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Patologia del collo dell`utero

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Patologia del collo dell`utero
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CAPITOLO
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Patologia
del collo dell’utero
GABRIO ZACCHÉ
IN
ELIANA BARCELLONA
LIVIO ZANOIO
SINTESI
◗ Patologia benigna: è rappresentata essenzialmente da:
• anomalie congenite: ipertrofia longitudinale, atresia, aplasia, duplicatura ecc.;
• polipi cervicali: singoli o multipli, possono essere asintomatici o causare leucorrea e/o sanguinamento spontaneo o postcoitale;
• cisti di Naboth, o da inclusione, asintomatiche;
• lesioni condilomatose: dovute ad infezione da HPV, spesso concomitanti su vagina, vulva e perineo, si presentano come escrescenze piatte o acuminate; eccezionalmente degenerano. Il loro trattamento è escissionale (DTC o laser);
• endometriosi: rara;
• erosioni, ulcere: di origine flogistica, traumatica, distrofica ecc.;
• stenosi ed incompetenza cervicale: primitive, congenite o secondarie a traumi, flogosi ecc.;
• leiomiomi: rari;
• ectopia ed ectropion: presenza di epitelio cilindrico muciparo sull’esocervice; si manifestano in oltre il 30% delle donne, non
necessitano di terapia finché sono asintomatici.
◗ Patologia maligna: comprende il carcinoma della cervice che si presenta nella forma intraepiteliale ed in quella invasiva.
Epidemiologia: 10 casi ogni 100.000 donne per le forme invasive (età media 51 anni); 3 casi ogni 1000 donne per le forme preinvasive (età media 32 anni).
Patogenesi: è correlato ai rapporti sessuali. Il papillomavirus hominis (HPV) è l’agente oncogeno più importante.
• Lesioni intraepiteliali
Classificazione: a seconda del grado di interessamento dello spessore epiteliale si parla di CIN 1, 2, 3; la classificazione di Bethesda suddivide in SIL di grado basso e SIL di grado elevato.
Diagnosi precoce: il primo livello di screening è citologico, mediante il Pap-test; il secondo è colposcopico, attraverso colposcopia, cui segue, eventualmente, la biopsia mirata, con successivo, se necessario, curettage e/o conizzazione.
Terapia: tecniche distruttive nelle forme esocervicali, escissionali (conizzazione) nelle forme a sviluppo endocervicale o in caso
di dubbio diagnostico.
• Carcinoma invasivo della cervice
Anatomia patologica: forme microinvasive e forme francamente invasive. L’istotipo prevalente è il carcinoma squamoso, seguito dall’adenocarcinoma.
Evoluzione: diffonde per invasione diretta dei tessuti circostanti, per via linfatica, più raramente per via ematica.
Sintomatologia: perdite ematiche: intermestruali, postcoitali e post minzione o defecazione.
Stadiazione: più utilizzata la classificazione FIGO, che distingue quattro stadi:
1) carcinoma limitato alla cervice;
2) carcinoma esteso al terzo superiore della vagina e/o al parametrio, ma non oltre le pareti;
3) coinvolgimento del terzo inferiore della vagina e/o uno o entrambi i parametri;
4) coinvolgimento di vescica e/o retto o metastasi a distanza.
Terapia:
• chirurgia: conizzazione (forme microinvasive in donne desiderose di prole); isterectomia allargata con linfoadenectomia pelvica nei tumori francamente invasivi;
• radioterapia: nelle forme avanzate e nelle recidive;
• chemioterapia neoadiuvante nei tumori di grosso volume o adiuvante nelle forme operate ad alto rischio, nei tumori metastatici o recidivi.
Prognosi: peggiora in particolare con lo stadio clinico.
Follow-up: consigliato ogni 3 mesi entro i primi 2 anni dal trattamento primario, poi ogni 6 mesi; consiste in:
• esame clinico: esame ginecologico vaginale e rettale, Pap-test, colposcopia ed eventuale biopsia di lesioni sospette;
• Rx del torace;
• ecografia renale;
• TAC addomino-pelvica;
• eventualmente cistoscopia, rettocolonscopia, urografia, scintigrafia ossea.
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GINECOLOGIA
PATOLOGIA BENIGNA
DEL COLLO DELL’UTERO
Si distinguono le forme di seguito elencate.
Anomalie congenite quali l’ipertrofia longitudinale (di
scarso rilievo clinico), l’atresia (presenza di un collo iposviluppato e non canalizzato),l’aplasia (assenza di una struttura
riferibile al collo,sostituito da un cordone fibroso che unisce il
corpo dell’utero con il fondo vaginale),la duplicatura del collo (associata a malformazioni più complesse quali l’utero bicorne o didelfo). Di tutte queste patologie assume particolare
rilevanza clinica l’assenza di una cervice funzionante in presenza di un corpo uterino normale. La sintomatologia sarà legata al mancato deflusso mestruale: amenorrea, dolori ciclici
da ematometra (raccolta di sangue all’interno dell’utero), endometriosi frequente. La terapia consiste nella creazione di
una anastomosi istmo-cervicale e,se questa fallisce,nella isterectomia.Allorché l’aplasia cervicale si associa a mancato sviluppo dell’istmo (60% dei casi) l’endometrio non è funzionante, quindi il quadro clinico è quello di una amenorrea primaria senza sintomatologia dolorosa associata.
Polipi cervicali. Si riscontrano in circa il 2% degli esami
ginecologici; si formano per una protrusione della mucosa
endocervicale dall’orifizio uterino esterno; sono ricoperti da
epitelio cilindrico e, quando vengono a contatto con l’ambiente vaginale, possono andare incontro ad un processo di
metaplasia squamosa (Figura 13.1).Singoli o multipli,la loro
eziologia è sconosciuta (flogistica?, vascolare?, disendocri-
Piccolo polipo cervicale
na?). Istologicamente i polipi si distinguono in mucosi, adenomatosi, fibrosi, angiomatosi. La loro lunghezza varia da
qualche millimetro a qualche centimetro; i più piccoli non
sono altro che papille iperplastiche. Possono essere asintomatici o causare leucorrea oppure sanguinamento spontaneo o durante i rapporti.La terapia,necessaria in caso di perdite ematiche postcoitali o a seguito di una loro rapida crescita, consiste generalmente nella asportazione per torsione
sul peduncolo mediante pinza ad anelli spinta fino alla sua
base; non è necessario alcun genere di anestesia.
Cisti di Naboth. Dette anche cisti da inclusione, originano per incistamento di elementi ghiandolari situati più o
meno profondamente nel corion. Si osservano in circa il
3% dei colli e sono la conseguenza di processi di trasformazione cellulare, in cui l’ectropion (epitelio colonnare situato sull’esocervice) viene gradualmente sostituito da epitelio pluristratificato metaplastico con l’obliterazione di
sbocchi ghiandolari e conseguente accumulo di muco. Le
cisti più voluminose si possono drenare mediante incisione, le più piccole non necessitano di alcuna terapia.
Lesioni condilomatose. Dovute ad una infezione da
HPV (Human Papilloma Virus), sono spesso concomitanti su
vagina, vulva e perineo. La condilomatosi genitale viene
suddivisa in clinica, subclinica e latente. Nella forma clinica,
la patologia è evidenziabile ad occhio nudo, senza l’utilizzo di particolari strumenti, come escrescenze papillari
biancastre di pochi millimetri (condilomi acuminati), dovute ad una proliferazione epiteliale ricoperta da uno strato
Polipi cervicali grande e piccolo
Sezione che mostra l‘origine di un polipo endocervicale
Figura 13.1 Polipi cervicali. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.)
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para- e/o ipercheratosico; nella forma subclinica la patologia
è visibile ad occhio nudo, ma è meglio definibile mediante
l’osservazione colposcopica previa applicazione di acido
acetico al 3% o al 5%, come chiazze perlacee (condilomi
piatti); infine, nella forma latente viene rilevata solo con l’ibridizzazione del DNA su tessuti apparentemente sani. I
condilomi acuminati, che eccezionalmente degenerano,
sono associati con gli HPV 6, 11, 42, 43, 44 e con altri tipi
considerati benigni. I condilomi piatti, localizzati per lo più
nel contesto dell’epitelio metaplastico, che è il più suscettibile alla degenerazione neoplastica, possono essere associati sia a tipi benigni sia a tipi maligni di HPV (16, 18, 45, 56
ecc.). Spesso la condilomatosi cervicale è collegata a neoplasia cervicale intraepiteliale (CIN). Il trattamento più utilizzato, diatermo-coagulazione o laser-vaporizzazione delle lesioni, andrebbe sempre eseguito dopo accurata dia-
Erosione congenita
sul collo dell’utero di una nullipara
gnosi citologica, colposcopica e istologica. Poiché, frequentemente, le lesioni sono multifocali, il successo terapeutico
è legato all’eliminazione di tutti i focolai di infezione.
Endometriosi. La localizzazione cervicale è molto rara e
molto spesso associata ad endometriosi pelvica. È verosimilmente dovuta all’impianto ectopico di tessuto endometriale su soluzioni cervicali di continuo che si verificano dopo dilatazione, diatermo-coagulazione ecc. Si presenta sotto forma di piccole cisti, generalmente di diametro inferiore ai 2 mm, di colore rosso-violaceo o quasi nere. La diagnosi è bioptica, la terapia è rappresentata dalla
diatermo-coagulazione o dalla escissione.
