivi; senso di insicurezza, sfiducia e paura. Questa situazione può protrarsi a lungo con un progressivo aumento e peggioramento dei sintomi che porta la vittima a frequenti assenze dal lavoro. Errori ed abusi dell’amministrazione del personale. Come nella terza fase di Leymann, il mobbing diviene di dominio pubblico, il caso diviene ufficiale. Le frequenti assenze della vittima hanno attirato l‟attenzione dell‟amministrazione ed il mobbing può 197 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, 2000. Quaglino G.P., Psicodinamica della vita organizzativa, Milano, Cortina Ed., 1996. 198 Ege H., Il mobbing in Italia, Bologna Pitagora Ed., 1997, p.47. 85 essere favorito dagli errori di valutazione dell‟ufficio del personale che, spesso, a causa della mancanza di informazioni sul mobbing e dei pregiudizi diffusi sulla vittima tende a giudicare erroneamente la situazione attribuendone la responsabilità alla vittima e considerandola come un elemento dannoso, disturbante e costoso nell‟ambiente di lavoro. La scelta strategica diviene quindi l‟eliminazione della vittima dal posto di lavoro anche con l‟utilizzo di mezzi ingannevoli o ai limiti della legalità o proprio illegali. Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima. La salute fisica e psichica del mobbizzato è seriamente compromessa, i sintomi psicosomatici si aggravano e la vittima soffre spesso di forme depressive anche gravi, fa uso di psicofarmaci e spesso aumenta considerevolmente l‟uso di alcool e fumo. Le cure a cui la vittima ricorre sono palliative perché il problema che ha sul luogo di lavoro permane e spesso si aggrava, agli attacchi mobbizzanti si aggiungono i provvedimenti e le sanzioni disciplinari dell‟amministrazione nei suoi confronti gettando la persona nella disperazione. La vittima “finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla”199. Anche la sua vita extralavorativa subisce i contraccolpi negativi del mobbing, incomprensioni, isolamento abbandoni, generando nel mobbizzato un ulteriore aggravamento delle sue condizioni psicologiche già compromesse dalle vessazioni cui è sottoposto sul lavoro. Esclusione dal mondo del lavoro. Come nella quarta fase di Leymann, questa è l‟esito finale del mobbing. La vittima lascia il lavoro. Non riuscendo più a far fronte al clima insopportabile che la circonda sul luogo di lavoro, compromesse le sue capacità e prestazioni lavorative e la sua produttività, minata nella salute psicofisica la vittima può vedere come unica via d‟uscita le dimissioni volontarie, oppure può essere licenziata. Forme gravi di malattia possono indurre a chiedere il prepensionamento o la pensione d‟invalidità. Esiti ancor più traumatici sono rappresentati dallo sviluppo di manie ossessive, dal ricorso alla vendetta contro il mobber fino a casi estremi di suicidio e omicidio. Ege ha ritenuto di individuare nelle sue indagini italiane quello che ha definito Doppio Mobbing200, un elemento peculiare delle situazioni di mobbing che ha riscontrato frequentemente in Italia e che giudica non essere presente nelle altre ricerche europee. Questo elemento, secondo Ege, è legato al ruolo specifico che la famiglia ricopre nella società italiana. La famiglia rappresenta un momento fondamentale in ogni società e ricopre un ruolo essenziale per lo sviluppo degli individui. Ma i legami familiari che si instaurano ed i rapporti fra i componenti non sono uguali in tutte le culture e società. Ege descrive i legami familiari delle società sud occidentali, Italia, Grecia, Spagna, come molto solidi e intensi in cui “la famiglia partecipa attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, della loro realizzazione e dei loro problemi: virtualmente non scompare mai dall’esistenza dei suoi componenti, si fa da parte, forse, ma è sempre presente a fornire aiuti consigli e protezione”201. Questo rapporto individuo-famiglia è diverso rispetto alle società nordoccidentali, in cui lo stimolo all‟indipendenza da parte dei genitori è più spiccato, il bambino viene educato e favorito al distacco dal nucleo familiare e la famiglia è meno invadente e presente nella vita personale dei suoi componenti. Nelle fasi critiche della vita di una persona la famiglia costituisce sempre un punto di riferimento di aiuto e sostegno e quindi anche la vittima del mobbing tende a cercare a199 Ege H., Il Mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Ed., 1997, p.49-50. Ege H., Il Mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Editrice, 1997. 201 Ege H.,op.cit., p.97-98. 200 86 iuto in essa. In questi frangente la famiglia italiana, proprio per le sue caratteristiche di maggiore protezione, unione, vicinanza, e coinvolgimento emotivo, costituisce all‟inizio un buon ammortizzatore delle tensioni e frustrazioni della vittima e riesce ad assorbire molto di più la negatività della situazione rispetto alle famiglie nordiche in cui vi è una minore inclinazione a proteggere e farsi carico dei problemi dei suoi membri. Il perdurare nel tempo del processo di mobbing porta la famiglia ad esaurire progressivamente le sue risorse di resistenza e compensazione fino al punto in cui i familiari della vittima, non riuscendo più a sopportare tutta la negatività e l‟aggressività del mobbing, cambiano atteggiamento. La famiglia inizia a proteggere sé stessa e non la vittima e cessa di darle sostegno, respingendola per difendersi. In questo senso Ege parla di doppio mobbing, l‟individuo da un lato è vessato sul lavoro e dall‟altro è privato del sostegno ed aiuto familiare in casa, questa condizione aumenta ulteriormente il suo isolamento e la sua insicurezza aggravando il suo stato di salute. La famiglia può svolgere un ruolo condizionante sulla vittima 202 anche per le forti aspettative che nutre nei suoi confronti, queste aspettative, per esempio di sicurezza, stabilità, status sociale legate al lavoro possono indurre i familiari a non capire quello che realmente sta succedendo al loro congiunto, a sottostimare il problema considerandolo come un evento normale del “duro mondo del lavoro”, ed a procrastinare l‟adozione di contromisure adatte a tutelare la vittima del mobbing. Vi sono casi di persone che pur licenziate, non hanno avuto coraggio di dire nulla alle loro famiglie ed hanno continuato per mesi a fingere di andare al lavoro. Ege ha condotto due ricerche esplorative sul mobbing, utilizzando il questionario LIPT modificato per la realtà lavorativa italiana. La prima ricerca, in collaborazione con l‟associazione PRIMA, è stata condotta su 301 vittime del mobbing, che ha avvicinato grazie alla sensibilizzazione dell‟opinione pubblica sul terrore psicologico sul posto di lavoro operata attraverso l‟uso di giornali, riviste, mezzi di comunicazione radiofonici e televisivi. La seconda ricerca, finalizzata ad un indagine sulla diffusione del mobbing fra i lavoratori e svolta in collaborazione con l‟associazione PRIMA e la sede del sindacato UIL di Perugia, ha riguardato 600 impiegati della pubblica amministrazione, appartenenti al Comune ed alla Provincia di Perugia ed alla Regione Umbria 203. La prima ricerca è stata effettuata somministrando alle vittime un questionario in forma anonima fedele al LIPT di Leymann nell‟impostazione ma ampliato con alcune delle modifiche apportate da Zapf, riguardo al tipo di strategie mobbizzanti. Il test comprendeva una parte generale finalizzata a caratterizzare il luogo di lavoro della vittima, un‟altra diretta a individuare dei potenziali gruppi a rischio attraverso l‟analisi di alcuni fattori come il sesso, l‟età, il ruolo e la posizione lavorativa, il paese di provenienza. Una parte dedicata specificatamente al mobbing, al tipo di molestie subite, alle circostanze del mobbing ed alle conseguenze sulla salute psicofisica della vittima. L‟elenco delle azioni mobbizzanti era suddiviso in sei diverse categorie di attacchi204: Attacchi ai contatti umani, tesi a limitare le possibilità di esprimersi della vittima. Isolamento sistematico. Cambiamenti delle mansioni lavorative miranti alla dequalificazione professionale della vittima. Attacchi alla reputazione finalizzati a distruggere la credibilità della vittima. 202 www.aidp.it/art16/h16.18.htm, Intervista a Mariagrazia Cassitto di Silvia Bassino, “Mobbing e Spleen”, AIDP: Associazione Italiana per la Direzione del Personale. 203 Ege H., I numeri del mobbing, Bologna, Pitagora Ed., 1999. 204 Ege H., 1997, op.cit., p.24. 87 Violenze o minacce di violenze. Altre azioni. Ege ha anche osservato una strategia d‟azione diffusa in Italia 205 e che pare non rilevata in altri studi esteri, che consiste nel ricorso del mobber a strumenti anche esterni per procurare fastidio e disagio alla sua vittima, per esempio può usare il fumo, l‟aria condizionata od altri mezzi per molestare la vittima in modo indiretto, senza scoprirsi. Le vittime, che Ege ha potuto intervistare erano 146 donne e 155 uomini, 291 di nazionalità italiana provenienti da diverse regioni e 10 straniere: Regione di provenienza Numero % Piemonte 19 6,3 Lombardia 61 20,3 2 0,7 Trentino Alto Adige Veneto 19 6,3 Friuli-Venezia Giulia 8 2,7 Liguria 6 2,0 Emilia Romagna 81 26,9 Tosca na 17 5,6 Marche 10 3,3 Umbria 1 0,3 Lazio 43 14,3 Campa nia 13 4,3 Puglia 2 0,7 Calabria 4 1,3 Sardegna 6 2,0 Sicilia 9 3,0 Totale 301 100 Ege, H., I numeri del mobbing, Bologna, Pitagora Ed., 1999, Tab.1, p.21. Le fasce d‟età206 in cui erano suddivise le vittime erano fino a 20 anni:1 persona, 0,3%; 21-30 anni: 14 persone, 4,6%; 31-40 anni: 97 persone, 32,2%; 41-50 anni: 144 persone, 47,8%; 51-60 anni: 45 persone 14,9%. Nella fascia d‟età compresa fra i 41 ed i 50 anni vi è quindi una maggiore tendenza ad essere mobbizzati, in linea con altre ricerche anche internazionali. L‟analisi del confronto fra fascia d‟età e mobber indicato dalla vittima, indica che il 78% delle vittime fra i 41 ed i 50 anni segnala come aggressori i capi o altri in posizioni superiori alla sua ed il 49% i capi o altri in posizione superiore insieme a colleghi. Questo conferma le ipotesi che le aziende tendono a liberarsi dei dipendenti di questa età per diversi motivi, dal ringiovanire l‟immagine aziendale al liberarsi di un dipendente costoso e forse ritenuto meno produttivo rispetto ad uno più giovane. Il 32% dei casi riscontrato nella fascia d‟età 31-40 anni, secondo Ege, può essere indicativo del fatto che questi lavoratori sono in carriera e l‟ambizione e la competitività potrebbe porli in una situazione a rischio di mobbing. I settori lavorativi di provenienza delle vittime erano: 205 Ege H., Il Mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Editrice, 1997,p.167. 206 Ege H., 1999, op.cit., p.136. 88 Settore Industria beni/servizi Numero % 116 38% Amministra zione pubblica 65 21,5% Settore scola tico/Università 36 11,9% Sanità/settore ospedaliero 24 7,9% Commercio/Ma ga zzini 10 3,3% 6 1,9% 44 14,6% 301 100% Agricoltura/Foreste Altri ( istituti di credito, banche, Poste) Totale Ege, H.,1999, op.cit., p.134. Analizzando i tipi di azienda in cui lavoravano le vittime Ege ha rilevato che 89 soggetti (quasi il 30%) operava in un‟azienda statale, 68 erano impiegate in un‟azienda autonoma, 41 in nella filiale di un‟organizzazione nazionale e 29 di un‟organizzazione multinazionale, questi ultimi tre dati mostrano che l‟azienda privata e di grosse dimensioni (almeno 100 dipendenti) pare il tipo più frequente di organizzazione di provenienza. Ege ha rilevato che 2 casi di mobbing riguardavano lavoratori di organizzazione/associazione di dipendenti/imprenditori, certamente pochi ma di rilievo il fatto che gli abusi si possano verificare anche nelle organizzazioni finalizzate alla difesa dei diritti dei lavoratori. Un altro dato interessante è costituito dal fatto che 11 vittime, 3,65%, provenivano da organizzazioni/associazioni con scopo sociale. Il dato indica la presenza del mobbing in un settore, quello del Non Profit 207, che per il suo carattere di economia sociale che “non è misurata allo stesso modo con cui si misura il capitalismo, in termini di salari, fatturato eccetera, ma il suo prodotto integra i risultati sociali con i guadagni economici indiretti: per esempio il numero di handicappati che ricevono assistenza domiciliare e non ospedaliera; il grado di solidarietà tra gruppi di persone…”208 e la sua caratteristica di agire a difesa di gruppi e componenti sociali i cui interessi sono ignorati dal mercato o non tutelati dai governi e che spesso rappresentano la parte socialmente più debole, dovrebbe essere esente da situazioni di molestie ed abusi lavorativi e terrore psicologico. Invece le citazioni in giudizio di imprese non profit per abusi psicologici sui loro collaboratori stanno crescendo in tutto il mondo, secondo Casilli209 questo è dovuto al fatto che al di la dell‟immagine di missione sociale, nelle Non Profit si sta attestando la logica dell‟efficienza, della redditività e della produttività a scapito della vocazione assistenziale, sia per l‟aumento della competitività sia per il legame che si va affermando con le imprese for profit da cui le Non Profit accettano finanziamenti, donazioni, sponsorizzazioni o a cui offrono servizi di ogni tipo. Inoltre nelle Non Profit trovano spazio realtà produttive di vario genere volte al reinserimento professionale di soggetti svantaggiati, che seguono le logiche del business tradizionale con tutti i suoi risvolti positivi e negativi di prestazione competizione e produttività. 207 Non Profit, o terzo settore è costituito da tutte le organizzazioni che non sono enti pubblici né aziende private, quindi tutte quelle associazioni di volontariato, organizzazioni non a scopo di lucro, fondazioni, cooperative ed imprese sociali, le cui attività spaziano dai servizi sociali all‟assistenza sanitaria, dall‟istruzione alla ricerca, alle arti, alla religione, alla difesa legale. 208 Jeantet T.,La Modernisation de la France par l’economie sociale, Parigi, Economica, 1986, p.78, in Rifkin J., La fine del lavoro, Milano, Baldini e Castoldi, 5° ed., 2000, p.385. 209 Casilli A.A., Stop Mobbing, Roma, DerveApprodi, collana Map, 2000, p.88. 89 Riprendendo l‟indagine di Ege, il reparto lavorativo indicato più spesso dalle vittime era quello dell‟amministrazione, 85 persone: 28,2%; e servizi, 69 soggetti, 29,2%; insieme formavano il reparto di provenienza di più della metà delle vittime, mentre il reparto di produzione era indicato solo da 6 vittime, 1,9%. Quindi sembrerebbe che il mobbing si verifichi maggiormente negli uffici e raramente nel reparto produzione delle fabbriche, questo dato si allinea all‟esperienza operativa di Gilioli e Lieti. Non è stato individuato invece una dimensione di reparto più a rischio, il mobbing può verificarsi sia in reparti con molti dipendenti sia in piccoli reparti. Il 13,6% (41 persone) delle vittime proveniva da un reparto in cui lavoravano da sole, in questo caso l‟ipotesi di casi di bossing, mobbing da parte dell‟amministrazione, è molto plausibile e trova una prima conferma, secondo Ege, nel confronto fra dimensione reparto e mobber indicato nella vittima, 21 vittime che lavoravano da sole hanno indicato come mobber i capi o altri in posizione superiore alla sua. Le vittime che ricoprivano il ruolo di dirigente erano 52 (17,2%) di cui 46 uomini e 6 donne. Mentre le vittime non dirigenti erano 249 (82,7%) di cui 100 maschi e 149 donne. Si potrebbe quindi dedurre che quando la donna ricopre un ruolo direttivo risulta meno a rischio di mobbing. I mobber indicati dai dirigenti erano solitamente superiori di grado con o senza l‟aiuto di colleghi. Il mobbing dal basso, cioè da dipendenti di grado inferiore è poco frequente, segnalati 2 casi, 3,8%, come pure nel caso di vittime non dirigenti, 5 casi: 2%. Leymann aveva rilevato quasi il 10% di casi di mobbing dal basso sia in Svezia sia in Germania, quindi con un risultato diverso da quello italiano che induce a ritenere, secondo Ege, che nel nostro paese la gerarchia aziendale sia comunque più rispettata. 39 vittime appartenevano al sindacato (13%), 30 donne e 9 uomini, mentre invece i mobbizzati senza ruoli sindacali erano più uomini, 137, che donne: 125. I mobber segnalati dalle vittime sindacaliste erano nel 97% delle situazioni capi che, nella metà dei casi agivano da soli e nella restante metà con l‟aiuto di colleghi della vittima questo risultato farebbe ritenere che i sindacalisti siano maggiormente esposti al rischio di Bossing. Un risultato interessante è quello inerente la nazionalità della persona ed il mobbing. Ege, ha confrontato la nazionalità della vittima e l‟azione mobbizzante “si attacca o si prende in giro la sua provenienza”, ed il risultato è stato di 20 vittime di nazionalità italiana su 291, 6,8%, prevalentemente di origine meridionale. La parte del questionario riguardante il tipo di azioni mobbizzanti subite dalle vittime della ricerca era ripartito nelle categorie di attacchi viste precedentemente, e prevedeva al termine di ogni sezione la risposta “nulla di tutto questo”210. Attacchi ai contatti umani. 281 vittime hanno dichiarato di aver subito questo tipo di azioni, solo 20 hanno risposto “nulla di tutto questo”. Quindi il 93% delle vittime hanno denunciato di aver subito limitazioni nei loro contatti umani all‟interno dell‟azienda. Fra le azioni più frequentemente segnalate: “Il suo capo limita le sue possibilità di esprimersi”: 216, (72%); “Continue critiche alle sue prestazioni”: 192, (64%); “Velate insinuazioni senza che le sia stato mai dichiarato nulla con chiarezza”: 157, (52%). Isolamento sistematico. I soggetti che segnalavano di aver subito azioni di questo tipo erano 265, 88%; mentre 36 vittime, 12%, non avevano segnalato nessuna azione volta al loro isolamento. Fra i comportamenti mobbizzanti che sono stati più indicati vi erano: “Ci si comporta come se Lei non ci fosse”, 166, (55%); “Le viene assegnato un luogo di lavoro dove si trova isolato/a dagli altri, 116, (38%); “Non si parla con Lei e/o nessuno accetta che Lei gli rivolga la parola”, 115, (38%). 210 Ege H., 1999, op.cit., p.137-150. 90 Cambiamenti delle mansioni lavorative. Le vittime che hanno risposto positivamente sono state 269, 89%; 32 (11%) invece hanno dichiarato di non aver subito attacchi in questa categoria. Fra le azioni più segnalate: “Le vengono affidati compiti molto al di sotto delle Sue capacità. Le vengono affidati lavori umilianti e/o viene costretto/a a lavori che danneggiano la Sua stima di se”, 171, (57,8%); “Non le viene dato nessun lavoro da svolgere, Lei è costretto a stare sul luogo di lavoro senza svolgere alcuna attività”, 87, (30%); “Le vengono cambiati in continuazione i lavori da svolgere”, 86, (29%). Attacchi alla reputazione. Risulta la categoria di azioni che è stata più frequentemente segnalata dal campione delle vittime: 284 soggetti, 94%; solo 17 persone (6%) hanno indicato di non aver subito “nulla di tutto ciò”. “Si sparla alle sue spalle e/o si fanno circolare false voci su di lei” è la condotta mobbizzante più indicata, 201 risposte positive, 67%, due vittime su tre. Fra le altre azioni più riportate: “Si valuta la Sua prestazione in maniera sbagliata o umiliante”, 156, 52%; “Viene sospettato/a di avere problemi psichici”, 117, 39%; “Viene messo/a in ridicolo davanti agli altri”, 102, 34%; “Si attaccano le sue convinzioni politiche o religiose e/o si attacca o si prende in giro la sua vita privata”, 92, 31%. Violenze o minacce di violenze. Questo tipo di azioni ricorre con minor frequenza fra le vittime del campione. Il numero di vittime che ha indicato azioni in questa categoria di condotte mobbizzanti, 118 (39%), era inferiore rispetto alle persone che non avevano subito nessuna di queste azioni, 183, 61%. Numerose ricerche hanno riportato che la violenza e minacce di violenza fisica rientrano fra le strategie mobbizzanti che sono meno usate dai mobber, questo risultato è confermato nella ricerca di Ege, anche se la percentuale del 39% è comunque preoccupante. La condotta rilevata dal numero maggiore di vittime si riferiva all‟azione “Le vengono procurati costi per danneggiarla e/o Le vengono fatti danni nella Sua casa o sul posto di lavoro”, 42, 14%. Segue “Viene minacciato di violenza fisica”, 37 risposte positive, 12%; e “Le si fanno atti di violenza minore (per esempio uno schiaffo o uno spintone) per darle una lezione”, 20, 7%. Casi di violenza fisica più grave sono stati i meno frequenti nel campione di vittime, 6 risposte positive, 2%; per Ege, si tratta di casi eccezionali ma pur sempre presenti e da non sottovalutare. 11 soggetti (4%) hanno denunciato l‟azione “Le vengono messe le mani addosso per scopi sessuali”, che costituisce una grave molestia sessuale attraverso il contatto fisico diretto. Altre azioni. In questa tipologia Ege ha raggruppato una serie di azioni che non erano incluse nel questionario LIPT di Leymann. Fra queste l‟azione che è stata segnalata dal maggio numero di vittime era: “Si crea un‟atmosfera/clima ostile nei suoi confronti”, 179, 59%. Non è specificato se il clima era percepito come ostile in generale o solo nei confronti della persona. In entrambi i casi comunque la vittima percepiva un atmosfera negativa intorno a lei, il deterioramento del clima sociale e lavorativo, in altre ricerche211 è segnalato anche da coloro che hanno assistito a casi di mobbing senza averlo subito. Sia “Le si fanno provocazioni per costringerla a rispondere in maniera non controllata per poi subirne le conseguenze”, sia “Informazioni importanti per lo svolgimento del suo lavoro le vengono taciute per causarle problemi; Viene messo/a davanti a fatti compiuti senza essere stato informato/a nonostante questo rientrasse nei diritti della sua posizione e/o sono state prese decisioni tenendola all‟oscuro, nonostante avesse diritto di 211 cifr.Cap.V, p.101: Einarsen S., Raknes B.I., Matthiesen S.M., “Bullying and harassment at work and their relationships to work environment quality: an exploratory study”, The European Work and Organizational Psychologist,1994, vol.4, pgg.381-401. 91 parteciparvi”, sono state riportate da 172 vittime, 57%. La prima di queste azioni può servire a creare delle reazioni nella vittima che possono essere utilizzate successivamente contro di lei, anche ufficialmente con sanzioni disciplinari. La seconda condotta raggruppa una serie di azioni che si configurano come un sabotaggio dell‟attività lavorativa della vittima ed un‟esclusione dai processi decisionali, mirano a toglierle il controllo del suo lavoro. Fra le altre azioni riportate dai soggetti in questa categoria si può citare: “I colleghi sono istigati contro di lei”, indicata da 164 vittime (54%); “Le vengono mosse false accuse allo scopo di danneggiare la sua immagine”, 162, 53%; “Si tagliano le sue possibilità d‟influenza e responsabilità”, 156 risposte positive, 52%, “L‟opinione aziendale viene resa ostile nei suoi confronti”, 151, 50%; “Viene sempre controllato/a e sorvegliato/a”, 151, 50%; “Non riceve nessuna promozione od aumento di stipendio mentre la cosa avviene per altri con la sua stessa qualifica o con una minore”, 135, 45%; “Nessuno risponde alle sue richieste verbali e/ scritte”, 121, 40%; “Le sue proposte sono sempre rifiutate in anticipo”, 107, 36%. Si può dire che gli attacchi alla reputazione sono i tipi di azioni mobbizzanti più diffuse, almeno nel campione di Ege, queste condotte fanno quasi sempre parte di una tattica di mobbing e danno luogo alla stigmatizzazione della persona. Ege, confrontando i dati, ha osservato che solo il 2% delle vittime non aveva subito mobbing sotto forma di azioni miranti all‟isolamento sistematico della persona o attacchi ai contatti umani, mentre l‟83% aveva subito sia le une che gli altri, ed il restante 15% o l‟una o l‟altra strategia vessatoria; queste due tipi di tattiche secondo Ege sono simili, l‟isolamento sistematico è una forma estrema di attacco ai contatti umani. I cambiamenti delle mansioni sono anche un tipo di azioni mobbizzanti molto comuni, 9 vittime su 10 li hanno subiti e nella maggior parte, confrontando le percentuali con l‟indicazione da parte della vittima di chi fossero i suoi mobbers, ad opera di un superiore. I dati riguardanti la durata del mobbing e la frequenza con cui le vittime avevano subito le azioni ostili sono stati raccolti offrendo ai soggetti le seguenti possibilità di risposta: FREQUENZA Quante volte ha subito le azioni comprese nelle do mande da 1 a 7? Quotidia na mente Quasi qu otidiana mente DURATA numero % 91 30,23 Per quanto tempo ha sub ito queste azioni? Più di 5 anni numero % 131 43,53 115 38,20 Tra 2 e 5 anni 116 38,53 Una volta alla settima na 52 17,27 Tra 1 e 2 anni 40 13,28 Alcu ne volte al mese Meno di u n anno 6 1,93 Meno di 6 mesi 5 1,66 Più di 2 mesi 2 0,66 Meno di 2 mesi 1 0,33 Meno di u n mese 0 0 39 12,95 Raramente 4 1,32 mai 0 0 301 100 totale Fonte: EgeH.,1999, op.cit., Tab.XVI, Ta b.XVII, pg.151. Mai totale 0 0 301 100 92 258 vittime212 (85%) ha subito attacchi mobbizzanti almeno una volta la settimana. La frequenza del mobbing quindi, nella maggior parte dei casi, si attesta sulle indicazioni temporali di Leymann. Per quanto riguarda la durata, Ege ritiene, osservando i risultati, che il mobbing in Italia pare delinearsi come un fenomeno di lunga durata, il 95% circa delle vittime lo subisce da almeno un anno, con quasi il 44% che lo subisce da più di 5 anni. Ha posto in relazione i risultati della durata e della frequenza ed ha osservato che le vittime del mobbing da più di 5 anni erano ancora bersagliate da attacchi giornalieri o quasi; mentre i mobbizzati da meno di due anni tendevano a subire attacchi o molto intensi e ravvicinati o al contrario rari, questo secondo Ege può essere spiegato dal fatto che il mobbing può essere molto intenso all‟inizio per fiaccare la vittima, oppure può essere meno frequente perché inizialmente è saggiata la resistenza della persona o perché i/il mobber hanno ancora rispetto nei suoi confronti213. Le vittime hanno anche indicato chi secondo loro era il “nemico”: numero % numero % Le persone nel suo reparto/i colleghi Chi era il suo ne mico? 31 10,29 Uomo/uomini 114 37,87 Dipendenti o altri in posizione inferiore alla sua. Capi o altri in posizione su periore alla sua Capi o altri in posizione su periore alla sua insieme alle persone nel suo reparto /colleghi nessuno 7 2,32 Donna/donne 56 18,60 173 57,47 Uomini e donne 131 43,52 90 29,90 totale 301 100 0 0 301 100 tota le Sesso del suo nemico Tab.XIX Tab.XVIII Quante persone si co mportavano o si comportano verso di lei co me ne mici? Una persona numero % 60 19,93 Da 2 a 4 persone 137 45,51 Oltre 4 persone 79 26,24 Tutto il reparto/gru ppo di lavoro 25 8,30 nessuno 0 0 tota le 301 Fonte: Ege H., 1999, Tab.XVIII, p.151; Tab.XIX, Tab.XX,p.152. 100 Tab.XX Il mobbing in Italia pare svolgersi prevalentemente dall‟alto verso il basso, secondo Ege i capi possono essere coinvolti in due modi: possono essere i promotori del mobbing, oppure i superiori tollerano il mobbing. I mobbers più segnalati sono costituiti da uomini e donne insieme, i casi più frequenti coinvolgono piccoli gruppi di 2-4 persone. Ege, comparando il sesso della vittima con il sesso dei mobbers, ha rilevato che gli aggressori tendono ad attaccare persone del loro stesso sesso. Nel caso di gruppi di mobbers misti le vittime non presentano differenze apprezzabili riguardi il loro sesso. L‟indagine sugli effetti del mobbing 214 sulla salute delle 301 vittime del campione prevedeva delle domande, sui sintomi psicosomatici e sulla sofferenza psicologica, a 3 opzioni di risposta: molto spesso; spesso; qualche volta o raramente; mai. I risultati rac- 212 Unione delle prime 3 opzioni di risposta: quotidianamente, quasi quotidianamente, una volta la settimana. 213 Ege H., 1999, op.cit., p.75. 214 Ege H., 1999, op.cit., pp.81-87, pp.153-154. 93 colti da Ege hanno evidenziato in generale 215 una grande incidenza dei disturbi della sfera del sonno, 93%; e dei problemi di memoria o concentrazione, 90%, solo poche vittime avevano indicato di non soffrire mai di questi disturbi. Molto frequenti anche i mal di testa e capogiri, 82%; i dolori alla schiena, cervicali o muscolari, 74%; frequenti i disturbi all‟apparato gastrointestinale disturbi, 59%, palpitazioni, 67%; e senso di pressione sul petto, 57%. Il 70% delle vittime ha riportato di sentirsi molto spesso o spesso agitata, solo il 17% circa di soggetti ha risposto di non esserlo mai, sono invece poco frequenti le forme acute di agitazione come i tremori. Irrequietezza continua è un sintomo presente nel 70% dei soggetti, dei quali quelli che hanno segnalato di essere continuamente irrequieti molto spesso o spesso sono circa il 575. L‟affermazione “Sentirsi abbattuto, depresso, privo di iniziative, apatico” è stata sottoscritta dal 94% dei soggetti, 282 persone, coloro che provavano questo stato depressivo molto spesso (48,5%) o spesso (35,5%) erano l‟84%, 253 vittime. Solo 19 persone hanno risposto negativamente a questo item. L‟insicurezza e la paura di fallire è un altro sintomo molto diffuso fra i mobbizzati, hanno risposto positivamente l‟83% dei soggetti, ed il 73% provava molto spesso o spesso insicurezza e paura di fallire. Questa condizione è probabilmente uno degli scopi del mobber/mobbers216, la perdita di fiducia di sé e di autostima porta la vittima a commettere più facilmente errori e diminuisce notevolmente le sue capacità e risorse di difesa dai ripetuti attacchi mobbizzanti, portandola in quella condizione di inferiorità e di forte sbilanciamento di potere fra le parti che la rende inadeguata a difendersi, e la porta in uno stato depressivo e di autocommiserazione. Un dato interessante riguarda l‟item “aggressività”, a cui ha risposto positivamente il 62% dei soggetti, 187 vittime, di cui 113, (37,5%), provavano sentimenti di aggressività molto spesso o spesso. La frequenza di questo dato potrebbe costituire una spia della carica di aggressività che si può verificare nella vittima e che in certe circostanze può portare ad una forte reazione aggressiva nei confronti dei mobbers, giungendo a casi di violenza anche gravi; o indirizzarsi contro la vittima stessa attraverso sentimenti di autodistruzione. Le vittime hanno anche fornito 217 quello che secondo loro era la causa per ciò che avevano subito o stavano subendo, fra i motivi più addotti vi erano: motivazioni riferite alla persona dell‟aggressore: gelosia, invidia, gusto di prendere in giro qualcuno, per licenziarmi/indurmi alle dimissioni, noia, attrazione; motivazioni riguardanti personalmente la vittima: sesso, convinzioni, diversità, età, provenienza, aspetto handicap, malattia; motivazioni ricondotte alla capacità e preparazione della vittima: maggior esperienza, per sue prestazioni inferiori alla media, per prestazioni superiori alla media, posizione privilegiata; motivazioni riconducibili ad aspetti esterni a vittima ed aggressore: clientelismo latente, licenziarmi/indurmi a dare le dimissioni problemi organizzativi, conflitto mai risolto, stress in genere, clima organizzativo in generale, mancanza di professionalità, serviva capro espiatorio. Osservando la classifica218, gelosia si trova al primo posto, al sesto invidia, in generale le cause riconducibili alla personalità dell‟aggressore o a sue motivazioni personali si trovano nella parte alta della classifica, come pure le ragioni che si riferiscono alla 215 Considerate insieme le risposte positive a: molto spesso, spesso, qualche volta o raramente. Ege H., 1999, op.cit., p.87. 217 Ege H., 1999, op.cit., p.89-90. 218 In totale erano citate 37 cause in ordine d‟importanza decrescente, senza le percentuali di risposta. 216 94 persona della vittima, invece le cause che fanno riferimento a motivazioni esterne alla relazione vittima aggressore erano situate a metà ed in fondo alla classifica. Come negli studi219 effettuati in altri paesi, c‟è una tendenza nell‟attribuire la causa del mobbing a fattori inerenti i due attori coinvolti, vittima e aggressore/i. La seconda ricerca condotta da Ege220 in collaborazione con la sede sindacale UIL di Perugia ha coinvolto 600 dipendenti pubblici di 3 amministrazioni: 200 appartenevano al Comune di Perugia, 200 alla Provincia e 200 alla Regione Umbria. E‟ stato utilizzato un questionario in forma abbreviata mirante a sondare la diffusione del disagio lavorativo ed il livello di conflittualità in un settore quello della pubblica amministrazione che è riconosciuto come luogo di lavoro a forte rischio di sviluppo di mobbing. Le domande inerenti gli attacchi vessatori si limitavano alle 6 azioni maggiori che riassumono le altre, alla loro frequenza e durata, ad eventuali effetti sulla salute o a disagi familiari causati da quella situazione, all‟identificazione dell‟eventuale nemico ed al motivo percepito per ciò che accadeva. In tutte le sei tipologie di azioni vessatorie, il Comune ha riportato la percentuale più alta, seguito dalla Provincia ed infine la Regione: Ha verificato una di queste s ituazioni? Comu ne Attacc hi ai contatti umani Isolamento sistematico Cambiamenti nelle mansioni Attacchi alla reputazio ne Vio lenza e/o minacce Altro Nulla di tutto questo 37,93% 37,93% 17,24% 34,48% 6,9% 17,24% 6,90% Provincia 25,43% 21,62% 7,35% 19,91% 2,34% 15,82% 12,60% Regione 12,62% 18,24% 4,72% 8,43% 1,75% 9,68% 5,18% Fonte: Ege H.,1999 op.cit., p.109, fig.42-43. Ege ha rilevato che nel Comune vi è una conflittualità molto più elevata rispetto alla Provincia ed alla Regione, quest‟ultima presenta il livello minore. Rispetto alla ricerca precedente i cambiamenti di mansione sono meno frequenti dell‟isolamento sistematico, forse perché, secondo Ege, nella pubblica amministrazione è meno facile attuare questo tipo di condotta. Il dato della violenza o minacce di violenza per il Comune, 7% circa di dipendenti è piuttosto preoccupante. I dati percentuali bassi della risposta dei dipendenti pubblici all‟item “nulla di tutto questo”, vale a dire che non hanno mai avuto situazioni riferite ai 6 tipi di attacchi indica la presenza nelle tre amministrazioni di un alto livello conflittuale sul posto di lavoro, Ege ipotizza che “il conflitto sul posto lavoro in Italia costituisca una routine, una regola accettata e subita in modo alquanto passivo: la Condizione Zero è dunque una realtà estremamente diffusa”221. I dati sulla frequenza e durata delle azioni indicano che quasi la metà dei dipendenti comunali subiscono vessazioni quotidianamente o quasi, mentre il 27,59% alcune volte al mese. Seppur in percentuale minore a quelli comunali, anche i lavoratori di Provincia e Regione, subiscono azioni conflittuali quasi ogni giorno, rispettivamente 34% e 28%, ed alcune volte al mese il 18,41% ed il 17,68%. I risultati percentuali sugli effetti sulla salute e sui rapporti familiari presentano invece un capovolgimento, qui sono i dipendenti regionali a segnalare maggiori problemi. Secondo Ege222 il dato è interpretabile 219 cfr. cap.V, Le cause del Mobbing. Ege H., 1999, op.cit., pp.101-118. 221 Ege H., 1999, op. cit., p.111. 222 Ege H., 1999, op. cit., p.115-116. 220 95 considerando che maggiore conflittualità non significa direttamente maggiori malattie, il conflitto generalizzato può divenire routine, far parte del clima generale a cui una persona si abitua e ne soffre meno le conseguenze, mentre ove il conflitto è meno frequente o è raro, quando accade le persone sono impreparate ad affrontarlo e possono patirne maggiormente le conseguenze. Per quanto riguarda l‟indicazione di chi fosse il loro “nemico”, vi è una tendenza verso una conflittualità, potenziale mobbing, dall‟alto verso il basso, più decisa in Comune e Regione; meno in Provincia dove le risposte capo/i e collega/i sono molto ravvicinate. In Comune è presente il rischio di mobbing dal basso, da subordinati a superiore, con una percentuale del 3,45%, che depone a favore di un ipotesi di un grado di conflittualità così elevato da prescindere dalle posizioni gerarchiche. In generale quindi dalle due ricerche di Ege e dall‟insieme dei dati raccolti dalle altre indagini italiane delle strutture citate, si può vedere che il mobbing è un fenomeno diffuso in Italia. La stima del 4%: 720.000 lavoratori su una forza lavoro complessiva di circa diciotto milioni, della ricerca dell‟European Foundation 223, secondo molti studiosi italiani è una stima per difetto. Casilli224 ritiene che fra lavoratori regolari e lavoratori sommersi, vale a dire tutti i precari atipici o con una situazione occupazionale non prevista dagli inquadramenti lavorativi tradizionali e lavoratori in nero, la cifra totale potrebbe aggirarsi intorno ai tre milioni di mobbizzati. Gilioli225 ritiene che la stima della ricerca non rivela l‟effettiva realtà italiana perché viziata dal fatto che all‟epoca delle interviste, metà anni novanta, in Italia la consapevolezza di essere vittime di un sopruso e di una violazione dei propri diritti era ancora scarsa. La stima che ritiene per ora attendibile e proposta concordemente dai medici che si occupano di molestie sul lavoro si aggira intorno al milione e mezzo di lavoratori. 5.1. Il bossing Il mobbing verticale, dall‟alto verso il basso, da superiore a sottoposto quando viene esercitato dai vertici dell‟azienda stessa, dall‟amministrazione del personale è stato anche definito bossing, dal verbo inglese to boss226: spadroneggiare, comandare; il cui sostantivo boss significa capo, direttore, padrone. Il termine è stato usato in psicologia del lavoro da Binkmann227 nel 1995 ad indicare l‟azione perpetrata ai danni di un dipendente/i da parte dell‟azienda stessa e mirante a indurlo alle dimissioni. Il bossing ha quindi uno scopo ben definito, è l‟esecuzione di un progetto preciso solitamente teso all‟eliminazione di uno, ma anche più dipendenti da parte dell‟azienda medesima, è in un certo senso predeterminato: “Ti voglio eliminare ma per tutta una serie di vincoli non lo posso fare, allora ti dequalifico, mi accanisco sempre più fino al punto in cui non riesci più a sostenere la situazione e ti dimetti”228. L‟adozione di una strategia vessatoria può essere uno strumento appetibile per indurre il dipendente scomodo a dare le dimissioni perché in tal modo viene evitato un licen- 223 Cfr. cap.IV.5, La diffusione del Mobbing/bullying at work, p.74. Casilli A.A., 2000,op.cit., 38. 225 Gilioli A., Gilioli R., 2000, op.cit.,p.16-17. 226 Hazon M.,Grande Dizionario inglese- italiano, italiano- inglese, Milano, Garzanti 1978. 227 Citato in: Lieti M., Intervento al Convegno “Mobbing, un fenomeno da debellare”, Hotel Ermitage, Galatina, (Le), 16 giugno 2000, www.uilca.le.anet.it. E in Ege H., Mobbing che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora Ed., 1996. 228 Cassitto M.G., “Mobbing e Spleen”, intervista di Silvia Bassino a Maria Grazia Cassitto, Clinica del Lavoro di Milano, www.aidp.it/ART16/ 224 96 ziamento che potrebbe aprire vertenze sindacali, particolarmente nei paesi in cui vi è una rigida disciplina in materia di rapporti di lavoro. I motivi che possono indurre un‟azienda a prendere in considerazione l‟eliminazione di suoi dipendenti sono diversi, molti sono riconducibili alle trasformazioni economiche imposte dal progressivo affermarsi dell‟economia post fordista e ad un conseguente indebolimento delle forze sindacali. Processi di ristrutturazione, fusioni aziendali, reengineering, flessibilità, compressione delle strutture gerarchiche, ringiovanimento dell‟immagine aziendale complessiva, necessità di riduzione dei costi; spesso tutti questi processi comprendono la gestione di personale in esubero, e sono molte le aziende tentate di gestire la soluzione di questo problema con strategie mobbizzanti. Ma vi possono essere anche ragioni meno pressanti economicamente quali: persone divenute scomode perché non si sono identificate nel nuovo credo aziendale, per esempio rifiutano di fare largo uso di straordinari; o non si sono integrate in una nuova cordata di potere all‟interno di un‟azienda, oppure il caso dei whistleblowers, dipendenti che hanno trovato il coraggio di denunciare casi di illegalità e per questo motivo non sono più ritenuti affidabili. Il Bossing come strategia aziendale è presente in tutti i paesi industrializzati, alcuni ritengono che sia particolarmente diffuso in quei paesi, essenzialmente europei, in cui la legislazione del lavoro è severa ed il licenziamento è rigorosamente regolamentato. Gilioli229 ritiene invece, che la libertà di licenziare non è una garanzia per l‟assenza del bossing, per esempio nel caso che un contratto dirigenziale preveda una buona uscita in caso di licenziamento o risoluzione consensuale del rapporto, il datore di lavoro può essere tentato di costringere il lavoratore alle dimissioni mettendolo in tali condizioni di lavoro sgradevoli e discriminatorie o creando un clima così ostile e insostenibile da indurre il dipendente a dimettersi per le umiliazioni subite, risparmiando in tal modo gli oneri della buona uscita. I superiori o l‟amministrazione del personale di un azienda hanno a disposizione una vasta gamma di possibilità per attuare il progetto persecutorio, ogni sistema è permesso per raggiungere lo scopo di demoralizzare, umiliare e far saltare i nervi al dipendente. I modi cambiano a seconda dell‟ambiente di lavoro, del livello culturale e professionale di chi agisce e di chi subisce e degli scopi che devono essere raggiunti. Fra i molti metodi utilizzabili possiamo citare espedienti: diretti: minacce; critiche e rimproveri continui; aggressività verbale; calunnie e accuse generiche non supportate da fatti e circostanze; atteggiamenti esageratamente severi rispetto al passato; rifiuto di colloqui, premi, corsi, scelta delle ferie, promozioni; riduzione delle pause; sottrazione totale del lavoro per lasciare la persona inattiva per tutta la giornata; far lavorare la persona con il suo successore; sottili e indiretti: azioni preordinate dai vertici ma eseguite da dirigenti inferiori o colleghi; sabotaggi del lavoro o degli strumenti per farlo, difficilmente dimostrabili come far sparire dati o informazioni dal computer; ordini contraddittori; circolazione di liste non ufficiali di prossimi licenziamenti in più copie con nominativi diversi; evitare di fornire tutte le informazioni o i permessi necessari per lo svolgimento del compito assegnato; disciplinari: continue lettere di richiamo ingiustificate o per fatti che fino a quel momento erano ben tollerati; controlli continui e ossessivi per cogliere in errore il dipendente e richiamarlo ufficialmente; 229 Gilioli A.,Gilioli R., Cattivi capi, Cattivi Colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 97 logistici: trasferimenti forzati continui da un reparto all‟altro, o in sedi particolarmente disagiate e lontane dal luogo di residenza; spostamento della postazione di lavoro in un luogo isolato o angusto e sgradevole; rifiuto della concessione di trasferimenti richiesti; revoca dei benefici dell‟incarico quali segretaria, linea telefonica personale, auto aziendale e posto macchina; mansionali: cambiamenti dei compiti; affidamento di incarichi dequalificanti; assegnazione di funzioni o compiti oltre le possibilità e la qualificazione del lavoratore o impossibili da raggiungere; riduzione delle responsabilità e attribuzioni lavorative e del flusso di lavoro. Queste azioni sono solo un esempio delle possibili strategie che possono essere messe in atto dai vertici aziendali, nella realtà può accadere di tutto, talvolta non occorre far uso di mezzi pesanti di accanimento ma può essere sufficiente togliere al dipendente gli status symbols ottenuti con la carriera o privarlo della possibilità di svolgere un lavoro costruttivo, tipico segnale di Bossing 230 è proprio la cancellazione dei benefici, importanti in termini patrimoniali e di prestigio e che possono provocare un effetto devastante su un dipendente anziano; in altri casi l‟azienda può giocare a carte scoperte con ricatti o transazioni “in famiglia” che cerca di far accettare al dipendente scomodo. La vittima del bossing si trova in una posizione estremamente difficile, ha scarse o addirittura nessuna possibilità di riuscire a fronteggiare gli attacchi, la bilancia di potere fra le parti è totalmente a suo sfavore e il lavoratore che vive una tale situazione si trova in uno stato di forte incertezza, la sensazione del rischio di perdere il lavoro è molto forte e la vittima vive in uno stato di allarme continuo e lo stress cresce a dismisura, in modo particolarmente grave se il lavoratore non possiede alternative occupazionali231. Le vittime possono difendersi solo ricorrendo ad un avvocato, e la attuabilità di una causa civile o penale è collegata alla possibilità per l‟avvocato, di trovare tracce evidenti e dimostrabili dell‟operato eccessivo dell‟azienda, tracce che spesso non riescono a costituire delle prove utili e sufficienti per un giudizio favorevole al lavoratore. Maggior parte delle vittime quindi non riesce a tutelarsi, per la mancanza di disponibilità economica, o perché sbaglia il momento dell‟azione legale od ancora perché non vi sono proprio prove per citare in giudizio l‟azienda232. I lavoratori esposti maggiormente al rischio di bossing sono i disabili, le donne, i lavoratori appartenenti ai sindacati e quei lavoratori che hanno raggiunto un‟anzianità ritenuta troppo onerosa233. Gilioli234 individua nella fascia d‟età 55-60 anni, i lavoratori, maggior parte dirigenti, più a rischio di bossing perché l‟azienda può essere maggiormente interessata per questioni economiche a cercare di “convincere” il dipendente al prepensionamento. Il medio management (quadri), spesso in età piuttosto avanzata, 48-55 anni, sembra essere fra le categorie occupazionali più colpite 235, sia per l‟età sia per le ristrutturazioni in atto che prevedono fra l‟altro un forte appiattimento delle gerarchie aziendali rispetto 230 Ege H., Mobbing che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Milano, Pitagora Ed., 1996; Ege H., Il Mobbing in Italia, Bologna, Pitagora Ed.,1997. Monateri P.G., Bona M., Oliva U., Mobbing. Vessazioni sul lavoro, Milano, Giuffre, 2000. 231 Ege H., Lancioni M., Stress e Mobbing, Bologna, Pitagora Ed., 1997. Gilioli R., op.cit. 232 Ege H., op.cit. Monateri P.G., Bona M., Oliva U., op.cit. 233 Monateri P.G., Bona M., Oliva U., op.cit.. 234 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 235 www.associazione quadri.it; Ege H., op.cit. 98 alle organizzazioni degli anni di sviluppo dell‟economia fordista, come si è già analizzato nel contributo di Rifkin 236. Così afferma Cassitto237 del Centro Disadattamento Lavorativo della Clinica del Lavoro di Milano: “il mobbing oggi viene più spesso utilizzato come meccanismo per risolvere problemi di ristrutturazione organizzativa, è un meccanismo molto più organizzato, premeditato e come tale indubbiamente più incivile. … Adesso le situazioni che con maggior frequenza vengono portate alla nostra attenzione riguardano soggetti in situazioni di ristrutturazioni aziendali o fusioni,…senza preavviso, si sottraggono compiti prima svolti dalla vittima per darli ad altri collaboratori. Vengono inviate lettere in cui la persona è ripresa per mancanze inesistenti o del tutto trascurabili; si passa poi ad isolare le comunicazioni e come conseguenza immediata la persona, non ricevendo più il normale flusso di informazioni, non è più in grado di svolgere il suo lavoro. Infine, spesso in occasione di una malattia o assenza, la persona torna e non trova più la segretaria, la stanza, addirittura la scrivania, oppure trova la scrivania completamente vuota con il telefono non collegato e il computer non in rete. Nessuna richiesta di spiegazioni verbali o scritte ottiene risposta”. In Germania238 i casi di mobbing pianificato si sono verificati particolarmente in concomitanza alla riunione delle due Germanie, ed alcuni casi hanno avuto forte rilievo sulla stampa ed hanno turbato l‟opinione pubblica; nella parte occidentale il bossing sembra sia stato usato nel processo di ringiovanimento delle organizzazioni, mentre in quella orientale era mirato essenzialmente alla riduzione forzata del personale per la sopravvivenza economica delle aziende dell‟est nel nuovo assetto economico del libero mercato. L‟impiego di questa strategia ha determinato nel Tribunale del Lavoro tedesco, un aumento dei processi nel giro di un anno, passando dai 402.000 casi del 1993 ai 478.000 del 1994. Anche nella realtà italiana vi sono elementi che possono costituire un humus congeniale per la nascita di fenomeni di bossing. La disoccupazione e la scarsa offerta di lavoro, le istanze di modificazioni strutturali ed organizzative per il mantenimento della produttività e competitività nel mercato globalizzato, le pressioni economiche, la legislazione dell‟impiego che ammette il licenziamento solo per giusta causa o giustificato motivo e prevede tutta una serie di protezioni a tutela del lavoratore, sono tutte condizioni che possono rendere il bossing uno strumento particolarmente attraente per quelle aziende con uno scarso livello etico che non assegna alcun valore alla dignità umana dei suoi lavoratori. Il caso di bossing forse più noto e clamoroso per la sua gravità in Italia, raccontato a più riprese dai mass media in seguito alla pubblica denuncia della dottoressa Lieti239, del CSM di Taranto, nel 1998 è quello dell‟Ilva di Taranto, complesso siderurgico Italsider che faceva parte dell‟IRI. L‟Impianto siderurgico è stato acquistato nel 1995 dalla famiglia Riva, la nuova gestione ha immediatamente interrotto le relazioni con le controparti, ignorando le norme contrattuali sottoscritte nel passaggio dal pubblico al privato e gli accordi presi o già esistenti al momento dell‟acquisto. Ha “consigliato” ai lavo236 cifr.cap.II: L‟economia postfordista e la III Rivoluzione industriale. Il nuovo modo d‟intendere il lavo- ro. 237 Cassitto M.G., “Mobbing e Spleen”, intervista, www.aidp.it/ART16/ Ege H., Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora Ed., 1996, p.29-30. 239 Lieti M., intervento al Convegno Nazionale UIL CA “Mobbing un fenomeno da debellare” Galatina (LE), 16 giugno 2000. www.uilca.it. 238 99 ratori di prepensionarsi, di cancellarsi dal sindacato, di non aderire agli scioperi, li ha costretti a lavorare in condizioni che non rispettavano le norme della sicurezza sul lavoro a tal punto che l‟Ilva ha il primato europeo di morti ed incidenti sul lavoro. In questo clima, si verifica il caso della Palazzina LAF, un vecchio reparto laminatoio a freddo in disuso, degradato ed abbandonato da tempo, dove sono stati esiliati 79 lavoratori, impiegati e dirigenti. Avvocati, ingegneri, tecnici sono stati confinati in quell‟edificio abbandonato e fatiscente dotato solo di alcune vecchie sedie e scrivanie, senza svolgere alcun tipo di lavoro. La situazione è durata per un anno e mezzo, dal maggio 1997 fino al novembre del 1998 quando Lieti denunciò ai giornali questo grave caso di bossing, e fece una denuncia ufficiale alla Magistratura. Il caso della Palazzina Laf, è un caso di bossing estremo, ma la creazione di luoghi “Cayenna” dove vengono isolati dipendent i scomodi è tutt‟altro che raro, nel passato erano spesso destinati in reparti confino i lavoratori politicizzati ed i sindacalisti, come si può vedere scorrendo i casi riportati nei libri divulgativi sul mobbing che sono stati pubblicati in Italia, ma ancor prima negli altri paesi in cui lo studio e la conoscenza del fenomeno mobbing in tutte le sue forme è stato più precoce. Vi sono aziende che assumono personale il cui compito è quello di rendere difficile il lavoro ai dipendenti scomodi con spostamenti continui, assegnazione di mansioni inferiori a quelle pattuite, rimproveri, pressioni psicologiche in generale per indurli alle dimissioni volontarie, come è anche emerso dalla testimonianza di una donna, assunta proprio con questo compito da un‟azienda della Brianza e poi licenziata dopo il periodo di prova perché non aveva accettato di prestarsi ad un simile comportamento, in occasione di un convegno organizzato a Monza nel maggio 2000 dalle confederazioni sindacali240. Il bossing si configura quindi come una vera politica aziendale a cui ricorrere in casi di necessità, vi possono essere aziende che compilano una sorta di vademecum 241 di consigli pratici per manager in cui sono illustrate tutte le tecniche per minare le difese psicologiche di un dipendente, umiliarlo e demoralizzarlo per costringerlo ad andare via, un atto particolarmente grave, non molto frequente ma presente fra i casi denunciati, è anche quello di costringere il dipendente ad una visita psichiatrica 242, non è molto usato perché per essere efficace richiede una certa “disponibilità” da parte dello psicologo o psichiatra a sottoscrivere una diagnosi favorevole all‟azienda. Lennane243, psichiatra australiano, ha delineato quelle che sono le implicazioni negative delle visite medico legali in due aree particolari: 1. quando i whistleblowers sono forzati a sottoporsi a esami medico-legali come parte del processo di vittimizzazione e molestia. In questo caso l‟azienda mira a screditare il dipendente ed a spostare l‟attenzione dal problema che egli ha denunciato, che solitamente include casi corruzione o pericoli per il pubblico. 2. quando nei casi di compenso dei danni ai lavoratori (workers compensation cases) il datore di lavoro o le compagnie di assicurazione tentano di negare la responsabilità della vittimizzazione o il collegamento di questa con malattie legate allo stress. 240 Articolo di Fabio Lombardi, “Nasce un codice contro il mobbing”, Il Giorno 13 maggio 2000. Casilli A., Stop Mobbing, Roma, DeriveApprodi, collana MAP, 2000. 242 Ege nella sua ricerca italiana su 301 vittime del mobbing, ha rilevato che 7 hanno denunciato che avevano subito pressioni per sottoporsi ad una visita psichiatrica, Ege H., I numeri del Mobbing”, Bologna, Pitagora Ed., 1999. 243 Lennane J., “Bullying in medico-legal examinations”, in:AAVV Bullying: from backyard to Boardroom, editors Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W., Alexandria, Millenium Books, 1996. 241 100 Lennane ha descritto molti casi di persone, vittime del bullying, che hanno subito delle vessazioni durante le visite psichiatriche ordinate dalle aziende o dalle assicurazioni. Ha riportato citazioni da rapporti medici, sentenze legali e lamentele da parte di pazienti. Sono esposti gravi episodi sul comportamento di alcuni medici riferiti anche da altri medici che vi hanno personalmente assistito, che violano l‟etica e la deontologia professionale della categoria. Il comportamento usuale in questi casi pare quello di intimorire il paziente con un approccio aggressivo, ostile e spesso provocatorio per suscitare una reazione del paziente da poter poi usare contro di lui nel rapporto medico, come: urlare al paziente; accusarlo di mentire per ottenere il compenso (indennità); girare intorno al paziente o porsi dietro di lui mentre lo si bersaglia di domande; comportarsi durante la visita come in un interrogatorio di polizia; parlare con il paziente in modo sprezzante, ilare e beffardo; iniziare l‟intervista sostenendo che non sembra vi sia qualcosa che non va nel paziente. Gli episodi riportati da Lennane sono molto seri e sgradevoli, non ha riferito dati statistici sulla loro frequenza nell‟articolo, ma è illuminante il fatto che Gorman244, barrister (avvocato con facoltà di discutere cause presso le corti di grado superiore australiane), consigli i suo assistiti di “take a tape recorder with you every time you have to see a doctor who is not your own treating physician or therapist,” e che molti medici e terapisti australiani consiglino i loro pazienti di non recarsi mai soli alle visite dei medici o periti della controparte. I referti medici citati da Lennane nei casi di whistleblowers, che sono mobbizzati al fine di eliminarli dall‟azienda, pongono molta enfasi sull‟anormalità della personalità della vittima come causa dei problemi sul lavoro e la diagnosi usuale è quella di paranoid personality disorder; nel caso invece di procedura per le indennità da corrispondere ai lavoratori l‟obiettivo è quello di negare o rigettare la possibilità di una diagnosi di post traumatic stress disorder. Lo studio australiano certamente riporta casi gravi di comportamento e di falsificazione di certificati di diagnosi degli operatori sanitari, ma il fatto che è possibile che la vittima sia esposta ad ulteriori molestie e ingiustizie è da tenere presente e considerare nell‟ottica di un piano di prevenzione ed intervento nei casi di violenze psicologiche. Vi sono casi in cui operatori anche consultati non per pressione dell‟azienda, ma per ricerca di aiuto da parte della vittima debilitata fisicamente e psicologicamente, a causa della inesperienza delle problematiche del fenomeno mobbing possono, in buona fede, non riconoscere la causa del malessere dei loro pazienti in ciò che accade sul luogo di lavoro, ma ricondurla ad alterazioni della personalità della vittima stessa. Un‟erronea diagnosi nei casi di vittime del mobbing, effettuata anche in perfetta buona fede, può portare ad un errata decisione di cura, che può aggravare le condizioni di salute dell‟individuo, come è evidenziato nell‟esposizione di un caso 245 di mobbing orrizzontale da Gilioli, in cui la vittima si è recata da una psichiatra, che dopo averle diagnosticato una malattia psichica originata da un disturbo della personalità, le ha prescritto una forte cura farmacologica che le ha procurato dei gravi effetti collaterali, peggiorando i sintomi psicosomatici che già aveva. Scrive Gilioli 246 “è una situazione comunissima in questi casi, alimentata dall‟atteggiamento di alcuni medici che tendono sempre a trovare la causa dei problemi nel paziente stesso, senza neppure provare a ricercare possibili ragioni esterne. Da questa concezione derivano conseguenze molto gravi per le vittime del 244 Gorman P., “Bullying - A Legal Response”, in:AAVV, Bullying, Causes, Costs and Cures, editors:Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S., Wilkie W., Nathan, Beyond Bullying Association Inc., 1998. 