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Aspetti fiscali nel fallimento - ordine dei dottori commercialisti e degli

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Aspetti fiscali nel fallimento - ordine dei dottori commercialisti e degli
Convegno
ASPETTI FISCALI DEL FALLIMENTO
Relazione
Pordenone, 28 novembre 2011
Auditorium della Regione Friuli Venezia Giulia
dott. Mauro Moras
INDICE
1. ASPETTI GENERALI DEGLI OBBLIGHI TRIBUTARI DEL CURA
TORE E OBBLIGHI CONTABILI
pag. 3
1.1 Premessa
3
1.2. Gli adempimenti contabili del curatore fallimentare
5
2. ASPETTI FISCALI DELL’ESERCIZIO PROVVISORIO
9
3. CESSIONE, COMPENSAZIONE E ASSEGNAZIONE DEI CREDITI
FISCALI
14
3.1 La cessione dei crediti tributari
14
3.2 La compensazione fallimentare nell’ambito tributario
15
3.3 La compensazione fiscale
17
3.4 L’assegnazione dei crediti d’imposta
20
4. RESPONSABILITA’ TRIBUTARIA E PENALTRIBUTARIA DEL CURATORE
22
***
2
1. ASPETTI GENERALI DEGLI OBBLIGHI TRIBUTARI DEL CURATORE E OBBLIGHI CONTABILI
1.1 Premessa
Per illustrare gli obblighi tributari del curatore fallimentare, è necessario preliminarmente mettere a fuoco i principi di carattere generale che presidiano il rapporto tra fallito e
obbligazioni tributarie.
Innanzitutto, si rileva l’assenza nell’ordinamento di una disciplina normativa fiscale organica con riguardo alle procedure concorsuali. Si rinvengono invero numerose norme
speciali, ma non coordinate tra loro1. Tale carenza di organicità ha pertanto generato
un acceso confronto dottrinale e giurisprudenziale sul tema.
Da un lato vi sono la dottrina e la giurisprudenza prevalente, le quali ritengono che in
mancanza di una norma espressa non sia possibile imporre un obbligo specifico al curatore, non potendosi invocare in tale ambito l’analogia trattandosi di norme speciali2.
Dall’altro la posizione dell’Amministrazione finanziaria che vede nell’organo gestorio
della procedura un sostituto del fallito, una sorta di nuovo rappresentante ex lege in
ambito tributario e, in quanto tale, gravato da tutti gli obblighi tributari previsti dalla legge3 qualora questa non li disciplini diversamente.
Il principio fondamentale elaborato dalla dottrina e giurisprudenza è il principio di tassatività4, in forza del quale il curatore deve assolvere tutti e soli gli obblighi specificamente previsti dalla legge, mentre gravano sul fallito gli adempimenti non specificamente trasferiti alla procedura.
Si fa discendere tale principio dalla natura stessa del ruolo di pubblico ufficiale. Secondo questa teoria il fallimento non genera un soggetto d’imposta autonomo, ovverossia
una sorta di massa patrimoniale soggettivizzata diversa dal fallito. Il curatore rimane,
dunque, un soggetto terzo rispetto al fallito, non divenendone il rappresentante legale.
Quale ausiliario di giustizia, egli assume il compito precipuo di amministrare e liquidare
il compendio fallimentare in conseguenza dello spossessamento dei beni del fallito, al
fine di provvedere al pagamento dei creditori concorsuali secondo le regole della par
condicio creditorum. Ne consegue che il curatore non sostituisce il fallito
nell’obbligazione tributaria, rimanendo quest’ultimo il vero soggetto passivo d’imposta,
1
Art. 74-bis DPR 633/72 (Titolo VI – Disposizioni varie), Art. 183 DPR 917/1986, art. 5 e 8 DPR 322/98. Art. 19,
co. 6 DPR 446/97.
2
Brighenti, Il curatore fallimentare e I redditi sfuggiti a tassazione, in BT, 1727, 1994, Cass. 23.06.80 n. 3926.
Comm. Tribut. Centr. 02.05.1994, n. 1359. Cass. 299/1995.
3
Circ. 17.01.74 n. 6.
4
Cass. 28.10.80, n. 5777, Cass. 31.05.86, n. 3639, Cass. 06.11.87, n. 8224, Cass. 14.09.91, n, 9605, Cass. 14.09.91, n.
9606. Cass. 20.03.93 n. 3321, Cass. 22.12.94, n. 11047.
3
ma gli si sovrappone solamente allo scopo di assolvere gli obblighi sanciti dalla legge o
per quelli che ineludibilmente solo egli può svolgere5.
Non si rinviene dunque all’interno della legge fallimentare nessun rapporto di sostituzione o di rappresentanza nei confronti del fallito e non nasce, in ultima analisi, un nuovo soggetto d’imposta.
Tali conclusioni sono avvalorate dalla giurisprudenza della Suprema Corte riguardante
la problematica della presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno anteriore
all’apertura della procedura. A tal proposito, la Cassazione, infatti, è costante nel ritenere “il fallito…soggetto passivo d’imposta, con riferimento sia al periodo anteriore sia
a quello successivo, rimanendo in capo ad esso l’obbligo di presentare la dichiarazione
dei redditi relativamente ai periodi d’imposta anteriori alla sentenza di fallimento”6.
L’impostazione sopra enucleata trova altresì conferma nella giurisprudenza relativa alla
questione della titolarità del rapporto d’imposta e della legittimazione processuale (del
fallito o del curatore) in ordine agli atti notificati dall’Amministrazione finanziaria.
In questo senso, i principi delineati dalla giurisprudenza sono i seguenti.
a) L’accertamento tributario, ove inerente a crediti i cui presupposti siano sorti prima
della dichiarazione di fallimento, deve essere notificato non solo al curatore, in ragione della loro idoneità a partecipare al concorso fallimentare, ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua
qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo questi esposto alle
conseguenze della definitività dell’atto impositivo. Di riflesso permane in capo al curatore l’obbligo di comunicare al fallito gli atti impositivi relativi alla gestione fallimentare al fine dell’esercizio del diritto alla difesa; ciò quanto meno sotto il profilo
della responsabilità nei rapporti tra organo della procedura e fallito.
b) Nell’inerzia degli organi fallimentari, per mancanza di autorizzazione o inattività del
curatore, il fallito è legittimato a esercitare la tutela giurisdizionale7; ciò in funzione
di una lettura sistematica dei disposti di cui all’art. 43 l. fall. e D.Lgs 546/92 e
dell’art. 24 della Costituzione. Vi è da dire che, in tal caso, secondo giurisprudenza
di legittimità, il curatore ha un vero e proprio obbligo di trasmettere al fallito tutti gli
atti che ineriscano a quelle situazioni giuridiche che possano incidere sulla sua sfera patrimoniale quando ritorni in bonis8; in tal caso i termini per impugnare
l’accertamento da parte del fallito decorrono da quando questi ne sia venuto a conoscenza9.
