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10. Sistemi sensoriali Per sensazione intendiamo un processo

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10. Sistemi sensoriali Per sensazione intendiamo un processo
10. Sistemi sensoriali
Per sensazione intendiamo un processo elementare di percezione e ricezione di un singolo stimolo, mentre la
percezione è un'analisi molto complessa di stimoli. Ogni esperienza sensoriale è determinata da tre
componenti: stimolo, codice neuronale e rappresentazione mentale. Per Comte la mente è una tabula rasa,
quindi la percezione era un processo passivo di analisi delle singole componenti sensoriali. La posizione
della Gestalt dà un ruolo attivo alla mente: l'oggetto stimolo viene codificato nel sistema sensoriale, ma la
codifica diventa un processo attivo.
Un esempio di regola innata sono le sfere. Si vuole dimostrare è che quando la
superficie viene illuminata sotto il tipo di informazione percettiva che abbiamo è
quella di qualcosa che risulta profondo, al contrario il pattern reciproco, in cui la
parte illuminata è sopra, rappresenta una sfera, perchè ci dà la sensazione di rilievo.
Ruotando di 90° gli stimoli, non abbiamo più a stessa percezione. Il sistema visivo si
è sviluppato avendo come fonte di illuminazione il sole, che illumina dall'altro,
quindi tende a considerare le superfici come ombre e luci in posizioni differenti in
base a ciò che succede quando la luce viene da sopra.
Un esempio di regola acquisita è il parametro
interno culturale: l'immagine mostra una
famiglia africana, mentre il campione africano
ha descritto l'immagine come un gruppo di
persone che si trova sotto un albero, la signora
tiene qualcosa sulla testa e si afferma che sta
avvenendo una tratta di schiavi.
Quindi l'esperienza sensoriale è un processo attraverso il quale il
sistema sensoriale percepisce lo stimolo fisico e ne estrae determinate
caratteristiche che trasforma in esperienze sensoriali o percettive
(colori, suoni, odori) che sono costrutti mentali non esistenti nel
mondo esterno, fortemente influenzati da regole innate o acquisite
(culturali).
Lo stimolo proviene dall'ambiente esterno in generale, va ad agire su
un determinato elemento del nostro organismo, che è un recettore. Il
recettore, che può essere una cellula specializzata indipendente o una sua porzione, trasduce l'informazione
sensoriale e lo invia a un neurone sensitivo primario situato a livello del SNP. Il neurone sensitivo primario
invia l'informazione dalla periferia a livello centrale e inviano l'informazione ulteriormente a strutture
sottocorticali come talamo e corteccia. A questo punto ottengo la consapevolezza cosciente della
stimolazione sensoriale.
La via che serve per un controllo motorio è quella che parte dallo stimolo, attivando un recettore, arriva al
midollo spinale e causa una risposta riflessa. Un'altra (di controllo sul livello di attivazione dell'organismo) è
quella che, dal recettore,. Una terza raggiunge la consapevolezza cosciente attraverso la corteccia cerebrale.
I recettori sono di vari tipi. Una prima classificazione riguarda il meccanismo di trasduzione. Da questo
punto di vista abbiamo i meccanocettori (attivati a seguito di una distorsione fisica del recettori), i
chemocettori (riescono a rilevare la presenza di sostanze chimiche nell'ambiente, hanno una proteina che si
lega alla sostanza e così procedono all'attivazione), i termocettori (rilevano la temperatura), fotocettori
(rilevano onde elettromagnetiche). Abbiamo una classificazione sulla base della posizione e in questo senso
si parla di esterocettori (trasmettono informazioni dalla superficie
del corpo), gli enterocettori (trasmettono le informazioni dalle
viscere), i propriocettori (trasmettono le informazioni dai muscoli
e ossa). Una terza classificazione riguarda la morfologia:
parliamo di recettori di I, II e III ordine. Quelli di I ordine sono
quelli in cui il recettore è una parte specializzata del neurone
sensitivo primario. I recettori di III ordine sono esclusivamente i
fotorecettori, quindi solo quelli della retina. Questo non contatta
direttamente il neurone sensitivo primario, ma tra i due elementi
vi è un interneurone.
Le caratteristiche dello stimolo sono essenzialmente quattro:
modalità, intensità, durata e localizzazione. Per modalità si
intendono i cinque sensi principali; a queste cinque bisogna
aggiungerne altre. La modalità tattile comprende anche la nociocezione (percezione del dolore), la
termocezione (percezione della temperatura) e la propriocezione (percezione della propria posizione nello
spazio). Si parla anche di submodalità: ciascuna delle modalità principali hanno submodalità, per esempio il
gusto ha tre submodalità: amaro, dolce, salato. Vista: colore, forma, movimento. Secondo la linea risevata,
modalità e submodalità dipendendono dalla via sensoriale interessata: indipendentemente da come si attiva
una modalità, la sensazione finale è quella specifica di ogni modalità. Viceverva, quando si parla di stimolo
adeguato, si parla della categoria di stimoli che riesce ad attivare una determinata modalità con minor
contenuto energetico.
L'intensità dello stimolo è il contenuto di energia dello stesso; quando parliamo di sostanze chimiche,
l'intensità dello stimolo sarà la concentrazione della sostanza. L'intensità è codificata in termini diversi in
base al tipo di stimolo. Accanto al concetto di intensità si deve considerare il concetto di soglia. La soglia, in
generale, è l'intensità dello stimolo oltre alla quale riesco a ottenere una sensazione. Esistono soglie diverse:
soglia del recettore, soglia di percezione e soglia differenziale. La soglia del recettore è l'intensità minima
dello stimolo necessaria per attivare un recettore. La soglia di percezione è . la percezione dipenderà poi
dalla detettabilità e dalla sensibilità. La prima dipende dal sistema sensoriale, la seconda dalla nostra
attenzione allo stimolo.
La soglia differenziale riguarda la capacità di percepire le più piccole differenze tra due stimoli.
La durata è la permanenza nel tempo di uno stimolo, permanenza che riesco a descriminare sulla base della
codifica dello stimolo stesso. La durata di uno stimolo è associata al concetto di adattamento: vi sono tipi di
stimoli che attivano recettori a seconda del loro adattamento
La localizzazione permette la discriminazione spaziale, massima sulla punta delle dita.
Nella condizione di riposo non ho nessuno stimolo e nessun potenziale d'azione, ma il neurone è comunque
attivo.
Lo stimolo, se soprasoglia, riesce ad attivare il recettore, producendo un potenziale di recettore, di ampiezza
diversa a seconda dell'intensità dello stimolo. Il potenziale di recettore genera un potenziale postsinaptico. Se
quest'ultimo è soprasoglia genera un potenziale d'azione.
C'è una relazione (legge di Stevens) tra intensità dello stimolo e intensità della sensazione percepita.
I = k (S – S0)n
k = costante
I = intensità percepita
S0 = stimolo soglia
S = stimolo
n dipende dalla modalità sensoriale
Abbiamo recettori che non adattano o che hanno un adattamento lento, rapido e rapidissimo. I recettori senza
adattamento rispondono allo stesso modo per tutta la durata dello stimolo. Quelli con adattamento lento
rispondono principalmente all'inizio Quelli con
adattamento rapido rispondono principalmente
all'inizio e alla fine. Il rpocesso di adattamento
corrisponde a un decremento della sensazione al
persistere dello stimolo.
Per unità recettrice si intende il recettore con tutti i
neuroni sensoriali a cui invia informazioni.
Abbiamo sistemi divergenti e sistemi convergenti.
Nei primi abbiamo lo stesso recettore che invia
l'informazione a più di un neurone sensitivo primario; al contrario,
nei sistemi convergenti abbiamo lo stesso neurone sensitivo
primario che riceve l'informazione da più recettori. Un sistema
convergente permette un aumento della sensibilità, mentre il
sistema divergente permette una maggiore acuità e
discriminazione, perchè lo stesso recettore attiva più di un neurone
sensitivo primario.
Nell'elaborazione corticale ci sono due meccanismi: uno di tipo
gerarchico, in cui uno stesso stimolo viene scomposto nei diversi
elementi che lo costituiscono. L'analisi parallela sostiene che lo
stimolo viene scomposto nelle sue submodalità, come forma,
colore e movimento, processate parallelamente per poi ricostruire
la conformazione unitaria.
11. Il sistema somatoestetico
La modalità tatto comprende altre modalità. Oltre al tatto propriamente detto c'è la propriocezione, la
nociocezione e la termocezione. Quando parliamo di sistema somatoestesico parliamo di un sistema che
porta informazioni in tutto il corpo. Gli esterocettori portano informazioni dalla superficie del corpo e sono
distribuiti ovunque nel corpo. I propriocettori sono i recettori che portano informazioni da ossa, muscoli e
articolazioni e servono a dare informazione non solo sulla posizione delle parti del corpo, ma anche sulla
posizione dell'individuo nello spazio. Gli enterocettori sono stimolati e trasmettono informazioni dai visceri.
Una prima differenza del sistema somatosensoriale è che i recettori non sono legati a un organo specifico, ma
sono distribuiti ovunque nella superficie corporea. Un'altra caratteristica è che i recettori che abbiamo visto
del sistema somatosensoriale sono di I ordine, eccetto quelli del volto. Di conseguenza la cellula recettrice
non è un elemento indipendente ma è una porzione specializzata del neurone sensitivo primario, che in
questo caso si trova nei gangli delle radici dorsali.
Una differenza sostanziale è tra i recettori della fibra pelosa e i recettori della fibra glabra; quelli della cute
pelosa sono dei meccanocettori, avvolti attorno alla superficie del pelo e si attivano quando c'è uno
stiramento del pelo; i recettori della cute glabra sono essenzialmente localizzati nelle porzioni di corpo non
avvolte dai peli, come la mano e le dita. I dischi di Merkel sono localizzati essenzialmente in corrispondenza
delle impronte digitali. Occorre sapere che rappresentano il 25% circa dei recettori della mano e sono
recettori ad adattamento lento. È stato dimostrato che sono recettori particolarmente sensibili a punti,
spessori e curvature e servono proprio alla percezione della forma e delle strutture superficiali degli oggetti.
La stereognosi è la capacità della mano di riconoscere un oggetto, mediata dalle caratteristiche di questi
recettori. I corpuscoli di Meisner sono subito sotto la cresta; in questi colpisce la forma allungata che
possiedono. Tutte queste strutture nonostante siano specializzate, non sono elementi autonomi, ma sono parti
del neurone sensitivo primario. Il corpuscolo rappresenta il 40% dei recettori situati nella mano ed è un
recettore ad adattamento rapido; è costituito da una capsula che contiene lamine di cellule di Shwann. Sono
importanti per la percezione del movimento e il controllo della presa. I corpuscoli di Pacini sono nella
porzione più profonda dell'epidermide, la loro formologia è costituita da una serie di strati concentrici di
lamelle che circondano la singola fibra apparente. Sono recettori ad adattamento rapido e servono a percepire
gli eventi lontani attraverso la trasmissione di vibrazioni e sono essenziali per poter utilizzare gli strumenti.
L'ultimo tipo di recettore è il corpuscolo di Ruffini che rappresenta il 20% e sono ad adattamento lento; sono
strutture allungate, localizzate nella profondità della cute ma ce ne sono anche nei legamenti e nei tendini. I
corpuscli sono sensibili allo stiramento delle dita e della cute e rilevano ogni tipo di stiramento che facciamo
con la mano. Vi sono anche terminazioni nervose libere, che mediano le informazioni dolorifiche termiche.
L'elemento centrale del sistema tattile propriocettivo e somatosensoriale in generale, è il neurone sensitivo
primario, che ha un caratteristico assone a T, in cui un'estemità termine nelle terminazioni nervose libere nel
caso del sistema dolorifico e l'altra va a connettersi nel neurone sensitivo secondario che poi si connetterà al
talamo e corteccia. Alla corteccia si ha una sensazione soggettiva e cosciente. I corpi cellulari di questi
neuroni sensitivi primari del sistema somatosensoriale sono nei gangli delle radici dorsali e quindi vi è una
terminazione che va nell'epidermide e l'altra porzione entra a livello del midollo spinale proprio dalle radici
dorsali.
Quando parliamo di acuità tattile parliamo della capacità di discriminare due stimoli attraverso il tatto.
Questa acuità tattile è una funzione sia delle dimensioni dei campi recettivi sia della densità dei recettori; nel
caso della mano, questa ha recettori con campi recettivi piccoli sulle dita, viceversa aumenta nelle altre parti
della mano come nel palmo. Il campo recettivo è la porzione della periferia sensoriale la cui stimolazione
porta all'attivazione di un determinato recettore. La capacità di acuità tattile si può misurare prendendo le due
punte del compasso e provando a diminuire la distanza fino a quando non si riesce più a distinguere le due
stimolazioni differenti. Nelle zone che hanno campi recettivi più piccoli e maggiore densità di recettore
l'acuità tattile si traduce in una distanza minima tra i punti, quindi l'acuità è molto elevata (2 mm sulla punta
delle dita, 4 mm sul dito, 8 mm sul palmo della mano).
I recettori che hanno campi recettivi piccoli (che permettono una discriminazione più fine dello stimolo) e
adattamento lento (sono attivi per tutto il tempo di discriminazione dell'oggetto) servono alla discriminazione
spaziale dell'oggetto. Viceversa, recettori con campi recettivi di dimensioni maggiori con rapido o
rapidissimo adattamento consentono una discriminazione temporale dello stimolo.
Se l'acuità tattile diminuisce, le zone avranno meno recettori e saranno di dimensioni maggiori.
Il sistema tattile è chiamato sistema delle colonne dorsali: ha come elemento centrale le cellule con corpi
cellulari nei gangli delle radici dorsali, che sono i neuroni sensitivi primari. Questi hanno una porzione del
loro assone a T che termina nelle terminazioni del recettore (linea rossa) e questo ci fa comprendere che ci
sono fibre afferenti che possono essere anche molto lunghe, di mezzo metro di lunghezza. L'altra porzione
del corpo cellulare nel ganglio delle radici dorsali entra nel midollo spinale.
Le fibre che inviano informazioni relative agli arti inferiori sono situate nella porzione mediale e viaggiano
in fasci ben definiti e circoscritti (fascicolo gracile). Le fibre che inviano informazioni relative agli arti
superiori, al tronco e al collo si trovano in fasci posti lateralmente e conosciuti come fascicolo cuneato. Le
fibre di questi fasci terminano in distinte suddivisioni dei nuclei delle colonne dorsali: il nucleo gracile e
cuneato.
L'informazione relativa ai diversi tipi di recettori viene sempre elaborata in modo separato; ogni recettore ha
un suo canale parallelo. Ci saranno fibre specifiche che prendono le informazioni e tutto questo ha un canale
saparato anche da un punto di vista anatomico fino alla corteccia.
Ci sono diversi processi di inibizione: una è l'inibizione laterale, che consiste nel fatto che ho una singola
fibra afferente che contatta il neurone sensoriale, ma la stessa fibra ha dei collegamenti con A, B e C
rappresentano neuroni in aree limitrofe della superficie laterale. Questi ricevono informazioni dalla stessa
zona del campo recettivo ma da aree diverse. Il neurone B aumentano la frequenza di scarica, mentre i
neuroni A e C diminuiscono la frequenza a causa dell'interneuone inibitorio. La fibra afferente va ad attivare
sia il neurone B sia gli interneuroni; gli interneuroni inibitori sono quelli che non consentono ad A e C di
scaricare l'impulso. Ha funzionamento per contrasto. L'inibizione laterale permette la discriminazione tra due
punti. I neuroni inibitori sopprimono l'attivitazione dei neuroni disposti tra i due punti attivati, rendendo più
nette le zone attivate.
3a, 3b, 1 e 2 sono sottoaree della corteccia S1 (corteccia somatosensoriale) sitata nell'area parietale. Se ci
sono lesioni a livello di S1, le aree di S2 (corteccia di ordine superiore) sono difatto silenti, perchè riceve da
S1. Il talamo non proietta S2, ma proietta solo 3a e b. L'informazione, dalle aree 3a e 3b, viene trasmessa alle
aree 1 e 2 e infine l'informazione di tutte queste aree converge in S2. È un esempio di analisi gerarchica.
Importanti sono le frecce blu che collegano S1 ed S2 alla corteccia motoria e parietale posteriore (area di
associazione e integrazione di stimoli).
All'interno delle sottoaree sono elaborate informazioni diverse delle caratteristiche dell'oggetto (forma,
dimensione, struttura) parallelamente.
Nei primani non umani, lesioni selettive dell'area 3b portano a un grave deficit della sensibilità tattile
mediata dai meccanocettori cutanei. Le lesioni delle aree 1 e 2 portano a deficit pariziale e inabilità nell'uso
delle informazioni tattili per la discriminazione...
La rappresentazione somatotopica è stata studiata da Marshall, il primo a effettuare le registrazioni nella
corteccia del gatto dopo la stimolazione delle aree della cute. In seguito Kaas e Merzeniche hanno scoperto
come le rappresentazioni sono di varia natura e sono contenute in diverse aree di S1, quindi non si parla solo
di mappa somatotopica ma di sottomappe.
Le mappe non sono statiche, ma plastiche nel tempo; variano in seguito a sviluppo, lesione ed esperienza.
Arto fantasma in seguito a lesione: per un certo periodo si avrà la sensazione della sua presenza nonostante
questo non ci sia (dovuta a riarrangiamento corticale). L'informazione arriva separata fino alla corteccia:
questa è formata da una serie di moduli che processa una determinata parte di informazione.
L'organizzazione è colonnare ed è un ulteriore esempio di processamento parallelo.
12. Sistema somatoestetico 2
Nel freddo paradosso la sensazione del freddo precede quella
del bruciore. Le fibre δ (delta) sono mielinizzate (infatti sono
più veloci), mentre quelle C sono amieliniche. I recettori per il
freddo ha fibre mielizzate, quindi nel freddo paradosso
(temperature maggiori a 45°), sentirò prima la sensazione del
freddo, trasmetta dalle fibre mieliniche, poichè più veloci.
All'aumentare delle temperature, aumenterà la frequenza di
scarica. Nel caso di stimoli termici dolorosi l'intensità dello
stimolo è legata all'aumento della temperatura.
Il dolore non corrisponde alla nocicezione. La nocicezione
comprende diversi tipi di sensazione tra cui il dolore. Per
nocicezione si intendono una serie di informaizoni sensoriali che dichiarano il danno potenziale o il periclo
di un danno tissutale in atto. La sensazione di nausea o mancamento è mediata dai nociocettori che non
trasmetterò però l'informazione di una sensazione dolorifica. Il sistema responsabile di queste sensazione è il
sistema nocicettivo. Questo è correlato alle nostre risposte di pericolo e allerta: ci sono tre tipologie di
risposte di fronte a un pericolo: fuga, attacco e breazing.