Erosioni e ulcere. Erosione è l’assenza dell’epitelio di rivestimento, più o meno estesa, sul collo; ulcera è la perdi-
Erosione estesa con proliferazione
(erosione papillare) e cisti di Naboth
C
a
n
a
l
e
Ghiandole
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C
a
n
a
l
e
Ghiandole
c
e
r
v
i
c
a
l
e
Congiunzione
epiteliale
normale
Sezione attraverso la porzione intravaginale
del collo dell’utero (schematica)
c
e
r
v
i
c
a
l
e
ione
Eros
Sezione attraverso la porzione intravaginale
del collo dell’utero
che mostra un’erosione (schematica)
Figura 13.2 Erosioni cervicali. (Da Atlante di Anatomia, Fisiopatologia e Clinica. Masson S.p.A. an Elsevier Company. All rights reserved.)
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ta di epitelio e di connettivo sottostante (Figura 13.2). Le
cause possono essere molteplici e vanno ben indagate nel
contesto clinico: flogistiche (herpes, lue, tbc ecc.), distrofiche (più frequenti sulla mucosa atrofica postmenopausale), traumatiche (anche da speculum e da prolasso uterino
con fuoriuscita del collo), neoplastiche (generalmente localizzate vicino all’orifizio uterino esterno).
Stenosi cervicale. Può essere di origine congenita, infiammatoria o neoplastica, ma più frequentemente è postchirurgica, successiva a diatermo-coagulazione o conizzazione. Provoca algomenorrea e, nelle forme più serrate,
ematometra. La terapia consiste nella dilatazione chirurgica del collo.
Incompetenza cervicale. Responsabile di aborti tardivi o
parti prematuri, può essere congenita o acquisita in seguito
a traumi del collo conseguenti a parti operativi e non e, meno frequentemente, a manovre strumentali per raschiamenti o isteroscopie operative (che implicano una dilatazione cervicale anche fino a 10,5 mm, a volte eseguita in
modo troppo traumatico). La diagnosi di incompetenza cervicale non è facile: pervietà ad un dilatatore di Hegar n. 8,
valutazione isterosalpingografica e isteroscopica; in gravidanza è utilizzata l’ecografia transvaginale per valutare la
lunghezza cervicale, la dilatazione dell’orifizio uterino interno e del canale cervicale stesso (funneling). Il trattamento è
rappresentato dal cerchiaggio cervicale, da eseguire dopo il
primo trimestre di gravidanza, che consiste nell’applicazione, il più vicino possibile all’orifizio uterino interno, di un filo non assorbibile n. 4, eseguendo una sutura a borsa di tabacco (cerchiaggio secondo McDonald), o di una benderella da porre sotto la mucosa cervicale e da annodare poi con
una sufficiente tensione (cerchiaggio secondo Shirodkar).
Leiomiomi. La sede cervicale è rara. Se localizzati nella
porzione intravaginale vengono talora scambiati per po-lipi a larga base d’impianto; il rischio è che vengano asportati con tecnica impropria. Se localizzati a livello istmico, in
gravidanza risulteranno previ e quindi di ostacolo all’espletamento naturale del parto.
Ectopia ed ectropion. Per ectropion si intende la presenza di tessuto endocervicale cilindrico muciparo (epitelio,
ghiandole e stroma) sull’esocervice; l’ectopia, invece, consiste nella presenza di solo epitelio cilindrico sull’esocollo.
L’ectropion deriva dallo spostamento in sede esocervicale
di una mucosa, all’origine interna, come conseguenza di
lacerazioni cervicali da parto o di altri eventi traumatici;
l’ectopia, invece, è congenita. Ectopia ed ectropion, presenti in circa il 30% delle donne, vengono considerati condizioni parafisiologiche ed appaiono, ad occhio nudo, come
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un’area periorifiziale più o meno ampia, di colore più rosso
rispetto all’area periferica. Questa situazione può determinare leucorrea, cerviciti, perdite ematiche post-coitali per la
minor resistenza dell’epitelio cilindrico ad infezioni e traumi. L’esame colposcopico permette di meglio riconoscere
gli apici sferiformi delle papille e gli eventuali processi di
sostituzione dell’epitelio cilindrico con quello squamoso,
nei suoi aspetti di normalità (trasformazione normale) o di
anormalità (trasformazione anormale). L’ectopia e l’ectropion necessitano di una terapia (diatermo-coagulazione,
laser-vaporizzazione) solo quando diventano sintomatici,
cioè quando causano malessere nella donna.
PATOLOGIA MALIGNA
DEL COLLO DELL’UTERO
Carcinoma della cervice uterina
Il cervicocarcinoma è prevalentemente un carcinoma squamoso (Figura 13.3).
Nella cervice si distinguono un epitelio colonnare (cilindrico) monostratificato muco-secernente, che riveste il canale
cervicale, ed un epitelio squamoso pluristratificato non cheratinizzante,che riveste l’esocervice in continuità,attraverso
i fornici, con la vagina. Il punto in cui i due diversi epiteli si
incontrano viene definito giunzione squamo-colonnare. La
giunzione squamo-colonnare raramente è situata esattamente a livello dell’orifizio uterino esterno, in quanto rappresenta un punto dinamico che si modifica in risposta alla
pubertà,alla gravidanza,alla menopausa e alla stimolazione
ormonale: esocervicale durante l’infanzia, tende a risalire
verso l’endocervice in relazione all’età della donna. La zona
di trasformazione è quell’area, posta cefalicamente alla giunzione squamo-colonnare, suscettibile di rimaneggiamenti
tali da condurne l’epitelio a trapassare dalla configurazione
cilindrica a quella squamosa pluristratificata, mediante un
processo di metaplasia squamosa.Tale processo inizia morfologicamente con la comparsa, alla base dell’epitelio cilindrico, delle cellule colonnari di riserva, dapprima immature
(nuclei voluminosi e scarso citoplasma senza glicogeno) e
sovrastate da cellule cilindriche (metaplasia squamosa immatura), poi più mature, cioè più differenziate (producenti
glicogeno), ma mai cheratinizzanti, e prive di epitelio cilindrico (metaplasia squamosa matura). La metaplasia squamosa insorge senza regole apparenti e procede, per estensione e livello di maturazione, con discontinuità sia temporale sia topografica: è presente e vivace soprattutto alla nascita, al menarca, all’inizio dell’attività sessuale e alla prima
gravidanza; ha inizio generalmente all’apice dei villi colonnari, che sono esposti per primi all’ambiente acido vaginale,
ai microtraumi ed alla flogosi. Man mano che la metaplasia
avanza all’interno delle cripte ghiandolari, essa sostituisce
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Carcinoma precocissimo
a cellule squamose
a partenza dalla giunzione
tra l’epitelio squamoso
e quello cilindrico
Carcinoma iniziale
Adenocarcinoma (endocervicale)
Adenocarcinoma (endocervicale)
Carcinoma a cellule squamose che mostra
formazioni a perla
Carcinoma a cellule squamose che mostra
formazioni a perla
Carcinoma
avanzato
Carcinoma del collo dell’utero
con diffusione diretta alla parete
vaginale, alla vescica urinaria e al retto
Figura 13.3 Carcinoma della cervice. a) Forme intraepiteliali e invasive. b) Carcinoma avanzato. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology
and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.)
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l’epitelio colonnare, senza tuttavia rivestire completamente
le cripte più profonde, lasciando così intrappolato l’epitelio
muco-secernente, che viene raccolto all’interno delle cisti di
Naboth: sono loro che identificano così l’iniziale giunzione
squamo-colonnare ed il margine più esterno della zona di
trasformazione. Il carcinoma cervicale origina appunto dall’epitelio metaplastico immaturo, che va incontro a fenomeni di displasia (polimorfismo nucleare con aumento del rapporto nucleo/citoplasmatico; ipercromasia o cromatina a distribuzione irregolare, a zolle o a strie filamentose; macronucleoli; ispessimento ed irregolarità di profilo della membrana nucleare; mitosi frequenti, tipiche e atipiche).
Il cervicocarcinoma può presentarsi: in una prima condizione, comunemente definita di precancerosi, allo stadio
preinvasivo subclinico; nel successivo stadio microinvasivo,
anch’esso subclinico; infine, in un terzo stadio francamente invasivo.
Epidemiologia. Il carcinoma della cervice è la quarta
neoplasia, per frequenza, nella popolazione femminile del
mondo occidentale. Nei Paesi industrializzati i tassi di incidenza della malattia sono rapidamente diminuiti, passando, negli Stati Uniti, da un’incidenza di 20 carcinomi invasivi per 100.000 donne/anno negli anni ’30, a 7 negli anni
’80. In Italia vengono stimati circa 3700 nuovi casi/anno,
con un’incidenza di 10-12 casi ogni 100.000 donne/anno.
Le percentuali di mortalità, tuttavia, si collocano al di sopra
della media CE, con valori oscillanti da 2 a 7,5 per 100.000
donne/anno, a seconda della provincia considerata.
La causa principale di questa progressiva riduzione è costituita dalla diagnosi precoce, sempre più spesso eseguita allo stadio preinvasivo.
L’incidenza delle lesioni preivasive è molto più alta: 10 casi ogni 1000 donne/anno.
L’età media di insorgenza è 51 anni per le forme invasive;
scende a 32 anni per le forme intraepiteliali.
Patogenesi. Come è stato descritto, il cervicocarcinoma
deriva da aree di epitelio metaplastico immaturo, in attiva
moltiplicazione, e perciò più facilmente trasformabili dai
fattori oncogeni, generalmente dipendenti dai rapporti sessuali. Tutti gli studi epidemiologici hanno evidenziato quali fattori di rischio: il precoce inizio dell’attività sessuale, i
partner sessuali multipli, la scarsa igiene sessuale, le malattie sessualmente trasmesse (MST) ecc.