5
A. Capocchi, Il Fallimento, n. 4/2003, p. 466. Messina, Corriere Tributario, 29/2010, p. 2383.
(Cass. Pen. 19.01.2011, n. 1549, Cass. Pen. Sez. III, 20.05.1999, n. 10539. Cass. 27.10.1995.
7
Cass.06.02.2009 n. 2911, 24.02.2006, n. 4235, Cass. 3667/1997, Cass. 14987/2000, Cass.6937/2002. Circ. Ispett.
Comp. Imp. Dirette Milano 18.10.1984 n. 16/8189/A. Cass. 18.12.2008, n. 29642.
8
Cass. 28.04.97 n. 3667,
9
Cass. 20.03.93, n. 3321, Cass. 17.03.95 n. 3094, Cass. 11.07.95 n. 7561.
6
4
c) In caso d’impugnazione della procedura, il fallito ha solo la possibilità di svolgere un
intervento adesivo c.d. dipendente.
D’altra parte che il fallito, con la dichiarazione di fallimento, non perda la soggettività
passiva tributaria è confermato dalla stessa Amministrazione finanziaria con la circolare n. 26/E e la risoluzione n. 171/E del 2002.
Il fallimento pertanto produce una perdita di legittimazione sostanziale, intesa come limitazione della facoltà dispositiva, e la perdita di legittimazione processuale limitata del
suo titolare, nella cui posizione subentra il curatore, ferma restando la titolarità del rapporto tributario in capo al fallito.
Fin qui per quanto attiene i rapporti con l’Amministrazione finanziaria. Il discorso si fa
ovviamente diverso se ci spostiamo nell’ambito del dovere del curatore ex art. 38 l. fall.
di svolgere l’attività con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, preservando da
conseguenze pregiudizievoli il patrimonio fallimentare acquisito. Ed ecco che, qualora
l’inerzia o l’inadempimento del fallito possa cagionare un danno al patrimonio fallimentare o un peggioramento delle aspettative dei creditori concorsuali, il curatore ha il dovere di attivarsi presso gli organi fallimentari per essere autorizzato a svolgere gli adempimenti accessori e complementari, anche di natura tributaria, volti a preservare la
dilatazione del passivo concorsuale o il nocumento all’attivo fallimentare, dovendosi altrimenti individuare una fonte di responsabilità il non aver cercato di evitare tale pregiudizio.
1.2. Gli adempimenti contabili del curatore fallimentare
In questo paragrafo, verranno affrontare le tematiche connesse agli obblighi contabili
del curatore, dando solo un cenno, considerata l’ampiezza dell’argomento, agli aspetti
relativi alla presentazione delle dichiarazioni fiscali.
Le fonti normative di tali obblighi risiedono nell’art. 74-bis del DPR 633/72, nell’art. 183
del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, nonché nell’art. 89, II co. e 38, I co., l. fall.
Per quanto attiene alla normativa civilistica, possiamo affermare che l’impresa fallita
che non svolge esercizio provvisorio non ha l’obbligo di tenere le scritture contabili previste dall’art. 2214 C.C. La norma del codice statuisce, infatti, l’obbligo di tale tenuta solo per gli imprenditori esercitanti l’attività commerciale. Ne consegue che, come chiara
dottrina ha evidenziato, con la perdita della qualifica d’imprenditore commerciale conseguente alla cessazione dell’impresa, vengono meno tutti gli effetti che si ricollegano
alla qualifica d’imprenditore commerciale10.
10
F. Ferrara – F. Corsi, 1987, Giuffrè, “Gli imprenditori e le società”, pag. 71 e ss. Cass. Pen., sez. III, 8 settembre
1999, n. 10539, F. Brighenti, Adempimenti, cit., 86; D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa, 251; E. Stasi, Il
curatore fallimentare, cit., 239; L. Panzani - E. Stasi, Formulario del fallimento, 104, nt. 3; C. Zafarana, Manuale tributario del fallimento, 115.
5
Peraltro la natura di norma speciale della legge fallimentare consente di ritenere prevalente il dato normativo dell’art. 38, che prevede l’obbligo di tenere un registro cronologico, su quello dell’art. 2214; e ciò anche nel caso che si consideri l’ultimazione della liquidazione dell’impresa il momento in cui si verifica la cessazione della qualifica
d’imprenditore commerciale.
La questione è stata affrontata con riguardo alla debenza della tassa di concessione
governativa per la bollatura e la vidimazione dei libri e registri contabili nell’ambito del
fallimento. In tale situazione, i tribunali fallimentari hanno evidenziato che le società dichiarate fallite non rientrano tra i soggetti tenuti alle scritture di cui agli artt. 2214 e
segg. c.c11.
Dal punto di vista fiscale, pur non essendo prevista nell’art. 13 del DPR 600/73 alcuna
deroga espressa, è opinione consolidata che gli obblighi contabili del curatore si esauriscano nel tenere, oltre all'apposito registro vidimato da un membro del comitato dei
creditori ai sensi dell'art. 38 l. fall., i registri prescritti dalla normativa sull'Iva: si ritiene,
infatti, che la peculiare disciplina dettata per la determinazione del reddito del periodo
fallimentare renda inutile la tenuta dell'apposita contabilità obbligatoria ai fini delle imposte dirette.
Nell’ambito tributario tali sono gli adempimenti che spettano al curatore.
A) Ai fini Iva
A 1) per le operazioni ante fallimento, qualora i termini siano ancora pendenti; fatturazione, registrazione delle fatture di acquisto e di vendita entro quattro mesi dalla nomina (art. 74- bis DPR 633/72, I comma);
A 2) per le operazioni post fallimento, anche in caso di esercizio provvisorio, tutti gli
adempimenti previsti dal DPR 633/72; le liquidazioni periodiche sono dovute solo se
sono registrate nel periodo operazioni imponibili; le fatture devono essere emesse entro trenta giorni dall’effettuazione delle operazioni (art. 74-bis, DPR 633/72, II comma);
per le operazioni post- fallimentari si potrà continuare a utilizzare i registri dell’impresa
fallita, avendo cura di separare le registrazioni anteriori da quelle successive che devono peraltro riportare una nuova numerazione progressiva12.
