Saggio su Itard - Laboratorio di Pedagogia sperimentale
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Saggio su Itard - Laboratorio di Pedagogia sperimentale
5.2 Itard: appunti per una possibile individuazione degli impliciti pedagogici La concezione di uomo e delle possibilità di sviluppo (educabilità) dei soggetti, in particolare dei soggetti “diversi” (disabili e sauvages). Itard conosce Victor, o meglio un “sauvage” che ancora non aveva nome né forse si poteva immaginare che potesse averlo, dopo che altre persone, illustri e famosi medici, tra cui Pinel, il “liberatore dei folli”, l’avevano incontrato, o meglio, esaminato e trattato... Ma, rispetto a loro, il suo incontro con Victor è denso di conseguenze di notevole importanza dal punto di vista pedagogico. Ciò che accade è che Itard vede Victor con occhi diversi, attraverso presupposti culturali e forse con un atteggiamento personale molto diverso e particolare. Riprendendo il discorso fatto sui pregiudizi e sulle rappresentazioni sociali, si potrebbe dire che l’ambiente culturale interiorizzato da Itard è molto differente da quello di Pinel o di Bonaterre, che per primi esaminano Victor, pur essendo Itard molto vicino a loro, addirittura un allievo, per esempio, dello stesso Pinel. Ciò non toglie che Itard non abbia una sua rappresentazione sociale e una sua predisposizione nei confronti del fenomeno “sauvages” e di Victor in particolare: è proprio di questo che ci occuperemo in questa sede. Bene, rispetto a Pinel, di formazione psichiatrica - rivoluzionaria quanto si vuole ma comunque medica - Itard risente in maniera più sensibile, forse anche per la sua giovane età (26 anni), dell’influenza delle idee illuministe e in particolare della filosofia sensista di Condillac. Certo, anche Rousseau e Diderot condividono questa influenza, anzi, in qualche modo ne sono promotori, ma in Itard essa sembra fondersi con una curiosità scientifica e forse anche con una certa qual passione pedagogica che lo porta a 92 considerare il sauvage non tanto come un “imbecille” o un “idiota”1 rispetto a cui sarebbe stato considerato uno spreco ogni investimento di tempo e di energie terapeutiche ed educative, ma come un soggetto “recuperabile”, degno di attenzione non tanto dal punto di vista medico, ma dal punto di vista pedagogico, ovvero qualora si cominciasse a considerarlo come un soggetto con possibilità di apprendimento di comportamenti sociali e di capacità intellettive: certo, questo a partire da opportune sollecitazioni e stimoli ambientali. La filosofia sensista è certamente conosciuta in Francia, e soprattutto nella Parigi del tempo. Anche Pinel e altri la conoscono, ma, dicevamo, su di loro non ha la stessa influenza che ha su Itard: non si trasforma nella possibilità di una nuova percezione e di una nuova sensibilità nei confronti dei sauvages. Confrontiamo la diagnosi che Bonaterre e Pinel formulano su Victor con l’opinione che se ne fa Itard Secondo Bonaterre, di mestiere zoologo (come sottolinea Goudreau): Tutto il suo corpo è coperto da cicatrici, la maggioranza delle quali sembravano essere state prodotte da bruciature. Ne ha una sopra il sopracciglio destro, un’altra nel mezzo della guancia dalla stessa parte, un’altra sul mento e un’altra sulla guancia a sinistra. Quando solleva il capo si scorge all’estremità superiore della trachea e nel mezzo della glottide... (Canevaro, Goudreau, 1991, pp. 50-51). Se affiniamo il nostro fiuto per i modelli impliciti, non ci può che colpire il tono descrittivo e la centratura dell’attenzione sulle cicatrici e sul corpo in quanto oggetto in cui rintracciare indizi, appunto, di una vita precedente. L’osservazione di Bonaterre è minuziosa e articolata, lascia intravedere spiragli di soggettività, che comunque, nel tono complessivo, non pare esser colta. Questa osservazione conclude, per quanto 1 Così allora, pregiudizialmente, venivano chiamate e considerate tutte o quasi le persone in odor di ritardo o di diversità o con qualche eclatante problema intellettivo che non fosse follia (o meglio, malattia mentale...) (Canevaro, Goudreau, 1988). 