Nocicezione e dolore quindi non sono assolutamente la stessa cosa.
Ci sono tre tipi di nocicettori: termici, meccanici e polimodali. I primi rispondono a stimoli termici
(variazioni di temperatura) e possono rispondere a stimoli superiori a 45° e inferiori a 10°. Saranno attivi i
call sport per il freddo paradosso. I meccanici rispondono a stimoli meccanici e i polimodali rispondono a
stimoli termini, meccanici o chimici. Trasmettono il dolore sordo.
Il dolore può essere descritto in modi diversi, sia perchè la soglia soggettiva è diversa da individuo a
individuo. Tendenzialmente si distingue in tre categorie: acuto, persistente, cronico. Il dolore acuto è la
sensazione di dolore comune. Il dolore persistente è l'esperienza di dolore di cui soffrono persone con
patologie importanti come la sclerosi o l'AIDS, in cui è esperienza quotidiana, perchè tutte le vie di
trasmissione nociocettiva sono compromesse.
Il dolore cronico è una sensazione di dolore che deriva da una modifica plastica a livello corticale. Il dolore
acuto si può dividere in dolore primario e secondario. I due tipi di dolore sono mediati da fibre di tipo
diverso. Il dolore acuto primario è dominato da fibre gamma. Inibendo la trasmissione dei due tipi di fibre, la
sensazione soggettivo è quella di provare solo un tipo o l'altro del dolore. Bloccando le fibre di tipo gamma
l'esperienza soggettiva è quella di dolore secondario, di tipo sordo. Viceversa, bloccando le fibre C, vi è solo
la prima sensazione immediata di dolore primario e poi cessa immediatamente e non si ha continuità
dell'esperienza dolorifica mediata dalle altre fibre.
La zona che rileva il dolore è più ampia rispetto a quella dove avviene il dolore. La sensazione soggettiva di
dolore in zone più ampie è data dai policettori. L'esperienza è data solo dall'area A, ciò è meno conservativo
per l'organismo in sè. Gli estremi sono tradotti dai concetti di iperalgesia e allodinia. L'iperalgesia è una
reazione eccessiva agli stimoli dolorifici, quindi anche zone normali vengono coinvolte nel processo
dell'infiammazione. L'allodinia è un dolore provocato da stimoli normalmente innocui. Entrambe però fanno
parte del range delle 'patologie' del sistema nociocettivo proprio perchè riguardano il funzionamento
aberrante dei meccanismi di segnalazione del dolore.
Le terminazioni nervose libere provengono dal neurone primario. L'altra parte dell'assone entra tramite la
radice dorsale ma va subito nella sostanza grigia del midollo spinale, a livello delle corna dorsali del midollo
spinale. Il neurone primario contatta i secondari. Il primo tipo di connessione avviene proprio a livello delle
corna. Le afferenze inviate da metà del corpo hanno subito una degussazione nel midollo spinale. I neuroni
di II ordine risalgono seguendo un sistema di colonne anterolaterali, perchè sono fasci di fibre che
attraversano la sostanza bianca e quindi attraversano le colonne e si dicono antero-laterali perchè la loro
conformazione anatomica prevede una modificazione verso il piano antero-laterale. Il fascio
neospinotalamico è essenziale ricordare che ha la sua stazione talamica nel complesso ventrovasale del
talamo (III ordine) e da qui invia le informazioni finali. Gli altri tipi di fasci si comportano in modo analogo,
salvo che la loro stazione sono i nuclei.
Il paleo-spinotalamico è il fascio più antico, mentre quello neo-spinotalamico si è evoluto nelle specie recenti
e nell'uomo. Più precisamente:
Fascio neo-spinotalamico: va al talamo ventrobasale, che porta le informazione dolorifiche alla corteccia
parietale somoestesica (SI): percezione dello stimolo dolorifico e sua localizzazione, anche se non c'è una
mappa.
Fascio paleo-spinotalamico: va al talamo (nuclei intralaminari), che proietta in maniera diffusa alle cortecce
(arousal).
Fascio spinoreticolare: va alla sostanza reticolare, che proietta a talamo (e quindi a cortecce) e ipotalamo
(arousal, riflessi vegetativi).
Fascio spinomesencefalico: va al grigio periacqueductale e da qui al talamo e poi alle cortecce, incluse la
corteccia insulare e la corteccia cingolata anteriore, responsabili delle componenti affettive. Ha una
connotazione negativa e riguarda le reazioni emotive ad uno stimolo dolorifico.
Ci sono indizi sull'esistenza di una mappa del dolore, ma non è stata
ancora identificata.
La stimolazione con degli elettrodi i neuroni della sostanza grigia
produce analgesia, che attiva la via centrale del dolore e si inibisce
l'azione dolorifica. Il soggetto non comunica dolore. Invece di stimolare
queste aree, si può somministrare morfina ottendendo lo stesso risultato
(assenza di dolore). Viceversa, se si applica un aloxone, sostanza
chimica che agisce sui recettori della morfina, l'effetto di quest'ultima
scompare e si prova dolore. Tutte queste prove sperimentali hanno
dimostrato che esistono all'interno delle vie discendenti esistono
neuroni che esercitatono un'azione inibitoria del dolore e sono simili
agli oppioidi (per questo chiamati...). È stato studiato il livello di
contatto primario tra il neurone sensitivo primario con quello
secondario per capire se anche a questo livello fossero presenti fattori di
inibizione. È stato dimostrato come il neurone del corno dorsale ha dei
recettori per gli oppioidi: delta, mu e K. Il principale è il recettore mu, che si lega agli oppioidi endogeni.
12. Sistema visivo
Attaverso gli occhi vediamo qualsiasi stimolo visivo come un'immagine unitaria e tridimensionale. Ciò che
però dobbiamo tenere in considerazione è che sulla retina l'immagine si forma con tre caratteristiche
principale. L'immagine è, innanzitutto, doppia, capovolta e bidimensionale. Un'altra caratteristica del sistema
visivo rispetto agli altri è il fatto che lo stimolo non è una proprietà intrinseca dell'oggetto. Quando parliamo
di stimoli visivi non ci riferiamo a oggetti che hanno delle caratteristiche specifiche, ma lo stimolo vero e
proprio è un segnale indiretto, emesso da una sorgente luminosa e riflesso dall'oggetto in questione. Lo
stimolo sono i fotoni, le lunghezze d'onda, emesse da una sorgente luminosa e che ciascun oggetto riesce ad
assorbire e riflettere. Ciò avviene a differenza degli odori, dei suoni o del gusto, che hanno proprietà
intrinseche. Lo stimolo vero e proprio sono le onde elettromagnetiche, che si distribuiscono su un'ampia
gamma di lunghezze d'onda. Tuttavia quelle relative allo spettro visibile sono comprese da 400 e 760
nanometri circa. Tra tutte le onde del visibile, quindi, i nostri occhi riescono a processare soltanto una parte.
Le proprietà di un'onda elettromagnetica sono quelle di rifrazione, riflessione e assorbimento. In fisica, per
quanto riguarda il processo di riflessione, sono stati studiati alcuni principi, due essenziali. Secondo il primo
principio il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale giacciono sullo stesso piano. Inoltre l'angolo di
incidenza e l'angolo di riflessione sono esattamente uguali. Questo principio spiega come avviene la
riflessione delle onde. Viceversa, quando parliamo di rifrazione, uno dei concetti centrali nell'organizzazione
del sistema visivo, si parla di un processo secondo il quale un'onda viene deviata quando passa da un mezzo
all'altro e in questo passaggio varia la velocità di propagazione. L'assorbimento si realizza quando abbiamo
una porzione di materia che viene a contatto con la radiazione elettromagnetica e riesce ad assorbire l'energia
della radiazione stessa. Tale assorbimento però dipende dalle proprietà della materia in sè e dalla lunghezza
d'onda della radiazione.
Vediamo com'è fatta la porzione periferica del sistema sensoriale visivo. Partiamo da una considerazione
secondo cui l'occhio è sostanzialmente formato da due componenti. Vediamo grazie all'organo recettivo vero
e proprio, la retina e a un sistema di lenti, detto sistema diottrico, il cui elemento principale è il cristallino.
Questo sistema di lenti, che ha un livello di consistenza superficiale simile al vetro, serve per mettere a fuoco
ogni punto sulla retina. Strutturalmente, a in prossimità del
sistema diottrico, ci sono una serie di muscoli interni che
servono a regolare il diametro della pupilla e l'accumulazione
del cristallino. Un'altra funzione molto importante del
cristallino è il fatto che filtra anche le radiazione non visibili.
Tra le altre componenti abbiamo l'iride, che è la parte
colorata dell'occhio. L'iride si può vedere attraverso la
cornea, rivestimento protettivo che prosegue in tutto l'occhio,
ma diventa da sclera, porzione di tessuto bianco fibroso. Lo
spazio compreso tra la porzione posteriore del cristallino e la
parte finale dell'osso bulbo-oculare è pieno di una sostanza
detto umore vitreo, sostanza gelatinosa che occupa quasi
l'80% del volume dell'occhio e contiene cellule che hanno
un'attività fagocitaria, cioè vanno a rimuovere elementi del
sangue o impurità che potrebbero interferire con la
trasmissione della la luce.
La superficie della retina è caratterizzata dalla presenza di
una vascolarizzazione massicia, cioè ci sono sia vene che
arterie, disposte a ventaglio, derivanti tutte dalla vena ottalmica, che entra nell'occhio attraverso il disco
ottico. Quel punto è essenziale non solo perchè è il punto di ingresso di vene e arterie, ma anche perchè è il
punto di uscita delle informazioni visive che poi saranno trasmette al nervo ottico e alle altre stazioni
successive. La retina ha delle porzioni assolutamente specifiche. Una porzione specifica è la macula lutea,
qui si trova la più alta densità di recettori e quindi si ha la massima acuità visiva, cioè la capacità di vedere i
dettagli visivi con la più alta risoluzione possibile. Il centro della macula lutea è la fobea, che contiene un
pigmento protettivo che serve a proteggere la retina dalle radiazioni ultraviolette, che potrebbero essere
dannosi per i recettori retinici.
Sia la cornea che il cristallino ha la proprietà di rifrangere le onde provenienti da un oggetto. La rifrazione è
il meccanismo in base al quale vengono messi a fuoco gli stimoli luminosi. Il cristallino, rispetto alla cornea,
ha maggiore potere. Si dice che ha maggior capacità di accomodazione, proprio per sottolineare che grazie a
questo sistema di muscolatura presente nel cristallino, questo ha maggior potere di modifica strutturale che
permette la messa a fuoco degli oggetti. I raggi che passano lontani dal centro del cristallino determinano
un'immagine meno nitida e quindi ridurre il diametro della pupilla serve a migliorare la nitidezza della
percezione. I difetti al sistema diottrico (come la miopia) sono facilmente e parzialmente correggibili, mentre
problemi alla retina sono molto più seri e rilevanti.
Abbiamo detto che il disco ottico è la porzione essenziale perchè sia di ingresso che di uscita dalla retina. È
una porzione che non ha recettori, unica zona della retina con questa caratteristica. Il disco ottico è
responsabile del fenomeno del punto cieco (macula cieca).
Abbiamo due regioni, corrispondenti alle porzioni nasali, zone essenzialmente monoculari, mentre l'altra
porzione, temporale, riceve le informazioni da entrambi gli occhi. Il fenomeno della macula cieca si può
associare al fatto che con la chiusura di un occhio e la fissazione di uno dei due spot in modo continuativo, si
vedrà come non si riesce a percepire l'altro spot che inizialmente si vedeva. Questo succede perchè si tratta di
una proiezione che chiama in causa la porzione nasale dell'occhio aperto ed essenzialmente si scontra con la
presenza di una zona d'ombra, priva di fotorecettori, che non permette di vedere stimoli al di fuori della
porzione di campo visivo che viene esaminata dall'occhio che resta aperto.
Un'altra caratteristica è che nella fovea sono presenti soltanto i coni. I fotorecettori reticini si divono in due
categorie diverse: coni e bastoncelli. I coni sono presenti nella fovea, oltre che nel resto della retina. Nella
fovea ci sono solo coni e questo avrà una sua implicazione.
La retina nasce dalla vescicola ottica, una sorta di invaginazione del telencefalo. Questa vescicola, nei
passaggi successivi dello sviluppo, forma il calice ottico e questo poi avrà due porzione, una interna, quella
che origina la retina vera e propria, una esterna che origina l'epitelio pigmentato. Questo contiene melanina
ed è una sostanza importante per ridurre la dispersione della luce che penetra nell'occhio. Subito al di sotto
dell'epitelio pigmentato abbiamo le cellule recettrici, dette fotorecettori, recettori di III ordine, perchè non
sono direttamente connessi a neuroni sensitivi primari, ma tra il recettore e il neurone sensitivo primario c'è
una serie di interneuroni. I corpi cellulari di questi recettori si trovano al livello dello strato nucleare esterno.
I fotorecettori fanno contatto con degli interneuroni. I punti di contatto sono a livello dello strato plessiforme
esterno, mentre i corpi cellulari dei neuroni sono nello strato nucleare interno. Questi interneuroni hanno tre
nomi diversi perchè hanno funzione e morfologia diversa: cellule bipolari, cellule amacrine, cellule
orizzontali. Gli interneuroni contattano a loro volta a livello dello strato plessiforme interno le cellule
ganglionari, che hanno i corpi cellulari situati nello strato delle cellule gangliali e i neuroni sensitivi primari
inviano contatti che escono dalla retina tramite il disco ottico e le fibre proseguono per il disco ottico fino al
sistema nervoso centrale.
L'epitelio pigmentato è importante anche perchè mantiene l'intero apparato di fototrasduzione, perchè ha due
funzioni principali: la fagocitosi dei dischi esausti. Sia i dischi che i fotopigmenti sono elementi che
costituiscono una prozione del recettore, sia del cono che del bastoncello. L'epitelio pigmentato è connesso a
una porzione più esterna dei fotorecettori. Questa è costituita da una sorta di dischi membranosi, che
vengono continuamente riciclati, quindi c'è un pezzo di recettori che viene continuamente riciclato e smaltito
in questo modo: si increspano, poi si ha un'estremità che si separa dal recettore. Quest'estremità che
dev'essere riclicata, viene inglobata dall'epitelio pigmentato che sta sopra.Vediamo come sono costituiti i
fotorecettori. La morfologia è diversa da coni e bastoncelli. I bastoncelli sono più allungati. Gli elementi
essenziali però sono gli stessi: segmento esterno, che nel caso del bastoncello è costituito da dischi di
membrana e nel caso del cono sono più introflessioni ed estroflessioni di membrana. Entrambe queste parti
sono dette segmenti esterni. Questi sono porzioni in cui la luce viene trasformata in segnale elettrico; è la
componente essenziale per cominciare il processo di fototrasduzione. Le altre porzioni sono il segmento
interno e la terminazione sinaptica. Il segmento interno comprende il nucleo, i mitocondri e le zone principali
delle cellule per la sintesi proteica. Viceversa, la terza porzione, la terminazione sinaptica, cioè l'assone del
fotorecettore, che fa contatti sinaptici con i dentriti dei neuroni. La categoria di interneurone viene
comunemente detta categorie delle cellule bipolari, anche se di fatto comprendono i tre sottotipi di cellule
bipolari, amacrine e orizzontali.
Il processo di fototrasduzione
inizia con un fotone che viene
assorbito da parte del fotopigmento
contenuto nei dischi di membrana
o nelle estroflessioni di membrana.
Il fotopigmento è quindi contenuto
nel segmento esterno del recettore.
La porzione chiamata pigmento
visivo è costituita da un
fotopigmento che contiene una
proteina detta retinale, che è un
derivato della vitamina A, e una
molecola della famiglia delle opsine. Il retinale è la porzione di fotopigmento che assorbe la radiazione, ma
dev'essere sempre associato all'opsina per avere una modifica strutturale legata all'ingresso della radiazione.
L'insieme retinale-opsina viene modificato strutturalmente una volta che arriva un fotone e questa modifica
che subisce è responsabile della cascata successiva a livello molecolare. Questa prevede che si abbia
un'attivazione di un secondo messaggero chiamato proteina G trasducina. A sua volta, questa trasducina è
responsabile dell'attivazione di una fosfodiesterasi e questa è responsabile dell'idrolisi del GMP ciclico. Il
passaggio fondamentale sta proprio nel riuscire a smaltire (idrolizzare) le molecole di GMPc presenti a
questo livello legate alle possibilità che si hanno di ingresso nel fotorecettore attraverso il canale presente a
questo livello.
Al buio c'è un canale sensibile agli ioni sodio che permette l'ingresso di GMPc che è presente in grande
quantità all'interno del segmento esterno del fotorecettore. Si ha una depolarizzazione del potenziale a
membrana, cioè in condizione di riposo. Quando arriva la luce, questa colpisce il pigmento visivo, o meglio
il complesso retinale-opsina, che cambia conformazione. Questo cambio di conformazione provoca
l'attivazione di tutta la cascata intracellulare, quindi si ha attivazione del messaggero intracellulare
(trasducina). Questa a sua volta attiva la fosfodiesterasi che, a sua volta, causa l'idrolisi del GMPc e, come
ultima conseguenza, il canale per il sodio sensibile alla presenza di GMPc, in assenza di esso, si chiude e gli
ioni sodio non entrano più. Si passa a una iperpolarizzazione del potenziale di membrana. L'arrivo di uno
stimolo visivo ha quindi come effetto finale l'iperpolarizzazione, cosa anomala, perchè nella maggior parte
degli altri sistemi uno stimolo causa una depolarizzazione. Un'altra caratteristica fondamentale di questo
processo è il fatto che c'è un'amplificazione molto forte dell'effetto. Da un solo fotone che arriva al pigmento
visivo, si ha una risposta che arriva a coinvolgere l'attività di almeno centomila molecole di GMPc libere
nello spazio del segmento esterno.
Questo è la prima modalità con cui lo stimolo visivo arriva al recettore. L'altra caratteristica interessante è
che la luce, di per sè, serve solo a operare il primo tipo di modifica strutturale. Tutto ciò che avviene dopo è
opera della cascata, ma non è più mediata dallo stimolo visivo.