Si osservi che la norma estende al fallimento tutti gli obblighi previsti nel decreto Iva,
salvo per due eccezioni riguardanti la fatturazione e alla liquidazione periodica, mentre,
per quelle prefallimentari, gli obblighi sono individuati e disciplinati.
11
Decreto Tribunale di Udine 07-03-1996 in Le Società, 1996, 7 con nota adesiva di Ianello e Ordinanza del Tribunale di Torino del 19-02-1996. Trib. di Treviso 21.02.1996, Tribunale di Roma 24.02.1996, Tribunale di Milano
20.02.1996.
12
Maffei – Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, p. 1662.
6
Il curatore deve presentare apposita denuncia di variazione ai sensi dell’art. 35 DPR
633/72 entro trenta giorni dall’accettazione della carica13.
Il numero di partita iva rimane lo stesso, in quanto, come si è detto, il fallimento non
costituisce un nuovo soggetto tributario, che rimane invariato, affiancandosi al fallito il
curatore per gli adempimenti tributari previsti dalla legge e che gli competono per le
funzioni che deve svolgere.
Nel caso d’imprenditore che abbia cessato la partita iva, occorre chiedere la riattivazione della stessa, qualora il fallimento abbia da compiere operazioni rilevanti ai fini di tale
imposta.
Tale intervento è spesso disatteso nella prassi, giacché la riattivazione del numero di
partita iva deve essere eseguita entro trenta giorni dalla data di fallimento.
Il fallimento poi non determina il cambiamento della periodicità della liquidazione iva.
La cessazione della partita iva può essere presentata quando sono ultimate le operazioni rilevanti ai fini Iva, che non coincide esattamente con la chiusura del fallimento
(CM 3/92, CM 19/93, Ris. 29.07.94, Ris. 181 12.07.95 e Ris. 1 del 4.01.96).
Infine, si accenna solo alla criticata impostazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale la dichiarazione iva 74-bis sarebbe equiparabile alla dichiarazione di
cessazione dell’attività e conseguentemente legittimerebbe il rimborso del credito iva
eventualmente esistente (Cass. N. 19169/03 e 4104/02 del 22.03.2002). In questo caso, ad avviso di taluno, la Corte erroneamente dimostra di non distinguere la cessazione dell’attività d’impresa con la cessazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva. Fattispecie che si verifica solo con l’ultimazione delle operazioni di liquidazione dell’attivo14.
B) ai fini delle imposte sui redditi
Un cenno sulla tassazione ai fini delle imposte dirette.
B 1) Riguardo al periodo intercorrente dall’inizio del periodo d’imposta e il fallimento: il
reddito imponibile è quello che emerge da apposito bilancio predisposto dal curatore
con le variazioni previste dal testo unico (art. 183, I comma, DPR 917/1986).
B 2) Relativamente al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento, anche in caso di esercizio provvisorio: la base imponibile è pari al differenziale tra il residuo attivo alla chiusura del fallimento e il patrimonio netto dell’impresa o società
all’inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti, determinato in base al bilancio di cui al punto precedente; se il patrimonio netto è negativo, si assume un valore pari a zero (art. 183, II comma, DPR 917/1986).
13
Cass. 20.05.1999, n. 10539, sez. III pen., Comm. Trib. Milano 16.11.1995 n. 379 Contra Comm. Trib. Centr.
02.05.94, n. 1359, comm. Trib. 2° Ravenna 05.05.83,
14
Tale impostazione è criticata da Messina, Corriere Tributario, 29/2010, p. 2383. che ribadisce che con il fallimento
non vi è alcuna cessazione dell’impresa ai fini tributari.
7
B 3) Per quanto concerne la dichiarazione del periodo d’imposta anteriore alla dichiarazione di fallimento, secondo l’Amministrazione finanziaria, se il termine all’atto del fallimento non è ancora scaduto, l’obbligo si trasferisce in capo al curatore15. Tale impostazione è oggetto di aspre critiche in dottrina e giurisprudenza16, in quanto, in virtù del
principio di tassatività descritto in premessa, non si può imporre alcun onere all’organo
gestorio della procedura in mancanza di un espresso precetto normativo.
Come si è detto, il curatore è tenuto a predisporre il bilancio concernente il periodo prefallimentare. Tale bilancio dovrà essere composto di stato patrimoniale e conto economico; e ciò anche nel caso d’imprese che operavano in contabilità semplificata, essendo tale adempimento finalizzato non solo alla determinazione del reddito imponibile,
ma anche alla determinazione del risultato differenziale relativo all’intero periodo fallimentare.
In dottrina è apparsa corretta tale impostazione, posto che con il deposito del fallito delle scritture contabili ex art. 14, la contabilità viene sottratta al fallito per essere consegnata al curatore. E’ dunque ragionevole che sia questi a predisporre il bilancio
dell’ultimo esercizio prefallimentare17, in ottemperanza peraltro all’obbligo sancito
dall’art. 89 l. fall.
In questo contesto e mancando l’obbligo della redazione del bilancio finale, la dottrina
ha ritenuto del tutto superflua18 la tenuta delle scritture contabili elencate nell’art. 14
DPR 600/73, ad eccezione, come si vedrà, del caso di esercizio provvisorio.
Sebbene la legge fiscale non lo preveda direttamente, la conclusione anzidetta viene
tratta dal sistema. Perde, infatti, di ogni funzione il libro giornale. Da un lato tutte le operazioni fallimentari devono essere annotate nell’apposito registro vidimato dal comitato dei creditori; dall’altro, ai fini della determinazione del reddito del periodo fallimentare, rileva solo ciò che residua al termine della procedura. Computo che può essere
agevolmente assolto dal rendiconto del fallimento. Viene pertanto meno l’utilità di registrare i componenti reddituali e di monitorare annualmente il patrimonio dell’impresa.
Finalità cui sono tipicamente finalizzate le scritture contabili dell’imprenditore commerciale.