93 riguarda Victor, con una diagnosi di “sospetti di imbecillità”, preparando il terreno per la diagnosi di Pinel. Modello medico? Modello oggettivante? Fattostà che quello che sembra prevalere è la necessità di definire Victor a partire da come si presenta in quanto “fenomeno” e caso particolare e da studiare scientificamente, non in quanto bambino. Vediamo ora la diagnosi di Pinel: Incapace di attenzione, ad eccezione per gli oggetti dei suoi bnisogni , e conseguentemente incapace di tutte quelle operazioni della mente che essa comporta, sprovvisto di memoria, di giudizio, di attitudine all’imitazione, e talmente limitato anche nelle idee relative ai suoi bisogni, che non era affatto giunto ad aprire una porta o a montare sopra una sedia per raggiungere gli alimenti che, spostati, non erano più a portata di mano; infine, sprovvisto di qualsiasi mezzo di comunicazione, non attribuendo nessuna espressione e nessuna intenzione ai gesti e ai movimenti del suo corpo, passando con rapidità e senza motivo presumibile da una tristezza apatica agli scoppi di risa più smodati; insensibile a qualsiasi specie di sentimento morale; il suo discernimento era soltanto un calcolo dettato dall’ingordigia, il suo piacere una gradevole sensazione degli organi del gusto, la sua intelligenza una suscettibilità di produrre alcune idee incoerenti, relative ai suoi bisogni; tutta la sua esistenza, in una sola parola, una vita puramente animale (Canevaro, Goudreau, 1991, p. 52) A quale modello di diagnosi fa riferimento Pinel? Medica in senso stretto, sembrerebbe. Se osserviamo le parole utilizzate, la centratura è sul discernimento di quello che Victor non sa fare, sul deficit; forse per individuare eventuali possibilità di intervento, oppure, più probabilmente, per comprendere se, ad una conoscenza “oggettiva” dello stato di Victor possa essere sensato pensare ad un qualche intervento. La diagnosi, in questo caso, sembrerebbe servire proprio a vagliare la possibilità del trattamento per il recupero piuttosto che dello scarto. E nel caso di Victor, il giudizio finale sembra propendere per lo scarto: Victor, secondo Pinel, è irrecuperabile. 94 Per Itard non è così. Anche Itard è medico, ma di recente formazione, e le sue conoscenze scientifiche sull’idiozia sono scarse, se non nulle. È forse più filosofo, e sicuramente non è un educatore né un pedagogista. Forse anche in conseguenza di questa sua provenienza e di un certo entusiasmo, Itard, dicevamo, può avere una diversa percezione e concezione di Victor: per lui forse Victor non è un “imbecille” o un “idiota”, ma un alienato: un ragazzo, undicenne, che è cresciuto in un ambiente con stimoli radicalmente differenti da quelli cui sono sottoposti in media i ragazzi della sua stessa età; un ragazzo che non ha mai sentito proferir parola, che non sa usare il linguaggio perché non gli è mai stato necessario utilizzarlo in maniera complessa; un ragazzo che risente fortemente del condizionamento del suo ambiente d’origine: la foresta. Ma se è così, allora non è idiota, ma solo alienato rispetto alla socialità; la scommessa è che un reinserimento oculato, ben progettato e monitorato in un ambiente umano e sociale possa “recuperare” Victor all’umanità, fino magari a portarlo a parlare. Ecco, allora, come si esprime Itard nei confronti del sauvage, che rappresenta qualcosa di effettivamente differente da un caso clinico, da un caso di follia: Se si desse da risolvere questo problema di metafisica: determinare il grado di intelligenza e la natura delle idee di un adolescente il quale, privato dall’infanzia di qualsiasi educazione, sia vissuto interamente separato dagli individui della sua specie, o io mi sbagli di grosso, o la soluzione del problema si ridurrebbe a non attribuire a questo individuo che un’intelligenza relativa al piccolo numero dei suoi bisogni spogliata per astrazione da tutte le idee semplici e complesse che riceviamo attraverso l’educazione e che si combinano nel nostro spirito in tante maniere attraverso il solo mezzo della conoscenza dei segni. Ebbene! Il quadro modale di questo adolescente sarebbe il quadro del “selvaggio dell’Aveyron” e la soluzione del problema darebbe la misura e la causa dello stato intellettuale di questi (Canevaro , Gaudreau, 1991, pp. 53). 