L'opsina del bastoncello è solo e sempre di un tipo: rodopsina. Viceversa, i coni hanno tre tipi di opsine
diverse. Tra le altre differenze funzionali: i bastoncelli sono essenziali in condizioni di scarsa illuminazione
(visione notturna o scotopica). Essi hanno quantità di pigmento, permettono maggiore amplificazione del
segnale e hanno connessioni convergenti. Di base, le connessioni convergenti hanno come conseguenza il
fatto che diminuisce l'acuità di un sistema. Viceversa, i coni che hanno connessioni non convergenti, hanno
un'altissima acuità visiva e quindi altissima capacità di discriminare i dettagli. I bastoncelli non sono presenti
nella fovea, ma soltanto i coni. Viceversa, i coni non sono presenti nelle porzioni più periferiche della retina.
Nella retina abbiamo circa 90 milioni di bastoncelli e 4 milioni e mezzo di coni. La densità di coni e
bastoncelli è diversa nelle diverse porzioni della retina. I coni sono rappresentati nelle porzioni più centrali e
i bastoncelli nelle porzioni più periferiche.
Un esempio di convergenza è il fatto che più bastoncelli convergono sugli stessi interneuroni. Il tratto
principale della convergenza è il fatto che abbiamo più bastoncelli sullo stesso interneurone. I coni hanno
connessioni più privilegiate. Oltre ad avere diversi tipi di connessioni, si distinguono due tipi di sistemi:
orizzontali e verticali. Il sistema orizzontale è dato da un recettore che ha connessioni con i diversi tipi di
interneuroni e con le cellule ganglionari e nel sistema verticale il recettore ha connessione eslusiva con una
cellula bipolare e con la cellula ganglionale. Questi due sistemi danno indicazione sui diversi tipi di
complessità di processamento sulla retina. Quello orizzontale ha infatti una funzione aggiuntiva che è quella
di portare con sè le informazioni degli altri interneuroni.
Un'altra caratteristica essenziale è che i fotorecettori e gli interneuroni non generano potenziale d'azione. Il
processo di iperpolarizzazione non porta a un potenziale d'azione ma a un potenziale di recettore, trasmesso
agli interneuroni, ma non si ha generazione di potenziale d'azione, ma di potenziali elettrotonici. Solo le
cellule ganglionari generano potenziale d'azione. L'intero processo attiva potenziali di recettori e solo se sarà
soprasoglia sarà in grado di attivare la cellula membrionale e di far innescare un potenziale d'azione in questa
cellula. Questo avviene anche per una ragione di spazio. Questo processo avviene in una porzione limitata,
nella retina. Non c'è necessità di inviare l'informazione a lunghe distanze, come nel sistema tattile, in cui è
necessaria un'amplificazione notevole del segnale.
Abbiamo la suddivisione delle cellule ganglionari in due tipologie: cellule magnocellulari e cellule
parvocellulari. Le prime sono quelle che hanno campi recettivi più grandi e sono responsabili dell'analisi del
movimento; le parvocellulari hanno campi recettivi più piccoli e ricevono informazioni su forma e colore. Il
sistema M fa capo alle cellule magnocellulari e il sistema P alle parvocellulari, che hanno funzioni diverse
nell'analisi dello stimolo visivo. La scomposizione e analisi dello stimolo visivo avviene quindi già a livello
della retina.
Ci soffermiamo sulle cellule bipolari. L'interneurone ha un campo recettivo di grandezze diverse a seconda
della porzione di retina che rappresenta, caratterizzato da zone eccitatorie e zone inibitorie disposte in modo
circolare. I campi recettivi che sono, in questo caso, l'area della retina la cui stimolazione luminosa comporta
una modifica dell'attività elettrica della cellula, hanno dimensioni diverse (nella fovea i campi sono
piccolissimi, così come sulla punta delle dita si ha massima acuità tattile e minima dimensione e massima
densità dei recettori). Per attivare queste cellule lo stimolo migliore sarà uno stimolo che darà
un'informazione maggiore per il contrasto. A differenza dei fotorecettori che hanno stimoli che
corrispondono a differenti intensità luminose, qui l'intensità non è più importante, lo è l'intensità luminosa e
il contrasto. Tutto questo vale per le cellule bipolari e ganglionari. Lo stimolo che arriva al centro attiverà
anche due diversi tipi cellulari successivi: le bipolari che hanno centro on e le ganglionari che hanno centro
on. L'iperpolarizzazione del recettore di fatto comporta una diminuzione di rilascio di neurotrasmettitore
nello spazio sinaptico.
Le cellule gangliari non sono mai silenti, neanche al buio, ma la loro frequenza di scarica è modulata dallo
stimolo luminoso. La loro frequenza di scarica non è proporzionale all'intensità assoluta dello stimolo, ma
piuttosto alla differenza di intensità esistente fra il centro e la periferia del campo recettivo.
Quelle a centro ON rispondono meglio quando è illuminato il centro e non la periferia, l'opposto quelle a
centro OFF, analizzando di fatto i contrasti piuttosto che la luminosità assoluta. La luminosità è influenzata
dallo sfondo perché le nostre cellule retiniche riescono a visualizzare i contrasti tra centro e periferia, oggetto
e sfondo.
Le cellule ganglionari segnalano bene anche le variazioni di intensità luminosa:
- se l’intensità luminosa aumenta nel centro del campo recettivo di una cellula ganglionare a centro ON, la
sua frequenza di scarica di potenziali d’azione aumenta;
- se l ’intensità luminosa diminuisce nel centro del campo recettivo di una cellula ganglionare a centro OFF,
la sua frequenza di scarica di potenziali d’azione aumenta.
Questo principio di analisi di base con cui riusciamo a percepire i
contrasti di intensità luminose è lo stesso con cui organizziamo anche
la nostra esplorazione delle scene visive. Sono stati condotti tanti
studi di registrazione dei movimenti oculari e in particolare quando si
elaborano stimoli complessi come i volti si è visto come
l'esplorazione oculare si concentra su quelle zone particolarmente
importanti per i contrasti, come bocca, naso e occhi.
14. Sistema visivo 2
Suddiviamo il campo visivo in due tipi di quadranti.
Immaginiamo di tirare una linea che divida la
porzione destra e la porzione sinistra del campo
visivo. Si possono suddividere ulteriori quadranti, ma
essenzialmente ci riferiamo a stimoli che cadono
nella porzione destra o sinistra del campo visivo.
Uno stimolo nella porzione destra del campo visivo
viene proiettato e codificato dall'emiretina nasale
dell'occhio dell'occhio di destra e dall'emiretina
temporale dell'occhio di sinistra. La retina ha quindi
queste due suddivisioni: emiretina nasale (più vicina
al naso) ed emiretina temporale (più vicina ai lati).
Viceversa per gli stimoli del campo visivo sinistro.
La rappresentazione è capovolta, quindi bisogna
pensare a una suddivisione in altezza dello stimolo.
Se esso cade nella parte superiore del campo visivo
viene proiettata nelle porzioni inferiori della retina e
viceversa. Di base, ogni stimolo arriva a entrambi gli
occhi anche se in porzioni diverse della retina. Il
fatto che arrivi a entrambi gli occhi è anche la ragione per cui non ci accorgiamo normalmente del punto
cieco (si è detto che il punto cieco è quella zona in cui non ci sono fotorecettori). Le fibre che escono tramite
il disco ottico dalle retine incrociano – ma non tutte, una parte – nel chiasma ottico. Si incrociano soltanto
quelle fibre che corrispondono alle emiretine nasali, andando a convergere nel tratto ottico controlaterale. Il
chiasma ottico è la zona essenziale per la nostra visione binoculare. Nel caso di animali che hanno visioni
laterali come il cavallo le fibre provenienti da un singolo occhio incrociano tutte le fibre nel chiasma ottico.
Il tratto ottico di sinistra alla fine quindi conterrà le fibre provenienti dal settore temporale della retina
dell'occhio sinistro e le fibre provenienti dal settore nasale della retina dell'occhio destro. Sono comunque
fibre che si riferiscono alla stessa porzione di campo visivo. Di base, a ciascun tratto ottico arrivano
informazioni che fanno riferimento alla stessa zona di campo visivo.
Quasi la totalità del campo visivo ha una visione binoculare, ma ci sono porzioni più estreme e laterali del
campo visivo di destra e sinistra che hanno una proiezione monoculare, cioè arriva in modo privilegiato alla
porzione nasale dell'occhio ipsilaterale. Generalmente quest'informazione monoculare in assenza dell'attività
dell'altro occhio ci fa sperimentare il fenomeno di punto cieco. Le fibre che escono da ciascun chiasma ottico
sono detti nervi ottici.
La successiva stazione è talamica (quindi siamo a livello sottocorticale) ed è chiamata corpo genicolato
laterale. A questo livello arrivano fibre che permettono di costruire la stessa porzione di campo visivo ed è
una ricostruzione che viene fatta in modo controlaterale. Se avessimo una lesione a livello del nervo ottico,
avremo un caso di cecità, proprio perchè sono lese le fibre iniziali. In letteratura sono descritti molti casi di
lesioni al chiasma ottico, che hanno conseguenze diverse in base alle porzioni specifiche che vengono colpite
nel chiasma ottico. Generalmente i danni dovuti a lesione di chiasma ottico vengono chiamati emianopsia
perchè hanno sempre come conseguenza primaria una perdita della visione di metà del campo visivo. Queste
vengono ulteriormente specificate con i termini di temporale o nasale a seconda se riguardano fibre della
porzione temporale o nasale della retina. Parliamo di emianopsia omonime o eteronome a seconda che
riguardino la stessa porzione di campo visivo o porzioni diverse, in particolare quelle omonime sono legate a
regioni di tratti ottici perchè abbiamo visto che nel tratto ottico le fibre che arrivano sono quelle che già
danno informazione dalla stessa porzione di campo visivo. Ci possono essere emianopsie anche in seguito a
lesioni della stazione talamica e stazioni sottocorticali successive. Ma se la lesione coinvolge entrambi gli
emisferi si ritorna a parlare di cecità.
Dal talamo, attraverso la radiazione ottica, si arriva alla corteccia visiva. Gli assoni terminamo nel quarto
strato della corteccia. La corteccia visiva primaria è classicamente definita come V1 o come area 17 di
Brockman. Si trova essenzialmente nel polo occipitale del nostro emisfero. Tuttavia, una mole indefinita di
studi ha dimostrato che le aree visive sono molto più estese della corteccia visiva primaria; si contano
addirittura 36 aree. Attualmente è noto che l'elaborazione dello stimolo visivo coinvolge l'intera corteccia
visiva nel polo occipitale, ma anche varie porzioni del polo temporale e parietale di entrambi gli emisferi. È
detta corteccia striata la V1 perchè gli assoni che terminano nel quarto strato formano la stria di Gennarini,
con morfologia striata. Tutta la via viene detta retino-stiata proprio perchè dalla retina le informazioni
arrivano ai neuroni corticali della corteccia visiva primaria. Questa non è l'unica esistente per l'analisi degli
stimoli visivi. Le altre vie partono dai tratti ottici. Il 90% delle fibre di un tratto ottico converge nella via
retino-striata, ma ci sono proiezioni anche ad altre tre strutture: il pretetto (regione nel mesencefalo), il
collicolo superiore e il nucleo soprachiasmatico dell'ipotalamo. L'ultima serve per regolare i ritmi circadiani,
quella pretettale serve per controllare il riflesso di aumento o diminuzione del diametro della pupilla rispetto
alle condizioni di illuminazione e la via mediata dal collicolo superiore ha una funzione di orientamento
verso uno stimolo visivo (serve cioè per dirigere il movimento oculare verso un oggetto in risposta a stimoli
visivi).
La via pretettale è responsabile del riflesso pupillare e si dice che è un riflesso consensuale, che coinvolge
cioè i due occhi nella stessa misura. Se il riflesso non fosse consensuale significherebbe che c'è una patologia
di questo sistema. È un'area del mesencefalo collegata sia al sistema parasimpatico che al sistema
ortosimpatico; questi collegamenti formano una sorta di circuito perchè dalla retina, tramite il tratto ottico,
l'informazione arriva all'area pretettale, si ha l'attivazione del sistema parasimpatico e tramite il terzo nervo
cranico vengono stimolate altre cellule situate a livello del ganglio cigliare. Queste coordinano il movimento
di contrazione e dilatazione della muscolatura dell'iride; in particolare, in caso di attivazione del
parasimpatico, si ha attivazione dei muscoli che restringono l'iride causando diminuzione del diametro della
pupilla in condizioni di luce molto intensa (miosi). Il riflesso opposto, che si ha in condizioni di luce debole,
è legato al fatto che da quest'area pretettale le informazioni arrivano all'ortosimpatico e a loro volta
riconvergono sulla muscolatura dell'iride causando dilatazione del diametro pupillare (midriasi). Le cellule
ganglionari a capo di questa via sono particolari, perchè sono una sottocategoria di cellule che riescono a
rispondere, quindi aumentare la loro frequenza di scarica, in risposta a variazioni di intensità luminosa e non
in risposta a contrasto di luminosità (a cui rispondono il 90% di cellule ganglionari).
Il collicolo è situato a livello del mesencefalo. È una stazione importante perchè qui convergono diverse
modalità sensoriali. È formata da strati diversi, in totale 7, ma di base all'interno di questi strati sono
contenute tre mappe sensoriali principali: mappa per la visione, situata negli strati superiore, mappa per il
tatto e mappa per l'udito nella porzione inferiore del collicolo. Tutte queste mappe sono connesse con quella
motoria e questo spiega come facciamo a organizzare le reazioni agli stimoli.
Anche il nucleo genicolato del talamo
laterale è suddiviso in 6 diversi strati.
Ci sono due caratteristiche importanti:
le afferenze di entrambi gli occhi sono
segregate, cioè ci sono strati che
ricevono solo da un occhio e altri che
ricevono dall'altro, ma mai all'interno
di uno stesso strato convergono
afferenze di entrambi gli occhi, anche
se di fatto tutto il corpo genicolato
laterale riceve l'informazione della stessa porzione di campo
visivo. L'altra suddivisione è quella in strati M e P. Ieri si sono
viste le cellule magno e parvocellulari. Gli stati M (primi due della
stazione talamica) ricevono le afferenze dalle gangliari di tipo M.
Le cellule di tipo M codificano per il movimento. Gli altri strati P
sono quelli che vanno dal 3 al 6 e ricevono dalle cellule gangliari
di tipo P, deputate all'analisi della forma e del colore. Questa
precisa e dettagliata organizzazione a livello della stazione
talamica fa sì che già a questo livello sottocorticale ci siano delle
mappe, rappresentazioni retinotopiche. Esse sono disposte a
registro, cioè ciascun strato presenta una mappa con dimensioni
sproporzionate com'è caratteristica generale delle mappe sensoriali.
In questo caso le porzioni più rappresentate sono quelle che
ricevono le informazioni dalle zone foveali, ad esempio quelle
hanno maggiore densità e da campi recettivi più piccoli avranno
dedicata una porzione di mappa maggiore.
Al quarto strato arrivano sempre informazioni da un solo occhio, quindi l'informazione arriva segregata, così
come nel talamo. Gli altri strati, sovrastanti o sottostanti al IV strato, codificano informazioni da entrambi gli
occhi, anche se all'interno di ciascuna regione topografica della corteccia visiva ci sono neuroni che
risponderanno in modo privilegiato a un occhio rispetto ad un altro.
La mappa è presente sia a livello del talamo che a livello della
corteccia visiva primaria. Parliamo di mappa retinotopica, che
rappresenta le diverse regioni della retina che codificano per
diverse zone del campo recettivo. Le porzioni codificate dalle
regioni foveali sono quelle che occupano maggiori spazi sulle due
cortecce visive. La corteccia visiva primaria è situata nella
porzione sovra e sottostante della scissura calcarica, solco che
separa le due porzioni di corteccia. È una mappa sproporzionata,
ma proporzionale alla densità dei recettori e di cellule ganglionari
presenti nelle diverse regioni della retina. La fovea è
rappresentata su 50% della corteccia, proprio perchè la nostra
visione dipende in gran parte dall'informazione codificata dalla
fovea.
Il corpo genilato laterale contiene anche informazioni che vanno
dalla corteccia ai sistemi discententi, al contrario. Infatti gran
parte delle fibre presenti a livello della stazione talamica del
corpo genicolato laterale proviene in realtà dalla corteccia e
soltanto una parte minima sono le fibre che da questa stazione
alla corteccia. La funzione di questa fibre è quindi quella di inbire
il processo corticale di una serie di stimoli visivi presenti nel nostro campo ma che non elaboriamo a livello
di consapevolezza cosciente.
Vediamo ora quali sono le cellule della corteccia e che campi recettivi hanno. I campi recettivi sono costituiti
da zone circolari con zone eccitatorie e inibitorie disposte al centro e in periferie. Questo è stato
precedentemente visto per le cellule ganglionari e neuronali ed è stato dimostrato essere così anche per le
cellule talamiche, della stazione sottocorticale. Il problema è che quando per la prima volta gli scienziati
hanno iniziato a registrare con i microelettrodi l'attività dei neuroni della corteccia, ad esempio degli strati
sovra e sottostanti al IV strato, hanno visto che mettendo la scimmia di fronte allo schermo nero col puntino
bianco che si spostava in varie direzioni, nessuno di questi neuroni rispondeva e di fatto si comportavano in
modo diverso rispetto alle altre cellule di elaborazione dello stimolo. Un giorno succede che si va ad
incastrare la diapositiva che doveva mandare lo spot e l'immagine che si proietta sullo schermo non è quella
di un puntino ma di una linea. Le cellule iniziano a rispondere. La scoperta risulta che lo stimolo migliore a
livello corticale non è un punto, ma dev'essere allungato, con un orientamento particolare, come una linea, e
che abbia una posizione precisa all'interno dello spazio. A questo punto sono state studiate le diverse
categorie cellulari presenti in corteccia. Le categorie principali sono due: cellule semplici e cellule
complesse. Le cellule semplici hanno campo recettivo dato
quindi dalla somma di campi
recettivi centro on e centro off,
ma è un campo recettivo attivato
da stimoli che hanno aspetto
allungato
e
orientamento
caratteristico. Quando la barra
viene posta orizzontalmente, le
cellule non rispondono, mentre a
seconda che la barra vada a
colpire più o meno, in base al suo orientamento, le porzioni eccitatorie del campo
recettivo, allora ci sarà aumento della frequenza di scarica, con apice massimo
nella circostanza in cui la barra di luce va a cadere esattamente nella porzione
eccitatoria del campo recettivo della cellula. L'informazione sul contrasto di
luminosità nel campo recettivo, generata dalle cellule ganglionari e talamiche, è
mantenuta dalle cellule semplici ed incorporata in un'informazione più complessa
sulla forma e sull'orientamento dell'oggetto. Da questo si vede che aumentato la
gerarchia corticale, aumenta anche la complessità.