Per quanto attiene alla redazione del bilancio iniziale di cui all’art. 183 del Tuir, si osserva che tale documento non va confuso con il bilancio di cui all’art. 89, II comma, l.
fall. In tale norma si prevede che il “Il curatore deve inoltre redigere il bilancio
15
Circ. 07.11.1988 n. 5/3401 e Ris. Agenzia delle Entrate 02.02.2007, n. 18/E.
Zafarana, Manuale tributario del fallimento, p. 84, Tonetti Aspetti fiscali delle procedure concorsuali, p. 215, Quatraro – D‘Amora, Il curatore fallimentare, p. 4682, Miccinesi, L’imposizione dei redditi sul fallimento e sulle altre
procedure concorsuali, p. 155, Apice, Fall. 1988, 173, Comm. Tributaria di I grado Rovigo 10.01.1996, Tribunale di
Bologna 19.09.91, Trib. di Venezia 30.04.1987, Cass., 27.10.1995 n. 299 Cass. Pen. 1549 19.01.2011. Contra: Comm
di II grado Roma , Trib. di Trieste 06.06.1987
17
Miccinesi, 1990, 151.
18
Brighenti, 1994, 86, D’Amora 4, 1983 438.
16
8
dell’ultimo esercizio, se non presentato dal fallito nel termine stabilito, e apportare le
rettifiche necessarie e le eventuali aggiunte ai bilanci depositati dal fallito a norma
dell’art. 14”.
Tale adempimento risulta tuttavia spesso di difficile attuazione stante la precaria, se
non addirittura carente, tenuta delle scritture contabili da parte del fallito e, nella prassi,
costituisce spesso un adempimento inapplicabile, non essendovi alcun obbligo in capo
al curatore di provvedere all’aggiornamento e alla ricostruzione di contabilità complesse, incomplete o irregolari19.
Quest’ultimo è un documento endoconcorsuale e pertanto va redatto in conformità alle
disposizioni di cui agli artt. 2423 e segg. c.c., mentre il documento previsto dall’art. 183,
I comma del Tuir espone le attività e le passività del fallimento secondo criteri fiscali.
Si elencano le linee guida che devono essere seguite nella predisposizione del bilancio
fiscale prefallimentare:
a) In primo luogo, dovrà essere costituito da stato patrimoniale e conto economico,
mentre la dottrina ritiene il curatore sia esonerato dalla redazione della nota integrativa20.
b) Rileva il costo fiscalmente riconosciuto degli elementi attivi e passivi e non il valore
di stima.
c) Rilevano le attività e passività aziendali accertate, ancorché non registrate.
d) Sono esclusi gli elementi personali dell’imprenditore individuale.
Ma cosa deve fare il curatore nel caso in cui non siano disponibili le scritture contabili
del fallito, perché sottratte, distrutte o occultate o comunque irregolari?
In tal caso, egli dovrà ricostruire il patrimonio netto dell’impresa in base ai dati comunque in suo possesso, emersi nel corso della procedura fallimentare, in sede di redazione dell’inventario e di accertamento del passivo.
Non vi è pertanto, aldilà di quanto previsto dall’art. 74-bis ai fini Iva, alcun obbligo di natura tributaria di ricostruire contabilità mancanti, carenti o comunque irregolari, dovendosi ricostruire il bilancio iniziale, partendo sì dai saldi di contabilità dell’impresa fallita,
ma potendo utilizzare tecniche extra-contabili.
Vi è al più, nell’ambito della diligenza richiesti dalla natura dell’incarico, un dovere di
adoperarsi per quanto possibile al fine di evitare che dal mancato aggiornamento delle
scritture contabili possa discendere un aumento rilevante del passivo concorsuale a
causa di sanzioni tributarie conseguenti ad accertamenti e iscrizioni a ruolo.
2. ASPETTI FISCALI DELL’ESERCIZIO PROVVISORIO
19
Pajardi, Il manuale del fallimento, Abete Lo Cascio, Fall., p. 335, Il quale evidenzia che nei casi di omessa o irregolare tenuta della contabilità, il curatore dovrebbe limitarsi a una mera denuncia d’inesistenza dei dati contabili e amministrativi.
20
Maffei Alberti commentario breve alla Legge fallimentare, p. 1667. Brighenti, p. 36.
9
L’esercizio provvisorio, secondo quanto prevede l’art. 104 l. fall., comporta la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa ed è disposto, se dall’interruzione
dell’attività possano conseguire danni gravi e purché non arrechi pregiudizio ai creditori, dal Tribunale con la sentenza dichiarativa di fallimento, o dal Giudice delegato, previo parere favorevole del Comitato dei creditori. Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sciogliersi e i debiti sorti
durante la gestione temporanea sono prededucibili. Peraltro, egli non avrà bisogno di
autorizzazioni specifiche per effettuare i pagamenti di tali debiti, compresi quelli di natura tributaria che conservano, ove non diversamente statuito, le scadenze ordinarie degli altri imprenditori, derivando la sua autonomia dall’autorizzazione iniziale degli organi
concorsuali.
L’osservazione fondamentale che se ne ricava, per quanto attiene agli aspetti tributari e
contabili, è che l’esercizio provvisorio comporta la prosecuzione dell’attività d’impresa,
seppur finalizzata alla conservazione dei valori aziendali e alla successiva liquidazione
degli stessi.
Nella sostanza, la prosecuzione (o la ripresa) dell’attività commerciale comporta il mantenimento della qualifica d’imprenditore commerciale, ancorché in capo al fallito e non
al curatore. Ad ogni modo, quest’ultimo sarà direttamente responsabile per gli eventuali
fatti di rilevanza penale21. Al fallito invero saranno attribuiti gli effetti residuali
dell’esercizio provvisorio una volta chiuso il fallimento.
La qualifica d’impresa commerciale rende applicabile l’ordinaria disciplina tributaria alle
operazioni poste in essere dal fallimento.
Il curatore dovrà pertanto informare l’Agenzia delle Entrate di tale fase con la comunicazione ex art. 35 DPR 633/72. Dal mantenimento di tale qualifica deriva l’obbligo di
tenuta delle scritture contabili ai fini civilistici e tributari, con particolare riferimento
all’Irap.
Come abbiamo visto, infatti, ai fini Ires e Irpef, il reddito del periodo fallimentare, ancorché vi sia stato esercizio provvisorio, è determinato con la speciale procedura prevista
dall’art. 183 del Tuir22.
Invero, l’esercizio provvisorio determina il verificarsi del presupposto impositivo ai fini
Irap nel fallimento.