Tra questi fattori sessualmente trasmessi, i papillomavirus
(Human Papillomavirus, HPV) sono i più importanti agenti
oncogeni. Fino ad oggi si conoscono circa 100 sottotipi di
HPV e il loro numero è in costante aumento e, di questi, almeno 30 presentano uno spiccato tropismo per l’area anogenitale. Il virus, o più tipi virali contemporaneamente, sarebbe rilevabile con elevata frequenza (almeno il 10%) in
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donne non selezionate, in età sessualmente attiva; è specie-specifico e dimostra anche una specificità cellulare
molto ristretta verso gli epiteli di cute e mucose, in assoluta prevalenza squamo-cellulari. Gli studi epidemiologici
hanno dimostrato che esistono tipi di HPV definibili ad alto rischio di trasformazione neoplastica, accanto a tipi a basso rischio; più precisamente:
1) i sottotipi 6, 11, 42, 43, 44, 54, 55 sono generalmente associati a lesioni epidermoidali benigne (verruche, condilomi acuminati e papillomi);
2) i sottotipi 30, 34, 39, 40, 56, 57, 61, 62, 72, 83, 84 sono a
rischio intermedio (probabilmente cancerogeni), raramente associati alla CIN e saltuariamente riscontrati in
tumori non ginecologici (laringe, seno mascellare, malattia di Bowen);
3) i sottotipi 4, 16, 18, 31, 33, 35, 45, 51, 52, 58, 59 sono gli
agenti oncogeni più importanti e documentati, riscontrabili in un’elevata percentuale di CIN ed in molte patologie maligne, quali la malattia di Bowen o il sarcoma
bowenoide della vulva, nonché nelle metastasi linfonodali ed a distanza dell’adenocarcinoma e del carcinoma
spino-cellulare della cervice uterina.
Il papillomavirus è strutturato in un nucleo centrale, core, di
DNA rivestito da un involucro capsidico di natura proteica,
composto da 72 capsomeri disposti simmetricamente in
configurazione icosaedrica. Il genoma virale è costituito da
un doppio filamento di DNA disposto a doppia elica:
l’informazione genetica è contenuta in uno soltanto dei
due filamenti e viene trascritta, come di norma, attraverso
la codificazione dell’RNA messaggero (mRNA). Il DNA
dell’HPV viene integrato nel genoma delle cellule infettate
determinando, attraverso la produzione di proteine trasformanti, la selezione di un clone cellulare con capacità di invasione. L’integrazione del DNA nelle cellule ospiti sembra
essere indispensabile per la trasformazione maligna delle
cellule, ma perché questa si verifichi è necessaria l’espressione delle due oncoproteine E6 ed E7 prodotte dal virus,
che, legandosi ai geni oncosoppressori RB (E7) e p53 (E6)
ne determinano l’inattivazione. Talora, l’inattivazione del
p53 avviene per mutazione (carcinoma HPV + 98%; carcinoma HPV – 2%): l’integrazione del genoma cellula ospite-HPV altera i geni E1-E2 di HPV consentendo una maggior espressione di E6-E7.
La replicazione virale è connessa al processo di differenziazione cellulare: la cellula epiteliale squamosa, infatti, è non
permissiva quando è ancora di tipo basale e diventa permissiva quando la cheratinizzazione è presente (la cellula cheratinizzata permette lo sviluppo di un’infezione produttiva,
che produce virus completo e infettante).
L’esistenza di un’infezione genitale latente o subclinica od
occulta da HPV lascia presumere che esistano fattori di at-
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tivazione del virus che favoriscono l’instaurarsi del processo patologico; tra questi ricordiamo:
1) l’immunodeficienza acquisita o geneticamente determinata;
2) la gravidanza e le altre situazioni che comportano modificazioni della risposta immunitaria;
3) le malattie infiammatorie del basso tratto genitale, perché la flogosi dell’epitelio esporrebbe le cellule basali ad
essere più facilmente raggiunte ed infettate dal virus;
4) gli steroidi;
5) l’herpes simplex virus genitale (HSV-2);
6) il fumo di sigaretta.
La presenza dell’HPV all’interno delle cellule cervicali è dimostrabile mediante le tecniche di ibridizzazione molecolare, che consentono di identificare con elevata sensibilità e
specificità gli acidi nucleici virali (DNA ed RNA), indipendentemente dal livello di maturazione del virus e della cellula infetta, e di determinare il tipo virale in base al grado
di omologia riscontrata tra il DNA virale testato e la sonda,
costituita da una sequenza di acido nucleico virale marcato, complementare al DNA da testare.
L’effetto citopatico del virus si manifesta con la presenza di
cellule coilocitosiche dello strato superficiale, caratterizzate
da un ampio vacuolo citoplasmatico perinucleare e con un
abnorme processo di cheratinizzazione. In base all’architettura che ne consegue, si determinano delle lesioni che si
distinguono in condilomi piatti, microfloridi e floridi (acuminati), eventualmente giganti.
Generalmente l’infezione da HPV è persistente: la maggior
parte delle donne non presenta alcuna evidenza clinica di
malattia; in altre, le lesioni di basso grado possono regredire spontaneamente; una minoranza sviluppa invece lesioni che possono progredire verso la CIN.
In breve, è possibile riassumere affermando che la percentuale di neoplasie intraepiteliali, apparentemente attribuite
all’infezione da HPV, raggiunge il 90%; i sierotipi 16 e 18
sono i più comuni nel cancro invasivo, nella CIN2 e nella
CIN3. In riferimento al modello classico dell’oncogenesi,
all’HPV può essere attribuito un ruolo di promozione per
la stimolazione sulla proliferazione cellulare (iperplasia basale della lesione condilomatosa); potrebbe determinare
anche l’iniziazione delle cellule attaccate mediante l’attivazione del proprio DNA nel genoma cellulare e l’avvio a
cascata delle alterazioni dei geni cellulari, compresi gli oncogeni; a questo va aggiunto il ruolo svolto dal virus erpetico o da altri fattori di danno genetico (fumo, carcinogeni
ecc.) come ulteriore elemento di iniziazione o di progressione verso il carcinoma invasivo.
Nelle pazienti HIV positive, il rischio di comparsa di CIN è
5 volte superiore alla media: esiste infatti un’interazione
molecolare tra HIV e HPV perché la proteina Tat HIV è in
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grado di aumentare l’espressione delle oncoproteine E6-E7
di HPV svolgendo un effetto additivo/sinergico; in queste
pazienti la citologia cervico-vaginale è meno attendibile e
va quindi sempre affiancata alla colposcopia.
Prevenzione. Oltre all’uso di sistemi contraccettivi di barriera, efficaci nella prevenzione delle MST, attualmente sono proponibili vaccini polivalenti nei confronti dell’HPV 16
e 18, responsabili della maggior parte dei carcinomi cervicali. La vaccinazione andrebbe praticata alle bambine prima dell’inizio dei rapporti sessuali (campagne di vaccinazione a 12 anni) o consigliata alle donne giovani (età inferiore ai 26 anni) purché non ancora venute a contatto con
il virus. In ogni caso deve essere effettuato il controllo colpocitologico con le cadenze consigliate.
LESIONI INTRAEPITELIALI
Rappresentano lo stadio preinvasivo subclinico del cervicocarcinoma; le atipie cellulari coinvolgono una parte o la totalità della lamina epiteliale, senza mai superare la membrana basale.
Circa un terzo di queste lesioni regredisce spontaneamente, un terzo rimane stazionario per anni ed un terzo progredisce a carcinoma invasivo in un periodo variabile da 10
ad oltre 20 anni; ovviamente le lesioni di grado più basso
regrediscono in percentuale molto maggiore. A tale proposito va segnalato che l’infezione da HPV è molto diffusa in
giovane età, il carcinoma in situ tra i 25-35 anni e quello invasivo tra i 35-55 anni.
Classificazione. Le lesioni epiteliali cervicali sono state
classificate in vario modo. Nell’uso corrente molti ricorrono
ancora al termine displasia, in auge soprattutto negli anni
’60-’70, distinguendo una displasia lieve, moderata (o media) e grave dal carcinoma in situ (CIS). La displasia lieve definisce una lesione che interessa soltanto il terzo inferiore
dello spessore epiteliale immediatamente sovrastante la
membrana basale; la moderata è quella in cui sono coinvolti fino ai due terzi inferiori, la grave ed il CIS definiscono una
lesione che interessa tutto lo spessore dell’epitelio. Però, l’inesistenza di sicuri elementi istopatologici atti a consentire
una diagnosi differenziale tra displasia grave e CIS ha fatto
progressivamente abbandonare questa classificazione.