95 Dunque Victor è l’esemplificazione vivente di un’esperienza di deprivazione educativa, tale da aver impedito la formazione di idee semplici e complesse, quindi il pensiero... Ovviamente il pensiero secondo quello che allora, in ambito illuminista, si intende: ovvero un pensiero che si costruisce empiricamente, che va dal semplice al complesso, che si basa sull’essenzialità della “conoscenza dei segni”, ovvero delle forme astratte che man mano vanno a sostituire la concretezza dell’esperienza, consentendo di rappresentarla, di parlarne, di elaborarla, di accedere a livelli di astrazione e di concettualizzazione (di spirito!) sempre più elevati... In questo senso, la socializzazione e la civilizzazione hanno un ruolo educativo imprescindibile, ed è sulla disponibilità di un contesto educativo che si gioca la recuperabilità o l’irrecuperabilità di un soggetto “alienato”: la sua possibilità di crescere e di svilupparsi in quanto individuo si gioca sulla possibilità di apprendere, e di apprendere a partire da un’esperienza totalizzante, in cui tutto ciò con cui il sauvage venga in contatto sia fonte di apprendimento, ovvero di apertura di nuovi modi di vedere la realtà, ma soprattutto di sperimentazione di sé, di tutti i propri sensi, e di esercizio della propria intelligenza. Intelligenza presente, quindi, ma da sviluppare a livello funzionale, da socializzare... Emerge un concetto di intelligenza come funzione dell’individuo per sopravvivere e quindi poi anche vivere nel proprio ambiente di vita, ma emerge anche il potere formativo dell’ambiente, e anche di chi appresta l’ambiente, fornendo o meno occasioni di esperienza e quelle occasioni di esperienza. Educazione come condizionamento? come acquisizione di abitudini? Educazione come possibilità di plasmare - da zero - un soggetto fino a crearlo come lo si vuole (Enriquez, 1980)? Tutto questo, forse... Certo è che questi modelli educativi impliciti, affettivamente e cognitivamente estremamente densi, sembrano in qualche modo aleggiare e preparare l’incontro di Itard con il sauvage... 96 Questo incontro, fantasticato ancora prima di realizzarsi, pare dar adito a una scommessa pedagogica importante, che sembra costituire uno snodo cruciale sia nella vita di Itard che nella vita di Victor: certo, scommessa “scelta” e voluta da Itard, ma subita da Victor. Per Itard l’incontro con Victor è l’occasione della sua vita professionale, a cui Itard, tra l’altro, sacrifica anche un periodo e una parte di vita personale: attraverso Victor può dar corpo ad un esperimento scientifico/pedagogico che permetta di verificare la validità di quella concezione sensista che tanto lo ha entusiasmato... Per Itard, Victor è un punto di partenza per costruirsi una posizione nel mondo scientifico della Francia di allora, di ricoprire posti di prestigio, di avviare nella maniera più propizia la propria carriera medica e professionale, ma anche mondana e culturale. Perciò, l’investimento di Itard su Victor è alto: c’è in gioco molto, e questo molto riguarda la sua stessa identità. Per Victor, l’incontro e tutto ciò che a questo seguirà costituirà nei fatti una svolta irreversibile, importantissima dal punto di vista formativo, anche se subita, non voluta, frutto, come è ben visibile dal film di Trouffaut e deducibile dalla complessa vicenda esistenziale di Victor precedente all’incontro con Itard, di una serie di sradicamenti e di violenze, anche pedagogiche. Però, in questa violenza, accade una “donazione” di identità: il sauvage, nell’incontro con Itard, è percepito non più come un caso irrecuperabile, uno strano animale o un fenomeno da baraccone, ma comincia