...

Anna Ciliberti, Gli errori in classe. in Didattica dell - E

by user

on
Category: Documents
202

views

Report

Comments

Transcript

Anna Ciliberti, Gli errori in classe. in Didattica dell - E
Anna Ciliberti, Gli errori in classe.
Testo di approfondimento per il modulo L’Interazione in classe del Master
in Didattica dell’italiano lingua non materna dell’Università per Stranieri di
Perugia
Per approfondire la nozione di 'errore' -che hai già incontrato nel modulo di
glottodidattica- leggi alcuni stralci adattati da Ciliberti 1995, pp.160-165.
1. Che cos'è un errore
In termini generali, un errore è "una deviazione da una norma in vigore
nella lingua oggetto di studio" (pag.160). Una sua definizione più esatta e la
percezione che ne abbiamo dipendono dalla teoria dell'apprendimento cui
aderiamo. Per un lungo periodo nella storia della didattica delle lingue,
l'errore è stato considerato frutto di interferenza negativa. Fino a tutti gli
anni '60, a seguito del prevalere della teoria skinneriana del
condizionamento operante, gli errori erano infatti considerati un male da
evitare in quanto, si sosteneva, se si commettono vengono inevitabilmente
appresi. L'errore, "come il peccato", doveva essere evitato e la sua influenza
superata! E, qualora fosse commesso nonostante le speciali tecniche di
insegnamento adottate, che controllavano severamente la produzione dello
studente così da minimizzare tale possibilità, esso andava corretto
immediatamente. Per riprendere l'immagine precedente dell'errore come
peccato, se si commetteva un errore bisognava fare penitenza!
Più recentemente è emersa una visione diversa dell'errore, che lo considera
indicazione delle ipotesi compiute dall'apprendente rispetto ai sistemi e
sottosistemi della L2: dunque indicazione dell'aspetto creativo
dell'acquisizione di una lingua. Così come avviene per la lingua madre,
anche la lingua straniera viene appresa non solo per imitazione ma tramite
la costruzione di ipotesi relative alla sua strutturazione e ai suoi significati.
L'errore è dunque una forma scorretta provvisoria, che indica l'adozione di
strategie di apprendimento inadeguate; ad esempio, di una strategia di
semplificazione. Il discente, cioè, regolarizza, o riduce, un sottosistema
della L2 producendo forme del tipo: "*Tu vadi" al posto di "Tu vai"; "*Ha
andato" al posto di "E' andato". Oppure, l'errore può essere frutto di
sovrageneralizzazione di regole operanti nella L2. Il discente applica cioè
delle regole a fenomeni o elementi che con tali regole non hanno alcun
rapporto. Un esempio può essere costituito dall'uso di forme regolari al
posto di forme irregolari nella formazione del plurale dei sostantivi. Infine,
l'errore può essere frutto di interferenza di categorie o regole provenienti
da un'altra lingua, in genere la lingua madre. Ad esempio, un italiano o un
tedesco che imparano l'inglese, seguendo la regola di formazione delle
interrogative valida nelle loro lingue, costruiscono frasi del tipo: " *What
means (that)?" al posto di "What does it mean?"
Ma, nonostante il riconoscimento di motivi razionali ed intelligenti nella
produzione di molti errori, e nonostante l'accettazione verbale del motto: 'la
trasmissione del messaggio viene prima della accuratezza', anche oggi si
continua a temere l'errore e a sanzionarlo.
La correzione degli errrori è spesso dannosa in quanto gli allievi la
sperimentano come insuccesso nei loro sforzi di appropriarsi della nuova
lingua. Così essi si demotivano, si fanno vincere dalla paura di esporsi allo
scherno, di non saper esprimere quello che vorrebbero con lo strumento
linguistico imperfetto che hanno a disposizione, di fare delle gaffe, di farsi
giudicare sciocchi. La funzione demotivante della (di una eccessiva)
correzione viene rafforzata dal fatto che la correzione è spesso congiunta
all'assegnazione di un voto.
2. Caratteristiche della attività di correzione in classe
Come accennato più sopra, la correzione può provocare impazienza,
disattenzione e problemi di faccia. E può facilmente provocare frustrazione
in una situazione istituzionalizzata come quella scolastica in cui il contratto
formativo stipulato tra l'istituzione e l'allievo non è necessariamente il
risultato di una scelta da parte di quest'ultimo, ed in cui il processo
correttivo avviene sempre e soltanto unidirezionalmente, cioè
dall'insegnante all'allievo. Ma, come avviene la correzione in classe?
2.1. Eccesso di correzione e valutazione degli errori