Nelle cellule complesse non ci sono più zone inibitorie ed eccitatorie, centri on e off. Si pensa che la
costruzione del campo recettivo sia data dalla somma di campi recettivi di cellule semplici. Gli stimoli
adeguati per queste cellule sono di nuovo linee dotate di orientamenti particolari. La linea posta
orizzontalmente non attiva queste cellule. Le linee che cambiano gradualmente
orientamento e poi vengono disposte parallelamente aumentano gradualmente la
loro frequenza di scarica, ma anche quando lo stimolo è posto nelle porzioni più
laterali, c'è la massima risposta della cellula. Queste dunque segnalano il concetto
astratto di orientamento, senza più un particolare riferimento alla posizione. Alcune
rispondono meglio a barre luminose orientate che si muovono attraverso il campo
recettivo. Sembra persa, da un lato, l'informazione relativa alla posizione spaziale
dello stimolo, ma di fatto questo è un esempio di analisi mirata a localizzare
l'oggetto in senso lato, non in modo preciso. Quello che conta è perciò il
riconoscimento dello stimolo e non tanto più la sua esatta posizione nello spazio.
A mano a mano che si procede nella gerarchia corticale, ci sono stazioni che sono
responsabili di informazioni con caratteristiche sempre diverse e complesse per
poter riconoscere e identificare lo stimolo.
Tutte queste cellule danno informazioni sui contorni dell'oggetto, permettendo di
ricostruire le sue forme.
Due ulteriori concetti importanti nel sistema visivo sono quelli di colonne di
dominanza oculare e di colonne di orientamento. Tutti gli studi sulla corteccia
cerebrale hanno contribuito a comprendere, da un lato, qual è l'attività funzionale
delle cellule che la compongono e, dall'altro, com'è organizzata strutturalmente. Si
è scoperto che ci sono settori di corteccia chiamate colonne, dominate in modo specifico dalle afferenze
provenienti da un occhio. I neuroni sono segregati nel senso che ricevano informazioni segregate da un
occhio e non dall'altro, come abbiamo detto, a livello del IV strato, mentre negli altri no. Ci sono colonne
però in cui prevale l'informazione proiettata da un occhio. La scoperta di queste colonne è stata fatta
registrando i neuroni presenti in ciascuna colonna e si è visto come si tratta di neuroni che rispondono
preferenzialmente a un occhio rispetto a un altro.
Nelle colonne di orientamento i neuroni rispondono in modo privilegiato a orientamenti specifici degli
stimoli.
Vi è un'interazione ortogonale a livello della corteccia tra colonne di dominanza e colonne di orientamento,
tant'è che se immaginiamo di guardare un pezzo di corteccia possiamo vedere che ci sono dei blocchi
identificabili chiamate ipercolonne. Ogni ipercolonna rappresenta un pezzo di corteccia che codifica per una
ragione di retina precisa e avrà un orientamento e dominanza oculare per un determinato occhio.
L'ipercolonna deriva dall'insieme di questi due sistemi e quindi ci saranno colonne che risponderanno in
modo privilegiato a un occhio rispetto che a un altro e a stimoli con orientamento preciso rispetto che ad
altri.
Mescolati a questo sistema di colonne ci sono altre colonne dette blob. Queste forme inserite all'interno sono
delle ulteriori colonne responsabili essenziali dell'analisi del colore. Si dice che ogni ipercolonna avrà delle
zone blob e delle zone interblob. Le prime sono quelle in cui sono inseriti i blob e le seconde sono quelle in
cui non sono presenti blob, quindi sono porzioni di ipercolonna responsabili dell'analisi della forma e del
movimento.
Ricapitolando: le cellule ganglionari, retiniche e talamiche rispondono a contrasti di luminosità, maggiori ai
bordi. Le cellule della corteccia V1 elaborano quest'informazione sul contrasto, ma aggiungendo
l'orientamento e i bordi sono ancora l'informazione più significativa attraverso il quale andiamo a costruire le
forme dell'oggetto. I neuroni a livello corticale sono specializzati nel riconoscimento di forme specializzate
come quelle dei volti, tramite un'analisi che avviene in modo gerarchico dagli stadi retinici fino agli stadi
corticali.
15. Sistema visivo 3
La percezione dei colori è una caratteristica del nostro sistema visivo. Ci sono animali che non vedono i
colori, ma solo in bianco e nero. Pensando a sistemi visivi che non sono in grado di percepire il colore, si può
dire che le differenze fra un oggetto e l’altro vengono codificate come differenze di intensità luminosa e
quindi differenze di quantità di luce che viene riflessa da un oggetto e non da un altro, parlando sempre in
termini assoluti di intensità.
Con il colore subentra un altro elemento che è quello delle lunghezze d’onda. Percepiamo due oggetti di
colore diverso perché ciascuno di essi riflette determinate lunghezze d’onda e non altre. Riuscire a vedere a
colori, quindi riuscire a discriminare quali sono le lunghezze d’onda riflesse da un oggetto e non da un altro
favorisce la nostra percezione di contrasto tra gli oggetti. L’informazione sul contrasto è una delle più salienti
per quanto riguarda il sistema visivo proprio perché abbiamo anatomicamente, strutturalmente delle cellule
che a diversi livelli, dalla retina fino alla corteccia rispondono ai contrasti. Quindi, un’informazione
aggiuntiva che aumenta l’importanza del contrasto come quella del colore porta all’apice massimo le
potenzialità del nostro sistema visivo.
In che modo noi riusciamo a vedere a colori? Anatomicamente, strutturalmente quali sono i correlati di
questa visione cromatica?
Uno dei primi esperimenti, che ha voluto indagare quali sono i meccanismi nella nostra percezione dei
colori, è stato un esperimento fatto da Newton.
L’esperimento classico è stato quello di proiettare un fascio di luce bianca attraverso un prisma di vetro e
sperimentalmente si è osservato che la luce bianca all’uscita dal prisma non è più bianca ma dà tutta la
gamma dei colori proprio perché si rifrange sul prisma e all’uscita le onde di diversa lunghezza d’onda
appaiono di colore diverso. Questo primo esperimento faceva pensare che la percezione del colore fosse
proprio legata alla lunghezza d’onda che l’oggetto è in grado di riflettere ogni volta. Tuttavia, pensando alla
nostra esperienza comune non è assolutamente così, perché altrimenti ogni volta che cambia la fonte di
illuminazione, che è una delle caratteristiche che fa variare anche la lunghezza d’onda riflessa da un oggetto,
allora il colore dell’oggetto dovrebbe variare. Viceversa, sappiamo che ogni volta che cambiano le condizioni
di illuminazione il colore resta sempre costante. Il colore di un limone è sempre giallo sia sotto il sole sia
sotto la luce elettrica, quindi non è soltanto questo che può spiegare come mai riusciamo a vedere i colori.
Un altro esempio facile da realizzare è mettere lo stesso oggetto, ad esempio, un cubo con tanti pezzettini
colorati, sotto sorgenti luminose che hanno filtri diversi per la luce gialla, bianca o blu. Considerando il
colore dei quadratini che compongono la faccia superiore del cubo, noi li vediamo di colore costante
nonostante cambi la sorgente di illuminazione. I quadratini rossi sotto la luce gialla continuano ad essere visti
come quadratini rossi e così anche sotto la luce bianca o sotto la luce blu. Di fatto il nostro sistema visivo si
fonda su una proprietà importantissima e cioè la proprietà della costanza dei colori. Questa proprietà spiega
anche biologicamente il significato stesso della visione cromatica perché, se non avessimo questo principio
organizzatore e quindi la nostra percezione dei colori variasse di volta in volta in base alla sorgente luminosa,
non avrebbe neanche più senso vedere a colori, perché il colore sarebbe una cosa del tutto opinabile, che
cambia ogni volta che cambia la sorgente.
Viceversa per il nostro sistema è importantissimo vedere a colori perché aumentiamo i contrasti e quindi
aumentiamo al massimo le potenzialità di elaborazione dei nostri neuroni, ma il colore deve essere un tratto
costante. La costanza dei colori a che cosa è legata?
Il motivo della costanza cromatica è legato al fatto che facciamo dei confronti tra oggetti vicini, o tra oggetto
e superficie, oggetto e sfondo.
Il confronto è un confronto di riflettanze. Le riflettanze sono le quantità di onde di
diverso colore che un oggetto riesce ad emettere. La riflettanza è proprio
un’espressione quantitativa dell’emissione delle lunghezze d’onda di ogni oggetto.
Ogni oggetto ha una riflettanza che lo caratterizza, cioè riesce a riflettere un
quantitativo fisso di onde elettromagnetiche, ed è il confronto tra le riflettanze di
due oggetti diversi o di un oggetto con la sua superficie sfondo che ci permette di
mantenere costanti i colori.
Due esperimenti: il colore di un oggetto non viene giudicato solo analizzando le
lunghezze d’onda che riflette, ma paragonando le quantità di raggi di lunghezze
d’onda diverse riflesse dall'oggetto con quelle riflesse dallo sfondo (o da oggetti
circostanti).
Il colore diventa in questo modo una caratteristica qualificante l’oggetto ma anche
il colore è una percezione che abbiamo da un meccanismo di confronto che opera il
nostro sistema nervoso. Questa teoria è detta Teoria “retinex” di Land perché Land è stato il pioniere di
queste ricerche (oltre ad essere il padre della Polaroid). L’esperimento chiave di Land viene chiamato
esperimento di Land-Mondrian (fine anni ‘70) perché la configurazione stimolo che ha usato Land è simile a
un quadro di Mondrian. Nell’esperimento ci sono due quadri Mondrian o comunque due stimoli di tipo
Mondrian posti uno accanto all'altro e ci sono tre proiettori diversi. Questi tre proiettori hanno dei filtri, uno
per la luce rossa, uno per la luce verde e uno per la luce blu. Il tipo di luce che proiettano sullo stimolo, che è
il Mondrian, è diverso come colore iniziale. Questi tre proiettori sono dotati di reostati che riescono a far
variare anche l'intensità della luce proiettata sul Mondrian. Tre luci regolabili: quando si parla di lunghezza
d'onda corta si parla di luce che appartiene allo spettro del blu (quando si guarda tutto lo spettro delle
lunghezze d’onda della luce visibile, quelle che hanno lunghezze d'onda più corte sono quelle che noi
percepiamo come blu), le lunghezze d’onda intermedie sono quelle che percepiamo come verdi e quelle dalle
lunghezze d'onda più lunghe sono quelle che percepiamo come rosso o rosso profondo. Tre luci regolabili,
lunghezze d'onda corta, media e lunga, e vanno ad illuminare questa serie di cartoncini colorati. Ad esempio
l'autore si era soffermato su un cartoncino verde vicino a quello marrone ed era andato ad illuminare il
cartoncino verde in modo tale che andasse poi a riflettere la stessa lunghezza d'onda di quello marrone, ma
ha visto che la sua percezione era comunque di un colore verde costante e di un colore marrone costante. Di
fatto, anche se interveniamo sperimentalmente sulla fonte e sul tipo di onda che riesce poi ad emettere
l'oggetto, il colore non cambia. Quindi, grazie agli esperimenti di Mondrian si comprende che la costanza
del colore non è legata né alla sorgente di per sé, né alla quantità di lunghezze d'onda che vengono emesse
dall'oggetto ma dipende proprio dalla costanza delle riflettanze di oggetti diversi. Questo concetto l’ha tirato
fuori con due altri esperimenti in cui ci sono sempre due configurazioni Mondrian.
Nel primo esperimento Land ha usato tre proiettori
con un'intensità luminosa di 100 mV per ciascun
proiettore.
Nel grafico vediamo l'intensità di ciascuna delle tre
sorgenti, la percentuale di riflettanza (la quantità di
lunghezze d'onda che ciascuno dei due Mondrian
riesce a riflettere per quei tre determinati colori, per
quelle tre fonti specifiche di intensità luminosa).
Land ha registrato quello che succede nel primo e
nel secondo Mondrian con queste condizioni iniziali
di illuminazione. Si tratta di configurazioni
leggermente diverse quindi i colori all'interno di
ciascun Mondrian e gli oggetti erano mescolati in
modo diverso.
Poi ha modificato l'intensità delle luci provenienti
dai proiettori quindi 300 mW per il rosso, 400 per il
verde, 140 peril blu e ha registrato di nuovo le
riflettanze delle due superfici tra loro. Quello che ha
notato è che il primo Mondrian emette con intensità
90 nel rosso e il secondo Mondrian sempre nel rosso
con intensità 30: quindi ha fatto la seguente proporzione 90 sta a 30 come 270 sta 90 nel caso della seconda
configurazione. Di fatto ottiene sempre lo stesso tipo di rapporto tra le riflettanze delle superfici in questo
caso e le riflettanze delle superfici in quest'altro caso.
In questo modo Land è andato a vedere che anche se aumento l'intensità della sorgente su due configurazioni
stimolo che sono tra loro diverse come colori, di base percepirò sempre costanti i colori di queste
configurazioni perché i rapporti fra le riflettanze di queste due superfici restano costanti.
Quindi può cambiare la lunghezza d'onda che emette ogni superficie sulla base dell’intensità di sorgente
luminosa ma non cambierà mai il rapporto tra la sua riflettanza e quella della superficie accanto. Ed è questo
rapporto, questo confronto tra superfici diverse, oggetti vicini, tra una sola superficie e il suo sfondo che ci
permette di percepire i colori costanti.
Se facciamo invece riferimento alle due facce di un cubo, in realtà possiamo vedere come non abbiamo, in
questo caso, costanza di colore se consideriamo pezzettini del cubo che appartengono alle due facce, perché
in questo caso specifico il nostro confronto viene operato tra i quadratini di ogni superficie, quindi noi
riusciremo a percepire sempre quelli rossi come rossi, quelli verdi come verdi, quelli bianchi come bianchi,
perché stiamo operando un confronto di tutti gli oggetti, quindi delle riflettanze di tutti gli oggetti posti su
questa cosa configurazione della faccia superiore. Quando invece passiamo ad esaminare quest’altra faccia
del cubo noi andiamo a discriminare il colore di questi quadratini sulla base del confronto delle riflettanze di
questi quadratini.
In questo caso è come se avessimo due stimoli indipendenti che andiamo ad analizzare.
Viceversa nel caso del Mondrian visto prima le superfici erano adiacenti una all'altra e quindi io modificavo
l'intensità luminosa ma sempre su superfici adiacenti. In questo caso abbiamo una superficie che ha questa
esposizione diretta alla sorgente luminosa e un'altra superficie che invece è in una zona d'ombra, quindi il
nostro confronto di riflettanze viene sempre operato, ma viene operato all'interno degli stimoli di ciascuna
superficie e quindi noi percepiremo come diversi questo quadratino qui e questo quadratino qua. Sono
sempre pezzettini marroni, dello stesso colore, che però appaiono di colore diverso a seconda del contesto,
proprio perché il contesto su opera il confronto il SN, in un caso è dato da questi oggetti e nell'altro caso da
questi oggetti. Però il meccanismo resta fisso, ed è meccanismo per cui tutti i pezzetti di questa faccia, che
hanno lo stesso colore, li percepiamo sempre dello stesso colore.
Padri fondatori della neurobiologia della visione dei colori:
Le ricerche sono già cominciate 150
anni fa, prima che le moderne teorie
cellulari fossero note. Si tratta di studi
fatti
senza
l'interezza
delle
conoscenze che abbiamo adesso sul
sistema visivo.
La Teoria tricromatica di YoungHelmholtz è una teoria che si fonda
sull'esistenza di tre sensori separati,
indipendenti, uno responsabile della visione del rosso, l’altro del verde e l’altro del blu.
A quel tempo non si sapeva ancora nulla di sistema visivo, quindi Helmholtz parla di tre sensori che
dobbiamo avere nel nostro cervello, tre recettori diversi che ci permettono di vedere tutto l'insieme dei colori
perché riescono anche a fondersi l'uno con l'altro. Quindi, dall'attività anche simultanea e integrata di questi
tre sensori riusciamo a vedere tutto il repertorio dei colori.
Anche la Teoria dell'opponenza cromatica di Hering-Hurvich è stata proposta in un periodo in cui si sapeva
ancora molto poco del sistema visivo. Secondo questa teoria ci sono tre coppie di colori antagonisti e queste
coppie sono rosso e verde, blu e giallo, e il bianco e il nero. Ciascuna di queste coppie non si fonde mai con
l'altra.
La differenza sostanziale tra le due teorie è che per la prima riusciamo a vedere tutti i colori anche
dall'attività sincrona di questi recettori, comunque dalla fusione dei colori espressi dai diversi recettori,
mentre la seconda sostiene che ci sono delle coppie che si oppongono, ma le coppie di per sé non si fondono
mai perché sono antagoniste tra loro.
La nostra percezione del colore in questa situazione qua deriva dal contrasto che esiste tra queste
configurazioni principali.
Chi ha ragione e chi ha torto? Pensiamo al sistema visivo, al sistema P (presente dalla retina fino alla
corteccia), a come strutturalmente sono i nostri fotorecettori (coni e bastoncelli), come sono i pigmenti dei
fotorecettori, le oxine dei recettori. Pensiamo all’importanza del contrasto.
Elementi di una e dell'altra teoria si ricollegano a quanto visto sul sistema visivo.
La teoria tricromatica ha una sua evidenza
anatomica strutturale, proprio perché ci sono tre
popolazioni di coni che hanno tre opsine diverse e
queste opsine indicano la loro proprietà di
assorbimento privilegiato per alcune lunghezze
d'onda, e quindi di conseguenza anche di
riflessione privilegiata di determinate lunghezze
d'onda. Quindi, queste opsine sono sì importanti
per riuscire a percepire delle differenze in termini
di lunghezze d'onda, però non sono comunque di
per sé ancora sufficienti ad avere la percezione
cromatica, ma sono elementi strutturali che la
favoriscono sicuramente. In particolare abbiamo tre popolazioni di coni che sono sensibili all'assorbimento di
lunghezze d'onda differenti. Ci sono coni sensibili a lunghezze d'onda corte (quelli per i blu), coni per le
lunghezze d'onda intermedie (per il verde) e quelli per il rosso sono quelli che codificano per lunghezze
d'onda più lunghe.