ad essere percepito e trattato da bambino, da soggetto... questo influisce sulla sua percezione di sé e sicuramente determina possibilità di costruzione del senso di sé, o meglio di consapevolezza di sé, quindi influisce sulla costruzione ed elaborazione della propria identità personale. Victor, da questo incontro, “guadagna” la possibilità di sperimentarsi in una situazione differente da quella a lui usuale, di conoscere di sé nuove parti e nuove potenzialità, di cominciare a relazionarsi con altre persone, quindi di accedere 97 alla dimensione della socializzazione, e quindi alla possibile immagine di sé come “personaggio sociale”, persona in grado di ricoprire un ruolo in contesti di quotidianità e di contribuire in qualche modo all’esistenza e alla vita di questi contesti e delle persone che in essi si relazionano con lui. La scommessa scientifica (prima scientifica che pedagogica!) da cui ha origine l’investimento sul caso del sauvage dell’Aveyron si trasforma in un’occasione di formazione per chi di questa scommessa è principale interprete e protagonista: Victor e Itard. Si trasforma in scommessa pedagogica e in scommessa esistenziale. Ma questo non basta - e non può bastare – a dimenticare le origini epistemologiche di quest’occasione, che, come si è già detto, sottendono modelli, fantasie e danno origine a modalità di relazione e di percezione reciproca da tener comunque presenti come elementi che in ogni caso, nella vicenda educativa, hanno il loro peso. La scommessa di Itard viene accolta non solo in ambito medico. Itard ottiene dal ministro dell’Interno e dal Tribunale di Parigi la possibilità di educare il sauvage: come si direbbe adesso, Itard presenta un suo progetto complessivo globale che viene approvato e finanziato per ben due volte: un progetto quindi su cui non solo l’opinione pubblica, ma le istituzioni francesi e la ricerca scientifica sembrano puntare. È dunque un progetto che interessa. Certo, questa attenzione istituzionale consente a Itard di ragionare sulle finalità del progetto, sui suoi presupposti teorici ed anche sul dispositivo materiale e simbolico che il progetto consente di costruire e di impiantare, ma anche di valutare, man mano, il senso e l’efficacia del progetto e lo sviluppo della stessa scommessa. È così che Itard formula i suoi principi ed esplicita le sue metodologie. La concezione del lavoro educativo (finalità generali e obiettivi specifici) 98 Victor, o meglio il sauvage, è preso in carico da Itard proprio in quanto “educabile”, anzi, più che educabile: è colui che, non essendo stato educato, è “alienato” (o forse ha “subìto” un’altra educazione) e può dimostrare il potere di educazione, ma anche di normalizzazione e di risocializzazione, di un ambiente appositamente costruito per “recuperare” ciò che prima è mancato e/o non ha funzionato. Tutto ciò è estremamente attuale, e pare indicare un modello pedagogico ben preciso. In questo senso, forse, dal punto di vista di Itard, è possibile che l’identità di Victor non implichi tanto la possibilità di poter essere se stesso, quanto quella di poter essere un soggetto integrabile nella società parigina del tempo - quindi con tutte le caratteristiche, anche relative all’acquisizione di “buone maniere”, richieste -; vale a dire che sembra essere strettamente connessa ad un modello pedagogico implicito che parla di normalizzazione, ovvero di integrazione in un contesto sociale intesa come acquisizione di quei fattori e di quegli elementi che rendono riconoscibile il soggetto umano, laddove l’umanità può essere riconosciuta solo nel momento in cui si presenti attraverso una determinata forma: quella forma, quindi, che Victor dovrà in qualche modo assumere per poter avere il suo posto in società. La finalità, forse neanche tanto implicita, dell’azione e della scommessa di Itard non sembra quindi riguardare la possibilità di Victor di essere semplicemente sé, a partire dalla sua storia e da quello che può: forse questo, per Itard, allora non era neppure