A una prima lettura della disposizione normativa, effettuata nell’immediatezza della sua
entrata in vigore, sembrava che l’esecuzione collettiva rientrasse in ogni caso
21
Cfr. Pajardi, il Manuale del fallimento.
Va detto, tuttavia, che prima della modifica introdotta dall’art. 1, 5^ comma, DPR 542/1999, con il quale si è provveduto a coordinare il contenuto dell’art. 183 DPR 917/86, il curatore, nel caso in cui era stato autorizzato l’esercizio
provvisorio d’impresa, aveva l’obbligo di presentare ai fini delle imposte sui redditi, se il fallimento si protraeva oltre
il periodo d’imposta in corso alla data della declaratoria, la dichiarazione relativa alla residua frazione di periodo e
quelle relative a ogni successivo periodo d’imposta nei termini stabiliti dall’art. 2 del DPR 322/98.
22
10
nell’ambito dei soggetti passivi dell’imposta. Tale interpretazione veniva desunta dalla
considerazione che il presupposto dell’imposta è l’esercizio di un’attività autonoma organizzata diretta alla produzione o scambio di beni o alla prestazione di servizi, dalla
mancata previsione di uno specifico esonero nel comma 2 dell’art. 3 del DPR 446/97,
nonché dall’assoggettamento all’imposta degli enti che si trovano in liquidazione senza
esercizio di attività economica.
Tuttavia, è la lettura del sesto comma dell’art. 19 del decreto istitutivo dell’imposta a
fornire l’esatta chiave di lettura 23. La norma in oggetto testualmente recita: «Nei casi di
liquidazione, fallimento, liquidazione coatta amministrativa, trasformazione, fusione e
scissione di imprese individuali, società ed enti di cui agli artt. 10 e 11 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (abrogati), si osservano le disposizioni ivi previste, con esclusione
dei commi secondo e terzo dell'art. 10 se nelle procedure fallimentare e di liquidazione
coatta non vi è esercizio provvisorio dell'impresa». Inoltre la CM 141/E del 06.06.98 indica chiaramente tra i soggetti passivi dell’imposta il fallimento con esercizio provvisorio.
Ben più chiaro è il comma 4 dell’art. 5 del DPR 322/98, laddove stabilisce che <<Nei
casi di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, le dichiarazioni di cui al comma 1 (dichiarazione prefallimentare e finale) sono presentate, anche se si tratta di imprese individuali, dal curatore o dal commissario liquidatore, in via telematica, avvalendosi del servizio telematico Entratel, direttamente o tramite i soggetti incaricati di cui all'articolo 3, comma 3, entro l'ultimo giorno del nono mese successivo a quello, rispettivamente, della nomina del curatore e del commissario liquidatore, e della chiusura del
fallimento e della liquidazione; le dichiarazioni di cui al comma 3 (dichiarazioni intermedie) sono presentate, con le medesime modalità, esclusivamente ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive e soltanto se vi è stato esercizio provvisorio>>.
Infatti, il comma 3 prevede che: <<se la liquidazione (fallimento) si prolunga oltre il periodo d’imposta in corso alla data (di fallimento) sono presentate, nei termini stabiliti
dall’art. 2 (termine ordinario), la dichiarazione relativa alla residua frazione del detto periodo e quelle relative ad ogni successivo periodo d’imposta.>>24
Dal decreto istitutivo dell’Irap si evincono i seguenti obblighi in relazione al periodo in
cui sono state aperte le relative procedure:
a) Le procedure dichiarate prima del 30 settembre 1997 sono escluse da Irap a prescindere dall’eventuale esistenza dell’esercizio provvisorio, così come le procedure
23
Cfr. Luca Mandrioli, Il Fallimento, 8, 1998, p. 765.
Anche la ris. 21.12.2000, n. 199/e conferma che ai fini Irap, in presenza di esercizio provvisorio, non è configurabile un unico periodo d’imposta corrispondente alla durata della procedura, come avviene ai fini delle imposte dirette, e
sussiste quindi l’obbligo delle dichiarazioni infraprocedurali.
24
11
aperte e chiusesi entro il 01/01/199825; ciò in base alla lettura combinata delle norme contenute nel primo e secondo comma dell’art. 37 del D.Lgs 446/97.
b) Le procedure dichiarate dopo il 30/09/1997 e ancora in essere allo 01/01/1998 sono
soggette a Irap solo se vi è esercizio provvisorio26;
Vediamo ora di distinguere gli obblighi Irap in relazione alla presenza o meno di esercizio provvisorio.
In mancanza di esercizio provvisorio:
a. occorre presentare la dichiarazione ai fini Irap relativa al periodo intercorrente tra
l’inizio del periodo d’imposta e la dichiarazione di fallimento entro la fine del nono
mese successivo alla dichiarazione di fallimento; se risulterà un credito del fisco,
nessun obbligo di pagamento ricadrà ovviamente sul curatore, trattandosi di un debito concorsuale e l’Ufficio s’insinuerà nel passivo;
b. non vi è l’obbligo di presentare la dichiarazione del periodo anteriore, ancorché siano pendenti i termini, incombendo tale adempimento al fallito che conserva la capacità tributaria optimo jure, similmente a quanto avviene ai fini delle altre imposte
dirette;
c. per quanto attiene al periodo fallimentare, se non vi è esercizio provvisorio, nessun
obbligo compete al curatore, non essendo il fallimento soggetto passivo
d’imposta27.
In presenza di esercizio provvisorio:
I)
per il periodo intercorrente tra l’inizio del periodo d’imposta e la dichiarazione di fallimento; come nel caso sub a);
II) per il periodo anteriore; come il caso sub b);
III) per il periodo intercorrente tra la data di fallimento e la fine del primo periodo
d’imposta (annuale), in caso di durata ultrannuale dell’esercizio provvisorio, entro i
termini ordinari (30/09);
IV) per i periodi annuali successivi; entro i termini ordinari;
V) per il periodo intercorrente tra l’inizio del periodo d’imposta e la data di chiusura
dell’esercizio provvisorio; la norma non è chiara è la dottrina propone tre diverse
soluzioni:
i)
Entro i termini ordinari (30 settembre dell’anno successivo)28;
ii) Entro nove mesi dal decreto di chiusura dell’esercizio provvisorio29;
iii) Entro il termine previsto per la dichiarazione di chiusura ai fini Ires, ossia entro
nove mesi dal decreto di chiusura del fallimento 30.