È subentrata quindi una nuova classificazione, proposta da
Ralph Richart fin dal 1967,che accorpa le displasie ed il carcinoma in situ in un unico gruppo, quello appunto delle neoplasie intraepiteliali cervicali (CIN), eliminando la displasia
sia come termine sia come concetto. Nell’ambito della CIN
sono incluse le alterazioni più precoci evidenziabili negli
strati più profondi dell’epitelio fino, a quelle più conclamate
coinvolgenti tutto lo spessore epiteliale. Si parla quindi di
CIN 1, corrispondente alla displasia lieve, quando la lesione
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topograficamente interessa soltanto il terzo inferiore della
lamina epiteliale; di CIN 2, corrispondente alla displasia
moderata, in cui la lesione non supera i due terzi inferiori; di
CIN 3, corrispondente alla displasia grave ed al CIS, in cui la
lesione si estende a tutto lo spessore dell’epitelio. Ne consegue che tutto lo spettro delle lesioni è così interpretato come
neoplasia intraepiteliale, quindi come un unico grado di lesione dal punto di vista biologico. L’insieme delle alterazioni
della CIN che esprime un difetto di maturazione, differenziazione e polarità cellulare comprende l’ingrandimento,
l’atipia ed il polimorfismo dei nuclei e delle cellule (atipie
cellulari); l’alterazione del numero delle cellule e dei nuclei
ed il grado di disorganizzazione architetturale delle strutture
epiteliali (atipie epiteliali); in aggiunta a questi elementi
vengono anche valutati altri criteri, come la ploidia e la maturità. Poiché ogni epitelio atipico può potenzialmente degenerare, queste lesioni devono essere considerate come
precursori della neoplasia cervicale.
La classificazione più recente, proposta a Bethesda negli
Stati Uniti (2001) e diffusa successivamente in Europa,
comprende tutte queste lesioni con l’aggiunta di quelle da
HPV (spesso confondibili con CIN di basso grado) sotto il
temine di lesioni intraepiteliali squamose (SIL: Squamous Intraepithelial Lesions), a loro volta distinte in L-SIL (lesioni di
basso grado: low-grade squamous intraepithelial lesions) e HSIL (lesioni di alto grado: high-grade squamous intraepithelial
lesions). È una classificazione molto utile per la pratica clinica, in quanto separa le lesioni di basso grado, corrispondenti
a CIN 1 con o senza coilocitosi, dalle lesioni di alto grado,
corrispondenti a CIN 2 e CIN 3. A queste viene aggiunta
un’altra categoria di lesioni, ASC-US o ASC-H (cellule squamose atipiche di significato indeterminato), cioè tutte quelle cellule anormali che non soddisfano i criteri per essere
classificate tra le lesioni squamose intraepiteliali di alto o
basso grado (Tabella 13.1). Oltre all’ASC-US/ASC-H, può
comparire nella citologia cervico-vaginale anche la presenza di cellule atipiche ghiandolari (AGC-US/AGC-AIS) di
provenienza dal canale cervicale o dall’endometrio ed essere di difficile classificazione.
In presenza di ASC-US/ASC-H è necessario:
1) eseguire un trattamento antiflogistico locale per eliminare eventuali alterazioni legate a processi infiammatori;
2) procedere all’esecuzione di una colposcopia ed eventuale biopsia.
In presenza di AGC-US/AGC-AIS è necessario:
1) eseguire una colposcopia con biopsia;
2) eseguire un curettage endocervicale;
3) eseguire biopsia/curettage endometriale (eventuale isteroscopia);
4) qualora, nonostante i provvedimenti precedenti, la lesione persista a controlli citologici ripetuti, si deve con-
288
siderare l’opportunità di eseguire una conizzazione con
bisturi a lama fredda e una laparoscopia diagnostica.
Diagnosi precoce. La facilità di esplorazione del collo
dell’utero mediante speculum vaginale, la possibilità di prelevare cellule di sfaldamento, di osservare mediante ingrandimento e di ottenere campioni bioptici, hanno reso questa
sede un modello per la diagnosi oncologica precoce.
Il primo livello di screening, raccomandato dal Servizio Sanitario Nazionale su tutta la popolazione femminile sessualmente attiva e non isterectomizzata, compresa tra i 25
ed i 64 anni, con cadenza triennale, è realizzato mediante
citologia. In ogni caso, escluse le campagne di screening, si
consiglia di eseguire il Pap-test una volta all’anno entro 23 anni dal primo rapporto sessuale indipendentemente
dall’età o a partire dall’età di 21-25 anni.
Il prelievo citologico (Pap-test) viene eseguito mediante una
spatola di legno (di Ayre), ruotata sull’orifizio uterino esterno, ed uno spazzolino (cytobrush), ruotato all’interno del
canale cervicale. Il materiale prelevato viene strisciato su di
un vetrino, fissato ed inviato, assieme alla apposita scheda
di accompagnamento, ad un servizio di citodiagnostica
qualificato per la colorazione secondo la metodica di Papanicolaou e la successiva lettura. In alternativa, il materiale
prelevato (con la stessa metodica) può essere immerso in
terreno liquido (thin-prep o cell-slide), successivamente sottoposto a centrifugazione, strisciato e colorato.
La risposta citologica utilizza vari modelli classificativi dei
reperti di anormalità; il modello più raccomandato è il
Bethesda System 2001 (vedi Tabella 13.1).
Il Pap-test può risultare falsamente negativo, quando il prelievo non sia stato eseguito correttamente nella zona di trasformazione o il preparato sia stato allestito scorrettamente,
o inadeguato per i seguenti fattori: modalità di prelievo non
corretto, prelievo di scarso materiale, effetto prosciugamento o contaminazione con lubrificanti. Un prelievo adeguato
come sede dovrà contenere contemporaneamente cellule
squamose esocervicali e cellule ghiandolari endocervicali.
Attualmente si consiglia di integrare il Pap-test con il test
Hybrid capture 2 (hc2) che rileva i tipi di HPV correlati allo
sviluppo di neoplasie della cervice uterina nelle donne di età
pari o superiore ai 30 anni. L’esame si effettua con le stesse
modalità del Pap-test: prelievo di materiale cervicale dall’endocollo e successiva ricerca del DNA virale (HPV-DNA test).
Le donne che risultano negative al test si presume non abbiano, né avranno in tempi brevi lesioni tumorali. Il secondo
livello di screening per il cervicocarcinoma,al quale vengono
inviate tutte le donne con citologia anomala,prevede l’esame
colposcopico (definito anche esame di 2° livello nella diagnostica precoce della neoplasia cervicale) e eventualmente la
biopsia mirata per una sicura diagnosi istologica.
La colposcopia è l’esame della cervice e della vagina me-
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Patologia del collo dell’utero
Tabella 13.1
13
MODELLI DI CLASSIFICAZIONE PER LA RISPOSTA CITOLOGICA AL PAP-TEST SECONDO IL SISTEMA
DI BETHESDA (2001)
Adeguatezza del preparato
• Soddisfacente per la valutazione (segnalare la presenza/assenza di cellule cilindriche endocervicali/di componenti della zona
di trasformazione)
• Insoddisfazione per la valutazione (specificare la ragione)
• Rifiutato e non sottoposto a colorazione (specificare la ragione)
• Insoddisfacente per la valutazione di anormalità delle cellule epiteliali a causa di… (specificare la ragione)
Classificazione generale
• Negativo per lesioni intraepiteliali o maligne
• Anormalità delle cellule epiteliali
• Altro
Diagnosi descrittiva
Negativo per lesioni intraepiteliali o maligne
Organismi
• Trichomonas vaginalis
• Microrganismi fungini morfologicamente suggestivi di specie di Candida
• Presenza di flora suggestiva di “vaginosi batterica”
• Batteri compatibili con Actinomiceti
• Modificazioni cellulari compatibili con herpes simplex virus
Modificazioni non neoplastiche
Modificazioni cellulari reattive associate a:
• infiammazione (compresa la riparazione tipica)
• radiazioni
• dispositivi intrauterini (IUD)
• presenza di cellule ghiandolari dopo isterectomia totale
• atrofia
Anormalità delle cellule epiteliali
Cellule squamose
• Cellule squamose atipiche (ASC) di incerto significato (ASC-US) non si può escludere l’H-SIL (ASC-H)
• Lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (L-SIL) includenti:
HPV/displasia lieve/CIN 1
• Lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (H-SIL) includenti:
displasia moderata e grave/CIN 2 e CIN 3/CIS
• Carcinoma squamo-cellulare
Cellule ghiandolari
• Cellule ghiandolari atipiche (AGC) (specificare se endocervicali, endometriali o non specificabili)
• Cellule ghiandolari atipiche suggestive di neoplasia (specificare se endocervicali, endometriali o non specificabili)
• Adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS)
• Adenocarcinoma
Altro
• Cellule endometriali in donne ≥ 40 anni di età
diante un particolare strumento detto colposcopio (che viene
impiegato anche nell’esecuzione della vulvo e vaginoscopia), il quale consente un’ottima illuminazione, una visione
tridimensionale ed ingrandimenti fino a 40×. Con la paziente in posizione ginecologica, viene esposta la cervice
con uno speculum bivalve.
Primo tempo della colposcopia: la cervice viene dapprima esaminata ad ingrandimento “panoramico”compreso tra 6 e 12
volte (se si ritiene utile eseguire un prelievo citologico, questo andrebbe effettuato in questa fase), poi, rimosso l’eventuale eccesso di muco e detersa la cervice con soluzione fisiologica, viene studiata, eventualmente con l’aggiunta di
un filtro verde e ad elevato ingrandimento, l’angioarchitettura epiteliale (sono sospetti i vasi a cavatappi, a carattere
varicoso, a decorso parallelo, ramificati, reticolari ecc.).