pensabile. Piuttosto, essa sembra riguardare la “formazione” di un soggetto socialmente accettabile per quell’epoca e per la Parigi di allora. Esplicitato questo presupposto, che implica un progetto formativo “su” Victor piuttosto definito, è importante evidenziare ciò che da esso sembra derivare come ulteriore presupposto. Come vedremo, si tratta di elementi che se provengono da un modello che noi potremmo chiamare “implicitamente omologante o normalizzante”, 99 presentano anche aspetti differenti, che paiono dare respiro e connotare diversamente “il” presupposto. Innanzitutto, l’educazione di Victor, secondo Itard, deve essere globale, cioè pervasiva - svolgersi in un contesto totalizzante, anche se diverso dall’istituto - e toccare ogni aspetto della persona di Victor. Dicevamo che Victor è visto appunto come “persona” in evoluzione: come persona “perfettibile”: in questo senso Itard rifiuta la diagnosi che di Victor formula Pinel, centrata sull’”idiozia” senza possibilità di appello. Ciò significa che Victor. può cambiare, può “evolvere”, e che compito dell’educatore Itard sarà quello di individuare gli stimoli giusti... In questo senso, l’attenzione si sposta sulla responsabilità e sulla competenza di chi educa: i fallimenti non sono responsabilità dell’educando, ma di chi ha la responsabilità di educarlo. Tutto ciò, forse, in un modo che desta anche qualche sospetto di onnipotenza pedagogica. In tal senso, la responsabilità educativa si coniuga con l’imprescindibilità di una relazione costante affettiva stabile e intensa: Itard non si occupa da solo di Victor, ma incarica M.me Guerin, la sua governante, della sua cura. Così, se è vero che la pratica educativa e il pensiero di Itard. sospingono verso un modello pedagogico “normalizzante”, d’altronde pare anche che essa si colori di diverse sfaccettature che fanno intravedere elementi di logiche e istanze di tipo affettivo, in qualche modo “materno”: non si educa solo per rendere accettabile alla società qualcuno che non vi può stare così com’è, né soltanto per amor di scommessa scientifica. Si educa anche per rispondere, in qualche modo, ai bisogni affettivi, oltre che cognitivi, e relazionali, oltre che di socializzazione, di un bambino cresciuto nell’isolamento, e in qualche modo “difficile”. Questa serie di presupposti sembrano fare da sfondo a cinque principi educativi, da Itard esplicitati, seguiti e verificati, che a loro volta indicano altri elementi costitutivi 100 dei “modelli educativi impliciti” alla sua pratica e al suo progetto, costituendo proprio la parte più palese dello stesso progetto educativo. Il primo: Introdurlo alla vita sociale, rendendogliela più dolce di quella che conduceva un tempo, e soprattutto più simile alla vita che aveva abbandonato (Canevaro, Goudreau, p. 54). Se Victor. deve essere ri-socializzato – e questo è fuori discussione - tuttavia occorre procedere senza accumulare altra violenza alla violenza già subita dalla sua cattura al suo trasferimento a Parigi, all’ospedale dei sordomuti, dove Victor viveva in istituto, in balia della curiosità dei parigini e del trattamento sospettoso e, per usare un nostro termine, “assistenzialistico” degli operatori di allora. Perché Victor possa essere educato, dev’essere “portato via”: tolto da un istituto e fatto oggetto di attenzioni ad hoc, che non disconoscano la sua origine “selvaggia”, appunto. Di qui l’educazione “totale” in un ambiente di campagna, isolato da altri bambini, problematico o no. Secondo Goudreau, per Itard: Si tratta di andare a cercare il bambino là dove il suo passato lo aveva collocato (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 55). Grande rispetto per la storia del soggetto, dunque, ma soprattutto per quello che essa ha significato per Victor nel costruire le modalità di significazione e di interpretazione di sé e del mondo... Sembra essere presente, più o meno implicitamente, un’idea di continuità con il passato come modalità “meno violenta” di educare... Veniamo al secondo