25
Cfr. Luca Mandrioli, L’Irap nel fallimento, Il fallimento, 8/1998 p. 765.
Circ. Min. 4 giugno 1998 n. 141/E e istruzioni ministeriali quadro IQ.
27
Trib. di Alba 24.02.1998.
28
Zafarana, Manuale Tributario del fallimento, p. 131.
29
Maffei – Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2009, p. 609.
26
12
Si ritiene preferibile la soluzione di cui al punto i). La soluzione ii) è prudenziale, ma
non trova conferma nel dato normativo e la soluzione iii), sebbene appaia più aderente
alla lettera della norma, porta a situazioni paradossali: si pensi, ad esempio, alle difficoltà riscontrabili nel presentare la dichiarazione Irap e a liquidare l’imposta dopo tanti
anni, utilizzando una modulistica superata e un sistema normativo non più in vigore da
tempo.
I versamenti dell’Irap andranno eseguiti in prededuzione, se riferiti alla gestione durante l’esercizio provvisorio, nei termini ordinari stabiliti dal DPR 435/2001 art. 17 (16 del
sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta). Il fallimento è tenuto altresì al versamento degli acconti, anche relativamente al I periodo.
Per quanto attiene agli obblighi contabili, l’art. 20 della legge istitutiva dell’Irap sancisce
l’obbligo di osservare gli obblighi documentali e contabili ai quali sono tenuti gli imprenditori commerciali ai fini delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto.
Si osserva che le gestioni patrimoniali e contabili dell’esercizio provvisorio e della liquidazione fallimentare devono rimanere separate: le prime saranno documentate nelle
scritture previste dal codice civile e dal DPR 600//73, le seconde solamente nello speciale registro di cui all’art. 38 l. fall. Il curatore dovrà dunque formare il bilancio iniziale
dello specifico ramo d’impresa per il quale è disposto l’esercizio provvisorio31. Al più, se
i parametri della ditta fallita lo consentono, potrà essere tenuta la contabilità semplificata.
Nel giornale del fallimento andrà riportato solo il saldo finanziario finale della gestione
dell’esercizio provvisorio. E’ bene che vengano istituiti due distinti rapporti di conto corrente separati. Le plusvalenze dei beni e i ricavi di godimento rileveranno solo se aventi
natura ordinaria e ascrivibili al complesso aziendale interessato dall’esercizio provvisorio32.
Tra gli obblighi contabili facenti capo al curatore si annovera infine la formazione del
rendiconto semestrale e di chiusura dell’esercizio provvisorio ex comma 5 art. 104 l.
fall. da depositarsi in cancelleria. Tale documento sarà un vero e proprio bilancio costituito da stato patrimoniale, conto economico e relazione illustrativa, con indicazione
delle future prospettive economiche della continuazione.
A chiusura dell’argomento e in conseguenza di quanto detto, appare evidente che in
caso di esercizio provvisorio vi sarà pure l’obbligo di corrispondere la tassa di concessione governativa sui libri contabili.
30
M. Grassano, il Fallimento/2002, p. 218; Stasi, Il fallimento,/1999, p. 129; Mandrioli, Corriere Tributario, 41/2000
p. 2989
31
Statti, Corr. Trib. 98, 2731. Mandrioli, Il fallimento, 98, 768. Dulcamare – Berardo, Corriere Tributario, 20/1998, p.
1516.
32
Statti F. op. cit.
13
3. CESSIONE, COMPENSAZIONE E ASSEGNAZIONE DEI CREDITI FISCALI
3.1 La cessione dei crediti tributari
Aldilà del rimborso, i tre strumenti a disposizione del curatore per incassare i crediti erariali sono la cessione, la compensazione e la loro assegnazione in sede di riparto finale.
I crediti erariali che solitamente ostacolano la chiusura della procedura sono il credito
iva e per le ritenute d’acconto subite sugli interessi attivi bancari.
Escludendo che il credito derivante dalle ritenute subite possano essere chieste a rimborso in corso di procedura33, dovendosi invero attendere il decreto di chiusura del fallimento a seguito del quale presentare la presentazione della dichiarazione dei redditi
finale, è certamente consentita in corso di procedura la cessione dei crediti erariali ai
sensi degli artt. 1260 -1267 c.c. Le fonti normative che, rispettivamente per le imposte
dirette e per l’iva, disciplinano tale possibilità sono l’art. 43 bis (introdotto il 28/12/95),
DPR 602/73 che prevede, al comma 1, che le disposizioni degli artt. 69 e 70 del RD
18.11.23, n. 2440, si applichino anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella
dichiarazione dei redditi, e l’art. 5, co. 4 ter dl 14.03.88, n. 7034. La cessione dovrebbe
riguardare solo i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale richiesti a rimborso e deve
comprendere anche gli interessi.
Si possono cedere anche i crediti futuri, condizionali o non esigibili in quanto la norma
è stata interpretata dalla dottrina come una norma di portata procedimentale e non sostanziale.
Visto che il credito per ritenute si forma man mano che vengono effettuate, non vi è ragione per escludere la cessione ancora prima di presentare la dichiarazione a rimborso
d’imposta ovvero prima della chiusura del fallimento. In questo senso, la giurisprudenza è venuta a estendere la possibilità di cedere i crediti erariali rispetto a quanto letteralmente previsto.
Si può dunque ricorrere all’istituto della cessione dei crediti futuri, pacificamente ammessa in giurisprudenza e in dottrina35, oppure, più semplicemente, alla cessione di
crediti sorti ma non esigibili e alla cessione di crediti condizionali. La cessione di crediti
futuri avrà, in questo caso, effetti obbligatori, implicando il trasferimento della titolarità
attiva del rapporto di credito nello stesso istante in cui il credito verrà a esistenza, in al-
33
Cass. 13154 29.12.95
Le modalità e gli adempimenti da osservare dai soggetti interessati sono stati definiti dall’Amministrazione finanziaria nelle successive circolari 28.10.88, n. 223, cir. 30.03.89, n. 71 e circ. 11.08.93 n. 19 e circ. 08.07.97, n. 192/e, e
il DM 30/09/97 n. 384.
35
Tesauro 2003, 886
34
14
tre parole con la presentazione della dichiarazione dei redditi finale del curatore36. Negli
altri casi l’effetto traslativo è immediato.