245 Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, Mondadori, 2000, p.109. 246 Gilioli A., Gilioli R., op.cit, p.118-119. 101 mobbing, che vanno dallo psicologo per farsi curare l‟ansia causata dalle aggressioni subite al lavoro e invece si sentono dire che il problema è tutto dentro di loro. … La psichiatra in questione è “vecchia”, non tanto per l‟età, ma ciò che più conta per estrazione culturale. Per lei la vittima farnetica. Ha desideri repressi. Ha un delirio. Il problema è suo, le dice, non del lavoro. E la tratta come una malata psichica, prescrivendole farmaci che le causano gravi effetti collaterali.” Gilioli ritiene che effettuata una seria valutazione di tipo qualitativo, il ruolo della persona nei casi di mobbing non gioca un ruolo predominante, tranne rare eccezioni, perché è la situazione sul lavoro a risultare incongrua e inaccetabile e quindi illecita. “Di fronte a una situazione illecita il fatto che la persona sia più o meno predisposta non ha alcun rilievo in termini medico legali. Al giudice interessa sapere se senza quella particolare situazione nel luogo di lavoro il soggetto avrebbe sviluppato un disturbo, e il più delle volte noi medici rispondiamo che probabilmente non sarebbe successo e che dunque si tratta di un fattore scatenante, Non importa se la persona sia predisposta, ma il fatto che sia equilibrata, compensata. In tal caso la situazione esterna può essere fattore di scompenso e dunque un fattore concausale” 247. 247 Gilioli R., “Serve una nuova cultura sul posto di lavoro”, intervista a Renato Gilioli di Anna Avitabile, Rassegna Lavoro on line, 7 novembre 2000, www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/lugliodicembre/mobbing/gilioli.htm. 102 Capitolo sesto Le linee guida della prevenzione Nel 1996 il 49esimo World Health Assembly, ha adottato una Risoluzione che, preso atto degli effetti negativi immediati e a lungo termine della violenza sulla salute e sullo sviluppo sociale a livello individuale, familiare, sociale e internazionale ha dichiarato che la violenza è un problema di salute pubblica di livello mondiale, ed ha richiesto un piano d‟azione e d‟intervento finalizzati alla prevenzione di tutte le forme di violenza compresa quella negli ambienti di lavoro248. La cognizione della gravità del problema della violenza nei luoghi di lavoro si sta progressivamente diffondendo e contemporaneamente cresce anche la consapevolezza della necessità di strategie di prevenzione ed intervento249. Diverse linee guida ad opera di governi, sindacati, gruppi di studiosi, esperti hanno affrontato questo problema e al di là dei diversi approcci, tutti hanno in comune alcuni temi come il riconoscimento che: prevenire è non solo possibile ma necessario, l‟organizzazione del lavoro e l‟ambiente lavorativo sono delle importanti chiavi di accesso alla comprensione delle cause che costituiscono il primo passo per la scelta di soluzioni efficaci, il ruolo svolto dal management delle risorse umane è essenziale, l‟apporto dei lavoratori e dei loro rappresentanti è fondamentale nell‟identificazione del problema e nella ricerca delle soluzioni, un continuo aggiornamento delle politiche e dei programmi è necessario al fine di rimanere al passo con i cambiamenti economici e sociali nel mondo del lavoro. Molti esperti ritengono che è molto più importante un approccio sistematico e comprensivo alla violenza lavorativa piuttosto che l‟adozione di soluzioni adatte a singoli problemi o situazioni. Spesso le soluzioni sono inefficienti proprio perché sono limitate negli scopi, episodiche e mal definite. Ormai si è diffusa la consapevolezza che la violenza sul lavoro non è un problema isolato e individuale ma è strutturale e affonda le sue radici in fattori sociali, culturali, economici e organizzativi. La soluzione a questo problema non deve limitarsi a contenere gli effetti negativi ma deve puntare ad eliminare le cause con un approccio di prevenzione sistematico e continuativo. Le strategie di prevenzione devono includere tutti coloro che sono coinvolti nel problema con un chiaro impegno d‟intenti e volontà. Strumenti di selezione e screening come interviste, tests sono utili al fine di identificare gli individui che possono essere in difficoltà. Training costanti per migliorare le abilità interpersonali, comunicative e la capacità di riconoscere situazioni a rischio costituiscono uno strumento importante nella prevenzione come pure la circolazione e la diffusione d‟informazioni e linee guida; incontri di discussione e confronto svolgono un ruolo essenziale per l‟eliminazione del tabù del silenzio e l‟omertà che spesso circondano i casi di molestie sessuali, di mobbing e bullying. Il miglioramento delle condizioni ambientali sul posto di lavoro riduce l‟insorgere di casi di violenza, come ad esempio la ventilazione, il controllo termico, il contenimento del livello di rumore, i colori e la luce, allarmi, servizi di sicurezza e così via. L‟organizzazione del lavoro e i caratteri del compito lavorativo sono importanti nel limitare il rischio di aggressioni fra lavoratori e fra questi ed il pubblico. Livelli gerarchici chiari, compiti ben definiti e assegnati in base alla competenza e all‟esperienza, un 248 Chappell D., Di Martino V., Violence at Work, Geneva, ILO Publications, 2000, p.133. Chappell D., Di Martino V., op.cit. 2000; “SafeWork. What can be done about violence at work”, www.ilo.org/public/english/protection/safework/violence. 249 103 carico di lavoro non eccessivo riducono molto la tensione e la possibilità di insorgenza di conflitti e situazioni di violenza. Procedure precise e definite in caso di situazioni difficili devono essere preventivamente predisposte in modo che i lavoratori siano preparati a minimizzare i rischi, e devono prevedere una sorta di debriefing dopo l‟evento violento per discutere possibili miglioramenti. Le misure di prevenzione devono essere monitorate e valutate continuamente per quanto concerne la loro effettiva efficienza attraverso un feed-back fornito dai lavoratori in modo tale da mettere in luce eventuali carenze. Molti rapporti nazionali, nello studio pilota “The State of Occupational Safety and Health in the European Union” dell‟European Agency for Safety and Health at Work250, hanno segnalato l‟esigenza di misure da adottare per diminuire il rischio del bullying e della vittimizzazione sul posto di lavoro fra cui: provvedimenti di formazione per la gestione delle conseguenze di tali problemi, necessità di educare medici del lavoro, ispettori del lavoro, partners sociali ed il personale delle organizzazioni ad identificare il fenomeno, esigenza di sviluppare e diffondere le conoscenze riguardanti la connessione fra i fattori dell‟ambiente lavorativo e la ricerca dei capri espiatori, miglioramento dei rapporti sociali all‟interno dei luoghi di lavoro, aumento delle misure protettive da parte delle autorità. L‟informazione ha un ruolo fondamentale nella prevenzione delle molestie psicologiche nei luoghi di lavoro in particolare per tre aspetti. Il primo riguarda la consapevolezza da parte dei lavoratori che non devono supinamente subire vessazioni che ledono la loro dignità personale e professionale e che costituiscono una violazione dei loro diritti fondamentali, questo è un primo passo importante per affrontare le problematiche del mobbing. Il secondo concerne la vittima, l‟aggressore o gli aggressori e gli spettatori: una diffusa informazione sul mobbing e bullying at work dà la possibilità alla vittima di uscire dall‟isolamento ed il senso di solitudine in cui si trova e l‟aiuta a trovare il coraggio di denunciare ciò che sta subendo, agli aggressori giunge un chiaro messaggio che ciò che stanno facendo è grave e non è accettabile e gli spettatori possono essere stimolati a rompere il muro del silenzio, che in molti casi vuol dire favoreggiamento, che circonda questo problema e a rendersi conto che il problema se oggi non li riguarda direttamente domani la situazione potrebbe cambiare e potrebbero essere loro stessi a subire il mobbing. Il terzo aspetto riguarda il messaggio ai datori di lavoro, pubblici e privati, alla loro responsabilità dell‟ambiente lavorativo ed ai danni economici che subisce la loro organizzazione quando essa è affetta dal mobbing. Si è visto che sia nel rapporto dell‟International Labour Organization sulla violenza nei luoghi di lavoro, sia nella normativa svedese sulle persecuzioni psicologiche, fra le più avanzate o forse la più avanzata in questo problema, il punto focale è costituito dalla prevenzione programmata. In effetti questa costituisce l‟unica strada percorribile per non subire gli effetti del mobbing. Il ricorso alla legge rappresenta da questo punto di vista l‟extrema ratio, perché avviene, nella maggior parte dei casi, quando ormai tutto si è compiuto, il lavoratore vittima è stato estromesso dal lavoro ed ha riportato danni temporanei o permanenti alla sua salute psicofisica. Quando si giunge al giudizio legale si può dire che in un certo senso la società civile ha perso, e ciò è successo perché non ha saputo proteggere la vittima, ed ha perso perché ogni uomo partecipa allo sviluppo sociale con il lavoro, perché un individuo è stato escluso dal mondo del lavoro ed in molti casi non vi può più rien250 http://agency.osha.eu.int/. 104 trare, perché non ha saputo proteggere quelli che sono i diritti fondamentali dell‟uomo, garanzia di libertà e di sviluppo della personalità e delle potenzialità dell‟individuo, perché non ha saputo proteggere se stessa da una logica di mercato che spesso a parole riconosce l‟importanza della “risorsa umana” ma nei fatti si attiene ad un criterio del profitto ad ogni costo, anche a costo dello sfruttamento emotivo dell‟individuo. Molti studiosi del mobbing hanno tracciato delle linee d‟azione finalizzate alla prevenzione del fenomeno e ad un intervento immediato ai primi segnali di un suo possibile verificarsi. Leymann251 ha delineato alcune misure che si sono rivelate efficienti ad un livello pratico in diverse situazioni di mobbing. Il National Board of Occupational Safety and Health svedese ha distribuito materiale informativo e formativo sin dal 1989 alle aziende costituito da video, libri e manuali, e circa 300 di queste lo hanno utilizzato nell‟ottica delle disposizioni svedesi della normativa contro le forme di persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro. Leymann ha distinto le possibili misure pratiche a seconda che si tratti di prevenire il mobbing o di intervenire in una delle sue fasi di sviluppo. Per la prevenzione ha ritenuto importante che i datori di lavoro stabiliscano delle precise direttive che indirizzino i comportamenti sociali dei dipendenti al rispetto, all‟ordine e all‟etica e che siano strategie di contenimento dei conflitti atte a bloccare il loro estremizzarsi. A tal fine un messaggio chiaro ai dirigenti di alto livello di non favorire queste escalations conflittuali e corsi di formazione a tutti i livelli per una corretta gestione dei conflitti lavorativi si sono rivelati efficaci strumenti di prevenzione. Nel caso di interventi immediati e precoci, la formazione dei supervisori e dei manager finalizzata a riconoscere i segnali di un processo di mobbing in fase iniziale, ed a risolvere i problemi organizzativi che vi possono essere alla base ha mostrato di essere una strategia valida ed utile, come pure l‟attribuire ad uno o più individui il ruolo di punto di riferimento a cui si possono rivolgere i dipendenti in pericolo e la possibilità d‟intervento nei singoli casi. Quando il processo di mobbing si è ormai sviluppato, il management deve impedire la stigmatizzazione della vittima, e al fine di evitare l‟espulsione dal lavoro è auspicabile un intervento di conciliazione in cui la vittima deve essere rappresentata da qualcuno, per esempio un rappresentante sindacale. Il processo di negoziazione non ha molto successo ma sono stati individuati alcuni prerequisiti che possono condizionare in modo favorevole il suo esito come una discussione corretta con procedure formali accolte da entrambe le parti, rifiuto di danneggiare ulteriormente la vittima, eguale trattamento delle parti senza comportamenti paternalistici o di minaccia ed un atteggiamento propositivo. I successi dei programmi di prevenzione del bullying scolastico, anti-bullying programmes, sono un utile punto di riferimento per la prevenzione del mobbing come pure gli studi sulle strategie per la prevenzione dello stress, le teorie del management e dell‟organizzazione. Olweus252 sebbene riconosca un ruolo della personalità delle vittime e degli aggressori nelle storie di bullying scolastico, nel suo programma di prevenzione del fenomeno ha focalizzato l‟attenzione sulla scuola, sulla classe come sistema sociale coinvolgendo nelle misure preventive tutti i bambini, gli insegnanti ed i genitori affinché partecipino attivamente attraverso una maggior consapevolezza del problema, un deciso rifiuto dei comportamenti aggressivi, un miglioramento della fiducia di sé e 251 Leymann H., “Mobbing and Psychological Terror at Workplaces”, Violence and Victims, 1990, 5(2). Leymann H., “The content and development of mobbing”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2). The Mobbing Encyclopaedia, www.leymann.se. 252 Olweus D., Bullying at school. What we know and what we can do, Oxford, Blackwell Publishers, 1993. 105 dell‟autostima nei bambini, lo sviluppo di comportamenti solidali, di sostegno, cooperativi e tolleranti fra i bambini. Fra gli studiosi vi è un consenso generalizzato che il management sia il cardine di ogni programma anti-mobbing, se non vi è disponibilità da parte dei dirigenti e del datore di lavoro a garantire uno standard morale all‟interno delle aziende i programmi sono destinati a rimanere sulla carta. Gli esperti possono analizzare il fenomeno, le sue cause ed i suoi effetti, i sanitari curare le vittime, i legali far valere i loro diritti in tribunale, ma finché non si riesce a sensibilizzare le direzioni aziendali, pubbliche e private, e i datori di lavoro sul problema della violenza psicologica sul lavoro non si potrà attuare nessuna strategia veramente finalizzata almeno al contenimento del fenomeno se non alla sua eliminazione. I dirigenti ed i supervisori sono importanti perché ogni cambiamento dell‟organizzazione del lavoro deve necessariamente partire da loro, per esempio dal loro stile di leadership che si è visto costituire un antecedente del mobbing. Ogni strategia volta a migliorare la leadership, il clima organizzativo, le condizioni di lavoro e le caratteristiche dei compiti, a sviluppare la comunicazione e la formazione di una politica decisa contro il mobbing deve avere l‟approvazione e l‟appoggio attivo del management altrimenti non è possibile attuarla. Il problema principale quindi è convincere le aziende che il mobbing è un fenomeno in cui tutti perdono, la vittima, l‟azienda e la società. Resh e Schubinski253 hanno analizzato alcune delle variabili che possono favorire il successo di un programma anti-mobbing. Le aziende solitamente iniziano ad occuparsi di un problema inerente le condizioni dei dipendenti quando questo esercita un forte pressione sulla compagnia, come è avvenuto con il problema dell‟alcool. I due ricercatori ritengono che almeno per ora i tipi di pressione che possono essere esercitati sulle aziende perché inizino ad occuparsi del mobbing sono la pressione dell‟opinione pubblica nei confronti delle compagnie in cui si verificano casi di violenza psicologica e la pressione degli enti statali preposti ai servizi sociali e delle rappresentanze sindacali. Un altro problema è costituito dal fatto che ormai sono innumerevoli i programmi di prevenzione all‟interno delle compagnie e quello specifico del mobbing generalmente è finalizzato a migliorare l‟ambiente di lavoro in generale per cui molte aziende non lo ritengono necessario avendo già programmi di sicurezza sul lavoro, di conflict training, alcool prevention, teambuilding, employee grievance and suggestion. Molte aziende tendono a negare l‟esistenza del problema al loro interno il più a lungo possibile per la convinzione di un possibile danno alla loro immagine se collegata al mobbing, come succede anche nel caso del problema dell‟alcool sul lavoro o l‟uso di sostanze stupefacenti, per esempio cocaina. Resh e Schubinski citano al riguardo gli studi di Fuchs sullo sviluppo dei programmi di prevenzione sull‟abuso di alcool che hanno richiesto un lungo arco di tempo per affermarsi, più di 15 anni. In Germania il mobbing è divenuto un problema di dominio pubblico dall‟estate del 1992, ritengono quindi che vi sia ancora molto da lavorare per consolidare la disponibilità delle aziende a farsi carico del problema mobbing. Resh ha differenziato le misure antimobbing in: prevenzione: riguarda le misure che possono essere applicate quando non vi è ancora nessun segnale di mobbing; 253 Resch M., Schubinski M., “Mobbing-Prevention and Management in Organizations”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.295-307. 106 intervento nei primi stadi: quando ancora il conflitto è riconoscibile cioè esistono due parti in dissidio ed un gruppo neutrale; intervento negli stadi medi: quando il conflitto si è già estremizzato perdendo il suo motivo originale, viene percepito come “between us and a person” e coinvolge non un singolo comportamento o atto ma l‟intera persona; sostegno alle vittime negli ultimi stadi: quando ormai il mobbing è tale che sono state avviate misure ufficiali contro la vittima. Le misure preventive devono riguardare tutti gli aspetti organizzativi e sociali che sono stati identificati come possibili cause del mobbing. Resh identifica tali aspetti, seguendo gli studi di Leymann, nel: work design: una suddivisione chiara dei compiti e delle mansioni, diminuzione della pressione e della tensione riguardo al compito, la possibilità di svolgere un controllo sulle proprie mansioni, una certa autonomia di gestione del tempo, miglioramento delle condizioni di lavoro. Gruppi di progetto, programmi di benessere, sistemi di partecipazione dei dipendenti alle decisioni, circoli salute ecc.; leadership: formazione sul posto del management sulla gestione dei conflitti e sulle caratteristiche e segnali del mobbing, mutamento della cultura della leadership, una distribuzione di poteri e responsabilità non ambigua; posizione socialmente esposta della vittima: misure volte a rendere il diritto individuale alla lamentela realmente attivo e non bloccato dal timore di ritorsioni, prevedere procedure di mediazione dei conflitti attraverso l‟intervento di una parte terza, esterna; standard morale dell’ambiente di lavoro: una chiara politica di informazione fra ciò che è considerato accettabile e ciò che non lo è negli ambienti di lavoro. Per quanto riguarda l‟intervento finalizzato a rompere il ciclo perverso del mobbing, Resh e Schubinski suggeriscono di formare un dipendente o ricorrere ad un esterno che possa essere il contatto con le vittime, rappresenti per loro una figura di riferimento neutrale; quando questi contatti non sono in grado di risolvere il problema perché non possiedono abbastanza esperienza e competenza o lo status per prendere decisioni, è utile ricorrere al “clearing post” con competenze specifiche sia psicologiche sia legali, e la cui figura deve essere totalmente neutrale rispetto alla compagnia e questa neutralità deve essere chiaramente affermata nell‟accordo fra azienda e sindacati, accordo che costituisce una via molto favorevole per una strategia di successo di un programma antimobbing. La Volkswagen per esempio, ha previsto la figura del garante antimobbing e nel contratto integrativo ha predisposto una serie di norme antimobbing che prevedono sanzioni fino al licenziamento per i mobbers. Nella direzione di programmi di prevenzione, di accordi fra aziende e sindacati sta muovendo i primi passi anche l‟Italia, sin dal 1993 la Zanussi ha istituito due commissioni, una d‟indagine ed una d‟intervento antimobbing ed iniziano ad esserci richieste di figure garanti antimobbing in strutture sia pubbliche sia private254. I sindacati hanno attivato molti sportelli antimobbing in diverse regioni italiane dove la vittima di persecuzioni psicologiche può trovare un primo sostegno psicologico e legale. Le Poste Italiane hanno previsto un preciso riferimento al mobbing nel codice di disciplina proposto dalla stessa azienda. In Brianza la Camera del Lavoro ha definito un codice di condotta sul mobbing con sanzioni disciplinari e responsabilizzando il datore di lavoro in base all‟art. 2087 del codice civile, inoltre sta adeguando le strutture legali e sanitarie con 254 www.cisl.it. 107 personale competente per i casi di mobbing. Il Comune di Torino ha approvato nel marzo del 2000 una delibera anti-mobbing che si aggiunge al Codice di comportamento per la tutela della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, e sta predisponendo un osservatorio sul mobbing255. Ascenzi256, sindacalista UIL e presidente dell‟Osservatorio nazionale sulle RSU, è d‟accordo con le linee di prevenzione proposte dagli studiosi a livello internazionale. Però ritiene che sia una posizione troppo ottimistica puntare sul datore di lavoro sia per ottenere per miglioramento delle condizioni di lavoro e sia per una sua maggiore responsabilizzazione verso l‟ambiente lavorativo. Questo perché, sia in un‟organizzazione, pubblica che privata, non tiene conto delle dinamiche aziendali tradizionali e degli interessi divergenti fra datori di lavoro e dipendenti e fra gli stessi dipendenti con figure professionali diverse. Avere una visione “neutra” dei rapporti di lavoro e centrata sulla formazione dei responsabili della direzione del personale o dei datori di lavoro, rischia di rimanere inefficace se non proprio inutile in quelle situazioni, e sono molte, in cui le azioni persecutorie nascono dalla volontà dei vertici aziendali di riaffermare il proprio potere. Propone una diversa “strategia di salvezza 257” che si basa in primo luogo sulla persona, sul sindacato e sul marketing sociale. Il primo passo non solo per le vittime ma per tutti i lavoratori è quello di autoformarsi assumendo informazioni sul meccanismo del mobbing, cercando l‟aiuto di altre persone, rendendosi consapevole che ciò che sta accadendo non è colpa propria e capire come può essere iniziato il processo perverso, non lasciare che distruggano la propria autostima, predisporre delle strategie di contrattacco che mirino a separare gli aggressori ed a colpevolizzarli per la loro condotta. Secondo Ascenzi il ruolo del Sindacato nella prevenzione del mobbing ha una funzione importante perché è presente all‟interno dei luoghi di lavoro attraverso le rappresentanze aziendali e gode di una forte struttura esterna di servizio in grado di garantire l‟aiuto necessario anche attraverso il ricorso di esperti, consulenti, psicologi, legali ed altre professionalità. Ritiene che la lotta al mobbing sia importante per il Sindacato perché la violenza psicologica sul lavoro mina la solidarietà e l‟unità fra lavoratori compromettendo la forza dei sindacati che si basa su queste due condizioni. Quando i lavoratori sono disuniti e perseguono solo obiettivi personali di sopravvivenza allora la forza dei sindacati si indebolisce. A tal fine però i rappresentanti sindacali interni alle aziende devono essere formati ad affrontare la situazione di divisione che si crea nel processi di mobbing, formazione che deve preparare i delegati sia nei confronti della vittima, sia dei colleghi e sia del datore di lavoro. Il mobbing si basa in definitiva sull‟egoismo individuale, sulla competizione, sul carrierismo e sull‟annullamento della considerazione della persona. Ascenzi compie dei paralleli fra le strategie mobbizzanti e quelle che vengono definite tecniche di destabilizzazione e di lavaggio del cervello che costituiscono l‟asse portante dei programmi di decostruzione e costruzione di molte organizzazioni culturali, religiose e politiche. A queste condizioni oppone come possibilità di prevenzione il “marketing sociale”, fondato sulla priorità ed unicità della persona motore di sviluppo della solidarietà, cooperazione e benessere dell‟individuo. Esso consiste quindi in una continua formazione e comunicazione sociale mirante alla valorizzazione dell‟individuo nella sua globalità, al 255 Documenti del convegno “Il Mobbing nel giornalismo, il giornalismo sul Mobbing”, Roma 7 giugno 2000, www.fnsi.it/fnsionline/documentazione/documenti/mobbing/htm. 256 Ascenzi A., Bergagio G.L., Il Mobbing. Il Marketing sociale come strumento per combatterlo, Torino, Giappichelli Editore, 2000. 257 Ascenzi A., Bergagio G.L., op.cit., 2000, p.89. 108 rispetto e solidarietà fra le persone, e alla messa in luce di tutti gli effetti negativi e i danni del mobbing a livello individuale, organizzativo e sociale. Si stanno diffondendo gruppi di auto aiuto ed associazioni antimobbing un po‟ in tutta Italia; Internet svolge in questo senso un ruolo informativo e di sostegno molto importante, in un anno i siti sul mobbing sono triplicati e molte associazioni e sindacati hanno istituito siti web dove i lavoratori possono reperire informazioni, compilare questionari e chiedere consiglio on line ad esperti su quali strategie di difesa adottare. Stanno emergendo anche i primi “professionisti” del mobbing, che attraverso corsi e consulenze sopperiscono alle carenze del settore pubblico. Parallelamente si sta sviluppando una letteratura divulgativa, preziosa al fine della diffusione dell‟informazione sul fenomeno, in cui sono proposte diverse strategie di difesa per le situazioni di mobbing. 109 Conclusioni Raymond-Pierre Bodin258, Director dell‟European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, annunciando i risultati della Third European Survey on Working Conditions, ha affermato: “I primi risultati della terza indagine sulle condizioni di lavoro dovrebbero suonare come un campanello d‟allarme nei luoghi di lavoro europei. I dati dimostrano molto chiaramente la necessità di un dibattito sulla qualità del lavoro in Europa nell‟attuale clima di aumento della competizione e di cambiamento dei modelli d‟impiego. Alla Fondazione si è esaminato le tendenze delle condizioni di lavoro durante gli ultimi dieci anni e l‟inevitabile conclusione che si deve trarre da questa ultima indagine, considerando anche le indagini del 1991 e del 1995, è che le condizioni di lavoro non stanno migliorando e per alcuni aspetti, stanno peggiorando. Cosa ci dicono i lavoratori? Essi non hanno visto alcun miglioramento nell‟ambiente fisico in cui lavorano. La percentuale di lavoratori esposti ad un rumore intenso, in posizioni dolorose e stancanti e che muovono prodotti pesanti continua a crescere ed il ritmo di lavoro si è velocizzato. Non vi deve essere sorpresa quindi che un gran numero di lavoratori lamenta disturbi da stress o è vittima del burn out. Vi e una tendenza in Europa a credere che le condizioni di lavoro migliorano automaticamente, questa è una falsa supposizione. Ma è vero che l‟alto livello di disoccupazione ha a lungo oscurato gli altri problemi come quello delle condizioni lavorative. Il nostro ruolo oggi è di porre questa questione. Noi siamo contenti che nel passato summit di Lisbona del marzo 2000, è stata indicata la necessità di valutare la qualità delle nuove occupazioni e non focalizzare l‟attenzione solo sulla loro quantità. Le condizioni di lavoro sono centrali nel concetto di un Europa economicamente forte e competitiva. Non si può avere un economia sana basata su una forza lavoro non in buona salute. Le tendenze delle condizioni di lavoro hanno serie implicazioni per la salute e la produttività. Non è incoraggiante vedere che non vi è stato nessun reale miglioramento nelle condizioni lavorative nel momento in cui la forza lavoro sta affrontando mutamenti dei modelli di occupazione e d‟autonomia e di contenuto di lavoro. Nel momento in cui l‟Europa sta chiedendo alla sua forza lavoro di rispondere alla sfida di una crescente competizione nel mercato globale, dovrebbe assicurare anche che ai lavoratori siano dati luoghi di lavoro sicuri e sani”. Pascal De Paoli259, research manager e responsabile del coordinamento dell‟indagine europea ha aggiunto: “Uno dei risultati più impressionanti della ricerca è l‟intensificazione del lavoro. … Le persone potevano lavorare meno ore ma lavorano più velocemente. Più della metà dei lavoratori in Europa sono esposti ad un‟attività ad alta velocità ed al limite delle possibilità per almeno un quarto del loro tempo lavorativo. Noi sappiamo anche che questo tipo di intensità è strettamente legata ai disturbi della salute ed agli infortuni sul lavoro. La flessibilità in tutte le sue forme ( tempo di lavoro, organizzazione, mercato del lavoro) è divenuta nel 2000 una caratteristica del lavoro 258 European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Press Release, 15 dicembre 2000, www.eurofound.ie . 259 European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Press Release, 15 dicembre 2000, www.eurofound.ie . 110 ed ha importanti ripercussioni sulla famiglia del lavoratore e sulla sua vita sociale. Oltre 15 milioni di persone hanno segnalato situazioni di violenza, molestie sessuali o bullying nei posto di lavoro. … E‟ particolarmente preoccupante che l‟intimidazione (bullying) sul lavoro continui a crescere. Il lavoro sta subendo profondi cambiamenti e per quanto concerne la forza lavoro questa sta invecchiando e divenendo sempre più femminile. Per questi motivi i tradizionali indicatori associati spesso alla forza lavoro maschile industriale non sono più sufficienti a riflettere la complessità delle situazioni ed i problemi che stanno emergendo. Questa ricerca contribuisce a proporre e fornire a livello europeo degli indicatori pertinenti sulla qualità della vita sul lavoro”. L‟International Labour Organization260 ha condotto una ricerca sulla violenza sul lavoro fra le Agenzie internazionali con un questionario distribuito nell‟Aprile del 1997 a trentadue organizzazioni che fanno parte del sistema delle organizzazioni delle Nazioni Unite, 15261 hanno risposto mentre un certo numero di agenzie sono state escluse a causa della loro piccola dimensione, per il loro ruolo specializzato o per una combinazione di entrambe queste caratteristiche. I risultati hanno indicato che la violenza sul lavoro è considerata una preoccupazione per quasi la metà delle organizzazioni che hanno risposto. Sono state indicate come preoccupazioni più diffuse in ordine decrescente: le molestie sessuali 33%, l‟aggressione verbale 29%, gli attacchi fisici 14%, il bullying e il mobbing 14%, le minacce 10%. Quasi tutte le organizzazioni che hanno risposto hanno dichiarato di aver pianificato o reso effettivo una qualche forma di iniziativa anti-violenza: codice di regole e/o linee guida 36%, un programma di assistenza dipendenti 32%, sistemi di condotta 31%. Quasi nessuna delle organizzazioni aveva statistiche disponibili per delineare le dimensioni della violenza sul lavoro fra i suoi dipendenti. Le Nazioni Unite in seguito al riconoscimento della necessità di maggiori dettagli riguardo questo problema hanno avviato una indagine nel giugno 1997 sulle molestie all‟interno dell‟organizzazione, la “United Nations Harassement Survey”262. Il problema della violenza sul lavoro, in tutte le sue forme, è una questione che si sta facendo pressante a tutti i livelli, questo lavoro si è svolto nell‟intento di inquadrare il fenomeno in una dimensione che non sia solo psicologica, ma che possa riflettere la crescente consapevolezza che è necessario un maggior coinvolgimento culturale sul rispetto dei diritti fondamentali dell‟uomo quali il diritto al lavoro, il diritto al rispetto della sua individualità e personalità, il diritto alla salute fisica e psichica. Le possibilità di contrastare il fenomeno della violenza sul posto di lavoro e del mobbing si indirizzano maggiormente ed hanno maggiori probabilità di successo se invece di essere azioni contro: contro gli aggressori, contro i datori di lavoro, sono azioni per: per migliorare le condizioni di sicurezza e salute nel lavoro, per migliorare la co- 260 Chappell D., Di Martino V., Violence at Work, second edition, ILO Publications, 2000, p.135. Economic Commission for Latin America and Caribbean, Economic and Social Commission for Western Asia and for Asia and Pacific Food and Agricolture Organization, International Atomic Energy Agency, International Civil Aviation Organization, United Nations Centre for Human Settlements, United Nations High Commissioner for Refugees, Office of United Nations Industrial Development Organization, United Nations Office at Geneva, Universal Postal Union, World Bank/International Finance Corporation, World Food Programme, World Health Organization, World Intellectual Property organization, World Meteorological Organization. 262 Chappell D., Di Martino V., (2000), op.cit., p.137. 261 111 municazione, il clima sociale e organizzativo e le forme d‟interazione fra colleghi pari grado e fra superiori e sottoposti. La prevenzione e l‟informazione a questo proposito paiono essere le armi migliori a disposizione dei lavoratori. L‟analisi del caso di bossing ha permesso di rilevare che però al di là di una maggiore tutela legale delle vittime del mobbing, auspicabile sicuramente ma che presenta alcune difficoltà di realizzazione, è molto importante informare e formare le persone su quello che può accadere nei casi di mobbing. Oltre a strategie di prevenzione per inibire il verificarsi del fenomeno forse sarebbe utile informare i lavoratori su quello che possono fare e soprattutto su quello che non devono fare in situazioni di mobbing. Questo risulterebbe importante per due motivi, dare alla potenziale vittima la sensazione di poter opporsi attivamente a quello che sta succedendo ed evitare che commetta errori che la espongano ad ulteriori vessazioni. In questo caso la conoscenza del modo in cui si sono svolte le cose nei diversi casi di mobbing, può fornire suggerimenti ed aiuti pratici su come agire e quali errori schivare per fronteggiare la situazione, come evitare di essere spinti verso una condizione di totale impotenza e isolamento, come raccogliere elementi veramente utili per un eventuale ricorso alla legge. Questo lavoro lascia aperte molte domande e che offrono forse degli spunti di riflessione. Il fenomeno del mobbing è studiato da relativamente pochi anni e ci sono ancora molti problemi da chiarire, il primo forse è quello di unificare la terminologia in modo da poter offrire un quadro chiaro alle persone perché l‟uso di diversi termini genera confusione e può allontanare l‟interesse dal problema. Sicuramente i ricercatori dovranno fare ulteriori passi nella definizione e nell‟identificazione delle caratteristiche del mobbing, perché oggi si assiste a livello comune ad una estensione del termine a situazioni conflittuali o di disagio lavorativo che non sono mobbing. Se tutto diventa mobbing il pericolo è che a quel punto niente sia mobbing, cioè che il fenomeno venga banalizzato e sia riassorbito nella “normalità” dei rapporti interpersonali all'interno dei luoghi di lavoro. Il problema della violenza psicologica sul posto di lavoro è un problema grave, perché il lavoro rappresenta un momento essenziale ed un fattore fondamentale per lo sviluppo dell‟identità del singolo, per il suo riconoscimento, per la sua integrazione sociale e per la sua possibilità di progettare un futuro come parte attiva nello sviluppo della società. Oggi si discute molto dell‟importanza della risorsa umana e della sua formazione nel processo di trattamento dell‟informazione, definito come quarto settore dell‟economia e trasversale a tutti gli altri tre settori. Le attività del futuro si basano sempre di più sullo creazione, sviluppo e condivisione di conoscenze e informazioni con l‟emergere ed il consolidarsi di una nuova prospettiva manageriale quella della gestione delle conoscenze, Knowledge Management263 “inteso come l‟idea di catturare la conoscenza acquisita dagli individui e distribuirla agli altri appartenenti all‟organizzazione, esso è divenuto una delle concezioni manageriali più popolari nelle imprese occidentali. L‟approccio orientale invece considera la conoscenza in un senso più ampio, come contenitore che raccoglie anche aspetti più nascosti, quali esperienze, valori o intuizioni; inoltre è centrato sui processi di creazione della conoscenza, anziché di gestione del sapere”. Ma creazione sviluppo e condivisione delle conoscenze richiede un processo che si svolge 263 Consiglio Nazionale dell‟Economia e del Lavoro, IV Commissione, Innovazione e occupazione, parte I, Il Knowledge Management e lo sviluppo delle Risorse Umane, maggio 2000, www.cnel.it 112 attraverso diverse forme d‟interazione sociale, quindi attraverso la partecipazione attiva dell‟individuo all‟organizzazione. Il lavoro si connota sempre più secondo caratteristiche intellettuali ed emotive più che fisiche. Le relazioni sociali che sottendono il processo di creazione e diffusione delle conoscenze e delle informazioni richiedono all‟individuo oltre uno sforzo intellettuale di formazione continua uno sforzo emotivo dovuto al continuo interagire con gli altri in una sempre più stretta interconnessione di compiti e confronto con gli altri colleghi e superiori. E‟ evidente allora che il mobbing e le molestie psicologiche sono un‟eventualità tutt‟altro che rara e particolarmente negativa in un ambiente di lavoro a così alta densità di scambio sociale, in un contesto di progressiva intensificazione di lavoro e di concorrenza globale. Allcorn ha osservato come le organizzazioni sono fatte da persone che ne costituiscono l‟aspetto più importante. E non è quindi pensabile di poter migliorare la produttività prescindendo dalle condizioni di lavoro e sociali in cui vivono i lavoratori. Il mobbing si presenta quindi come un fenomeno che mina l‟ambiente di lavoro e determina una sorta di nuovo modo di sfruttamento: più emotivo e meno visibile e che si aggiunge a quello fisico. Un opinionista264 ha definito il mobbing come l‟ultima trovata della filosofia buonista e scrive: “benché sgradevole, stressante, doloroso e maleodorante, il mobbing è anche uno straordinario strumento di selezione, l‟ordalia medioevale che rende forti e seleziona i migliori, la dura strada dell‟apprendistato, della fatica, della rabbia. In qualche modo il “mobbing” è la vita stessa di un ufficio, perché la maldicenza e la calunnia, l‟invidia e il trabocchetto sono i mob, gli spasmi della violenza subalterna, necessari al mediocre come alla seppia è necessario emettere l‟inchiostro per nascondersi e sfuggire nel buio all‟attacco dell‟animale più feroce. Non esiste persona di successo che non abbia incontrato e superato il “mobbing”, e che, subendo il “mobbing”, non si sia forgiato.” Forse il mobbing è uno strumento di selezione, ma spesso ha selezionato, nel senso di aver escluso, i più deboli che non significa sempre e necessariamente i mediocri o i falliti ma qualche volta può voler dire i più bravi, i creativi e gli onesti, privando la vittima del suo futuro, l‟azienda e nei casi più gravi la società di un potenziale apporto al suo sviluppo. Come è anche vero che non sono solo i mediocri a diventare mobbers per difendersi dai bravi o bravissimi. Il porre in rilievo una suddivisione delle persone in brave o mediocri, forti o deboli, migliori o peggiori, di successo o fallite in base alla loro resistenza o meno al mobbing, può indurre a ritenere le persecuzioni psicologiche un efficiente metodo di selezione accettabile, come pare ipotizzare indirettamente l‟opinionista, e questo può portare a pericolose conseguenze sociali. Se si accettasse il principio di selezione del più forte seppure nei confronti di un mediocre attraverso il mobbing e la violenza psicologica, allora forse si dovrebbe rivedere alcuni concetti, come quello di persona, ci sono alcuni che sono più persona di altri, quello di diritto, alcuni hanno più diritti, di molestare, vessare e vittimizzare gli altri, mentre altri hanno meno diritti, al lavoro, alla salute, al rispetto della propria dignità, all‟eguaglianza, allo sviluppo della propria personalità. Inoltre il mobbing non sembra essere solo strumento di selezione, ma anche di potenziale distruzione dell‟individuo visti gli effetti dell‟intensità e del perdurare nel tempo degli attacchi aggressivi sulla vittima. Distruzione però che non lascia traumi e cica264 Merlo F., Il mal d‟ufficio, ultima trovata della filosofia buonista, “Sette” n.47, 26 novembre 1998, supplemento del Corriere della sera. 113 trici visibili se non nel cervello della persona. Selezionare i migliori o i più forti non può e non deve voler dire distruggere i più deboli o i mediocri. Leymann ha molto insistito sul fatto che il mobbing è una violenza ai diritti della persona, è un ingiustizia compiuta nei suoi confronti, e come lui altri studiosi e giuristi. Il mobbing e la molestia psicologica sono sicuramente un problema antico quanto il mondo, la cui negatività è riconosciuta anche dall‟opinionista che lo vede però quasi come un male necessario, ma questo non deve voler dire che come tale bisogna accettarlo senza neppure tentare di opporsi e di porvi rimedio. “Il più grande dei mali e fare l’ingiustizia”, diceva Socrate a Polo nel Gorgia 265. 265 Reale G.(a cura di), Platone- Tutti gli scritti, collana I classici del Pensiero, Milano, Rusconi, 1991. 114 Bibliografia indicativa AA.VV., “Mobbing and Victimisation at Work” European Journal of Work and Organisational Psychology, Zapf D., Leymann H. (eds), 1996, vol.5(2). AA.VV., Bullying at Work, 1998 Research Update Conference: Proceedings, Rayner C., Sheehan M., Barker M.(eds), Staffordshire University, Stafford, 1998. AA.VV., Bullying, Causes, Costs and Cures, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S., Wilkie W. (eds), Nathan, Australia, Beyond Bullying Association inc., 1998. AA.VV., Bullying: from Backyard to Boardroom, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W. (eds), Alexandria, Australia, Millenium Books, 1996. AA.VV., The Developement and Treatment of Childhood Aggression, Rubin K., Pepler D.(eds), Hillsdale, Erlbaum, 1991. Adams A., Bullying at Work: How to confront and Overcome it, London, Virago, 1992. Allcorn S., Codependency in the Workplace, Westport, Quorum Books, 1992. Allport G.W., La Natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1976. Altan C.T., Antropologia storia e problemi, Milano, Feltrinelli, 1985. Appelberg K., Romanov K., Honkasalo M.L., Koskenvuo M., “Interpersonal Conflicts at Work and Psychological Characteristics of Employees”, Social Science Medicine, 1991, 32, pp.1051-1056. Arnold H., Eysenck H.J., Meili R., Dizionario di psicologia, Milano, San Paolo Edizioni, 5° ed., 1996. Ascenzi A., Bergagio G.L., Il Mobbing. Il Marketing sociale come strumento per combatterlo, Torino, Giappichelli editore, 2000. Ashforth B.E., “Organizations and the petty tyrant: An Exploratory Study” in “Petty tyranny in organizations”, Human Relations, 1994, 42, pp.171-188. Atanasio R., “Il Mobbing nella giurisprudenza”, relazione al Convegno “La tutela giuridica del lavoratore nei casi di mobbing”, Milano, Palazzo di Giustizia, 10 ottobre 2000, www.cgil.milano.it/CDLM/PolSociali/progetti/OSSERVATORIO/index.htm. Balduini E., Il Mobbing sotto accusa. Sentenza per un caso di mobbing con un commento del dott. proc. Elisabetta Balduini, Bologna, Associazione Prima, 1998. Baron R.; Neuman J.H., “Workplace Violence and Workplace Agression: Evidence on Their Relative Frequency and Potential Causes”, Agressive Behavior, 1996, vol. 22. Baum H. S., The Invisible Bureaucracy, New York, Oxford University Press, 1987. Baum H.S., Organisational Membership, Albany, State university of New York Press, 1990. Benassi M., Dalla gerarchia alla rete: modelli ed esperienze organizzative, Milano, Etas Libri, 1987. Benedettini L., “Gestione delle risorse umane e prevenzione: un nuovo approccio per l‟iniziativa sindacale” intervento al Seminario “Le molestie morali (mobbing)”, Milano, 4 giugno 1999, www.cgil.it/saluteesicurezza/ Bjorkqvist K.; Osterman K.; Hjelt-Back M., “Agression among University Employees”, Agressive behavior, 1994a, vol. 20. Bjorkqvist K.; Osterman K.; Lagerspetz K.M.J., “Sex Differences in Covert Agression among Adults” Agressive behavior, 1994b, vol. 20. Bocca G., Pedagogia del lavoro –Itinerari, Brescia, Editrice La Scuola, 1998. Bona M., Oliva U., “Nuovi orizzonti nella tutela della personalità dei lavoratori: prime sentenze sul mobbing e considerazioni alla luce della riforma INAIL”, Danno e Responsabilità, 2000, n°4, 403. Brockner J.; Grover S.; Reed T.; De Witt R.L., “Layoffs, Job Insecurity, and Survivors; Work Effort: Evidence of an Inverte –U Relationship”, Academy of Management Journal, 1992, vol.35, pp.413-425. Brodsky C.M., The Harassed Worker, Toronto, Lexington Books, Dc Heath and Company, 1976. Buss A.H., The Psychology of Agression, New York, Wiley LTD, 1961. Buss H., The Psichology of Agression, New York, Wiley LTD, 1961. Cantisani D., “I problemi tecnici della dimostrazione del mobbing: soluzioni della dottrina e della giurisprudenza a confronto nell‟evoluzione della tutela del lavoratore vessato”, Lexlegis, www.diritto.org Carman J., Rafferty C., “The QWWS Bullying Support Program” in AAVV, Bullying, Causes, Costs and Cures, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S., Wilkie W. (eds), Nathan, Beyond Bullying Association inc., 1998, pp.133-145. 115 Casilli A.A., Stop Mobbing, resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Roma, DeriveApprodi srl, collana Map, 2000. Cassitto M.G., “Mobbing e Spleen”, intervista, www.aidp.it/ART16 Castronovo V., (1973), La rivoluzione industriale, Milano, Sansoni, 1999. Chappel D.; Di Martino V., Violence at Work, Geneva, International Labour Office Publications, 1998. Chappel D.; Di Martino V., Violence at Work, second edition Geneva, International Labour Office Publications, 2000. Comunicato Stampa 293 Ministero della Sanità, 12 dicembre 2000, www.sanità.it. Consiglio Nazionale dell‟Economia e del Lavoro, IV Commissione, “Il Knowledge Management e lo sviluppo delle Risorse Umane” Innovazione e Occupazione parte I, maggio 2000, www.cnel.it. Cooper C.L., Earnshaw J., Stress and Employer liability, London, IPT, 1996. Crawford N., “Bullying at Work: A Psychoanalitic Perspective”, Journal of Community & Applied Social Psychology, 1997, 7, pp.219-225. Crawford N., “The Psychology of Bully”, in Adams A., Bullying at Work: How to confront and Overcome it, London, Virago, 1992. Cropanzano R., Justice in The Workplace, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1993. Davidow W.H., Malone M.S., The Virtual Corporation: Restructuring and Revitalizing the Corporation for the 21st Century, New York, Harper Collins, 1992. Documenti del convegno “Il mobbing nel giornalismo, il giornalismo sul mobbing”, Roma, 7 giugno 2000, www.fnsi.it/fnsionline.htm. Drory A.; Romm T., “The definition of Organizational Politics: A Review” Human Relations, 1990, vol.43, pp.1133-1154. E-Economy, servizio di Paolo Barnard, Rai 3 Report, 22 ottobre 2000, www.report.it. Ege H., I numeri del Mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, Pitagora, 1999. Ege H., Lancioni M., Stress e Mobbing, Bologna, Pitagora, 1998. Ege H., Il Mobbing in Italia. Introduzione al Mobbing culturale, Bologna, Pitagora, 1997. Ege H., Mobbing. Che cos‟è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora, 1996. Einarsen S., “Dealing with Bullying at Work: The Norwegian lesson”, Bullying at Work, 1998 Research Update Conference: proceedings, Rayner C., Sheenhan M., Barker M. (eds) Stattfordshire University, Stafford, 1998. Einarsen S., “Norwegian Research on Bullying at Work: empirical and theoretical contributions”, www.worktrauma.org Einarsen S., “The Nature and Causes of Bullying at Work”, International Journal of Manpower, 1999, vol.20(1-2). Einarsen S., “The Nature and Causes of Bullying At Work”, International Journal of Manpower, 1999, 20, 1|2. Einarsen S., Raknes B.I., “Harassment at Work and Victimization of Men”, Violence and Victims, 1997, 12, pp.247-263. Einarsen S., Skogstad A., “Bullying at Work: Epidemiological Findings in public and Private Organizations”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.185-201. Einarsen S., Raknes B.I., Matthiesen S.M., “Bullying and Harassment at Work and their Relationships to Work Environment Quality –An exploratory study”, European Work and Organizational Psychologist, 1994, 4, pp.381-401. Erikson E.H., (1982) I cicli della vita, Armando, Roma, 1984. European Agency for Safety and Health at Work, The State of Occupational Safety and Health in the European Union – Pilot Study, available in PDF format, http://agency.osha.eu.int/publications/reports/ European Agency for Safety and Health at Work, The State of Occupational Safety and Health in the European Union-Pilot Study: Summary Report, in PDF format: http://agency.osha.eu.int/publications/reports/ disponibile anche in italiano. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Second European Survey on Working Conditions (1995-1996), Dublino, 1997. Farnè M., “Lo Stress. Il punto sulle nostre conoscenze attuali e sulle principali tecniche d‟intervento” Psicologia Contemporanea, 1987, XIV, 84, pp.24-32. Gauthier A., (1995), L‟economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, Il Mulino, 1998. Gergen K.J.; Gergen M.M., Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1985. Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, Mondadori, 2000. 116 Gilioli R., “Definizione della nozione di mobbing nel campo clinico-epidemiologico”, Convegno “La tutela giuridica del lavoratore nei casi di mobbing”, Milano, Palazzo di Giustizia, 10 ottobre 2000, www.cgil.milano.it/CDLM/PolSociali/progetti/OSSERVATORIO/index.htm. Gilioli R., “Serve una nuova cultura sul posto di lavoro” intervista, Rassegna on line, www.rassegna.it/archivio /2000 Gilioli R., “Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un‟analisi quantitativa”, Convegno “Mobbing, un male oscuro”, Camera del Lavoro di Milano, Milano, 31 maggio 2000, www.cgil.milano.it/CDLM/PolSociali/progetti/OSSERVATORIO/index.htm. Gorman P., “Bullying –A Legal Response”, in: AAVV, Bullying, Causes, Costs and Cures, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S., Wilkie W. (eds), Nathan, Beyond Bullying Association inc., 1998. Green J.H., Introduzione alla fisiologia umana, Bologna, Zanichelli, 1977. Groeblinghoff D., Becker M., “A Case Study of Mobbing and the Clinical Treatment of Mobbing Victims”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.277-294. Guerracino S., Storia degli ultimi cinquant‟anni. Sistema internazionale e sviluppo economico, Milano, Mondadori, 1999. Hirigoyen M.F., (1998) Molestie morali, la violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi, 2000. Hobsbawm E.J., (1994), Il secolo Breve, Milano, Rizzoli, 1995. Hoel H., Rayner C., Cooper C.L., “Workplace Bullying”, International Review of Organisational Psychology, 1999, vol.14, p.195-230. Kets de Vries M.F.R., Organisational Paradoxes, London, Tavistock, 1980. Kets de Vries M.F.R., The Irrational Executive, Madison, International University Press, 1984. Keynes J.M., The General Theory of Employment, Interest and Money, New York, Mac Millan, 1931. Konovsky M.A., Brockner J., “Managing victim and survivor layoff reactions: A procedural justice perspective” in: Cropanzano R., Justice in the Workplace, Hillsdale, NJ,Erlbaum, 1993, pp.133-153. Lennane J., “Bullying in medico-legal examinations”, in: AAVV, Bullying from Backyard to Boardroom, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W. (eds), Alexandria, Australia, Millenium Books, 1996. Lewis D., “Workplace Bullying – interim findings of a study in further and higher education in Wales”, International Journal of Manpower, 1999 vol.20, 1|2. Leymann H., “Mobbing and Psychological Terror at Workplaces”, Violence and Victims, 1990, vol.5(2). Leymann H., “The Content and Development of Mobbing at Work”, European Journal of Work and Organisational Psychology, 1996, vol.5(2). Leymann H., Gustaffson A., “Mobbing at Work and the Developement of Post-traumatic stress disorders”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.251-275. Liefooghe A., Olaffson R., “Scientists and Amateurs: mapping the bullying domain”, International Journal of Manpower, 1999, 20, 1|2. Lieti M., intervento al Convegno “Mobbing un fenomeno da debellare”, Galatina (lecce), 16 giugno 2000, www.uilca.le.anet.it Lorentz K., Io sono qui tu dove sei? Etologia dell‟oca selvatica, Milano, Mondadori, 1992. Malinowski B., Teoria scientifica della cultura ed altri saggi, Milano, Feltrinelli, 1962. Marx K., Lineamenti fondamentali della critica dell‟economia politica/1857-1858, trad. it. a cura di E. Grillo, Firenze, La Nuova Italia, 1968. Mc Carthy P., “When the Mask slips: inappropriate coercion in organizations undergoing restructuring” in: AAVV, Bullying from Backyard to Boardroom, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W. (eds), Alexandria, Australia, Millenium Books, 1996. Mischel W., Lo studio della Personalità, Bologna, Il Mulino, 1986. Monater P.G., Bona M., Oliva U., Mobbing. Vessazioni sul lavoro, Milano, Giuffrè, 2000. Monateri P.G., Bona M., Oliva U., “Le molestie morali nel sistema giuridico italiano” in: Hirigoyen M.F., Molestie Morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi, 2000. Morishima M, (1982) Cultura e tecnologia nel successo giapponese, Bologna, Il Mulino, 1984. Negri A., Filosofia del lavoro, Milano, Marzorati, 1980. Niedl K., “Mobbing and Well Being: Economic and Personnel Development Implications”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.239-249. Olweus D., “Bully/Victim problems among schoolchildren: basic facts and effects of a school-based intervention program” in: Rubin K., Pepler D.(eds), The Developement and Treatment of Childhood Aggression, Hillsdale, Erlbaum, 1991. 117 Olweus D., Agression in School: Bullies and Their Whipping Boys, Washington D.C., Hemisphere, 1978. Olweus D., Bullying at School: What We Know and What We Can Do, Oxford, Blackwell, 1993. Painter K., “Violence and Vulnerability in the Workplace: Psychological and legal implications” in :AAVV, Vulnerable workers: psychological and legal issue, Davidson M.J., Earnshaw J. (Eds) New York, Wiley&Sons, 1991. Price of Progress: Re-engineering Gives Firms New Efficiency, Workers the Pink slip, Wall Street Journal, 16 marzo 1993. Quaglino G.P., Psicodinamica della vita organizzativa, Milano, Cortina Editore, 1996. Randall p., Adult Bullying: Perpetrators and Victims, London, Routledge, 1996. Rayner C., Sheehan M., Barker M., “Theoretical approaches to the study of bullying at work”, International Journal of Manpower, 1999, 20, 1|2. Rayner C., “From Research to Implementation: finding leverage for prevention”, International Journal of Manpower, 1999, 20, 1|2. Rayner C., Hoel H., “A Summary Review of Literature Relating to Workplace Bullying”, Journal of Community&Applied Social Psychology, 1997, 7, pp.181-191. Reich R.R., (1991) L‟economia delle nazioni. Come prepararsi al capitalismo del duemila, Milano, Il Sole 24ore, 1993. Resh M., Schubinski M., “Mobbing-Prevention and Management in Organizations”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.295-307. Rifkin J.(1995) La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l‟avvento dell‟economia postmercato, Baldini e Castoldi, 5° ed., 2000. Rosati O., “Gravi stress negli ambienti lavorativi. Il mobbing ed altri problemi, www.psychomedia.it Scott M.J., StradlingS.G., “Post traumatic stress disorder without the trauma”, British Journal of Clinical Psychology, 1994, 33, pp.71-74. Seigne E., “Bullying at Work in Ireland” in AAVV, Bullying at Work, 1998 Research Update Conference: Proceedings, Rayner C., Sheehan M., Barker M.