I bastoncelli hanno solo un tipo di opsina che è la rodopsina e si colloca un po’ su questa gaussiana di
lunghezze d'onda, proprio perché per ciascuna popolazione di coni la distribuzione è una distribuzione
gaussiana dove c'è un picco preferenziale ma c'è tutta una banda di lunghezze d'onda che riescono ad attivare
in modo privilegiato quella popolazione. Quindi, i coni del rosso sono attivati per tutte le onde che rientrano
nell'ambito di questa gaussiana. Ci sono intersezioni importanti tra le curve delle tre popolazioni.
La teoria tricromatica si può appoggiare su questa evidenza strutturale. Un altro dato favorevole è il fatto che
i difetti genetici nelle opsine causano difetti proprio nella percezione dei colori e questo è un dato clinico a
sostegno del fatto che quando non funzionano le tre popolazioni di coni, quando anche solo una delle opsine
viene compromessa, anche la nostra percezione cromatica è compromessa in modo significativo. I daltonici
per esempio hanno un problema in una di queste opsine.
Una popolazione di coni di per sé non riesce a dire nulla di più sul colore, non riesce a discriminare, ma è
importante l'attività di tutte e tre le popolazioni. Questo è un dato che sembra il sostegno a favore della teoria
tricromatica in cui l'autore sosteneva proprio che ci sono tre sensori e tutti e tre sono responsabili della nostra
visione dei colori.
Quindi se esistesse soltanto un tipo di cono, quello del rosso, noi non riusciremmo a sapere se la nostra
percezione del rosso possa derivare da un’attivazione prolungata, dall’esposizione prolungata di molti fotoni
di una certa lunghezza d'onda oppure soltanto all'esposizione alla sua lunghezza d'onda privilegiata, preferita.
Nel senso che il fatto di avere più popolazioni di coni con opsine diverse che codificano in modo
privilegiato, quindi lunghezze d'onda differenti, ci permette anche di comprendere questo fenomeno di
percezione all'interno di gaussiane che hanno anche delle zone di intersezione. Quindi, si è compreso come la
lunghezza d'onda preferita sia quella che corrisponde un po' al picco di attivazione, al picco della gaussiana
di ciascuna popolazione, ma di base la percezione dei colori nell'ambito, ad esempio, di queste zone che sono
di corrispondenza, di match, tra le popolazioni del verde e quelle del rosso in realtà dipendono strettamente
dall'attività di entrambe le popolazioni dei coni e non di una sola.
La teoria tricromatica non era così sbagliata perché ci sono evidenze a sostegno dell'esistenza di questi tre
sensori diversi grazie ai quali vediamo tutti i colori possibili.
Come vediamo tutti i colori possibili? Li vediamo grazie al contrasto, cioè grazie ad un elemento della teoria
dell'opponenza cromatica.
Quindi anche la teoria di Hering ha delle evidenze forti e deriva proprio dal fatto che i colori, in queste zone
di overlapping, di intersezione tra le gaussiane non li percepiamo come colori miscelati, non percepiamo il
rosso-verdastro o il giallo bluastro. Diamo delle considerazioni qualitativamente differenti in base al colore
giallo chiaro, scuro, brillante ecc. ma, proprio il percepire come un oggetto riesca a riflettere lunghezze
d'onda che appartengono a zone di gaussiana in condivisione tra due popolazioni di coni, che dovrebbero
darci l'esperienza soggettiva di due colori insieme, in realtà non li percepiamo. Noi riusciamo sempre a
definire un colore solo per un oggetto non ne vediamo mai due in simultanea. Quindi, di base, operiamo
sempre una scelta, e questa scelta che ci permette di percepire il colore finale, la facciamo sulla base di
un'operazione, di un processamento fondato sul contrasto. In base alla teoria tricromatica ci sono tre coppie
antagoniste di colori che sarebbero rappresentate nella retina in tre canali differenti (tre canali nervosi
distinti).
Ci sarebbero delle cellule (rappresentate da questi spot
centrali) che avrebbero delle zone centrali, o comunque
delle zone in cui l'attivazione massima è legata a una
popolazione di coni e una zona periferica in cui è
massima l'attività di un'altra popolazione di coni.
Parliamo di cellule essenzialmente ganglionali, quindi di
cellule che ricevono l'informazione dai fotorecettori. Ci
sarebbero delle cellule ganglionali che vengono eccitate
massimamente quando ho uno stimolo rosso al centro e quando ho un'informazione sul verde in periferia ad
esempio. E quindi cellule ganglionali (a centro on e a centro off) in cui l'attivazione è legata però non
soltanto alla posizione dello stimolo ma anche al colore dello stimolo. Questa sarebbe un’ulteriore attività
delle cellule ganglionali, non di tutte, di quelle del sistema P. Ricordarsi la suddivisione in sistema M e in
sistema P: solo le parvocellulari saranno strutturate in questo modo, quindi saranno quelle che codificano
anche per l'informazione sul colore e lo fanno sempre sulla base di un contrasto.
Il contrasto, in questo esempio, è un contrasto dato da un segnale che ha un’informazione rossa nel centro e
un'informazione verde nella periferia o, in questo caso, un segnale che ha un'informazione blu nel centro e
un'informazione gialla in periferia, dove il giallo è legato proprio all'attività simultanea di queste due
popolazioni di coni, del rosso e del verde.
La Teoria dell’opponenza cromatica di Hering diceva che ci sono coppie antagoniste, una prima coppia è
quella rossa-verde e un'altra coppia è blu-giallo, dove il giallo viene in realtà codificato da queste due
popolazioni di coni insieme, perché non abbiamo dei coni specifici per il giallo, e il giallo rientra nell'ambito
di gaussiane che rispondono sia alle lunghezze d'onda codificate dai coni del verde che quelle codificate dai
coni rossi.
Queste cellule sono cellule ganglionali nella retina. Cellule di questo tipo ci sono anche a livello della
stazione successiva, del corpo genicolato laterale, quindi nel talamo. Quindi, cellule ganglionali retiniche
opponenti per il rosso e il verde, per il blu e il giallo e anche per il bianco e nero (il chiaro e lo scuro).
Non c'è soltanto un tipo di cellula ma almeno due tipi di cellule opponenti: le singole opponenti e le doppie
opponenti.
Una cellula opponente è una cellula che riesce a codificare per l'informazione del contrasto sul colore in zone
diverse del suo campo percettivo.
Le cellule opponenti, cellule sensibili al contrasto di colori, generalmente sono le cellule ganglionali nella
retina. Però possono essere opponenti anche le cellule talamiche del corpo genicolato laterale e le cellule
della corteccia nell'area blob di V1 o anche nelle aree di corteccia extra striata. La corteccia visiva primaria,
la corteccia striata, chiamata V1 è soltanto una delle cortecce visive, ma ci sono anche aree extra striate
importanti, ad esempio V4, che è una regione di cellule doppie opponenti, è una delle aree fondamentali per
la visione dei colori.
Queste cellule si trovano anche ai livelli superiori, anche a livello della corteccia, proprio perché il sistema P
si mantiene in tutti gli stadi. Sono le cellule che già dalla retina hanno questa proprietà di afferire al sistema
parvo cellulare, che è responsabile di elaborare l'informazione sul colore, queste proiettano a cellule del
sistema P a livello del talamo, e la stessa cosa è mantenuta in corteccia, dove le regioni deputate all'analisi
del colore sono le regioni blob (quindi il terzo sistema di colonne di un ipercolonna). Il filo di tutto il sistema
P poi converge sulle colonne blob della corteccia striata.
Quando si dice cellula opponente, senza la specifica di che tipo di cellula sia, occorre pensare in primo luogo
alle cellule ganglionali però bisogna sapere che le cellule opponenti ci sono a tutti i livelli.
Differenza tra le singole opponenti e le doppie opponenti
Le doppie opponenti hanno un campo recettivo doppio. La singola opponente ha una zona centrale di campo
recettivo, che è sensibile alla luce rossa, quindi se in questa zona si presenta uno stimolo che attiva la
popolazione di coni che codificano per il rosso, avrò un aumento della frequenza di scarica, però poi questa
stessa cellula è anche sensibile alla luce verde nella zona periferica, e quindi l'informazione del verde in
periferia è un'informazione che inibisce l'attività della stessa cellula. L'attività finale è un'attività che terrà
conto sia dell'eccitazione del centro che dell'inibizione della periferia, quindi del contrasto tra centro e
periferia.
Un'eccitazione al centro causata dal rosso produce un aumento di scarica di questa cellula, però un’inibizione
sul verde produce una diminuzione della frequenza di scarica. Quindi, se ci fosse un'opposizione forte, se lo
spot fosse idealmente un pallino rosso circondato da un fascio verde, in realtà non si ha attività perché le
zone eccitatorie e inibitorie si elidono. Però, sono cellule che codificano sempre per le differenze che
esistono dell'eccitazione rossa al centro e verde in periferia. Questo è solo un esempio di opposizione di
colori ma ci sono cellule opponenti per tutte le coppie antagoniste, quindi quelle che si eccitano quando c'è il
blu al centro e il giallo in periferia, quando c'è il giallo al centro e il blu in periferia, quando c'è il bianco e il
nero, quindi comunque le cellule singole e doppie opponenti rispondono al contrasto tra le diverse coppie
antagoniste.
Le doppie opponenti sono leggermente più complesse come struttura perché rispondono al contrasto che c'è
tra aree adiacenti, nel senso che il contrasto è sempre all'interno della stessa zona, rilevano il contrasto nella
zona centrale e nella zona periferica, ma sempre facendo una distinzione tra centro e periferia. Occorre
immaginare che anche quella porzione centrale di campo recettivo in realtà sia codificata come differenza di
contrasto tra la parte più centrale e la parte più periferica della zona centrale, e lo stesso in periferia,
percepiscono il contrasto tra la porzione più centrale e quella più periferica della stessa periferia. Il campo
recettivo è come se si sdoppiasse perché diventano due campi per il campo centrale e due campi per il campo
periferico, perché hanno zone eccitatorie e inibitorie sia al centro che in periferia.
Di fatto l'informazione sul contrasto è ulteriormente rafforzata perché riesce ad essere rilevata in ciascuna
delle parti, sia nelle porzioni centrali che nelle porzioni periferiche. Queste sono le cellule prevalentemente
localizzate nell'area V4 che è l'area di corteccia extrastriata che si occupa in modo privilegiato dell'esame
dell'informazione sul colore. Le doppie opponenti sono proprio nell’area privilegiata per i colori, quindi
rafforziamo dal punto di vista anatomico le cellule specializzate per quella funzione. Mentre in V1, dove
comunque arrivano tutte le informazioni, anche quelle del sistema magno cellulare, ho delle cellule che
fanno operazioni di analisi di contrasto più grossolane o comunque non così precise.
In sintesi:
Due teorie storiche: teoria tricromatica e teoria dell'opponenza cromatica.
La teoria tricromatica ha un dato anatomico a suo favore oltre che un dato clinico: il dato anatomico è che
effettivamente ci sono tre popolazioni di coni con opsine differenti, spettri di emissioni e assorbimento
preferenziale per determinate lunghezze d'onda. A livello clinico difetti in una popolazione delle opsine
hanno effetti diretti sulla nostra visione dei colori. Quindi, la teoria tricromatica sembra essere supportata.
Nello stesso tempo sono presenti elementi della teoria dell'opponenza cromatica perché comunque il
contrasto tra coppie antagoniste di colori è l'informazione più saliente per la nostra codifica della percezione
visiva, proprio perché esistono cellule ganglionali del sistema P parvocellulare che già si presentano come
cellule opponenti, che quindi sono più stimolate quando ho un'informazione di centro e periferia, più
sensibili al contrasto tra coppie di colori antagonisti. Queste cellule opponenti continuano ad essere presenti
negli stadi successivi di elaborazione visiva, le troviamo nel corpo genicolato laterale del talamo, le
troviamo nella corteccia visiva sia primaria V1 che extra striata (le aree visive secondarie). In particolare a
questi livelli la complessità aumenta ulteriormente perché abbiamo anche cellule doppie opponenti che
hanno questa informazione sul contrasto in tutta la porzione del campo recettivo, nel senso che
discriminano il contrasto sia nel centro che nella periferia del campo recettivo, ma questo contrasto è
sempre fondato sulle coppie di colori antagoniste fra loro, quindi su ciò che era stato teorizzato nella teoria
dell'opponenza cromatica.
Anche molto prima delle teorie della neurobiologia sulla visione c'era chi è arrivato sperimentalmente a
comprendere l'importanza del contrasto tra coppie di colori opponenti.
Anche noi sperimentalmente possiamo provare delle sensazioni di colori fondate sull'analisi del contrasto:
Se ci si concentra su uno dei quattro stimoli presentati e poi si fissa lo stimolo centrale in modo prolungato,
la percezione del colore dei quattro quadratini risulta essere modificata dai colori visti in precedenza.
Una configurazione stimolo con tanti ritagli sotto sorgenti luminose di tipo differente, lo sfondo globale ci dà
informazione sul contrasto perché un ambiente completamente giallo o un ambiente completamente blu ci fa
virare il colore di un oggetto verso il colore complementare che è dato dallo sfondo. In questo caso la
percezione errata è basata sul contrasto cromatico simultaneo.
Percezione della distanza
Quando voglio avere un'informazione sulla distanza di un oggetto da me, utilizzo meccanismi diversi a
seconda del tipo di distanza che esiste rispetto a un punto di fissazione. Ho un punto di fissazione (b) che in
questo caso è frontale a me, questo punto viene codificato in due porzioni di retina dette omonime, perché
sono proprio punti corrispondenti delle nelle due retine.
Le informazioni sulla distanza degli oggetti dal punto di fissazione, e quindi anche l'informazione di
profondità e di tridimensionalità, che si basa sul concetto di distanza si ottiene in un altro modo cioè si
ottiene grazie alla disparità binoculare. Il fenomeno di disparità binoculare viene elaborato fino a livello
corticale, quindi si tratta di stimoli che vengono proiettati, in realtà, su regioni diverse delle due retine ed è
proprio la distanza rispetto al punto di fissazione che viene interpretata dal mio sistema nervoso come
profondità.
Ci sono proprio neuroni corticali che si attivano solo in risposta a queste disparità retiniche lontane o vicine.
Quindi, nella corteccia visiva striata ed extra striata, in particolare, avrò una popolazione di neuroni che si
attiva quando voglio considerare i punti che sono o lontani o vicini rispetto al mio punto di fissazione, e mi
fa percepire questi punti come più lontani o più vicini.
Il meccanismo è proprio considerare l'immagine che arriva in modo diverso già nelle due retine. Tuttavia,
questo processo di codifica della distanza dal punto di fissazione in realtà non vale sempre, vale soltanto per
distanze limite, fino a 10 m.
Oltre i 10 m si attiva la cosiddetta la visione ciclopica nel senso che la mia percezione visione della distanza,
della profondità, sarà basata su considerazioni di tipo diverso, che sono chiamate indizi pittorici di
profondità.
Di base accade che la mia corteccia riesce già a elaborare l'informazione sulla distanza, e quindi anche sulla
profondità degli oggetti, se gli stimoli sono entro i 10 m, facendo proprio un calcolo che si basa sulla
disparità binoculare, quindi su zone diverse di retina in cui arrivano le immagini rispetto al punto di
fissazione. C'è proprio un calcolo attivo della distanza dello stimolo rispetto al punto di fissazione di quel
momento. Punto di fissazione o piano di fissazione perché si parla di tutto un livello su cui il soggetto
mantiene lo sguardo, e nello stesso tempo riesce a vedere sia ciò che è vicino, sia ciò che è lontano facendo
proprio questo calcolo della distanza, distanza che c'è già a livello della retina perché i punti hanno distanze
diverse già a livello della retina.
Viceversa, per distanze superiori ai 10 m, abbiamo gli indizi pittorici di profondità.
Principio di familiarità: dice che noi consideriamo gli oggetti a distanze superiori ai 10 m (con visione
ciclopica) più lontani o più vicini sulla base delle loro dimensioni. Quindi quelli più vicini sono quelli che ci
sembrano più grandi, quelli più piccoli sono quelli più lontani.
Interposizione: dice che se vedo un oggetto che è parzialmente coperto da un altro, percepirò quello che
viene coperto come quello più lontano. L'oggetto che lo copre è l'oggetto più vicino a me.
Prospettiva lineare: secondo cui quando vi sono due rette parallele io le percepisco come realtà convergenti a
mano a mano che sono lontane da me, dal mio punto di vista. Più due rette parallele sono lontane più tendo a
percepirle come convergenti.
Trasparenza: principio in base al quale le cose che vengono percepite attraverso un buco, una fessura
sembrano più lontane.
Effetto di parallasse: in base al quale percepiamo come più vicini gli oggetti che si muovono più
velocemente rispetto ad oggetti che si muovono più lentamente. Quelli più lenti sono percepiti come più
lontani.
Questi sono indizi che aiutano la nostra ricostruzione della distanza, della profondità e della tridimensionalità
di una scena visiva. Quindi, ci sono meccanismi diversi per distanze inferiori o maggiori rispetto al soggetto.
La corteccia visiva occupa di base un terzo dell'intera corteccia cerebrale e quindi non parliamo soltanto
della corteccia visiva primaria del lobo occipitale, ma di tutte le sottoaree che si distribuiscono nei settori
anche parietali e temporali.
Si tratta di sottoaree fondamentali per operare questa analisi parallela delle caratteristiche diverse dello
stimolo, quindi delle submodalità diverse della visione, la forma, colore e il movimento.
Quando abbiamo esaminato in dettaglio come funzionano le cellule semplici e complesse della V1, abbiamo
parlato essenzialmente di analisi della forma, che si basa sull'analisi dei contorni, dei bordi delle superfici
perché ci sono cellule in grado già in V1 di scomporre tutti gli elementi, quasi punto a punto, del contorno di
un oggetto e poi andarlo quasi a ricostruire, nel caso delle cellule complesse, nella sua struttura globale.
Tuttavia ci sono anche delle ulteriori aree extra striate, che nel caso della forma corrispondono all’area V3,
nel caso del colore a V4 e nel caso del movimento a V5, che sono responsabili dell’ analisi parallela delle
informazioni caratteristiche di ogni singola submodalità.
Quindi, l'analisi della forma, di per sé, è un esempio eccezionale di analisi gerarchica nel sistema visivo, però
l'analisi globale di uno stimolo visivo si fonda comunque su un’analisi parallela, che è parallelamente
condotta in regioni extra striate specializzate, ma l'informazione di base comunque converge primariamente
in V1.