Secondo tempo della colposcopia: viene osservato il collo uterino dopo l’applicazione di una soluzione di acido acetico
al 3-5% per circa 15 secondi. Questo determina il rigonfiamento dei tessuti e particolarmente delle papille della
mucosa ghiandolare dell’endocervice, permettendo così di
identificare la giunzione squamo-colonnare e la zona di
trasformazione. L’acido acetico agisce sugli epiteli rendendoli gonfi e modificandone il colore (rosa in caso di mucosa normale, bianco-perlacea in quella ispessita) ed è più
attivo sugli epiteli anomali e ispessiti. L’effetto dell’acido
acetico (che scompare dopo 30-40 secondi, ma riappare
dopo una successiva applicazione) dipende dalla quantità
di proteine nucleari presenti: l’epitelio anormale, a causa
della più elevata densità nucleare e della maggiore concentrazione di proteine va incontro al massimo agglutina-
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GINECOLOGIA
mento assumendo un colorito più o meno bianco a seconda del suo spessore.
Terzo tempo della colposcopia: consiste nell’osservazione del
collo dell’utero dopo applicazione di soluzione iodo-iodurata di Lugol (test di Schiller). Il principio di base di questo
test è che, mentre l’epitelio squamoso normale è ricco di glicogeno che si lega alla soluzione iodata colorandosi in marrone scuro-mogano, l’epitelio cilindrico endocervicale e
quello anormale, sprovvisti di glicogeno, rimangono non
colorati.
Dal 2002 viene utilizzata la classificazione internazionale
riportata nella Tabella 13.2 e nella Figura 13.4.
La zona di trasformazione anormale, individuabile con
l’impiego delle soluzioni descritte, si presenta con quadri
molteplici variamente associati tra loro ed indicati come:
1) epitelio aceto-bianco piatto: può essere sottile o ispessito;
aspetto transitorio osservabile in aree di elevata densità
nucleare;
2) mosaico regolare o irregolare: aree bianche che, specie nelle forme irregolari, sono costituite da cellule displasiche,
che proliferano e comprimono i vasi sanguigni superficiali, creando un aspetto simile alle piastrelle di un mosaico;
3) puntato regolare o irregolare: aree bianche anomale con
lesioni vascolari a forma di punteggiatura causate da anse capillari superficiali dilatate, il cui braccio afferente ed
efferente si indova nello stroma papillare sottostante:
sono spesso sedi di displasia;
4) area parzialmente captante: indice di scarsa maturazione
cellulare, osservabile in situazioni di ipoestrinismo;
5) area iodonegativa a limiti netti: corrisponde ad aree di
mosaico, puntato o epitelio bianco all’osservazione con
acido acetico;
Tabella 13.2
I)
6) area iodonegativa a limiti sfumati: possibile segno di cervicite;
7) vasi atipici: a decorso irregolare o parallelo alla superficie; ramificati, varicosi; a forma di cavaturaccioli, di spaghetti ecc.
È importante che la giunzione squamo-colonnare sia ben
visibile, in questo caso si parlerà di colposcopia soddisfacente; se non visibile o parzialmente visibile, perché risalita nel
canale cervicale, come frequentemente si verifica dopo i 45
anni, la colposcopia sarà insoddisfacente. Un grosso limite
della colposcopia, quindi, è dato dall’impossibilità di esplorare il canale cervicale e di valutare, pertanto, le lesioni che
sono parzialmente o totalmente endocervicali.
Lo scopo fondamentale della colposcopia è valutare la localizzazione e l’estensione delle lesioni cervicali e quindi permettere una biopsia accurata. La biopsia cervicale dev’essere effettuata su tutte le lesioni clinicamente sospette, preferibilmente sotto guida colposcopica; quando la citologia
suggerisce la presenza di una neoplasia cervicale, ma non vi
è alcuna lesione macroscopicamente o colposcopicamente
osservabile, deve essere effettuata una conizzazione.
I metodi tradizionali di esplorazione del canale cervicale
sono due: il curettage e la conizzazione diagnostica. Il curettage rivela agevolmente i tumori invasivi; è invece insoddisfacente nei casi di lesioni preinvasive, che spesso interessano il fondo delle ghiandole e che, su piccoli frammenti,
sono male interpretate. La conizzazione è una più o meno
ampia biopsia coniforme della cervice che ha per base il
piano periorifiziale e per apice un punto del canale cervicale e ad estensione verso la zona istmica a varia distanza
dall’istmo o coincidente con questo (vedi oltre).
Nel 1980 Jacques Hamou, di Parigi, ha proposto l’esplorazione cervicale mediante un microcolpoisteroscopio da lui
CLASSIFICAZIONE COLPOSCOPICA INTERNAZIONALE IFCPC (BARCELLONA 2002)
Reperti colposcopici normali
Epitelio pavimentoso originario
Epitelio cilindrico
Zona di trasformazione normale
II) Reperti colposcopici anormali
Epitelio aceto-bianco piatto
Epitelio aceto-bianco ispessito*
Mosaico regolare
Mosaico irregolare*
Puntato regolare
Puntato irregolare*
Area parzialmente iodocaptante
Area iodonegativa*
Vasi atipici*
III) Quadro colposcopico suggestivo per carcinoma
invasivo
IV) Colposcopia insoddisfacente
Giunzione squamo-colonnare non visualizzata
Infiammazione grave, atrofia grave, trauma
Cervice non visibile
V) Reperti miscellanei
Condiloma esofitico
Cheratosi
Erosione
Infiammazione
Atrofia
Deciduosi
Polipi
Grado 1 (modificazioni minori): epitelio aceto-bianco sottile, mosaico regolare, puntato regolare, leucoplachia sottile;
Grado 2 (modificazioni maggiori): epitelio aceto-bianco ispessito, mosaico regolare, puntato irregolare, leucoplachia spessa, vasi atipici.
(Da: Walker P., Dexeus S., De Palo G., Barrasso R., Campion M., Girardi F., Jakob C., Roy M., Roy M. International terminology of colposcopy: and update
report from International Federation for Cervical Pathology and Colposcopy. Obstet Gynecol. 2003; 101: 175.)
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Patologia del collo dell’utero
visibile esocervicale
visibile endocervicale
CONCLUSIVO: giunzione squamocolonnare (GSC)
GSC non visibile
cervice non completamente evidenziabile
INSODDISFACENTE PER:
13
flogosi intensa
atrofia grave
QUADRO COLPOSCOPICO NORMALE
Epitelio originale:
trofico
atrofico
Zona di trasformazione normale (ZTN):
Epitelio cilindrico:
fino a 1/3
fino a 2/3
superiore a 2/3
incompleta
completa
sbocchi ghiandolari
cisti di Naboth
QUADRO COLPOSCOPICO ANORMALE
dentro la zona di trasformazione
fuori della zona di trasformazione
Trasformazione anormale Grado 1 (G 1):
epitelio bianco sottile piatto
epitelio bianco sottile micropapillare/microconvoluto
mosaico regolare
puntato regolare
Trasformazione anormale Grado 2 (G 2):
epitelio bianco ispessito piatto
epitelio bianco ispessito micropapillare/microconvoluto
mosaico irregolare
puntato irregolare
sbocchi ghiandolari ispessiti
vasi atipici
sospetta neoplasia invasiva
REPERTI MISCELLANEI
Sospetti condilomatosi:
florida
leucoplasiforme
Leucoplachia/Cheratosi
Colpite (...........................................)
Area iodochiara, non acidofila
Superficie micropapillare non acidofila
a punti bianchi
mosaiciforme
Esiti di trattamento
Endometriosi
Deciduosi
Polipo
mista
Erosione/ulcera
Vescicole/bolle
Cupola vaginale
Tessuto di granulazione
TEST DI SCHILLER
Captante
Non captante
Captazione disomogenea
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
Figura 13.4 Scheda colposcopica. (Da: Walker P., Dexeus S., De Palo G., Barrasso R., Campion M., Girardi F., Jakob C., Roy M., Roy M. International terminology of colposcopy: and update report from International Federation for Cervical Pathology and Colposcopy. Obstet Gynecol. 2003;
101: 175, 2003.)
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GINECOLOGIA
ideato che consente ingrandimenti fino a 150×. Questo
strumento in mani esperte si è dimostrato un mezzo importante, ma presenta limiti che ne hanno ostacolato la diffusione: è scomodo, non permette di esplorare le ghiandole, non consente biopsie mirate, è difficile visualizzare il canale oltre i primi 10 mm.
Terapia. La scelta del trattamento terapeutico dipende da
diversi parametri, in particolare da:
1) grado della lesione: nelle SIL di basso grado è possibile
anche un atteggiamento di attesa;
2) sede ed estensione della lesione;
3) età della paziente e condizioni complessive dell’utero (vedi linee-guida della SICPCV del 2002 di gestione delle
pazienti con Pap-test anomalo nelle Figure 13.5 e 13.6).
Il trattamento può utilizzare le tecniche di seguito descritte (Figura 13.7).
1) Tecniche distruttive quali la diatermo-coagulazione, la laser-vaporizzazione, la crioterapia, nel caso di lesioni esclusivamente esocervicali, in cui è sicuramente da escludere la presenza di lesioni micro- o francamente invasive e
vi è concordanza tra i metodi diagnostici utilizzati (citologia, colposcopia, biopsia mirata).
2) Tecniche escissionali. Si tratta della conizzazione che ha le
seguenti finalità diagnostiche:
a) non vi è lesione visibile colposcopicamente;
b) l’epitelio atipico si estende lungo il canale cervicale e
la lesione non può essere adeguatamente visualizzata colposcopicamente per tutta la sua estensione;
c) vi è discrepanza tra il risultato istologico della biopsia
e quello citologico;
d) la diagnosi di microinvasione deriva da una biopsia a
morso cervicale;
e) il curettage endocervicale identifica una CIN.