(eds), Staffordshire University, Stafford, 1998. Selye H., The stress of life, New York, McGraw-Hill Book Co., 1976. Sgarro M., “Gravi stress, traumi e salute, breve premessa”, www.psychomedia.it Sheehan M., “Case Studies in organizational Restructuring” in: AAVV, Bullying from Backyard to Boardroom, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie W. (eds), Alexandria, Australia, Millenium Books, 1996. Sheehan M., “Restructuring: Rhetoric versus Reality”, in: AAVV, Bullying, Causes, Costs and Cures, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S., Wilkie W. (eds), Nathan, Beyond Bullying Association inc., 1998. Sheehan M., “Workplace Bullying: Responding with some emotional intelligence”, European Journal of Marketing, 1999, 20, 1|2. Taylor F.W., L‟organizzazione scientifica del lavoro, Milano, Comunità, 1962. Thibaut J.W., Kelley H.H., (1959), La psicologia sociale dei gruppi, Bologna, Il Mulino, 1974. Tsui A.S., Egan TD, O‟Reilly CA:, “Being Different: Relational Demography and Organisational Attachment”, Administrative Science Quarterly, 1994(III), vol.37, pp.549-579. UNISON, Members‟ Experience of Bullying at Work, London, UNISON, 1997. Van Gennep A., (1960) I riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981. Vartia M., “Psychological harassment (bullying, mobbing) at work” in: OECD Panel Group on Women, Work and Health: National Report, ed. K. Kauppinen-Toropainen, Helsinky, Institute of Occupational Health, Ministry of Social Affairs and Health, 1993, pp. 149-152. Vartia M., “The Sources of Bullying – Psychological Work Environment and Organizational Climate”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.203-214. Waugh S., “The Darkness Within”, in: AAVV, Bullying, Causes, Costs and Cures, Mc Carthy P., Sheehan M., Wilkie S.,Wilkie W. (eds), Nathan, Australia, Beyond Bullying Association inc., 1998. Zapf D., “Organisational, Work Group Related and Personal Causes of Mobbing/Bullying at Work”, International Journal of Manpower, 1999, vol.20(1-2), pp.70-85. Zapf D., Knorz C., Kulla M., “Causes, Coping, and Consequences of Various Mobbing Fators at Work”, paper presented at the 7th European Congress of Work and Organizational Psychology, Aprile 1995, Hungary. Zapf D., Knorz C., Kulla M., “On the Relationships between Mobbing Factors, and Job Content, Social Work Environment, and Health Outcomes”, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, 5(2), pp.215-237. 118 Parte seconda Aspetti giuridici di Michele Celeste Spinelli 1. Introduzione Il contributo giuridico che in questa sede si intende dare non ha particolari pretese di completezza, bensì vuole essere di ausilio alla comprensione delle problematiche sottese alla reale e concreta tutela dei lavoratori che subiscono il mobbing, alla luce anche delle ricerche che hanno preceduto questo capitolo. Si è già avuto modo di riscontrare che comportamenti aggressivi sono stati per molti anni oggetto di studio esclusivo delle scienze psicologiche e sociologiche o più generalmente mediche, e hanno riguardato alcuni atteggiamenti propri del mondo del lavoro, che si sono peraltro da sempre verificati. La consapevolezza che esista una particolare forma di disagio dagli effetti molteplici è tuttavia rimasta per molto tempo nel “subconscio” dei giuristi ed è solo da un paio d‟anni che, proprio con l‟ausilio dell‟elaborazione giurisprudenziale, oggi, nell‟ambito del diritto, la parola mobbing ha assunto una precisa connotazione. Si è avuto modo di vedere nei capitoli precedenti che il mobbing non riguarda soltanto degli aspetti penosi che interessano i singoli lavoratori da esso colpiti, ma deve essere inquadrato come un male generalizzato della società le cui conseguenze si riversano pure sulla produttività delle aziende private e degli enti pubblici nonché sui rapporti interpersonali di chi opera quotidianamente all‟interno di queste realtà. Per contro è lo stesso contesto imprenditoriale che oggi ha esasperato alcune classiche forme di manifestazione di questo fenomeno, quali la competizione sfrenata dell‟azienda a scapito di un progressivo annullamento del lavoratore/essere umano, la tendenza a non ricercare una stabile pace sociale fondata sul dialogo e l‟inclinazione a non condividere i flussi di comunicazione all‟interno delle realtà lavorative, misurandoli o rendendoli incomprensibili. Gli effetti sociali che ne derivano sono una forte accelerazione verso un‟estrema flessibilità dei rapporti di lavoro, con il relativo cambiamento delle tipologie degli stessi e l‟aumento dei rischi a questi correlati, sviluppandosi così un‟accentuata insicurezza professionale sul futuro. Il complesso di questi elementi è contestualizzato in un livello macroeconomico, per cui risulta alquanto difficile la gestione del cambiamento da parte del singolo lavoratore1. In questo terreno, caratterizzato dalla combinazione con l‟ulteriore mutamento dei valori e dei riferimenti sociali proiettati verso un accentuato individualismo, l‟apparenza e la competizione, il mobbing trova facilmente strada e sviluppo 266. La miscela di tali fattori porta alcuni autori a parlare di un vero e proprio mobbing di sistema che si realizza in tutte quelle situazioni in cui il rapporto fra le parti è caratterizzato dalla precarietà; in questi casi il mobber non deve ricorrere a particolari forme evidenti od anche striscianti di pressione, perché, per così dire, la potenzialità aggressiva è in re ipsa nel rapporto, e sta nel fatto che il lavoratore non può disporre di un idoneo strumento di reazione alle vessazioni, senza così andare a danneggiare il proprio percorso professionale. Quindi, secondo questa teoria, è mobbizzato per definizione il lavora1 Per un inquadramento del problema vedi R. Sennet, L’uomo flessibile – Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, 1999, Feltrinelli. 266 A. Ascenzi e G.L. Bergagio, Mobbing: riflessioni sulla pelle…, 2002, Torino, p. 32. 119 tore in prova, il lavoratore a termine, il lavoratore interinale, quello a contratto di leasing e, in genere, tutti coloro che prestano la loro opera in unità lavorative dove sono del tutto assenti degli strumenti di stabilità reale 267. Altri autori hanno legato il verificarsi di situazioni mobbizzanti prevalentemente in contesti in cui vi sono condizioni oggettive di competizione individuale e di efficienza subottimale delle organizzazioni, quali possono essere quelle pubbliche. Quindi si tratta di un problema, e questo accade soprattutto in Italia, legato all‟organizzazione: più questa appare inefficiente, maggiori sono gli spazi per manifestazioni aggressive, le quali sono perlopiù realizzate da soggetti che si trovano in posizioni di piena forza e che utilizzano tale strategia per migliorarle 268. Nel mondo giuridico il mobbing è sempre esistito, perché, come si vedrà di seguito, le prime pronunce giurisprudenziali che affrontano sistematicamente la, materia hanno fatto ricorso a norme di diritto già operanti. Il dato significativo è tuttavia che a partire dal 1999, con le note sentenze del Tribunale di Torino 269, si è avuta la consapevolezza che quanto sino a quel momento era stato ricondotto a semplici violazioni comportamentali del datore di lavoro, relative alla corretta pretesa d‟esercizio delle mansioni, alla tutela della salute ed alla sicurezza, ancora, ai trasferimenti, agli eccessivi carichi di lavoro ed alle molestie sessuali (e sono solo alcuni esempi), poteva, in realtà, essere inquadrato in una strategia complessa, a cui si è attribuito il termine di mobbing. Il complesso di queste violazioni può così essere collocato in un unico contesto di attività od omissioni, legittime ed illegittime, del datore di lavoro, e non solo di questi, che assumono, proprio grazie alla loro interconnessione, un nuovo valore di responsabilità civile. Se infatti si analizzano alcuni casi posti all‟attenzione dei giudici, si può notare come è stato definito mobbing quell‟insieme di atti ammissibili dall‟ordinamento (ad esempio i controlli fiscali del lavoratore in malattia) accompagnati da altrettanti atteggiamenti non leciti (quali ad esempio offese verbali), di per sé singolarmente punibili, che però, contestualizzati in questa nuova cornice giuridica, hanno assunto una diversa portata risarcitoria. Il pregio quindi degli studi, delle analisi e della produzione scientifica sul mobbing orientati in questa direzione, è quello di superare il problema della rilevanza giuridica delle singole condotte, spostando il giudizio di responsabilità dai diversi episodi ripetuti nel tempo all‟insieme di atti ed omissioni che compongono l‟azione mobbizzante. In questo modo la valutazione dell‟antigiuridicità del comportamento lesivo è operata non già sulle singole condotte, ma sull‟insieme delle medesime cui queste si riconducono 270 . La valenza unitaria dunque consente di apprezzare nella sua reale portata l‟illiceità degli atti, i quali non promanano più solamente dalle singole condotte, ma dal contesto generale dell‟evento 271. Nelle pagine che seguono si cercherà di spiegare come si è giunti a questo nuovo inquadramento sistematico, attenendosi ad un visione generale e di insieme, senza analizzare comprati di lavoro specifici, come quello ad esempio della Pubblica Amministrazione, che meriterebbero maggiori approfondimenti. 267 F. Nisticò, Mob, Mobber, Mobbing, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/link3.html, consultato da chi scrive il 16/04/2003. 268 M. Bona, P.G. Monateri e U. Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, Ipsoa, 2002, p.20. 269 Tribunale di Torino 16 novembre 1999 e Tribunale di Torino 11 dicembre 1999, in …… 270 M. Bona, P.G. Monateri e U. Oliva, op. cit., p. 35. 271 S. Mazzamuto, Il mobbing, Milano, 2004, p. 56. 120 2. Normativa 2.1. Manca una legge contro il mobbing? Per fortuna si sa già come difendersi! Si è già avuto modo di anticipare che il fenomeno del mobbing manca di una specifica regolamentazione giuridica. La conoscenza, che sino ad oggi se ne è avuta, è quella filtrata attraverso gli studi di sociologia, psicologia, psichiatria e medicina del lavoro, per poi essere, come si vedrà, approfondita nell‟unica sede competente a dare un concreto ristoro al disagio subito: l‟aula di giustizia. La risposta che il sistema giudiziario è in grado di dare è relativa soltanto ai danni direttamente subiti dalla persona presa nella propria individualità, mentre altre azioni si devono individuare e percorrere se si intende risolvere anche il disagio sociale ed economico che deriva dall‟esercizio delle violenze psicologiche sul luogo di lavoro. Da alcune ricerche fatte è stato stimato che il lavoratore, che subisce con frequenza e periodicità vessazioni, ha un rendimento inferiore del 60% in termini di produttività ed efficienza a confronto con gli altri colleghi, e che da ciò ne deriva un costo per l‟azienda pari al 180% in più rispetto alla situazione normale. Ma è pure lo Stato, e quindi tutti i contribuenti, a dover sostenere l‟ulteriore costo della spesa sociale e sanitaria, rappresentata dalle assenze per malattia e dal ricorso alle prestazioni mediche per la guarigione dei lavoratori 272. Pertanto i primi giudici si sono trovati a decidere sulle domande di risarcimento danni proposte da dipendenti che sostenevano di essere stati oggetto di vessazioni e abusi perpetrati dai loro colleghi o datori di lavoro, conseguendo da ciò varie forme e tipologie di malattia. In assenza quindi di norme giuridiche che sanzionassero detti comportamenti, i magistrati hanno fatto ricorso alle norme che l‟ordinamento aveva già previsto a tutela e garanzia del lavoratore, non potendosi astenere dal giudizio, in mancanza di una previsione espressa. Si ricorda infatti che uno dei principi che animano il diritto processuale civile è quello secondo il quale il giudice deve sempre pronunciarsi sulla domanda presentata e non può non giudicare soltanto perché l‟ordinamento non ha regolato la nuova fattispecie che gli viene profilata. Tale principio, noto anche con il brocardo iura novit curia, influenza la logica del giudizio nella misura un cui eleva a dovere d‟ufficio del giudice l‟attività di ricerca del diritto, lasciando sempre a carico delle parti la prova dei fatti. L‟analisi di quest‟operazione interpretativa conforta, poiché dimostra che allo stato attuale i lavoratori possono trovare comunque una buona tutela anche con le leggi che l‟ordinamento italiano ha previsto genericamente per il lavoro subordinato. Il legislatore ha invero creato un sistema di norme dalle quali si evince chiaramente che il lavoro oggi, soprattutto quello posto alle dipendenze di qualcuno (detto subordinato appunto), non è solo la fonte del sostentamento dell‟individuo o rappresenta la controprestazione della retribuzione (assimilabile quindi ad una vera e propria merce), bensì è un‟attività attraverso la quale l‟uomo proietta e realizza la propria personalità. Vi è quindi un diritto e un dovere al lavoro che deve corrispondere alla propria competenza specifica, alla propria capacità e, sino a quando è possibile, alle proprie aspirazioni. Sono quindi state ideate una serie di disposizioni di vario genere che salvaguardano specificatamente l‟eguaglianza, l‟elevazione, la personalità del lavoratore nonché l‟inderogabilità dei diritti che ne devono proteggere l‟integrità psico-fisica, oltre che quella economica. L‟insieme di queste garanzie ha una nota valenza pubblicistica secondo la quale è lo 272 A. Ascenzi e G.L. Bergagio, Mobbing: riflessioni sulla pelle…, 2002, Torino, p. 58 121 Stato e la società stessa che devono controllare l‟esatta applicazione e la reale efficacia di questo complesso impianto legislativo. 122 E‟ grazie a questo sistema intrecciato di norme costituzionali, ordinarie e speciali che sino ad oggi in Italia si è fatto fronte al mobbing. Purtroppo però la tutela giudiziaria interviene solo in una fase già degenerata e conclamata del fenomeno, in quanto, non avendosi ancora una specifica disciplina che lo definisca e lo qualifichi, risulta quanto mai difficile individuare idonei strumenti di tutela preventiva. Alcuni autori sono infatti convinti che un metodo potenzialmente efficace di difesa dal mobbing è l‟utilizzo del marketing sociale, cioè l‟adattamento delle regole del marketing classico al campo sociale. Così anch‟esso, al pari del marketing tradizionale, è in grado di modificare comportamenti ed idee, avendo come fine la realizzazione di programmi e strategie utili alla diffusione di valori per la soddisfazione del singolo ed il benessere di lungo periodo dell‟intera comunità. Quindi si può affermare che il marketing sociale è un processo sociale e manageriale mediante il quale individui e gruppi ottengono ciò di cui necessitano e desiderano, attraverso la creazione, l‟offerta e lo scambio di prodotti, servizi e valori con altri, applicato a specifiche categorie di problemi sociali per favorire nei soggetti cambiamenti comportamentali positivi, non per generare profitti di per sé, ma per creare benefici all‟interno dei gruppi e per la società intera 273. Il ruolo importante che assume questa disciplina oggi è determinato dal progressivo distacco tra i cittadini e le istituzioni, soprattutto quando quest‟ultime non sono più in grado di coprire ed assicurare tutti i bisogni e le aspettative collettive di natura pubblica o privata. In questa prospettiva si afferma la convinzione che le imprese saranno chiamate a rispondere sempre più alle esigenze dei propri gruppi collettivi e di quelle del territorio in cui esse operano. La metodologia illustrata permette dunque di impiegare congiuntamente facendone un mezzo unico, gli strumenti essenziali del marketing, come la competizione estremizzata, il carrierismo sfrenato, la predisposizione di una strategia aziendale aggressiva e con i valori sociali della compartecipazione, della comunicazione e dalla priorità della persona nel contesto in cui essa opera, sostanzialmente un tipico modello aziendale quale antidoto all‟egoismo sociale 274. 2.2 Ogni giudice ha le sue leggi La domanda che spontaneamente sorge parlando delle conseguenze del mobbing è se esiste un modo per punire i colpevoli e richiedere ad essi i danni. Si entra così nell‟ambito della responsabilità civile, la quale presenta nel nostro ordinamento una serie completa di strumenti per la tutela e la valorizzazione del lavoratore, che delineano un complesso sistema di norme, da leggersi congiuntamente con le previsioni di rango costituzionale le quali tutelano i beni come la sicurezza, la libertà e la dignità umana dei degli individui e quindi dei lavoratori. In questo contesto l‟atipicità delle condotte integranti il mobbing ha indotto la giurisprudenza a combinare le norme civilistiche cardine della tutela individuale, con le disposizioni internazionali, con i precetti costituzionali, con le leggi penali e quelle speciali di settore quali sono lo Statuto dei lavoratori o le norme a tutela della donna. L‟impianto che ne deriva è alquanto duttile e capace di dare risposte diverse alle singole fattispecie prospettate 275. L‟approccio all‟analisi di questi strumenti legislativi deve essere finalizzato all‟individuazione della loro funzione e dell‟uso che se ne intende fare. Colui che infatti 273 Definizione tratta dal sito www.socialinfo.it, consultato da chi scrive il 29/09/2004. A. Ascenzi e G.L. Bergagio, op. cit., p. 78. 275 A. Gaspari, Emergenza mobbing. Le coordinate del problema, in Lavoro e previdenza oggi 4-5/2002, p. 413. 274 123 ritiene di essere stato mobbizzato, si rivolge all‟autorità giudiziaria ormai quando si sono realizzate tutti o quasi i momenti topici dell‟azione vessatoria, che studiosi come Leymann ed Ege hanno individuato, rispettivamente, in quattro e sei fasi. La domanda giudiziaria è formulata nella maggior parte dei casi per ottenere il risarcimento di un danno subito e patito, afferendo immancabilmente gli aspetti medico-sanitari ed economici. Rari sono stati in effetti i casi di azioni giudiziarie volte a recidere sin dall‟inizio comportamenti vessatori o ad inibirne la loro prosecuzione. Va premesso che, a seconda della tipologia e prevalenza delle condotte, il lavoratore può agire distintamente in due diverse sedi giudiziarie, quella civile e quella penale. Indubbiamente è più rara l‟azione proposta innanzi al giudice amministrativo, poiché la giurisdizione di quest‟ultimo si è di molto ridotta con la cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego” attuata con il D.Lgs. 29/1993, la cui disciplina è oggi stata trasfusa nel D.Lgs. 165/2001. L‟amministrazione della giustizia in Italia si realizza dunque in tre diverse giurisdizioni che si differenziano per le disposizioni normative che in esse vengono applicate. Il diritto processuale regola, al pari del diritto in genere, comportamenti umani finalizzati ad un determinato risultato, quello appunto di applicare la legge nelle sua complessità e nella sua naturale funzionalità, tutelando così gli interessi ed i diritti che l‟ordinamento riconosce ai consociati. La tutela giurisdizionale trova dunque il suo punto di partenza in una situazione di diritto sostanziale che si può descrivere nei seguenti termini: un soggetto avrebbe dovuto tenere o non tenere un certo comportamento, secondo le prescrizioni normative; invece, in concreto, il comportamento non è stato tenuto laddove era obbligatorio tenerlo, o viceversa è stato tenuto quantunque ne fosse vietato. Il presupposto costante nella tutela giurisdizionale di qualsiasi tipo può essere trovato nell‟esistenza di un illecito, intendendo con ciò il comportamento difforme dal dovere imposto da una previsione normativa. Se questa definizione descrive il sistema processuale, vanno peraltro sottolineate le diverse differenze tra quello civile, penale ed amministrativo. Infatti, nell‟ambito del processo civile, la violazione del dovere, cioè l‟illecito, produce anche la lesione, l‟insoddisfazione di una situazione sostanzialmente perfetta. L‟illecito provoca la violazione di quell‟interesse protetto ed elevato dall‟ordinamento a situazione sostanziale, per la cui realizzazione appunto l‟ordinamento aveva previsto il dovere che è stato violato 276. La differenza che ne consegue con il processo penale è proprio in considerazione che l‟illecito ha rilievo non tanto in sé e per sé, ma in quanto lesivo di una situazione sostanziale protetta. Per contro la giurisdizione penale può essere descritta come quel complesso di regole giuridiche che disciplinano le attività e le forme mediante le quali da appositi organi fissati e stabiliti dalla legge, e con l‟osservanza di determinate modalità, si provvede all‟attuazione della norma penale sostanziale nei singoli casi concreti. La norma penale adempie ad una funzione di orientamento delle condotte umane, nel senso che disapprovando od approvando determinati comportamenti e ricollegandovi determinate sanzioni, che possono essere sfavorevoli per gli atteggiamenti disapprovati (definiti anche illeciti) e favorevoli per quelli approvati (leciti) essa può indurre i soggetti ad astenersi dai primi ed a porre in essere gli altri. Questa è la funzione di prevenzione generale che il diritto penale è chiamato a realizzare, la quale per essere effettiva, necessita proprio dell‟esercizio dell‟attività giurisdizionale. Essa si sostanzia fondamentalmente in due importanti momenti, quello dell‟accertamento sulla illiceità o liceità penale, che riguarda l‟esistenza di 276 F.P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1999, p.3 e ss. 124 un particolare comportamento fattuale attribuibile ad una persona e che questo venga sussunto nella fattispecie descritta dalla norma penale, e quello dell‟individuazione ed irrogazione della pena connessa al comportamento di cui si è dato riscontro. Vi è poi la giustizia amministrativa che si occupa di sindacare la legittimità degli atti emanati dalla Pubblica Amministrazione nell‟esercizio delle proprie attribuzioni, conferendo al giudice il potere di annullare i provvedimenti illegittimi, a tutela, prevalentemente, dell‟interesse pubblico e, subordinatamente, di quello privato. Si può quindi ritenere che il processo amministrativo sia concepito per difendere l‟interesse legittimo e quindi i rapporti che i soggetti privati, collettivi o pubblici, instaurano con la Pubblica Amministrazione, titolare di un potere autoritativo che, in quanto tale, è in grado di esprimere unilateralmente attività giuridicamente rilevante. In questo senso di deve intendere per interesse legittimo quella situazione soggettiva a cui sono collegate delle facoltà che permettono di sostanziare un rapporto giuridico con la Pubblica Amministrazione. La possibilità di adire il giudice, infatti non è finalizzata a statuire la legittimità dell‟attività amministrativa, bensì a permettere un sindacato sulla valutazione effettuata dalla Pubblica Amministrazione dell‟interesse del privato e, quindi, sulla legittimità del rapporto venuto in essere per l‟esercizio della potestà discrezionale. Il cittadino ha inoltre, prima di accedere alla sede giudiziaria per la difesa della propria situazione soggettiva, una serie di facoltà volte a rendere effettiva la partecipazione del soggetto al procedimento in maniera tale da consentire all‟Amministrazione procedente una valutazione della posizione del soggetto che ne è portatore. L‟esempio normativo più significativo dell‟importanza che ha l‟interesse legittimo nell‟ordinamento dello Stato è dato dalla legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, la quale attribuisce, tra l‟altro, al titolare di tale interesse la facoltà di intervenire e partecipare al percorso formativo della volontà dell‟organo 277. Come si vedrà di seguito e nel dettaglio, la pratica giudiziaria e gli studi in materia di mobbing, hanno evidenziato che, per quanto attiene gli aspetti civilistici, rilevano due profili fondamentali: uno risarcitorio, fondato sul combinato disposto degli artt. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro), 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) e 1218 c.c. (Responsabilità del debitore) e l‟altro ripristinatorio, ai sensi dell‟art. 18 (Reintegrazione nel posto di lavoro) della legge 300/1970. In entrambi i casi e qualora siano presenti i requisiti richiesti dal codice di procedura civile, è possibile ricorre per l‟ottenimento da parte del giudice di un provvedimento inibitorio d‟urgenza, secondo quanto disposto dall‟art. 700 c.p.c (Dei provvedimenti d’urgenza) e seguenti. Accanto a questi istituti è possibile ancora richiamare le previsioni di cui agli artt. 2103 c.c. (Mansioni del lavoratore), 2118 c.c. (Recesso da contratto a tempo determinato), 2119 c.c (Recesso per giusta causa), 2049 c.c (Responsabilità dei padroni e dei committenti), 1175 c.c. (Comportamento secondo correttezza), 1375 c.c (Esecuzione in buona fede), 1434 c.c (Violenza) e 428 c.c (Atti compiuti da persona incapace di intendere e di volere). Tutte queste norme devono peraltro essere necessariamente relazionate al contesto costituzionale entro il quale attualmente operano e che ha dato alle stesse un‟efficacia maggiore. Vi sono poi le conseguenze penali che possono scaturire dall‟azione di mobbing qualora le condotte determinino un danno alla salute e siano causa di lesioni personali. In questi casi si può invocare la tutela di cui all‟artt. 582 c.p. (Lesione personale) e 590 c.p. 277 G.B. Verbari, Principi di diritto processuale amministrativo, Milano, 1995, p. 7, 119 e ss. 125 (Lesioni personali colpose), oltre agli artt. 609 bis c.p. (Violenza sessuale) e seguenti, relativi alle molestie sessuali. In altri casi invece è possibile che l‟azione realizzi la fattispecie della violenza privata (art. 610 c.p.) maltrattamenti (art. 572 c.p.) o, in presenza degli specifici requisiti di legge, l‟abuso di ufficio (art. 323 c.p.) 278. Le norme qui richiamate trovano ulteriore sostegno per la loro concreta applicazione alle condotte mobbizzanti in alcune disposizioni di rango costituzionale, quali l‟art. 3 cost. che afferma la pari dignità sociale di tutti i cittadini, imponendo alla Repubblica la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e il pieno sviluppo della persona umana; l‟art. 32 che prevede la tutela della salute dei cittadini ed ancora l‟art. 41 che sancisce la libertà dell‟iniziativa economica da svilupparsi non in contrasto con l‟utilità sociale e la generale preservazione della sicurezza e dignità delle persone. L‟istruzione di una corretta causa giudiziaria che richieda l‟applicazione di una di queste disposizioni comporta però una serie di valutazioni legate, da un lato, agli aspetti meramente processuali, quali l‟onere della prova, la prescrizione e il concorso di due tipologie di domande risarcitorie, e, dall‟altro, agli aspetti di definizione della tipologia di danno subito e la sua conseguente quantificazione. Le problematiche sottese a tali fattori, a cui gli studiosi del diritto hanno dato le prime risposte, trovano riscontro nella realizzazione del diritto vivente che emerge dalle pronunce giudiziarie. Gli aspetti sopra richiamati necessitano quindi di alcuni specifici chiarimenti che troveranno poi, nell‟analisi dei diversi casi concreti, la loro più piena giustificazione. 2.2.1 La prova: un gran problema! Nell‟ordinamento italiano chi intende far valere in giudizio un diritto, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; per cui non è sufficiente, per ottenere il riconoscimento di una propria pretesa, limitarsi ad affermare di averne le ragioni, ma è necessario addurre gli elementi di fatto che ne costituiscono la dimostrazione. Per converso, chi intende opporsi alle pretese avanzate da qualcuno nei propri confronti deve, a sua volta, provare i fatti su cui l‟eccezione si fonda. Questo principio vale per tutte le giurisdizioni del sistema processuale italiano, variandosi soltanto i soggetti titolari dell‟onere della prova. Infatti nel processo civile ed in quello amministrativo l‟onere della prova ricade sul soggetto che propone la causa, mentre in quello penale siffatto obbligo ricade sul Pubblico Ministero che intende esercitare l‟azione penale. L‟istruzione probatoria costituisce una fase fondamentale di ogni processo ed essa può essere realizzata mediante l‟analisi di documentazione scritta, l‟audizione di testimonianze, l‟esperimento di confessioni o giuramenti e attraverso l‟attività interpretativa per la quale costituiscono prova anche le conseguenze che il giudice o la legge traggono da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato. Per quanto attiene quindi alle fattispecie di mobbing la prova ha dei risvolti di tipo pratico assolutamente rilevanti e, salvo che non siano state realizzate attraverso dei comportamenti penalmente rilevanti, è la vittima ad essere chiamata ad assolvere all‟onere probatorio in relazione alle condotte lesive dei beni fondamentali della propria persona. La grande difficoltà di articolare un impianto probatorio che supporti la tesi della sussistenza del mobbing sta nel fatto che esso si è sviluppato in un periodo di tem278 L. Spagnuolo Vigorita, Il quadro normativo attuale a tutela della dignità del lavoratore ed i profili di illegittimità della condotta da mobbing. I disegni, progetti e proposte di legge relativi al mobbing, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/quadro_normativo.html, consultato da chi scrive il 16/04/2003. 126 po particolarmente esteso, attraverso una molteplicità di episodi vessatori e con la partecipazione di più soggetti. Prima di procedere a qualsiasi forma di contestazione o di richiesta è indispensabile quindi acquisire elementi di prova che servano a far comprendere appieno il contesto ambientale, l‟anormalità della situazione vissuta e la progressione dell‟accerchiamento. Questi requisiti devono essere peraltro idonei ad avere un buon valore processuale per la loro utilizzabilità in giudizio. Ecco quindi che, una volta acquisita la consapevolezza da parte della vittima di trovarsi in una situazione di vessazione, di soprusi ed abusi, le iniziative e le contestazioni scritte sulle azioni negative, con precisazione di date, eventi e personale presente costituiscono un indubbio utile materiale documentale da depositare innanzi al giudice. Accanto a ciò ci sono poi le prove testimoniali da acquisire da quei colleghi solidali e dai funzionari sindacali a cui ci si è rivolti per denunziare la situazione; sicuramente la prova per testimoni può risultare un mezzo di difficile realizzazione per l‟omertà emergente in tutti i casi in cui è l‟impresa datrice di lavoro ad essere sotto accusa ovvero il superiore gerarchico dei testimoni stessi. Innanzi a questa oggettiva difficoltà di reperimento di dichiarazioni dimostranti la realizzazione del mobbing, alcuni hanno sostenuto l‟ammissibilità di registrare nell‟ambiente di lavoro i colloqui e l‟espressioni pesanti, offensive e persecutorie cui la vittima è stata oggetto, la cui audizione dovrebbe autorizzata dal giudice a cui fare ricorso in caso di assenza di testimoni 279 . Questo genere di prova trova la sua giustificazione normativa nell‟art. 2712 c.c., con il quale si riconosce pieno valore probatorio, tra l‟altro, alle riproduzioni fonografiche, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Si consideri però che nel costituire questo tipo di prova, è necessario evitare la realizzazione della condotta di cui all‟art. 615 bis (Interferenze illecite nella vita privata) c.p. che punisce chi si procuri indebitamente, mediante l‟uso di strumenti di registrazione visiva o sonora, notizie o immagini attinenti alla vita privata. Accanto alle prove dell‟azione mobbizzante è fondamentale che la vittima acquisisca una perizia medico legale che contenga le considerazioni generali sulle ricadute determinate dal mobbing. La ricerca e la presentazione di un buon impianto probatorio serve a contestualizzare nell‟ambiente lavorativo quanto sostiene la vittima sugli accadimenti ad essa occorsi ed a dimostrare che il risultato finale di tutto il processo è stata la lesione dei diritti propri della personalità, oltre che alla specificità della violazione delle norme regolanti il rapporto di lavoro. L‟assenza di una specifica normativa in materia di mobbing determina l‟esistenza di un diverso approccio da parte dei giudici sulla valutazione dell‟idoneità delle prove presentate. In questi casi si oscilla da orientamenti più restrittivi, che pongono il ricorrente in una situazione più gravosa, a quelli meno esigenti per i quali l‟indicazione di alcuni elementi chiave permette al giudice di ricostruire, anche con l‟ausilio del consulente tecnico d‟ufficio, il complesso sistema relazionale e delle responsabilità che ha coinvolto la vittima 280. Alcuni autori hanno peraltro suggerito che le difficoltà innegabili della prova della causalità del danno possono essere superate con il ricorso alle presunzioni semplici, di cui all‟art. 2729 c.c., le quali consentono al giudice di trarre delle conseguenze da un fatto noto per risalire ad un ignorato. In questo caso le presunzioni devono 279 L. Greco, Danno biologico e mobbing nel rapporto di lavoro, Supplemento di Guida al lavoro, n. 2/2003. 280 M. Bona, P.G. Monateri e U. Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, Ipsoa, 2002, p.70. 127 offrire un alto grado di certezza circa il risultato del ragionamento presuntivo, per cui devono essere gravi, precise e concordanti 281. La ricerca della prova del mobbing e la sua spendibilità nel processo sono gli aspetti più importanti per potere valutare quando la vittima ha patito in conseguenza della violenza. La centralità di questa fase di verifiche e riscontro è dimostrata anche dal fatto che molto spesso i giudici fanno ricorso alla consulenza di esperti che coadiuvano l‟opera del magistrato nel definire e riscontrare gli elementi della vicenda. In tale contesto appare opportuno richiamare l‟opinione di uno dei maggiori studiosi ed esperti del settore, Harald Ege, che ha maturato la propria esperienza proprio coadiuvando i giudici nella definizione delle caratteristiche del mobbing. Egli ritiene che nel conflitto relazionale che sorge sul posto di lavoro, soltanto alcuni e ben definiti aspetti costituiscono caratteristica peculiare del fenomeno. Ege ha elaborato dunque un percorso con sette specifici passaggi attraverso il quale è possibile riscontrare se la vicenda di cui si tratta è realmente mobbing oppure rappresenta solamente una cattiva forma di comunicazione. Infatti, la sussistenza contestuale di tutti e sette i parametri indica il corretto inquadramento del caso concreto nella fattispecie di mobbing, come tipicamente delineata dalla migliore scienza ed esperienza storica attuale del fenomeno 282. I sette parametri individuati sono costituiti dall‟ambiente lavorativo, per cui il conflitto si deve svolgere esclusivamente sul posto di lavoro; dalla frequenza, indicata in almeno alcune volte al mese, la quale consente di discernere tra un atto singolo di ostilità ed un conflitto persistente e persecutorio come il è mobbing; dalla durata, che si indica in un periodo di tempo minimo di sei mesi, ancorché riducibile per la tipologia e l‟intensità degli attacchi; dal tipo di azioni, che sono state catalogate dallo stesso autore e riferite alla lesione della salute e della vita professionale e morale del soggetto; dal dislivello tra gli antagonisti, inteso come quella situazione di inferiorità morale ed incapacità di reazione che sorprende la vittima; dall‟andamento secondo fasi successive e progressive, quali l‟individuazione della vittima, l‟inizio del mobbing, le prime reazioni psico-somatiche per la percezione di un inasprimento delle relazioni personali, gli errori e gli abusi del datore di lavoro, l‟aggravamento serio della salute della vittima e l‟esclusione dal mondo del lavoro; dall‟intento persecutorio che è formato da tre fattori reagenti: lo scopo politico, l‟obiettivo conflittuale e la carica emotiva. Lo schema che è stato elaborato rappresenta un‟utile traccia per il giudice chiamato ad esprimersi sui fatti dedotti nel processo, ma soprattutto per i lavoratori, gli avvocati, i medici e tutti gli operatori che si trovano a combattere il fenomeno, i quali possono in tal modo riconoscere preliminarmente la sussistenza del mobbing e, conseguentemente, costruire il sistema probatorio necessario a sostenere in giudizio le proprie ragioni. 2.2.2 Tante responsabilità per un risarcimento La condotta di mobbing comporta l‟insorgere, in capo a chi l‟ha realizzata, di un‟obbligazione a risarcire il danno subito che, come detto, può consistere in una menomazione fisica o psichica e in una riduzione patrimoniale. La fonte di tale ristoro può essere rappresentata dal semplice fatto illecito doloso o colposo che ha cagionato al lavoratore un danno ingiusto (art. 2043 c.c.) oppure dalla violazione di un adempimento contrattuale (art. 1453 c.c.); nel primo caso si parla di responsabilità extracontrattuale, mentre nel secondo di responsabilità contrattuale, permanendosi in entrambe le situazioni nella sfera della responsabilità civile. 281 282 R. Scognamiglio, A proposito del mobbing, in Riv.Ita.Dir.Lav., 2004, I, p. 515. H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, 2002, p.76. 128 Occorre inoltre ricordare che l‟illecito è costituito da alcuni elementi oggettivi, quali il fatto, il danno ingiusto ed il rapporto di causalità tra il primo ed il secondo e da altri soggettivi, quali il dolo e la colpa. Il fatto è un comportamento umano commissivo, caratterizzato dal fare, od omissivo, consistente in un non fare. Il danno ingiusto è la lesione di un interesse altrui che merita, per l‟ordinamento, protezione come è, ad esempio, il diritto alla personalità, all‟integrità fisica e morale, alla salute, alla proprietà privata ed al credito. Il nesso di causalità è invece il rapporto di causa ed effetto, per cui possa dirsi che il primo ha cagionato il secondo in base ad una conseguenza prevedibile ed evitabile. Il dolo rappresenta qui l‟intenzione di provocare l‟evento dannoso, mentre la colpa è determinata dalla mancanza di diligenza, prudenza e perizia. La responsabilità penale invece interviene allorquando l‟agente ha realizzato un fatto con le medesime caratteristiche previsto però dalla legge come reato283. Nel caso del mobbing la domanda di risarcimento dei danni subiti dal lavoratore può essere indirizzata nei confronti di due diversi soggetti o categorie di soggetti, assumendone così una specifica valenza. Infatti, come si vedrà nei casi più avanti riportati, non solo coloro che hanno direttamente realizzato le violenze e causato i disagi sono chiamati a rispondere di persona delle loro condotte, ma pure le aziende stesse, in qualità di datrici di lavoro. Il coinvolgimento diretto dei responsabili si configura come un‟azione risarcitoria di tipo extracontrattuale, in quanto la vittima non ha stipulato con i propri carnefici alcun accordo che obblighi entrambi a reciproche prestazioni. Peraltro il lavoratore è legato al vincolo negoziale del contratto di lavoro che gli riconosce non soltanto la paga, ma anche il diritto ad essere difeso e tutelato da tutte quelle insidie che ne minano l‟integrità fisica e morale, alla cui osservanza è preposto il datore. 2.2.3 Quale danno e quanto danno ? Il danno da mobbing può essere patrimoniale e non patrimoniale. Il primo corrisponde al pregiudizio di un interesse protetto, suscettibile di una valutazione economica; ciò presuppone la titolarità in capo al soggetto leso di un patrimonio inteso in senso ampio il cui detrimento sia misurabile in denaro e sia legato causalmente all‟evento. Pertanto quando si parla di danno patrimoniale si intende quella lesione idonea a costituire oggetto di un obbligo giuridico di risarcimento. L‟obbligazione che ne deriva può consistere nella perdita subita dal danneggiato in conseguenza del fatto illecito, in questo caso si parla di danno emergente, ma può anche interessare quell‟incremento patrimoniale netto che il soggetto lesionato avrebbe conseguito mediante l‟utilizzazione del bene pregiudicato che si definisce lucro cessante. In quest‟ultimo caso è possibile inserire il danno conseguente alla cessata o diminuita capacità lavorativa, la cui valutazione riguarda guadagni futuri e non prevedibili nella loro sicura entità, i quali verranno pertanto valutati dal giudice secondo equità. Il danno non patrimoniale, definito anche danno morale, è invece la lesione di interessi non economici, ossia di quegli interessi che, alla stregua della coscienza sociale, sono insuscettibili di una precisa valutazione pecuniaria. Questo tipo di danno è risarcibile soltanto nei casi determinati dalla legge, ai sensi dell‟art. 2059 (Danni non patrimoniali) c.c., e cioè, quando deriva da un fatto previsto dalla legge come reato 284. Si deve sottolineare in proposito che la locuzione nei casi determinati dalla legge ha legato per molto tempo la risarcibilità esclusivamente all‟ipotesi in cui il fatto generatore dell‟evento costituisse un reato ai sensi dell‟art. 185 (Restituzioni e risarcimento del 283 284 F. Galgano, Sommario di diritto civile, Milano, 2001, p. 355 e ss. C.M. Bianca, G. Patti e S. Patti, Lessico di diritto civile, Milano, 1995, p. 244. 129 danno) c.p., traducendosi così nello strumento che assicurava tutela al solo danno morale soggettivo, quale sofferenza contingente al turbamento dell‟animo transeunte determinato dal fatto illecito integrante la fattispecie penalmente rilevante. La dottrina e la giurisprudenza hanno mantenuto a lungo questa interpretazione molto rigida sulla necessità dell‟esistenza dell‟assioma “accertamento della sussistenza degli elementi del reato/riconoscimento della risarcibilità del danno derivato”, tanto da far rientrare la fattispecie del danno biologico, che tipicamente ha le caratteristiche del danno non patrimoniale, nella sfera di attrazione del cosiddetto “danno ingiusto”, salvaguardato dall‟art. 2043 c.c. 285. Risulta però palese che nonostante siffatto artificio interpretativo, si deve ritenere che il danno biologico, rappresentato dalle lesioni dell‟integrità psicofisica e della salute, a prescindere dagli effetti economici negativi, rientra a pieno titolo nella categoria dei danni non patrimoniali, proprio perché esso interessa il bene-persona che non può indubbiamente essere commisurato ad un prezzo economico. Questa tradizionale e datata lettura dell‟art. 2059 c.c. sembra essere stata abbandonata una volta per tutte da un recente orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale, in due pronunce susseguenti, ha sottolineato che nel vigente ordinamento, dove la Costituzione ha un ruolo preminente rispetto a tutte le altre fonti del diritto, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui la lesione coinvolga un diritto inviolabile dell‟individuo. La superiorità di tale diritto e la sua tutelabilità ai sensi dell‟art. 2059 c.c. discendono direttamente dal fatto di essere tra i casi determinati dalla legge al massimo livello 286, per l‟appunto quello costituzionale. Su questa linea interpretativa si è posta anche la Corte Costituzionale 287, la quale ha dato una svolta epocale a tale limitativa situazione riconoscendo il diritto al ristoro del danno non patrimoniale ogni qualvolta la condotta illecita arrechi un‟offesa a valori inerenti la persona, espressamente inseriti nella Costituzione, attribuendo a quest‟ultima il valore di legge necessaria per la risarcibilità del danno ex art. 2059 c.c. Pertanto oggi sembra superata la classificazione del danno non patrimoniale originariamente diviso tra danno biologico e danno morale, avendo elaborato la giurisprudenza l‟ulteriore categoria del danno esistenziale che comprende qualsiasi lesione che l‟individuo subisce alle attività realizzatrici della propria persona, le quali affondano la propria ragion d‟essere negli interessi di rango costituzionale inerenti la persona. Peraltro il riferimento alla Carta Costituzionale non deve essere limitato esclusivamente a quanto espressamente in essa elencato, ma deve essere riferito a tutti quei valori che sono sottesi alla medesima e che essa richiama con rimandi indiretti a tutto ciò che è manifestazione di difesa e sviluppo dell‟individuo, quali possono essere le normative transnazionali, comunitarie unitamente alle convenzioni internazionali sui diritti dell‟uomo. Ai fini dell‟esercizio di un‟azione civile per il risarcimento dei danni derivanti dal mobbing entrambe le tipologie di lesioni subite - patrimoniali e non patrimoniali - possono trovare tutela. 285 Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro Italiano, 1986, I, c, 2053. G. Cassano, La responsabilità civile con due (belle?) gambe e non più zoppa, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=6334&print=true&idstr=0, consultato da chi scrive il 11/02/2004. 287 Corte Cost., 11 luglio 2003, n. 233 in http://www.cortecostituzionale.it consultato da chi scrive il 11/02/2004. 286 130 Appare inoltre opportuno segnalare che una definizione normativa di danno biologico è attualmente comparsa nel D.Lgs. 38/2000, recante le “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”. L‟art. 13 definisce in via sperimentale il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. L‟introduzione nell‟ambito delle malattie professionali e delle relative prestazioni assistenziali che l‟Istituto nazionale per l‟assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) è chiamato ad erogare in conseguenze del loro accertamento, della fattispecie del danno biologico, rappresenta un ulteriore strumento di garanzia e di vantaggio per chi subisce gli esiti di un‟azione mobbizzante, nella misura in cui il risarcimento che ne può derivare è determinato indipendentemente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato. L‟intervenuta definizione normativa del danno biologico serve a ridurre al massimo le sovrapposizioni di concetti, permettendo alla categoria del danno esistenziale di assurgere a difesa di tutte quelle situazioni meritevoli di tutela, quale la dignità del lavoratore, prima forzatamente coperte dal danno biologico, ma che poco si attagliavano con la specifica tutela della salute. Questo significa quindi che se il mobbing viene riconosciuto come evento causante un danno biologico ed è pacifica la sua derivazione dall‟ambiente di lavoro, la vittima può richiedere il risarcimento dei danni anche all‟INAIL, nella misura in cui sia comprovato il nesso di casualità tra la menomazione e l‟attività professionale svolta, mentre, qualora il danno non possa essere valutato in base alla scienza medico legale, esso permarrà, per quanto possibile entro la sfera generale del danno esistenziale. Si è detto dunque che il responsabile a qualsiasi titolo del danno deve risarcirlo, ossia corrispondere al danneggiato una somma di denaro che si calcola secondo i principi generali sulla valutazione dei danni ai sensi dell’art. 2056 c.c. In luogo del risarcimento in denaro si può ottenere, se possibile, una reintegrazione in forma specifica del bene lesionato, oppure, qualora il danno risulta essere permanente per la persona, può essere liquidato in forma di rendita vitalizia (art. 2058 c.c.). La quantificazione del danno patrimoniale risulta abbastanza agevole per il danno emergente che corrisponde alla diminuzione certa del patrimonio della vittima, derivata ad esempio dal pagamento delle spese realmente sostenute a seguito dell‟evento, mentre più complessa può risultare l‟indicazione del lucro cessante, poiché esso è costituito dalla proiezione di situazioni già esistenti, per le quali, nel futuro, è possibile che si verifichi un danno: il mancato guadagno spettante al lavoratore colpito da invalidità permanente che lo renda totalmente o parzialmente inabile al lavoro è un esempio di lucro cessante; in questa ipotesi il giudice valuta con equo apprezzamento le circostanze del singolo caso. In tutte le situazioni nelle quali non sia possibile addivenire ad una soluzione della controversia attraverso il diritto positivo ovvero non esistano parametri certi o convenzionali di valutazione, il giudice ricorre al giudizio di equità che si sostanzia nel contemperamento di contrapposti interessi rilevanti secondo la coscienza sociale. L‟equità non è dunque una norma ma solo un criterio di risoluzione della lite, che viene composta secondo giustizia, tenendo cioè conto di tutte le esigenze rilevanti delle parti nel caso concreto288. 288 C.M. Bianca, G. Patti e S. Patti, op. cit., p. 325. 131 La liquidazione del danno non patrimoniale è invece più difficile in quanto non vi sono strumenti e metodi certi per misurare le sofferenze fisiche o psicofisiche del danneggiato. Così i danni morali nelle prassi applicative dei tribunali e delle compagnie assicurative vengono liquidati con una somma pari ad un terzo del danno patrimoniale. Discorso diverso bisogna poi fare per il danno biologico poiché la lesione all‟integrità fisica e psichica della persona, quale bene protetto in se e per sé, non è direttamente riconducibile alla capacità della vittima a produrre ricchezza. In questo caso il criterio di liquidazione è quello equitativo e, secondo la prassi dei tribunali, corrisponde ad una misura pari al doppio della pensione sociale. Analoga considerazione è fatta per il danno esistenziale per il quale non esiste alcuna forma certa di misurazione del patimento subito. Si deve infine evidenziare che se vi è una pluralità di soggetti responsabili del medesimo danno, essi ne rispondono solidalmente. Ciò significa che il danneggiato può esigere da ciascuno l‟intero risarcimento, a prescindere dalla gravità o dalla colpa del singolo soggetto. Colui che paga può agire in regresso nei confronti degli altri responsabili, recuperando le somme corrispondenti alle quote già versate alla vittima per gli altri 289. La liquidazione del danno da mobbing è stata operata prevalentemente con il criterio equitativo, talvolta però stemperato con dei correttivi che hanno tenuto in maggiore considerazione aspetti preminenti della situazione concreta della vita della vittima. Infatti alcuni giudici hanno attenuato la pura equità del caso concreto, con una forma di percentualizzazione del danno rapportata automaticamente ad una parte dell‟importo riconosciuto a titolo di retribuzione 290, mentre altri hanno caricato la medesima equità di tutti quegli elementi fattuali che fanno del mobbing un unico articolato schema logicogiuridico di afflittività composita cui deve rivolgersi l‟azione risarcitoria 291. Harald Ege, sulla scorta delle proprie esperienze professionali di consulente d‟ufficio e dei primi orientamenti giudiziari, ha elaborato un completo sistema di individuazione e di valutazione della lesione da mobbing giungendo conseguentemente alla sua quantificazione, basando il tutto sull‟esistenza ed il riscontro delle diverse fasi entro le quali si sviluppa il fenomeno, sulla trasformazione degli elementi fattuali acquisiti durante l‟analisi in coefficienti numerici dai quali poi ricavare, con l‟ausilio di alcuni demolt iplicatori quali l‟età, il sesso, l‟area geografica, la formula di monetizzazione della lesione 292. Questo modello empirico di analisi tende così ad introdurre dei criteri oggettivi sugli aspetti preminenti ed essenziali dell‟azione mobbizzante, con l‟auspicio che questa metodologia di lavoro possa trasformarsi nella prassi applicativa da parte dei giudici che affrontano siffatte delicate questioni. Svolte queste considerazioni generali, di seguito si riportano gli istituti giuridici sostanziali più rilevanti per l‟effettiva tutela da mobbing. 2.3.1 L’imprenditore è tenuto […] a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 codice civile – Tutela delle condizioni di lavoro) – fatti giudicati. 289 F. Galgano, op. cit., p. 372. Tribunale di Milano, sez. lavoro, 26 aprile 2000, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_milano.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 291 Tribunale di Pisa, sez. lavoro, 7 ottobre 2001, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/molestiessessuali.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003 292 H. Ege, op.cit. 290 132 Si tratta della norma che più spesso è stata impiegata nei giudizi aventi ad oggetto le vessazioni sul posto di lavoro e che, non a caso, è stata posta alla base anche della citata sentenza del Tribunale di Torino del 16 novembre 1999, la prima che ha espressamente utilizzato una definizione di mobbing. La disposizione in esame è ormai un principio di civiltà giuridica 293, ma ha assunto, alla luce del contesto costituzionale, la connotazione di fonte di posizioni giuridiche soggettive private tra datore di lavoro e lavoratore in ordine all‟adozione delle misure di sicurezza, nelle quali però non devono ricomprendersi quelle già contemplate in altre specifiche disposizioni di legge, come ad esempio il D.Lgs. 277/1991 sui rischi per i lavoratori dell‟esposizione agli agenti chimici, fisici e biologici od il D.Lgs. 626/1994 sulle prescrizioni minime di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Tuttavia per molto tempo non si è riusciti a definire con chiarezza di quali posizioni giuridiche soggettive si trattasse, riferendosi talvolta al diritto al risarcimento derivato dalla mancata predisposizione delle misure di sicurezza, in altri casi al più generico schema dei cosiddetti obblighi di protezione, od ancora alternativamente ai sistemi delle responsabilità contrattuale od extracontrattuale 294. E sono proprio queste ultime due ricostruzioni che rilevano per l‟analisi delle fattispecie di mobbing, in quanto la genericità della norma le attribuisce una funzione di adeguamento costante alla dinamica della realtà sociale e scientifica per cui è possibile che il datore possa essere chiamato a rispondere per non avere rispettato uno specifico obbligo di prevenzione ovvero per aver tenuto od omesso di tenere un comportamento comunque lesivo dei diritti del dipendente. Vi è ancora da osservare che quest‟obbligo specifico di prevenzione si inserisce automaticamente nel contenuto del rapporto, andando così ad integrare le previsioni già valide per la generalità dei contratti, quali l‟artt. 1375 e 1175 c.c. Entrambe quest‟ultime disposizioni conformano lo sviluppo del contratto entro i confini rispettivamente del principio della buona fede e della correttezza, regole generali di condotta poste a determinare il comportamento dovuto dalle parti nell‟ottica di una regolare vita dell‟attività negoziale. A questa grande versatilità, propria delle clausole generali dell‟ordinamento, i giudici hanno abbinato i principi generali di cui all‟art. 32 e 41 della Costituzione, secondo i quali, rispettivamente, “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interessere della collettività” e l‟iniziativa economica “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ne è risultato un sistema di tutele contro il mobbing sicuramente efficace anche in assenza di una specifica normativa di riferimento. Per completezza si deve inoltre evidenziare che accanto alle norme interne di rango costituzionale, vi sono pure le previsioni introdotte dal Trattato istitutivo dell‟Unione europea, modificato dal Trattato Unico europeo di Maastricht e dal Trattato di Amsterdam, le quali pongono tra gli obiettivi della Comunità e degli stati membri, tra gli altri, il cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro tali da permettere la parificazione sociale, il progresso ed il dialogo tra i lavoratori, nonché il miglioramento dell‟ambiente e del livello di sicurezza del luogo di lavoro (art. 136 e 137 Trattato CE). 293 F. Amato, M.V. Casciano, L. Lazzeroni e A. Loffredo, Il mobbing. Aspetti lavoristici: nozione, responsabilità, tutele, Milano, 2002, p.101. 294 S. Mragiotta, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale – Il lavoro pubblico e privato a cura di G. Santoro Passarelli, Milano IPSOA, 2000, p. 1103. 