principio: 101 Risvegliare la sensibilità nervosa mediante gli stimolanti più energici e qualche volta suscitando i più vivaci affetti dell’animo (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 55). Si tratta dell’esplicitazione e della trasformazione in obiettivo pedagogico della filosofia sensista di Condillac: educare Victor, sviluppando l’attività della sua mente e della sua anima significa sottoporlo agli stimoli sensoriali ed esperienziali “giusti”, in grado di provocare in lui la nascita di idee semplici e di nozioni (relazioni tra più sensazioni), e quindi associazioni in idee complesse, fino ad arrivare alla concettualizzazione, all’astrazione e alla formazione del giudizio morale. L’educazione di Victor si concretizza in una serie di esercizi (interminabili e pervasivi, in quanto tutto ciò che Victor fa in casa di Itard sembra essere “esercizio”) che hanno la funzione di disciplinare e di riattivare la sua mente, sviluppando la sua intelligenza. Se questa concezione può rasentare il parossismo, e dar adito al misconoscimento dei bisogni di Victor (egli a un certo punto, secondo M.me Guerin, è “stanco”), d’altronde prevede anche la considerazione di ciò che Victor già “sa fare”, delle sensazioni e delle esperienze che gli sono maggiormente familiari piuttosto che di ciò che gli è più semplice: questo è il punto di partenza per una graduale complessificazione degli esercizi e per un graduale spostamento delle esperienze verso ciò che Victor non conosce. Itard pensa ed applica un metodo: un metodo educativo tratto da una concezione particolare del funzionamento e dello sviluppo dell’intelligenza umana, un metodo che si traduce in una pratica e che attraverso di essa è costantemente messo alla prova, verificato, anche se i presupposti di esso non saranno mai messi in discussione. Di fatto, però, nulla qui è lasciato al caso, ma tutto ciò che Itard e Victor fanno in questo contesto è oggetto di costante e riflessiva attenzione pedagogica. Ed ora il terzo principio: 102 Allargare la sfera delle sue idee stimolando in lui nuovi bisogni, e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri che lo circondano (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 56). Più tardi, da Claparède, questo principio si chiamerà “legge dell’interesse”: la possibilità di educazione - finalizzata allo sviluppo possibile delle potenzialità soggettive - si regge sulla possibilità di trasformare i bisogni in interessi, di far fare esperienze che siano in grado di rispondere prima e di suscitare poi interesse - quindi intenzionalità - nell’educando (Massa, 1990). È il principio del “transfert d’apprendimento”: ciò che imparo a fare in un determinato settore, rispetto ad una certa esperienza e ad un certo bisogno, può essere “trasferito” ad altre esperienze che non nascono immediatamente dall’esigenza di colmare “quel” bisogno, ma che vengono percepite come degne di attenzione, di interesse, tali da suscitare impegno e, appunto, trasferimento di quanto già sperimentato e appreso. Le idee si allargano facendo esperienza, ma soprattutto attraverso la stimolazione di nuovi bisogni, non più legati, per esempio, alle sole esigenze primarie, ma alla consapevole e ricercata sensazione di piacere suscitata da esse, per esempio. Tutto ciò ha, dal punto di vista dell’educatore, ha bisogno di essere pensato e di trovare applicazione in una metodologia che si traduce in pratiche via via sempre più complesse. Il quarto principio: Condurlo all’uso della parola determinando l’esercizio dell’imitazione attraverso la legge imperiosa della necessità (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 56). 