Può essere eseguita con tecniche differenti:
a) conizzazione con bisturi (a lama fredda). Il vantaggio è
un cono facilmente esaminabile dall’anatomo-patologo; gli svantaggi sono numerosi, in particolare: la
necessità di ospedalizzare, di eseguire un’anestesia
generale o un’analgesia loco-regionale, le emorragie
e gli esiti cicatriziali stenosanti con difficoltà ad esplorare l’endocervice residua nel follow-up;
b) conizzazione con laser CO2. I costi sono elevati, i tempi di
esecuzione possono essere lunghi; il cono, tuttavia, sarà
poco alterato dalla tecnica e gli esiti a distanza ottimi;
c) conizzazione con ansa elettrica (LEEP: Loop Electrosurgical Excisional Procedure). Mediante l’utilizzo di correnti ad alta frequenza, permette di asportare in toto l’area colpita e la zona di trasformazione, con possibilità
di un successivo esame istopatologico seriato. I costi
sono bassi, l’esecuzione è ambulatoriale, in anestesia
292
locale, rapidissima; il cono sarà poco alterato dalla necrosi termica e gli esiti a distanza saranno ottimi.
3) Isterectomia. Proponibile nelle SIL di alto grado, nel caso
di donne in premenopausa o menopausa, oppure con
patologie uterine associate quali fibromi ecc.
Dopo il trattamento conservativo sarà necessario un follow-up citologico e colposcopico semestrale nei primi 2
anni, annuale successivamente.
In caso di recidiva o persistenza della patologia preinvasiva, la conizzazione può anche essere ripetuta.
In gravidanza, se il Pap-test risulta patologico, si esegue colposcopia e biopsia ed, esclusa l’invasione stromale, si rimanda il trattamento chirurgico sino a 6-12 settimane dopo il parto. L’unica indicazione alla conizzazione in gravidanza, ipotizzabile fino a 20 settimane (con rischio di
emorragie e di aborto, specie se eseguito a lama fredda), è
il sospetto di carcinoma invasivo.
CARCINOMA DELLA CERVICE INVASIVO
Anatomia patologica. Il cervicocarcinoma può presentarsi sotto quattro forme: esofitica, come una massa vegetante e friabile; ulcerativa; endofitica con rigonfiamento a
botte delle pareti cervicali; esofitica bulky evertente la cervice.
Il tipo istologico di gran lunga più frequente (70-80%) è il
carcinoma squamoso o nella forma più differenziata cheratinizzante o nella forma scarsamente differenziata non cheratinizzante (a grandi o piccole cellule).
Il carcinoma microinvasivo rappresenta lo stadio preclinico
della malattia che segna il passaggio tra il carcinoma in situ e il carcinoma francamente invasivo. Include i tumori
che hanno una invasione stromale < 5 mm e un’estensione orizzontale < 7 mm. La Federazione Internazionale di
Ginecologia e Ostetricia (FIGO) del 1994 considera il carcinoma microinvasivo come stadio Ia della malattia e, più
precisamente, come stadio Ia1 se la profondità dell’invasione non supera i 3 mm e Ia2 se la profondità di invasione è
superiore a 3 mm e inferiore a 5 mm (Tabella 13.3).
Secondo per incidenza è l’adenocarcinoma (7-10%). Anche
per questo istotipo vengono descritte forme preinvasive e
le alterazioni presenti nelle cellule cilindriche vengono
classificate come ECCIN (1, 2, 3), vale a dire CIN Endo Cervicale di grado 1, 2, 3, e CTM (Cellule Tumorali Maligne).
In questi ultimi vent’anni è stata osservata una riduzione
della frequenza dei carcinomi squamosi ed un aumento di
quella degli adenocarcinomi. La causa principale è l’eliminazione, mediante diagnosi precoce, di un numero notevole di
carcinomi squamosi allo stadio preinvasivo; un’altra causa
sembra essere l’impiego di contraccettivi orali, ma in realtà
sono distinti due gruppi di pazienti con adenocarcinoma del
canale cervicale: di età superiore ai 50 anni (in cui non hanno importanza i fattori sessuali) e di età inferiore, in cui è
stata dimostrata un’associazione elevata con HPV 16 e 18.
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13
Esame colposcopico
Carcinoma invasivo:
protocollo oncologico
Positivo:
biopsia positiva
CIN 1
CIN 2/3
Positivo:
biopsia negativa
Negativo
GSC visibile
GSC non visibile
(sondaggio
c.c. negativo)
Controllo a 6 mesi
GSC visibile:
controllo
a 6 mesi
o trattamento
GSC non visibile:
controllo a 6 mesi
o trattamento
escissionale
Trattamento
Negativo
Positivo
Ritorno
a screening
Trattamento
escissionale
diagnostico
a
Esame colposcopico
Carcinoma invasivo:
protocollo oncologico
Positivo:
biopsia positiva
CIN 1
CIN 2/3
Positivo:
biopsia positiva
Negativo
GSC visibile
GSC non visibile
(sondaggio
c.c. negativo)
Controllo a 3 mesi
GSC visibile:
controllo
a 3 mesi
o trattamento
GSC non visibile:
trattamento
escissionale
Trattamento
Negativo
Positivo
Controllo
a 6 mesi
Trattamento
escissionale
diagnostico
b
Figura 13.5 a) Gestione della paziente con diagnosi citologica: SIL di basso grado (L-SIL); b) gestione della paziente con diagnosi citologica: SIL
di alto grado (H-SIL) o carcinoma squamo-cellulare (Da: Linee-guida SICPCV 2002.)
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GINECOLOGIA
Esame colposcopico
Carcinoma invasivo:
protocollo oncologico
Positivo:
biopsia positiva
CIN 1
CIN 2/3
Positivo:
biopsia negativa
Negativo
GSC visibile
GSC non visibile
(sondaggio
c.c. negativo)
Controllo a 6 mesi
GSC visibile:
controllo
a 6 mesi
o trattamento
GSC non visibile:
controllo a 6 mesi
o trattamento
escissionale
Trattamento
Negativo
Positivo
Ritorno
a screening
Trattamento
escissionale
diagnostico
a
Esame colposcopico
Carcinoma invasivo:
protocollo oncologico
Positivo:
biopsia positiva
CIN 1
GSC visibile:
controllo
a 3 mesi
o trattamento
escissionale
b
Negativo:
valutazione endocervicale/endometriale
AIS-CIN 2/3
GSC non visibile:
trattamento
escissionale
Trattamento
escissionale
Negativo
Positivo
Controllo
a 6 mesi
Trattamento
escissionale
diagnostico
Figura 13.6 a) Gestione della paziente con diagnosi citologica: ASC-US o ASC-H; b) gestione della paziente con diagnosi citologica: AGC-AIS o
adenocarcinoma. (Da: Linee-guida SICPCV 2002).
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Patologia del collo dell’utero
13
Istologia del carcinoma in situ all’interno della zona
di trasformazione
Sono evidenziate le biopsie nelle zone
di trasformazione
Margine del carcinoma
in situ all’interno della zona
di trasformazione
Il trattamento deve asportare la zona di
trasformazione e penetrare fino a una
profondità minima di 5 mm al fine di
distruggere l’estensione metaplastica o
displastica nelle cisti ghiandolari
Profondità di penetrazione
della criosonda
Le modalità di trattamento comprendono:
criochirurgia laser CO2, DTC fino alla
conizzazione e all’isterectomia
Bruciature laser
nella zona di
trasformazione
Bruciature da DTC
Punta del DTC
Terapia con laser CO2
Elettrocauterizzazione radicale
Figura 13.7 Trattamento del carcinoma in situ (CIN III). (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.)
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GINECOLOGIA
Tabella 13.3
STADIAZIONE DELLA FIGO DEL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA
Carcinoma preinvasivo
Stadio 0
Carcinoma in situ, carcinoma intra-epiteliale (i casi allo stadio 0 non andrebbero inclusi in nessuna statistica terapeutica).
Stadio I(1)
Carcinoma confinato alla cervice (l’estensione al corpo può essere tralasciata).
Stadio Ia
Carcinoma preclinico della cervice, diagnosticato solo con l’esame microscopico
Stadio Ia1
Lesione con invasione ≤ 3 mm
Stadio Ia2
Lesione evidenziata all’esame microscopico che può essere misurata. Il limite
più inferiore della misurazione deve mostrare una profondità di invasione > 3
e < 5 mm, dalla base dell’epitelio sia dalla superficie sia dalle ghiandole da cui
è originato, ed una seconda dimensione, la diffusione orizzontale, non deve
superare i 7 mm. Le lesioni di dimensioni maggiori vengono identificate come
stadio Ib
Stadio Ib
Lesioni invasive > 5 mm
Stadio Ib1
Lesioni inferiori od uguali a 4 cm
Stadio Ib2
Lesioni maggiori di 4 cm di diametro
Stadio II(2)
Il carcinoma si estende oltre la cervice ma non coinvolge la parete.
Il carcinoma si estende alla vagina ma non interessa il suo terzo inferiore.
Stadio IIa
Assenza di coinvolgimento del parametrio
Stadio IIb
Coinvolgimento del parametrio
Stadio III(3)
Il carcinoma si estende alla parete pelvica. All’esplorazione rettale non vi è nessuno spazio libero dall’invasione del carcinoma tra la neoplasia e la parete pelvica. Il tumore coinvolge il terzo inferiore della vagina. Tutti i
casi di idronefrosi o di alterata funzione renale.