133 Si pensi al caso trattato dal Tribunale di Torino e deciso con la sentenza del 16 novembre 1999 295, nel quale una lavoratrice era stata costretta, dal capo reparto, a svolgere la propria attività in una postazione angusta, con la conseguente impossibilità di sviluppare dei contatti umani con gli altri colleghi. Accanto all‟intollerabile sistemazione, il superiore trattava sistematicamente la donna con fare violento ed offensivo sul piano verbale, nonché le infliggeva molestie sessuali. In conseguenza di tali vessazioni, la dipendente riportava una sindrome ansioso depressiva reattiva, con frequenti crisi di pianto, vertigini senso di soffocamento, tendenza all’isolamento il tutto debitamente certificato dagli accertamenti medici. Il giudice, una volta riscontrato che la patologia insorta improvvisamente nella lavoratrice era da imputarsi agli atti di persecuzione di cui era stata fatta oggetto da parte del suo diretto superiore, ha affermato che di un tanto “deve indubbiamente essere chiamato a rispondere il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., essendo questi tenuto a garantire l’integrità fisio-psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire e scoraggiare con efficacia contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti”. Ne deriva che l‟obbligo non rispettato, cui il datore era chiamato a dare esecuzione, sorgeva esclusivamente per la sussistenza del sotteso rapporto di lavoro con la dipendente, configurandosi così una responsabilità di natura contrattuale. In senso in parte diverso si è pronunciato il Tribunale di Forlì con la sentenza 13 marzo 2001296. Si tratta del caso di un impiegato che aveva sviluppato la propria carriera professionale all‟interno di una banca, passando, gradualmente e per meriti, da impiegato di concetto a quadro super, sino a quando il rapporto con l‟azienda si stravolgeva, con una progressiva dequalificazione professionale accompagnata da altri atteggiamenti di ostilità della dirigenza aziendale, culminati con il trasferimento in un‟altra sede. Dalla vicenda il lavoratore ricavava una sindrome ansioso depressiva somatizzata a livello cardiocircolatorio su base conflittuale lavorativa, la cui sintomatologia non si era mai precedentemente presentata nel soggetto. La domanda giudiziaria era quindi rivolta all‟annullamento del provvedimento di trasferimento presso la succursale aziendale e al risarcimento del danno. Sulla prima domanda il giudice riteneva illegittimo il trasferimento in quanto le regioni tecnico organizzative dichiarate dalla banca non erano supportate dall‟obiettivo riscontro di carattere professionale, che al contrario era sfociato in una dequalificata attività lavorativa. Per quanto attiene all‟aspetto del risarcimento dei danni, va innanzitutto premesso che l‟organo giudicante ha ritenuto decisivo, ai fini della corretta istruzione della causa, di avvalersi della consulenza di un esperto di mobbing, il già citato prof. Ege, costituendo così un prezioso precedente. Infatti ritenendo che “ci si muove in un terreno assolutamente nuovo”, il magistrato ha evidenziato come nei precedenti giurisprudenziali in materia, i colleghi non avessero ritenuto necessario trovare ausilio sia per l‟individuazione del fenomeno che per le conseguenze delle condotte sulla vittima, di un consulente d‟ufficio, con una conseguente scarsa qualità giuridica dei risultati. Individuata quindi la realizzazione effettiva di un‟azione complessiva di mobbing, che il consulente ha espressamente valutato essersi sviluppata nell‟arco di sei specifiche fasi 297, il giudice si pone il problema di quale sia la natura della responsabilità in ogget295 Tribunale di Torino, sez. lav. 16 novembre 1999, in Riv. Ita. Dir.Lav., 2000, II, p. 102. Tribunale di Forlì, sez. lav. 15 marzo 2001, in Riv. Ita. Dir.Lav., 2002, II, p. 521. 297 H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, 2002, pp. 45 e ss. In questo agevole manuale nel quale l‟autore ha cercato di far confluire i risultati di due diverse discipline quali la psicologia del lavoro ed il diritto del lavoro, egli individua, tra l‟altro, sette parametri fondamentali per identifi296 134 to. Partendo dalla considerazione che le tipologie di danno invocabili (danno biologico, danno morale e danno patrimoniale) non sempre salvaguardano il lavoratore, egli riconosce una scarsa tutela in tutte le ipotesi in cui si è sì subito un torto, ma senza che questo abbia comportato conseguenze patrimoniali. Per converso il magistrato evidenzia che negli ultimi anni si è fatta strada in dottrina e giurisprudenza una nuova figura di danno, quello alla vita di relazione o esistenziale, che colpisce i beni immateriali quali la personalità morale e la dignità umana del lavoratore. Innanzi a questa tipizzazione di danno, il Tribunale di Forlì ha dunque riscontrato che il datore di lavoro, chiamato a proteggere in un contesto antinfortunistico, fisico e morale il proprio dipendente, ex art. 2087 c.c., può essere responsabile contrattualmente per le lesioni subite dal lavoratore. Può però anche essere chiamato a rispondere genericamente, ai sensi dell‟art. 2043 c.c. in combinato disposto dell‟art. 32 cost. e quindi al di fuori di un rapporto negoziale, per il semplice fatto che la lesione non necessariamente deve essere connessa a tale rapporto, ma può interessare tutti i consociati. Nel caso in esame quindi il giudice ha valutato che, trattandosi di una responsabilità dalla duplice natura, contrattuale ed extracontrattuale, la cui fondamentale differenziazione, dal punto di vista procedurale, si sostanzia nell‟onere della prova, è possibile inquadrare la vicenda nella fattispecie giuridica più favorevole al lavoratore ricorrente. E pertanto, avendo questi lamentato un danno esistenziale causato dalla violazione dell‟art. 2087 c.c. ed avendone provato il nesso causale tra la condotta aziendale, le conseguenze patite e le sofferenze psicologiche connesse con il contesto lavorativo, ha condannato al società che, al contrario, non aveva fornito alcuna prova liberatoria di azioni positive per l‟integrità del ricorrente, al pagamento di una somma complessiva di 64.000.000. di lire. La sentenza del Tribunale di Pisa del 7 ottobre 2001 298, stabilisce ulteriormente i confini dell‟art. 2087 c.c. Si valuta infatti che il datore non debba mai travalicare il diritto di ottenere dal dipendente una corretta prestazione, poiché risulterebbe troppo agevole per il primo pretendere qualcosa di diverso giocando con chi è disposto a subire umiliazioni e pressioni, pur di mantenere la sua fonte di reddito. Così ogni forma di supremazia datoriale che non sia funzionale al sinallagma contrattuale, ma che al contrario determini forme di soprafazione del modello imprenditoriale, può essere circoscritta con l‟efficace applicazione della norma in esame, redatta a presidio della personalità del lavoratore contro specifiche forme di compromissione. Quando dunque viene meno a tali obblighi, commettendo o consentendo molestie verbali, sessuali, intimidazioni, illegittimi demansionamenti, in una parola azioni di mobbing, il datore di lavoro, può essere chiamato a rispondere per le conseguenze dannose riportate dal dipendente, proprio perché è tenuto a tutelarne l‟integrità fisica e la personalità morale, evidentemente messe in pericolo e compromesse dal mobbing. Il lavoratore leso nella sua dignità potrà rivolgersi al giudice del lavoro, denunciando la violazione dell‟art. 2087 c.c. Il datore di lavoro, per parte sua, vista l‟ampiezza dell‟obbligo di tutela che gli è imposto dalla norma, sarà responsabile non solo delle condotte di mobbing realizzate direttamente, ma anche di quelle poste in essere dai suoi preposti, essendo in questo caso egli responsabile per non aver vigilato sulla loro condotta, o di averli scelti e mantenuti anche in presenza di tali comportamenti. care se la vicenda in analisi sia o meno mobbing. In sintesi si tratta: 1) ambiente lavorativo; 2) frequenza; 3) durata; 4) tipo d‟azioni; 5) dislivello tra gli antagonisti; 6) andamento secondo fasi successive; 7) intento persecutorio. 298 Tribunale di Torino, sez. lav. 7 ottobre 2001, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/molestiesessuali.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 135 2.3.2 Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto […]. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo. (art. 2103 Mansioni del lavoratore ) – fatti giudicati. Nel contratto di lavoro non può essere dedotta un‟attività imprecisata, altrimenti esso sarebbe nullo per l‟indeterminatezza dell‟oggetto, ai sensi dell‟artt. 1346 (Requisiti del contratto) e 1418 (Cause di nullità del contratto) c.c. Pertanto le parti devono definire quale sia l‟occupazione cui il lavoratore sarà chiamato a svolgere nel suo complesso e l‟insieme delle mansioni che sono così pattuite viene indicato con il termine di qualifica. Questa solitamente si identifica nella figura professionale prevista dai contratti collettivi ed essa individua la posizione occupata dal prestatore nell‟organizzazione aziendale. Va ulteriormente specificato che nell‟originaria definizione del rapporto a quel genere e tipologia di mansione corrispondono i relativi trattamenti economici e giuridici, in ossequio a quanto la Costituzione prevede all‟art. 36 secondo cui “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa […]”. Nell‟ambito dunque delle mansioni pattuite al momento dell‟assunzione, il datore di lavoro sceglie in forza del potere direttivo ad esso attribuitogli dall‟art. 2094 (Prestatore di lavoro subordinato) c.c., quali attività far svolgere in concreto al lavoratore, osservando però quanto dispone la norma in analisi per i casi di mansioni superiori, inferiori ed equivalenti 299. Infatti questa previsione è diretta ad impedire che il cambiamento di mansioni od il trasferimento della sede lavorativa siano disposti contro la volontà del lavoratore ed in suo danno, pur esercitando l‟imprenditore il legittimo ius variandi. Un orientamento della giurisprudenza ritiene però che potrebbero essere sottratte dall‟applicazione dell‟art. 2103 c.c. quelle modificazioni richieste e decise consensualmente dalle parti nell‟ambito del rapporto in corso. In questo senso il divieto di patti nulli dovrebbe riferirsi esclusivamente a quanto deciso unilateralmente a mezzo dello ius variandi e non, invece, alle libere determinazioni delle parti, che in ogni momento possono modificare quanto originariamente definito 300. Si noti che l‟originaria stesura dell‟articolo 2103 c.c. subordivana l‟interesse del lavoartore a quello aziendale, andando così ad ammettere la possibilità di uno svilimento del patrimonio professionale del dipendente. Solo con l‟entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) si è infatti passati dalla concezione del lavoro come mera fonte di sostentamento, a quella del lavoro quale mezzo di estrinsecazione della personalità dell‟individuo, andando così a modificare l‟art. 2103 c.c. laddove è fatto salvo il diritto del lavoratore alla utilizzazione, al perfezionamento ed all‟accrescimento del proprio bagaglio di nozioni, esperienze e perizie acquisite nella fase pregressa del rapporto e quindi di impedire che nuove man- 299 A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, 2000, Torino, p. 90 e ss. A. Maresca e S. Ciucciovino, Mansioni, qualifiche e ius variandi, in Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale – Il lavoro pubblico e privato a cura di G. Santoro Passarelli, Milano IPSOA, 2000, p. 324. 300 136 sioni comportino la perdita delle potenzialità professionali acquisite o la loro sotto utilizzazione301. Per quello che qui rileva, si è potuto riscontare che frequentemente le pratiche di mobbing vengono a consistere proprio in forme di demansionamenti, dequalificazioni professionali ed arbitrari trasferimenti operati in violazione delle prescrizioni indicate nell‟art. 2103 c.c. Infatti le vessazioni consistono proprio nell‟affidare alla vittima degli incarichi dequalificanti, che ne mortificano la professionalità ed il prestigio, con indubbio deterioramento di entrambi gli aspetti, oltre che, sovente, dalla stessa salute. In effetti, a seguito delle varie patologie fisiche e psichiche che ne possono derivare, si possono riscontrare conseguenze dannose all‟immagine ed alla stessa autostima del lavoratore, le quali comportano poi notevoli ricadute negative sulla personalità morale dello stesso. Nell‟esercizio arbitrario del suo potere direttivo il datore di lavoro sottrae o riduce i compiti, o addirittura costringe il dipendente ad una forzata inattività senza operare alcun tipo di verifica e riscontro tra le seguenti caratteristiche: qualità professionali del lavoratore, specifiche attività svolte sino al momento della variazione, grado di autonomia e discrezionalità nell‟esercizio delle medesime; posizione organizzativa nell‟ambito dell‟azienda e collocazione finale. L‟esercizio di tale raffronto appare inderogabile dal momento che nella fase di modificazione dell‟attività, non si deve mai mettere a rischio di un pregiudizio la professionalità del dipendente, acquisita e acquisibile con una corretta progressione di carriera. Questo principio giuridico deve ancora una volta essere letto congiuntamente con l‟art. 32 cost. e con la norma sulla responsabilità civile del risarcimento del danno per fatto illecito (art. 2043 c.c.), che consente così, in caso di una sua violazione, di agire in giudizio avverso l‟illegittimo comportamento della parte datoriale, con ristoro dei danni subiti, quantunque accertati. Si veda a tale proposito la sentenza della Corte di Cassazione del 18 ottobre 1999, n. 11727, la quale ha riconosciuto che il danno da demansionamento professionale di un lavoratore non si identifica con un pregiudizio unico ed immediato, ma si risolve in un effettivo, concreto ed inevitabile ridimensionamento dei vari aspetti della vita professionale, che a sua volta rappresenta un passaggio peggiorativo diretto ad interferire negativamente nelle intime espressioni future dell‟attività lavorativa del soggetto. A ciò consegue che se le mansioni non corrispondono più a quelle originariamente statuite dalle parti, perché vi è stato l‟unilaterale intervento modificativo dell‟imprenditore, estraneo alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, si ha violazione dell‟art. 2103 c.c., con l‟effetto che la situazione determinatasi è fonte di risarcimento del danno secondo il diritto comune delle obbligazioni (il ricorrente, in questo caso, venne adibito dalla società allo svolgimento di pulizia dei macchinari, in luogo dell‟attività di montatore esterno per cui era stato assunto). Le conseguenze di tale condotta possono riferirsi esclusivamente ad aspetti patrimoniali, poiché solitamente alla qualifica inferiore spetta un corrispondente trattamento economico minore di quello originario, ma, soprattutto, ad una riduzione certa o altamente probabile delle opportunità lavorative e di arricchimento del bagaglio professionale. Siffatta perdita, che è in realtà ha riflessi esterni, ad esempio con l‟impossibilità di un successivo reimpiego, ovvero interni, come il blocco della carriera aziendale, trova riconoscimento in quello che viene definito dalla giurisprudenza e dalla dottrina danno professionale. Si tratta in tutti i casi di un ostacolo alla 301 M. Meucci, Dequalificazione quantitativa/qualitativa, per sottrazione di mansioni secondo la Cassazione, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/dequalificazionequantitativa.html, consultato da chi scrive il 16/04/2003. 137 libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro e della dignità professionale, intesa quest‟ultima come l‟umana esigenza di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo. Tale bene è immateriale per eccellenza e la sua lesione produce automaticamente un danno sicuramente non economico, ma rilevante sul piano patrimoniale e determinabile soltanto in via equitativa 302. In questo quadro si collocano le attività di demansionamento che originano poi dei fenomeni di mobbing, allorquando la modifica dell‟attività lavorativa, operata in peius e per un perdurante periodo di tempo, non trova giustificazione alcuna nell‟ambito del processo produttivo aziendale ed anzi è indirizzata esclusivamente a lesionare il patrimonio professionale del lavoratore. Il Tribunale di Torino, nella seconda storica sentenza del 30 dicembre 1999 303 ha fatto espresso riferimento all‟attribuzione di compiti che, seppure astrattamente riconducibili alla qualifica della ricorrente, avevano comunque assunto una connotazione negativa in quanto rivolti all‟evidente fine di esasperare la lavoratrice e provocarne l‟allontanamento. Nello specifico le nuove mansioni apparivano nettamente inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, poiché non prevedevano più, tra l‟altro, l‟utilizzo di lingue straniere ed il contatto con altri operatori economici. Tutto ciò rappresentava una deminutio assai grave, contravvenente l‟art. 2103 c.c., tale da indicare il demansionamento come l‟aspetto finale di un lento processo di emarginazione della lavoratrice iniziato proprio con la richiesta da parte dell‟imprenditore di rassegnare le dimissioni e proseguito poi con una serie di atteggiamenti e provvedimenti organizzativi che hanno modificato lo stato di salute ed hanno costretto la vittima, dopo un anno e mezzo di sofferenze, a licenziarsi. Ancora il Tribunale di Torino, con la decisione del 10 agosto 2001 304, ha sottolineato che non può trovarsi giustificazione per l‟inattività forzata in cui è stato posto un dirigente, nel fatto che una riorganizzazione aziendale, quale la fusione con altro istituto di credito, abbia comportato la duplicazione delle funzioni, con il conseguente esubero di personale. Infatti a detta del giudice piemontese, la legge pone in capo al datore di lavoro uno specifico dovere di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto dell‟inquadramento e della professionalità maturata. La ricostruzione fattuale non ha però riscontrato la presenza di altri chiari segnali da cui emergesse che la forzata inattività fosse solo il corollario di un macchinazione più complessa, costellata da altre ingiustizie fatte subire al lavoratore e quindi di trovarsi innanzi al mobbing. I casi che sono stati qui richiamati e gli altri analizzati hanno alla fine evidenziato come nei procedimenti in cui si è evocato un disegno mobbizzante, la violazione dell‟art. 2103 c.c. è stata sempre affiancata da altre ulteriori condotte vessatorie. Si pensi a quanto contenuto nell‟ordinanza d‟urgenza ex art. 700 c.p.c. emessa dal Tribunale di Bari il 29 settembre 2000 305, con cui lucidamente il giudice ha riconosciuto l‟illegittimità di un provvedimento di trasferimento emesso dalla una nota azienda pubblica, un paio di mesi prima, per insussistenza di motivazione tecnica, produttiva ed or302 Cass. Civ., sez. lavoro, 2 novembre 2001, n. 13580, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_professionale.html, e Cass. Civ., sez. lavoro, 2 gennaio 2002, n. 10, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/forzata_inattivita.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003 303 Tribunale di Torino, sez. lavoro, 30 dicembre 1999, in D & L – Rivista critica del lavoro, n. 1/2000, p. 378. 304 Tribunale di Torino, sez. lavoro, 10 agosto 2001, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_torino.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 305 Tribunale di Bari, ordinanza del 20 settembre 2000, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_poste.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 138 ganizzativa, accertando che tra le mansioni attribuite con l‟atto e quanto svolto dalla dipendente sino allo spostamento non vi era alcun genere di equivalenza, prevista dalla legge. Infatti, scrive il giudice, la valutazione della reale corrispondenza tra ciò che si è fatto e ciò che si andrà a fare, deve essere considerata in relazione alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto, tenendo altresì conto dell‟opportunità di riconoscere al lavoratore la costante possibilità di affinare e progredire nell‟evoluzione del suddetto patrimonio personale. Accanto poi ad un giudizio negativo della gestione organizzatoria del rapporto, il Tribunale ha rilevato anche la sussistenza di altri elementi vessatori posti in essere dalla dirigenza, quali l‟inoperosità, l‟emarginazione logistica e fisica della dipendente, i quali hanno condotto ai tipici effetti patologici derivanti dal continuo attacco da mobbing ed accertati come tali. Pertanto anche in questo caso il giudice ha contestualizzato comunque la vicenda nella più generale violazione dell‟art. 2087 c.c., ravvisando quindi la fondatezza giuridica delle pretese attoree. Infine ha ritenuto essere presente anche il pericolo che la situazione, soprattutto quella sanitaria, venisse a peggiorarsi nell‟attesa dell‟emissione di una sentenza definitiva favorevole alla ricorrente, e pertanto ha ordinato l‟immediata sospensione degli effetti del trasferimento e la reintegrazione nel posto di lavoro occupato in precedenza dall‟istante, nonché la cessazione di tutti i comportamenti volti a danneggiare professionalmente la ricorrente. Diversamente, nell‟ambito di un riconosciuto atteggiamento dequalificante posto in essere dal datore di lavoro, il giudice non ha tuttavia ravvisato la sussistenza del mobbing nella complicata ed intricata vicenda rappresentata da una lavoratrice. E‟ il caso deciso dal Tribunale di Torino con la sentenza 18 dicembre 2002 306, per cui, da un lato, esso ha accertato il demansionamento quantitativo della prestazioni richieste dal datore, condannando la società a riassegnare le mansioni originarie ed al risarcimento del danno patito, mentre, dall‟altro, non ha riconosciuto essere presenti gli elementi e le caratteristiche del mobbing così come la dottrina, la scienza e la giurisprudenza l‟hanno descritto e catalogato. I fatti dedotti in sentenza invero erano da collegarsi esclusivamente alla difficoltà di relazionarsi della ricorrente, la quale aveva dimostrato elevati tassi di aggressività e reattività nei confronti di colleghi e superiori che, dal canto loro reagivano in vario modo, ma mai ponendo in essere una strategia definita atta ad isolare ed emarginare la lavoratrice. Il giudice ha sostanzialmente affermato che sono due cose ben diverse lavorare in un ambiente con caratteri di conflittualità, come quello esaminato, e trovarsi nel mezzo di un fenomeno mobbizzante, poiché quest‟ultimo è un processo di violenza e di sofferenza unidirezionale verso la vittima, nel quale i comportamenti formalmente legittimi del datore, assumono significato diverso se inseriti nello schema di esclusione. 2.3.3 Essere cacciati via ed andarsene sbattendo la porta – fatti giudicati A corollario delle precedenti previsioni normative la cui applicabilità rappresenta il fulcro dell‟accertamento dell‟ipotesi di mobbing, bisogna anche ricordare che il lavoratore, oltre al danno subito, può invocare la tutela per un licenziamento illegittimo. Esso può essere dichiarato tale qualora si accerti che chi lo ha intimato non ha osservato le disposizioni di cui agli artt. 2118 e 2119 c.c. e quelle contenute nella legge 604/1966. L‟ordinamento infatti stabilisce che ciascuna delle parti del contratto a tempo indeterminato può recedere dallo stesso, in qualunque momento, dando però all‟altro 306 Tribunale di Torino, sez. lavoro, 18 dicembre 2002, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_sanlorenzo.html, consultato da chi scrive il 05/05/2003 139 contraente un termine di preavviso, che viene solitamente indicato nel accordo stesso. E‟ possibile però, per i rapporti a tempo determinato recedere, mentre per quelli a tempo indeterminato, recedere, se si è verificata una giusta causa che non ne consenta più la prosecuzione, rispettivamente prima della scadenza del termine o senza dare il preavviso. Accanto alla normativa del codice civile, il legislatore con la legge 604/1966 ha inteso disciplinare specificatamente tutta la materia, da un lato procedimentalizzando le fasi ed i tempi di licenziamento, e, dall‟altro, estendendo a tutti i rapporti a tempo indeterminato, salvo che la stabilità non sia assicurata da altre previsioni di legge o contrattuali, la disciplina di cui all‟art. 2119 c.c. L‟introduzione della motivazione necessaria è stata determinata dal fatto che l‟originaria disciplina del recesso ad nutum, di cui all‟art. 2118 c.c., rappresentava un importante strumento di condizionamento in mano all‟imprenditore, per cui, anche alla luce della Carta Costituzionale, doveva essere ridimensionato a tutela della parte sicuramente più debole del rapporto. Si sono così sviluppate due direttrici essenziali, l‟una, appunto, volta a fissare la regola della giustificazione obbligatoria e di estenderla ad ambiti lavorativi sempre più vasti, l‟altra a sancire delle sanzioni per la violazione di tale regola sia sul piano prettamente obbligatorio, come la previsione di un‟indennità, sia sul piano reale, con l‟eliminazione dell‟effetto estintivo del rapporto, come la disciplina contenuta nell‟art. 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970)307. La giusta causa è quindi quella situazione per cui è impossibile ritenere che il rapporto possa proseguire anche in via provvisoria (art. 2119 c.c.). La dottrina e la giurisprudenza hanno sostanzialmente riconosciuto che in essa non sono riconducibili semplicemente e soltanto gli inadempimenti contrattuali più che notevoli, ma anche le sopravvenute inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni. Spetta così al giudice di merito in base agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta quali le mansioni del lavoratore, i precedenti disciplinari, la natura dell‟infrazione, le circostanze di luogo e di tempo e le probabilità di reiterazione dell‟illecito, valutarne la sussistenza. Il giustificato motivo può essere soggettivo, quando rappresenta un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, mentre è oggettivo quando è determinato da ragioni inerenti l‟attività produttiva, il regolare funzionamento di essa e l‟organizzazione del lavoro (art. 3 della legge 604/1966). Spesso succede che l‟esasperazione prodotta dalle quotidiane azioni di mobbing porta la vittima a reagire con ingiurie o aggressioni che possono essere poste a base di un provvedimento di licenziamento motivato con la giusta causa, stante l‟insubordinazione nei confronti del superiore gerarchico. E‟ stato il caso di una lavoratrice che aveva aggredito nelle vicinanze del posto di lavoro il proprio capo squadra e da ciò era derivato il licenziamento disciplinare, il tutto a seguito dell‟esasperante ed ingiurioso atteggiamento, con palesi allusioni sessuali, tenuto dal superiore nell‟ambito del servizio. La Cassazione con la sentenza 19 dicembre 1998, n. 12717308, in questo episodio, ha ravvisato l‟illegittimità del licenziamento poiché la reazione scaturita non poteva considerarsi un atto di insubordinazione nei confronti del sopraposto, avendo questi agito palesemente ed incontrovertibilmente al di fuori del potere che gli compete nel quadro dell‟organizzazione aziendale. Pertanto non 307 A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, 2000, Torino, p. 274 e ss. Cass. Civ., sez. lavoro 19 dicembre 1998, n. 12717, in Rivista italiana diritto del lavoro, 1999, II, p. 832. 308 140 trovava giustificazione l‟allontanamento della lavoratrice sussistendo tali presupposti ed essendo la causa unica della sua reazione le vessazioni tenute dal proprio dipendente. Conseguentemente è stato disposto il reintegro nel posto di lavoro della dipendete licenziata. Il Tribunale di Pisa con la sentenza 13 marzo 2001 309 ha riconosciuto l‟illegittimità del licenziamento comminato ad un dipendente perché privo di giusta causa e di giustificato motivo. Alla base dell‟atto rescissorio vi era la convinzione che il lavoratore non avesse rispettato gli obblighi di presenza nella fascia di reperibilità delle visite fiscali, e che non vi fosse alcuna particolare patologia da giustificare la sua assenza dal lavoro. Il giudice ha accertato, peraltro, che la società datrice aveva inasprito gli accertamenti medici a carico del dipendente, richiedendo l‟intervento dell‟INPS anche consecutivamente nell‟arco delle 48 ore, onde avere la conferma dello stato di malattia. Inoltre l‟azienda aveva considerato non valido, ai fini giustificativi, un certificato medico privo del nome dell‟interessato, dimostrando così un vero e proprio di irrazionale diffidenza nei confronti del disagio psichico della persona, causa proprio dell‟assenza. Di fronte al riscontro probatorio, svoltosi in giudizio, secondo il quale la malattia aveva realmente colpito il lavoratore ed anzi si era aggravata alla luce di tali comportamenti vessatori, il Tribunale ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, sia per il licenziamento illegittimo sia per il danno alla professionalità ed alla vita di relazione. Si noti che in questa pronuncia l‟attore non ha richiesto al giudice di leggere i fatti in un contesto di mobbing e lo stesso magistrato non si è peritato di definirlo come tale poiché la durata nell‟arco della quale si è consumata la vicenda, è stata di circa quattro mesi. Una soluzione analoga alla precedente la si ritrova nella sentenza del Tribunale di Milano, del 28 dicembre 2001 310, nella quale il giudice ha statuito che innanzi alla conoscenza del realizzarsi di una serie di molestie sessuali nell‟ambito dell‟impresa, il datore di lavoro ha l‟obbligo ex art. 2087 c.c. di proteggere intervenendo per garantire la tutela dei suoi collaboratori con tutte le misure disciplinari ed organizzative, idonee ad impedire il verificarsi di lesioni in capo ai sottoposti. Il protrarsi di violenze nell‟ambiente lavorativo, senza che vengano arginate con un tempestivo intervento, fa del datore di lavoro un corresponsabile ai sensi del citato articolo, unitamente all‟agente. Ne è conseguita la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice molestata laddove le condotte alla stessa imputate, quali sono state il lancio di un coltello verso il molestatore (senza nessuna lesione per quest‟ultimo) o le accese reazioni verbali di esasperazione più volte proferite nei confronti di altri colleghi, erano state considerate giusta causa di recesso, mentre erano, a detta del giudice, casualmente riconducibili al comportamento omissivo dell‟impresa. Quest‟ultima è chiamata a creare e salvaguardare per ciascun dipendente una sorta di area di garanzia, in cui la personalità fisica e morale viene tutelata nel senso più ampio dell‟espressione da ogni sorta di attacco che ne alteri la stabilità, di cui è responsabile. Il giudice per contro non ha ricondotto gli avvenimenti e le relative conseguenze in una cornice più complessa ed articolata quale può essere quella del mobbing in quanto la tipologia d‟attacco è stata esclusi- 309 Tribunale di Pisa, sez. lavoro, 13 marzo 2001, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/visita_fiscale.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 310 Tribunale di Milano, sez. lavoro, 28 dicembre 2001, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/reazione_molestie_sessuali.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003 141 vamente quella del versante sessuale, che non rappresenta di per sé la sussistenza del fenomeno. Di tutt‟altra impostazione è invece il provvedimento della Corte d‟appello di Bari del 31 gennaio 2002311 che ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato al lavoratore che, messosi in posizione conflittuale con l‟azienda a seguito di una serie di procedimenti giudiziari allo stesso favorevoli, ha tenuto un comportamento lesivo nei confronti del datore di lavoro, con immediate pregiudizievoli conseguenze dell‟immagine societaria. La vicenda sorge proprio da un episodio di mobbing sviluppatosi nell‟arco di tre anni e caratterizzato, nell‟ordine, da un originario demansionamento, riconosciuto poi come tale dall‟autorità giudiziaria, per cui vi era stato il successivo reiserimento nelle mansioni d‟assunzione; successivamente, a seguito di un‟accesa critica del lavoratore in questione sulle scelte della società di bandire un concorso, il dipendente veniva dapprima sospeso e poi licenziato illegittimamente, come dichiarato dal giudice di Trani; reintegrato nelle sue funzioni il soggetto veniva ancora una volta licenziato per avere esposto nel proprio ufficio copia di un articolo giornalistico, nel quale il medesimo aveva rilasciato dichiarazioni lesive dell‟immagine aziendale e contenenti gravi accuse nei confronti dei vertici dell‟impresa. Con quest‟ultimo episodio aveva ritenuto essersi realizzato il definitivo venir meno del rapporto di fiducia. La Corte ha dunque avvallato quest‟orientamento ribadendo che il diritto di critica, di cui la massima espressione è contenuta nell‟art. 21 cost. (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. […]), non può servire per giustificare, in termini assoluti, qualunque manifestazione del pensiero effettuata dal lavoratore nei confronti della controparte datoriale, ma anzi, proprio perché direttamente interessato nel rapporto, esso è tenuto a mantenere un contegno che non sia lesivo degli interessi societari. Ogni attacco eccedente i limiti della verità oggettiva costituisce una lesione alla reputazione del datore di lavoro che comporta una alterazione definitiva del rapporto fiduciario e rappresenta indubbiamente una giusta causa di licenziamento. 2.3.4 Con il penale non si scherza ! – fatti giudicati. Molti dei comportamenti che danno vita al mobbing possono avere l‟ulteriore caratteristica di essere ricondotti ad un fattispecie sanzionata dal sistema penale, che, peraltro, è caratterizzato da schemi normativi rigidi e definiti dai principi di riserva legislat iva, di determinatezza e di tassatività che ne regolano il funzionamento. Il ricorso al giudice penale assume, per quello che qui interessa, una funzione prevalentemente di deterrenza, mentre la responsabilità civile, per l‟atipicità delle regole su cui si regge e per la particolare agilità del processo del lavoro, pare offrire maggiori garanzie nell‟ottenimento di un immediato successo risarcitorio e reitegratorio312. L‟attivazione del processo penale deve essere anticipatamente valutata in ordine a quale vuole essere il risultato che si intende ottenere. L‟art. 185 del c.p. stabilisce che ogni reato obbliga alle restituzioni e, quando abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, al risarcimento. Nel procedimento dunque il soggetto che lamenta un danno conseguenza della consumazione di un reato può esercitare l‟azione civile, la quale si sostanzia in un ulteriore allargamento dell‟accertamento giudiziale penale anche sugli aspetti risarcitori, in quanto appunto sono il frutto dei fatti e delle violazioni della condotta criminosa. Ed è solo nel caso in cui 311 Corte d‟Appello di Bari, 31 gennaio 2002, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_media.html, consultato da chi scrive il 05/05/2003. 142 è stata pronunciata la condanna dell‟imputato che il giudice statuisce anche sull‟autonomo capo della responsabilità civile. Alla pronuncia di condanna del reo dovrebbe seguire la liquidazione del danno civile, salvo però che vi siano delle difficoltà pratiche di cumulare la decisione sull‟accertata responsabilità con una quantificazione del danno; nel qual caso il giudicante condanna genericamente e rimette le parti davanti al giudice civile per la definizione di tale ulteriore aspetto 313. Rimane comunque nei poteri della vittima di agire con autonoma azione innanzi alla magistratura civile, per il risarcimento. In base a quanto si è osservato precedentemente, la condotta da mobbing porta generalmente ad un danno alla salute della vittima, che per la legge penale viene a definirsi come lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, così definita dall‟art. 582 c.p. Quest‟ultimo è applicabile ogni qualvolta l‟agente tiene una condotta dolosa, cioè, un comportamento attivo od omissivo finalizzato a realizzare tutti gli elementi da cui la legge fa dipendere l‟esistenza del delitto, come in questo caso la realizzazione di una malattia nel corpo o nella mente della vittima. Vi è poi la previsione colposa dello stesso delitto, art. 590 c.p., la quale si differenzia dalla precedente in quanto l‟elemento soggettivo del reato è caratterizzato dal fatto che l‟evento, anche se preveduto, non è voluto dall‟agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti o discipline. Emerge chiaramente da questa differenziazione che nei casi di mobbing, laddove non si riesca a dimostrare per certo la volontarietà di uno specifico atto lesivo da parte del soggetto mobbizzante, collega o datore che sia, il più delle volte in cui il giudice civile dovesse riconoscere la violazione dell‟art. 2087 c.c., con il relativo riscontro di uno stato patologico della vittima, il giudice potrebbe rinviare poi le risultanze processuali al Tribunale penale. Infatti laddove la procedibilità per il delitto sia d‟ufficio quest‟organo dovrebbe accertare la relativa responsabilità per lesioni colpose del lavoratore – laddove la procedibilità sia d‟ufficio - ovvero verificare, incidenter tantum, la sussistenza degli elementi del reato, al fine di applicare l‟art. 2049 c.c. e liquidare così anche il danno morale. Si noti infatti che il delitto in questione è procedibile generalmente a querela della persona offesa, salvo il caso che si tratti di lesioni personali gravi o se esse sono state cagionate con violazione delle norme del codice della strada, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per le prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all‟igiene del lavoro, che abbiano determinato una malattia professionale (art. 590, ultimo comma, c.p.). Proprio in presenza di queste evenienze il giudice civile ha l‟obbligo di trasmettere il fascicolo alla competente Procura della Repubblica. La lesione personale può essere conseguenza di molte azioni, tra le quali ad esempio la sottoposizione ad un dipendente, con un preesistente grado di invalidità e con predisposizione congenita alla labilità psicologica, ad un eccezionale lavoro, fonte di stress prima e di ipertensione ed infarto poi. E‟ quanto ha accertato il Tribunale di Torino, con la sentenza 1° agosto 2002 314 con la quale ha condannato il presidente e direttore generale di una società per i servizi di vigilanza alla pena di 6 mesi di reclusione per il reato di lesioni personali colpose. L‟imputato, pur a conoscenza di una condizione di sana e robusta costituzione, ma non esente da imperfezioni fisiche, per cui la vittima era idonea 312 M. Bona, P.G. Monateri e U. Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, Ipsoa, 2002, p. 54. D. Siracusano, A. Galati, G. Tranchina ed E. Zappalà, in Diritto processuale penale, 1999, Milano, p. 391. 314 Tribunale di Torino, prima sez. penale, 1°agosto 2002, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_leo.html, consultato da chi scrive il 05/05/2003. 313 143 soltanto allo svolgimento di un‟attività sedentaria (come da accertamenti medici dimessi in istruttoria) e nonostante il verificarsi nel corso del rapporto di lavoro di eventi sanitari significativi (come incidenti dovuti all‟eccessivo carico di lavoro), non aveva rispettato numerose prescrizioni di legge per la salute e la prevenzione dalle malattie sul posto di lavoro. Si tratta infatti di una condotta omissiva delle più elementari misure atte ad evitare di mettere in pericolo la sicurezza e la salute psicofisica del proprio dipendente, previste, genericamente dall‟art. 32 cost, dalle disposizioni antinfortunistiche di cui al D.Lgs. 626/1994 e dalla ben nota norma di chiusura del sistema di tutela, che è l‟art. 2087 c.c. Quest‟ultima, ha osservato il giudicante non consiste soltanto nel adottare e mantenere perfettamente funzionali le misure igienico-sanitarie o antinfortunistiche, ma attiene anche al prendere delle misure dirette, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità ambientale o in costanza di lavoro, che ad essa non sono direttamente collegabili. Nel caso di specie il datore aveva sottoposto la vittima ad estenuanti turni di lavoro senza il rispetto dei riposi previsti e con un obbligo implicito a svolgere orario straordinario, oltre alla mancata fruizione delle ferie; inoltre non aveva fornito il lavoratore di strumenti idonei a svolgere in sicurezza il proprio incarico, quali torce e mezzi di telecomunicazione. Da queste omissioni erano derivati una serie di infortuni sul lavoro con il conseguenziale aggravamento delle condizioni di salute del dipendente, manifestatesi poi in un infarto, anch‟esso occorso durante un servizio notturno. La ricorrenza di questi elementi ha delineato chiaramente l‟omesso comportamento tutelare richiesto dalle previsioni normative sopra richiamate ed ha realizzato la fattispecie del delitto di lesioni colpose. Nell‟ambito di un‟analisi dei casi di mobbing, quello appena riportato, seppure non espressamente richiamato, appare essere conforme alla definizione comunemente usata, poiché l‟atteggiamento datoriale, ancorché omissivo, era proprio rivolto a vessare il dipendente costringendolo ben oltre le mansioni che rispondevano al suo accertato stato di salute. Più raccapriccianti possono essere però i casi in cui i datore di lavoro ed i suoi preposti mettono in pratica vere e proprie forme di maltrattamento al fine di conseguire una piena sottomissione dei collaboratori e per raggiungere il massimo utile economico dall‟attività di questi ultimi. Di questo caso si è occupata la suprema Corte di Cassazione, VI sezione, con la sentenza 12 marzo 2001, n. 10090 315, la quale ha riconosciuto colpevole per il reato di maltrattamenti ai sensi dell‟art. 572 (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) c.p. il capogruppo di lavoratori porta a porta che aveva ridotto i suoi dipendenti in uno stato di penosa sottomissione ed umiliazione, al fine di costringerli a sopportare dei ritmi di lavoro estenuanti, per ottenere il massimo profitto. Inoltre è stato condannato per il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) l‟imprenditore che in questo caso aveva omesso di porre fine alle pratiche vessatorie del diretto sottoposto, in quanto tenuto a farlo ai sensi dell‟art. 2087 c.c. Analizzando separatamente le due condotte è emerso che l‟imputato posto alla guida del gruppo di venditori con ripetute e sistematiche vessazioni fisiche e morali, consistite in schiaffi, calci, pugni, morsi, insulti e molestie sessuali e nella minaccia di troncare il rapporto di lavoro senza pagare le retribuzioni pattuite (minaccia reale in quanto il lavoro era svolto in nero e il datore di lavoro deteneva dei libretti di risparmio sì intestati alle vittime, ma non nella loro disponibilità), aveva costretto i sottoposti a ritmi di attività insostenibili ed a vivere in condizione di perenne umiliazione. Un tanto per riconoscere la sussistenza di una serie di atti volontari 315 Cass. Pen., VI sez., 12 marzo 2001, n. 10090, Orlano e Cataldo, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/vessazioni.html, consultato da chi scrive il 02/05/2003. 144 ed idonei a produrre quello stato di abituale sofferenza fisica e morale, lesivo della dignità della persona che si identifica appunto nel reato di maltrattamenti, in questo caso, di persona sottoposta all‟autorità del reo per l‟esercizio di una professione. Per quanto riguarda invece la responsabilità penale dell‟imprenditore, essa è stata riscontrata con il ben noto meccanismo di richiamo alle disposizioni per la tutela delle condizioni di lavoro (art. 2087 c.c.) secondo le quali egli, a conoscenza delle condizioni in cui si trovavano le vittime, in quanto dalle stesse informato ripetutamente, avrebbe dovuto adottare le misure necessarie a tutelare l‟integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro e non, omettendo tale intervento, rendersi corresponsabile delle stesse. In questo caso la condotta violata è stata quella definita per il reato di violenza privata (art. 610 c.p.), secondo il quale è punito con la reclusione da uno a quattro anni chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, non avendo, come nel caso dei maltrattamenti, un contatto diretto con le vittime. La vicenda ora ricostruita sembra potersi ricondurre allo schema tipico del mobbing per la presenza degli intensi atti di violenza perpetrati sulle vittime, per l‟esistenza di un preciso schema teleologico, per la durata e la frequenza, soltanto che, nel caso del giudizio della Corte di Cassazione, che si ricorda valuta la legittimità dei provvedimenti emessi dai Tribunali e dalle Corti d‟Appello, essa non ha potuto ricondurre i fatti nella cornice fenomenica del mobbing, in quanto non ne era fatta menzione nel supposto giudizio d‟appello. Un altro caso veramente eclatante e che deve far riflettere sulle finalità per cui è impiegato il mobbing, è quello in cui è stato accertato, con la sentenza del Tribunale di Taranto, sezione penale, del 7 marzo 2002316, il tentato delitto di violenza privata (art. 610 c.p.). Si tratta di una storia incredibilmente raccapricciante nella quale si è manifestata tutta la dirompenza che le vessazioni sul posto di lavoro possono avere se impiegate per modificare lo stato del rapporto di lavoro e nella quale emerge la netta violazione dei capisaldi del diritto del lavoro così come sono andati a definirsi nel corso degli ultimi cinquant‟anni di vita repubblicana. Il contesto fattuale è derivato della cessione dello stabilimento di Taranto di un‟importante azienda siderurgica, passato dalle partecipazioni statali alla proprietà privata, con dei precisi accordi per cui la nuova proprietà avrebbe mantenuto un certo livello occupazionale, con l‟impegno, peraltro di riassorbire eventuale personale in esubero, in altre società collegate. A questi patti la società non aveva tenuto mai fede, facendo scatenare così una serie di ricorsi giurisdizionali ed alcuni interventi di natura inquirente da parte delle istituzioni, poi trasformatisi in vere e proprie pubbliche denunce sulle condizioni di lavoro dello stabilimento in questione. Si era innestato un conflitto plateale tra la proprietà e le organizzazioni sindacali, le quali denunciavano la violazione dei diritti e della dignità dei lavoratori, con particolare riferimento ad una specifica unità produttiva, denominata “Palazzina Laf”, dove venivano confinati i dipendenti in disaccordo con la compagine societaria. Infatti, sono stati tratti a giudizio dirigenti e quadri della società., che , in concorso tra loro e in diversi momenti, avevano minacciato alcuni lavoratori affinchè ritirassero i loro ricorsi presentati avanti al giudice del lavoro contro l‟azienda; avevano intimato ad accettare forme di novazione dei rapporti di lavoro, con declassamento della qualifica professionale da impiegato ad operaio e quindi del relativo mutamento peggiorativo delle mansioni, con la minaccia (poi realizzatasi) di essere 316 Tribunale di Taranto, seconda sez. penale, 7 marzo 2002, in http://www.pegacity.it/justice/impegno/sentenza_mobbing_palazzina_laf.html, consultato da chi scrive il 07/05/2003. 145 trasferiti nella “Palazzina Laf” dello stabilimento, senza tuttavia riuscire nei suddetti intenti in quanto le vittime avevano opposto il loro fermo diniego a tali proposte. Il delitto in questione esiste nella misura in cui l‟ordinamento giuridico ritiene tutelabile la libera autodeterminazione spontanea dell‟individuo, al di fuori di qualsiasi limitazione o condizione che non sia stata legittimamente posta. In questo senso la coartazione della vittima consiste in qualsiasi energia fisica o minaccia che rappresentino alla stessa un male futuro attinente non solo alla sua vita e incolumità fisica, ma anche alla sua libertà, al suo pudore ed onore, determinabili solo dall‟agente ed evitabili tenendo il comportamento richiesto dall‟aggressore. Gli imputati in questione avevano violato le norme procedimentali che regolano in maniera tassativa le ristrutturazioni aziendali, seguendo, per converso, una propria strategia di riassetto concordata e attuatasi con l‟individuazione di un certo numero di lavoratori in esubero che, inizialmente, venivano allontanati improvvisamente dalle loro realtà lavorative espellendoli di fatto dal circuito produttivo, successivamente confinati nella “Palazzina Laf” a non svolgere alcun tipo di attività. L‟assegnazione alla “Palazzina Laf” era dunque uno strumento impiegato per la riorganizzazione da attuarsi, a detta dei vertici aziendali, in termini rapidi e senza particolari formalismi burocratici. La funzione intimidatoria di questa assegnazione fisica non era ricollegabile solamente all‟idea di un luogo dove non si lavorava e dove i concetti di mansioni e professionalità non erano conosciuti, ma era anche simbolica poiché rappresentava l‟allontanamento traumatico dal mondo del lavoro, la possibile anticamera del licenziamento e il momento che segnava la fine di ogni tipo di attività per le quali i lavoratori erano stati assunti. Sono proprio queste ultime impressioni evocate dalle testimonianze a far capire la forza di coazione della stessa nel prospettare un male ingiusto, poi realizzatosi. Il giudice penale, alla luce delle conclusioni cui è pervenuto a seguito dell‟istruzione dibattimentale, ha tenuto conto anche delle domande risarcitorie formulate dalle parti civili, assegnate alla “Palazzina Laf”, riconoscendo la sussistenza di un danno patrimoniale subito dai lavoratori parti offese, che si articola nella dimunizione della retribuzione a seguito della retrocessione stipendiale dal coefficiente originario a quello più basso, oltre al mancato versamento delle voci retributive collegate direttamente allo svolgimento dell‟attività lavorativa; altra espressione di danno patrimoniale è stato l‟effettivo demansionamento da assoluta inattività per periodi considerevoli di tempo oltre al fatto che comunque i loro rapporti di lavoro si sono conclusi in maniera illegittima. Accanto al danno patrimoniale è stato considerato il danno alla salute dovuto alla costante situazione di stress, causata alle minacce e vessazioni fisiche attuate in modo anche indiretto e il danno morale. Proprio affrontando gli aspetti relativi al danno alla salute il Tribunale si sofferma espressamente sulle caratteristiche del mobbing e, richiamandosi sostanzialmente alla ricostruzione dei fatti emersi in dibattimento riconosce che quello di cui le parti offese si sono trovate ad affrontare, null‟altro è che una strategia di allontanamento del personale in esubero, attuata per un periodo di tempo consistente e costantemente, prima in forma di semplice minaccia di un male ingiusto alla propria professionalità, poi con la realizzazione effettiva di una compromissione ed esclusione dal lavoro delle vittime. 2.3.5 Il mobbing difeso qua e là – fatti giudicati. Il mobbing raccoglie in sé più genericamente le caratteristiche della discriminazione operata da lavoratori o datori di lavoro a scapito delle vittime che si intendono isolare o escludere dal processo produttivo. Possono quindi venire in soccorso per la prevenzio- 146 ne, l‟accertamento e la repressione del fenomeno anche altre disposizioni generali che l‟ordinamento lavoristico prevede quali la normativa a salvaguardia della condizione femminile nel mondo del lavoro disciplinata dalla legge 903/1977; la legge 125/1991 sulle azioni positive per la realizzazione della parità tra uomo e donna nel lavoro; la legge contro le discriminazioni sul lavoro nei confronti di soggetti portatori di infezione HIV (art. 5 della legge 135/1990); infine, lo stesso Statuto dei lavoratori che vieta nelle sue disposizioni tutti gli atti discriminatori durante il rapporto di lavoro, i comportamenti che violano la libertà sindacale e quelli diretti ad indagare, senza una giustificata esigenza lavorativa le opinioni dei dipendenti che, in base alle stesse potrebbero poi essere discriminati. Non sono peraltro da sottovalutare o da escludere a priori quelle previsione specifiche che possono essere invocate in base alle caratteristiche ed alle qualità del lavoratore. In questo contesto il Tribunale di Monza con il decreto ex art. 28 Statuto dei Lavoratori, di data 19 dicembre 2000 317, ha riconosciuto illegittimo l‟attacco verbale operato dal rappresentante del datore di lavoro nei confronti della delegata sindacale, che aveva denunciato pubblicamente la mancanza di salubrità e la scarsa sicurezza degli ambienti dell‟azienda. Considerato che il diverbio personale scaturito è stato caratterizzato da una particolare aggressività nei confronti della donna, la società è stata inibita dal mantenere un atteggiamento illegittimo nei confronti delle rappresentanza dei lavoratori, nonché costretta a modificare, rimuovendo dall‟incarico di addetto alle relazioni sindacali, l‟assetto delle funzioni sindacali. Chi318 ha avuto modo di commentare questo provvedimento, ha in realtà ravvisato l‟utilità del provvedimento emesso ai sensi dell‟art. 28 dello Statuto dei lavoratori, per anticipare lo svilupparsi, all‟interno del contesto lavorativo, di atteggiamenti che, a lungo andare, avrebbero potuto tramutarsi in vere e proprie vessazioni e quindi in mobbing. In questa tesi si osserva come frequentemente la sociologia abbia rilevato che la conflittualità si origina a causa di una differenziazione sessuale. 3. Le proposte di legge La mancanza di una disciplina specifica pensata per combattere il mobbing è stata percepita dal legislatore nazionale ormai da tempo come una lacuna da colmare. Questo in conseguenza della maggiore attenzione che la cronaca giudiziaria ha iniziato a dare al fenomeno, degli innumerevoli studi condotti e dei loro significativi risultati, nonché dei primi provvedimenti assunti in materia da parte dell‟ Unione Europea. Si osservi che proprio in questa fase di carenza normativa i giudici, seppure privi di un‟investitura e di un‟abilitazione a produrre norme giuridiche di carattere generale, hanno assunto il ruolo di mediatori del legislatore, andando così ad affermare, attraverso i principi derivanti dalla conoscenza delle esperienze dirette e delle applicazioni delle norme esistenti, quale sia la nozione, i requisiti e gli effetti che caratterizzano il mobbing. Con ciò non si vuole assolutamente dire che i giudici hanno la forza per oltrepassare la volontà parlamentare, ma soltanto evidenziare che, quando si affronta un problema complesso in carenza di normativa specifica, la giurisprudenza ha comunque un ruolo di formazione del diritto non libero, ma sottomesso alla legge 319. 317 Tribunale di Monza, decreto ex art. 28 Stat. Lav., 19 dicembre 2000, in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 10/2001, p. 975. 318 V. Ferrante, commento a Tribunale di Monza, decreto ex art. 28 Stat. Lav., 19 dicembre 2000, op. cit. 319 L. Battista, Il mobbing quale fattispecie della giurisprudenza, in Guida la lavoro, n. 19/2005, p. 34. 