Tutti gli studiosi di interazione in classe concordano nel notare la tendenza
degli insegnanti a correggere troppo ed ad incentrare l'insegnamento sulla
valutazione dell'errore. Sembra cioè prevalere l'assunto che l'inaccuratezza
dello studente nei test che gli vengono somministrati costituisca l'indicatore
più appropriato dei cambiamenti che avvengono nella sua conoscenza della
L2. Paradossalmente, cioè, sono gli errori e non la produzione corretta ad
essere presi come indicazione del grado e del livello di conoscenza
raggiunti. Mentre le deviazioni dalla norma vengono considerate indice di
lacune, di non conoscenza delle regole (anche se la loro causa può essere
dovuta a disattenzione, o al tipo di attività o esercizio cui lo studente è
sottoposto), la produzione corretta del discente viene ritenuta fissa ed
immutabile.
2.2. Rapporto tra forme di riparazione e valutazione degli errori
Una seconda caratteristica dell'attività di correzione in classe è che essa è
spesso indifferenziata. Essa, invece, dovrebbe variare a seconda delle
attività proposte. Se l'orientamento dell'attività è sul codice
-per esempio durante un esercizio meccanico- gli errori vanno corretti
perché gli allievi se l'aspettano e perché, altrimenti, non avrebbe senso fare
un esercizio di questo tipo. Se invece l'orientamento è sulla comunicazione,
la correzione assume un significato diverso. Anche nella classe, cioè, le
correzioni e le spiegazioni sono accettate più facilmente quando il mondo
discorsivo in cui operano gli apprendenti viene delimitato come mondo
didattico e non come mondo comunicativo. La mescolanza dei due mondi
provoca impazienza in quanto rende opaco, poco chiaro, lo scopo primario
dell'attività in corso: 'comunicare' o 'esercitare'?
2.3. Rapporto tra correzione e controllo da parte dell'insegnante
L'attività di correzione da parte dell'insegnante è correlata a quella di
controllo. Un insegnante direttivo, che esercita un rigido controllo sul tipo
di lavoro che ha luogo in classe e sulle tematiche trattate, tende ad
impedire l'iniziativa del discente, tende ad usare strategie di riparazione
reattive, che interrompono la comunicazione, che disturbano l'attività
cognitiva e interattiva del discente. Quando invece l'insegnante cerca di
rendere il discente responsabile del suo apprendimento, delega, almeno
parzialmente, il controllo e, quando lo esercita, lo fa tramite strategie
proattive, che hanno lo scopo di permettere e di promuovere l'interazione
anche durante il processo di riparazione. Tale tipo di riparazione diventa
cioè simile a quello che si verifica nella comunicazione faccia a faccia in
contesti di apprendimento non guidato.
2.4. Verso l'auto-correzione e l'auto-valutazione
Il lavoro di correzione condotto nel modo e nel momento sbagliati può
facilmente interferire con lo sviluppo della capacità di monitoraggio e di
auto-valutazione del discente, creando in lui, oltre che frustrazione, una
forma di continua attesa di aiuto, una forma di 'insegnante-dipendenza'.
Affinché l'allievo raggiunga l'auto-correzione e l'autovalutazione, dovremo
aiutarlo ad imparare ad ascoltare, a comparare e a valutare la sua
produzione nella lingua straniera -dunque anche i vari tipi di deviazione
che commette, la loro relativa gravità, le loro possibili conseguenze. Vi
sono errori che vanno corretti ed errori che possono rimanere tali. Al primo
tipo appartengono gli errori che inficiano la comunicazione, che provocano
irritazione nell'ascoltatore, che forniscono un'immagine del parlante nonnativo che incorre nella stigmatizzazione: un'immagine autoritaria o
arrogante, ad esempio.
L'autovalutazione si esplica in un lavoro di analisi dei dati di entrata, un
confronto con lo stato delle proprie conoscenze, ed una conseguente presa
d'atto delle differenze rilevanti individuate. Questo processo è
indispensabile perché vi sia progresso nello sviluppo dell'interlingua,
perché essa non rimanga fossilizzata ad uno stadio elementare di sviluppo.
Il linguaggio fossilizzato, che tipicizza la produzione di molti parlanti di
una lingua seconda o straniera, sembra proprio causato dal fatto che il
parlante non nativo non riesce più ad analizzare i dati in arrivo, a
paragonarli con la sua produzione, a valutare le differenze e, dunque, a
formulare nuove ipotesi. Si accontenta dello stadio raggiunto dalla sua
interlingua, che diviene così, appunto, fossilizzata.
Riferimenti bibliografici
Ciliberti A. 1995, Manuale di glottodidattica, Firenze, La Nuova Italia.
Fly UP