Quindi, nell'area visiva primaria V1 arrivano comunque tutte le informazioni che abbiamo visto fino a questo
momento. C'è un'area V2 che è organizzata allo stesso modo di V1 e si trova nelle porzioni occipitali
limitrofe, che quindi ha lo stesso tipo di struttura di ipercolonne, quelle di dominanza oculare, quelle di
orientamento, le regioni blob e interblob. Poi però le connessioni da V1 e V2 vanno in modo privilegiato alle
diverse sottoaree a seconda del tipo di analisi che si deve portare avanti.
Le regioni blob andranno a proiettare essenzialmente in V4.
Le regioni interblob, che sono invece quelle porzioni delle ipercolonne specializzate nella forma e nel
movimento, proietteranno a V3 e V5.
Tutte queste sotto aree sono sia nei lobi parietali che nei lobi temporali.
Una evidenza dell'esistenza di queste sottoaree è legata anche alla clinica, nel senso che sono descritti
pazienti con lesioni selettive e disturbi specifici delle submodalità visive. Ad esempio si è visto come lesioni
a livello di V3 hanno conseguenze dirette sulla nostra percezione delle forme degli oggetti, pazienti con
lesioni in V4 hanno la cosiddetta acromatopsia come conseguenza diretta per cui riescono a vedere i colori
nelle proprietà base, le proprietà che arrivano a livello di codifica fino a V1, V2 ma perdendo l'attività di V4
si perde tantissimo della percezione dei colori.
Fino ad oggi è stata descritta in letteratura una sola paziente che presenta lesione specifica a livello V5 e
quindi sintomi chiamati akinetopsia, quindi non vede gli oggetti che si muovono. Questa è specifica per gli
stimoli visivi.
Un'altra prova dell'esistenza funzionale di sotto aree è data dagli esperimenti di inattivazione temporanea e
selettiva dei neuroni di queste aree. Si è visto che silenziando l'attività di queste regioni, di fatto, si produce il
deficit corrispondente alla funzione esercitata, quindi ci sono prove forti dell'esistenza di questi meccanismi
paralleli di analisi delle sub modalità visive.
Nota importante sull'esistenza di due tipi di connessioni principali di V1:
V1 e V2 raccolgono tutta questa informazione vista fino ad oggi, la trasmettono poi alle aree secondarie
extrastriate V3, V4 e V5, ma ci sono due circuiti privilegiati, che sono il circuito V1-V4 e il circuito V1-V5.
Questo esempio di configurazioni
stimolo serve per farvi prestare
attenzione a questi due cerchi centrali,
che ci appaiono percettivamente come
di dimensioni diverse, proprio perché li
confrontiamo. Li percepiamo sulla base
delle differenze con i cerchi che li
circondano. Di fatto però, se togliamo
queste differenze, vediamo come di
base non c'è differenza tra le dimensioni
di questi due cerchi. Quindi, se
dovessimo (con le dita della mano)
andare ad afferrare questo cerchio
centrale o quest'altro cerchio, si
potrebbe pensare che andremmo a
mettere le dita a distanze diverse per
prendere l'oggetto che ci sembra più
grande e quello che sembra più piccolo,
ma in realtà non è così, perché le nostre mani, le nostre dita, e quindi la nostra corteccia codifica già
l'informazione corretta sulla dimensione di quell'oggetto. E questo è possibile perché questi sistemi paralleli
sono simultaneamente operativi e ci sono 2 sistemi importantissimi che permettono di codificare una
rappresentazione diversa di quest'oggetto, una rappresentazione del cosa e una rappresentazione del dove;
quindi abbiamo già un'immagine di che cosa è questo oggetto, che ci fa sembrare un cerchio più grande e
l'altro più piccolo, ma c'è già anche un sistema attivo di informazioni e rappresentazioni che codifica sul
dove, sulla posizione e che mi fa aprire le dita della mano proprio sulla base della posizione, non tanto sulla
base della dimensione percepita.
V1 e V2 sono a livello di corteccia occipitale e poi V4 e V5.
Il sistema V1,V2,V4, è il sistema di connessione con la corteccia infero temporale ed è fondamentale per la
via del cosa, la via del riconoscimento degli oggetti.
Viceversa, le connessioni V1, V2 con V5 che è importante per l'analisi del movimento ma è anche
importante perché queste connessioni con la corteccia parietale posteriore sono fondamentali per l'analisi
della posizione spaziale dell'oggetto, quindi del dove.
Queste due vie sono contemporaneamente attive e si correggono anche una con l'altra, come nel caso
dell'oggetto che devo andare a prendere, ho una rappresentazione che mi dà informazioni sul cosa ma ho
anche un'informazione privilegiata sulla posizione che coordina il mio movimento.
V5 è importante sui movimenti, di fatto i neuroni di V5 codificano per dei vettori che indicano il movimento,
la direzione del movimento dell'oggetto, quindi in questo caso dello stimolo visivo, e quindi popolazioni che
esprimono dei vettori di direzioni differenti.
Un punto ancora aperto nella ricerca è come facciamo in realtà di integrare tutto questo? Come facciamo ad
avere un'informazione dello stimolo che sia un'informazione in contemporanea efficace di tutte le sue
caratteristiche?
I processi neuro anatomici e fisiologici con cui, di fatto, si ha l'integrazione, sono ancora oggetto di studio
attuale della ricerca.
16. Sistema uditivo
Il suono è una compressione e rarefazione di
molecole d'aria proprio perchè il mezzo
preferenziale delle onde acustiche. Il suono è
dato dalla vibrazione di un mezzo elastico che si
propaga con un modo ondulatorio e rettilinio. C'è
una sorgente di emissione motoria, che vibra e le
vibrazioni si trasmettono nell'aria e causano una
progressiva compressione e rarefazione delle
molecole del mezzo, che si traduce in onde
pressorie. La velocità di propagazione sarà
dipendente dal mezzo. Sarà 13040 m/s quando il mezzo è l'acqua. Le due caratteristiche essenziali del suono
sono la frequenza e l'ampiezza. La frequenza indica il numero di cicli al secondo ed esprime il concetto di
altezza di un suono (acuto o basso) e l'unità di misura della frequenza è l'Hz. Le frequenze si distribuiscono
tra 20 e 20000 Hz. Un'altra caratteristica è l'ampiezza, correlata con l'intensità della stimolazione: ci dice se
un suono è forte o debole e l'unità di misura è dB. La maggior parte dei suoni è un insieme di onde diverse.
Abbiamo tre tipologie di suoni: suoni puri, che per poterli sentire devono essere riprodotti in modo artificiale
e hanno una sola frequenza caratteristica. La maggior parte dei suoni è composto da onde diverse, cioè la
sorgente emette per più frequenze caratteristiche. Se vogliamo rappresentare queste onde, si ha sempre una
frequenza fondamentale da cui derivano le armoniche. Ci sono i rumori, viceversa, che non sono
rappresentabili in onde perchè non hanno la periodicità che caratterizza l'onda.
Parliamo di misure sia fisiche che psicofisiche quando trattiamo i suoni. Le misure fisiche sono la frequenza
e l'intensità. Misurare l'intensità del suono significa misurare la variazioni di pressione. Farlo non è semplice
e nella pratica in ogni suono si fa un rapporto tra una pressione di riferimento (pressione minima necessaria
per ottenere una sensazione uditiva) con la pressione dello stimolo da misurare.
Le misure psicofisiche richiamo i concetti di soglia. Si tratta delle possibilità che si hanno sperimentalmente
di misurare la capacità di ogni soggetto di discriminare stimoli. La soglia di udibilità si distingue in soglia di
discriminazione in intensità e soglia di discriminazione in frequenza. La capacità di discriminare è migliore
nelle frequenze intermedie e peggiora quando si passa a frequenze più alte o più basse. Ci sono delle curve,
che si chiamano isofone, che hanno come unità di misura il Phon. Questa curva esprime l'intensità di ogni
data frequenza. Questa però non ci dice nulla sulla sensazione acustica soggettiva, ma ci dice soltanto che per
quella frequenza ci possono essere intensità diverse. Non si tratta di parametri psicofisici dunque. Per far
questo si usa come unità di misura il Sone, che è l'intensità soggettivamente percepita di un suono che ha
frequenza costante.
Iniziamo ad analizzare l'organo principale per la ricezione dei segnali
acustici. Le suddivisioni principale riguardano l'orecchio esterno, medio
e interno, che intervengono in modo funzionalmente diverso
nell'elaborazione dello stimolo acustico. Quando parliamo di orecchio
esterno si fa riferimento alla pinna, che delimita il padiglione auricolare,
continua col meato uditivo esterno, e termina con l'inizio dell'orecchio
medio che si ha con il timpano. La funzione principale è quella di
raccogliere l'energia sonora e convogliarla sul timpano.
La pressione si ottiene con il rapporto tra frequenza e superficie, quindi
in questo caso la possibilità di aumentare la pressione attraverso la
superficie è notevolmente sfruttata sia dalla conformazione della pinna
che dal canale del meato acustico. Un'altra funzione importante è quella
filtrare le frequenze, cioè sulla base della provenienza dello stimolo
sonoro, la conformazione dell'orecchio esterno facilita il processo di localizzazione. L'orecchio esterno
principalmente fa confluire l'onda acustica verso la membrana timpanica.
L'orecchio medio è costituito dalla membrana timpanica e da tre ossicini diversi, che sono martello, incudine
e staffa, che sono una specie di sistema di leve connesse una all'altra. La staffa poggia su una finestra ovale.
La funzione dell'orecchio medio è quella di riuscire a superare l'impedenza. Una volta che il suono passa
dall'aria ai liquidi interni della coclea, cambiando mezzo di propagazione, quindi serve un sistema che faccia
superare questa impedenza elevata dei liquidi. Serve, per farlo, un aumento della pressione. Tutto questo
viene svolto dalla superficie del timpano, che è molto grande rispetto al diametro della finestra ovale, e
grazie al sistema di leve dato da questi tre ossicini. A questo punto le vibrazioni entra nell'orecchio interno
tramite la finestra ovale. Essenzialmente parliamo di coclea, che è la porzione
ricettoriale vera e propria. Ha una forma carattestica a chiocciola. È larga 10 mm e
immaginando di allungarla lunghezza totale è di 35 mm. La composizione interna
della coclea è fatta a compartimenti, che contengono i liquidi. Si parla di scala
vestibolare (che contiene perilinfa), scala media (endolinfa) e scala timpanica
(perilinfa). Tra scala media e timpanica c'è una membrana basilare, che ha una
porzione superiore chiamata membrana tettoria. Questo sistema di membrane
rappresenta l'organo recettoriale del Corti che rappresenta il vero e proprio sistema
recettivo.
L'organo del Corti è importante perchè, oltre al fatto che qui avviene la trasduzione
del segnale, svolge un'analisi spettrale del suono, cioè lo scompone nelle sue frequenze in due stadi: prerecettoriale (membrana basilare) e recettoriale (cellule ciliate). Le cellule cilate interne o esterne hanno una
porzione ancorata alla membrana che non fuoriesce e un ciuffo di ciglia, disposte a pettine, che fuoriescono
dal liquido ed entrano in contatto con l'endolinfa della scala media. Questi recettori sono di II ordine, che
rappresenta un elemento cellulare indipendente e autonomo che riceve lo stimolo, in questo caso la
vibrazione dalla finestra ovale, e lo trasduce in segnale elettrico e le invia nel ganglio spinale.
Nella trasduzione del segnale la finestra rotonda, subito dopo la finestra ovale, svolge un ruolo altrettanto
importante. Quando arriva un onde, la vibrazione passa attraverso la catena di ossicini e la finestra ovale e
causa uno spostamento del liquido nella coclea. Questo fa sì che le due parti dell'organo del Corti, cioè le due
membrane, vibrino in direzioni opposte. Questo movimento fa sì che le ciglia delle cellule ciliate viene
continuamente stirato da un lato e dall'altro, quindi si ha uno stiramento meccanico causato dall'arrivo della
vibrazione. C'è dunque una differenza pressoria tra scala vestibolare e scala timpanica che viene tramessa
alla scala media che vibra. Da questa descrizione si può dedurre che si parla non solo di recettori di II ordine,
ma meccanocettori.
L'endolinfa in condizione di riposo è ricco di ioni potassio, quindi ha un
potenziale intorno a +80 mV. Il liquido intracellulare contenuto nel
compartimento della cellula recettrice ha un potenziale di membrana intorno a
-60 mV. Tra i due liquidi la differenza di potenziale è quindi molto alta. Ogni
ciglio è collegato al ciglio successivo tramite un filamento detto tip-link, che ha
la funzione di apertura di canali. Ci sono canali che si aprono meccanicamento
a seguito di stiramento del tip-link. In condizioni di attivazione, quando arriva
l'onda
pressoria,
che
causa
spostamento
meccanico
delle
membrane e lo stiramento del tiplink nella sua estensione massima.
Lo stiramento del filamento fa
aprire i canali situati sulla punta dello stereociglio, che
permettono l'ingresso del potassio K all'interno della cellula
recettrice. Il risultato finale è una depolarizzazione della cellula.
Questo è l'inizio del meccanismo di trasduzione.
Oltre a depolarizzazione, l'apertura dei canali causa anche apertura dei canali del calcio, con ingresso di
calcio nella cellula. Il risultato finale di questo processo è un'ulteriore depolarizzazione e rilascio di
neurotrasmettitore. Quando lo stimolo continua nel tempo un ulteriore fenomeno è quello dell'adattamento
allo stimolo: una componente proteica sullo stereociglio (miosina 1β) scivola lungo il citoscheletreo di actina
spostando verso il basso il punto di inserzione del tip-link sullo stereociglio e quindi la vibrazione non è
sufficiente a produrre lo stiramento necessario a produrre il canale. È un processo che spiega come mai non
recepiamo tutti i suoni.
I punti A, B, C e D rappresentano punti diversi dell'attivazione delle cellule
recettrici. Il punto A e D rappresentano le condizioni iniziali, di riposo, in cui la
differenza di potenziale è di -60 mV, mentre l'endolinfa è ricca di potassio.
L'onda pressoria fa sì che i liquidi all'interno della coclea si spostano, si
muovono le membrane, si tirano le ciglia in direzione dei filamenti più alti;
questo stiramento, grazie al tip-link, che connette un ciglio al successivo ed è
collegato al canale del potassio, si apre la porta di questi canali; il potassio entra nella cellula e causa una
prima depolarizzazione, che fa cambiare le differenze di potenziale e comporta altri due fenomeni: apertura
dei canali per il calcio voltaggio-dipendenti causando l'entrata di ioni calcio con un'ulteriore
depolarizzazione. Tutto questo è ciò che permette di raggiungere il potenziale di recettore, causando rilascio
di neurotrasmettitore. È un fenomeno che si risolve in tempi brevissimi. Ci sono stimoli sonori che non
attivano questo processo o causano un'adattamento.
La membrana basilare non vibra allo stesso modo per tutte le frequenze. Nelle alte frequenze vibra la base,
per le basse l'apice. Essa è più larga è flessibile all'estremità apicale e più stretta e rigida alla base. Ciò
facilita il fatto che ogni punto vibra di più in risposta ad una certa frequenza con conseguente
rappresentazione topografica delle frequenze (tonotopica). Ciò che è stato studiato da Helmotz. Fino ad
allora si riteneva che il processo di analisi acustica fosse passivo.
Anche le cellule recettrici rispondono in modo differente alla frequente: si è visto con esperimenti specifici
che cellule ciliate diverse rispondono in modo preferenziale a frequenze diverse. Avvicinando un microfono
alla coclea, si è visto che essa stessa emette suoni, scoprendo così che non è soltanto un recettore. Essa tessa
in modo attivo inizia a vibrare con suoni che hanno stessa frequenza di quelli ricevuti.
A bassi livelli di intensità sonora c'è anche quindi un processo attivo: cellule ciliate esterne ricevono
efferenze da complesso. La frequenza caratteristica è codificata dunque sia dalla membrana basilare sia dalle
cellule ciliate, in cui un sottogruppo vibra con la frequenza dello stimolo ricevuto, che aumentano l'ampiezza
e restringono l'estensione del picco di vibrazione.
Le ciliate interne sono circa 3500 e quelle esterne sono circa 12000, sia perchè le esterne sono disposte in tre
file, con un totale di 16000. I neuroni dei gangli sono molti di più. Le connessioni sono da un lato divergenti
e dall'altro convergenti, nel senso che ciascuna cellula ciliata interna va a contattare almeno 10 neuroni
diversi del ganglio di Corti. Viceversa, per le cellule ciliate esterne ci sono connessioni convergenti. Ciascun
neurone del ganglio di Corti riceve da più cellule esterne. Quando è massimo il grado di divergenza, sarà
aumentata molto la capacità di discriminazione. Quindi i recettori veri e propri, che discriminano molto, sono
le ciliate interne.
Vediamo le vie acustiche centrali. Innanzitutti abbiamo i neuroni
sensitivi primari nel ganglio del Corti; le loro terminazioni arrivano a
livello dei nuclei cocleari, che si trovano nel tronco. Da qui la via
diventa crociata a livello dell'oliva superiroe. Accanto a questi, ci sono
i nuclei vestibolari, che ricevono dal labirinto vestibolare. Abbiamo tre
stazioni principali a questo punto: nucleo del lemnisco laterale,
collicolo inferiore, nucleo genicolato mediale del talamo. Il collicolo
inferiore è quella stazione che facilita la reazione di orientamento degli
stimoli uditivi. Importante è la rappresentazione tonotopica, che codica
per le frequenze degli stimoli, che è presente in tutte le stazioni
centrali, dalla coclea alla corteccia uditiva primaria, a livello del lobo
temporale. La terminologia con cui la si indica è A1.
La localizzazione del suono è mediata da processi che riescono a
codificare per differenza di intensità e frequenza. Sotto i 3000 Hz
vengono decifrate le differenze di tempo tra un orecchio e l'altro. Sopra
i 3000 Hz la codifica si basa su differenze di intensità, in quanto .la
testa agisce da ostacolo, quindi il suono arriva più debole dall'altro
orecchio). Le differenze di tempo interneurali sono minime, anche di
10 nanosec. Ci sono neuroni (che hanno come stazione l'oliva superiore
mediale) che si attivano solo quando gli stimoli sono perfettamente
sincroni, mentre sono inattivi quando la differenza è anche di 10
nanosec. La differenza di intensità è codificata da fibre che passano
dall'oliva superiore laterale. Quando lo stimolo proviene dalla porzione
di sinistra arriva di più all'orecchio ipsilaterale: ci sono un gruppo di
neuroni che si eccita maggiormente aumentando la frequenza di
scarica. Il nucleo del lemnisco laterale è associata all'inizio del suono e
la sua durata. Il collicolo inferiore media l'orientamento ma non è stata
trovata una vera e propria mappa uditiva. Come negli altri sistemi,
anche qui l'informazione è distorta. Una caratteristica interessante è che la corteccia uditiva primaria non
corrisponde all'area di Wernicke. Questo indica che è un pezzo di corteccia che serve a decodificare i suoni
elementari che possono poi essere ulteriormente codificate. La rappresentazione finale è in ipercolonne: da
un lato ci sono le colonne che codificano le frequenze degli stimoli, dall'altro quelle che codificano la
possibilità di attivazione per stimoli che provengono da entrambe le orecchie o che provengono da un solo
orecchio. Ci sono colonne di cellule EE (neuroni eccitati da entrambe le orecchie) ed EI (neuroni eccitati da
un orecchio e inibiti dall'altro).