147 Ai fini pratici di questa trattazione, vale comunque delineare i progetti di legge presentati nella XIII legislatura, i quali contengono tratti del tutto simili fra loro: danno una definizione concettuale di mobbing; individuano i possibili fautori tra i datori di lavoro, i superiori gerarchici e quelli di pari grado; prevedono responsabilità disciplinari per gli agenti e un maggiore obbligo di attenzione in capo al datore sulla verifica delle denunce e sulle modalità d‟intervento per limitare gli effetti; attribuiscono al datore un generico onere di prevenzione ed informazione; definiscono le azioni di tutela ed i relativi aspetti sanzionatori che possono essere di natura civile o penale. Nella XIV legislatura il problema del mobbing continua ad essere al centro di iniziative in entrambi i rami del Parlamento 320. Anche in questi progetti di legge i punti di contatto sono molteplici ed interessano gli elementi definitori, l‟individuazione degli attori, l‟assenza o meno di uno specifica finalità di danneggiamento del lavoratore, una maggiore consapevolezza delle problematiche endoaziendali da affrontarsi in apposite assemblee o in specifiche strutture, gli aspetti sanzionatori o ripristinatori dello status della vittima e la valutazione equitativa da parte del giudice del danno patito, senza però ricondurre il danno da mobbing in una sola delle fattispecie conosciute (danno biologico, danno esistenziale o danno morale) 321. Tra le diverse proposte appare opportuno prestare maggiore attenzione alla bozza di legge elaborata dalla Commissione per l‟analisi e lo studio delle politiche di gestione delle risorse umane e le conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori, nell‟ambito della pubblica amministrazione, istituita nell‟ottobre del 2002 dall‟allora Ministro della funzione pubblica Franco Frattini. Questo organismo, presieduto dal prof. Michele Piccione, oltre a dare una definizione ampia della violenza morale e psichica in occasione di lavoro, dedica molto spazio agli aspetti medici, legati alla diagnosi da sindrome correlata. Tale soluzione si sostanzia, in base ad un protocollo valutativo di patologia da stress, nel riscontro di un‟anamnesi positiva per violenza morale o psichica in occasione di lavoro, nell‟accertamento di disturbi fisici o psicopatologici o psicosomatici o del comportamento, diagnosticati secondo le indicazioni dell‟Organizzazione Mondiale della Sanità e nella correlazione di tali disturbi alla conseguenza della violenza morale o psichica in occasione di lavoro, anche in presenza di patologie preesistenti. La definizione di sindrome correlata rappresenta lo strumento principale attraverso il quale il danno da mobbing riceve l‟adeguato riconoscimento come patologia medica fonte di danno alla persona, garantendo così la sua risarcibilità. Il testo poi collega tutta l‟attività preventiva alle norme già contenute nel D.Lgs. 626/1994, in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, attribuendo al datore di lavoro la valutazione dei rischi, l‟adozione delle misure organizzative e gestionali necessarie per la prevenzione, l‟assunzione degli appropiati provvedimenti in caso di conclamata situazione di violenza morale e l‟obbligo di formazione per ciascun dipendente, coinvolgendo in tutte queste scelte il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed il rappresentante per la sicurezza. Quest‟ultimo collabora direttamente con il datore di lavoro promuovendo le misure di prevenzione e segnalando immediatamente le presunte situazioni a rischio. In questo senso la Commissione ministeriale non ha inteso stravolgere il sistema di garanzie già operante nel mondo del lavoro, introducendo figure e soluzioni assolutamente innovative, ma ha esteso ed in alcuni casi solo specificato delle competenze che già ricadevano 320 R.Cosio, Il “mobbing”: alcune riflessioni sul disegno di legge n. S.122, in Foro It., 2004, c. 2320. L. Greco, Danno biologico e mobbing nel rapporto di lavoro, Supplemento di Guida al lavoro, n. 2/2003, p. 80 e ss. 321 148 in capo al datore di lavoro, al medico competente ed al responsabile della sicurezza. Si tratta indubbiamente di una scelta sensata se si considera che tali figure sono ormai da tempo operative nei luoghi di lavoro ed hanno già sotto monitoraggio tutto l‟ambiente lavorativo. Un altro aspetto qualificante del disegno di legge è quello relativo all‟individuazione di centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza morale o psichica in occasione di lavoro, i quali sono interconnessi a livello nazionale e prevedono adeguate figure professionali, debitamente formate, quali il medico legale, il medico del lavoro, lo psichiatra, lo psicologo clinico e lo psicologo del lavoro. Infine l‟aspetto giuridicamente più rilevante è quello di una procedura cautelare da attivarsi innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro che, nell‟arco dei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, può emettere un decreto motivato ed immediatamente esecutivo, con il quale ordina la cessazione di tutti gli atti, gli atteggiamenti e le condotte pregiudizievoli, oltre ad ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti. Avverso la pronuncia inibitoria del giudice si può fare opposizione innanzi alla medesima autorità che ha emesso il decreto, entro quindici giorni e il giudizio che si insatura compone la questione con la sentenza emessa a seguito della procedura di cui all‟art. 413 c.p.c. Nella causa di opposizione il lavoratore può inoltre richiedere il risarcimento del danno conseguente alla violenza morale o psichica determinatasi in occasione di lavoro. Il procedimento ideato per limitare l‟espandersi del mobbing consente una tutela ancora più immediata di quella ordinaria, sino ad oggi utilizzata, nel processo del lavoro. Infatti seppure quest‟ultimo tipo di procedimento speciale ha i caratteri dell‟oralità e della rapidità, in quanto attivato a difesa di un diritto costituzionale fondamentale e con profili economici assolutamente rilevanti, la procedura del disegno di legge “Piccione” si presenta ancora più snella ed essenziale, comprimendo, anche con l‟espressa esclusione dello svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, i tempi della normale vita processuale, ma mantenendo inalterato il diritto al contraddittorio ed alla difesa, propri del nostro ordinamento giuridico. Si rileva infine che la bozza legislativa in argomento sgancia dal giudice ordinario la competenza della decisione sul mobbing nei rapporti di lavoro delle pubbliche amministrazioni che sono rimasti a regime pubblico (art. 3 del D.Lgs. 165/2001) ribadendo la competenza del Tribunale amministrativo regionale che si pronuncerà però sulla medesima procedura. Il disegno di legge si chiude con l‟espressa previsione della liquidazione da parte del giudice di ogni danno conseguente a violenza morale o psichica in occasione di lavoro, ivi compresi il danno biologico e quello esistenziale, anche in maniera disgiunta. Come si può ben comprendere parlando di leggi a tutela delle vittime di comportamenti vessatori sul posto di lavoro, vi è un alto rischio di inflazione e di strumentalizzazione dei contenuti che esse possono racchiudere, senza che per converso si trovi il giusto contemperamento delle esigenze, da un lato, di sicurezza e certezza del reddito del lavoratore e, dall‟altro, di organizzazione e gestione per l‟azienda, economicamente vantaggiose, per l‟ente pubblico, efficaci ed efficienti per l‟intera collettività. Un esempio di questo rischio lo si evince dal disegno di legge n. 3255 (d‟iniziativa del senatore Magnalbò), presentato in Senato, che rappresenta l‟unificazione di diverse proposte di legge già depositate. In tale articolato vi è l‟espressa previsione della condanna ad una pena fino a quattro anni (art. 4), con tanto di circostanze aggravanti, a carico di colui il quale venga riconosciuto colpevole di avere posto in essere atti o comportamenti ricon- 149 ducibili alle fattispecie indicate nell‟ambito della definizione di mobbing (art. 1) 322. Si comprende l‟intenzione di un siffatto precetto che si inserisce pacificamente nell‟ambito della teoria della prevenzione generale per cui la pena serve ad impedire che i consociat i delinquano, svolgendo così un effetto di dissuasione (la minaccia di una conseguenza negativa quale deterrente) e di persuasione (l‟essere condannati costituisce sempre un‟lesione alla propria immagine sociale); tuttavia la formulazione si presta a diverse problematiche applicative laddove, come noto, le azioni mobbizzanti possono essere anche determinate dall‟attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto (art. 1, comma 2, lett. i). Ne deriverebbe quindi che una lettura avulsa dal reale contesto lavorativo, non inquadrata in un‟unicità organica di atti ed atteggiamenti lesivi, potrebbe per assurdo portare a definire quale reato qualsivoglia azione demansionante posta in essere dal datore di lavoro. Auspicabile quindi che il legislatore si orienti a licenziare un testo che fornisca utili strumenti di difesa e di prevenzione per oil lavoratore, soprattutto sul versante probatorio, che facili mezzi di condizionamento da utilizzare contro la parte datoriale. La disamina dei diversi testi depositati nel corso del tempo presso i due rami del Parlamento fanno comprendere che qualsiasi ipotesi di definizione specifica del fenomeno è destinata a non raggiungere il successo atteso ed invocato spesso dai lavoratori, poiché il rischio è quello di vedere escludere qualcuna delle multiformi modalità persecutorie possibili nei casi della vita. Sulla scorta di tale considerazione alcuni autorevoli autori hanno quindi sottolineato che la tutela di cui si ricerca da tempo la formalizzazione normativa non passa attraverso una nuova definizione del mobbing o alla sua incriminazione penalistica o, ancora, all‟inversione ed agevolazione dell‟onere probatorio o alla creazione di un nuovo procedimento speciale e sommario, bensì deve passare attraverso la previsione ed attuazione di: comitati paritetici tra rappresentanze sindacali unitarie ed aziendali (r.s.u. e r.s.a.) e rappresentanze degli imprenditori, con il compito di monitorare e prevenire gli illeciti di durata pregiudizievoli della persona; introduzione di una penale patrimoniale sganciata da un danno da riparare e proporzionata alla permanenza dell‟illecito, che il giudice va a stabilire e che può eventualmente riassorbire gli eventuali risarcimenti; introduzione di un arbitrato irrituale non obbligatorio che le parti concordemente possono impiegare in via alternativa alla giurisdizione ordinaria 323. Questo semplice insieme di strumenti normativi convince soprattutto per la semplicità e l‟efficacia con i quali si può dare rapida risposta alle richieste dei lavoratori. L‟inerzia del legislatore nazionale sull‟argomento mobbing viene in minima parte coperta dagli innumerevoli indirizzi che provengono da fonti comunitarie, poi recepite dall‟ordinamento interno. A tale proposito si segnalano il D.Lgs. 215/2003 ed il D.Lgs. 216/2003, attuativi, rispettivamente, della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall‟origine etnica e della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, i quali contengono importanti elementi di aiuto sia per l‟individuazione di eventuali casi di mobbing, così come si è avuto modo di definirlo precedentemente, sia per le forme di tutela abbreviata che si possono attivare. Questi provvedimenti vanno infatti puntualmente a definire il significato di discriminazione, qualificandola come diretta od 322 323 Si consulti il sito www.senato.it consultato da chi scrive il 25/02/2005. A. Vallebona, Mobbing senza veli, in Bollettino ADAPT "Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi" - www.csmb.unimo.it - n. 34 del 30 settembre 2005, consultato da chi scrive il 02/10/2005. 150 indiretta: la prima si ha quando la persona a causa, ad esempio, della razza o delle convinzioni personali è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un‟altra persona in una situazione analoga; mentre c‟è discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto od un comportamento apparentemente neutri possono mettere persone, ad esempio, di una determinata razza o che professano una determinata ideologia, in una situazione o in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone. Queste prime definizioni sono di indubbio aiuto per fornire agli interpreti un canone giuridico nuovo di discriminazione, soprattutto introducendo il concetto del raffronto tra soggetti penalizzati e non penalizzati. Ma il D.Lgs. 216/2003, fornisce un‟ulteriore definizione di atto discriminatorio che si avvicina molto al concetto dato di mobbing, in quanto fa rientrare espressamente le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi quali la religione, l‟handicap, l‟età, le convinzioni personali e l‟orientamento sessuale, aventi lo scopo o l‟effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo (art. 2, comma 3, D.Lgs. 216/2003). Alcuni autori hanno avuto modo di evidenziare che il testo di quest‟ultimo decreto segue pedissequamente l‟indicazione della direttiva senza peraltro procedere ad una definizione precettiva e complessiva del fenomeno mobbing, come si sarebbe potuto auspicare 324. Sotto un altro aspetto però si sono valutate positivamente queste discipline soprattutto nella parte relativa alle modalità di deduzione della sussistenza dei comportamenti illegittimi (art. 4, comma 3 del D.Lgs. 215/2003 e art. 4, comma 4 del D.Lgs. 216/2003), caricando così il datore di lavoro dell‟onere di dimostrare la non discriminatorietà degli atti posti in essere ovvero la loro non imputabilità 325. Occorre infine rilevare che entrambi i provvedimenti legano la tutela giurisdizionale alle norme previste nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell‟immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al D.Lgs. 286/1998, dettandone peraltro una apposita e sostitutiva, che delinea un nuovo sistema omogeneo incidente sulle fase conciliativa, prevista dall‟art. 410 c.p.c., sull‟onere della prova e sulle modalità di rimozione della discriminazione e dell‟eventuale risarcimento del danno. La peculiarità del sistema probatorio ivi previsto è definita dalla possibilità di dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi precisi e concordanti, che sono assimilati, per forza probatoria alle presunzioni semplici. La procedura di cui all‟art. 4 del D.Lgs. 216/2003, ribadendo la competenza del giudice del lavoro alla risoluzione delle controversie derivanti da discriminazione, introduce un elemento ulteriore di novità che interessa i legittimati ad agire. Infatti si provvede ad allargare la schiera dei soggetti che possono promuovere l‟azione anche nei confronti di rappresentanze locali delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale, le quali, oltre ad essere indubbiamente quelle sindacali, potrebbero essere rappresentate dalle realtà associative che sono sorte a difesa ed ausilio delle vittime del mobbing. In questo senso è forse possibile ritenere che le tante associazioni sorte per difendere ed aiutare le vittime da mobbing potranno anch‟esse agire in nome e per conto o soltanto a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro le persone fisiche o giuridiche responsabili dei comportamenti dannosi. L‟ordinamento giuridico italiano conosce già delle azioni che possono essere avviate a tutela di interessi diffusi della collettività da soggetti qualificati e diversi da quello direttamente interessato. Si pensi ad esempio 324 D. Gottardi, Discriminazioni sul luogo di lavoro: recepita la direttiva comunitaria, in Guida al lavoro, 34/2003, p. 40. 325 S. Mazzzamuto, op. cit., p. 76. 151 alla previsione, sempre di matrice comunitaria, dell‟art. 1469-sexies del c.c. che, nell‟ambito della tutela del consumatore, consente alle associazioni rappresentative dei consumatori e dei produttori ed alle camere di commercio, industria ed artigianato di convenire in giudizio il professionista o l‟associazione di professionisti che utilizzano delle condizioni generali di contratto abusive e vessatorie, per ordinarne la loro inibizione ed inutilizzabilità. Questo genere di azione ha radici anglosassoni e si può ricondurre alle class action americane dove è offerto ad un singolo soggetto la possibilità di far valere in giudizio non soltanto il proprio diritto, ma anche quello di moltissimi altri soggetti, senza che questi ultimi diventino parti in senso formale del processo instaurato 326 . Accanto alle meritorie iniziative parlamentari, si deve anche segnalare l‟attenzione che il Parlamento Europeo ha inteso dare al problema delle violenze sul posto di lavoro, con l‟approvazione della risoluzione A5-0283 del 20 settembre 2001 327. Pur non rappresentando un atto direttamente precettivo da parte degli Stati aderenti, essa è molto importante in quanto inserisce il mobbing in contesto di analisi relativo al sistema del mondo del lavoro, alle conseguenze dirette delle vittime ed a quelle degli altri soggetti coinvolti quali la famiglia o l‟azienda. La risoluzione esorta quindi gli Stati a prendere in considerazione la gravità del problema ed ad intervenire conseguentemente a vari livelli. Oltre alla risoluzione del Parlamento, anche la Commissione Europea è intervenuta sulla questione, nella comunicazione del 11 marzo 2002 “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006”, dalla quale emerge la netta convinzione dell‟esecutivo di trovare nell‟iniziativa legislativa comunitaria la risposta più concreta alle varie forme di malattia psicologica ed alle violenze sul lavoro. L‟analisi delle proposte di legge sopra riportate e dei documenti emanati dall‟Unione Europea portano a considerare indispensabile uno strumento legislativo specifico per il mobbing solamente se si individuano dei mezzi di difesa e di prevenzione tali da consentire una rapida risoluzione della vicenda, con il contenimento del maggior numero di danni e di conseguenze per il lavoratore e per l‟azienda. Peraltro l‟equilibrio normativo deve essere raggiunto con una serie di disposizioni che non prestino il fianco a facili accuse di mobbing e che permettano sempre una valutazione obiettiva dei fatti concreti, poiché in questo settore non vi sono schemi predefiniti, comportamenti codificati, bensì una miriade di azioni legate da un unico nesso eziologico: l‟eliminazione del lavoratore. In questo senso si rendono necessarie delle previsioni che consentano alla vittima un‟acquisizione facilitata delle prove e, dove possibile, un‟inversione dell‟onere probatorio in capo al datore di lavoro che sia chiamato a dimostrare di avere tenuto un co mportamento di garanzia del proprio personale. 4. La buona volontà delle Regioni 4.1 Aspettando il Parlamento La normativa in materia deve inoltre registrare l‟apprezzabile tentativo di alcune Regioni di colmare il quadro legislativo nazionale con provvedimenti specifici assunti nell‟ambito delle proprie potestà. E‟ il caso della legge regionale del Lazio n. 16/2002 (Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro), che è stata peraltro già oggetto di giudizio costituzionale sulla propria compatibilità con le norme fondamentali della 326 327 F. Tommaseo, Appunti di diritto processuale civile. Nozioni introduttive, Giappichelli, 1995, p. 189. Si veda il sito www….. 152 Repubblica. La regione aveva infatti provveduto a descrivere il mobbing secondo la ben nota definizione già condivisa dagli studiosi e dalla giurisprudenza; aveva inoltre previsto l‟istituzione di una serie di strutture come i centri anti-mobbing, l‟osservatorio regionale, nonché attribuito agli organi paritetici di cui alla legge 626/1994 ed agli Enti locali l‟assunzione di iniziative per la sensibilizzazione e l‟informazione dei lavoratori nei confronti del fenomeno. La Corte Costituzionale, con la sentenza del 10-19 dicembre 2003, n. 359, ha dichiarato l‟illegittimità della suddetta legge, anche in presenza del dichiarato intento del legislatore regionale di svolgere una funzione di copertura della lacunosità normativa nazionale, alla quale comunque si sarebbe conformata una volta che il Parlamento si fosse espresso in materia. Osservano infatti i giudici di legittimità che la legislazione in materia di mobbing riguarda contemporaneamente la prevenzione e la repressione dei comportamenti dei soggetti attivi del fenomeno, le misure di sostegno psicologico e, se del caso, l‟individuazione dei rimedi medici e giuridici che la vittima può attivare a difesa della propria salute e dei propri diritti. Considerando specificatamente l‟aspetto giuridico del vessazioni e l‟esperienza sino ad ora condotta dai tribunali, la Corte ha affermato che la disciplina in questione rientra nell‟ambito dell‟ordinamento civile, quindi di esclusiva competenza dello Stato, ai sensi dell‟art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.; per contro, nella parte esclusivamente legata alle questioni sulla salute fisica e psichica, essa costituisce materia di legislazione concorrente, per cui alle regioni spetta la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, che permane in capo allo Stato (art. 117, terzo comma, Cost.). Sulla scorta di queste premesse sistematiche è stato quindi rilevato che proprio nella definizione di cui all‟art. 2 della legge regionale si registra la prima illegittimità costituzionale nella misura in cui le diverse fattispecie così come previste, sono penalmente rilevanti oppure integrano violazioni tipiche degli obblighi del datore di lavoro; il dettato normativo non rispetta in questo caso l‟equilibrio previsto dalla Costituzione tra le norme dello Stato e quelle della Regione, la quale, in carenza di una legge nazionale, non ha comunque, seppure in via provvisoria, poteri illimitati di legiferare sul terreno dei principi fondamentali. In chiusura i giudici costituzionali ammettono indubbiamente un potere d‟intervento normativo regionale limitato però esclusivamente all‟individuazione delle misure di sostegno idonee a studiare il mobbing in tutti i suoi profili ed a prevenirlo o limitarlo in nelle sue conseguenze 328. 4.2 Una novità resistente: la legge regionale 8/2005 della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia In questo senso anche la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia ha recentemente licenziato una disciplina in materia (legge regionale 8 aprile 2005, n. 7 “Interventi regionali per l’informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell’ambiente di lavoro”) 329che, facendo tesoro dell‟esperienza negativa della Regione Lazio, ha strutturato un articolato tale da consen- 328 Corte Cost., 10-19 dicembre 2003, n. 359, in www.cortecostituzionale.it, consultato da chi scrive il 09/02/2004. A. Loffredo, Mobbing e regionalismo: chi deve tutelare il “piacere di lavorare”, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2003, II, p. 1208 e ss. 329 Si veda il testo pubblicato sul B.U.R. del 13 aprile 2005, n. 15 sul sito www.regione.fvg.it. . 153 tire la sensibilizzazione dell‟opinione pubblica al problema, ma, soprattutto, da predisporre un‟adeguata azione di prevenzione. Le finalità della legge sono proprio quelle di contribuire ad accrescere la conoscenza del fenomeno delle molestie morali e psicologiche nell‟ambito del lavoro subordinato, denominate mobbing ed a promuovere iniziative di prevenzione e sostegno a favore dei lavoratori che si ritengono colpiti, nella generale prospettiva di un miglioramento della qualità della vita e delle relazioni sociali (art. 1). A differenza della legge regionale del Lazio, la disciplina del Friuli – Venezia Giulia non si cura di dare definizioni complete ad un fenomeno dai molteplici risvolti, ma si limita solamente a collegare questo ai concetti di molestie morali e psico-fisiche già descritte dal legislatore nazionale. Nessuna censura d‟incostituzionalità può quindi essere mossa sulla base dei presupposti di riserva assoluta di legge da parte dello Stato. L‟accrescimento della conoscenza sul mobbing deve essere svolta attraverso la realizzazione di progetti promossi dalla Regione e presentati o da associazioni con comprovata esperienza pluriennale nel settore o da Enti locali (art. 2), venendosi così a determinare quell‟indispensabile collegamento con le realtà sociali, pubbliche e private, che hanno funzioni riconosciute di intervento ed aiuto a favore dei lavoratori. I progetti devono prevedere l‟attivazione di appositi centri di sostegno denominati “Punti di Ascolto”, chiamati a svolgere le attività di aiuto a carattere psicologico, morale e legale; inoltre devono operare affiancamento ed informazione, formazione ed aggiornamento di operatori qualificati per affrontare le tematiche del mobbing (art. 3). La Regione peraltro mantiene in capo a sé, attraverso la Commissione regionale per le politiche attive del lavoro, le funzioni valutazione dei progetti di sensibilizzazione da ammettere a finanziamento regionale, nonché quelle di promozione di studi, ricerche, campagne informative e programmi di formazione per gli operatori dei “Punti di Ascolto” e per i dipendenti pubblici e privati. L‟impianto normativo delineato dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia si limita dunque a prevedere esclusivamente strumenti di informazione e prevenzione, coordinati fra loro, nell‟ambito delle potestà speciali assegnate dallo Statuto, evitando così di entrare nella sfera di competenza esclusiva della legislazione dello Stato chiaramente ribadita per questa materia dalla succitata sentenza della Corte Costituzionale n. 359/2003. Al di là di un commento su uno strumento giuridicamente valido al raggiungimento degli obiettivi per i quali è stato emanato, la grande sfida rappresentata in questo testo sta proprio nella creazione di una sensibilità speciale al mobbing che appare necessario dare. Si ritiene quindi che li aspetti valutativi sul miglioramento delle situazioni lavorative e sociali su cui insiste il fenomeno, debbano essere sviluppati solo dopo l‟attivazione di tutti i mezzi previsti nella disciplina regionale. 5. Contenimento del problema Nell‟attesa della specifica legislazione nazionale sulla materia, è opportuno segnalare che l‟esigenza di contenere e limitare il più possibile il mobbing è stata avvertita a vari livelli del settore pubblico e privato, dai quali sono scaturiti interessanti laboratori di prevenzione, informazione e sicurezza. La contrattazione collettiva è sicuramente la sede deputata a realizzare momenti di confronto tra la parte datoriale e quella sindacale, rappresentativa delle necessità dei lavoratori, da cui poi sorgono quegli istituti condivisi di gestione del personale che servono a contenere fenomeni delicati quali il mobbing. Accanto ai primissimi contratti che 154 riconoscevano la gravità delle violenze morali e delle persecuzioni psicologiche sul posto di lavoro, si sono aggiunti altri che in maniera puntuale e specifica hanno fatto corrispondere all‟atto o comportamento vessatorio una specifica sanzione disciplinare, come ad esempio il CCLN 1998-2001 per il personale delle Università. Su questa strada, e ciò a dimostrazione che l‟attenzione data al mobbing nella pubblica amministrazione assume sempre più importanza, l‟art. 6 del CCLN 2002-2005 per il comparto Ministeri, sottoscritto in data 12 giugno 2003330 ha previsto espressamente nell‟ambito delle forme di partecipazione l‟istituzione di appositi Comitati paritetici presso ciascuna amministrazione, con il compito di raccogliere ed elaborare i dati relativi al fenomeno, individuandone così le cause ed elaborandone proposte di azione in prevenzione ed informazione. Il ruolo dei comitati ha quindi una duplice valenza poiché, oltre ad interessarsi delle cause di sviluppo e delle conseguenze del mobbing, ha il compito proporre specifici interventi formativi attraverso i quali affermare una cultura organizzativa che comporti maggiore consapevolezza della gravità del fenomeno e favorire la coesione e la solidarietà dei dipendenti, attraverso una specifica conoscenza dei ruoli e delle dinamiche interpersonali, in un‟ottica di recupero della motivazione e del senso di appartenenza all‟ambiente lavorativo. Lo strumento contrattuale così congegnato tende ad armonizzare le diverse esigenze delle parti interessate, in quanto la parte datoriale punta all‟eliminazione di ogni forma di conflittualità interna che ne compromette la funzionalità amministrativa, mentre la parte sindacale vede garantiti i lavoratori dalle diverse forme di violenza, il tutto armonizzato in una comune strategia di coesione nella quale i principali interpreti sono proprio i lavoratori. Ma se nel pubblico impiego esistono i comitati, nel settore privato l‟attenzione è anch‟essa alta, tanto da andare ad istituire o implementare le Commissioni paritetiche permanenti per le pari opportunità, come ad esempio nel caso dell‟accordo di rinnovo del contratto delle Compagnie aree straniere, del 9 dicembre 2004 331. Un‟altra soluzione che può essere assunta per fronteggiare il mobbing è quella di prevedere specifici codici di condotta a tutela della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. È il caso ad esempio del Comune di Palermo, dell‟Azienda sanitaria n. 10 di Firenze o della Provincia di Ragusa, tutti enti che hanno assunto provvedimenti organizzatori interni attraverso cui tentano di fronteggiare le molestie morali e psicologiche che si sviluppano presso le loro sedi. In tutte queste realtà vengono previsti espressamente degli organi di controllo interni cui le vittime possono rivolgersi, delle procedure di rimozione delle singole situazioni di disagio e delle attività di prevenzione ed informazione. Nell‟ambito delle misure di contenimento e limitazione del problema si deve inoltre segnalare che il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 dedica ampio spazio alla salute ed alla sicurezza nell‟ambiente di lavoro, evidenziando che la trasformazione delle condizioni di lavoro e la accresciuta competitività, unitamente ai nuovi modelli organizzativi introdotti per rispondere efficacemente a queste sollecitazioni, stanno creando nuovi rischi. Conseguentemente sono in aumento anche le nuove patologie derivanti da fattori psico-sociali associati a stress, per le quali si rende necessario una rivisitazione del sistema normativo in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che assicuri il progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro. Rimanendo sempre nell‟ambito gestionale dei rapporti di lavoro e dei conflitti che ne scaturiscono, alcuni autori riservano interessanti aspettative nell‟introduzione anche in Italia del sistema alternativo di risoluzione delle controversie. Si tratta infatti di uno 330 331 Si veda il sito www.areran.it In Guida al lavoro, n. 4/2005, p. 38. 155 strumento di importazione anglosassone che appare essere di grande efficacia per affrontare il problema del mobbing e si basa fondamentalmente nell‟individuare in azienda la figura del mediatore/ conciliatore dei conflitti. Partendo proprio dalla considerazione che il contrasto relazionale in ambito lavorativo è un processo continuato, amorfo ed intangibile, che si manifesta con le liti, le competizioni, i sabotaggi, l‟inefficiente o scarsa produttività, il clima negativo, l‟assenza dei flussi comunicativi, il conciliatore assume il ruolo chiave di colui che deve aiutare le parti contrapposte a identificare e classificare il conflitto, per poi farne comprendere le reali motivazioni e gli effettivi bisogni che animano i comportamenti personali; infine ha l‟onere di delineare e far condividere una soluzione reciprocamente favorevole alle parti 332. Innanzi all‟enucleazione di quello che dovrebbe essere il percorso di mediazione in una situazione di violenza psicologica, emerge subito chiaramente la grande difficoltà applicativa di un modello siffatto, laddove il coinvolgimento emotivo e la sofferenza delle persone è molto elevata. Tuttavia se si considera che la sofferenza è determinata soprattutto dal danno che la vittima riceve, allora il riconoscimento di tale stato d‟animo permette di stabilire una distanza dal proprio vissuto, di oggettivarlo iniziando a ricercare un diverso modo per gestire il dolore. Da qui la grande differenza, sotto l‟aspetto umano, del processo di mediazione che, a differenza di quello giudiziale dove il magistrato valuta e decide del fatto in sé, offre alle parti l‟aiuto, l‟ascolto e la guida di chi comprende la realtà aziendale, la vive e ricerca in ciascuno ed ottiene da ciascuno l‟esplicitazione delle pulsioni mot ivazionali che stanno dietro al conflitto 333. Il fascino dunque del prevedere questo tipo di figura professionale sta proprio nella manifesta consapevolezza per l‟organizzazione che dal conflitto può e deve sorgere una nuova fase della relazione interpersonale, migliorativa delle condizioni dei diretti interessati e della struttura stessa, arrecando un complessivo benessere alla collettvività. Al fascino però si accompagna l‟elevato grado di complessità dell‟attività che il mediatore è chiamato a svolgere in ambito aziendale, poiché esso non può seguire schemi e percorsi predeterminati, bensì deve creare nuovi meccanismi e nuove relazioni innanzi a ciascuna vicenda. D‟altra parte uno sforzo così rappresenta un giusto costo per il contenimento del fenomeno mobbing. Oltre ai rimedi di carattere generale ed organizzativo che necessariamente passano attraverso l‟azione combinata delle rappresentanze sindacali, degli organismi di categoria e, più in generale, dell‟informazione ai cittadini, si tiene ad indicare alcuni suggerimenti da tenere a mente se si è bersaglio delle attenzioni violente di qualche collega o superiore. La premessa è quella per cui la persona indebolita da una costante ed efferata offensiva psicologica vorrebbe affidarsi a qualcun altro per risolvere i propri problemi. Ebbene, nella consapevolezza dell‟estrema difficoltà in cui ci si trova a vivere, nessuna persona è in grado di risolvere il problema meglio che di quella che ne è direttamente coinvolta. Ecco che in questo caso il ruolo del mediatore, in parte, o l‟aiuto di un‟altra figura di importazione anglosassone, quale è il counselor, possono servire a far tirare fuori alla vittima la forza per affrontare il conflitto. Frequentemente chi è vessato ritiene di essere inadeguato al ruolo, di avere sbagliato, rappresentando però questi stati d‟animo solo la conseguenza del problema. Quindi una maggiore consapevolezza dell‟estraneità dalla propria persona del conflitto aiutare a combattere meglio e, soprattutto serve ad attuare altre forme di difesa che possono costituire elementi utili per una 332 I. Buzzi, Introduzione alla conciliazione – Principi fondamentali e applicazione della mediazione ai conflitti aziendali e commerciali, Milano, 2003, p. 110. 333 M. Martello, Intelligenza emotiva e mediazione – Una proposta di formazione, Milano, 2004, p. 91. 156 contestazione formale (ad esempio davanti al giudice) del proprio vissuto lavorativo. In questo senso la raccolta delle informazioni è uno degli aspetti più importanti, in particolar modo quelle relative all‟ambiente aziendale e ai fatti che accadono alla vittima. Quest‟attività è sicuramente difficile, ma è quella che serve a costruire il quadro di riferimento entro il quale si sviluppa il mobbing; una volta che si ha raggiunto questa consapevolezza, l‟azione difensiva deve svilupparsi su diversi versanti: quello della denuncia e del coinvolgimento delle altre persone. In tutti questi casi è bene trovare degli alleati, che si trovano all‟interno del contesto (sindacati, colleghi, comitati paritetici, punti d‟ascolto) o all‟esterno (associazioni, medici, avvocati) che supportino e consiglino sulle decisioni e sulle azioni da intraprendere, evitando di oltrepassare il limite della legittima reazione e difesa 334. L‟obiettivo quindi è sì quello di far cessare ogni forma di sopruso di cui si è vittime, ma puntando ad eliminare in via definitiva questo malcostume organizzativo. Bibliografia indicativa ACCORNERO A., Il mondo della produzione- Sociologia del lavoro e dell'industria, 1994, Il Mulino - BOLOGNA AMATO F., CASCIANO M. V., LOFFREDO A., Il mobbing - Aspetti lavoristici: nozione, responsabilità, tutele, 2002, Giuffrè Editore - MILANO ASCENZI A., BERGAGIO G. L., Mobbing: riflessioni sulla pelle, 2002, Giappichelli - TORINO AUDITORE M., Il mobbing come problema giuridico, http://www.giurisprudenza.it, consultato 19/05/2005 BALLESTRERO M.V., DE SIMONE G. Diritto del lavoro - Domande e percorsi di risposta, 2001, Giuffrè Editore - MILANO BANO F., Quando l‟aggressione ai danni del superiore gerarchico non è insubordinazione, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 19 dicembre 1998, n. 12717, Rivista italiana diritto del lavoro, 1999,II BARCA A., Il mobbing negli Stati uniti d'America, In Dalla disgrazia al danno, a cura di Alexandra Braun, 2004, Giuffrè Editore - MILANO BARILATI M., Le nuove frontiere del pubblico impiego, Nuova Rassegna, n. 7/2001 BATTISTA L., Il mobbing quale fattispecie della giurisprudenza, Guida al lavoro 19/2005, BERTORELLO V., Ostilità, trascuratezza, indifferenza: il mobbing nei sistemi inglesi e francese In Dalla disgrazia al danno, a cura di Alexandra Braun, 2004, Giuffrè Editore - MILANO BIANCA C. M., PATTI G., PATTI S., Lessico di diritto civile, 1995, Giuffrè Editore - MILANO BOCCOMINO M., Il "mobbing" tra danno biologico e danno esistenziale, In Dalla disgrazia al danno, a cura di Alexandra Braun, 2004,Giuffrè Editore - MILANO BONA M., Infortuni e "mobbing" nel pubblico impiego: questioni preliminari nell'azione risarcitoria, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 8/2001 BOSCATI A., Mobbing e tutela del lavoratore: alla ricerca di una fattispecie vietata, Diritto delle relazioni industriali, n. 2/2001 BRIZI S., Il mobbing alla luce della circolare Inail n. 71 del 17 dicembre 2003, L'Amministrazione italiana, n. 7-8/2004 BUZZI I., Introduzione alla conciliazione - Principi fondamentali e applicazione della mediazione ai conflitti aziendali e commerciali, 2003, Giuffrè Editore - MILANO CACCAMO A., MOBIGLIA M. , Mobbing: tutela attuale e recenti prospettive, Diritto & Pratica del lavoro, n. 18/2000 – Inserto CALAFA' L. , Tra mobbing e mero conflitto: un‟ipotesi di legittima reazione a un atteggiamento incivile del datore di lavoro, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 16 giugno 2001, n. 8173, Rivista italiana diritto del lavoro, 2002, II CARACUTA F., Il "mobbing" e la tutela giudiziaria, http://www.pegacity.it/justice/impegno/caracuta_mobbing.html , consultato 16/04/2003 CASILLI A., Stop mobbing - Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, 2001,Derive Approdi - ROMA 334 A.Casilli, Stop mobbing – Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Roma, Edizioni Derive e approdi, 2001, p. 99 e ss. 157 CASSANO G., La responsabilità civile con due (belle?) gambe e non più zoppa, http://www.altalex.com/index.php?idnot=6334&print=true&idstr=0 ,consultato 11/02/2004 CASTEL R., L'insicurezza sociale - Che significa essere protetti, 2004, Eiunaudi - Gli struzzi - TORINO CENDON P., Anche se gli amanti si perdono l'amore non si perderà (impressioni di lettura su Cass. 8828/2003) http://www.altalex.com/index.php?idnot=6335&print=true&idstr=0 , consultato 11/02/2004 CENDON P., ZIVIZ P., Vincitori e vinti dopo la sentenza n. 23372003 della Corte Costituzionale http://www.altalex.com/index.php?idnot=6352&print=true&idstr=0 , consultato 11/02/2004 CIAMPI F., Il datore di lavoro non dovrebbe contestare il certificato rilasciato dai medici dell‟INPS, nota di commento a Cass. Civ. sez. lav., 23 settembre 1998 – 19 gennaio 1999, n. 475, Guida al diritto, n. 5/1999 CORVINO A., Mobbing: ne vale la pena, Bollettino ADAPT "Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi" - www.csmb.unimo.it - n. 34 del 30 settembre 2005, consultato 2/10/2005 COSIO R., Il mobbing: alcune riflessioni sul disegno di legge n. S 122., Foro Italiano, 2004, I, c. 2320 CUNARDI M., Ancora sull'incerta fattispecie di mobbing nelle P.A., Il lavoro nella pubblica amministrazione p. 573/2003 D'AMBROSIO A., Il mobbing nelle pubbliche amministrazioni, ARAN NEWSLETTER, n. 6/2002 D'APONTE M. , Molestie sessuali e licenziamento: è necessaria la prova del c.d. mobbing, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 8 gennaio 2000, n. 143, Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, II DE ANGELIS L., Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore, nota di commento a Tribunale di Torino, sentenza 11 dicembre 1999, Foro Italiano, 1999, I, sez. II, c. 1557. DE COMPADRI L., Mobbing: annullata la circolare Inail n. 71/2003, Guida al lavoro, n. 30/2005 DE FALCO G., Mobbing, dal TAR del Lazio un disco rosso per l'Inail, Ambiente & sicurezza sul lavoro 9/2005 DE FAZIO G., Vessazioni sul posto di lavoro: non solo mobbing, Guida al lavoro, n. 31/ 2005 DE LUISE E., Il mobbing, , 2003, Edizioni Finanza e Lavoro DI MARZIO P., Mobbing: la tutela del lavoratore nella sede civile e in quella penale - Da ritenersi insufficienti le attuali previsioni normative, D&G - Diritto e giustizia, n. 1/2003 DI PALMA P., APRILE L., CIRO A., IACOVIELLO P.G., SAVINO E., VECCHIONE V. Lavoro e disagio psichico: il ruolo del medico competente http://www.inail.it/medicinaeriabilitazione/manifestazioni/cagliari/altricontributi/dipalmaeco.doc , consultato 10/10/2004 DI ROCCO M. e SANTI A., La conciliazione - Profili teorici ed analisi degli aspetti normativi e procedurali del metodo conciliativo, 2003, Giuffrè Editore - MILANO EGE H., La valutazione peritale del danno da mobbing, 2002, Giuffrè Editore - MILANO EGE H., Il fenomeno del mobbing: introduzione. Attori. Soluzioni, Nuova Rassegna, n. 7/2001 EGE H., Nota di commento a Tribunale di Como, sentenza del 22 maggio 2001,Il lavoro nella giurisprudenza, 2002, n. 1 FABOZZI R., La tutela della salute nel rapporto di lavoro, 2002, Giuffrè Editore - MILANO FASSINA L., La definizione della fattispecie giuridica: gli atti e comportamenti giuridicamente rilevanti e qualificabili come condotta di mobbing, http://www.cgil.it , consultato 21/06/2002 FAVRETTO G., Le forme del mobbing, 2005, Raffaello Cortina Editore - MILANO FERRANTE V., Commento a Tribunale di Monza - sezione lavoro, decreto ex art. 28 Stat.Lav., 19 dicembre 2000, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 10/2001 FILIPPONE G., Mobbing: abusi nel posto di lavoro. Un allarmante fenomeno sociale in progressione http://www.diritto.it/articoli/lavoro/mobbing2.html , consultato 26/09/2002 FODALE D., La valutazione del danno da mobbing, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale n. 2/2002 GALGANO F., Sommario di diritto civile, 2001, Giuffrè Editore - MILANO GASPARI A., Emergenza mobbing. Le coordinate del problema, Lavoro e previdenza oggi, n. 45/2002, 2002 GILIOLI A. e R., Cattivi capi, cattivi colleghi – Come difendersi dal mobbing e dal nuovo capitalismo selvaggio, 2000, OSCAR MONDADORI. GLINIANSKI S., Il "mobbing": definizione, tipologie e comportamenti mobbizzanti in seno alle autonomie locali. Riflessioni sul tema alla luce delle funzioni e del ruolo del segretario comunale a seguito delle leggi di riforma della categoria, Nuova Rassegna, n. 17/2000. GLINIANSKI S., Mobbing e rapporto di pubblico impiego privatizzato, Nuova Rassegna, n. 1/2001 158 GLINIANSKI S., Mobbing e segretari comunali: necessità di una corretta interpretazione delle funzioni e del ruolo del segretario comunale a seguito delle leggi di riforma della categoria, Nuova Rassegna, n. 7/2001 GOTTARDI D., Mobbing non provato e licenziamento per giusta causa, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 8 gennaio 2000, n. 143, Guida al lavoro n. 4/2000 GOTTARDI D., Discriminazioni sul luogo di lavoro: recepita la direttiva comunitaria, Guida al lavoro, n. 34/2003 GRECO L., Danno biologico e mobbing nel rapporto di lavoro, Supplemento a Guida al diritto, n. 2/2003, 2003 GRECO L., Risarcimento per danno biologico psichico: l'intervento del Tribunale di Alessandria Guida al lavoro, n. 21/2005 GRECO L., Danno biologico: gli effetti del c.d. mobbing, Guida al lavoro n.11/1999 IZZI D., Denuncia di mobbing e licenziamento per giusta causa: chi la fa l‟aspetti ?, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 8 gennaio 2000, n. 143, Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, II LA TORRE G., Mobbing e rapporti conflittuali sul luogo di lavoro, L'Amministrazione italiana, n. 6/2003 LOFFREDO A., Mobbing e regionalismo: chi deve tutelare il "piacere di lavorare"? Il lavoro nella pubblica amministrazione p. 1208/2003 LUISO F.P., Diritto processuale civile, 1999, Giuffrè Editore - MILANO MAIDECCHI D.¸Risarcimento da mobbing: l'azione è contrattuale, http://www.giurisprudenza.it , consultato 19/05/2005 MANNACIO G., Nota di commento a Cass. Civ. sez. lav., 18 ottobre 1999, n. 11727, Il lavoro nella giurisprudenza n.3/2000 MARANGON M., I professionisti dell'antimobbing, L'Amministrazione italiana, n. 6/2005 MARESCA A., CIUCCIOVINO S., Mansioni, qualifiche e ius variandi Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale - Il lavoro pubblico e privato (a cura di Santoro Passarelli G.), 2000, IPSOA - MILANO MARGIOTTA S., Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale - Il lavoro pubblico e privato (a cura di Santoro Passarelli G.), 2000, IPSOA - MILANO MARTELLO M., Intelligenza emotiva e mediazione - Una proposta di formazione, 2004, Giuffrè Editore - MILANO MARTELLO S., Il mobbing - Brevi cenni e riflessioni in merito al fenomeno del mobbing http://www.diritto.it/articoli/lavoro/martello.html , consultato 26/09/2002 MASTROBERNARDINO P., Il mobbing e il danno biologico, Atti del corso Paradigma 14 novembre 2002 MATTO V., Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale, Diritto delle relazioni industriali n. 4/1999 MAZZAMUTO S., Il mobbing, 2004, Giuffrè Editore - MILANO MEUCCI M., Dequalificazione quantitativa/qualitativa, per sottrazione di mansioni secondo la Cassazione http://www.pegacity.it/justice/impegno/dequalificazionequantitativa.html , consultato 16/04/2003 MEUCCI M., Violenza da "mobbing" sul posto di lavoro, http://www.pegacity.it/justice/impegno/violenza_mobbing.html , consultato 16/04/2003 MEUCCI M., Vecchie certezze e nuove riconferme sulla immanenza del danno da demansionamento http://www.pegacity.it/justice/impegno/demansionamento_nuovo.html , consultato 16/04/2003 MEUCCI M., Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_esistenziale.html ¸consultato 17/11/2003 MEUCCI M., Accantonare il dirigente per un anno e mezzo può costare alla banca 100 milioni netti Lavoro e previdenza oggi, n. 1-2/2002 MEUCCI M., Considerazioni sul “mobbing”, Lavoro e previdenza oggi, 1999, III MONATERI P.G., BONA M., OLIVA U., Mobbing: vessazioni sul lavoro, 2000, Giuffrè Editore MILANO MONATERI P.G., BONA M., OLIVA U., La responsabilità civile nel mobbing, 2002, IPSOA - MILANO MUGNAINI D., Sul diritto di critica del prestatore nei confronti del datore di lavoro, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 22 ottobre 1998, n. 1051, Rivista italiana diritto del lavoro, 1999, II NICOSIA L., Mobbing, insidia mortale: ma occorrono le prove, http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_nicosia.html , consultato 18/04/2003 159 NISTICO' F., Mob, Mobber, Mobbing, http://www.pegacity.it/justice/impegno/link3.html , consultato 16/04/2003 NOGLER L., Danni personali e rapporto di lavoro: oltre il danno biologico, Rivista italiana diritto del lavoro, 2002, I NUNIN R., Commento a Tribunale di Milano - sezione lavoro, sentenza del 20 maggio 2000 Il lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2001 NUNIN R., Alcune considerazioni in tema di mobbing, ItalianLabour Law e-Journal, 2001, n. 1 – http://www.dirittodellavoro.it , consultato 25/06/2002 NUNIN R., Nota di commento a Cass. Civ. sez. lav. 2.5.2000, n. 5491, Il lavoro nella giurisprudenza, 2000, n. 9 ORICCHIO M., Il mobbing nel pubblico impiego, http://www.giust.it/articoli/oricchio_mobbing.htm , consultato 23/06/2003 ORSINI L., Mobbing: le linee generali di un fenomeno complesso, ARAN NEWSLETTER, n. 6/2002 OTTONELLO C., Il danno biologico, in particolare le conseguenze del mobbing sull'integrità psicofisica del lavoratore, http://www.pegacity.it/justice/impegno/ottonello.html , consultato 16/04/2003 PAGANO A., Le Sezioni Unite della Cassazione ed il riparto nelle controversie in tema di pubblico impiego mobbizzato:alcune consdierazioni sulla sentenza Sezioni Unite civili n. 8438/2004 http://www.lexitalia.it/articoli/pagano_mobbing.htm , consultato 14/07/2004 PAOLINI C., L'innovazione nel contesto organizzativo e la tutela del lavoratore: brevi spunti, Nuova Rassegna, n. 7/2001 PARISI M., Mobbing collettivo: profili e strumenti di contrasto, Guida al lavoro, n. 27/2005 PARPAGLIONI M., Il danno esistenziale ha il suo ingresso nel diritto del lavoro attraverso il mobbing Rivista italiana diritto del lavoro, 2002,II PASQUINELLI E., Il mobbing, Persone e danno (a cura di Paolo Cendon), 2004, Giuffrè Editore MILANO PERA G., La responsabilità dell‟impresa per il danno subito dalla lavoratrice perseguitata dal preposto ( a proposito del c.d. mobbing), nota di commento a Tribunale di Torino, 16 novembre 1999, Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, II PERRINO A.M., Nota di commento a Corte Costituzionale 19 dicembre 2003, n. 359 e Cassazione civile, SU, 4 maggio 2004, n. 8438, Foro Italiano, 2004, I, c. 1692 PETRACCI F., Uso abnorme del potere direttivo e mobbing, Il Sole 24 ore - Febbraio 2004 - n. 1 PETRUCCI C.,TADDEI S., Solo una rigorosa indagine del giudice di merito può accertare l‟eventuale lesione professionale, nota di commento a Cass. Civ. sez. lav., 18 dicembre 2001 – 20 marzo 2002, n. 4012, Guida al Diritto n. 15/2002 PIZZOFERRATO A., Molestie sessuali sul luogo di lavoro: verso una tipizzazione della fattispecie giuridica e delle tecniche di tutela, nota di commento a Cass. Civ., sez. lav., 8 agosto 1997, n. 7380 Rivista italiana diritto del lavoro,1998, II QUARANTA C., DONDI M., Il risarcimento del danno non patrimoniale nel rapporto di lavoro Guida al lavoro, n. 40, del 10 ottobre 2003 RACCA E., Valutazione del personale e lotta la mobbing: quando la prevaricazione maschera i privilegi, Guida agli enti locali, n. 13, del 3 aprile 2004 REPETTO D., Il mobbing non rientra tra le malattie gabellate, Rivista del Il sole 24 ore -settembre 2005 - n. 9 p.62 RESTELLI R., La denuncia contro il datroe di lavoro, tra uso e abuso del diritto: un caso di mobbing al contrario, Rivista italiana diritto del lavoror, 2004, II, p. 125 RUPPRECHT-STROELL B., Mobbing: no grazie! - Strategie di difesa contro aggressioni, boicottaggi, provocazioni, diffamazioni e umiliazioni sul posto di lavoro, 2000, TEA - MILANO SANTORO R., Nota di commento a Tribunale di Torino, 16 novembre 1999, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2000 SAOLINI P., Mobbing – Corre il terrore sul posto di lavoro, http://www.cisl.it , consultato 25/06/2002 SCOGNAMIGLIO R., Danno biologico e rapporto di lavoro subordinato, Argomenti di diritto del lavoro n.5/1997 SCOGNAMIGLIO R., A proposito di mobbing, Rivista italiana diritto del lavoro, 2004, I, p. 489 SECHI B., I danni derivanti dal mobbing, http://www.diritto.it/articoli/lavoro/mobbing5.html , consultato 26/09/2002 SENNET R., L'uomo flessibile - Le conseguenze del nuovo capitalismo, 1999, Feltrinelli SIRACUSANO D., GALATI A., TRANCHINA G., ZAPPALA' E. , Diritto processuale penale, 1999 160 Giuffrè Editore - MILANO SOLOPERTO R., Le novità del CCNL del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali 2002-2005: le relazioni sindacali, Il lavoro nella pubblica amministrazione p. 61/2004 SPAGNUOLO VIGORITA L., Il quadro normativo attuale e tutela della dignità del lavoratore ed i profili di illegittimità della condotta da mobbing. I disegni, progetti e proposte di legge relativi al mobbing http://www.pegacity.it/justice/impegno/quadro_normativo.html , consultato 16/04/2003 TALAMO V. , Il mobbing nelle pubbliche amministrazioni, http://www.unicz.it , consultato 10/10/2004 TOMMASEO F., Appunti di diritto processuale civile - Nozioni introduttive, 1995, Giappichelli TORINO TROMBINO D., L'etica nel mobbing: le conseguenze del fenomeno nei contesti extralavorativi e la tutela integrale d, el lavoratore, L'Amministrazione italiana, n. 9/2005 TROMBINO D., Riflessioni generali sul mobbing, L'Amministrazione italiana, n. 7-8/2005 TULLINI P. , Mobbing e rapporto di lavoro – Una fattispecie emergente di danno alla persona, Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, I TULLINI P., I nuovi danni risarcibili nel rapporto di lavoro, Rivista italiana diritto del lavoror, 2004, I, p. 571 VALLEBONA A., Istituzioni di diritto del lavoro - Il rapporto di lavoro (Vol. II), 2000, Giappichelli TORINO VALLEBONA A., Mobbing senza veli, Bollettino ADAPT "Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi" - www.csmb.unimo.it - n. 34 del 30 settembre 2005, consultato 2/10/2005 VENERI L., Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Lavoro e previdenza oggi, 1999, II VERBARI G.B., Principi di diritto processuale amministrativo, 1995, Giuffrè Editore - MILANO ZILIO GRANDI G., Anche la dignità umana ha un prezzo, nota di commento a Pretura di Bologna , 20 novembre 1990, Foro Italiano, 1991, I, sez. II, co. 83 ZOBOLI L.A., Genesi della rilevanza giuridica del mobbing in Italia, Nuova Rassegna, n. 7/2001 Giurisprudenza Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 2 maggio 2000 5491 Il lavoro nella giurisprudenza, 2000, n. 9, p. 830 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 16 giugno 2001 8173 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2002, II, p. 154 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 18 dicembre 2001 – 20 marzo 2002 4012 Guida al Diritto, 2002, n. 15, p. 72 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 18 ottobre 1999 11727 Il lavoro nella giurisprudenza, 2000, n. 3, p. 244 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 8 gennaio 2000 143 in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2000, II, p. 764 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 1 giugno 2002 161 7967 http://www.pegacity.it/justice/impegno/demansionamento_7967.html Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 12 aprile 1997 3172 Foro Italiano, 1997, I, c. 1377. Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 12 luglio 2002 10187 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2003, II, p. 53 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 12 novembre 2002 15868 http://www.pegacity.it/justice/impegno/demansionamento_15868.html Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 15 maggio 2003 7599 Guida al lavoro, n. 28, del 11 luglio 2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 19 dicembre 1998 12717 Rivista italiana diritto del lavoro, 1999, II Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 19 dicembre 1998 12717 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1999, II, p. 832 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 19 gennaio 1999 475 http://www.pegacity.it/justice/impegno/visite_fiscali_persecutorie.html Consultato 02/05/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 19 luglio 2002 Rivista italiana diritto del lavoro, 2003,II Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 2 gennaio 2002 10 http://www.pegacity.it/justice/impegno/forza_inattiva.html Consultato 17/11/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 2 novembre 2001 13580 http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_professionale.html Consultato 17/11/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 2 novembre 2001 13580 162 http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_professionale.html Consultato 05/05/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 20 giugno 2003 9908 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2004, II, p. 125 Consultato 05/05/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 22 febbraio 2003 2763 http://www.pegacity.it/justice/impegno/inattivita_2763.html Consultato 05/05/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 22 ottobre 1998 10511 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1999, II, p. 654. Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 23 ottobre 2001 13033 http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_professionalita.html Consultato 02/05/2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 23 settembre 1998 – 19 gennaio 1999 475 Guida al Diritto, 1999, n. 5, p. 51 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 25 febbraio 2005 3994 Guida al lavoro, n. 19, del 6 maggio 2005 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 27 agosto 2003 12553 http://www.pegacity.it/justice/impegno/cass_12553.html Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 4 giugno 2003 8904 Guida al lavoro, n. 27, del 4 luglio 2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 8 agosto 1997 7380 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro,1998, II, p. 795. Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 9 aprile 2003 5539 Guida al lavoro, n. 21, del 23 maggio 2003 Cassazione civile - sezione lavoro sentenza 9 aprile 2005 163 5539 Guida al lavoro, n. 21, del 23 maggio 2005 Cassazione civile - sezione lavoro - SU sentenza 4 maggio 2004 8438 Foro Italiano, 2004, I, c. 1692 Cassazione penale sentenza 12 marzo 2001 10090 http://www.pegacity.it/justice/impegno/vessazioni.html Corte Costituzionale sentenza 10-19 dicembre 2003 359 http://www.cortecostituzionale.it Corte Costituzionale sentenza 11 luglio 2003 233 http://www.cortecostituzionale.it Corte d'Appello di Bari sentenza 31 gennaio 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_media.html Consultato 02/05/2003 Corte d'Appello di Salerno - sezione lavoro sentenza 17 aprile 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_salerno.html Corte d'Appello di Torino sentenza 24 novembre 2004 1631 Guida al lavoro, n. 12, del 18 marzo 2005 Corte d'Appello di Torino sentenza 29 novembre 2004 Foro Italiano, 2005, I, c. 1911. Pretura di Bologna sentenza 20 novembre 1990 Foro Italiano, 1991, I, sez. II, co. 84 Pretura di Milano sentenza 14 dicembre 1995 D & L – Rivista critica di diritto del lavoro, 1996, n.1, p. 463. Tribunale Amministrativo del Lazio sentenza 11 luglio 2005 5454 Guida al lavoro, n. 30 del 22 luglio 2005 Tribunale Amministrativo del Trentino - Alto Adige - sede di Trento sentenza 12 settembre 2005 242 www.giustizia-amministrativa.it 164 consultato il 03/10/2005 Tribunale Amministrativo regionale Lazio sentenza 25 giugno 2004 6254 Foro amministrativo - T.A.R. 2004, p. 1639 Tribunale Amministrativo regionale Liguria sentenza 12 marzo 2003 302 Foro amministrativo - T.A.R. (Il) on - line (http://www.giuffre.it) Tribunale Amministrativo regionale Veneto sentenza 8 gennaio 2004 2 Foro amministrativo - T.A.R. (Il) on - line (http://www.giuffre.it) Tribunale di Agrigento - sezione lavoro sentenza 11 giugno 2002 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2003, II, p.114 Tribunale di Alessandria sentenza 25 gennaio 2005 31 Guida al lavoro, n. 21, del 20 maggio 2005 Tribunale di Bari - sezione lavoro ordinanza 20 settembre 2000 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_poste.html Consultato 17/11/2003 Tribunale di Belluno - sezione penale decreto che dispone il giudizio 9 maggio 2005 Guida al lavoro, n. 27, del 1 luglio 2005 Tribunale di Bergamo sentenza 20 giugno 2005 Guida al lavoro, n. 31, del 29 luglio 2005 Tribunale di Camerino - sezione penale sentenza 4 giugno 1993 Rivista Italiana di Diritto del Lavoro,1994, II, p. 494. Tribunale di Catania - sezione lavoro sentenza 3 dicembre 2003 Guida al lavoro, n.6, del 6 febbraio 2003 Tribunale di Como - sezione lavoro sentenza 22 maggio 2001 Il lavoro nella giurisprudenza, 2002, n. 1, p. 73 Tribunale di Crotone - sezione lavoro sentenza 10 luglio 2002 1834 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_crotone.html Tribunale di Firenze sentenza 29 giugno 2005 165 Guida al lavoro, n. 38 del 23 settembre 2005 Tribunale di Firenze sentenza 18 aprile 2005 Guida al lavoro, n. 38 del 23 settembre 2005 Tribunale di Forlì - sezione lavoro sentenza 15 marzo 2001 Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, II Tribunale di Forlì - sezione lavoro sentenza 6 febbraio 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_sorgi.html Tribunale di Lecce - sezione lavoro ordinanza 31 agosto 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_lecce.html Consultato 05/05/2003 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 14 giugno 2001 http://www.ricercagiuridica.com Consultato 14/01/2004 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 11 febbraio 2002 Il lavoro nella giurisprudenza, n. 11/2002 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 16 novembre 2000 Orientamenti della giurisprudenza del lavoro, n. II/2000 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 20 maggio 2000 Il lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2001 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 22 dicembre 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/demansionamento_atanasio.html Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 26 aprile 2000 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_milano_html Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 26 aprile 2000 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_milano.html Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 28 dicembre 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegnoreazione_molestie_sessuali.html Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 28 dicembre 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/reazione_molestie_sessuali.html Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 30 settembre 2002 166 Orientamenti della giurisprudenza del lavoro, n.3/2002 Tribunale di Milano - sezione lavoro sentenza 6 maggio 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/dequalif_rusconi.html Tribunale di Modena - sezione penale sentenza 2 gennaio 2002 http://www.massime.it Tribunale di Monza - sezione lavoro decreto ex art. 28 Stat.Lav. 19 dicembre 2000 Il lavoro nella giurisprudenza, n. 10/2001 Tribunale di Pinerolo - sezione lavoro sentenza 6 febbraio 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_inps_pinerolo.html Tribunale di Pisa - sezione lavoro sentenza 10 aprile 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_pisa2002.html Consultato 02/05/2003 Tribunale di Pisa - sezione lavoro sentenza 13 marzo 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/visita_fiscale.html Tribunale di Ravenna - sezione lavoro sentenza 4 febbraio 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/danno_esistenziale_riverso.html Consultato 05/05/2003 Tribunale di Rieti sentenza 19 aprile 2005 Guida al lavoro, n. 36 del 9 settembre 2005 Tribunale di Roma - sezione lavoro sentenza 15 settembre 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/sentenza_meucci.html Consultato 02/05/2003 Tribunale di Siena - sezione lavoro sentenza 19 aprile 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_siena.html Consultato 02/05/2003 Tribunale di Taranto - sezione penale sentenza 7 marzo 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/sentenza_mobbing_palazzina_laf.html Tribunale di Tempio Pausania - sezione lavoro sentenza 10 luglio 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_tempio_pausania.html Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 11 dicembre 1999 in Foro Italiano, 2000, I, sez. II, c. 1591 Tribunale di Torino - sezione lavoro 167 sentenza 16 novembre 1999 in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2000, p. 361 e in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2000, II, p. 102. Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 30 dicembre 1999 D & L – Rivista critica del diritto del lavoro, n. 1/2000, p. 378 Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 10 agosto 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_torino.html e Lavoro e previdenza oggi, n. 1-2/2002 Consultato 05/05/2003 Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 11 dicembre 1999 Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 16 novembre 1999 Rivista italiana diritto del lavoro, 2000, II Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 18 dicembre 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/trib_sanlorenzo.html Consultato 02/05/2003 Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 21 marzo 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/sentenza_apostolo.html Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 30 dicembre 1999 D&L - Rivista critica del lavoro, n. 1/2000 Tribunale di Torino - sezione lavoro sentenza 7 ottobre 2001 http://www.pegacity.it/justice/impegno/molestiesessuali.html Tribunale di Torino - sezione penale sentenza 1 agosto 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_leo.html Tribunale di Toriono - sezione penale sentenza 1 agosto 2002 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_leo.html Consultato 05/05/2003 Tribunale di Treviso - sezione lavoro sentenza 13 ottobre 2000 http://www.pegacity.it/justice/impegno/tre_sentenze_demansionamento.html Consultato 02/05/2003 Tribunale di Trieste - sezione lavoro sentenza 13 maggio 2003 inedito Tribunale di Trieste - sezione lavoro sentenza 23 settembre 2003 168 inedito Tribunale di Trieste - sezione lavoro decreto ex art. 700 c.p.c. 31 maggio 2003 inedito Consultato 05/05/2003 Tribunale di Venezia - sezione lavoro sentenza 15 gennaio 2003 http://www.pegacity.it/justice/impegno/mobbing_carive.html Consultato 05/05/2003 Tribunale di Venezia - sezione lavoro sentenza 26 aprile 2001 Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, n. 2/2002 169 Parte terza Comunicare il mobbing di Enzo Kermol, Fanika Feletig, Mirca Zaffalon, Ilaria Nassimbeni e Roberto Cianchetta 3.1. Il mobbing attraverso i quotidiani italiani In questa parte del lavoro vengono riportati i risultati ottenuti dall‟ analisi comparata tra i diversi articoli riguardanti il mobbing apparsi sui maggiori quotidiani nazionali nel corso degli ultimi anni, più precisamente dal 1996 al 2003. Questa ricerca è stata effettuata per testare l‟effettiva rilevanza che il f enomeno mobbing sta assumendo a livello sociale, in quanto problema non più trascurabile dell‟ambito lavorativo. Inoltre dalle informazioni e dagli articoli presi in esame è possibile constatare in che termini venga effettivamente cons iderato il problema: come fenomeno sociale del momento, curiosità, oppure in senso prettamente scientifico, medico, professionale o normativo. L‟analisi degli articoli dei quotidiani è stata realizzata attraverso internet. Sono stati presi in esame i vari archivi delle rispettive testate nazionali consultabili sui relativi siti. Gli archivi esaminati durante l‟analisi non presentavano le medesime caratteristiche: le modalità di ricerca e la classificazione degli articoli rivelavano differenze spesso significative tra gli archivi dei diversi quotidiani. Gli archivi hanno una diversa datazione, non iniziano nel medesimo periodo, alcuni sono aggiornati fino a trenta giorni (come Il Gazzettino e La Stampa), altri sono aggiornati dal 1992 (come il Corriere della Sera). Alcuni siti si sono dimostrati facilmente fruibili, mentre altri presentavano archivi di difficile consultazione, che potevano portare alla raccolta solo di dati parziali. Sono stati così scelti gli archivi ordinati per soggetto, in cui è sufficiente l‟inserimento dei parametri principali per ottenere un elenco completo degli articoli sul mobbing relativi gli anni presi in esame, elencati in ordine cronologico o di rilevanza. Si è deciso invece di trascurare i quotidiani i cui siti presentavano archivi suddivisi in sezioni d‟interesse oppure ordinati cronologicamente, la cui consultazione si presentava estremamente difficoltosa e non adatta alla nostra ricerca, impostata secondo il soggetto d‟interesse. In questa parte del lavoro verranno analizzati e riassunti alcuni articoli sul mobbing da ogni quotidiano preso in esame, a titolo esemplificativo. Verrà presentato il modo in cui è stata svolta la ricerca in rete rispetto ad ogni singola testata, il livello di difficoltà e quali parametri sono stati richiesti per svolgerla. Oggetto della ricerca sono stati gli archivi di otto quotidiani nazionali, oltre a quello di un canale d‟informazione televisiva di rilevanza internazionale, per analizare l‟interesse dimostrato rispetto al fenomeno mobbing. Si tratta di: La Repubblica, il Corriere della Sera, l‟Unione Sarda, Il Gazzettino, La Stampa, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino e CNN Italia. 3.1.1. La Repubblica La Repubblica possiede un archivio di arretrati on-line attivo dal 1999. Il sito della testata nazionale e il rispettivo archivio arretrati si sono rivelati molto curati e di facile consultazione. La ricerca è stata effettuata sul sito ufficiale del quotidiano: www.repubblica.it. Il lavoro è stato facilitato dalla chiarezza del sito. Infatti per accedere dalla homepage all‟archivio è stato sufficiente selezionare la didascalia “ricerca sul sito”. Qui la documentazione è stata ordinata per soggetto quindi non sono state riscon- 170 trate difficoltà nella ricerca. Si richiedeva solamente di inserire la parola chiave (in questo caso “mobbing”). In questo modo sarebbero stati trovati automaticamente tutti i documenti contenenti il termine. Si è potuto scegliere di ordinare i risultati in tre modi diversi: per importanza, per data, per data inversa (prima i documenti più vecchi) e di selezionare la quantità di risultati per pagina desiderati, da un minimo di 20 ad un massimo di 100. La ricerca degli articoli riguardanti il mobbing è stata impostata secondo il criterio della data per poter così visualizzare immediatamente gli articoli più recenti. La ricerca degli articoli riguardanti il mobbing ha dato buoni risultati: sono stati ottenuti 24 articoli: 4 relativi al 1999, 6 al 2000, 7 risalenti al 2001, 5 al 2002 e 2 relativi al 2003 ancora in corso. La maggior parte di essi trattano di vicende personali o sono dei piccoli resoconti di convegni. Il tema mobbing è stato trovato sopratutto nella sezione “Società” del quotidiano: “Il mio decalogo per vivere bene” 335: l‟articolo è il resoconto di una Conferenza Nazionale per la Salute. Il ministro, dell‟allora Sanità, Umberto Veronesi ha presentato un decalogo che servirebbe ad assicurarsi una vita tranquilla e senza malattie, un decalogo che parte dalla lotta al fumo e al mobbing (le due sfide più importanti) fino ad arrivare a delle regole per la convivenza civile. Veronesi cerca così di tracciare una vita sana, all‟insegna del moto “prevenire è meglio che curare”. “Giornalisti, dopo 18 mesi c‟è l‟accordo sul contratto”336: per la prima volta le garanzie contrattuali sono estese anche nel settore on-line. Le norme di rilievo riguardano le responsabilità civile dei giornalisti, il mobbing. “Bilancio di fine legislatura, le leggi rimaste nel cassetto”337: alla fine della Tredicesima Legislatura una delle leggi rimaste nel cassetto riguarda il mobbing. “Ecco il mobbing veleni in ufficio” 338: vengono avviate due indagini in Piemonte dalla CGIL e dalla UIL a proposito del mobbing e in Parlamento viene studiata una legge. “Mobbing, il comportamento di vittime e aggressori” 339: una guida alla rete per capirne di più. “Dopo 3 anni di ingiustizie ho fondato un‟associazione” 340: parla Mirco Tosi, presidente del movimento Italiano mobbizzati. “Il mobbing prospera nella new economy” 341: da studi svolti gli psichiatri mostrano che il mobbing prospera nelle banche, industrie farmaceutiche, e in generale nelle aziende che hanno adottato in maniera più massiccia l‟informatizzazione di processi produttivi. “Io, dirigente urbanistico finito nello scantinato”342: un caso di mobbing da manuale. È la vicenda di un ingegnere in un ufficio tecnico comunale. “Mobbing, le vittime sono un milione e mezzo”343: da un Convegno tenutosi a Roma è stato confermato che il mobbing è in crescita e colpisce il 6% della popolazione attiva. 335 “Il mio decalogo per vivere bene”, La Repubblica, Cronaca, 13/12/2000. “Giornalisti, dopo 18 mesi c‟è l‟accordo sul contratto”, La Repubblica, Economia, 04/02/2001. 337 “Bilancio di fine legislatura, le leggi rimaste nel cassetto”, La Repubblica, Politica, 08/03/2001. 338 “Ecco il mobbing veleni in ufficio”, La Repubblica, Sessi-stili,, 24/07/1999. 339 “Mobbing, il comportamento di vittime e aggressori”, La Repubblica, Sessi-stili, 24/07/1999. 340 C. M., “Dopo 3 anni di ingiustizie ho fondato un‟associazione”, La Repubblica, Società, 08/02/1999. 341 “Il mobbing prospera nella new economy”, La Repubblica, Società, 26/05/2001. 342 C. M., “Io, dirigente urbanistico finito nello scantinato”, La Repubblica, Società, 08/02/2000. 343 Morgoglione C., “Mobbing, le vittime sono un milione e mezzo”, La Repubblica, Società, 08/02/2000. 336 171 “Persecuzioni in ufficio Torino, un corso antimobbing”344: Torino, i dipendenti comunali vanno ad un corso di formazione antimobbing. “Urlavo con i miei sottoposti poi sono diventato vittima” 345: questa è la vicenda di un alto dirigente della pubblica amministrazione che da mobbizzatore è divenuto mobbizzato. “Pubblico impiego: accordo per i Ministeri” 346. L‟articolo è estremamente interessante. Si parla della firma dell‟accordo per il nuovo contratto dei lavoratori ministeriali, in seguito a mesi di trattative. L‟accordo riguarda ben tre milioni di lavoratori e giunge in seguito ad una lunga vertenza sui rinnovi del pubblico impiego. L‟intesa è stata sottoscritta da Cgil, Cisl , Uil e prevede un aumento della retribuzione e la corresponsione degli arretrati. Ma ciò che suscita grande interesse è l‟inserimento nel nuovo contratto di un codice di comportamento contro il mobbing ed un codice di condotta per fronteggiare le molestie sessuali. La nuova normativa prevede l‟istituzione di un comitato sul mobbing in ogni amministrazione, l‟introduzione di un codice di comportamento che prevede anche delle sanzioni e un aggiornamento delle norme disciplinari. Nell‟articolo si sottolinea come questo nuovo contratto lavorativo possa costituire un input decisivo all‟aggiornamento di molti altri contratti pubblici, soprattutto relativamente alle tematiche introdotte nel codice di comportamento. “Rapporto Eurispes 2001. Mali e vizi dell‟Italia” 347. L‟articolo è certamente di carattere tecnico e fondato su risultati statistici. Vengono riportati i risultati raccolti dall‟Eurispes relativamente alle paure, i vizi e i mali dell‟Italia rispetto all‟anno 2001. In tale rapporto si considerano diverse aree d‟interesse quali la criminalità, i carceri, la salute, i bambini, la scuola, internet, la Borsa, i giochi, le lotterie… quindi i maggiori temi d‟attualità e di discussione evidenziabili in ambito italiano. Per quanto riguarda il campo del Lavoro si afferma che la disoccupazione rappresenta la prima preoccupazione degli italiani, in un mondo del lavoro soggetto a continue mutazioni. Si rileva inoltre che il lavoro sommerso e quello flessibile (part-time, interinale, a termine) costituiscono ormai quasi la metà del lavoro complessivo. Ma ciò che suscita maggior interesse in questi dati è la constatazione relativa al fenomeno mobbing: secondo il rapporto dell‟Eurispes esso interesserebbe ben 1,5 milioni di persone. “Mobbing, le vittime sono un milione e mezzo”348: viene ribadita proprio questa realtà preoccupante. Le vittime di mobbing in Italia sono un milione e mezzo, distribuite negli ambiti lavorativi più svariati e destinate ad aumentare. Nell‟articolo si afferma che secondo una ricerca il 6% della popolazione attiva rientra nella categoria dei mobbizzati. Viene denunciato il fatto che ci siano alcune proposte di legge relative al mobbing ferme in Parlamento e che quindi l‟unico modo per fronteggiare il problema sia rivolgersi a strutture sanitarie private, di volontariato o alle associazioni antimolestie che stanno nascendo recentemente. La giustizia quindi si muove molto lentamente rispetto a tale problematica e su tutto il territorio italiano è presente un‟unica struttura sanitaria pubblica adatta, con sede a Milano. Viene affrontato l‟aspetto dei costi sociali del mobbing: ogni impiegato mobbizzato costerebbe alla società il 190% in più del suo salario lordo annuo. Tale cifra comprende la sua assoluta non produttività sul lavoro, il prezzo sociale e familiare della sua depressione, quello dei farmaci ed infine quello del suo e344 “Persecuzioni in ufficio Torino, corso antimobbing”, La Repubblica, Società, 25/10/1999. C. M., ”Urlavo con i miei sottoposti poi sono diventato vittima”, La Repubblica, Società, 08/02/2000. 346 “Pubblico impiego :Accordo per i Ministeri”, La Repubblica, Economia 28/02/03 347 “Rapporto Eurispes 2001. Mali e vizi d‟Italia”, La Repubblica, Società 26/01/01 348 “Mobbing, le vittime sono un milione e mezzo”, La Repubblica, Società 26/05/01 345 172 ventuale ricorso alla magistratura. Nell‟articolo si fa riferimento ad un convegno tenutosi a Roma alla sala del Cenacolo, organizzato dal centro studi Europee, in cui i numerosi racconti di vicende personali relative all‟ambito lavorativo hanno fatto emergere un quadro decisamente drammatico rispetto al fenomeno mobbing. Il sociologo Domenico De Masi si dimostra decisamente pessimista riguardo a tale argomento: sostiene infatti che il mobbing non rappresenti una degenerazione del sistema, ma sia bensì un aspetto attuale dell‟organizzazione del lavoro. Non è possibile quindi una prevenzione efficace per tale problema, bisogna piuttosto trovare nuove regole per il mondo del lavoro. L‟articolo si conclude con una pesante denuncia : sul fronte legislativo relativo al mobbing l‟Italia è decisamente indietro rispetto ad altri paesi, quali la Svezia, la Francia e la Germania. La ricerca sul sito www.republica.it e nel rispettivo archivio si è rivelata piuttosto semplice, soprattutto grazie alla catalogazione della documentazione per soggetto. Il sito è estremamente curato. Gli articoli relativi al mobbing certamente non sono numerosi (24) ma comunque testimoniano un discreto interesse nei confronti di questo argomento. Questi articoli sono molto interessanti poiché affrontano il fenomeno da diverse prospettive: come fenomeno di costume entrato ormai nella quotidianità, da un punto di vista prettamente statistico, con testimonianze di carattere tecnico-scientifico o attraverso i riscontri in ambito normativo. 3.1.2. Il Corriere della Sera Il Corriere della Sera ha fornito, attraverso la ricerca nel suo archivio degli arretrati on-line, risultati ancor più completi relativamente al mobbing. La ricerca è stata realizzata sul sito ufficiale della testata: www.corrieredellasera.it. L‟archivio relativo a tale sito si è rivelato uno dei più completi, ricchi e curati. È molto fornito poiché, oltre a contenere tutta la catalogazione degli articoli apparsi sul quotidiano dal 1992 fino ad oggi (inclusi inserti e supplementi), permette anche un collegamento molto semplice con la documentazione relativa a Il Corriere del Lavoro, Il Corriere della Salute, Il Corriere Soldi, Il Corriere Economico e Vivi Milano. Dalla homepage del sito del Corriere della Sera si può facilmente accedere alla documentazione selezionando la voce L’archivio del Corriere. La prima parte della pagina è dedicata alla presentazione dell‟archivio ed alla spiegazione sul suo utilizzo. Si dichiara che la ricerca all‟interno del sito è libera e gratuita, mentre la consultazione degli articoli può essere sia gratuita che a pagamento (abbonandosi al servizio “Archivio” del Corriere della Sera). Si possono esaminare solamente a pagamento articoli non recenti e di lunghezza particolarmente elevata. Questo però non influisce sulla validità della ricerca e sulla sua completezza poiché viene fornito l‟intero elenco degli articoli riguardanti il mobbing nel periodo di riferimento con tutti gli estremi necessari. All‟interno dell‟archivio è prevista anche una sezione denominata “Help” che fornisce aiuto a chi dovesse riscontrare eventualmente difficoltà nella ricerca. L‟ultima parte della pagina è dedicata alla consultazione e all‟inserimento dei valori desiderati. La ricerca è impostata per soggetto e si richiede l‟inserimento dei seguenti parametri: Nel testo: almeno una delle parole; tutte le parole; la frase. Nella firma: l‟autore. In questo periodo: dal (gg/mese/anno) al (gg/mese/anno). Ordinato per: rilevanza; data (dal più recente); data (dal meno recente). In questi archivi: Corriere della Sera; Corriere Lavoro; Corriere Salute; Corriere Soldi; Corriere Economico. 173 Come si può facilmente constatare l‟archivio è molto completo e curato. Consente l‟inserimento di tutti i parametri desiderabili per la ricerca riguardante il mobbing. Abbiamo cercato gli articoli riguardanti il mobbing dal 1996. In totale, tra il 1996 e il 2003, sono stati raccolti 97 articoli. Nel 1996 sono stati pubblicati solo 5 articoli, tutti nel mese di Aprile: “Per chi si sente nel mirino c‟è lo scudo degli esperti”349; “Linee guida in ufficio”350; “Se ti guarda in cagnesco”351; “Terrorizzati sul lavoro”352; “La prima conseguenza è la depressione” 353. Questi articoli sono stati pubblicati nello stesso giorno e nella stessa sezione (psicologia) del quotidiano. Con “Terrorizzati sul lavoro” si inizia a parlare di mobbing, si cerca di spiegare cosa sia il fenomeno, quali possano essere le cause e le forme di aggressione. Nell‟articolo si denuncia che il problema non è valutato adeguatamente, e la conoscenza del fenomeno è molto ridotta in Italia. L‟anno successivo (1997) troviamo solo un articolo, nel mese di marzo: “E‟ una malattia si chiama mobbing”354. Si spiega di cosa si tratta e si denuncia il suo aumento in Italia (colpisce il 4% della popolazione attiva). Nel 1998 troviamo articoli solo nei mesi di ottobre e novembre, quattro di essi sono apparsi nel Corriere del Lavoro nella sezione storia e tre, invece, nel Corriere della Sera nelle sezioni cronache italiane e storia. Nel 1998 si iniziano a leggere le vicende di mobbizzati, come ad esempio “Mobbing, il caso di un dirigente torinese”; “Tre storie di ordinario disagio”; “Dottore mi aiuti! Credo di aver preso il mal d‟ufficio” 355. In quest‟anno abbiamo notizia dell‟apertura di uno sportello UIL che cerca di svolgere un‟indagine sulla situazione Italiana in “Dispetti e calunnie: quando il collega ti è nemico”356. Diversi articoli danno informazioni sulle diverse associazioni esistenti in Italia, ad esempio in “Se sul lavoro c‟è alta tensione”357. Nell‟articolo “Mobbing, reagire si può, ecco come fare. Un bravo terapeuta come amico”358 si denuncia l‟arretratezza dell‟Italia nei confronti degli altri paesi europei sui provvedimenti che devono essere presi sia da parte dell‟azienda sia da parte della legislazione. Si scrive che è importante per il mobbizzato la disponibilità dell‟azienda apprendere provvedimenti che modifichino la situazione. Tale apertura, in Italia, è difficile da trovare. In altre parti d‟Europa, come ad esempio la Germania, l‟azienda punisce chi perseguita il collega. In Germania il mobbing è considerato malattia professionale, e il malato è curato e risarcito a spese del datore di lavoro. L‟articolo “Passo dopo passo, la guida per farsi giustizia davanti al Pretore”359 denuncia la mancanza di una legislazione 349 “Per chi si sente nel mirino c‟è lo scudo degli esperti”, Corriere della Sera, sez.: psicologia, 15/04/1996. 350 Cremonese A. - “Linee guida in ufficio”, Corriere della Sera, sez. psicologia, 15/04/1996. 351 “Se ti guarda in cagnesco”, Corriere della Sera, sez. psicologia, 15/04/1996. 352 Lazzari C. “Terrorizzati sul lavoro”, Corriere della Sera, sez. psicologia, 15/04/1996. 353 “La prima conseguenza è la depressione” Corriere della Sera, 15/04/1996. 354 Troiano A., “E‟ una malattia si chiama mobbing”, Corriere della Sera, sez. cronache Italiane, 28/03/1997. 355 “Mobbing il caso di un dirigente torinese”; Corriere del Lavoro, sez. storia, 12/11/1998; “Tre storie di ordinario disagio”, Corriere del Lavoro, sez. storia, 16/10/1998; Biasone A., “Dottore mi aiuti credo di aver preso il mal d‟ufficio”, Corriere della Sera, sez. storia, 16/10/1998. 356 Encolpio N., “Dispetti e calunnie: quando il collega ti è nemico”, Corriere della Sera, sez. cronache Italiane, 15/11/1998. 357 “Se sul lavoro c‟è alta tensione”, Corriere del Lavoro, sez. storia, 16/10/1998. 358 “Mobbing, reagire si può, ecco come fare. Un bravo terapeuta come amico”, Corriere della Sera, sez. storia, 16/10/1998. 359 “Passo dopo passo, la guida per farsi giustizia davanti al Pretore”, Corriere del Lavoro, sez. storia, 16/10/1998. 174 che tenga conto esplicitamente del benessere psicologico del lavoratore. In Italia, infatti, viene dato solo il risarcimento per il danno biologico. L‟art. 2087 del codice civile impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che sono necessarie a tutelare l‟integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. I tempi di giustizia non sono brevi, in Italia una causa di lavoro va in sentenza in media in due anni. Nel 1999 gli articoli sul mobbing cominciano ad aumentare. La maggior parte sono pubblicati in novembre. La maggior parte di questi articoli confermano che il fenomeno mobbing è in aumento in Italia, soprattutto al nord e in molti articoli vengono date le percentuali (64% al nord; 24% al centro; 6% al sud; 5% nelle isole). Ci sono articoli che ribadiscono la mancanza di una legge nel nostro Paese per la tutela dei lavoratori. In “Una legge anti-mobbing per combattere i soprusi di colleghi e di superiori” 360 viene data la notizia che è stata presentata alla Camera la proposta di legge anti-mobbing dell‟onorevole Benvenuto. In “Mestieri usuranti” 361 si denuncia la difficoltà di dimostrare in tribunale un caso di mobbing perché non esiste una normativa organica. Un altro articolo a conferma di questo è “Quelle prepotenze in fabbrica e in ufficio” 362. L‟articolo “Siam d‟accordo ci vuole una legge” 363 ribadisce che ci sono due proposte di legge in Parlamento, esse affidano ai datori di lavoro e ai sindacati la prevenzione del mobbing attraverso corsi di formazione e vogliono un‟adeguata organizzazione e trasparenza nei rapporti aziendali. Articoli come “Mobbizzati di tutta Italia uniamoci”, “Sindrome del colpevole? E‟ il momento di reagire”364 danno notizia delle varie associazioni anti-mobbing che iniziano a diffondersi. L‟articolo “La difficile scelta del whistblower”365 dimostra come in Italia i cosiddetti whistblower, ovvero coloro che “fischiano” l‟allarme sull‟illegalità, e si espongono coraggiosamente per tutelare un interesse collettivo, o denunciano un principio di ingiustizia, rischiano non solo il lavoro, ma a volte la vita stessa. Nel 2000 il mobbing inizia ad occupare sempre più spazio nel quotidiano. Ogni mese viene pubblicato qualcosa che riguarda il mobbing. I mesi con più articoli sono febbraio e marzo. La maggior parte è stata pubblicata dal Corriere della Sera e dal Corriere del Lavoro. In quest‟anno incominciano gli articoli che raccontano le vicende delle vittime del mobbing e di varie indagini. In “Professione nullafacente: pagati per non lavorare”366 si legge della vicenda dei lavoratori della Palazzina Laf. L‟articolo scrive che questo è un esempio plateale di una situazione inaccettabile perché lesiva dei diritti e della dignità dei lavoratori. Un altro esempio della situazione insostenibile è dato dagli articoli che informano sulla situazione dei lavoratori del McDonald‟s di Firenze. In “McDonald‟s a Firenze il primo sciopero” e in “Firenze sciopero da McDonald‟s” 367. 360 Cavalli G., “Una legge anti-mobbing per combattere i soprusi di colleghi e superiori”, Corriere della Sera, 22/10/1999. 361 “Mestieri usuranti”, Corriere del Lavoro, 9/07/1999. 362 “Quelle prepotenze in fabbrica e in ufficio”, Corriere del Lavoro, 5/11/1999. 363 “Siam d‟accordo ci vuole una legge”, Corriere de Lavoro, 12/11/1999. 364 “Mobbizzati di tutta Italia uniamoci”, Corriere del Lavoro, 12/11/1999; “Sindrome del colpevole?E‟ il momento di reagire”, Corriere della Sera, 12/11/1999. 365 Caizzi I., “La difficile scelta del whistblower”, Corriere dell’Economia, 14/06/1999. 366 “Professione nullafacente: pagati per non lavorare”, Corriere del Lavoro, 21/01/2000. 367 “McDonald‟s a Firenze il primo sciopero”, Corriere della Sera, 7/11/2000; Vittoriani E., “Firenze sciopero da McDonald‟s, viene denunciato il clima intimidatorio, di vessazioni che i lavoratori subiscono”, 9/10/2000. 175 Abbiamo notizia in “Ricoverata per mobbing”368 dell‟entrata in ospedale di un‟impiegata a causa delle vessazioni subite nel posto di lavoro. Ma questo non è un caso raro anzi, iniziano a riempirsi le cliniche che si occupano del fenomeno. Dagli articoli sui convegni tenuti sull‟argomento emerge che “In Italia sono un milione e mezzo i mobbizzati” 369. In “I manager della new economy? Più pagati ma più stressati”370 si scrive che il passaggio dalla old alla new economy ha determinato dei costi sociali elevati. Ci sono articoli che descrivono la peculiarità della situazione italiana riguardante il mobbing, ovvero il doppio mobbing come “Il mobbing, ora raddoppia e colpisce anche le famiglie” 371 e “Mobbing all‟Italiana”372. Quest‟ultimo indica in cinque milioni le vittime del mobbing, perché bisogna tener conto dello stress da mobbing che si ripercuote negativamente sulla famiglia. Da segnalare l‟articolo “Licenziata la pentita del mobbing” 373, dove si viene a sapere che una donna viene licenziata perché si è rifiutata di perseguire i suoi colleghi. Altri articoli descrivono come sia ormai vasta la portata del fenomeno e come questo sia riuscito a penetrare in qualunque settore del lavoro, ma anche della vita. Si scrive di situazioni di mobbing in famiglia e nello sport374. Il 2001 è l‟anno il maggior numero di articoli. Anche quest‟anno è ricco di convegni, seminari, indagini sull‟argomento. A testimonianza di questo citiamo alcuni articoli: “Rapporto Cisl: mobbing e lavoro nero in aumento”, “Sportello della Uil. Bilancio del primo anno di attività”, “Mobbing un dramma nel mondo del lavoro”, “Le stagioni del lavoro tra libertà e nuove schiavitù” 375. La maggior parte degli articoli descrivono le varie storie dei mobbizzati. Ad esempio “Mamma ghisa: al lavoro con mio figlio” 376 descrive la storia di una mamma vigilessa che non può occuparsi del figlio perché le hanno cambiato il turno. La denuncia degli ostacoli nei confronti delle madri è stato denunciato anche da altre colleghe della vittima. In “Mi perseguiti, spara al capo ufficio” e in “Ferì con l‟accetta l‟ex direttore. Spunta l‟ipotesi mobbing”377 si leggono storie dove, a causa del mobbing, si arriva a compiere dei gesti estremi come quello di uccidere il colpevole oppure di suicidarsi. In qualche maniera c‟è la volontà di dare una svolta alla situazione e in questi articoli si arriva a farsi giustizia da soli. 368 Foschini P., “Ricoverata per mobbing”, Corriere della Sera, 30/04/2000. Formenti C., “In Italia un milione e mezzo i mobbizzati”, Corriere dell’Economia, 6/03/2000. 370 Bagnoli R., “I manager della new economy? I più pagati ma più stressati”, Corriere della Sera, 25/03/2000. 371 Cavalli G., “Il mobbing ora raddoppiae colpisce anche le famiglie”, Corriere della Sera, 9/02/2000. 372 Zuffada L., “Mobbing all‟Italiana”, Corriere della Sera, 13/02/2000. 373 Corcella R., “Licenziata la pentita del mobbing”, Corriere della Sera, 9/05/2000. 374 Rimini C., “Il tribunale di Torino: anche in famiglia pericolo mobbing”, Corriere della Sera, 20/09/2000; Vanetti F., “Canoista azzurro scopre il mobbing sportivo: escluso dalle olimpiadi”, Corriere della Sera, 7/08/2000. 375 “Rapporto Cisl: Mobbing e lavoro nero in aumento”, Corriere della Sera, 31/01/2001; “Sportello della Uil. Bilancio del primo anno di attività”, Corriere della Sera, 8/03/2001; “Mobbing un dramma nel mondo del lavoro”, Corriere della Sera, 11/04/2001; Zoli S., “Le stagioni del lavoro tra libertà e nuove schiavitù”, Corriere della Sera, 1/08/2001. 376 Palazzesi C., “Mamma ghisa: al lavoro con mio figlio”, Corriere della Sera, 15/02/2001. 377 Cavallaio F., “Mi perseguiti: spara al capo-ufficio”, Corriere della Sera, 20/09/2001; “Ferì con l‟accetta l‟ex direttore. Spunta l‟ipotesi mobbing”, Corriere della Sera, 28/02/2001 . 369 176 Proseguono anche le vicende del McDonald‟s di Firenze e quelli della palazzina Laf . Un articolo interessante è “Più mobbing in ufficio se il capo è una donna” 379. Secondo una ricerca, condotta dall‟associazione inglese “Help me”, nel nostro Paese su cento casi di denuncie sessuali in ufficio il 28% delle avances è riconducibile a un capofemmina. Dietro l‟aggressività femminile c‟è la mancanza di una vita familiare equilibrata. E‟ la donna del centro nord a mobbizzare di più i suoi dipendenti maschi (46%), seguita da quella del centro (23%), più tranquilla sembra essere quella meridionale. C‟e un articolo che mette in evidenza la proposta fatta da un‟azienda per migliorare il clima lavorativo è “Un milione al dipendente che smette di fumare” 380. E‟ l‟iniziativa di un‟agenzia di consulenza per combattere l‟elevata conflittualità negli uffici. In tempi più recenti l‟impostazione all‟interno dell‟archivio è stata modificata: la ricerca resta totalmente libera, ma la consultazione di alcuni articoli è a pagamento: questo non influisce sulla ricerca poiché viene fornita la lista completa degli articoli sul mobbing. Nel periodo fra gennaio 2001 e maggio 2003 sono stati raccolti 65 articoli relativi al mobbing: 34 del 2001, 9 del 2002 e 22 del 2003. In “Consiglieri antimolestie in tutti i ministeri”381 vengono presentate le misure antimolestie e contro il mobbing messe in atto dai ministeri, previste dai nuovi contratti dei dipendenti. Viene attuata finalmente una linea dura contro le molestie sessuali e le pressioni psicologiche sui lavoratori. Per la prima volta in tale contratto i due fenomeni vengono definiti “emergenti” e vengono individuati gli strumenti per combatterli. Le sanzioni previste sono pesanti e possono arrivare fino al licenziamento del molestatore. Contro le molestie sessuali è stata ideata la figura del consigliere/consigliera che raccoglierà tutte le denunce e istruirà di conseguenza l‟indagine. Per contrastare il mobbing si istituirà un comitato che studierà la creazione di sportelli d‟ascolto e del consigliere di fiducia , nonchè dei codici di condotta. E‟ molto importante sottolineare che in seguito queste disposizioni verranno estese a tutti i contratti del pubblico impiego. Anche l‟articolo “Contratto & regole” 382 si occupa del nuovo contratto siglato il 28 febbraio 2003 tra sindacati ed il ministro della Funzione pubblica Mazzella. Oltre a trattare dell‟aumento delle retribuzioni viene data grande importanza alle innovazioni introdotte, come la lotta al mobbing con l‟istituzione di comitati paritetici che a loro volta dovranno creare sportelli d‟ascolto. E‟ di grande rilievo la notizia data in “Lavoro: Mobbing aziendale, alla Cattolica il primo corso per medici e psicologi”. Infatti il 14 marzo 2003 ha avuto inizio presso l‟Università la Cattolica un corso di perfezionamento in “Psichiatria aziendale e problema del mobbing”. Il corso è stato promosso dall‟istituto di Psichiatria e rivolto ai laureati in Medicina, Psicologia e Sociologia. Al 2002 risale invece l‟articolo “ Mobbing e molestie sessuali la Uil apre uno sportello”383. Qui si riporta una pesante denuncia sostenuta dalla Uil Lombardia: il mobbing e le molestie sessuali sul lavoro assumono dimensioni sempre più rilevanti. A questo proposito la Uil Lombardia ha dedicato un convegno alla soluzione di tali fenomeni, de378 378 Fagnani G., “Sindacato proibito da Mc Donald‟s”, Corriere della Sera, 7/10/2001; “Mobbing all‟ILVA: chiesta condanna dei titolari”, Corriere della Sera, 15/11/2001. 379 “Più mobbing in ufficio se il capo è una donna”, Corriere della Sera, 28/01/2001. 380 Trovino A., “Un milione al dipendente che smette di fumare”, Corriere della Sera, 24/01/2001. 381 “Consiglieri antimolestie in tutti i ministeri”, Corriere della Sera, varie 01/03/03. 382 “Contratto & regole”, Corriere della Sera, amministrazione pubblica, 02/03/03. 383 “Mobbing e molestie sessuali la Uil apre uno sportello”, Corriere della Sera, varie, 10/05/02. 177 finiti un‟emergenza sociale, ed è stata annunciata l‟apertura di un apposito sportello nella sede del sindacato. Consultando l‟archivio del Corriere della Sera si nota come il fenomeno del mobbing inizi a destare attenzione dal 2000. La maggior parte degli articoli trovati sono storie di mobbizzati, resoconti di vari seminari aventi come argomento il fenomeno in questione, i risultati delle inchieste svolte dagli sportelli anti-mobbing. Molti articoli sottolineavano quanto l‟Italia fosse arretrata, sia dal punto di vista dell‟informazione che da quello legislativo rispetto agli altri paesi europei. Si è più volte denunciata la mancanza di una legge anti-mobbing. Anche la trattazione dell‟argomento è da considerarsi buona. Il fenomeno mobbing è stato affrontato da diversi punti di vista: come fenomeno sociale, in termini contrattuali e legislativi, in quanto oggetto di studio e approfondimento, come problema di cui si stanno individuando le prime soluzioni. La realtà che possiamo dedurre dalla lettura di questi articoli è che il fenomeno attualmente sta ottenendo attenzione, soprattutto in termini legislativi e contrattuali. 3.1.3. Unione Sarda La ricerca effettuata nell‟archivio dell‟Unione Sarda è in assoluto quella che ha dato i maggiori risultati ed è risultata di semplicità nell‟analisi. Nel sito www.unionesarda.it è stata trovata una considerevole quantità di articoli riguardanti il mobbing senza particolari difficoltà. L‟archivio on-line della testata è davvero lodevole per quanto riguarda l‟impostazione e la catalogazione dei documenti. Il soggetto ha la possibilità di scegliere tra varie tipologie di ricerca che possono soddisfare ogni richiesta. E‟ stato sufficiente selezionare la voce “Archivio” per accedere dalla homepage del sito dell‟Unione Sarda all‟archivio degli arretrati. Qui si è rimasti piacevolmente sorpresi dall‟ammirevole organizzazione del sito. Selezionando “archivio” si entra in una catalogazione degli arretrati impostata in base al giorno-mese-anno per un periodo compreso tra il 1994 e l‟anno corrente. Il soggetto che desidera consultare un particolare articolo di cui conosce la data precisa di pubblicazione deve solamente selezionare tale giornata sull‟apposita griglia che gli viene presentata. Immaginiamo di avere di fronte un calendario “interattivo”, ad esempio: “maggio 2002”, con i rispettivi 31 giorni da selezionare per ottenere la rispettiva edizione del quotidiano. Questo tipo di catalogazione naturalmente non è adatta alla nostra tipologia di ricerca che è impostata sul parametro del soggetto (“mobbing”). L‟aspetto interessante di questo archivio è che sia possibile scegliere tra l‟impostazione cronologica e una catalogazione degli articoli per soggetto, mentre negli archivi degli altri quotidiani analizzati non si è mai riscontrata questa possibilità di scelta. Dall‟archivio cronologico si può accedere alla catalogazione per soggetto selezionando la voce “cerca il giornale”. Qui la ricerca sui numeri arretrati dell‟archivio avviene inserendo la richiesta in diversi campi: Testo (quindi il soggetto); Autore; Per un intervallo di tempo desiderato, scegliendo tra le numerose voci proposte: oggi, oggi e ieri, l‟ultima settimana, l‟ultimo mese, l‟ultimo trimestre, l‟ultimo semestre, l‟ultimo anno, l‟ultimo biennio, l‟ultimo triennio, tutto l‟archivio. È possibile scegliere anche tra le diverse sezioni (economia, cultura, politica…) o selezionare “qualsiasi” per ottenere una panoramica completa. Infine vengono dati dei consigli per una corretta e proficua compilazione delle diverse parti. La ricerca è stata realizzata inserendo il parametro di ricerca nel testo, per un intervallo di tempo relativo all‟ultimo triennio e selezionando “qualsiasi” per quanto riguarda la sezione. I risultati conseguiti possono essere considerati decisamente soddisfacenti e significativi. L‟archivio del sito di questo quotidiano è attivo dal 1994, ma abbiamo 178 trovato i primi articoli relativi al mobbing a partire dall‟anno 2000. I risultati ottenuti nella ricerca degli arretrati riguardanti il mobbing sono sorprendenti, ben 107 articoli: 15 del 2000, 25 del 2001, 19 del 2002 e 48 relativi al 2003. L‟elenco fornito on-line non sempre riporta il titolo dell‟articolo per esteso, a volte è indicata solo la data e la tipologia dell‟articolo (categoria d‟appartenenza). A fare il quadro della situazione del mobbing nell‟isola è l‟articolo “Venticinque morti in otto mesi nelle aziende della Sardegna” 384. A puntare i riflettori sul tema del lavoro è, in questa occasione, il Terzo Convegno Nazionale di Medicina Legale Previdenziale. Convegno che è stato organizzato dall‟INAIL, e nel quale hanno preso parte delegati, medici, esperti della sicurezza sociale, funzionari dell‟Istituto per l‟Assicurazione contro gli Infortuni. Il bilancio della situazione della Sardegna è drammatico perché anche se ci sono leggi più severe il numero delle disgrazie, e fra queste il mobbing, non diminuisce. Sull‟importanza che ha la prevenzione per quanto riguarda il mobbing, è interessante l‟articolo “Molestie sul lavoro: sono trentamila i sardi vittime del mobbing”385. Si legge quanto sia importante il proporre azioni nei campi dell‟informazione, della formazione, della prevenzione. Si ricerca anche il modo per combattere il mobbing e sostiene che non bisogna limitarsi a proporre il danno biologico come cercano di fare le proposte di legge. Ci sono articoli come “In crescita i casi di mobbing”, “In Italia sono oltre un milione i lavoratori vittime di mobbing” 386 che confermano ancora una volta quanto il mobbing sia diffuso nel nostro Paese. Altri, invece, come “Contro chi ti perseguita la miglior difesa è l‟attacco”387 che cercano di stabilire, senza riuscirci, l‟identikit del mobbizzato, anche se in genere abbiamo notizia che si tratti di posti di lavoro pubblici: ospedali, uffici postali, scuole, assessorati della Regione. Ormai leggiamo che il mobbing dilaga in qualsiasi settore del lavoro, nessuno è riuscito a scampare da questa “persecuzione”. Spesso abbiamo incontrato articoli dove si leggeva di medici mobbizzati, come ad esempio “Sono anch‟io una vittima”, “L‟ospedale licenzia il medico autore di Camicie Pigiami” 388. Altre volte si è letto, come in “Si incatena e rischia di morire”389 di storie di operai che per causa della diminuizione del personale venivano licenziati e si ritenevano delle vere e proprie vittime del mobbing. Non mancano storie dove le vittime sono uomini e donne dell‟arma in “Suicidio del maresciallo, il giudice archivia il caso”390, “ In tribunale i gradi contestati”391, “Non vogliono farmi sposare” 392. Non mancano le notizie dei diversi convegni : “Sindacalisti della CGIL a lezione di mobbing”, “Quartu convegno”, “Rotary Cagliari Sud”, “Il mobbing in discussione al congresso provinciale”393. 384 Salis L., “Venticinque morti in otto mesi nelle aziende della Sardegna”, Unione Sarda, pg. 35, 13/10/2000. 385 “Molestie sul lavoro: sono trentamila i sardi vittime del mobbing”, Unione Sarda, pg. 3, 19/07/2000. 386 “In crescita i casi di mobbing”, Unione Sarda; 29/04/2000; “In Italia sono oltre un milione i lavoratori vittime di mobbing”, Unione Sarda; 01/02/2000. 387 Dessì E., “Contro chi ti perseguita la miglior difesa è l‟attacco”, Unione Sarda, 17/03/2000. 388 G. P., “Sono anch‟io una vittima”, Unione Sarda, pg. 13, 07/11/2000; “L‟ospedale licenzia il medico autore di Camicie Pigiami”, Unione Sarda, 20/04/2000. 389 Pillosu I., “Si incatena e rischia di morire”, Unione Sarda, pg. 6, 25/09/2000. 390 P. C., “Suicidio del maresciallo, il giudice archivia il caso”, Unione Sarda; pg. 28, 28/07/2000. 391 Busia A., “ In tribunale i gradi contestati”, Unione Sarda, pg. 60, 08/12/2000. 392 V. F., “Non vogliono farmi sposare”, Unione Sarda, 21/04/2000. 393 “Sindacalisti della CGIL a lezione di mobbing”, Unione Sarda, pg. 10, 24/07/2000; “Quartu convegno”, Unione Sarda, pg. 11, 20/07/2000, “Rotary Cagliari Sud”, Unione Sarda, pg. 11, 18/10/2000; ”Il mobbing in discussione al congresso Provinciale”, Unione Sarda, 28/03/2000. 179 Risale all‟anno corrente, il 2003, l‟articolo: “Non fu abuso d‟ufficio assolto l‟ex sindaco”.394 Viene trattata la vicenda dell‟ex sindaco di Loiri, denunciato da un vigilie urbano per mobbing. Quest‟ultima aveva richiesto la qualifica di agente di pubblica sicurezza e di conseguenza la possibilità di portare un‟arma. Ma l‟amministratore aveva rifiutato di appoggiare tale iniziativa e secondo la donna ciò ha danneggiato gravemente la sua carriera. Il vigile urbano sostiene di essere oggetto di un‟azione persecutoria poiché possiede tutti i requisiti necessari per poter accedere alla qualifica superiore, mentre l‟accusato afferma che la donna ha dimostrato di avere dei problemi relazionali con gli altri colleghi e che per questo è stata più volte ripresa e che da parte sua non c‟è stato nessun abuso. Il collegio infine ha deciso di scagionare l‟imputato da tutti i capi d‟accusa. E‟ molto interessante l‟articolo “Mobbing: sono sempre solo per me è peggio di una tortura. Presento una denuncia alla Procura della Repubblica” 395 . Un uomo, assunto presso un istituto tecnico per geometri come tecnico delle costruzioni, descrive la situazione precaria in cui sta vivendo da quattro anni e spiega perché ha intenzione di denunciare l‟istituto per mobbing. Inizialmente aveva assunto il ruolo di tecnico del laboratorio d‟informatica dove raccoglieva grandi soddisfazioni e poteva intrattenere molte relazioni sociali con colleghi, alunni e personale. In seguito però era stato assegnato al ruolo di tecnico delle costruzioni, un incarico ormai obsoleto che lo vede costretto a passare tutte le ore di lavoro da solo in una stanzetta senza la possibilità di vedere nessuno, in mezzo a plastici e vecchi modellini ormai superati dall‟utilizzo del computer. La vittima descrive la sua giornata come un incubo in cui le ore non passano mai, in totale solitudine e costretto all‟inattività e al silenzio. Egli afferma che tutto ciò deriva da un‟antipatia che il preside nutre nei suoi confronti e questa sua teoria sarebbe avvalorata dal fatto che i suoi vecchi colleghi non gli rivolgono più il saluto per paura di avere problemi. L‟uomo dopo quattro anni ha trovato il coraggio di reagire e sporgerà denuncia, anche perché a causa di questa situazione la sua salute ne ha molto risentito: egli è diabetico e i valori della glicemia sono notevolmente peggiorati in concomitanza al suo trasferimento di ruolo. In “Stress, mal di schiena e molestie” 396 viene presentato il rapporto dell‟Unione Europea sulla condizione dei lavoratori in Europa relativa all‟anno 2000. La situazione risulta piuttosto preoccupante: i lavoratori europei sono afflitti da stress, mal di schiena, dolori alle ossa e sono costretti a lavorare a ritmi sempre più frenetici, perennemente incollati al computer. Secondo il rapporto quinquennale degli esperti europei dal 1995 in poi non si sarebbe assistito a nessun miglioramento della situazione dei lavoratori, bensì si sarebbero aggravati notevolmente alcuni aspetti: i problemi di carattere fisico e quelli di natura psicologica quali l‟intimidazione ed il mobbing, la violenza e le molestie a sfondo sessuale. Secondo i dati statistici di Bruxelles in media il 9% dei lavoratori UE è soggetto ad intimidazioni, con oscillazioni che vanno dal 4% registrato in Italia e Portogallo ad un 14,5% di Finlandia, Olanda e Gran Bretagna. Per quanto riguarda l‟anno 2002 è da segnalare l‟articolo “Cazzotti in corsia contro il mobbing”397 in cui si parla della vicenda di un giovane medico assunto presso il Centro d‟Igiene Mentale di Alghero, denunciato per aggressione dopo aver sferrato due pu394 “Non fu abuso d‟ufficio assolto l‟ex sindaco”, Unione Sarda, 23/01/03. “Mobbing - sono sempre solo per me è peggio di una tortura Presento una denuncia alla Procura della Repubblica”, Unione Sarda, 06/04/03. 396 “Stress, mal di schiena e molestie”, Unione Sarda, 23/07/01. 397 “Cazzotti in corsia contro il mobbing”, Unione Sarda, 05/02/02. 395 180 gni a un‟infermiera. Si sono rivelate inutili le immediate scuse alla collega sotto choc. Il giovane, ascoltato dall‟Ordine dei Medici, afferma di aver perso la testa dopo essere stato per mesi vittima di mobbing. Subito dopo il suo arrivo al Centro infatti iniziano i primi problemi: risate alle spalle, piccoli dispetti… tanto che presto la convivenza con il personale d‟assistenza diviene insostenibile. Il medico accumula nervosismo e rancore mettendo a repentaglio persino la sua vita matrimoniale. Quando una delle infermiere tenta una riappacificazione è ormai troppo tardi: il dottore perde la pazienza e colpisce la donna preso da un raptus momentaneo, ma non appena riprende il controllo di sé si rende conto del gesto compiuto, chiede inutilmente perdono e in seguito decide di dimettersi spontaneamente. Molto insolito l‟articolo “Vittime del mobbing, datevi alla boxe”398, che riporta una notizia proveniente da Londra. Nella capitale inglese è nato il “The Real Fight Club Limited”, un‟associazione sportiva che organizza incontri di pugilato tra i cosiddetti “colletti bianchi”, cioè impiegati o manager. La maggior parte degli associati è composta da brokers, avvocati e dirigenti della city di Londra. Lo scopo è quello di creare una valvola di sfogo per coloro che sono vessati sul posto di lavoro e subiscono una pressione insostenibile dai piani gerarchici più elevati, situazione piuttosto comune in una città che rappresenta una delle più grandi piazze d‟affari del mondo. Naturalmente la maggior parte degli articoli riguardanti il mobbing rintracciati nell‟archivio dell‟Unione Sarda riportano notizie locali, caratterizzate da episodi limitati ad un area ristretta, le cui conseguenze riguardano aziende del luogo ed in ogni caso un numero esiguo di persone. Ma proprio per questo tale documentazione si rivela particolarmente interessante: possiamo verificare che il mobbing è un problema concreto, reale, subdolo e non soltanto un fenomeno sociale “astratto” di grande attualità che riempie le pagine dei giornali. A questo proposito risultano particolarmente interessanti gli articoli che si occupano delle diverse cause intentate per mobbing, dei processi in corso, in cui vengono descritti minuziosamente tutti gli aspetti del singolo problema cosicché è possibile trarre un quadro reale e concreto del fenomeno in questione. Molto importanti sono gli annunci riguardanti convegni e proposte di legge regionali relative al fenomeno, che dimostrano come ci si stia, benché lentamente ed in ritardo, attivando nella giusta direzione. Non mancano certamente le notizie di tipo nazionale ed estero, caratterizzate soprattutto dalla presentazione di dati statistici o di proposte di legge relative al mobbing. Possiamo quindi affermare che la tipologia di notizie riguardanti il mobbing fornite dall‟Unione Sarda è decisamente esaustiva, poiché spazia dal particolare caratterizzato dagli annunci locali, al generale costituito da comunicati di valore nazionale e d estero. Viene quindi fornita una panoramica completa del fenomeno. Ma l‟aspetto più rilevante emerso dalla ricerca è certamente la quantità di dati raccolti e la loro distribuzione nel tempo. E‟ stato fornito un elenco di 107 articoli in totale, 15 del 2000, 25 risalenti al 2001 e 19 del 2002. Ma più di ogni altra cosa colpisce il risultato relativo al 2003: ben 48 articoli relativi al mobbing, quasi il doppio di quelli del 2001. E‟ certamente un risultato significativo che testimonia l‟aumento d‟interesse nei confronti del fenomeno. 3.1.4. Il Gazzettino La ricerca effettuata nel sito del quotidiano “Il Gazzettino” non ha presentato alcuna difficoltà. La ricerca degli articoli riguardanti il mobbing effettuata nell‟archivio on-line del quotidiano Il Gazzettino è stata condotta sul sito ufficiale www.ilgazzettino.it. Il la398 “Vittime del mobbing, datevi alla boxe”, Unione Sarda, 17/02/02. 181 voro si è rivelato piuttosto semplice poiché anche quest‟archivio è impostato secondo il parametro del soggetto d‟interesse. Per accedere dalla homepage del sito alla pagina di nostro interesse è stato sufficiente selezionare la voce “archivio arretrati”. Ciò che differenzia questa ricerca da quelle condotte su La Repubblica, il Corriere della Sera e l‟Unione Sarda è l‟aggiornamento dell‟archivio. Esso si presenta di facile fruizione: è sufficiente inserire il parametro d‟interesse per ottenere la documentazione desiderata. Purtroppo la ricerca on-line è aggiornata solo agli ultimi trenta giorni, mentre è possibile richiedere gli arretrati più vecchi a pagamento, conoscendo però la data precisa di pubblicazione. Non è possibile ottenere una documentazione significativa relativa alle annate di riferimento. Naturalmente ciò costituisce un grosso ostacolo poiché i risultati ottenuti sono parziali e limitati nel tempo. Risulta impossibile una comparazione dei dati con le altre testate prese in esame. Gli articoli trovati nell‟archivio si riferiscono solo a un determinato intervallo di tempo, esattamente quello che va dalla fine di settembre 2001 a inizi di gennaio 2002 (10 articoli), ed ad un breve periodo compreso tra il 10 aprile ed il 10 maggio 2003 in cui sono stati raccolti ben 12 articoli. Questo ci permette di ipotizzare un discreto interesse del quotidiano nei confronti dell‟argomento mobbing, nonostante l‟archivio cronologicamente così limitato. L‟articolo che troviamo nel mese di Settembre 2001 è “Uccide il capo in ufficio. Mi perseguitava”399. La vicenda è quella di un mobbizzato, che si è fatto giustizia da solo. Il quotidiano scrive che forse per la prima volta, dietro il movente di un omicidio, c‟è un caso di mobbing. Infatti, sé scoperto che più volte l‟omicida si era rivolto ai sindacati perché gli erano state cambiate di frequente le sue mansioni senza alcun motivo. Troviamo anche in questo quotidiano i resoconti delle varie ricerche, sia a livello nazionale, sia a livello regionale. In “Mobbing, allarme anche da lui” 400 leggiamo che le vittime del mobbing sono per la maggior parte donne, ma nel mirino ci sono anche gli uomini. Il fenomeno sta investendo tutti i settori. “Distribuiti 350 questionari: ma solo 138 hanno risposto”401 è il risultato di una ricerca condotta dal sindacato della CISL, i dati sono stati raccolti dallo sportello antimobbing di Udine: il 17% denuncia molestie, il 5. 4% denuncia il mobbing. Si legge inoltre che la situazione negli uffici postali è difficile a causa di questo fenomeno. Un altro resoconto di un‟indagine è “Lavoro. I risultati di una ricerca. Sanità troppi i casi di mobbing”402. Si denuncia lo stato di malessere nei luoghi di lavoro, soprattutto negli ambienti della Sanità e dell‟Assistenza. Ma non sempre i casi denunciati sono mobbing. Ci sono articoli che parlano del lavoro di assistenza che i vari sindacati fanno. “Il mobbing, la violenza morale” 403. L‟articolo informa che la UIL e FPL stanno facendo una campagna di informazione e hanno istituito uno sportello anti-mobbing. Nello stesso si ha la notizia delle aperture nella Regione dei vari sportelli contro il mobbing. C‟è anche un articolo che prende in considerazione il mobbing e i suoi costi: “L‟intervento, una legge per poter eliminare i costi economici del mobbing” 404. L‟articolo mette in rilevanza le conseguenze che il mobbing ha per la stessa azienda, dove viene messo in atto. Dal punto di vista economico il mobbing è una vera e propria 399 Chessari M., “Uccide il capo in ufficio. Mi perseguitava”, Il Gazzettino, 20/09/2001. Marzotto E., “Mobbing, allarme anche da lui”, Il Gazzettino, 07/10/2001. 401 D‟Este S., “Distribuiti 350 questionari: ma solo 138 hanno risposto”, Il Gazzettino, 18/10/2001. 402 “Lavoro. I risultati di una ricerca. Sanità troppi i casi di mobbing”, Il Gazzettino, 09/11/2001. 403 Bergamasco E., “Il mobbing, la violenza morale”, Il Gazzettino, 07/11/2001. 404 Billo U., “L‟intervento, una legge per poter eliminare i costi economici del mobbing”, Il Gazzettino, 04/11/2001. 