La particolare forma scritta richiesta per la cessione, secondo dottrina prevalente, è ad
probationem e non ad substantiam, cioè per rendere opponibile la cessione
all’Amministrazione finanziaria e lo stesso dicasi per la notifica rituale.
Peraltro anche la stessa Amministrazione finanziaria, dopo un’iniziale reticenza, ha pacificamente ammesso (Ris. 12.08.2002, n. 279/e) la cedibilità dei crediti erariali futuri (e
a maggior ragione non esigibili o condizionali). Da ultimo, la riforma della legge fallimentare, all’art. 106, ha esplicitamente contemplato tale possibilità.
Anche la prassi dei tribunali fallimentari riconosce la legittimità della cessione delle ritenute d’acconto e per Iva maturate nel corso della procedura, evidentemente prima di
presentare le dichiarazioni finali (cfr. Comunicazione Tribunale di Milano del 3 luglio
2006).
Ovviamente il curatore dovrà munirsi delle autorizzazioni degli organi del fallimento e la
cessione dovrà essere prevista nel programma di liquidazione, nel rispetto di procedure
competitive di selezione dell’acquirente.
La cessione dovrà risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e deve
contenere l’esatta individuazione delle parti e la previsione dell’obbligo di notifica.
L’atto di cessione deve essere obbligatoriamente notificato dal cedente, tramite ufficiale
giudiziario, sia all’ufficio tributario sia al concessionario della riscossione.
Il cessionario non può cedere il credito oggetto della cessione.
Restano ferme le disposizioni relative al controllo delle dichiarazioni e delle relative rettifiche e irrogazione di sanzioni nei confronti del cedente (art. 5 dl 14.03.88), cosicché
anche qualora erogato il rimborso, l’ufficio accerti l’indebito potrà ripetere anche presso
il cessionario le somme rimborsate, il quale resta solidalmente responsabile con il cedente per la restituzione del rimborso indebitamente eseguito.
Una particolare attenzione andrà osservata da parte dei curatori nella cessione dei
crediti erariali per il rischio di dover rispondere verso il cessionario dell’esistenza del
credito ex art. 1266 c.c. Nell’atto, tale garanzia andrà esclusa in capo al curatore, che
comunque rimane eventualmente responsabile per fatto proprio.
3.2 La compensazione fallimentare nell’ambito tributario
Per quanto attiene ai crediti e debiti verso l’erario, nell’ambito fallimentare possono operare la compensazione ex art. 56 l. fall. e quella fiscale.
La compensazione fallimentare trova la norma di riferimento nell’art. 56 l. fall., ai sensi
del quale “i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti
36
Cass. 4040 11.05.1990 e Cass. 8333 del 19.06.2001.
15
che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”.
Com’è noto, la norma speciale della legge fallimentare si differenzia dalle norme del
codice civile relative alla compensazione legale (1241 e ss. c.c.), in quanto non è richiesto il requisito dell’esigibilità delle obbligazioni.
Trattandosi di norma che comporta, per certi versi, una soddisfazione del creditore al di
fuori delle regole del concorso, essa va interpretata in senso restrittivo.
Per operare la compensazione è necessario che vi sia il rispetto delle altre condizioni
previste dalle disposizioni civilistiche. Ossia, mettendo da parte l’omogeneità, posto
che si tratta pur sempre di crediti erariali pecuniari, le obbligazioni devono essere reciproche (di un soggetto verso l’altro) e liquide (determinabili nel loro ammontare).
Per essere compensabili secondo le disposizioni della legge fallimentare, i crediti devono, non tanto essere sorti prima del fallimento, ma trovare prima di esso la loro radice causale (C. 91/3006, C. 03/8042, C. 01/11288, 99/12318, S.U. 99/775). Gli altri presupposti possono, secondo linee interpretative innovative delineate dalla Cassazione,
verificarsi anche durante la procedura (Cass. 12.02.2008, n. 3280).
In questo senso, la Procedura e l’Amministrazione finanziaria potranno compensare il
credito Iva emergente dalle scritture contabili già dallo 01.01 dell’anno successivo
all’apertura della procedura con i debiti tributari ante fallimento; e non vi è tal fine necessità di preventiva ammissione al passivo dei debiti tributari37.
Una volta ammessi, la compensazione potrà operare lo stesso ope legis, senza necessità di alcun provvedimento autorizzativo e non comporterà alcuna variazione dello stato passivo, dovendo il curatore tener conto della stessa come strumento estintivo
dell’obbligazione in sede di riparto.
Al contrario gli organi della procedura e l’Amministrazione finanziaria non potranno operare la compensazione dei crediti erariali sorti dopo con debiti tributari preconcorsuali
del fallito (Comm. Trib. Toscana 19.06.99, n. 64 e Cass. 01.07.2003, n. 10349 e Cass.
15.12.2003, n. 19169).
Per le stesse motivazioni, ossia il difetto di reciprocità, la Suprema Corte afferma che
l’Amministrazione finanziaria non può eccepire la compensazione né del credito del fallito ante fallimento con i debiti d’imposta successivi (19169/2003, Cass. 26.07.2002, n.
11030)38, né dei debiti ante fallimento con i crediti per ritenute formatesi durante la procedura, una volta tornata in bonis la società (Cass. 01.07.2003, n. 10349).
37
Vi è tuttavia una sentenza di merito che, per difetto del requisito della reciprocità, ritiene che non siano compensabili posizioni inerenti a tributi diversi (es. Iva e imposte dirette Trib. di Como 12.12.92).
38
Con commento favorevole di Stesuri, in Il Fall. 12/2004, p. 1354.
16
3.3 La compensazione fiscale
Questa tipologia di compensazione è prevista dall’art. 17, D.Lgs 9.7.97, n. 241. Con tale norma tutti i contribuenti possono compensare i crediti e debiti per le imposte, tasse
e contributi, indicati nelle dichiarazioni presentate entro la data di presentazione della
dichiarazione successiva.
Nello statuto del contribuente, la compensazione fiscale è stata riconosciuta come
strumento generale di estinzione dell’obbligazione tributaria.
Dopo la modifica introdotta dall’art. 2 D.Lgs 422/98 e dal Dl 01.07.2009 n. 78, la compensazione di crediti iva eccedenti euro 10.000,00 richiede la preventiva presentazione
della dichiarazione (decorrenza 01.01.2010).