17. Olfatto e gusto
L'aria entra tramite la cavità nasale e incontra una serie di
neuroni detti neuroni olfattivi che sono bipolari, che si trovano
su tutto l'epitelio olfattivo, strato epiteliale che riveste la
superficie interna del naso. I neuroni sono bipolari, quindi
hanno un assone e un solo dendrite. L'assone va verso il bulbo
olfattivo, il dendrite è ancorato all'epitelio olfattivo. L'uomo
non ha un olfatto ben sviluppato; abbiamo 12 milioni, mentre
il cane 1 miliardo. I recettori olfattivi si rinnovano ogni 60
giorni, rigenerano continuamente il loro assone e anche i
neuroni del bulbo olfattivo sono continuamente riprodotti e
sostituiti nel corso della vita. I recettori terminano nelle ciglia
olfattive, porzione recettrice vera e propria in grado di
agganciare le molecole recettrici. Le ciglia sono avvolte da
uno strato muco, che ha funzione di protezione e di controllo
dell'ambiente ionico delle ciglia. L'esperienza comune è che
quando questo strato di muco si ispessisce la capacità olfattivo è notevolmente ridotta perchè le ciglia
riescono peggio a legarsi alle diverse sostante chimiche. La sostanza odorosa si lega al recettore specifico
rappresentata dalle cigle olfattive; da quest'interazione ligando-recettore si avvia il processo di trasduzione
del segnale, che avviene attraverso i soliti meccanismi ionotropi e metabotropi. Ciascun recettore olfattivo è
specializzato per avere siti di legame specifici per le diverse sostanze. Un altro elemento sono le chiangole di
Bowman che hanno la funzione di produrre il muco. L'assone di questi recettori converge nel bulbo olfattivo
attraverso il nervo olfattivo. Dal bulbo olfattivo le proiezioni dei neuroni andranno tramite il tratto olfattivo
direttamente a centri corticali. Si tratta di un sistema atipico perchè non ha la stazione talamica. Il talamo
interviene in un secondo tempo, ma il primo tipo di connessione che fuoriesce è diretto a centri corticali.
L'arrivo del recettore attiva la proteina G che attiva a sua volta
una serie di reazioni a cascata e infine l'apertura di ioni sodio.
Si ha una depolarizzazione e potenziale d'azione. I recettori
olfattivi stessi riescono a generare potenziali d'azione a
differenza di altri recettori sensoriali.
Centinaia di proteine recettrici diverse sono specifiche per uno
pochi odoranti. Ogni cellule esprime un piccolo set di tali
proteine ed è quindi sensibile solo a certe sostanze odorose.
Tanto più la sostanza è concentrata tanto più riuscirò ad attivare recettori che hanno proteine specifiche in
grado di riconoscere le sostante.
Le ricerche hanno cercato di classificare le sostanze odorosa in base alla struttura molecolare della sostanza.
Si è visto che la qualità stessa degli odori può cambiare con la concentrazione e che riconosciamo come
odori diversi anche due molecole che sono due isoforme della stessa molecola.
È stato studiato nel roditore la convergenza di assoni di neuroni olfattivi che hanno la stessa proteina
recettrice: 2500 assoni di recettori olfattivi convergono circa su circa 25 cellule mitrali. Anche a livello del
bulbo olfattivo, come abbiamo detto, c'è un continuo rinnovo cellulare. Le cellule periglomerulari e i granuli
si rigenenano tutta la vita a partire da cellule staminali: ciò avviene nella zona sottoventricolare. Qui c'è una
popolazione che matura e va incontro a tre diversi stadi di maturazione. Sono gli unici neuroni del nostro
cervello che possono continuamente ricrearsi.
Nei recettori olfattivi, attraverso il nervo olfattivo, si inviano le
informazioni al bulbo olfattivo. Da qui le fibre si raccolgono nel
tratto olfattivo e vanno a contatto diretto con la corteccia
periforme. Da qui ci sono ulteriori connessioni che vanno alla
corteccia orbitofrontale e strutture connesse con il talamo. La
corteccia orbitofrontale media la percezione cosciente degli
odori nell'uomo. Altre funzione importanti degli stimoli olfattivi
come quelle di dare risposte vegetative ed emotive, importanti
per i comportamenti riproduttivo, alimentare e aggressivo si
ottengono grazie alle connessioni con le stazioni ipotalamiche.
La formazione ippocampale è invece importante per le
componenti affettive dell'olfatto e memoria. Quello che non è
chiaro però è come è rappresentata la stimolazione olfattiva a livello corticale, come non è chiaro rispetto
all'udito una rappresentazione corticale dello spazio acustico esterno.
Le popolazioni di recettori per il gusto sono
ristrette e localizzati nelle pupille gustative. Qui
ci sono i bottoni gustativi che rappresentano gli
elementi laterali della papilla gustativa.
All'interno ci sono i recettori specializzati per
legarsi allo stimolo. I bottoni gustativi si trovano
sulla lingua, sul palato, sulla faringe, etc, e sono
responsabili
di
elaborare
informazioni
sull'identità, sulla concentrazione e sulla qualità
(sgradevole, gradevole, nocivo) delle sostanze
chimiche contenute nel cibo. Queste informazioni
preparano anche l'apparato gatrointestinale a
ricevere e digerire il cibo (attivando la
salivazione e la degustazione). L'informazione
relativa al dolce, ad esempio, viene elaborata a livello dei bottoni che si trovano sulla punta, mentre quella al
salito avviene grazie alle porzioni laterali e superiori della lingua, invece sull'acido porzioni laterali e
posteriori. La porzione posteriore è importante anche per l'amaro. Mentre le informazioni relative alla
temperatura e composizione del cibo (viscosità) sono trasdotte dai recettori somatosensoriali del nervo
trigemino e altri nervi cranici e trasmesse dalla lingua e dalla bocca al talamo e alle cortecce
somatosensoriali.
La soglia di concentrazione per sostanze non nocive è alta, nel senso che riusciamo ad avere una soglia
minima per riuscire a discriminare il gusto di una sostanza con una concentrazione alta di quella sostanza,
mentre per quelle parzialmente dannose è bassa. Le soglie di sensibilità sono diverse nelle diverse zone della
lingua. Le informazioni elaborate da ciascuna linea di recettori rimangono separati anche a livello corticale
(si parla di codice delal linea attivata). Esperimenti di imaging cerebrale dopo assunzione di determiante
sostanze con gusti diversi hanno permesso di vedere le sedi cerebrali leggermente diverse per ciascun tipo di
stimolo, dimostrazione del fatto che si ha un'elaborazione per vie parallele indipendenti.
Gli stimoli dati dalle sostanze chimiche dei cibi sono concentrate soprattutto a livello del poro gustativo, che
è il punto massimo dove convergono tutti gli stimoli che si devono legare alle molecole. Il meccanismo è tale
per cui a livello di ciascun recettore ci saranno proteine recettrici che si collocano nella porzione apicale
della cellula. Si distingue una parte basale e una apicale. È nella porzione apicale che si ha il legame della
sostanza con le proteine recettrici. Il legame può avvenire o attraverso l'apertura di canali ionici o ci può
essere l'innesco di reazioni metabotrope che hanno comunque come risultato finale la depolarizzazione della
cellula, che rilascia neurotrasmettitore e insorgenza di potenziale di recettore. A differenza di quelli olfattivi
non generano potenziale d'azione, ma di recettore.
Anche nel caso delle cellule contenute nei bottoni gustativi, si tratta di cellule che si riproducono
continuamente, addirittura ogni due settimane. Le cellule ancora non differenziate che si adranno a sostituire
con i recettori si trovano già a livello dei bottoni.
I circuiti principali sono l'ipotalamo e l'amigdala, utili per le
sensazioni di sazietà e appetito e aspetti affettivi come
gradevole/sgradevole. Le afferenze che arrivano dai diversi nervi
cranici convogliano sul bulbo e poi sui talamo e da qui insula e
corteccia frontale, ipotalamo e amigdala che sono strettamente
connessi col nucleo del tratto solitario. Quando si parla di
corteccia gustativa si fa riferimento a una porzione frontale,
sottoregione ristretta, che elabora essenzialmente informazioni
gustative.
Esiste il fenomeno della fame specifica, esaminato in laboratorio
o nell'esperienza quotidiana, quando si ha una fame per qualcosa
di specifico. Si ha quando si tengono gli animali con una dieta
deprivata per uno specifico alimento nutriente. Dopodichè si
lasciano gli animali liberi di scegliere e mangiare diversi alimenti
presentati. Si vede come essi scelgono l'alimento che
preferiscono. Questo indica che l'elaborazione del gusto influenza la nostra assunzione di cibo e acqua
regolando i sensi di sazietà.
Un'altra cosa scoperta è stata che sottoponendo gli animali a esperimenti di condizionamento. Si presente
all'animale un gusto e un suono provenire dalla stanza e subito dopo si ha la presentazione di una sostanza
nauseante. Questo primo esperimento ha registrato che questi animali, dopo una serie di training di questo
tipo gusto-sostanza nauseante-tono, essi avevano un'avversione per il gusto ma nessuna associazione con il
tono. Quando la sostanza nauesante è stata sostituita da una scossa elettrica si è visto che si aveva
un'associazione con il tono e nessuna associazione con il gusto. Questo indica che l'avversione appresa per
gli stimoli gustitativi (ma non altri tipi di stimolo) sono associati ad esperienze sgradevoli (nausea). Non c'è
invece condizionamento gustativo in associazione con esperienze di dolore/paura.
18. Sistema motorio
Il sistema motorio, oltre a regolare i movimenti del nostro corpo, ci permette di tenere una certa postura. C'è
inoltre una parte di sistema motorio detto autonomo che permette di controllare i movimenti che avvengono
grazie alla muscolatura liscia all'interno del nostro organismo. Una definizione di sistema motorio è quella di
un insieme di strutture cerebrale e vie nervose che controllano contrazione muscolare, al fine di regolare la
postura (posizione del corpo nello spazio) ed eseguire movimenti (volontari, riflessi, ritmici). I neuroni fanno
sinapsi con i muscoli, quindi anche i muscoli sono cellule eccitabili che grazie all'attivazione si contraggono
e permettono il movimento. Le aree cerebrali, in linea generale, che fanno parte del sistema motorio,
generano movimento attraverso le connessioni col midollo spinale, in quanto qui c'è la via d'uscita dei codici
neurali che andranno a stimolari i muscoli. Questo avviene grazie ai corpi cellulari dei neuroni
(motoneuroni) che si trovano nelle corna ventrali della sostanza grigia del midollo spinale. Con il loro assone
attivano i muscoli. L'assone esce, passando attraverso la radice ventrale, che si unirà alle fibre che passano
attraverso la radice dorsale in quello che viene chiamato nervo spinale. I nervi spinali sono allora sistema
nervoso periferico nel caso delle efferenze. Una fibra muscolare lunga va da un tendine, che permette al
muscolo di essere attaccatto all'osso, a un altro, riceve la sinapsi da un solo motoneurone. Un motoneurone fa
sinapsi con più fibre muscolari, perchè l'assone forma ramificazioni. Si tratta di una sinapsi che in questo
caso prende il nome di giunzione terminale, attraverso rilascio di neurotrasmettitore (acetilcolina).
L'acetilcolina è rilasciata quando il motoneurone scarica una serie di potenziali d'azione, che arrivano a
livello del terminale sinaptico (sinapsi chimica). Le vescicole si fondano con la membrana sinaptica e il
neurotrasmettitore viene rilasciato. I suoi recettori si legano con esso determinando un potenziale d'azione
anche nella fibre del muscolo, il quale le fa contrarre. La conseguenza del rilascio del neurotrasmettitore è
quindi contrazione delle fibre.
Si definisce unità motoria l'insieme del motoneurone e delle fibre muscolari da esso contattate e attivatate.
Parliamo di unità motoria perchè i muscoli possono avere un numero diverso di unità motorie e questo può
avere funzione diverse. Questo ci permette di graduare più o meno la forza che serve per contrarre un
muscolo. Ci sono muscoli la cui contrazione può essere graduata in maniera fine e lieve (come i muscoli
della dita, quelli extraoculari), altri in cui ciò non avviene e questo dipende dalle unità motorie. Per muscoli
che compiono movimento grossolani (come la coscia) si avranno un numero di unità motorie minore, cioè un
motoneurone innerva tante fibre. Per esempio: muscoli dalla gamba 1:2000. Muscoli extraoculari: 1:10.
Quando i motoneuroni sono attivi i muscoli si contraggono. Se il muscolo considerato è il bicipite, il braccio
tira verso l'alto avambraccio, flettendosi. Supponiamo ci sia una leva: quando il muscolo si contrae tira verso
di sè l'osso, facendo piegare l'articolazione. I muscoli quindi sono legati alle ossa grazie ai tendini.
L'estensione si ha quando il muscolo del tricipite (detto antagonista) si contrae. Quando questo si contrae,
tira l'avambraccio, che si distende. Flessione ed estensione avvengono a livello di tutte le articolazioni.
Quando ciò avviene si ha il movimento. Quando un'agonista si contrae, l'antagonista dev'essere rilassato.
I muscoli sinergici contribuiscono a generare lo stesso movimento.
L'effetto di una contrazione muscolare non è sempre
l'accorciamento di un muscolo (come nel caso del
braccio). Distinguiamo tra contrazione isotonica, in cui il
muscolo si accorcia e contrazione isometrica, in cui il
muscolo non cambia di lunghezza. Isotonica, dal greco,
forza costante e isometrica, lunghezza costante.
Il motoneurone che scaricava a una certa frequenza,
quando si ha contrazione isotonica, viene fatta aumentare
la frequenza di scarica, simboleggiata da barre più vicine tra di loro. Nella fase di mantenimento del
piegamento avvenuto la frequenza di scarica diminuisce. C'è dunque una scarica fasica e una scarica tonica,
cioè costante, per far mantenere la posizione. In questo caso cambia la posizione (il muscolo si accorcia) ma
la forza esercitata è costante durante l'accorciamento.
La contrazione isometrica rimane costante la lunghezza
del muscolo. Questo è possibile quando viene applicato
un peso. Supponiamo di applicare un peso su una mano.
Il braccio non si piega, ma il muscolo si contrae senza
accorciarsi. La forza non rimane costante, ma aumenta.
I motoneuroni scarica in maniera simile alle contrazioni
isotoniche, nonostante l'effetto finale sia diversi.
Partendo dalle aree motorie della corteccia cerebrale (area motoria primaria, area premotoria e area
supplementare motoria). Abbiamo una corteccia motoria destra che permette la contrazione dei muscoli a
sinistra e viceversa. Si passa poi al tronco dell'encefalo, al midollo spinale e generazione del movimento.
Questa è la via più semplice, via in cui si nota un'organizzazione gerarchica, cioè queste strutture sono parte
di una gerarchia. I punti alti della gerarchia si occupano di pianificare la strategia e i punti bassi si occupano
di eseguire il movimento. Nella corteccia cerebrale abbiamo gli aspetti strategini del movimento: programma
motorio (movimenti volontari), ma anche regolazione di stazioni inferiori. Il tronco encefalico è importante
per l'integrazione degli stimolo visivi, vestibolari e somatosensoriali. Si occupa del controllo della postura.
La stazione inferiore del midollo spinale, con i suoi motoneuroni, rappresenta la via d'uscita in cui tutti i
comandi motori vi convergono. Il midollo spinale ha anche un controllo motorio autonomo perchè ci
permette di generare riflessi.
C'è anche un'organizzazione in parallelo perchè non esiste una sola via ma molteplici, che controllano diversi
aspetti del movimento. Infatti la corteccia cerebrale può essere connessa al tronco dell'encefalo, ma ce n'è
un'altra che la collega direttamente al midollo spinale.
Altre strutture del sistema motorio non collegate direttamente come via efferente al midollo spinale non
determinano direttamente un movimento perchè non sono connesse al midollo spinale, ma sono comunque
importanti perchè collaborano alla pianificazione e generazione dei movimenti. Tra queste abbiamo i gangli
della base, nell'encefalo, sotto la corteccia. Questi inviano informazioni alla corteccia motoria e ricevono
informazioni dalle aree corticali. Il cervelletto invece serve a farci eseguire i movimenti in maniera
coordinata e a correggere il movimento se viene eseguito in maniera sbagliata. È inoltre sede della memoria
e dell'apprendimento. Le sue afferente sono ricevute dalla corteccia e le manda al tronco cerebrale. Può
riceverle anche dal midollo spinale.
Quando si impara un nuovo movimento, come uno sport o la bicicletta, non si è stabili perchè compiamo
movimenti sbagliati, che vengono corretti con la pratica. Di questo se ne occupa il cervelletto.
Le informazioni sensoriali, grazie ai recettori sensoriali, sono importanti perchè senza di essi non potremmo
pianificare ed eseguire correttamente nessun movimento. Nel caso di una malattie muoiono i neuroni dei
gangli delle radici dorsali; questi pazienti non ricevono più informazioni sensoriali, per esempio potrebbero
non percepire di avere qualcosa in mano. Quindi informani sullo spazio esterno, posizione del corpo, stato
dei muscoli (visive, uditive, somatosensoriali, propriocettive e vestibolari) sono essenziali per l'esercuzione
del movimento.
Ciò avviene tramite un controllo a retroazione (a feedback) o anticipatorio (feedforward). Nel primo caso le
informazioni sensoriali arrivano a un centro comparatore, come il cervelletto, e ci dicono come sta
avvenendo il movimento. Il centro comparato paragona come sta avvendo il movimento a come dovrebbe
essere (piano d'azione). Questo avviene, per esempio, mentre si cammina su una barca: il movimento non è
stabile e dobbiamo continuamente modificare il nostro movimento per rimanere in equilibrio. Il controllo a
retroazione avviene grazie ai livelli bassi della gerarchia come cervelletto, tronco, midollo spinale.