400 182 perdita infatti, l‟azienda perde 150 milioni l‟anno e in più la conseguenza del mobbing si ripercuote sulla competitività della stessa azienda. Si esorta dunque, l‟abbandono dell‟uso di tecniche vessatorie o del mobbing strategico e si invita a sostituirlo con l‟empowerment, cioè la valorizzazione e il coinvolgimento dei lavoratori nella vita e nella crescita dell‟impresa. Non poteva mancare l‟invito di elaborare una legge anti-mobbing, nell‟articolo appena citato c‟è la notizia di una proposta da parte del gruppo DS del Consiglio Regionale di una legge consistente in dieci articoli. Altro articolo riguardante il tema di una legge anti-mobbing è “Ora la lotta al mobbing è un impegno dell‟Europa”405 dove c‟è la notizia che il Parlamento europeo il 20/09/2001 ha approvato una Risoluzione: la n° 83, contro la violenza e le molestie nei luoghi di lavoro, raccomandando agli stati membri di imporre alle imprese e alle organizzazioni sindacali l‟attuazione di efficaci politiche di informazione, prevenzione e a completare e a rivedere la propria legislazione sotto il profilo della lotta contro il mobbing. Ci sono articoli anche del gennaio 2002: “La CISL accusa mobbing in ospedale”, “Mobbing, un convegno tra le forze dell‟ordine”, “Una sede per i Codacons”406. Tutti e tre gli articoli confermano ciò che è stato detto finora ovvero, che il mobbing è un fenomeno che colpisce non solo le piccole aziende ma anche e forse soprattutto il pubblico impiego. L‟articolo intitolato “Risarcimento inadeguato: Il processo vada avanti” 407, sottotitolato “Mobbing Corte dei Conti contro la Provincia” informa riguardo al processo intentato della Corte dei Conti nei confronti della Presidente della Provincia e del dirigente dell‟amministrazione. Ai due la Procura generale chiede la restituzione di 40 mila euro che la provincia è stata costretta a pagare ad un suo ex dipendente per mobbing. Gli avvocati dei due imputati affermano che i loro assistiti avrebbero già versato volontariamente una somma adeguata alla vittima, nonostante non si ritengano responsabili dei maltrattamenti morali e psicologici subiti da quest‟ultima. E‟ stata quindi richiesta alla Corte la cessazione del contendere, mentre il Procuratore ha domandato di proseguire il processo. Questo brano è significativo poiché testimonia che con il tempo le persone hanno preso coscienza della possibilità di difendersi dal mobbing attraverso armi legali, ottenendo spesso risarcimenti sostanziosi per i danni subiti. L‟articolo “Non bastavano le classiche cattive abitudini” 408 ci fornisce invece preziose informazioni di tipo medico-sanitario fornite da esperti e traccia un quadro delle condizioni di salute degli italiani. Scopriamo che i classici agenti che aumentavano il rischio di malattie cardiovascolari (fumo, diabete, obesità, ipertensione) sono oggi affiancati da altrettanto pericolosi fattori psicosociali: ansia, depressione, stress, isolamento sociale e mobbing. Questi ultimi, associati ai più noti fattori di rischio, raddoppiano la possibilità d‟infarto. Secondo gli esperti incidere positivamente sui fattori psicosociali aumenterebbe il numero di vite salvate, aggiungendosi a quel 40% di riduzione di mortalità cardiovascolare che si otterrebbe eliminando i tradizionali fattori di rischio. Ma il dato in assoluto più rilevante che traspare da questi studi è il seguente: il 50% di coloro che hanno subito un infarto dichiarano di essere stati vittime di ingiustizie o gravi discriminazioni sul posto di lavoro fino alla perdita di esso. Il mobbing quindi è anche un 405 “ Ora la lotta al mobbing è un impegno dell‟Europa”, Il Gazzettino, 12/10/2001. “La CISL accusa mobbing in ospedale”, Il Gazzettino, 18/01/2002; “Mobbing, un convegno tra le forze dell‟ordine”, Il Gazzettino, 11/01/2002; “Una sede per i Codacons”, Il Gazzettino, 03/01/2002. 407 “Risarcimento inadeguato: il processo vada avanti”, Il Gazzettino, 10/04/03. 408 “Non bastavano le classiche cattive abitudini”, Il Gazzettino, 14/04/03. 406 183 preciso fattore di rischio per la salute del nostro cuore e non solo causa generale di malessere e depressione. In “Per sei anni dimenticato al lavoro”409 viene riportato il caso di un uomo che si è rivolto al giudice del lavoro per chiedere la condanna di un‟azienda di Porto Marghera a causa del trattamento subito dal 1996 al 2002. E‟ stato quindi istituito un processo per mobbing e richiesto un risarcimento di duecentomila euro per dequalificazione professionale e dell‟immagine. L‟uomo si ritiene infatti vittima di un disegno che puntava ad escluderlo da ogni incarico per annullarlo nella sua professionalità. Egli, oramai pensionato, racconta così la sua vicenda: fino al 1996 avrebbe lavorato nell‟azienda come responsabile senza mai riscontrare nessun problema, ma quando l‟impresa fu assorbita da una multinazionale iniziarono i suoi problemi. Nel 1999 sarebbe stato costretto alla cassa integrazione straordinaria e privato di tutti i suoi diritti aziendali, dimenticato in una stanza priva di computer e senza la possibilità di compiere o ricevere telefonate. La vittima avrebbe sollecitato l‟azienda affinché venisse interrotta in qualche modo questa sua inattività inaccettabile, ma senza ottenere risposta. L‟azienda viene accusata quindi di aver imposto all‟uomo di svolgere dapprima attività decisamente inferiori alla sua qualifica ed in seguito di averlo costretto ad un‟inattività forzata. Risulta estremamente rilevante il brano “Mobbing, un milione di vittime in Ita410 lia” , in cui vengono riportati i dati e le cifre emerse dal convegno “Il mobbing e la tutela dei dirigenti e quadri direttivi”, tenutosi al centro conferenze Italgas e promosso dall‟Adac (Associazione dirigenti di aziende commerciali delle province di Venezia, Treviso e Belluno). Lo scopo del Convegno è stato quello di focalizzare l‟attenzione sulle conseguenze psicosociali e sugli elevati costi (individuali, aziendali e sociali) creati dal mobbing. E‟ emerso che tale fenomeno è davvero allarmante e riveste un carattere di patologia sociale dilagante. Durante il Convegno sono stati presentati i risultati di alcune ricerche scientifiche condotte dal 1997 al 2000 (non esaustive rispetto alla realtà sommersa) : ne consegue che in Italia i mobbizzati sono più di un milione rispetto ai dodici dell‟intera Unione Europea. Questi rappresentano il 4,2% della totalità dei lavoratori italiani, che a sua volta è costituito per il 53% da donne. La categoria più a rischio è quella del dipendente pubblico (47,67%). La fascia d‟età colpita cambia a seconda del sesso: 45/50 per gli uomini, 25/40 per le donne. Gli italiani inoltre possiedono una capacità di sopportazione del mobbing che oscilla tra i 2 ed i 4 anni. Infine viene fornito un dato estremamente rilevante : tra il 1997 ed il 2002 sono stati ricoverati in day hospital presso la Clinica Nazionale del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano ben 2781 soggetti. In “Questionario in Provincia” 411, sottotitolato “per capire se essere donna fa ancora differenza al lavoro”, viene presentata un‟importante iniziativa promossa dal Comitato per le Pari Opportunità della provincia di Udine: verrà distribuito, insieme alla busta paga, un questionario a circa cinquecento dipendenti dell‟Ente (sia donne che uomini). Lo scopo è appunto quello di testare se l‟essere donna fa ancora differenza sul luogo di lavoro e di misurare il grado di soddisfazione personale e gli eventuali problemi legati al posto di lavoro. Tra i numerosi quesiti rivolti ai dipendenti, alcuni hanno riguardato in modo specifico il mobbing e le molestie sessuali. La diffusione di questi strumenti per tastare il grado di soddisfazione all‟interno di un Ente denotano un elevato grado di civiltà ed un impegno concreto nel risolvere eventuali problemi che potranno emergere 409 “Per sei anni dimenticato al lavoro”, Il Gazzettino, 17/04/03. “Il mobbing,un milione di vittime in Italia”, Il Gazzettino, 17/04/03. 411 “Questionario in Provincia”, Il Gazzettino, 18/04/03. 410 184 dall‟analisi dei questionari compilati. Si tratta certamente di un importante passo nella giusta direzione, per una lotta concreta al mobbing. In “Impiegata risarcita” 412 viene riportata la notizia della conclusione di un processo per mobbing in cui l‟azienda accusata è scesa a patti con l‟ex impiegata accusatrice per limitare l‟entità dei danni, versando così undicimila euro alla donna. L‟azienda ha quindi riconosciuto davanti al giudice i gravi danni provocati alla vittima, costretta ad affidarsi alle cure di una psicoterapeuta per lo stato ansioso depressivo in cui era caduta, tra frequenti crisi respiratorie, insonnia e attacchi di pianto. L‟unico torto dell‟ex impiegata è stato quello di chiedere un adeguamento dello stipendio, giustificato dalle mansioni di elevata responsabilità ricoperte per due anni. In seguito a questa richiesta è stata rapidamente emarginata e trasferita in un altro reparto, dove si è ritrovata a fare fotocopie, senza una linea telefonica e senza la possibilità di trattenere oltre i rapporti con i clienti, fornitori e operatori. Le era stato inoltre detto che l‟azienda non contava più su di lei e che si attendevano solamente le sue dimissioni. A causa dell‟aggiornamento agli ultimi trenta giorni dell‟archivio arretrati non risulta possibile un confronto con gli altri dati ottenuti. In base agli articoli trovati possiamo comunque ipotizzare che il fenomeno mobbing sia un argomento ampiamente trattato da questo quotidiano. 3.1.5. La Stampa La ricerca nell‟archivio on-line del quotidiano La Stampa è stata condotta sul sito ufficiale www.lastampa.it. È stato possibile accedere dalla homepage all‟archivio di “Stampaweb” selezionando la voce “cerca nel giornale”. Anche qui la catalogazione della documentazione è organizzata secondo il criterio del soggetto d‟interesse, quindi adatta alla nostra tipologia di lavoro. La ricerca si è rivelata piuttosto semplice poiché è stato sufficiente inserire il parametro desiderato. Purtroppo l‟archivio di questa testata presenta gli stessi limiti riscontrati durante la ricerca condotta ne Il Gazzettino: utilizzando il programma di ricerca “Stampaweb” è possibile accedere soltanto agli arretrati pubblicati negli ultimi trenta giorni. I risultati ottenuti da questa ricerca sono parziali e non permettono un confronto con le altre testate nazionali che invece hanno fornito una catalogazione completa e protratta negli anni. I risultati ottenuti risalgono a gennaio 2002 in cui sono stati raccolti 5 articoli e ad aprile - maggio 2003, in cui sono stati raccolti altri 5 risultati relativi al mobbing. Anche qui va sottolineato il fatto che, trattandosi di un aggiornamento limitato a trenta giorni, tale risultato è da considerarsi comunque significativo, nonostante la sua parzialità. Si può solamente dedurre, visto il peso conferito all‟argomento in un periodo così breve, che sia stato analizzato con cadenze non troppo diluite nel tempo. Riportiamo la sintesi e l‟analisi degli articoli trovati. Il primo in ordine di tempo “E il Genoa deve lanciare le stampelle” 413, si riferisce al caso di mobbing verificatosi nel mondo del calcio. Il secondo “Si discute sul rinnovo del contratto nel settore chimicofarmaceutico”414. Il mobbing si inserisce come linea specifica nel contratto di lavoro del settore indicato. Nel terzo articolo, “Mobbing su tre insegnanti”415 si scrive del positivo risolvimento di un processo a favore di tre insegnanti che richiedevano un risarcimento 412 “Impiegata risarcita”, Il Gazzettino, 19/04/03. Sanguinetti I., “E il Genoa deve lanciare le stampelle”, La Stampa, pg. 43, 13/01/2002. 414 “Si discute sul rinnovo del contratto nel settore chimico-farmaceutico”, La Stampa, pg. 37, 15/01/2002. 415 De Matteis G., “Mobbing su tre insegnanti”, La Stampa, pg. 35, 16/01/2002. 413 185 danni in seguito a degli episodi di mobbing. Abbiamo trovato cronaca anche di un caso di mobbing nel mondo politico negli articoli “Dietro il suicidio un caso di mobbing?”416 e “Sulla morte indaga la Procura”417. All‟interno dei trafiletti “In Breve” 418 presenti in ogni edizione del quotidiano viene riportata una notizia relativa al territorio di Alba. Due medici dell‟Asl hanno presentato ricorso al giudice del Lavoro per denunciare degli episodi di mobbing a loro danno: vere e proprie persecuzioni e vessazioni. Da parte sua l‟Asl contesta le accuse proclamando la legittimità dei propri comportamenti. Anche “Cittadini parte civile contro il sindaco”419, sottotitolato “colpo di scena a Carmagnola al processo per abuso d‟ufficio”, riporta la notizia di un processo intentato per mobbing. Il sindaco di Carmagnola è stato accusato dai cittadini, che si sono costituiti parte civile, di abuso d‟ufficio ed altri reati. Bisogna sottolineare che la normativa consente “l‟azione popolare” in caso di inerzia del Comune e l‟accusa mossa al primo cittadino è proprio quella di aver provocato, insieme ai suoi stretti collaboratori, con la sua condotta, gravi danni alla collettività degli abitanti. Durante il dibattimento è emerso anche il caso di una dirigente comunale, stretta collaboratrice del precedente sindaco e politicamente all‟opposizione, messa da parte e relegata in una stanza ad occuparsi di mansioni inesistenti in seguito al cambio di maggioranza: un tipico caso di mobbing. In “Un perito sul ricorso”420, viene fornito un aggiornamento del caso dei due medici dell‟Asl presentato nella notizia “In Breve”. Il ricorso al giudice del Lavoro presentato dai due medici dell‟Asl per un presunto fenomeno di mobbing a loro danno ha dato il via ad un‟indagine che è diventata oggetto di due udienze. Il giudice del Lavoro infatti ha disposto una perizia medico-legale: la condurrà proprio Herald Ege 421, uno dei massimi specialisti del settore, di cui abbiamo già parlato in modo approfondito in questo elaborato. I due medici che hanno fatto ricorso lamentano comportamenti vessatori e persecutori nei loro confronti: essi sarebbero stati emarginati e destinatari di richieste non consone alle loro specialità. L‟Asl si difende affermando di aver solamente realizzato degli interventi che fanno parte dei normali controlli e sostiene che il mobbing non va confuso con i normali contrasti nell‟ambiente lavorativo. Effettivamente il rischio di confondere tale fenomeno con il normale conflitto costruttivo che caratterizza l‟ambiente lavorativo è reale, ma si tratta di due realtà completamente agli antipodi che una perizia medico – legale condotta da esperti può facilmente evidenziare. E‟ importante sottolineare il ricorso al parere di esperti nel settore come fondamentale strumento di lotta al mobbing. In “La giovane compagnia Macrò Maudit diretta da Giulio Baraldi porta in scena un bello spettacolo musicato dai Tiromancino” 422 viene riportata una notizia di spettacolo molto interessante, per altro già riscontrata nell‟archivio del Corriere della Sera. Nel brano è esposta la trama dello spettacolo teatrale Mobbing!: quattro impiegati, riuniti per una festa aziendale, dopo aver bevuto un po‟, cominciano a confessarsi. Ritornano così in mente i soprusi subiti sul posto di lavoro. I protagonisti sono una segretaria inibita, un custode sotto stress, un‟archivista zen ed un medico del lavoro: costoro esprimono 416 Moretti, “Dietro il suicidio un caso di mobbing?”, La Stampa, pg. 39, 24/01/2002. “Sulla morte indaga la Procura”, La Stampa, pg. 37, 25/01/2002. 418 “In Breve”, La Stampa, 15/04/03. 419 “Cittadini parte civile contro il sindaco”, La Stampa, 18/04/03. 420 “Un perito sul ricorso”, La Stampa, 27/04/03. 421 Docente di Psicologia del Lavoro e dell‟Organizzazione e ricercatore all‟Università di Bologna. 422 “La giovane compagnia di Macrò Maudit diretta da Giulio Baraldi porta in scena un bello spettacolo musicato dai Tiromancino”, La Stampa, 03/05/03. 417 186 il loro dolore in un ambiente volutamente sordo, destinato al degrado professionale ed umano. La sorte di ognuno è diversa: isolamento, follia, violenza e suicidio. Lo spettacolo si presenta così decisamente crudo ed indigesto, anche se a tratti ironico. È importante sottolineare che lo spettacolo è ispirato ad alcune storie realmente accadute. Questi brani, nonostante non siano numerosi, testimoniano l‟interesse del quotidiano nei confronti del fenomeno mobbing (ricordiamo che l‟archivio degli arretrati e aggiornato solo agli ultimi trenta giorni). 3.1.6. La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino È stata condotta una ricerca unitaria negli archivi di tre quotidiani presi in esame: La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino. La loro analisi è stata riportata nello stesso paragrafo in quanto i tre archivi degli arretrati esaminati sono risultati identici e la documentazione ottenuta si è rivelata equivalente. I tre quotidiani presi in esame fanno riferimento allo stesso gruppo editoriale: Monti - Riffeser (MONRIF network). Per quanto riguarda la ricerca on-line nello specifico essa è stata condotta sui siti ufficiali delle testate: www.lanazione.it, www.ilgiorno.it, www.ilrestodelcarlino.it. Inoltre, proprio perché il gruppo editoriale è il medesimo, è possibile accedere ad un archivio unitario di tutte e tre le testate attraverso il sito www.quotidiano.net. Si tratta di un sito appartenente al gruppo MONRIF network, che permette una consultazione unitaria della documentazione relativa a tutti e tre i quotidiani. Un‟altra caratteristica che unisce l‟analisi di queste tre testate è la qualità dei risultati la tipologia di archiviazione: quest‟ultima ricerca è stata la meno soddisfacente in assoluto, quella che ha registrato maggiori problemi nella sua conduzione. L‟archivio di ogni singolo quotidiano non permetteva una ricerca impostata sul soggetto d‟interesse, bensì solamente una consultazione degli arretrati organizzata secondo criteri cronologici (giorno - mese - anno). Di conseguenza la persona che visita l‟archivio deve conoscere l‟edizione precisa di cui ha bisogno e non ha la possibilità d‟inserire il parametro di ricerca desiderato. Una ricerca degli arretrati ordinata per soggetto è possibile solamente attraverso l‟archivio unitario di tutte le tre testate. Ad esso si accede attraverso il sito www.quotidiano.net oppure da ogni homepage dei tre quotidiani inserendo il parametro di riferimento (“mobbing”) nella sezione denominata “cerca nei quotidiani”. Sono stati raccolti 56 articoli sul mobbing provenienti da La Nazione, da Il Resto del Carlino e da Il Giorno, relativi al periodo preso in esame (1999 -2003). Si ha l‟impressione che i risultati ottenuti nell‟archivio unitario siano parziali, che vengano cioè riportati solamente i brani comuni alle tre testate. Probabilmente se fosse stata possibile una ricerca per soggetto relativa ad ogni singolo quotidiano gli esiti sarebbero stati diversi. Bisogna ricordare che si tratta comunque di tre quotidiani di grande diffusione nazionale, nonostante loro parzialità dei dati raccolti. In “Si sfoga sull‟e-mail dell‟azienda: sospesa”423 viene riportata la notizia di un fatto avvenuto a Treviso. Una nota imprenditrice trevigiana ha sospeso una dipendente, colpevole di aver inviato attraverso la posta elettronica dell‟azienda un messaggio ad un‟amica in cui denigrava la sua dirigente. Secondo l‟imprenditrice si tratterebbe di un caso di “mobbing al contrario” e proprio per questo motivo ha deciso di avviare le pratiche per il licenziamento. La collaboratrice inoltre era stata già precedentemente richiamata per alcune negligenze nello svolgimento delle sue mansioni. Da parte sua la di423 “Si sfoga sull‟e-mail dell‟azienda:sospesa”, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, 25/05/01 187 pendente sospesa non avrebbe nessuna intenzione di accettare il provvedimento preso nei suoi confronti sostenendo di essere stata lei stessa vittima di mobbing: le sarebbe stato infatti più volte intimato di presentare spontaneamente le dimissioni. Nel breve articolo “Centro volontariato, il tribunale rigetta le accuse di mobbing”424 si informa riguardo alla conclusione di un processo intentato per mobbing. Le accuse per mobbing e comportamento antisindacale mosse da alcuni dipendenti al consiglio direttivo del “Centro servizio volontariato bolognese” (Cesevobo) sono state rigettate dalle sezione lavoro del tribunale per mancanza di prove. I dipendenti nella loro denuncia ritenevano che nel corso delle trattative sindacali fossero stati violati gli obblighi di buona fede e correttezza, omesse informazioni fondamentali, nonché messe in atto alcune intimidazioni nei confronti del delegato sindacale. Il giudice ha però giudicato tali accuse prive di fondamento. In “Violenze, molestie e ricatti: vittime 728 mila donne” 425 vengono riportati dati molto interessanti emersi nel corso della giornata di studi intitolata “Crimini nel lavoro”, promossa da Andromeda (Associazione di volontariato- osservatorio per la sicurezza), Are (Associazione ricerca economica), Iurc (Istituto universitario di ricerca e criminologia). I temi al centro del dibattito sono stati numerosi , tra i principali: mobbing, molestie sessuali e sicurezza dei sistemi informatici. Dalle statistiche emerge che sono 728 mila le donne che in Italia hanno subito molestie, ricatti e violenze sessuali sul posto di lavoro. Per 366 mila di loro gli episodi sono avvenuti durante il colloquio di assunzione. Il 4% dei lavoratori italiani di entrambi i sessi è stato vittima di mobbing, un fenomeno che in Europa ha colpito 12 milioni di persone con una media dell‟8%. Durante il convegno è intervenuto a proposito del mobbing il sottosegretario alle attività produttive, il quale ha sottolineato che l‟Italia, con il 4% di vittime, è al di sotto della media europea, più in basso di altri Paesi come l‟Inghilterra, la Francia e la Germania. Questo non significa affatto che il fenomeno non sia altamente preoccupante e che quindi siano necessari provvedimenti adeguati. È fondamentale che l‟imprenditore si schieri al fianco delle istituzioni per prevenire i crimini connessi al mondo del lavoro. Proprio per questo motivo il discorso si è soffermato scrupolosamente sullo Statuto dei Lavoratori, che dovrebbe contemplare al suo interno la lotta contro tali fenomeni, i quali si rivelano con il tempo nocivi anche per l‟imprenditore stesso, non appena la vittima cessa di essere produttiva e diviene un peso per l‟azienda. Risulta estremamente interessante l‟attenzione prestata agli aspetti contrattuali e normativi del fenomeno durante il convegno e che vengono sottolineati nello stesso articolo. L‟articolo “Troppe persecuzioni in ufficio: nasce l‟osservatorio regionale”426 cita una notizia relativa alla cronaca locale umbra. Viene annunciata l‟esistenza di un disegno di legge regionale per combattere nei luoghi di lavoro pubblici e privati il fenomeno del mobbing. L‟iniziativa è stata promossa dall‟assessore e dal consigliere regionale. Tale disegno di legge prevede la messa in opera di un osservatorio regionale al quale parteciperanno sindacati, imprenditori, enti locali ed Usl. Viene inoltre ribadito come il mobbing non solo annienti la dignità dell‟individuo, ma rechi anche gravi danni economici e produttivi all‟intera azienda. L‟articolo a proposito riporta interessanti stime fornite da una relazione della Uil 424 “Centro volontariato,il tribunale rigetta le accuse di mobbing”, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, 01/07/02. 425 “Violenze, molestie e ricatti: vittime 728 mila donne”, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, 22/04/02. 426 “Troppe persecuzioni in ufficio :nasce l‟osservatorio regionale”, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, 03/08/02. 188 portata in Parlamento: un‟azienda con 1000 dipendenti rimette in un anno 200 mila euro a causa dei costi sociali determinati dal mobbing. Infine la Regione ha firmato una proposta che invita il Parlamento all‟approvazione di una legge unitaria ed efficiente contro il mobbing. 3.1.7. CNN Italia La ricerca sul sito di CNN Italia ha fornito quantitativamente scarsi risultati, ma qualitativamente di elevata rilevanza. La scelta di analizzare anche l‟archivio di questo sito può risultare certamente anomala, poiché in realtà CNN è un canale d‟informazione televisiva e non un quotidiano nazionale. La sua rilevanza e diffusione a livello internazionale però sono tali che si è deciso di fare quest‟eccezione. La ricerca è stata condotta sul sito ufficiale di CNN Italia www.cnnitalia.it L‟archivio delle notizie del sito è di facile consultazione e non presenta limitazioni nell‟aggiornamento temporale. È stato sufficiente digitare il parametro di riferimento all‟interno della sezione “cerca nel sito” per ottenere la lista dei risultati desiderati. La documentazione viene ordinata secondo due criteri: per data (dal più recente) e per rilevanza (indicata in percentuale). Sono state così raccolte solamente 7 notizie: (3 del 2000, 2 del 2001, 1 del 2002 e 1 del 2003 in corso ), ma la loro rilevanza oscilla tra il 99 ed il 100%. Il primo è dell‟anno 2000: “Camera: il capo è cattivo? Ecco la lega antimobbing”427 che informa che la Commissione lavoro della Camera inizia il dibattito su alcune importanti proposte di legge destinate a piantare nuovi paletti di sicurezza a tutela dei più deboli negli ambienti di lavoro. La proposta di legge in questione è quella di Benvenuto. Essa prevede l‟obbligo di risarcimento danni e l‟annullabilità di provvedimenti come le variazioni di qualifiche, di incarichi o di trasferimenti riconducibili alla persecuzione psicologica. L‟otto ottobre del 2000 viene data notizia dello sciopero al McDonald‟s di Firenze: “La prima volta di McDonald‟s. Chiuso per sciopero in Italia” 428. Al centro dell‟articolo la protesta dei lavoratori della succursale della catena a causa del clima intimidatorio, di mobbing, di cui erano oggetto. In “Sciopero contro gli infortuni, tutti fermi per la prima volta” 429 si ha la notizia che il mobbing ora fa parte della nuova categoria degli infortuni. Invece in “Stranieri in Italia: uno ogni 25 ore è vittima di un atto di violenza”430 vengono forniti importanti dati statistici sulla situazione degli immigrati in Italia, i quali costituiscono una realtà davvero rilevante nel nostro Paese. Dallo studio risulta che gli stranieri sono colpiti da violenze di ogni tipo in percentuale maggiore rispetto agli italiani, un soggetto ogni 25 ore in media, appunto. Per quanto riguarda la tipologia di violenza subita, nel 58,3% dei casi si tratta di aggressione fisica, nel 25% di attacchi verbali o discriminazioni, nell‟8,4% di sfruttamento o mobbing e nell‟8,3% di rapina. In “Siglata ipotesi d‟accordo per il contratto dei giornalisti” 431 si informa riguardo l‟ipotesi d‟accordo sul contratto di lavoro giornalistico raggiunta al ministero del lavoro dalla Fieg ( Federazione italiana editori giornali) e Fnsi (Federazione nazionale della stampa). Il nuovo contratto nazionale dei giornalisti prevede, tra i numerosi aggiorna- 427 “Camera: il capo è cattivo? Ecco la legga anti-mobbing”, Cnn Italia, 15/02/2000. “La prima volta di McDonald‟s. Chiuso per sciopero in Italia”, Cnn Italia, 08/10/2000. 429 “Sciopero contro gli infortuni, tutti fermi per la prima volta”, Cnn Italia, 20/10/2000. 430 “Stranieri in Italia: uno ogni 25 ore è vittima di un atto di violenza”, Cnn Italia, 11/01/01. 431 “Siglata ipotesi d‟accordo per il contratto dei giornalisti”, Cnn Italia, 24/02/01. 428 189 menti, anche dei capitoli sulla responsabilità dei giornalisti, sul mobbing e sul diritto d‟autore. Nella notizia riportata nei due articoli “ Preoccupazione della stampa europea 1 e 432 2” vengono riportati passi di numerosi articoli appartenenti a diverse testate europee relativi alle dimissioni del Ministro degli Esteri italiano Ruggiero. A questo proposito i commenti apparsi sulla stampa austriaca di ogni collocazione politica sono molto duri, come d‟altronde è accaduto anche rispetto a tutti gli altri paesi europei. Il quotidiano indipendente austriaco “Der Standard” non si fa alcuno scrupolo scegliendo di intitolare l‟articolo sull‟argomento “Mobbing contro Ministro a Roma”. Secondo questa testata il ministro filo-europeo Ruggiero sarebbe stato vittima di mobbing e di sabotaggio, quindi spinto in ogni modo alle dimissioni. In “Mobbing: italiani paranoici o perseguitati?” 433 vengono riportati i dati del Rapporto Italia 2003 condotto dall‟Eurispes. Ne risulta che il profilo più ricorrente dell‟italiano che si sente vittima di mobbing è il seguente: donna, impiegata e lavora al Nord. L‟indagine dell‟Eurispes ha coinvolto per 14 mesi presso l‟ospedale S. Andrea di Roma un gruppo di ricerca composto da medici del lavoro e psichiatri ed è stato scoperto che in Italia, su 21 milioni di occupati, sono più di un milione le vittime di mobbing. Il 62,5% dei mobbizzati lavora presso un‟azienda privata e la maggior parte di essi (40%) afferma di aver subito vessazioni psicologiche e morali per un periodo di 1-2 anni. Anche se la maggior parte delle vittime è costituita da donne (52%), bisogna ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi il mobbing non ha nulla a che vedere con vessazioni a sfondo sessuale. L‟Eurispes inoltre fornisce un elenco dettagliato delle manifestazioni più frequenti relative al mobbing: accuse di scarsa produttività assegnazione di compiti superiori a pari grado o a subordinati della vittima assegnazione di obiettivi impossibili per il livello professionale della vittima o per il tempo concesso assegnazione di compiti non necessari, richiesti urgentemente e, una volta assolti, neppure controllati contestazioni o richiami disciplinari non adeguati all‟entità della mancanza declassamento delle mansioni rispetto alla qualifica attribuita eccessivo ricorso a visite fiscali critiche generiche riguardo lo svolgimento del lavoro, con il rifiuto di motivarle imposizione ai colleghi della vittima di non parlare con la vittima stessa ossessivo controllo dell‟orario di lavoro richieste di lavoro urgente anche nei giorni festivi o fuori orario tendenza di riferire giudizi negativi di terzi uso di un tono arrogante in presenza di terzi Infine vengono forniti alcuni dati statistici relativi anche alla situazione nell‟Unione europea: l‟8% dei lavoratori nella Comunità, corrispondente a 12 milioni di soggetti, è stato vittima di mobbing. Le percentuali più elevate si registrano nel Regno Unito (16,3%), Svezia (10,2%), Francia (9,9%), Irlanda (9,4%) e Germania (7,3%). L‟Italia segue con il 6% e precede Spagna (5,5%), Belgio (4,8%) e Grecia (4,7%). 432 433 “Preoccupazione della stampa europea 1 e 2”, Cnn Italia, 28/11/02. “Mobbing :italiani paranoici o perseguitati?”, Cnn Italia, 17/01/03. 190 L‟importanza di questa notizia riportata da CNN Italia è elevata poiché ci vengono forniti i dati statistici ufficiali più recenti in assoluto raccolti nel corso di questa ricerca, i quali confermano la gravità del problema mobbing a livello nazionale ed europeo. Naturalmente le notizie raccolte non sono numerose, ma comunque tutte di notevole importanza: questo è testimoniato anche dal fatto che il loro valore di rilevanza indicato accanto al titolo oscilla tra il 99 ed il 100%. Si sono rivelati particolarmente interessanti i due articoli relativi al Rapporto Eurispes 2003 e alla situazione degli stranieri in Italia. Gli articoli qui presentati ed analizzati sono certamente estremamente interessanti, soprattutto per la varietà di angolazioni da cui il fenomeno mobbing è osservato. Vengono infatti forniti importanti dati statistici, riportate notizie di cronaca sull‟argomento di carattere locale, nazionale ed estero, presentate iniziative e convegni il cui scopo è conoscere e contrastare il mobbing. Ciò nonostante la ricerca condotta nell‟archivio online di questi tre quotidiani è stata in assoluto la meno soddisfacente, sia per le difficoltà incontrate a causa dell‟impostazione dell‟archivio, sia per la parzialità dei documenti raccolti, la quale non permette una comparazione corretta con i risultati ottenuti dall‟analisi degli altri quotidiani. 3.1.9. Osservazioni conclusive Numero di articoli relativi al mobbing raccolti negli archivi delle diverse testate nazionali prese in esame risalenti ai diversi anni analizzati : Tabella 1 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 Totale La Repubblica Corriere della Sera 5 1 7 4 6 7 5 2 24 7 12 34 9 22 97 15 25 19 48 107 10 12 22 5 5 10 1 7 Unione Sarda Il Gazzettino La Stampa CNN Italia 3 2 1 25 17 7 La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino 7 56 I risultati quantitativamente e qualitativamente migliori sono stati raccolti negli archivi di La Repubblica, il Corriere della Sera e Unione Sarda. La ricerca in Il Gazzettino e La Stampa è stata semplice e qualitativamente buona, ma limitata dall‟aggiornamento degli arretrati agli ultimi trenta giorni. CNN Italia ha fornito risultati quantitativamente scarsi ma di gran rilevanza. La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino hanno fornito i risultati meno soddisfacenti, presentando anche alcuni problemi nella ricerca in archivio. La ricerca condotta nella seconda parte di questo elaborato vuole testimoniare l‟interesse attualmente rivolto al problema “mobbing”, attraverso l‟analisi della trattazione dell‟argomento, sotto diversi punti di vista, da parte dei maggiori quotidiani italiani. Gli articoli relativi al mobbing presi in considerazione ci permettono di formulare 191 alcune considerazioni interessanti. Innanzitutto si nota un interesse in costante aumento da parte dei quotidiani nazionali per l‟argomento “mobbing”. A questo proposito è sufficiente sottolineare alcuni sorprendenti dati raccolti relativamente al 2003: l‟Unione Sarda ha pubblicato 48 articoli sul mobbing, mentre il Corriere della Sera 22. Ma più che la quantità di articoli raccolti, colpisce la qualità e la varietà di punti di vista con cui è stato trattato l‟argomento, anche per quanto riguarda i quotidiani in cui i risultati della ricerca sono stati quantitativamente più scarsi. Gli articoli analizzati riportavano notizie di diversa tipologia: Dati statistici sul mobbing. Rapporti di convegni e congressi organizzati su questo tema. Notizie di cronaca locale, nazionale o estera sul mobbing. Resoconti di processi intentati da vittime, o presunte tali, di violenza psicologica sul lavoro. Articoli che informano riguardo a progetti (sportelli anti-mobbing, iniziative sindacali, centri di volontariato sensibili a tale fenomeno…) che mirano a contrastare il mobbing. Informazioni riguardo ad iniziative legislative a livello locale o nazionale di lotta al mobbing (ad esempio, i rinnovi contrattuali che prevedono sanzioni per gli aggressori e risarcimenti per le vittime). Articoli che riportano notizie più “leggere”, in cui il mobbing è visto più che altro come fenomeno sociale e di costume. Tutto ciò testimonia ampiamente come il mobbing non sia più un fenomeno “ai margini”. La collettività sta prendendo sempre maggior coscienza di questo problema che mina la salute di tutti i lavoratori, indifferentemente. Il rischio è che si limiti ad essere un fenomeno d‟attualità, di moda… e che come tale ritorni nell‟ombra in breve tempo. Per evitare che tutto ciò accada è necessario mettere in atto una politica d‟informazione relativa al fenomeno che raggiunga ogni livello del mondo del lavoro e dare al fenomeno la giusta rilevanza, soprattutto dal punto di vista legislativo. È proprio questa la grande carenza che emerge nel corso della ricerca: la legislatura. Dagli articoli analizzati veniamo a conoscenza di alcuni progetti di legge regionali contro il mobbing, di iniziative locali o sindacali che hanno lo scopo di contrastare tale fenomeno. Ciò rappresenta un buon punto di partenza, ma non è sufficiente. Se si vuol dare il giusto peso al fenomeno, contrastarlo in modo efficace affinché non diventi un termine abusato o, ancor peggio, una moda passeggera, bisogna poter lottare con le armi adatte. Sono necessarie una legislazione nazionale efficace contro il mobbing ed una intensa sensibilizzazione mirata delle imprese, le quali dovrebbero investire energie sempre maggiori in una proficua formazione aziendale, quale arma fondamentale nella lotta e nella prevenzione al mobbing. 3.2. Il mobbing e l’informazione in rete Il mobbing, fenomeno attuale che colpisce il mondo del lavoro, non ha suscitato interesse solamente nei quotidiani e nella carta stampata, ma in tutti i media in generale. È possibile constatare quindi come tale fenomeno stia acquisendo spazi sempre maggiori anche nel mondo virtuale di internet. Sono stati creati infatti numerosi siti che si occupano di tale problema, che forniscono notizie e possibili soluzioni a riguardo, che fanno capo ad associazioni o enti che studiano il problema od hanno lo scopo di raccogliere dati statistici su tale fenomeno. Le tipologie di siti sul mobbing sono numerose e varie ma in ogni caso lo scopo fondamentale consiste nel diffondere sempre maggiori infor- 192 mazioni e nel sensibilizzare gli utenti riguardo ad un fenomeno purtroppo ancora poco conosciuto ed in costante ascesa. Inoltre attraverso questo mezzo è possibile monitorare la situazione praticamente in tempo reale e su larga scala attraverso la distribuzione di questionari on line e di statistiche continuamente aggiornate relativamente al mobbing. 3.2.1. La ricerca È stata quindi condotta una ricerca on line per individuare i diversi siti internet che si occupano del problema mobbing. A questo scopo ci si è avvalsi del motore di ricerca Google. Le parole chiave utilizzate sono sia di carattere generale (come “mobbing” o “violenza sul lavoro”), sia più specifiche, solitamente in riferimento a studiosi del fenomeno, quali Leymann o Ege. Sono state inserite anche parole chiave combinate tra loro e in diverse lingue, in modo da ottenere una visione più globale ed obiettiva del fenomeno. Le cifre nella tabella indicano il grado di ricorrenza delle parole chiave utilizzate all‟interno di tutti i siti conosciuti da Google: Tabella 2 Bullying Mobbing Associazione prima Violenza sul lavoro Internet, mobbing Stress am arbeitsplatz Bossing Harcelement moral Harassment Leymann Herald Ege Psychoterror am arbeitsplatz Sindacato, mobbing Statistiche, mobbing Zapf mobbing 474.000 196.000 118.000 92.000 32.900 28.400 24.200 19.000 17.000 13.000 3.000 2.640 2.260 1.090 557 Le parole chiave come mobbing, bullying e violenza sul lavoro hanno fornito i risultati migliori, questo perché sono termini utilizzati all‟interno di molti siti diversi. Una ricerca di questo tipo può portare alla raccolta di una quantità infinita di risultati, quindi, per evitare che diventi eccessivamente dispersiva, si è scelto di utilizzare le parole chiave in modo combinato per restringere il campo dei testi disponibili. Per sondare inoltre il livello di interesse di ciascun Paese europeo per il fenomeno in questione è stata utilizzata la parola chiave mobbing nelle diverse versioni internazionali del motore di ricerca Google. Grado di ricorrenza di siti dedicati al Mobbing riscontrati nelle diverse versioni internazionali del motore di ricerca Google: Tabella 3 Germania Norvegia Italia Austria Svizzera Svezia Spagna 48.700 23.600 20.500 12.800 11.500 6.930 4.260 193 Gran Bretagna Danimarca Francia Belgio Polonia Cekia Olanda Finlandia Russia 1.480 1.420 1.420 1.250 769 657 640 129 59 Si nota la grande importanza attribuita al fenomeno in Paesi come la Norvegia e la Germania, dove vi è una maggiore sensibilità verso le problematiche sociali ed una maggiore disponibilità ad investire risorse per lo studio del fenomeno. Tra i Paesi dell‟Europa meridionale, dove il fenomeno è in generale poco sentito, l‟Italia si distingue per il progressivo aumento dell‟indice d‟interesse, a partire dall‟informazione a carattere divulgativo. Inoltre bisogna ricordare che negli ultimi anni in Italia sono aumentate considerevolmente le ricerche condotte sul mobbing. Tra tutti i siti trovati sull‟argomento, sia italiani che stranieri, sono stati privilegiati quelli in italiano ed in tedesco e quelli di carattere più scientifico, curati da studiosi del fenomeno, che potevano così garantire per l‟attendibilità delle fonti dei dati forniti. In totale sono stati presi in esame sei siti internet: due italiani (www.mobbingonline.it; www.jobonline.it), uno tedesco (www.vbe-bw.de/aktuell/mobbing/mobbing.htm), uno francese (www.harcelement.info/) e uno inglese (www.worktrauma.org/). Inoltre è stato analizzato il sito The Mobbing Encyclopaedia realizzato da Heinz Leymann (www.leymann.se). Sono stati privilegiati i siti facilmente raggiungibili e fruibili, di agile lettura e maggiormente completi, mentre sono stati tralasciati quelli troppo dispersivi e superficiali. Da un punto di vista prettamente grafico è importante che le qualità estetiche siano strettamente legate a quelle funzionali: le immagini devono essere un supporto ed un completamento valido del testo, non un intralcio od una distrazione per l‟utente. L‟impatto visivo iniziale svolge infatti una notevole influenza sull‟utente e agisce sul tipo di interazione che egli instaura con il sito stesso. Il sito deve essere infatti capace di farsi facilmente ricordare, riconoscere e associare all‟ente o all‟associazione di appartenenza. Vanno inoltre tenuti presente i seguenti aspetti: comprensibilità dell‟informazione; contestualizzazione dell‟informazione; attualità della home page; dichiarazione delle fonti; autorevolezza della fonti dichiarate; qualità del linguaggio; chiarezza dei contenuti; coerenza dei contenuti. 3.2.2. www.mobbingonline.it Questo portale italiano è raggiungibile attraverso il motore di ricerca www.google.it con la combinazione delle parole chiave mobbing e statistiche. La schermata iniziale colpisce per la sua semplicità e chiarezza della struttura, che si riflette poi nella facilità di utilizzo. L‟indice presente subito sotto il titolo suddivide i documenti presenti in cinque categorie principali. Inoltre è possibile creare una “stanza personale” nella chat del gruppo di auto-aiuto. La struttura è molto chiara e permette un facile accesso all‟argomento d‟interesse, oltre a presentare la possibilità di effettuare numerosi collegamenti con numerosi link relativi all‟argomento. Nonostante l‟utilizzo di termini inglesi, il portale è stato creato da un gruppo di italiani per un pubblico italiano: infatti non è contemplata la possibilità di convertire il testo in altre lingue. La sintassi è semplice ed i 194 testi piuttosto brevi, adatti anche ad una lettura veloce grazie alle parole chiave evidenziate in grassetto. I documenti presentati offrono informazioni esaurienti, di facile comprensione e non dispersivi. Possiamo ritrovare infatti: scritti informativi di carattere generale che riassumono concetti generali legati al mobbing, articoli di attualità tratti da quotidiani nazionali e locali, testimonianze di storie reali. Infine “il fenomeno”, “dossier”, “focus” sono documenti raccolti nella sezione “speciali” che rimandano a testi piuttosto specifici sull‟argomento che richiedono una conoscenza più specifica del fenomeno (testi giuridici o medici), mentre attraverso “eventi” è possibile tenersi informati e aggiornarsi in tempo reale tramite incontri, libri o siti web che qui vengono segnalati. Bisogna sottolineare l‟importanza della possibilità di dibattito e di scambio delle esperienze attraverso l‟iscrizione nella chat di auto-aiuto. Purtroppo è da segnalare la mancanza di una bibliografia che indichi e fonti da cui sono state attinte le informazioni. 3.2.3. www.jobonline.it Nella home page sotto la sezione “osservatorio” troviamo il “nuovo dossier mobbing”. Il testo collegato presenta una schermata suddivisa principalmente in tre parti: una fascia sinistra con la presentazione del dossier, una fascia destra con link generici sul tema lavoro ed una cornice inferiore contenente i vari articoli del dossier ordinati in paragrafi e sottoparagrafi. Il linguaggio utilizzato non è sempre dei più scorrevoli e spesso richiede una conoscenza terminologica piuttosto ampia. Nonostante lo scopo sia la diffusione delle informazioni su larga scala, in alcune parti l‟approfondimento giuridico-legislativo richiede una certa competenza in materia. Da un punto di vista sintattico inoltre le frasi sono troppo lunghe e dispersive, mentre l‟informazione dovrebbe essere strutturata per punti chiave. Il dossier contiene una presentazione introduttiva del fenomeno e tre paragrafi su come esso si manifesti, le cause e gli effetti. Si tratta di informazioni di carattere generale, mentre la parte più consistente riguarda proprio l‟approfondimento giuridico-legislativo attraverso i principali articoli sui diritti del lavoratore e la tutela del lavoro. Vengono sempre citate le fonti e gli autori di riferimento ed è inoltre presente un link in cui viene riportata la bibliografia. All‟interno del dossier viene presentato il questionario sul mobbing che può essere compilato nell‟anonimato da ogni utente al fine di fornire informazioni utili sullo stato di salute dell‟ambito lavorativo italiano relativamente al fenomeno mobbing. 3.2.4. www.vbe-bw.de/aktuell/mobbing/mobbing.htm Questo sito è stato raggiunto attraverso il motore di ricerca Google nella versione tedesca, tramite le parole chiave mobbing, arbeitsplatz. La struttura della pagina è molto semplice e di agile lettura. Un indice molto pratico raccoglie in nove link tutti i documenti, rendendo così immediata la loro visualizzazione. Alcune cornici riportano in sintesi i concetti principali e sono state inserite alcune tabelle che colpiscono l‟attenzione per l‟estrema semplicità e chiarezza. La schematizzazione dei concetti per punti portanti agevola al massimo la lettura. Il linguaggio inoltre e chiaro e diretto e mira quindi alla divulgazione su larga scala delle informazioni. Vengono descritte situazioni di mobbing estremamente concrete e la loro lettura e scorrevole e veloce. Non è infatti necessaria alcuna competenza terminologica specifica. Il sito nella sua sinteticità si presenta estremamente completo: il fenomeno viene infatti descritto nelle sue varie fasi, forme, cause e conseguenze. 195 3.2.5. http://www.harcelement.info/ Il sito francese è raggiungibile attraverso le parole chiave harcelement, moral. Attira l‟attenzione soprattutto per i colori, le immagini usate e le scritte animate che scorrono sullo sfondo. È possibile scegliere la lingua (francese, tedesco, inglese) in cui leggere i documenti e gli argomenti sono raccolti in dieci link principali. Il linguaggio utilizzato dagli autori di questo sito è chiaro e pertinente e non richiede competenze terminologiche specifiche. La struttura sintattica privilegia le frasi brevi ed in alcuni tratti la divisione per punti del tema trattato. Il taglio generale del sito è di carattere giuridico: sono presentate definizioni date da giuristi, cenni di diritto pubblico, penale, privato e leggi sui diritti dei lavoratori. In questa arte sono sempre citati gli articoli a cui si fa riferimento, ma non la fonte da cui è stata attinta l‟informazione. Uno strumento attivo è il questionario riportato che si rifà alle 45 azioni mobbizzanti individuate da Leymann. Si tratta di uno dei pochi siti contenenti statistiche e dati sulla diffusione del fenomeno. Bisogna infine segnalare l‟importantissimo capitolo dedicato agli indirizzi utili, molto ricco e suddiviso a sua volta per tipologia di associazione. Qui, dov‟è possibile, viene affiancato un collegamento diretto con il sito dell‟associazione o ente d‟interesse. 3.2.6. http://www.worktrauma.org/ La home page di questo sito inglese colpisce per il vasto utilizzo dei colori e la segmentazione dei testi in piccole parti. I colori accesi sono accostati in modo da creare un violento contrasto cromatico rendendo così dispersiva la consultazione. Il tutto inoltre è impaginato in maniera disordinata e casuale. Si ha l‟impressione che in questo sito si volesse inserire tutto il materiale possibile, senza focalizzare l‟attenzione su alcun aspetto particolare. Questo è in assoluto il peggiore dei siti analizzati, la presentazione dei testi è dispersiva e disordinata, l‟intensità dei colori fa perdere il senso dell‟orientamento all‟interno del sito. In definitiva la grafica non è di supporto al testo, ne peggiora invece la qualità. 3.2.7. http://www.leymann.se La home page del professor Leymann è divisa strutturalmente e graficamente in due parti: la colonna di sinistra contiene l‟indice degli argomenti trattati direttamente collegati con i link ai documenti, mentre la parte destra è dedicata alla visualizzazione dei testi o dei paragrafi che rimandano a loro volta ai testi. Anche il linguaggio utilizzato nella stesura dei testi si può distinguere in due categorie: uno semplice e diretto per le parti di presentazione generale sull‟autore e sul team che collabora all‟aggiornamento del sito e per la risposta alle domande più frequenti (FAQ), mentre viene utilizzato uno stile più specifico ed impersonale per gli approfondimenti medici e giuridici, per la presentazione dei concetti scientifici e storici alla base del fenomeno. Leymann presenta e spiega il suo modello a quattro fasi e chiarisce quali sono le fonti da cui ha attinto per sviluppare le sue teorie. È inoltre molto interessante la presentazione delle domande più frequenti che accompagnano il fenomeno mobbing (FAQ). La struttura globale del sito è molto semplice e chiara e mira alla facilità di consultazione. 3.2.8. Osservazioni conclusive Dopo la consultazione di vari siti europei dedicati al mobbing, è possibile affermare che in linea generale i siti italiani presentano una struttura mediamente chiara e mirano a fornire per lo più informazioni sugli aspetti generali del fenomeno. I siti tedeschi sono accomunati da un‟impostazione tendenzialmente molto diretta, che colpisce per la sinte- 196 ticità, l‟agilità di lettura e la facilità di consultazione. Gli argomenti sono infatti spesso presentati per punti e supportati da tabelle esplicative. Al contrario i pochi siti inglesi visitati sono apparsi piuttosto dispersivi. Si ha l‟impressione che vogliano impressionare l‟utente con l‟abbondanza di immagini, colori, scritte. Il materiale non viene selezionato, ma presentato alla rinfusa in modo disordinato e dispersivo. Infine la maggioranza dei siti francesi presenta una grafica piuttosto curata, che punta a fare effetto sull‟utente. Generalmente sono siti ben strutturati come quelli tedeschi, ma maggiormente curati nell‟aspetto visivo. Vi si trovano per lo più documenti di tipo giuridico e riferimenti alla legislazione francese. 3.3. Una ricerca sul Mobbing: il sito www.jobonline.it Il sito www.jobonline.it è interamente dedicato al mondo del lavoro. All‟interno della home page, sotto la sezione osservatorio (ed anche nell‟icona che si apre automaticamente all‟accesso nel sito), si trova il “nuovo dossier Mobbing” che affronta l‟argomento delle violenze psicologiche sul lavoro434. Il dossier sul mobbing è accompagnato sulla home page da un‟immagine d‟impatto che raffigura una donna urlante stretta in una morsa. È sicuramente un‟immagine che incuriosisce il navigatore e lo invoglia alla lettura. A giudicare dall‟espressione la donna appare spaventata e sgomenta, suggerisce l‟idea di voler scappare da qualcosa, da una situazione di disagio. Il testo collegato presenta una schermata divisa principalmente in tre parti: una fascia sinistra che occupa buona parte della pagina con la presentazione del dossier; una fascia destra con link generici sul tema del lavoro; una cornice i nferiore contenete i vari articoli del dossier ordinati in paragrafi e sottoparagrafi. Ad ogni pagina corrispondono dei pop-up che attirano l‟attenzione con la loro comparsa improvvisa. I colori scelti per la realizzazione della pagina sono piu ttosto tenui e non disturbano la lett ura. Fanno eccezione la cornice inferiore co ntenente l‟indice e l‟inserto pubblicitario sulla sinistra. Nella parte dedicata agli aspetti legislativi, la densità della scrittura re nde meno scorrevole la lettura, molto precisa per un lettore che possieda già una conoscenza del diritto, ma a tratti più difficile per il profano (anche se un buon aiuto è dato dalla spiegazione di alcuni termini nel glossario collegato). Il dossier contiene una presentazione introduttiva del fenomeno e tre paragr afi su come esso si manifesta, quali ne sono le cause e quali gli effetti. Questa prima parte non si sofferma nei dettagli, ma mira piuttosto a fornire delle i nformazioni generali sul mobbing. La parte più consistente del testo approfond isce invece gli aspetti giuridici e legislativi, prendendo in considerazione i principali articoli del Codice Civile sui d iritti del lavoratore e la tutela del lavoro. È da notare che per ogni articolo o testo di legge sono citate le fonti e il n ome dell‟autore. È presente inoltre un link c he riporta per intero tutta la bibliografia. Inoltre la parte inferiore della home page raccoglie in un breve indice tutti i link dei documenti, che risultano in tal modo facilmente raggiungibili. Anche i paragrafi che approfondiscono la parte legislativa contengono un collegamento diretto che dona chiarezza alla struttura. 3.3.1. Descrizione del questionario on line 434 È curato da Stefano Crosara, ed alla sua realizzazione hanno collaborato Enzo Kermol e Silvia Del Fabbro. 197 Il questionario è stato proposto on-line all‟interno del sito www.jobonline.it, in modo da essere diffuso al maggior numero possibile di persone. Nei rapporti sulle molestie nel luogo di lavoro è stato evidenziato come vi sia una carenza di conoscenza del fenomeno (specialmente nel Sud Europa), una base statistica inadeguata, una ricerca frammentaria e irregolare in quest‟area, una metodolog ia che spesso non permette efficaci comparazioni trans-nazionali. Il presente questionario 435, elaborato partendo dai principi esposti dallo studioso Heinz Leymann, vede, oltre a quella sul sito, una distribuzione parallela in aziende e settori del pubblico impiego del nord Italia effettuata per ottenere il maggior numero possibile di dati validi al fine di analizzare la situazione attuale e, dopo le debite tarature, fornire uno strumento utilizzabile in tutta l‟Europa. In questa sede verranno utilizzati solo i dati raccolti tramite il sito di jobonline.it. Pertanto, pur avendo un campione numerico pari a quello di altre ricerche svolte in passato, non si ha la pretesa di aver svolto una ricerca esaustiva, ma solo quella di rilevare una tendenza nazionale. Il questionario è composto di 35 domande, la maggior parte delle quali a risposta chiusa. Sono stati utilizzati i questionari raccolti dal 29.09.2002 al 14.05.2003, per un totale di 373 campioni validi. Naturalmente è assolutamente anonimo e non rintracciabile attraverso la rete di internet. Idealmente il questionario risulta suddiviso in sei parti principali: inquadramento generale del soggetto; inquadramento generale del luogo di lavoro; specificazione delle attività svolte dal soggetto sul luogo di lavoro; condizioni di lavoro; rapporti interpersonali sul luogo di lavoro; stato psicofisico del soggetto. La prima parte poneva domande volte ad evidenziare alcuni aspetti generali del soggetto, per cercare di capire chi è il compilatore. Oltre al sesso ed all‟età, interessa conoscere la sua provenienza e il suo grado s‟istruzione. Lo scopo della seconda parte è importantissimo: capire il tipo di ambiente di lavoro dove il soggetto svolge le proprie funzioni lavorative. Le domande evidenziano se la struttura è pubblica o privata, a quale settore economico appartiene e quante persone vi lavorano. La terza parte, direttamente connessa alla seconda, serve per inquadrare quali attività specifiche vengono svolte dal soggetto durante il lavoro: con quale tipo di contratto è assunto, che qualifica ha raggiunto, se svolge o meno attività di rappresentanza sindacale. Queste informazioni ci possono indicare l‟importanza del suo lavoro all‟interno della struttura lavorativa e se le sue mansioni sono adeguate al ruolo che riveste. La quarta parte è rivolta allo studio della situazione lavorativa del soggetto all‟interno del reparto o ufficio in cui svolge le sue mansioni. Viene accertato se è soddisfatto del lavoro che svolge, se ha sufficiente spazio per lavorare, se i compiti lavorativi sono ben definiti o meno. La quinta parte è dedicata ai rapporti con colleghi e superiori, alle relazioni che si instaurano sul luogo di lavoro, ad eventuali litigi e incomprensioni, all‟indagine di alcune azioni che possono presentare carattere di violenza morale subite direttamente dal soggetto o delle quali è stato testimone, infine ci si informa sullo stato delle relazioni/comunicazioni con la famiglia. 435 Elaborato dal prof. Enzo Kermol e dalla dott.ssa Silvia Del Fabbro. 