103 L’apprendimento del linguaggio diventa per Itard in un certo senso l’obiettivo principale del suo lavoro con Victor, ma anche il suo cruccio principale: quell’obiettivo forse da perseguire con un certo accanimento, proprio perché in grado di mostrare la plausibilità delle sue teorie: se Victor impara a parlare, l’educazione può davvero, in tutto e per tutto, colmare lacune e deprivazioni ambientali e sensoriali anche estreme. Per Itard l’acquisizione del linguaggio è “il risultato da conseguire”: la dimostrazione dell’intelligenza e della possibilità di risocializzazione di Victor. Il linguaggio non è, cioè, uno strumento e una funzione di relazione. Il modello pedagogico latente, quello sensista, in questo caso, sembra proprio prevalere e non permettere a Itard di leggere il comportamento linguistico e relazionale di Victor in modo differente e diverso dall’accanimento per l’ottenimento di parole sensate e intenzionali; Itard, di fatto, sembra non riconoscere le sillabe che Victor pronuncia - per lui occasionalmente o solamente come espressione di un’emozione temporanea - né gli sforzi di Victor perché tutto ciò non avviene nei modi e nei tempi che gliele renderebbero riconoscibili come acquisizioni sul piano linguistico e cognitivo. Soffermiamoci sul significato del linguaggio. Per Itard, acquisire la parola da parte di Victor significa appunto poter riappartenere al mondo degli esseri umani: certifica la presenza di un’intelligenza e la possibilità di relazioni sociali che condividano un medesimo codice di interpretazione della realtà. Sancisce l’appartenenza ad un contesto sociale e il passaggio da uno stadio infantile o di minorazione ad uno di adultità e di “parità” sociale. Per Victor forse però acquisire la parola significa altro. Victor non è mai stato abituato a parlare, non ha mai compreso la funzionalità della parola e dello scambio simbolico, perché nessuno, da piccolo, gli ha mai parlato. Ma la parola, per essere acquisita, necessita di una relazione, e di una relazione significativa, in cui i desideri e gli scambi 104 possibili siano trasformati prima in sillabe, poi in parole, poi in frasi. Victor tutto ciò non l’ha sperimentato, e forse un’istruzione metodica e centrata sull’esercizio piuttosto che sull’espressione relazionale poco può favorire lo sviluppo di questa forma di comunicazione. Victor è inizialmente insensibile ai suoni: lo diventa quando comincia ad interessarsene, ma soprattutto ad esserne coinvolto o toccato da un punto di vista emotivo. Victor riproduce ed emette intenzionalmente suoni: non per significare idee, ma per esprimere emozioni. Lo fa con M.me Guerin, meno con Itard. Ma tutto questo Itard non riesce a vederlo... Cecità del modello di riferimento? Ed ora il quinto principio: Esercitare per qualche tempo, sugli oggetti dei suoi bisogni fisici, le più semplici operazioni del suo spirito e determinarne poi l’applicazione su oggetti che possano istruirlo (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 58). Itard non riesce, dal suo punto di vista, a insegnare a Victor a parlare, ma cerca di insegnargli a leggere, associando all’oggetto la sua immagine e quindi le lettere di cui è composto il suo nome. Il procedimento è sempre quello: dal semplice al complesso; la possibilità di apprendere a leggere è data da un’associazione della situazione di Victor a quella di persone sordomute, che comunque imparano a leggere... Il punto è che Victor non è sordomuto... Nell’applicazione del suo metodo, Itard sembra trascurare, nella fretta di superarli, in qualche modo, proprio i bisogni fisici di Victor: ovvero il legame che il pensiero ha con i bisogni delle persone, che non sono solo l’espletazione di funzioni fisiologiche, ma sono ciò che sta alla base dei desideri e dell’intenzionalità e quindi della possibilità di pensare e comunicare con gli altri. 