Stadio IIIa
Assenza di estensione alla parete pelvica
Stadio IIIb
Estensione alla parete pelvica e/o idronefrosi o rene non funzionante
Stadio IV(4)
Il carcinoma si estende oltre la pelvi vera o ha clinicamente coinvolto la mucosa della vescica o del retto. Un
edema bolloso, come tale, non permette di classificare la lesione allo stadio IV.
Stadio IVa
Diffusione agli organi adiacenti
Stadio IVb
Diffusione agli organi a distanza
Carcinoma invasivo
(1) La diagnosi sia del carcinoma in stadio Ia1 sia in stadio Ia2 deve basarsi sull’esame microscopico del tessuto rimosso, preferibilmente dopo conizzazione, che
dovrebbe includere l’intera lesione. La profondità d’invasione non deve superare i 5 mm misurati dalla base dell’epitelio sia di superficie sia ghiandolare. L’altra
misura, ovvero la crescita orizzontale, non deve superare i 7 mm. Il coinvolgimento degli spazi vascolari, sia venosi sia linfatici, non modifica la stadiazione, ma
deve essere registrato specificamente perché può condizionare il trattamento futuro. Le lesioni di dimensioni maggiori devono essere stadiate come Ib. Generalmente è impossibile valutare l’estensione del carcinoma dalla cervice al corpo uterino. L’estensione al corpo deve essere quindi ignorata.
(2) Una paziente con una massa fissata alla parete pelvica tramite un parametrio corto e duro, ma non nodulare, deve essere considerata in stadio IIb. All’esame
clinico è impossibile stabilire se un parametrio che appare liscio ed indurito è chiaramente invaso dalla neoplasia o solo infiammato. Quindi la paziente deve essere classificata come in stadio III solo se il parametrio è nodulare, fino alla parete pelvica, o la crescita stessa si estende fino alla parete pelvica.
(3) La presenza di idronefrosi o rene non funzionante a causa di una stenosi dell’uretere provocata dal cancro, impone la classificazione della neoplasia come stadio III, anche se secondo gli altri parametri, può essere assegnata allo stadio I o II.
(4) La presenza di edema bolloso, come tale, non consente di classificare la lesione come stadio IV. Creste e solchi all’interno della vescica devono essere
interpretati come segni di coinvolgimento della vagina se alla palpazione delle escrescenze esse rimangono fisse (cioè all‘esame del retto e della vagina durante la cistoscopia). La presenza di cellule neoplastiche al washing della cavità vescicale richiede un’ulteriore valutazione e l’esecuzione di una
biopsia della parete vescicale.
Evoluzione. Il carcinoma rimane, generalmente, per lungo
tempo localizzato nella pelvi; diffonde sia per invasione diretta dei tessuti circostanti, sia per embolizzazione dei vasi linfatici, sia per via ematica, sia per impianto intraperitoneale.
La diffusione per contiguità coinvolge la vagina, il corpo
dell’utero ed i parametri; è più raro l’interessamento della
vescica e del retto.
La diffusione linfatica costituisce la via preferenziale di metastatizzazione a distanza, è in diretta relazione con lo stadio di malattia e coinvolge i linfonodi parametriali, otturatori, iliaci esterni, interni, comuni e presacrali. L’interessamento dei linfonodi lomboaortici è raro ed è sempre secondario a quello delle stazioni pelviche.
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Le recidive del tumore, dopo trattamento chirurgico o radioterapico, si verificano in genere entro 24 mesi. Le recidive più frequenti sono pelviche; possono essere centrali (in
sede sopravaginale) ed interessare la vescica e/o il retto o
possono essere profonde in sede parametriale (con idronefrosi) e linfonodale (con edema da stasi degli arti inferiori).
Sintomatologia. Mentre la lesione cervicale preinvasiva
è solitamente asintomatica, la lesione invasiva può causare
perdite ematiche intermestruali, frequentemente postcoitali (talora saniose), dopo minzione e defecazione.
La visita ginecologica è spesso sufficiente a far porre diagnosi con immediatezza: nella forma esofitica il tessuto è
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friabile e facilmente sanguinante; nella forma endofitica
la cervice acquista una consistenza dura; a volte la cervice può sembrare integra ed il collo può assumere la forma “a barilotto”; nella forma ulcerativa si può osservare
un cratere più o meno profondo. Altre volte la visita fa
sorgere il sospetto, che viene confermato da indagini elementari, quali il Pap-test, la colposcopia, la biopsia ed
eventualmente il curettage endocervicale.
Stadiazione. Le procedure di stadiazione sono riassunte
nella Tabella 13.4 e comprendono essenzialmente: l’esame
vaginale bimanuale con esplorazione rettale, la colposcopia
con biopsia, l’Rx torace, l’urografia. Nel sospetto clinico di
invasione devono essere eseguite anche la cistoscopia e la
proctosigmoidoscopia. Le regole per una corretta stadiazione clinica, secondo la FIGO sono:
1) lo stadio deve essere definito clinicamente prima di
qualsiasi programma terapeutico;
2) la stadiazione clinica va effettuata immediatamente dopo la diagnosi di cervicocarcinoma;
3) definito lo stadio, non deve essere modificato successivamente;
4) nei casi dubbi tra due stadi, deve essere scelto lo stadio
inferiore.
Le stadiazioni abitualmente utilizzate sono quelle della
FIGO o quella TNM, dove il T è definito con le stesse moTabella 13.4
PROCEDURE DI STADIAZIONE
Esame fisico(1)
Esami
radiologici(1)
Altri esami(1)
Palpazione dei linfonodi
Esplorazione vaginale
Palpazione bimanuale retto-vaginale (in anestesia)
Urografia
Clistere di bario
Rx torace
Rx scheletro
Colposcopia
Biopsia
Curettage endocervicale
Conizzazione
Cistoscopia
Proctoscopia
Isteroscopia
Indagini facoltative(2) Tomografia assiale computerizzata
Linfoangiografia
Ultrasonografia
Risonanza magnetica nucleare
Laparoscopia-laparotomia
Scintigrafia
PET
(1) Secondo la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia
(FIGO).
(2) Dati che in base alle indicazioni della FIGO non possono modificare la
stadiazione clinica.
13
dalità della FIGO; di fatto: N (invasione linfonodi), M (metastasi a distanza) meglio specificano lo stadio FIGO IVb
(carcinoma con metastasi a distanza) (Tabella 13.5).
Le modalità di stadiazione differiscono sostanzialmente
tra lo stadio Ia e gli altri. Nel primo, la definizione di stadio è basata esclusivamente su dati ottenuti dall’esame
anatomo-patologico del pezzo asportato. Negli altri stadi, la definizione dell’estensione della malattia è fondata
sull’esame ginecologico e su esami strumentali quali l’eTabella 13.5
CLASSIFICAZIONE DEL CARCINOMA
DELLA CERVICE UTERINA APPROVATA
DA FIGO, UICC, AJCC (1997)
FIGO
TNM
I
T1
Carcinoma limitato alla cervice (la diffusione al corpo uterino non deve essere
considerata)
Ia
T1a
Carcinoma invasivo identificato solo microscopicamente. Tutte le lesioni visibili
macroscopicamente, anche se con invasione superficiale, sono considerate T1b/Ib.
L’invasione stromale deve essere ≤ 5 mm e
l’estensione orizzontale ≤ 7 mm
Ia1
T1a1
Invasione stromale ≤ 3 mm ed estensione orizzontale ≤ 7 mm
Ia2
T1a2
Invasione stromale > 3 mm e ≤ 5 mm ed
estensione orizzontale ≤ 7 mm
Ib
T1b
Lesione clinica confinata alla cervice o lesione preclinica più grandi di T1a2/Ia2
Ib1
T1b1
Lesione clinica ≤ 4 cm
Ib2
T1b2
Lesione clinica > 4 cm
II
T2
Carcinoma esteso oltre la cervice ma non
fino alla parete pelvica e/o carcinoma esteso alla vagina ma non al terzo inferiore
IIa
T2a
Carcinoma senza infiltrazione del parametrio
IIb
T2b
Carcinoma con infiltrazione del parametrio
III
T3
Carcinoma esteso alla parete pelvica e/o
interessante il terzo inferiore della vagina
e/o determinante idronefrosi o esclusione
funzionale del rene
IIIa
T3a
Carcinoma senza estensione alla parete
pelvica ma esteso al terzo inferiore della
vagina
IIIb
T3b
Carcinoma esteso alla parete pelvica o
determinante idronefrosi o esclusione
funzionale del rene
IVa
T4
Carcinoma con diffusione della mucosa
della vescica o del retto e/o esteso oltre la
vera pelvi
IVb
M1
Carcinoma con diffusione agli organi a distanza
Grading. G1: ben differenziato; G2: moderatamente differenziato; G3: scarsamente differenziato; G4: indifferenziato.
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GINECOLOGIA
cografia renale, la cistoscopia, la radiografia del torace ecc.
Il limite della classificazione FIGO è quello di essere basata prevalentemente su dati clinici e strumentali, la cui corrispondenza con i dati patologici non è sempre costante.
Ciò vale particolarmente per la definizione dell’estensione
parametriale della malattia, influenzata dalla soggettività
clinica e dalla impossibilità di obiettivare la diffusione subclinica al parametrio; utile, al riguardo, la RMN (risonanza
magnetica nucleare) che dimostra avere un’accuratezza
diagnostica dal 76 all’83%, perché permette di valutare l’estensione della neoplasia, la presenza di invasione dello
stroma, dei parametri, vescica, retto e vagina; la PET attualmente è considerata l’indagine più specifica per la definizione delle metastasi linfonodali.