198 Nell‟ultima parte del questionario si chiede di segnalare eventuali problemi di salute accusati dal soggetto e di indicarne la durata. Viene accertato l‟uso di psicofarmaci e l‟entità delle assenze dal lavoro. Un‟ultima domanda è riservata a verificare la conoscenza del termine mobbing. Le domande poste dal questionario sono le seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. sesso (maschile o femminile) età anagrafica (risposta libera) zona di residenza (Nord, Centro o Sud) grado d‟istruzione (risposta libera) tipo di organizzazione di cui fa parte (pubblico o privato) settore economico dell‟organizzazione (risposta libera) N° dipendenti dell‟organizzazione (risposta libera) tipo di contratto di lavoro (risposta libera) la sua qualifica è… (risposta libera) svolge attività di rappresentanza sindacale all‟interno del luogo di lavoro? (si o no) si definisce soddisfatto/a del suo ambiente di lavoro? (si, abbastanza o no) lo spazio di cui dispone è adeguato al lavoro che deve svolgere? (si o no) è rispettato il divieto di fumare nel suo ambiente di lavoro? (si o no) ruoli e compiti sono chiaramente definiti nell‟organizzazione di cui fa parte? (si o no) quali cambiamenti organizzativi sono stati attuati recentemente? (risposta libera) se vi sono stati cambiamenti, il suo carico di lavoro è… (uguale, diminuito o aumentato) l‟atmosfera nel luogo di lavoro è… (amichevole/collaborativa o conflittuale/competitiva) è libero/a di discutere del suo lavoro con i colleghi? (si o no) c‟è la possibilità di discutere del suo lavoro con i superiori? (si o no) si verificano incomprensioni riguardanti il metodo di lavoro? (mai, qualche volta o spesso) ha notato litigi e dissidi fra colleghi più frequenti del solito? (si o no) come si risolvono solitamente le differenze di opinione? (parlando del problema e negoziando, decisioni d‟autorità/ordini o non viene fatto nulla) 23. quali sono i canali per comunicare informazioni e notizie riguardanti il funzionamento dell‟organizzazione e il lavoro del singolo? (risposta libera) 24. sul luogo di lavoro ha subito qualcuna di queste azioni con una frequenza di almeno alcune volte al mese e per un periodo di tempo di almeno 3 mesi? il superiore/i limita le possibilità di esprimersi e/o ignora la presenza della persona il lavoro svolto è costantemente criticato in modo offensivo dai superiori assegnazione di un posto di lavoro isolato dai colleghi assegnazione di compiti inutili/assurdi o che mettono in imbarazzo assegnazione di compiti superiori/inferiori alle competenze e mansioni sottrazione del lavoro, non è assegnato alcun compito lavorativo sovraccarico di compiti lavorativi esonero di responsabilità senza consultazione controlli continui e ispezioni a sorpresa durante il lavoro non data alcuna risposta alle richieste verbali e scritte uso intimidatorio delle procedure disciplinari controlli eccessivi nei periodi di malattia vengono rifiutate richieste di trasferimento ad altra sede/mansione trasferimento forzato ad altra sede/mansione trasferimenti continui di sede/mansione giorni di ferie non goduti o permessi sono rifiutati non concessi aumenti o premi a differenza di altri colleghi in pari condizioni pressioni per il prepensionamento e/o per dare le dimissioni privazione senza valido motivo di strumenti necessari per il lavoro (telefono, tavolo, sedia…) il lavoratore è umiliato in presenza di colleghi, superiori, estranei il lavoratore è umiliato senza testimoni risultati giudicati in modo errato e dannoso i risultati del lavoro sono manomessi/alterati 199 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. indebita/eccessiva pressione per aumentare il rendimento inviti insistenti a rivolgersi a un medico nonostante la buona salute taciute/omesse informazioni importanti/necessarie per lo svolgimento del compito lavorativo esclusione da importanti riunioni operative tolti arbitrariamente benefici acquisiti (segretaria, ufficio personale, automobile, rimborsi…) i colleghi limitano la possibilità di esprimersi e/o non rivolgono la parola intenzionalmente la persona è trattata come se non fosse presente sul luogo di lavoro esclusione dagli eventi sociali (cene, feste…) la vita privata è continuamente criticata e/o derisa è imitato il portamento, la voce o il gesticolare di una persona per farla sembrare stupida divulgazione di pettegolezzi e/o calunnie sul conto di un lavoratore attribuita alla persona un‟infermità mentale affermazioni della persona sono volontariamente fraintese per metterla in difficoltà discriminazioni (per provenienza geografica, caratteristica fisica, idee politiche, religiose…) intimidazioni telefoniche e/o invio di e-mail di minaccia e/o derisione insulti e imprecazioni indirizzate alla persona danneggiati e/o occultati strumenti di lavoro danneggiati e/o occultati oggetti personali minacce verbali di violenza fisica atti di violenza fisica approcci sessuali indiretti approcci sessuali diretti verbali atti di molestie sessuali se non ha subito nulla di tutto ciò, è stato testimone di condotte del genere contro una persona sul luogo di lavoro? (si o no) chi ha/hanno messo in atto queste azioni? (indicare ruolo e sesso) un collega (maschio o femmina) più colleghi (maschio, femmina o entrambi) superiore diretto (maschio o femmina) più superiori (maschio, femmina o entrambi) colleghi e superiori (maschio, femmina o entrambi) se vittima delle condotte di cui sopra, è stata aiutata all‟interno del luogo di lavoro? (colleghi, superiori, sindacato o nessuno) se ha subito le azioni sopra descritte, ne ha parlato con i familiari? (si o no) ha avuto da loro appoggio e comprensione? (all‟inizio, tutt‟ora o no) ha pensato di lasciare il posto di lavoro? (si, qualche volta o no) in questo periodo ha sofferto o soffre di uno di questi disturbi? perdita di fiducia in se stesso/a mancanza di motivazioni e/o stimoli disturbi della sfera sessuale ansia e/o depressione attacchi di collera stanchezza cronica disturbi del sonno ipertensione dolori articolari/muscolari emicranie/cefalee disturbi gastrointestinali disturbi dell‟appetito da quanto tempo ne soffre (in mesi)? (risposta libera) fa uso di psicofarmaci? (mai, qualche volta, spesso o sempre) nell‟ultimo anno è stato/a assente dal lavoro? (mai, qualche volta, spesso o sempre) ha sentito/letto il termine “mobbing”? (si o no) 200 I dati ricavati da queste domande sono stati elaborati al computer, in maniera tale da rendere possibile non solo il conteggio in modo rapido, ma anche la comparazione ed il controllo incrociato degli stessi. 3.3.2. Metodologia Le prime ricerche sul mobbing risalgono agli anni ‟80/‟90 e sono state condotte per lo più nei paesi del centro e nord Europa. Da ciò deriva l‟impostazione metodologica essenzialmente adatta alla realtà e alla cultura scandinava. Heinz Leimann è stato il primo a definire un metodo di ricerca: ha approntato un questionario da sottoporre alle vittime di mobbing e lo ha chiamato “LIPT” (Leymann Inventory of Psicological Terrorism, 1997). Il LIPT è ancora oggi il più diffuso strumento di ricerca sul mobbing. Dieter Zapf, ha riscontrato una mancanza di aderenza del LIPT alla situazione tedesca, da lui studiata. Molte delle azioni mobbizzanti che il questionario di Leymann riportava, in Germania non si riscontravano affatto, o si verificavano in percentuali bassissime, mentre altre azioni non contemplate erano più frequenti. Il risultato delle modificazioni effettuate da Zapf sul LIPT ha portato alla nascita di un nuovo questionario. Sulla scorta delle modifiche tedesche, Harald Ege ha elaborato una nuova rivisitazione del LIPT (tenendo conto anche delle modifiche di Zapf), così da adattarlo alla situazione del mobbing in Italia. Per questa ricerca si è scelto di utilizzare un‟ulteriore elaborazione dei suddetti questionari, ridotti e sintetizzati in modo da essere più agili e facilmente utilizzabili. Un forte peso in questa scelta ha avuto la constatazione che gli utilizzatori di internet sono abituati ad una tale velocità di scorrimento delle informazioni che non consentirebbe lo svolgimento di un questionario di una trentina di pagine. Pertanto al fine di evitare uno scoramento negli utilizzatori (con conseguente incompletezza del questionario) si è preferito renderlo più snello e facilmente fruibile. Come si può intuire, la novità di questa ricerca non è data dalle domande poste ai soggetti bensì dalla modalità di somministrazione del questionario. Con questa specifica metodologia è stato possibile raggiungere i soggetti più diversi e lontani (geograficamente e culturalmente). Così facendo la ricerca ne acquista in completezza e rappresentatività dei risultati. 3.3.3. Analisi dei risultati L‟analisi riporta i risultati delle domande nello stesso ordine con cui sono state poste. In questa prima lettura dei dati vengono riportati gli indici grezzi desunti dai questionari. La ricerca è stata effettuata su 373 questionari validi. Il campione, pur numericamente consistente per una ricerca italiana, non è tale da poter essere considerato un valido supporto per una analisi dettagliata. Sarebbe quindi improduttivo e scientificamente errato cercare di dimostrare una qualsivoglia teoria del mobbing basandosi esclusivamente su questi dati. Ancor più errato sarebbe considerare questo campione come una rappresentazione fedele del mondo del lavoro in Italia. D‟altro canto, non bisogna dimenticare che i dati di seguito esposti sono stati raccolti tramite la rete di internet. Questo significa che i questionari sono stati compilati da persone che, almeno nella maggior parte dei casi, si sentono vittime di mobbing e navigano in rete alla ricerca di un aiuto o di una speranza. Quindi i dati provengono da tutta Italia e possono dirci qualcosa sulla situazione e sulle caratteristiche personali di chi si sente un mobbizzato. La Tabella 1 riporta i totali e le percentuali riguardo al sesso dei soggetti. Si può notare come vi sia una certa prevalenza delle donne rispetto agli uomini. 201 Tabella 1 Sesso N° % maschi femmine 152 221 40,75% 59,25% totale 373 100,00% Nella Tabella 2 possiamo notare le varie fasce di età dei soggetti. Per la maggior parte si concentrano nella fascia che va dai 21 ai 40 anni (in percentuale si tratta del 83,65% del totale). Si può osservare come prima dei 20 anni la percentuale statistica sia trascurabile, mentre dopo i quaranta si verifichi un netto calo, fino alla quasi totale scomparsa con l‟andar degli anni e quindi il raggiungimento dell‟età pensionabile. Tabella 2 Età N° fino a 20 da 21 a 30 da 31 a 40 da 41 a 50 da 51 a 60 oltre 60 totale % 1 142 170 44 15 1 373 0,27% 38,07% 45,58% 11,80% 4,02% 0,27% 100,00% Per quanto riguarda la provenienza (Tabella 3), si può notare come il campione sia distribuito da nord a sud in percentuali a scalare. Comunque il nord rappresenta da solo più della metà del campione. Tabella 3 Provenienza N° nord centro sud totale % 197 103 71 371 53,10% 27,76% 19,14% 100,00% Nella Tabella 4 viene elencato il grado di istruzione dei soggetti: Tabella 4 Grado d'istruzione licenza elementare licenza media inferiore diploma di maturità qualifica post-diploma laurea qualifica post-laurea totale N° % 1 11 128 3 208 17 368 0,27% 2,99% 34,78% 0,82% 56,52% 4,62% 100,00% È interessante notare che la maggior parte dei compilatori ha un grado di istruzione assai elevato. Più della metà sono laureati, una buona percentuale è in possesso di quali- 202 fiche post-laurea (master, dottorato e corsi di specializzazione per laureati), e in ogni caso il 96,74% ha almeno il diploma di maturità. Nella Tabella 5 è indicato il tipo di organizzazione nella quale lavora il soggetto. Si può notare una leggera prevalenza per il settore privato rispetto a quello pubblico. Tabella 5 Organizzazione N° pubblico privato totale % 78 295 373 20,91% 79,09% 100,00% Per quanto riguarda il settore economico del lavoro svolto si può vedere (Tabella 6) che il campione risulta distribuito in modo nettamente sbilanciato verso il terziario (con un totale del 73,83% complessivo). Comunque, dalla diversità dei settori specifici, si può osservare che non vi sono barriere economiche di sorta tra i soggetti che si ritengono mobbizzati. Tabella 6 Settore N° commercio finanziario/creditizio/assicurativo editoria esercito/difesa industria telecomunicazioni/informatica legale Pubblica Amministrazione ricerca e sviluppo sanità/ospedaliero scuola/università servizi trasporti totale % 28 18 10 3 77 54 4 22 9 14 12 104 8 363 7,71% 4,96% 2,75% 0,83% 21,21% 14,88% 1,10% 6,06% 2,48% 3,86% 3,31% 28,65% 2,20% 100,00% Le dimensioni delle aziende sono visibili in Tabella 7. È da notare come per la gran parte si sentano mobbizzati i soggetti che lavorano in realtà di dimensioni piuttosto ridotte: il 46,11% dichiara di lavorare in aziende che contano fino a 50 dipendenti. Tabella 7 Dipendenti fino a 15 da 16 a 50 da 51 a 100 da 101 a 200 da 201 a 500 da 501 a 1000 da 1001 a 2000 da 2001 a 5000 oltre 5000 N° % 87 73 49 42 42 29 13 10 2 25,07% 21,04% 14,12% 12,10% 12,10% 8,36% 3,75% 2,88% 0,58% 203 totale 347 100,00% Le realtà contrattuali dei soggetti campione sono ben visibili in Tabella 8. Per la gran parte si tratta di contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Tabella 8 Contratto N° apprendistato co.co.co. collaborazione a partita Iva formazione lavoro nessuno part-time a tempo indeterminato a tempo determinato a tempo indeterminato prestazione occasionale socio lavoratore totale % 5 39 9 18 3 11 27 247 2 1 362 1,38% 10,77% 2,49% 4,97% 0,83% 3,04% 7,46% 68,23% 0,55% 0,28% 100,00% Per ciò che riguarda la qualifica lavorativa all‟interno dell‟azienda, si può vedere (Tabella 9) come gli impiegati siano i soggetti più numerosi. In totale i “colletti bianchi” (quindi le categorie degli impiegati, dei quadri e dei dirigenti) raggiungono la considerevole cifra del 74,44%. Tabella 9 Qualifica N° assistente sociale cameriere collaboratore consulente dirigente educatore impiegato infermiere insegnante medico militare di carriera operaio quadro ricercatore tecnico totale % 1 1 9 8 33 2 183 3 4 5 2 19 46 7 29 352 0,28% 0,28% 2,56% 2,27% 9,38% 0,57% 51,99% 0,85% 1,14% 1,42% 0,57% 5,40% 13,07% 1,99% 8,24% 100,00% Pochi dei soggetti campione svolgono attività di rappresentanza sindacale all‟interno del luogo di lavoro (Tabella 10). Tabella 10 Attività sindacale si no N° % 15 358 4,02% 95,98% 204 totale 373 100,00% Nella Tabella 11 sono elencate le risposte al quesito “si definisce soddisfatto/a del suo ambiente di lavoro?”. Come si vede la maggior parte del campione si definisce insoddisfatta del proprio ambiente di lavoro. Tabella 11 Soddisfatto N° si abbastanza no totale % 21 82 269 372 5,65% 22,04% 72,31% 100,00% Approfondendo il quesito precedente si può vedere che lo spazio a disposizione per svolgere il proprio lavoro è adeguato in poco più della metà del campione (Tabella 12) , anche per quanto riguarda il divieto di fumare sul luogo di lavoro, si può notare che la norma è rispettata nella metà dei casi (Tabella 13). Inoltre, quasi l‟80% degli intervistati non ha dei ruoli e dei compiti lavorativi ben definiti all‟interno dell‟organizzazione di cui fa parte. Tabella 12 Spazio N° adeguato non adeguato totale % 221 152 373 59,25% 40,75% 100,00% Tabella 13 Divieto fumo N° si no totale % 192 181 373 51,47% 48,53% 100,00% Tabella 14 Compiti definiti N° si no totale % 77 296 373 20,64% 79,36% 100,00% È da notare che i soggetti, nella metà dei casi, non hanno segnalato alcun cambiamento di rilievo all‟interno delle aziende, ma nei casi di risposta affermativa sono stati i più disparati (Tabella 15): i più consistenti sono il cambio della mansione lavorativa, l‟immissione di nuovi dirigenti ai vertici dell‟azienda e la riduzione di personale dipendente. Tabella 15 Cambiamenti assunzione di personale nuove responsabilità cambiamenti nella dirigenza N° % 17 12 28 4,56% 3,22% 7,51% 205 cambio mansioni cambio orario di lavoro fallimento dell'azienda nessuno nuovi strumenti di lavoro promozioni ridefinizione della gestione riduzione organico rimozione strumenti di lavoro trasferimenti di personale trasformazione societaria turn-over continuo totale 35 8 2 180 2 5 39 21 1 5 16 2 373 9,38% 2,14% 0,54% 48,26% 0,54% 1,34% 10,46% 5,63% 0,27% 1,34% 4,29% 0,54% 100,00% In conseguenza dei cambiamenti di cui sopra, il carico di lavoro dei soggetti ha subito modifiche quantitative in misura variabile (Tabella 16). Tabella 16 Carico lavoro N° aumentato uguale diminuito totale % 137 146 90 373 36,73% 39,14% 24,13% 100,00% Per quanto riguarda l‟atmosfera sul luogo di lavoro (Tabella 17), questa viene percepita essenzialmente come conflittuale e competitiva. Tabella 17 Atmosfera amichevole/collaborativa conflittuale/competitiva totale N° % 102 271 373 27,35% 72,65% 100,00% Nella maggior parte dei casi i compilatori hanno la possibilità di discuter liberamente del proprio lavoro con i colleghi (Tabella 18), mentre è più difficile che possano farlo con i propri superiori (Tabella 19). Tabella 18 Libere discussioni tra colleghi N° si no totale % 228 145 373 61,13% 38,87% 100,00% Tabella 19 Libere discussioni con superiori si no totale N° % 160 213 373 42,90% 57,10% 100,00% 206 Nelle tabelle che seguono si può vedere in quali modi i soggetti hanno modo di affrontare i quotidiani dissidi con colleghi, superiori e sottoposti. Nella Tabella 20 si vede come le incomprensioni riguardanti il metodo di lavoro siano molto frequenti nella maggior parte dei casi. Nella Tabella 21 si osserva che i soggetti hanno notato litigi e dissidi tra colleghi più frequenti rispetto alla norma. Infine, si può vedere che le differenze d‟opinione, di norma, si risolvono per la maggior parte in una decisione presa dal superiore oppure in un nulla di fatto (Tabella 22). Tabella 20 Incomprensioni metodo mai qualche volta spesso totale N° % 11 129 231 371 2,96% 34,77% 62,26% 100,00% Tabella 21 Litigi frequenti N° si no % 218 155 373 totale 58,45% 41,55% 100,00% Tabella 22 Opinioni diverse N° con dialogo d'autorità niente % 49 165 159 373 totale 13,14% 44,24% 42,63% 100,00% Nella Tabella 23, vediamo che circa 1/4 dei soggetti non ha risposto alla domanda, mentre i canali di comunicazione più usati sono i canali verbali diretti (comunicazione vis a vis o telefonica) e le e-mail. È da segnalare che in molti casi non viene dichiarato che non si applica alcun canale di comunicazione all‟interno dell‟azienda. Tabella 23 Canali di comunicazione assemblee/riunioni comunicazioni dirette e-mail mass media passaparola informale regolamenti/circolari nessuno non risponde totale N° % 24 114 64 3 17 19 37 95 373 6,43% 30,56% 17,16% 0,80% 4,56% 5,09% 9,92% 25,47% 100,00% Nella Tabella 24 sono indicate alcune azioni potenzialmente mobbizzanti. È stato chiesto ai soggetti di indicare quelle che hanno subito almeno alcune volte al mese e per un periodo di almeno 3 mesi. Il risultato dell‟indagine è quanto mai omogeneo: non si rilevano differenze apprezzabili nella frequenza delle diverse azioni subite. Anche le 207 molestie sessuali (che pure non rientrano nel campo del mobbing in quanto azioni di violenza fisica e non meramente psicologica) sono state menzionate dai soggetti. Tabella 24 Azioni subite 1. il superiore limita le possibilità di esprimersi e/o ignora la presenza della persona 2. il lavoro svolto è costantemente criticato in modo offensivo dai superiori 3. assegnazione di un posto di lavoro isolato dai colleghi 4. assegnazione di compiti inutili/assurdi o che mettono in imbarazzo 5. assegnazione di compiti superiori/inferiori alle competenze e mansioni 6. sottrazione del lavoro, non è assegnato alcun compito lavorativo 7. sovraccarico di compiti lavorativi 8. esonero di responsabilità senza consultazione 9. controlli continui e ispezioni a sorpresa durante il lavoro 10. non data alcuna risposta alle richieste verbali e scritte 11. uso intimidatorio delle procedure disciplinari 12. controlli eccessivi nei periodi di malattia 13. vengono rifiutate richieste di trasferimento ad altra sede/mansione 14. trasferimento forzato ad altra sede/mansione 15. trasferimenti continui di sede/mansione 16. giorni di ferie non goduti o permessi sono rifiutati 17. non concessi aumenti o premi a differenza di altri colleghi in pari condizioni 18. pressioni per il prepensionamento e/o per dare le dimissioni 19. privazione senza valido motivo di strumenti necessari per il lavoro (telefono, tavolo, sedia…) 20. il lavoratore è umiliato in presenza di colleghi, superiori, estranei 21. il lavoratore è umiliato senza testimoni 22. risultati giudicati in modo errato e dannoso 23. i risultati del lavoro svolto sono manomessi/alterati 24. indebita/eccessiva pressione per aumentare il rendimento 25. inviti insistenti a rivolgersi a un medico nonostante la buona salute 26. taciute/omesse informazioni importanti/necessarie per lo svolgimento del compito lavorativo 27. esclusione da importanti riunioni operative 28. tolti arbitrariamente benefici acquisiti (segretaria, ufficio personale, automobile, rimborsi…) 29. i colleghi limitano la possibilità di esprimersi e/o non rivolgono la parola intenzionalmente 30. la persona è trattata come se non fosse presente sul luogo di lavoro 31. esclusione dagli eventi sociali 32. la vita privata è continuamente criticata/derisa 33. è imitato il portamento, la voce o il gesticolare di una persona per farla sembrare stupida 34. divulgazione di pettegolezzi e/o calunnie sul conto di un lavoratore 35. attribuita alla persona un‟infermità mentale 36. affermazioni della persona sono volontariamente fraintese per metterla in difficoltà 37. discriminazioni (per provenienza geografica, caratteristica fisica, idee politiche, religiose…) 38. intimidazioni telefoniche e/o invio di e-mail di minaccia e/o derisione 39. insulti e imprecazioni indirizzate alla persona 40. danneggiati e/o occultati strumenti di lavoro 41. danneggiati e/o occultati oggetti personali 42. minacce verbali di violenza fisica 43. atti di violenza fisica 44. approcci sessuali indiretti 45. approcci sessuali diretti verbali N° 52 40 13 34 62 24 48 41 26 44 26 5 16 18 11 26 36 15 11 30 24 36 18 28 6 63 47 22 34 30 16 13 26 27 35 40 13 23 29 17 7 6 9 15 7 % 4,44% 3,41% 1,11% 2,90% 5,29% 2,05% 4,10% 3,50% 2,22% 3,75% 2,22% 0,43% 1,37% 1,54% 0,94% 2,22% 3,07% 1,28% 0,94% 2,56% 2,05% 3,07% 1,54% 2,39% 0,51% 5,38% 4,01% 1,88% 2,90% 2,56% 1,37% 1,11% 2,22% 2,30% 2,99% 3,41% 1,11% 1,96% 2,47% 1,45% 0,60% 0,51% 0,77% 1,28% 0,60% 208 46. atti di molestie sessuali totale 3 0,26% 1172 100,00% In 1/3 dei casi, le persone che non hanno subito le azioni in Tabella 24 (ma anche alcune che le hanno subite), segnalano di essere stati testimoni delle suddette condotte (Tabella 25). Tabella 25 Testimone N° si no totale % 132 241 373 35,39% 64,61% 100,00% Nella maggior parte dei casi siamo in presenza di mobbing verticale in quanto, come si può vedere in Tabella 26, gli autori delle azioni sono per il 53,80% i superiori, per il 30,05% i colleghi ed entrambi per il rimanente 16,15%. Inoltre bisogna porre in evidenza che le azioni sono attuate prevalentemente da maschi (53,47%), contro una percentuale più modesta di femmine (19,71%) e di quella che si riferisce ad entrambi i sessi (26,82%). Tabella 26 Autori azioni N° un collega maschio un collega femmina più colleghi maschi più colleghi femmine più colleghi ambo sessi superiore diretto maschio superiore diretto femmina più superiori maschi più superiori femmine più superiori ambo sessi colleghi e superiori maschi colleghi e superiori femmine colleghi e superiori ambo sessi totale % 46 39 19 21 61 172 47 64 9 41 30 6 64 619 7,43% 6,30% 3,07% 3,39% 9,85% 27,79% 7,59% 10,34% 1,45% 6,62% 4,85% 0,97% 10,34% 100,00% Nel caso in cui vittima delle condotte di cui in Tabella 24, in prevalenza i soggetti affermano di non essere stati aiutati. Chi è stato in qualche modo supportato, ha ricevuto aiuto in gran parte dai propri colleghi; trascurabile l‟aiuto dato dal sindacato e dai superiori. Tabella 27 Aiuto colleghi superiori sindacato nessuno totale N° % 104 17 22 192 335 31,04% 5,07% 6,57% 57,31% 100,00% 209 La maggior parte di coloro che hanno subito le suddette azioni ne ha parlato ai familiari (Tabella 28) ed ha ricevuto da questi totale appoggio e comprensione. Solo in alcuni casi (17,76%) i soggetti non sono stati appoggiati dalla famiglia o lo sono stati solo in un primo periodo. Tabella 28 Dialogo con familiari N° si no totale % 259 114 373 69,44% 30,56% 100,00% Tabella 29 Appoggio familiari N° all'inizio tutt'ora no totale % 29 213 17 259 11,20% 82,24% 6,56% 100,00% La maggior parte dei soggetti intervistati ha desiderio di lasciare il proprio posto di lavoro. Solo un‟esigua minoranza non ha mai pensato di cambiare lavoro (Tabella 30). Tabella 30 Lasciare lavoro N° si qualche volta no totale % 267 73 30 370 72,16% 19,73% 8,11% 100,00% I disturbi più frequenti che potrebbero essere collegati a situazioni mobbizzanti sono elencati in Tabella 31. Si può notare come siano distribuiti uniformemente all‟interno del campione. Tabella 31 Disturbi 1. perdita di fiducia in se stesso/a 2. mancanza di motivazioni/stimoli 3. disturbi della sfera sessuale 4. ansia e/o depressione 5. attacchi di collera 6. stanchezza cronica 7. disturbi del sonno 8. ipertensione 9. dolori articolari e/o muscolari 10. emicranie/cefalee 11. disturbi gastrointestinali 12. disturbi dell‟appetito totale N° % 49 85 20 60 50 81 70 20 35 69 96 89 724 6,77% 11,74% 2,76% 8,29% 6,91% 11,19% 9,67% 2,76% 4,83% 9,53% 13,26% 12,29% 100,00% 210 Per quanto riguarda la durata dei disturbi non si può dire che vi sia una durata calcolabile (Tabella 32). È da notare che, in proporzione, è molto elevata la percentuale dei disturbi che durano oltre 2 anni. Tabella 32 Durata disturbi (in mesi) N° meno di 3 da 4 a 6 da 7 a 12 da 13 a 24 oltre 24 totale % 63 60 114 64 31 332 18,98% 18,07% 34,34% 19,28% 9,34% 100,00% In Tabella 33 si può vedere che solamente pochi soggetti fanno uso di psicofarmaci. Tabella 33 Psicofarmaci N° mai qualche volta spesso sempre totale % 307 44 13 5 369 83,20% 11,92% 3,52% 1,36% 100,00% Durante l‟ultimo anno la metà dei soggetti si è assentata qualche volta dal lavoro e circa 1/3 non è mai stato assente (Tabella 34). Tabella 34 Assenze dal lavoro N° mai qualche volta spesso sempre totale % 131 179 60 0 370 35,41% 48,38% 16,22% 0,00% 100,00% La stragrande maggioranza del campione conosce già il termine “mobbing” o ne ha già sentito parlare (Tabella 35). Questo dato è importante perché permette di cogliere il fatto che il campione è composto quasi esclusivamente da soggetti che sono o si sentono vittime di mobbing. Inoltre non sono capitati per caso sul sito di jobonline, ma lo hanno cercato appositamente per avere una risposta ai propri problemi. Tabella 35 Termine mobbing si no totale N° % 364 9 373 97,59% 2,41% 100,00% 211 3.3.3.1. Un’analisi incrociata Dopo aver analizzato i dati singolarmente, può essere utile vedere come, considerandone più di uno alla volta, si possano ottenere delle informazioni interessanti. Di seguito sono state evidenziate alcune differenze che emergono da un confronto di tipo sessuale, di provenienza geografica e di lavoro in enti pubblici o aziende private. 3.3.3.1.1. Differenze sessuali In primo luogo possiamo notare le differenze tra i dati maschili e quelli relativi femmili. In Tabella 36 è evidente che, mediamente, le donne svolgono lavori precari, o che comunque prevedono una scadenza, in percentuali maggiori rispetto agli uomini. In totale il precariato femminile del campione è del 31,16%, contro il 21,09% di quello maschile. Tabella 36 Contratto Maschi N° apprendistato Femmine % N° % 1 0,68% 4 1,86% 10 6,80% 29 13,49% collaborazione a partita Iva 3 2,04% 6 2,79% formazione lavoro 9 6,12% 9 4,19% nessuno 0 0,00% 3 1,40% part-time a tempo indet. 3 2,04% 8 3,72% a tempo determinato 8 5,44% 19 8,84% 112 76,19% 135 62,79% prestazione occasionale 1 0,68% 1 0,47% socio lavoratore 0 0,00% 1 0,47% 147 100,00% 215 100,00% co.co.co. a tempo indeterminato totale Nella tabella seguente (Tabella 37), si vede che le differenze di sesso non sono di straordinaria rilevanza. È comunque possibile mettere in evidenza che i piccoli scompensi registrati riguardano il tipo di azioni descritte: per i maschi c‟è una maggiore tendenza alle azioni dirette verso l‟annullamento dell‟essere dipendente (richieste di prepensionamento, aumento del carico lavorativo, derisione del comportamento) mentre per le femmine c‟è una maggiore tendenza alle azioni (fisiche e psicologiche) dirette contro la persona. Tabella 37 Azioni subite Maschi N° 1. il superiore limita le possibilità di esprimersi e/o ignora la presenza della persona 2. il lavoro svolto è costantemente criticato in modo offensivo dai superiori 3. assegnazione di un posto di lavoro isolato dai colleghi 4. assegnazione di compiti inutili/assurdi o che mettono in imbarazzo % Femmine N° % 24 4,72% 28 4,22% 15 2,95% 25 3,77% 8 1,57% 5 0,75% 15 2,95% 19 2,86% 212 5. assegnazione di compiti superiori/inferiori alle competenze e mansioni 6. sottrazione del lavoro, non è assegnato alcun compito lavorativo 24 4,72% 38 5,72% 9 1,77% 15 2,26% 7. sovraccarico di compiti lavorativi 20 3,94% 28 4,22% 8. esonero di responsabilità senza consultazione 20 3,94% 21 3,16% 9 1,77% 17 2,56% 10. non data alcuna risposta alle richieste verbali e scritte 17 3,35% 27 4,07% 11. uso intimidatorio delle procedure disciplinari 12 2,36% 14 2,11% 2 0,39% 3 0,45% 10 1,97% 6 0,90% 14. trasferimento forzato ad altra sede/mansione 8 1,57% 10 1,51% 15. trasferimenti continui di sede/mansione 5 0,98% 6 0,90% 16. giorni di ferie non goduti o permessi sono rifiutati 17. non concessi aumenti o premi a differenza di altri colleghi in pari condizioni 14 2,76% 12 1,81% 14 2,76% 22 3,31% 18. pressioni per il prepensionamento e/o per dare le dimissioni 19. privazione senza valido motivo di strumenti necessari per il lavoro (telefono, tavolo, sedia…) 20. il lavoratore è umiliato in presenza di colleghi, superiori, estranei 10 1,97% 5 0,75% 8 1,57% 3 0,45% 8 1,57% 22 3,31% 9 1,77% 15 2,26% 22. risultati giudicati in modo errato e dannoso 20 3,94% 16 2,41% 23. i risultati del lavoro svolto sono manomessi/alterati 11 2,17% 7 1,05% 24. indebita/eccessiva pressione per aumentare il rendimento 25. inviti insistenti a rivolgersi a un medico nonostante la buona salute 26. taciute/omesse informazioni importanti/necessarie per lo svolgimento del compito lavorativo 14 2,76% 14 2,11% 4 0,79% 2 0,30% 33 6,50% 30 4,52% 27. esclusione da importanti riunioni operative 28. tolti arbitrariamente benefici acquisiti (segretaria, ufficio personale, automobile, rimborsi…) 29. i colleghi limitano la possibilità di esprimersi e/o non rivolgono la parola intenzionalmente 30. la persona è trattata come se non fosse presente sul luogo di lavoro 24 4,72% 23 3,46% 9 1,77% 13 1,96% 14 2,76% 20 3,01% 12 2,36% 18 2,71% 31. esclusione dagli eventi sociali 10 1,97% 6 0,90% 6 1,18% 7 1,05% 9 1,77% 17 2,56% 11 2,17% 16 2,41% 14 2,76% 21 3,16% 15 2,95% 25 3,77% 4 0,79% 9 1,36% 8 1,57% 15 2,26% 9 1,77% 20 3,01% 9. controlli continui e ispezioni a sorpresa durante il lavoro 12. controlli eccessivi nei periodi di malattia 13. vengono rifiutate richieste di trasferimento ad altra sede/mansione 21. il lavoratore è umiliato senza testimoni 32. la vita privata è continuamente criticata/derisa 33. è imitato il portamento, la voce o il gesticolare di una persona per farla sembrare stupida 34. divulgazione di pettegolezzi e/o calunnie sul conto di un lavoratore 35. attribuita alla persona un‟infermità mentale 36. affermazioni della persona sono volontariamente fraintese per metterla in difficoltà 37. discriminazioni (per provenienza geografica, caratteristica fisica, idee politiche, religiose…) 38. intimidazioni telefoniche e/o invio di e-mail di minaccia e/o derisione 39. insulti e imprecazioni indirizzate alla persona 213 40. danneggiati e/o occultati strumenti di lavoro 9 1,77% 8 1,20% 41. danneggiati e/o occultati oggetti personali 3 0,59% 4 0,60% 42. minacce verbali di violenza fisica 4 0,79% 2 0,30% 43. atti di violenza fisica 3 0,59% 6 0,90% 44. approcci sessuali indiretti 1 0,20% 14 2,11% 45. approcci sessuali diretti verbali 0 0,00% 7 1,05% 46. atti di molestie sessuali 0 0,00% 3 0,45% 508 100% 664 100% totale È interessante osservare (Tabella 39) che non vi sono differenze rilevanti tra maschi e femmine nel totale percentuale degli autori delle azioni. Se però si va ad indagare nello specifico (Tabella 38) salta subito all‟occhio che gli autori delle azioni, nella maggior parte dei casi, appartengono allo stesso sesso dei soggetti campionati. Tabella 38 Autori azioni Maschi Femmine N° % N° % un collega maschio 28 11,24% 18 4,86% un collega femmina 5 2,01% 34 9,19% più colleghi maschi 12 4,82% 7 1,89% più colleghi femmine 3 1,20% 18 4,86% più colleghi ambo sessi 24 9,64% 37 10,00% superiore diretto maschio 71 28,51% 101 27,30% superiore diretto femmina 11 4,42% 36 9,73% più superiori maschi 33 13,25% 31 8,38% più superiori femmine 0 0,00% 9 2,43% più superiori ambo sessi 20 8,03% 21 5,68% colleghi e superiori maschi 20 8,03% 10 2,70% colleghi e superiori femmine 1 0,40% 5 1,35% colleghi e superiori ambo sessi 21 8,43% 43 11,62% totale 249 100,00% 370 100,00% Tabella 39 Riepilogo Maschi Femmine N° % N° % colleghi 72 28,92% 114 30,81% superiori 135 54,22% 198 53,51% entrambi 42 16,87% 58 15,68% totale 249 100,00% 370 100,00% Infine nella Tabella 40 si può notare che vi sono alcune differenze tra maschi e femmine nei disturbi segnalati dai soggetti. In particolare i maschi sembrano più soggetti a stanchezza e disturbi del sonno, mentre le femmine a emicranie e soprattutto disturbi dell‟appetito. 214 Tabella 40 Disturbi Maschi N° Femmine % N° % 1. perdita di fiducia in se stesso/a 19 6,64% 30 6,85% 2. mancanza di motivazioni/stimoli 35 12,24% 50 11,42% 6 2,10% 14 3,20% 4. ansia e/o depressione 26 9,09% 34 7,76% 5. attacchi di collera 22 7,69% 28 6,39% 6. stanchezza cronica 38 13,29% 43 9,82% 7. disturbi del sonno 35 12,24% 35 7,99% 8. ipertensione 13 4,55% 7 1,60% 9. dolori articolari e/o muscolari 14 4,90% 21 4,79% 10. emicranie/cefalee 21 7,34% 48 10,96% 11. disturbi gastrointestinali 39 13,64% 57 13,01% 12. disturbi dell‟appetito 18 6,29% 71 16,21% 286 100,00% 438 100,00% 3. disturbi della sfera sessuale totale 3.3.3.1.2. Differenze di provenienza geografica Quanto alla provenienza geografica, possiamo rilevare che il lavoro precario aumenta progressivamente man mano che si va dal nord al sud dell‟Italia (Tabella 41). Si può notare che la maggior differenza riguarda il nord Italia, dove è stata rilevata una percentuale del 23,16%, mentre per il Centro è del 31,07% e per il Sud del 33,33%. Tabella 41 Contratto Nord N° Centro 2 % 1,05% 0 % 0,00% 16 8,42% 13 collaborazione a partita Iva 5 2,63% formazione lavoro 8 nessuno apprendistato co.co.co. part-time a tempo indeterm. N° Sud N° 2 % 3,03% 12,62% 10 15,15% 3 2,91% 1 1,52% 4,21% 8 7,77% 2 3,03% 1 0,53% 1 0,97% 1 1,52% 4 2,11% 3 2,91% 4 6,06% 14 7,37% 6 5,83% 7 10,61% 139 73,16% 68 66,02% 38 57,58% prestazione occasionale 0 0,00% 1 0,97% 1 1,52% socio lavoratore 1 0,53% 0 0,00% 0 0,00% 190 100% 103 100% 66 100% a tempo determinato a tempo indeterminato totale In Tabella 42 non si rilevano variazioni degne di nota nella distribuzione geografica delle azioni subite segnalate. Le sole differenze, peraltro molto lievi, sono da riscontrare al Sud per ciò che riguarda il rispetto della persona: derisioni, insulti, attribuzioni di infermità mentale vengono segnalate più che al Centro ed al Nord. 215 Tabella 42 Azioni subite Nord N° 1. il superiore limita le possibilità di esprimersi e/o ignora la presenza della persona 2. il lavoro svolto è costantemente criticato in modo offensivo dai superiori 3. assegnazione di un posto di lavoro isolato dai colleghi 4. assegnazione di compiti inutili/assurdi o che mettono in imbarazzo 5. assegnazione di compiti superiori/inferiori alle competenze e mansioni 6. sottrazione del lavoro, non è assegnato alcun compito lavorativo % Centro N° % Sud N° % 27 4,27% 18 4,65% 6 4,29% 19 3,01% 16 4,13% 4 2,86% 9 1,42% 4 1,03% 0 0,00% 18 2,85% 12 3,10% 3 2,14% 32 5,06% 22 5,68% 7 5,00% 13 2,06% 8 2,07% 3 2,14% 7. sovraccarico di compiti lavorativi 22 3,48% 20 5,17% 5 3,57% 8. esonero di responsabilità senza consultazione 9. controlli continui e ispezioni a sorpresa durante il lavoro 10. non data alcuna risposta alle richieste verbali e scritte 21 3,32% 12 3,10% 7 5,00% 10 1,58% 12 3,10% 3 2,14% 28 4,43% 13 3,36% 3 2,14% 11. uso intimidatorio delle procedure disciplinari 16 2,53% 10 2,58% 0 0,00% 12. controlli eccessivi nei periodi di malattia 13. vengono rifiutate richieste di trasferimento ad altra sede/mansione 0 0,00% 4 1,03% 1 0,71% 7 1,11% 8 2,07% 1 0,71% 14. trasferimento forzato ad altra sede/mansione 11 1,74% 3 0,78% 3 2,14% 7 1,11% 3 0,78% 1 0,71% 14 2,22% 7 1,81% 5 3,57% 19 3,01% 11 2,84% 5 3,57% 11 1,74% 3 0,78% 1 0,71% 6 0,95% 5 1,29% 0 0,00% 16 2,53% 13 3,36% 1 0,71% 21. il lavoratore è umiliato senza testimoni 14 2,22% 7 1,81% 3 2,14% 22. risultati giudicati in modo errato e dannoso 23. i risultati del lavoro svolto sono manomessi/alterati 24. indebita/eccessiva pressione per aumentare il rendimento 25. inviti insistenti a rivolgersi a un medico nonostante la buona salute 26. taciute/omesse informazioni importanti/necessarie per lo svolgimento del compito lavorativo 17 2,69% 13 3,36% 6 4,29% 9 1,42% 8 2,07% 1 0,71% 12 1,90% 12 3,10% 3 2,14% 4 0,63% 1 0,26% 1 0,71% 39 6,17% 17 4,39% 7 5,00% 27. esclusione da importanti riunioni operative 28. tolti arbitrariamente benefici acquisiti (segretaria, ufficio personale, automobile, rimborsi…) 26 4,11% 15 3,88% 6 4,29% 17 2,69% 5 1,29% 0 0,00% 15. trasferimenti continui di sede/mansione 16. giorni di ferie non goduti o permessi sono rifiutati 17. non concessi aumenti o premi a differenza di altri colleghi in pari condizioni 18. pressioni per il prepensionamento e/o per dare le dimissioni 19. privazione senza valido motivo di strumenti necessari per il lavoro (telefono, tavolo, sedia…) 20. il lavoratore è umiliato in presenza di colleghi, superiori, estranei 216 29. i colleghi limitano la possibilità di esprimersi e/o non rivolgono la parola intenzionalmente 30. la persona è trattata come se non fosse presente sul luogo di lavoro 19 3,01% 13 3,36% 2 1,43% 22 3,48% 6 1,55% 2 1,43% 11 1,74% 5 1,29% 0 0,00% 6 0,95% 4 1,03% 3 2,14% 11 1,74% 9 2,33% 6 4,29% 14 2,22% 7 1,81% 5 3,57% 35. attribuita alla persona un‟infermità mentale 36. affermazioni della persona sono volontariamente fraintese per metterla in difficoltà 37. discriminazioni (per provenienza geografica, caratteristica fisica, idee politiche, religiose…) 38. intimidazioni telefoniche e/o invio di e-mail di minaccia e/o derisione 16 2,53% 11 2,84% 8 5,71% 23 3,64% 8 2,07% 9 6,43% 8 1,27% 3 0,78% 2 1,43% 11 1,74% 8 2,07% 3 2,14% 39. insulti e imprecazioni indirizzate alla persona 11 1,74% 10 2,58% 7 5,00% 40. danneggiati e/o occultati strumenti di lavoro 31. esclusione dagli eventi sociali 32. la vita privata è continuamente criticata/derisa 33. è imitato il portamento, la voce o il gesticolare di una persona per farla sembrare stupida 34. divulgazione di pettegolezzi e/o calunnie sul conto di un lavoratore 11 1,74% 5 1,29% 1 0,71% 41. danneggiati e/o occultati oggetti personali 4 0,63% 3 0,78% 0 0,00% 42. minacce verbali di violenza fisica 4 0,63% 1 0,26% 1 0,71% 43. atti di violenza fisica 6 0,95% 2 0,52% 1 0,71% 44. approcci sessuali indiretti 3 0,47% 8 2,07% 4 2,86% 45. approcci sessuali diretti verbali 6 0,95% 1 0,26% 0 0,00% 46. atti di molestie sessuali 2 0,32% 1 0,26% 0 0,00% 632 100% 387 100% 140 100% totale Per quanto riguarda gli autori delle azioni, non si segnalano differenze consistenti (Tabella 43). Anche per quanto riguarda la distribuzione per sesso (Tabella 44) e per ruolo all‟interno dell‟azienda (Tabella 45), la situazione risulta abbastanza livellata in tutta Italia. Tabella 43 Autori azioni Nord N° Centro % N° % Sud N° % un collega maschio 21 6,60% 12 6,45% 13 11,61% un collega femmina 19 5,97% 13 6,99% 7 6,25% più colleghi maschi 10 3,14% 8 4,30% 1 0,89% più colleghi femmine 11 3,46% 7 3,76% 3 2,68% più colleghi ambo sessi 31 9,75% 19 10,22% 11 9,82% superiore diretto maschio 93 29,25% 47 25,27% 31 27,68% superiore diretto femmina 21 6,60% 17 9,14% 9 8,04% più superiori maschi 34 10,69% 18 9,68% 12 10,71% 2 0,63% 4 2,15% 2 1,79% più superiori ambo sessi 22 6,92% 16 8,60% 3 2,68% colleghi e superiori maschi 18 5,66% 6 3,23% 6 5,36% 5 1,57% 0 0,00% 1 0,89% più superiori femmine colleghi e superiori femmine 217 colleghi e superiori ambo sessi totale 31 9,75% 318 100% 19 10,22% 186 100% 13 11,61% 112 100% Tabella 44 Riepilogo Nord N° maschi Centro % N° Sud % N° % 176 55,35% 91 48,92% 63 56,25% femmine 58 18,24% 41 22,04% 22 19,64% entrambi 84 26,42% 54 29,03% 27 24,11% 318 100,00% 186 100,00% 112 100,00% totale Tabella 45 Riepilogo Nord N° Centro % N° % Sud N° % colleghi 92 28,93% 59 31,72% 35 31,25% superiori 172 54,09% 102 54,84% 57 50,89% entrambi 54 16,98% 25 13,44% 20 17,86% 318 100,00% 186 100,00% 112 100,00% totale In Tabella 46 possiamo vedere che non vi sono particolari differenze tra Nord, Centro e Sud per quanto riguarda i disturbi riportati. L‟unica anomalia è rappresentata da una maggiore percentuale di emicranie/cefalee registrata in centro Italia. Tabella 46 Disturbi Nord N° Centro % N° % 1. perdita di fiducia in se stesso/a 26 6,81% 2. mancanza di motivazioni/stimoli 50 13,09% 3. disturbi della sfera sessuale 13 3,40% 5 4. ansia e/o depressione 34 8,90% 5. attacchi di collera 22 5,76% 6. stanchezza cronica 39 7. disturbi del sonno N° % 7,48% 6 4,96% 24 11,21% 10 8,26% 2,34% 1 0,83% 17 7,94% 8 6,61% 17 7,94% 11 9,09% 10,21% 26 12,15% 15 12,40% 41 10,73% 16 7,48% 13 10,74% 8. ipertensione 10 2,62% 7 3,27% 3 2,48% 9. dolori articolari e/o muscolari 18 4,71% 8 3,74% 9 7,44% 10. emicranie/cefalee 32 8,38% 26 12,15% 10 8,26% 11. disturbi gastrointestinali 50 13,09% 28 13,08% 17 14,05% 12. disturbi dell‟appetito 47 12,30% 24 11,21% 18 14,88% 382 100% 121 100% totale 16 Sud 214 100% 3.3.3.1.3. Differenze tra pubblico e privato Per quanto riguarda le differenze contrattuali tra aziende pubbliche e private, possiamo notare che c‟è una percentuale notevolmente maggiore di lavoro precario nel pubblico impiego, che arriva al 33,77% contro il 25,26% del privato (Tabella 47). 218 Tabella 47 Contratto X. Pubblico N° Privato % N° % apprendistato 0 0,00% 5 1,75% co.co.co. 8 10,39% 31 10,88% collaborazione a partita Iva 2 2,60% 7 2,46% formazione lavoro 1 1,30% 17 5,96% nessuno 0 0,00% 3 1,05% part-time a tempo indeterminato 6 7,79% 5 1,75% a tempo determinato 15 19,48% 12 4,21% a tempo indeterminato 45 58,44% 202 70,88% prestazione occasionale 0 0,00% 2 0,70% socio lavoratore 0 0,00% 1 0,35% 77 100,00% 285 100,00% totale In Tabella 48 possiamo riscontrare alcune differenze tra lavoro pubblico e privato nelle azioni subite segnalate. In particolare nel pubblico impiego sembrano essere maggiormente attuate azioni quali l‟ignorare la persona, ridicolizzarla, attribuirle un‟infermità mentale, fraintendere deliberatamente le sue affermazioni per metterla in difficoltà, intimidirla telefonicamente, insultarla ed attuare veri e propri atti di violenza fisica ai suoi danni. Invece, per quel che riguarda il lavoro privato, le azioni più ricorrenti sono le angherie dei superiori, l‟assegnazione di mansioni incompatibili con il ruolo svolto nell‟azienda, la mancanza di assegnazione di compiti lavorativi, l‟esonero dalle responsabilità senza consultazione, il trasferimento forzato, risultati giudicati in modo errato o dannoso, taciute informazioni necessarie per svolgere il proprio lavoro. Tabella 48 Azioni subite Pubblico N° 1. il superiore limita le possibilità di esprimersi e/o ignora la presenza della persona 2. il lavoro svolto è costantemente criticato in modo offensivo dai superiori % Privato N° % 5 3,13% 47 4,99% 3 1,88% 33 3,51% 3. assegnazione di un posto di lavoro isolato dai colleghi 4. assegnazione di compiti inutili/assurdi o che mettono in imbarazzo 5. assegnazione di compiti superiori/inferiori alle competenze e mansioni 3 1,88% 10 1,06% 2 1,25% 32 3,40% 5 3,13% 56 5,95% 6. sottrazione del lavoro, non è assegnato alcun compito lavorativo 0 0,00% 24 2,55% 7. sovraccarico di compiti lavorativi 6 3,75% 40 4,25% 8. esonero di responsabilità senza consultazione 1 0,63% 40 4,25% 9. controlli continui e ispezioni a sorpresa durante il lavoro 2 1,25% 24 2,55% 10. non data alcuna risposta alle richieste verbali e scritte 5 3,13% 39 4,14% 11. uso intimidatorio delle procedure disciplinari 2 1,25% 24 2,55% 12. controlli eccessivi nei periodi di malattia 1 0,63% 4 0,43% 219 13. vengono rifiutate richieste di trasferimento ad altra sede/mansione 4 2,50% 12 1,28% 14. trasferimento forzato ad altra sede/mansione 0 0,00% 18 1,91% 15. trasferimenti continui di sede/mansione 3 1,88% 7 0,74% 16. giorni di ferie non goduti o permessi sono rifiutati 17. non concessi aumenti o premi a differenza di altri colleghi in pari condizioni 3 1,88% 21 2,23% 3 1,88% 33 3,51% 18. pressioni per il prepensionamento e/o per dare le dimissioni 19. privazione senza valido motivo di strumenti necessari per il lavoro (telefono, tavolo, sedia…) 20. il lavoratore è umiliato in presenza di colleghi, superiori, estranei 1 0,63% 13 1,38% 2 1,25% 9 0,96% 3 1,88% 25 2,66% 21. il lavoratore è umiliato senza testimoni 3 1,88% 20 2,13% 22. risultati giudicati in modo errato e dannoso 2 1,25% 34 3,61% 23. i risultati del lavoro svolto sono manomessi/alterati 2 1,25% 16 1,70% 24. indebita/eccessiva pressione per aumentare il rendimento 25. inviti insistenti a rivolgersi a un medico nonostante la buona salute 26. taciute/omesse informazioni importanti/necessarie per lo svolgimento del compito lavorativo 2 1,25% 26 2,76% 3 1,88% 2 0,21% 4 2,50% 48 5,10% 27. esclusione da importanti riunioni operative 28. tolti arbitrariamente benefici acquisiti (segretaria, ufficio personale, automobile, rimborsi…) 29. i colleghi limitano la possibilità di esprimersi e/o non rivolgono la parola intenzionalmente 30. la persona è trattata come se non fosse presente sul luogo di lavoro 3 1,88% 41 4,36% 1 0,63% 19 2,02% 7 4,38% 22 2,34% 4 2,50% 23 2,44% 31. esclusione dagli eventi sociali 2 1,25% 14 1,49% 32. la vita privata è continuamente criticata/derisa 33. è imitato il portamento, la voce o il gesticolare di una persona per farla sembrare stupida 34. divulgazione di pettegolezzi e/o calunnie sul conto di un lavoratore 1 0,63% 12 1,28% 9 5,63% 14 1,49% 6 3,75% 20 2,13% 35. attribuita alla persona un‟infermità mentale 36. affermazioni della persona sono volontariamente fraintese per metterla in difficoltà 37. discriminazioni (per provenienza geografica, caratteristica fisica, idee politiche, religiose…) 38. intimidazioni telefoniche e/o invio di e-mail di minaccia e/o derisione 11 6,88% 16 1,70% 10 6,25% 26 2,76% 2 1,25% 11 1,17% 6 3,75% 13 1,38% 39. insulti e imprecazioni indirizzate alla persona 11 6,88% 16 1,70% 40. danneggiati e/o occultati strumenti di lavoro 2 1,25% 13 1,38% 41. danneggiati e/o occultati oggetti personali 2 1,25% 5 0,53% 42. minacce verbali di violenza fisica 2 1,25% 3 0,32% 43. atti di violenza fisica 5 3,13% 3 0,32% 44. approcci sessuali indiretti 3 1,88% 7 0,74% 45. approcci sessuali diretti verbali 2 1,25% 4 0,43% 46. atti di molestie sessuali 1 0,63% 2 0,21% 160 100% 941 100% totale 220 Per quanto riguarda gli autori delle azioni segnalate (Tabella 49), non si evidenziano particolari differenze. Anche esaminando la Tabella 50, che differenzia gli autori in base al sesso, si rileva il sostanziale livellamento tra pubblico e privato. Le differenze più importanti si rilevano invece in Tabella 51, dove è evidente che nel pubblico impiego c‟è un‟alta percentuale di segnalazioni di colleghi quali autori delle azioni (sostanzialmente superiori e colleghi sono alla pari). Nel settore privato invece gli autori risultano essere per la maggior parte i superiori dei soggetti intervistati. Tabella 49 Autori azioni Pubblico N° Privato % N° % un collega maschio 14 10,53% 22 5,99% un collega femmina 7 5,26% 24 6,54% più colleghi maschi 7 5,26% 7 1,91% più colleghi femmine 6 4,51% 11 3,00% più colleghi ambo sessi 17 12,78% 33 8,99% superiore diretto maschio 29 21,80% 110 29,97% superiore diretto femmina 10 7,52% 25 6,81% più superiori maschi 12 9,02% 42 11,44% più superiori femmine 1 0,75% 7 1,91% più superiori ambo sessi 6 4,51% 29 7,90% 11 8,27% 12 3,27% 1 0,75% 3 0,82% 12 9,02% 42 11,44% 133 100,00% 367 100,00% colleghi e superiori maschi colleghi e superiori femmine colleghi e superiori ambo sessi totale Tabella 50 Riepilogo Pubblico N° Privato % N° % maschi 73 54,89% 193 52,59% femmine 25 18,80% 70 19,07% entrambi 35 26,32% 104 28,34% 133 100,00% 367 100,00% totale Tabella 51 Riepilogo Pubblico N° Privato % N° % colleghi 51 38,35% 97 26,43% superiori 58 43,61% 213 58,04% entrambi 24 18,05% 57 15,53% 133 100,00% 367 100,00% totale Anche per quanto riguarda i disturbi segnalati, non vi sono particolari differenze tra impiego pubblico e privato (Tabella 52). Gli unici dati degni di nota riguardano il fatto 221 che nel privato i soggetti sembrano soffrire maggiormente di mancanza di motivazioni e stimoli, mentre nel pubblico è molto alta la percentuale di disturbi gastrointestinali. Tabella 52 Pubblico disturbi N° Privato % N° % 1. perdita di fiducia in se stesso/a 4 3,88% 45 8,20% 2. mancanza di motivazioni/stimoli 9 8,74% 73 13,30% 3. disturbi della sfera sessuale 3 2,91% 17 3,10% 4. ansia e/o depressione 6 5,83% 52 9,47% 5. attacchi di collera 7 6,80% 42 7,65% 6. stanchezza cronica 8 7,77% 62 11,29% 7. disturbi del sonno 9 8,74% 54 9,84% 8. ipertensione 4 3,88% 13 2,37% 9. dolori articolari e/o muscolari 5 4,85% 27 4,92% 10. emicranie/cefalee 9 8,74% 51 9,29% 11. disturbi gastrointestinali 26 25,24% 56 10,20% 12. disturbi dell‟appetito 13 12,62% 57 10,38% 103 100% 549 100% totale 3.3.4. Osservazioni conclusive Lo scopo di questa ricerca non è quello di convalidare una teoria e neppure quello di crearne di nuove. Il fine è quello di riuscire ad ottenere un campione, il più eterogeneo possibile, che riesca ad essere rappresentativo dell‟intero territorio nazionale. Una siffatta ricerca richiede un‟enorme mole di lavoro che, fino ad oggi, era irragionevole chiedere ad un unico ricercatore. In più, nel caso in cui si fosse voluto suddividere il lavoro tra i membri di una equipe, bisognava tenere presente che il rischio di inquinamento dei dati sarebbe diventato molto alto. Per ovviare a questi problemi si è pensato di utilizzare le nuove tecnologie informatiche, soprattutto in considerazione del fatto che sempre più persone utilizzano la rete di internet sia per lavoro sia per divertimento o come passatempo. In effetti in pochi mesi un considerevole numero di persone ha compilato il questionario on line, che è ancora in funzione e continua a raccogliere dati ogni giorno. Ritengo importante segnalare che la quasi totalità dei soggetti che hanno compilato il questionario è composta da persone che hanno cercato un aiuto o comunque una maggiore informazione sul mobbing. Infatti è risultato che più del 99% aveva già sentito parlare di mobbing prima di imbattersi (o forse entrare intenzionalmente) nel sito di jobonline.it per cercare una risposta ai propri problemi. Queste persone risultano sufficientemente eterogenee quanto ad età, sesso e provenienza geografica. Questo fa ben sperare per la rappresentatività dei campioni raccolti: pur essendo un‟esigua percentuale dei lavoratori italiani, il fatto stesso di essere ben distribuiti ci dice che questo lavoro può essere considerato quantomeno come una ricerca pilota di respiro nazionale. Dai dati raccolti possiamo desumere alcune caratteristiche salienti della persona che si sente vittima di mobbing: età compresa tra i 25 ed i 45 anni, molto spesso laureata (o 222 almeno diplomata), lavora principalmente in strutture di dimensioni medio/piccole con contratto di lavoro a tempo indeterminato, spesso ha mansioni impiegatizie, non svolge attività di rappresentanza sindacale, non è soddisfatta del proprio lavoro, si sente in conflitto o in competizione con i colleghi, ha alle spalle l‟appoggio del nucleo familiare, desidera cambiare lavoro, soffre di disturbi fisici da circa 13 mesi, sa cos‟è il mobbing. Naturalmente questo è solo un identikit ricavato dalla media risposte raccolte, però ci può dare un‟indicazione generale abbastanza aderente alla realtà dei soggetti a rischio di mobbing in Italia.. Molto interessanti sono i dati che si possono ricavare da una lettura incrociata dei dati. Anzitutto si è visto che le donne svolgono un lavoro precario in misura percentualmente più elevata rispetto agli uomini. In secondo luogo gli autori delle azioni segnalate sono nella maggior parte dei casi i diretti superiori appartenenti allo stesso sesso delle vittime. Infine, i maschi sono più soggetti a stanchezza e disturbi del sonno, mentre le femmine soffrono maggiormente di emicranie e disturbi dell‟appetito. Relativamente alla provenienza geografica, è confermato che il lavoro precario aumenta progressivamente man mano che si procede da nord a sud, con un notevole balzo percentuale tra nord e centro. Non vi sono differenze degne di nota nelle azioni segnalate, tranne per il fatto che al sud vi è una maggiore percentuale di azioni irrispettose verso la persona (insulti, derisioni, attribuzioni di infermità mentale). Per quanto riguarda la dicotomia tra impiego pubblico e privato si nota che la percentuale di lavori precari è più alta nel primo che nel secondo. Inoltre, nelle azioni segnalate dai soggetti, nel pubblico impiego sembrano essere maggiormente attuate azioni quali l‟ignorare la persona, ridicolizzarla, attribuirle un‟infermità mentale, fraintendere deliberatamente le sue affermazioni per metterla in difficoltà, intimidirla telefonicamente, insultarla ed attuare veri e propri atti di violenza fisica ai suoi danni. Invece, nelle aziende private, le azioni più ricorrenti sono le angherie dei superiori, l‟assegnazione di mansioni incompatibili con il ruolo svolto nell‟azienda, la mancanza di assegnazione di compiti lavorativi, esonero dalle responsabilità senza consultazione, trasferimento forzato, risultati giudicati in modo errato o dannoso, taciute informazioni necessarie per svolgere il proprio lavoro. Altre differenze riguardano gli autori delle azioni segnalate, che nel privato sono per la stragrande maggioranza i superiori, mentre nel pubblico impiego la percentuale di colleghi e superiori è alla pari. Infine, i dipendenti privati sembrano soffrire maggiormente di mancanza di stimoli e motivazioni, mentre per i dipendenti pubblici è molto alta (1/4 del totale) la percentuale di disturbi gastrointestinali. Rispetto ad altre ricerche sul mobbing effettuate negli anni „90 (in particolare quella di Ege del 1998), si può notare che la durata media dei disturbi si è notevolmente abbassata (da 5 anni a 13 mesi). Lo stesso Ege (1998) riporta che in Germania, al momento della sua ricerca, la media dei disturbi era di 2 anni. Queste differenze sono molto probabilmente imputabili ad una maggiore conoscenza ed informazione sui temi del mobbing, che a loro volta determinano una differente percezione delle proprie condizioni di lavoro da parte dei lavoratori dipendenti. È per questi motivi che la legislazione sul mobbing dovrebbe essere ragionevolmente accelerata. È da segnalare, però, che il legislatore sta compiendo alcuni passi in tal senso: ad esempio nell‟ipotesi di contratto collettivo nazionale del comparto ministeri del 28.02.2003 si prevede la creazione di un comitato paritetico che include rappresentanti sindacali e dell‟amministrazione con il compito di “formulare proposte di azioni positive in ordine alla prevenzione e alla repressione delle situazioni di criticità, anche al fine di realizzare misure di tutela del dipendente interessato” (titolo I, capo II, art. 6). 223 In ultima battuta è comunque importante segnalare la buona riuscita di questo sistema di raccolta dati, tanto che personalmente ritengo sia sfruttabile per molti altri tipi di ricerca o anche sondaggi di opinione. Naturalmente non è scevro da problemi, non ultimo quello già descritto della necessaria brevità e velocità delle informazioni e dei format inseriti in rete, che in alcuni casi può rivelarsi un ostacolo impossibile da superare. Inoltre un questionario non potrà mai avere la completezza e la precisione di una intervista, però esistono già soluzioni tecnologiche potenzialmente in grado di ovviare al problema (webcam, sistemi di videoconferenza). Qualunque opinione si possa avere riguardo al mondo di internet, non si può negare che la rete ha il grande vantaggio di raggiungere (in potenza) centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo e che questo numero è in costante aumento. Perciò la mia speranza è che questo lavoro o ricerche di questo tipo continuino ad operare per raggiungere una più ampia visione del mobbing in Italia, fino al raggiungimento di un quadro completo della situazione ed alla creazione di un osservatorio permanente e centralizzato che riunisca gli studiosi che fino ad oggi hanno combattuto da soli contro questa dilagante “patologia”. 224