Se il movimento è ballistico, cioè veloce, non riusciamo a correggerlo nonostante ci sia l'informazione
sensoriale. Per esempio, quando voglio colpire una mosca con la mano e questa scappa, non faccio in tempo
a correggere il movimento per il mio scopo.
Il controllo anticipatorio del movimento da parte delle sensazioni ci permette di programmare il movimento
nella maniera più adeguata, come il movimenti di un giocatore di baseball che deve ricevere una palla e si
prepara adeguatamente al movimento. Questo controllo avviene grazie ai livelli alti della gerarchia, come
corteccia e gangli della base.
Diamo la definizione di due tipi di muscoli che ci permettono di eseguire movimento in quanto tutte le
strutture del sistema motorio si dividono in due parti a seconda del movimento che determinano. Abbiamo
muscoli che definiamo distali (più lontani dall'asse corporeo), come i muscoli delle dita, della mano o del
braccio, che ci permettono movimenti fini e precisi rispetto ai muscoli che definiamo assiali (più vicini
all'asse corporeo) o prossimali, deputati al controllo dell'equilibrio e della postura. Ci sono strutture del
sistema motorio che fanno parte dei sistemi mediali (che si occupano delle contrazioni di muscoli distali) o
dei sistemi laterali (che si occupano delle contrazione di muscoli assiali). Nelle corna di sinistra della parte
ventrale del midollo spinale ci sono motoneuroni in posizione più esterna alla linea mediana che controllano
i muscoli distali degli altri e sono responsabili dei movimenti volontari; fanno parte dei sistemi laterali. Nella
parte sinistra del midollo spinale ci sono altre due divisioni: nella parte ventrale ci sono neuroni che si
occupano di muscoli flessori e nella parte dorsale di muscoli estensori.
Non ci sono solo motoneuroni nelle corna del midollo spinale. Ci sono anche interneuroni il cui assone non
esce dalla regione in cui si trovano. Sia motoneuroni che interneuroni ricevano informazioni sensoriali e
informazioni dalla corteccia. Gli interneuroni fanno parte di sistemi mediali e laterali. Si trovano in una delle
due zone viste a livello del midollo spinale. Gli interneuroni in questo caso si chiamano propriospinali:
questi connettono più segmenti. Si distinguono in due categorie: quelli dei sistemi laterali contribuiscono al
controllo di pochi muscoli alla volta, mentre quelli dei sistemi mediali contribuiscono al controllo di parecchi
muscoli in maniera coordinata (postura). Perchè si abbia una postura eretta è necessario infatti che si
abbiamo sempre contatti più muscoli nello stesso momento e in entrambi i lati della linea mediana. Questo
avviene grazie all'attivazione di più segmenti del midollo spinale grazie agli interneuroni che li connettono.
Per i movimenti fini sono necessarie poche zone e il movimento è unilaterale.
Anche nel tronco encefalico abbiamo sistemi laterali e mediali. Abbiamo gruppi di neuroni che fanno parte o
di uno o dell'altro sistema, cioè che si occupano o della contrazione dei muscoli distali o prossimali. I nuclei
presenti nel tronco cerebrale danno origine a dei tratti di assoni. Il tratto rubrospinale fa parte dei sistemi
laterali; questo deriva dal nucleo rosso. Questo serve a farci controllare i muscoli delle braccia. Nell'uomo
questo tratto è molto poco sviluppato rispetto ad altri animali.
Dei sistemi mediali fanno parte i tratti: reticolo-spinale, vestibolo-spinale, tetto-spinale. Il primo deriva da
sostanza reticolare e arriva a midollo spinale. La sostanza reticolare è un insieme di neuroni che si trovano
nel tronco cerebrale che servono al controllo della postura e infatti fa parte dei sistemi mediali. Il tratto
vestibolo-spinale deriva da nuclei vestibolari nel tronco centrale che fanno sinapsi nel midollo spinale. Il
tratto tetto-spinale deriva dal mesencefalo (da una zona che si chiama tetto); serve per il controllo di
movimenti che ci permettono di seguire lo stimolo che si muove, muovendo per esempio testa e occhi, in
modo che lo stimolo cada sempre nella fovea. Si dice che il reticolo-spinale e il vestibolo-spinale sono
diretti, cioè non crociano, mentre il tetto-spinale è crociato, passando la linea mediale.
Ci sono poi sistemi a proiezione diffusa, insieme di neuroni nel tronco cerebrale; hanno assoni e contatti
sinaptici diffusi. Servono a modulare e regolare l'eccitabilità di altri neuroni.
In ordine gerarchico, c'è la corteccia cerebrale, che ha anch'essa tratti che appartengono all'uno o all'altro
sistema. La differenza in questo caso è che la corteccia si occupa di movimenti volontari. L'area motoria
primaria e l'area premotira danno origine al tratto cortico-spinale, che fanno sinapsi dalla corteccia al midollo
spinale. Ci sono tratti cortico-spinale laterale, che attivano motoneuroni del midollo nei sistemi spinali
leterali. Il tratto cortico-spinale crocia, cioè passa dall'altra parte della linea mediale. Il tratto cortico-spinale
ventrale invece fa parte del sistema mediale: esso attiva i motoneuroni del midollo spinale nei sistemi
mediali. Questo tratto è diretto, ma resta ipsilaterale.
Esiste anche il tratto cortico-bulbo-spinale, cioè la corteccia ha neuroni con assoni che fanno sinapsi nel
tronco.
19. Riflessi spinali
Ci sono tre tipi di movimento: volontari, riflessi e ritmici. I primi sono quelli che dipendono dalla nostra
volontà, sono sempre finalizzati, per la maggior parte appresi; la loro precisione aumenta con l'esercizio e,
una volta appresi, non richiedono partecipazione cosciente.
I movimenti riflessi sono involontari, rapidi, stereotipati, innati e modulati da stimolo. Un tipico movimento
riflesso è quello che avviene battendo il martelletto nel ginocchio.
I movimenti ritmici, come la masticazione o la deambulazione sono un insieme di movimenti volontari e
riflessi, spesso innati ma hanno inizio e fine volontari.
I circuiti che ci permettono di generare riflessi spinali sono nel midollo spinale. Se c'è uno stimolo, che viene
recepito da un recettore, esso manda l'informazione al midollo spinale grazie ad afferenze che sono assoni di
neuroni il cui corpo cellulare è il ganglio delle radici dorsali. Nella generazione del riflesso il motoneurone fa
contrarre un muscolo chiamato effettore che determina la risposta motoria. I riflessi sono o monosinaptici
(c'è una sola sinapsi tra neurone sensoriale e neurone motorio) o polisinaptici (sono costituiti da più sinapsi
presenti nel centro del riflesso, nel midollo spinale).
I propriocettori sono recettori all'interno dei muscoli che segnalano la lunghezza o la tensione. La capacità di
acquisire informazioni che riguardano lo stato dei muscoli e quindi su come il nostro corpo è posto e si
muove nello spazio è detta propriocezione. I propriocettori sono anche responsabile della generazione di certi
riflessi. I propriocettori hanno dunque due funzioni principali: fornire informazioni sensoriali sullo stato dei
muscoli e proteggere i muscoli, grazie ai
riflessi. Abbiamo due tipi di recettori per
propriocezione: fuso neuromuscolare, che si
trovano tra le fibre muscolari; si dice che sono
in parallelo, cioè si trovano disposte
parallelamente alle fibre muscolari che
servono
alla
contrazione.
Il
fuso
neuromuscolare serve a recepire la lunghezza
del muscolo. Tra muscolo e tendine c'è l'altro
tipo di propriocettore: organi tendinei del
Golgi. Essi sono situati in serie e ci danno
informazioni sullo stato di tensione dei muscoli.
I fusi sono contenuti in vere e proprie capsule; sono fibre muscolari modificate attorno alle quali sono avvolti
gli assoni sensoriali. Quelle nel fuso vengono chiamate fibre muscolari intrafusali e quelli e che si trovano al
di fuori sono chiamate extrafusali.
Quando il muscolo si allunga, il fuso scarica potenziale d'azione a maggiore frequenza, mandando un segnale
che indica che il muscolo si è stirato. Questo avviene perché gli assoni sensoriali avvolti alle fibre muscolari
intrafusali vengono stirate anch'esse col muscolo: meccanicamente la membrana plasmatica degli assoni si
tira; sulla membrana i canali per il sodio si aprono, entra più sodio e si genera potenziale d'azione. In questo
modo il fuso neuromuscolare dà informazioni sulla posizione delle varie parti del corpo, sul loro movimento
e velocità.
Oltre agli assoni muscolari avvolti c'è un altro tipo di innervazione
che riguarda i due estremi del fuso, che ricevono fibre motorie. I
motoneuroni che fanno sinapsi sul fuso (chiamati gamma) servono a
regolarne la lunghezza del fuso e quindi la sua sensibilità. Le fibre
muscolari del fuso che si trova nel muscolo è molle in quanto il
muscolo si contrae e scarica potenziale d'azione. Le fibre dei
motoneuroni gamma fanno contrarre le parti estreme del fuso, così la
parte centrale si tende. Il fuso è così pronto a rispondere a un minimo
stiramento del muscolo. Grazie a entrambi i motoneuroni, alfa e
gamma, il fuso rimane teso nonostante il muscolo si accorcia. In
questo modo anche se il muscolo è contratto il fuso è sensibile in
maniera fine allo stiramento.
Quando lo stiramento è eccessivo o improvviso e si potrebbe
strappare, si genere un riflesso miotatico per far contrarre il muscolo
in modo che non si danneggia. È generato dal fuso neuromuscolari
che manda il segnale di stiramento. Le fibre all'interno del fuso sono
le fibre muscolari. Quando il muscolo si allunga ed è eccessivo il
fuso neuromuscolare lo segnala con una scarica. C'è una sinapsi del
neurone sensitivo primario sul motoneurone, che si attiva e scarica a
maggiore frequenza. Questo ne determina la contrazione, cioè si accorcia. Questo tipo di processo molto
rapido è monosinaptico. Per esempio: abbiamo un bicchiere in mano e viene versato dentro qualcosa.
Generalmente il braccio dovrebbe distendersi, ma per riflesso il braccio si contrae. Si tratta di uno stiramento
passivo. Un altro esempio di riflesso miotatico è quello della risposto al colpo del martelletto a livello della
rotula che determina l'estensione della gamba. Quando il martelletto colpisce il legamento, questo colpo crea
una forza che tira il muscolo stirandolo.
Perchè un riflesso avvenga in maniera fluida ed efficace non basta la contrazione dei muscoli stirati
eccessivamente; l'ideale è l'inibizione dei muscoli antagonisti. Questo avviene grazie allo stesso circuito del
riflesso in cui la fibra sensoriale manda l'informazione si stiramento anche ad un interneurone inibitorio, che
inibisce il motoneurone alfa che fa sinapsi sul muscolo antagonista. Questo processo si chiama inibizione
reciproca. Il riflesso miotatico dunque: consente di contrarre muscoli se stirati troppo o in maniera
improvvisa (riflesso di stiramento); di correggere errori durante l'esecuzione di movimenti; di mantenere
tono muscolare (tensione dei muscoli in stato di risposo e forza con cui i muscoli si oppongono a
stiramento); opporsi alla forza di gravità e mantenere la postura.
I riflessi spinali avvengono grazie a circuti nel midollo spinale, ma c'è un continuo controllo da parte dei
centri superiori, di tipo discendente, che avviene da corteccia e tronco. Questo controllo permette di regolare
sensibilità. A seconda delle situazioni abbiamo un tono muscolare e dei riflessi diversi. Se siamo in piedi
rilassati o camminiamo avremo un certo tipo di tono muscolare e di estensione del fuso. Camminando
all'interno di un autobus in movimento in realtà teniamo i fusi neuromuscolari più pronti a rispondere. Si dice
che il riflesso può essere facilitato o inibito a seconda del fatto che siamo in situazioni di relax o no. Questa
relazione di riflesso avviene grazie ai centri superiori, in
quanto c'è un programma motorio che va a dire ai motoneuroni
gamma di regolare la lunghezza dei fusi a seconda delle
situazioni. Se durante un movimento c'è un errore o una
perturbazione, si genera uno stiramento, i fusi scaricano e
generano un movimento riflesso. Se i motoneuroni gamma
sono molto attivi, al minimo stiraramento c'è una grossa
contrazione; c'è un cosiddetto guadagno del riflesso, che in
questo caso è elevato, cioè c'è un reclutamento di un numero
elevato di motoneuroni alfa.
L'organo tendineo del Golgi, posizionato in serie, si trova nel
tendine. Nel tendine ci sono le fibre collagene e intrecciate a
queste ci sono le ramificazioni di un assone sensoriale. Questa
serve a segnalare quando c'è una tensione del muscolo
attaccato al tendine. Quando il muscolo si accorcia (e cioè c'è
maggiore tensione muscolare) l'organo tendineo del Golgi
scarica. C'è maggiore tensione nella contrazione isometrica.
L'aumento di tensione da sì che i tendini vengono tirati e le
membrane di queste fibre presentano canali per il sodio che meccanicamente si aprono; così il sodio aumenta
generando potenziale d'azione. C'è un riflesso quando il muscolo si contrae eccessivamente. Il riflesso sarà di
disattivazione della contazione eccessiva o prolungata: il muscolo si rilassa evitando danneggiamento. Il
circuito in questo caso è polisinaptico e il riflesso miotatico è di tipo inverso.
Il riflesso flessorio è un riflesso di tipo spinale è quello che ci fa ritrarre (flettere) un muscolo a contatto con
qualcosa di doloroso. Questo tipo di riflesso ci permette di allontanare uno stimolo dolorifico, con funzione
di protezione. I nocicettori fanno sinapsi con più interneuroni, che si attivano; alcuni sono eccitatori e altri
inibitori. Un interneurone eccitatorio fa contrarre i muscoli che determinano la flessione; un interneurone
inibitorio inibisce i muscoli che determirebbero un'estensione. Ci sono interneuroni che crociano, cioè una
volta ricevuta un'informazione a destra la portano a sinistra. Abbiamo dunque flessione ipsilaterale ed
estensione controlaterale (in modo che un arto si flette, in modo da allontanarsi dalla fonte di dolore, ma
l'altro si deve estendere in modo da mantenere la postura e l'equilibrio). I centri superiori modulano i riflessi
grazie a delle efferenze verso i centri del riflesso. Se c'è una disconnessione parziale o totale dei centri dei
riflessi alle regioni superiori e le fibre non arrivano più. Le fibre sono disconnesse, quindi si ha una perdita
definitiva della sensibilità e del movimento volontario. Se c'è una disconnessione, i riflessi sono inizialmente
aboliti (shock spinale) e compaiono riflessi che non avevamo (riflesso di Babinsky).
I movimenti ritmici hanno una certa ripezione, come la deambulazione o la masticazione. Nella
deambulazione una gamba si flette e l'altra si estende, quindi è un po' simile al riflesso flessorio, anche se
non è determinato da un dolore. Le vie discendenti danno il comando di inizio e fine di una serie di circuti
secondo cui alcuni muscoli si flettono e altri si estendono. Tutto ciò è dovuto ai circuiti locali spinali o
meglio generatori centrali di schemi motori, cioè neuroni che indipendentemente dalla nostra volontà
generano scariche che ci fanno contrarre certi muscoli e flettere altri e ci permettono di camminare. Questo
gruppo di neuroni si trovano nel midollo spinale. Questo è stato capito e studiato dai gatti, in cui è stata
operata una disconnessione nel midollo spinale dai centri superiori. Egli è in grado di camminare e questo
dimostra che i movimenti ritmici non dipendono dalla corteccia; è compromessa però la volontà, cioè il gatto
non è in grado di iniziare a camminare, ma è in grado di farlo ponendolo su un tapis-roulant, per esempio. I
generatori centrali di schemi motori si trovano uno per arto e posso anche operare indipendentemente dagli
altri arti, indipendenti dalle vie discendenti e quindi dalla voltà; sono dunque involontari e innati. Le vie
discendenti invece regolano inizio e fine dei movimenti ed equilibrio.
La postura è la posizione che assume il corpo a riposo o in movimento e delle sue parti. I circuiti corticali ci
permettono di fare un programma motorio e tra questi programmi ci sono anche quelli per gli aggiustamenti
posturali, che inviano il comando a regioni del tronco cerebrale. Questi comando sono poi eseguiti da centri
del tronco encefalico, tra cui la sostanza reticolare, insieme di neuroni sparsi per il tronco cerebrale, che
controllano i riflessi spinali e soprattutto il riflesso miotatico. In esperimenti sui gatti è stato visto che
bloccando farmacologicamente la sostanza reticolare si perde la postura. Importante nel controllo della
postura è l'insieme delle afferenze sensoriali, sia quando dobbiamo fare movimenti posturali, sia come
quando, in risposta a un suono, il soggetto deve tirare una leva: non c'è solo il movimento volontario del
bicipite, ma anche il movimento posturale che faccia in modo che il soggetto non cada. Il programma viene
dalla corteccia motoria, che informa il midollo spinale per il movimento volontario, ma anche la sostanza
reticolare, che esce sempre dal midollo spinale. Grazie al midollo spinale avremo sia la contrazione dei
muscoli per il movimento volontario sia l'aggiustamento dei muscoli per il movimento posturale. Le
informazioni sensoriali esercitano un controllo a feedback, cioè non solo sul movimento, ma anche sulla
postura. Quando si cammina su una barca si fanno continuamente aggiustamenti posturali. Questo avviene
integrato le informazioni sensoriali che formano un centro comparatore, che integrano le informazioni
sensoriali con il programma motorio, che danno via al movimento a e agli aggiustamenti posturali e che può
anche essere corretto nel caso in cui l'aggiustamento è errato. La postura è quindi regolata dalla sostanza
reticolare, che è nel tronco cerebrale, con le sue connessioni al midollo spinale, che invece è rappresentato in
sezioni. Tra i vari tratti propri dei sistemi mediali c'era il tratto reticolo-spinale, che si origina dalla sostanza
reticolare e fa sinapsi nel midollo spinale. La sostanza reticolare regola la postura aumentando l'efficienza
con cui i motoneuroni alfa e gamma del midollo spinale rispondono agli stimoli, pertanto aumenta
l'efficienza del fuso neuromuscolare (informazioni sulla lunghezza dei muscoli, cioè sulla posizione delle
varie parti del corpo) e aumenta l'efficienza del riflesso miotatico (tono muscolare e postura).
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