La stadiazione pTNM è più oggettiva, in quanto postchirurgica; si avvale, infatti, anche dei dati forniti dell’esame
seriato del pezzo operatorio asportato.
Terapia. Per il trattamento del cervicocarcinoma si utilizzano la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, eventualmente integrate, a seconda dell’estensione del tumore
e delle caratteristiche della paziente.
Nello stadio Ia1 la chirurgia può essere limitata alla conizzazione (in casi selezionati di donne giovani con desiderio
di prole, purché i margini del cono siano liberi da malattia
e non sia presente invasione degli spazi vascolari) o alla
semplice isterectomia extrafasciale; nello stadio Ia2, Ib, IIa
con tumore inferiore a 4 cm, la chirurgia di elezione è rappresentata dall’isterectomia radicale (gli annessi possono
essere conservati nella donna giovane), che consiste nell’asportazione dell’utero, del terzo superiore della vagina,
nell’exeresi dei parametri con radicalità modulata in relazione alle caratteristiche del tumore, nella linfoadenectomia pelvica e nella valutazione dei linfonodi para-aortici.
Quando sono documentate metastasi linfonodali nella regione iliaca comune, si procede alla linfoadenectomia aorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore: questi ultimi
sono interventi definiti di isterectomia allargata, in quanto
la demolizione è estesa a strutture periferiche rispetto all’utero; essi sono gravati, per la loro complessità, da complicanze di varia entità: emorragie, danni ureterali e/o vescicali, lesioni di nervi, infezioni ecc.
Ernst Wertheim, ginecologo austriaco, fu il primo ad eseguire laparoisterectomie allargate (1907); perfezionamenti alla
tecnica furono apportati successivamente da Autori quali
Latzko,Okabayashi,Meigs ed altri (vedi Capitolo 35).
In casi selezionati di tumore esteso al retto e/o alla vescica,
primitivo o recidivato, si possono effettuare interventi, molto mutilanti, di eviscerazione anteriore (asportazione della
vescica e derivazione urinaria), posteriore (asportazione del
retto e colostomia) o totale (asportazione di retto e vescica).
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La radioterapia del cervicocarcinoma può essere effettuata in
tutti gli stadi con una percentuale di guarigione dal 70% (stadio I) al 18% (stadio IV); consiste generalmente in una combinazione tra la brachiterapia (o curieterapia) intracavitaria
per aumentare la tensione all’interno del tumore centrale e
la radioterapia (teleterapia) transcutanea con alte energie,
per trattare i linfonodi regionali e ridurre la neoplasia primitiva. Da circa 20 anni il radium classico è stato sostituito dal
cesio (137 Cs), l’iridio (192 Ir) e il cobalto (60 Co). Con queste
fonti è possibile miniaturizzare le apparecchiature in funzione dell’anatomia delle pazienti e computerizzare esattamente le dosi e la sede da irradiare mirando più precisamente il bersaglio e proteggendo il personale sanitario.
La brachiterapia consiste nel posizionare sorgenti radioattive (quali il 60 Co) nel canale cervicale e nei fornici vaginali mediante appositi applicatori e può essere utilizzata da
sola nelle pazienti con malattia iniziale, in assenza di metastasi linfonodali.
La radioterapia transcutanea a fascio collimato con radiazioni fotoniche di alta energia, più frequentemente utilizzando acceleratori lineari, consente di irradiare ampi volumi
con buona omogeneità di dose.
La radioterapia esclusiva è una valida alternativa alla chirurgia
nello stadio Ib,con risultati sovrapponibili quando è disponibile un buon centro di radioterapia. La chirurgia, tuttavia, è
preferibile; essa ha il vantaggio di studiare i fattori di rischio
anatomo-patologici, di modulare la radicalità dell’exeresi, di
preservare la funzione ovarica. Il trattamento completo radioterapico si avvale di una somministrazione esterna, in cui il
volume bersaglio pelvico deve ricevere una dose complessiva
(massa tumorale e linfonodi) corrispondente a 45-50 Gy in 5
settimane (1,8 Gy/5 giorni/settimana) e una endocavitaria,effettuata mediante un’erogazione unica di elevata intensità
(650 Gy nel punto A, situato a 2 cm lateralmente al canale
cervicale e 2 cm sopra il fornice laterale e 150-500 Gy nel punto B,situato sul parametrio a 3 cm all’esterno del punto A).
Nello stadio IIb le pazienti vengono curate con la chirurgia
o la radioterapia a seconda delle scuole oncologiche. Negli
stadi III e IV nelle pazienti anziane o ad alto rischio operatorio è preferibile la radioterapia.
La radioterapia adiuvante postoperatoria viene utilizzata
nelle pazienti sottoposte a chirurgia primaria inadeguata
(ad es.: margini di exeresi chirurgica infiltrati) o ad alto rischio di recidiva per metastasi linfonodali ecc. Vengono
erogate alte energie sul volume bersaglio pelvico (linfonodi iliaci esterni e pelvici) pari a 45-50 Gy/5-6 settimane, da
iniziare non oltre un mese dopo l’intervento.
La radioterapia può essere erogata anche preoperatoriamente 4-6 settimane prima dell’intervento per un totale di
450-500 Gy esternamente e 350-450 Gy endocavitaria:
questo protocollo viene applicato soprattutto nei casi di
carcinoma cervicale a sviluppo endofitico (collo a botte).
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La radioterapia è usata anche nel trattamento delle recidive pelviche del tumore; essa non è esente da complicanze:
infezioni, fibrosi pelvica con stenosi vaginale, ureterale ed
intestinale, fistole urinarie ecc.
Recentemente, grazie all‘introduzione di nuove e più efficaci sostanze antiblastiche (derivati del platino), di nuovi farmaci per il controllo degli effetti collaterali più gravi (antiemetici,fattori di crescita emopoietici),si sono sviluppati protocolli di chemioterapia anche per il cervicocarcinoma. La
chemioterapia può essere impiegata simultaneamente alla
radioterapia (radiochemioterapia) con effetto radio-sensibilizzante (il cisplatino viene utilizzato da solo o in vari regimi
di combinazione con paclitaxel ed epirubicina), sia nel trattamento neoadiuvante (prechirurgico) delle forme localmente avanzate allo scopo di ridurre lo stadio e rendere la
neoplasia operabile (chirurgia radicale), sia nel trattamento
adiuvante (postoperatorio) delle forme ad alto rischio di recidiva (positività di linfonodi lombo-aortici, sia nella malattia recidivante e/o metastastica (chemio-palliativa).
In gravidanza, in presenza di un carcinoma Ia1 dimostrato
dalla conizzazione, si lascia evolvere normalmente la gestazione. In presenza di un carcinoma francamente invasivo può essere prospettata l’interruzione di gravidanza, se la
diagnosi avviene nel primo trimestre, seguita da terapia
adeguata. Se la diagnosi viene posta nel terzo trimestre si
attende la maturità fetale. Nel secondo trimestre sono
spesso preponderanti, nella scelta, criteri decisionali non
medici, per cui il trattamento è del tutto personalizzato.
Prognosi. L’efficacia del trattamento del cervicocarcinoma
è legata alla precocità della diagnosi. I fattori prognostici
sono rappresentati da:
1) stadio: ad esso sono direttamente correlati il rischio di
metastasi linfonodali e la sopravvivenza: 85% al I, 66%
al II, 39% al III, 11% al IV stadio;
2) profondità di invasione stromale: è correlata al rischio di
metastasi linfonodali e di recidiva locale;
3) estensione orizzontale: è correlata al rischio di metastasi linfonodali e di recidiva locale;
4) dimensione del tumore: oltre al rischio di metastasi
linfonodali e di recidive locali, è correlata alla sopravvivenza;
5) stato linfonodale: è il principale fattore prognostico; a
parità di stadio, infatti, in presenza di coinvolgimento
linfonodale la sopravvivenza è peggiore;
6) diffusione neoplastica negli spazi vascolari: correlata al
rischio di metastasi, recidive, sopravvivenza;
7) tipo istologico, grado di differenziazione, recettori ormonali, virus e oncogeni, modalità di infiltrazione e reazione flogistica peritumorale: oggetto di studio, non sembrano influire sulla prognosi.
13
Follow-up. Gli obiettivi del follow-up sono essenzialmente: offrire una diagnosi precoce della persistenza di
malattia e delle recidive; identificare le complicanze tardive del trattamento; sorvegliare le eventuali neoplasie metacrone e fornire un supporto psicologico alla paziente. La
maggior parte delle recidive si sviluppa entro i primi anni dalla diagnosi, per cui il follow-up viene impostato con
controlli ogni 3 mesi entro i primi 2 anni dal trattamento
primario, successivamente ogni 6 mesi fino al quinto anno e, infine, annualmente. La comparsa di segni e sintomi d’allarme (sospetto di recidive: sanguinamento vaginale, edema degli arti inferiori, dolore pelvico) impone
una valutazione urgente del caso. L’iter diagnostico comprende:
1) esame clinico: visita ginecologica vaginale e rettale; Paptest, colposcopia, eventuale biopsia di ogni lesione sospetta;
2) esame radiologico del torace;
3) ecografia renale (stenosi ureterale, ostruzioni unilaterali,
spia di recidiva nel 90% dei casi);
4) TAC addomino-pelvica, che può evidenziare recidive
addominali, retroperitoneali o epatiche;
5) scintigrafia ossea, cistoscopia, Rx torace, urografia, rettocolonscopia in casi sintomatici.
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