105 Questi sono i primi cinque obiettivi che Itard si pone e che esplicita rispetto a Victor: obiettivi forse dettati dall’entusiasmo, o accecati dalla scommessa sensista. Certo ci parlano di un progetto educativo, un progetto di cui occorre comprendere, forse, quanto è il grado di condivisione con lo stesso Victor, piuttosto che con M.me Guerin, e quanto possa rappresentare qualcosa di importante anche per la definizione e l’individuazione dell’identità scientifico-professionale dello stesso Itard. Per riprendere un’espressione di Canevaro, Itard “ha” un progetto su Victor o “fa” un progetto con Victor (Canevaro, Chieregatti, 1999, p. 53)? Rispondere a questa domanda ci permetterebbe forse anche di comprendere il grado di violenza legittimata e spiegabile all’interno di questo progetto educativo. Però rispondere non è facile... Forse la vicenda di Itard rappresenta un po’ la vicenda di ogni educatore: di chi si vuole educare, nonostante tutti gli sforzi di oggettivazione e di realtà, si vede anche “chi” si desidera vedere: qualcuno su cui investire forse perché anche per noi la relazione con lui rappresenta una scommessa, e la possibilità di “arricchire” o accrescere la nostra identità... Insomma, a Itard, per essere se stesso, serve Victor: come ad ogni educatore, per essere sé, servono le persone che da lui sono educate. Ammettere questo significa prima di tutto ammettere l’esistenza di un costitutivo processo di reciprocità nella formazione dell’identità di ciascuno, e della relatività dell’identità in formazione... Ma significa anche ammettere di essere abitati comunque da filtri e pregiudizi che orientano lo sguardo, la relazione, il progetto e la relazione, oltre che ammettere la costitutiva necessità dell’altro per poter essere noi stessi. Questo, forse, può ridare potere a chi si considera spesso solo “oggetto” di educazione e non soggetto di essa. Ma torniamo alla vicenda di Itard e Victor. 106 Ottenuta la proroga dell’affidamento ministeriale di Victor, Itard rivede, dopo quasi un anno di lavoro, questi cinque obiettivi, sostituendoli con tre obiettivi forse più realistici ovvero: 1. Inserirlo nella vita sociale; 2. Risvegliarne la sensibilità nervosa; 3. Estendere la sfera delle se idee suscitandogli nuovi bisogni e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri circostanti (Canevaro, Goudreau, 1988, p. 59). Cadono gli obiettivi relativi all’apprendimento del linguaggio orale e scritto: in questo senso Itard sembra essere più attento alle effettive potenzialità di Victor, ma forse anche alle sue esigenze. L’ultimo periodo è in effetti forse quello in cui maggiormente Itard sembra accorgersi non solo dello sviluppo intellettivo di Victor ma anche della sua sensibilità emotiva ed affettiva. La presenza di questi obiettivi e della loro ricalibratura in corsa mostra la presenza di una notevole dimensione progettuale e un’attenzione finissima alla verifica e al monitoraggio del suo percorso educativo. Tuttavia la precisione di Itard e il suo distacco affettivo – il suo vestire quasi a tutto tondo il ruolo dell’istitutore – fanno pensare maggiormente ad un modello educativo quasi sperimentale che non ad un modello basato sul riconoscimento dell’Altro e su uno scambio reciproco. Forse questa concezione c’è, ma pare essere embrionale e comunque avere un ruolo marginale in tutta la pratica di Victor. Certo è che la presenza di questi obiettivi, l’attenzione dedicata loro da Itard, la loro costante verifica possono ben evidenziare il rapporto implicito tra modello educativo agito, pregiudizi e rappresentazioni sociali; laddove i pregiudizi e le rappresentazioni sociali possono nascere nell’alveo della cultura non solo sociale ma anche scientifica di appartenenza e diventano un filtro accreditato di lettura dell’Altro e di decodifica del 107 proprio ruolo in rapporto ad esso. Laddove, ovviamente, questi “filtri” si reggano su assetti affettivi e personali particolari (relativi per esempio alla presenza di dinamiche proiettive e alle modalità individuali di integrazione del sé). Riferimenti bibliografici Canevaro A. – Chieregatti A. (1999), La relazione di aiuto, Carocci, Roma Canevaro A. – Goudreau J. (1988), L’educazione degli handicappati, Carocci, Roma Enriquez E. (1980), Ulisse, Edipo e la Sfinge. Il formatore tra Scilla e Cariddi, trad. it. In Speziale-Bagliacca R. (a cura di), Formazione e percezione psicoanalitica, Feltrinelli, Milano Massa R. (a cura di) (1990), Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Roma - Bari 108