Peraltro, il nuovo comma 49 bis dell’art. 37 D.L. 223/2006 pone a carico di tutti i contribuenti che intendono effettuare la compensazione di crediti iva superiori a 10.000,00 di
utilizzare esclusivamente il canale telematico39. Mentre, si rammenta che in forza della
Circ. 30/E 29/09/2006, i curatori erano esonerati dall’utilizzo del servizio telematico, in
quanto difficilmente compatibile con i vincoli all’utilizzo di somme previsti dalla legge
fallimentare.
In secondo luogo, i contribuenti, ivi compresi i fallimenti, che intendono effettuare compensazioni di crediti Iva superiori a 15.000,00 hanno l’obbligo di richiedere
l’apposizione del visto di conformità da parte di professionisti iscritti all’albo dei commercialisti o dei consulenti del lavoro ovvero dei Caf o da soggetti iscritti nei ruoli degli
esperti delle camere di commercio in possesso dei requisiti di cui all’art. 3, terzo comma, lett. b), DPR 322/1998.
L’asseverazione potrà essere anche apposta dal curatore, se in possesso dei requisiti
previsti.
Permane il tetto massimo da utilizzare in compensazione di Euro 516.456,90.
Vi è da ultimo la limitazione introdotta dall’art. 31 del Dl 31.05.2010, n 78 che introduce,
con decorrenza 01.01.2011, la preclusione a procedere a compensazione orizzontale
nell’ipotesi in cui il contribuente, titolare di crediti relativi a imposte erariali, sia al contempo debitore di somme iscritte a ruolo per imposte erariali e accessori di importo superiore a 1.500,00 euro che risultano dovute per scadenza del relativo termine di versamento.
A tal riguardo, vi è stato un ampio chiarimento dell’amministrazione che ha pacificamente ammesso la non operatività dei predetti limiti nel caso di debiti erariali iscritti a
ruolo nei confronti del fallito (per debiti ante fallimento) e crediti formatisi successivamente (Circ. 13/e dell’11.03.2011 e Circolare Consiglio Nazionale dottori commercialisti
ed esperti contabili del 10.05.2011 n. 23/IR). La circolare ministeriale, richiamando la
39
E. Stasi, Il fallimento, 10/2009, p. 1243. Berardo Guido e Dulcamare Vito, Corriere Tributario, 9/2010, p. 673.
17
precedente risoluzione 279 del 2002 ha evidenziato che non possa operare la compensazione tra crediti o debiti verso il fallito e debiti e crediti verso la massa fallimentare, trattandosi di posizioni sorte in momenti diversi e in capo a soggetti diversi.
Da quanto sopra consegue che ricadrebbe nella limitazione prevista dall’art. 31 DL
78/2010 la sola compensazione orizzontale di crediti ante fallimento con debiti sorti nel
corso della procedura40.
Si osserva tuttavia che per crediti iva superiori a 15.000,00 difficilmente il disordine
amministrativo e contabile che spesso caratterizza la fase terminale dell’impresa consentirà il rilascio del visto di conformità.
In realtà, come si è avuto modo di precisare, la mancanza di limitazione non opererebbe non tanto per tale asserita diversità soggettiva41, ma perché qualora fosse ammessa
si ammetterebbe implicitamente la possibilità dell’erario di compensare i debiti ante fallimento con i crediti tributari post fallimento, violando in tal modo sia l’art. 56 l. fall. sia la
par condicio creditorum.
Occorre a questo punto valutare la compatibilità di tale strumento compensativo con la
fattispecie della compensazione fallimentare. In particolare si dovrà esaminare se, in
qualche modo, non si abbia violazione della par condicio creditorum.
Si osserva in dottrina che la compensazione fiscale costituisce un istituto diverso e autonomo rispetto a quella civilistica e della correlata compensazione fallimentare, per
cui, non essendovi nessuna norma che vieti al curatore di utilizzarla, l’unico limite è costituito dal divieto di violazione della par condicio42.
Occorre, a tal fine, esaminare tre distinte ipotesi:
La prima ipotesi riguarda la compensabilità di un debito del fallito verso l’A.F., ammesso al passivo, con eccedenze d’imposte maturate nel corso del fallimento.
La compensazione ex art. 56 l. fall. è preclusa, mentre la compensazione fiscale è consentita purché non leda la par condicio. La compensazione dovrebbe avvenire in sede
di riparto parziale o finale, essendo questo l’unico momento in cui può avvenire il pagamento dei creditori concorrenti, indicando il credito tra l’attivo realizzato del prospetto
delle somme disponibili (e del rendiconto) del curatore43. Il pagamento sarà effettuato
mediante presentazione di delega Mod. F24.
In questo modo, il più delle volte, si consente una recuperabilità diversamente non attuabile in pendenza di procedura.
E in tal direzione si cita la notazione conclusiva della Circolare del Consiglio nazionale
dei dottori commercialisti ed esperti contabili del 10.05.2011 laddove evidenzia che
“appare sostenibile l’ipotesi che, al fine di favorire la speditezza della procedura, il cura40
Diritto e pratica delle società 01.06.2011.
Vedasi in premessa.
42
Mandrioli 2001, 284
43
Pollio, 2001 123.
41
18
tore, previa autorizzazione del giudice delegato possa procedere in sede di riparto ex
art. 117 l. f. a compensare qualsiasi credito erariale liquido, sorto in corso di procedura
e utilizzabile in compensazione ex art. 17 D.Lgs 241/97, con un debito per qualsiasi
imposta erariale ammesso al passivo. Ciò peraltro appare avvalorato dall’ampliamento
contenuto nel co. 1 dell’art. 31 del DL 78/10 che ha ammesso il pagamento di qualsivoglia somma iscritta a ruolo per imposte erariali tramite compensazione da effettuarsi
nel Modello F24 secondo le modalità applicative contenute nel dm 10.02.2011.”
La seconda ipotesi riguarda la compensabilità di un debito di massa (sorto durante la
gestione fallimentare) con un credito del fallito verso l’A.F. ante fallimento. In questo
caso non vi è alcuna violazione della par condicio.
La dottrina maggioritaria nega che si possa procedere alla compensazione di tali poste
per assenza del requisito di reciprocità (credito del fallito e debito del fallimento) e di
coesistenza dei rapporti obbligatori. Vi sarebbe poi un problema anche di equità, nel
caso in cui l’attivo non fosse sufficiente al pagamento di tutti i debiti prededucibili44.
A ben vedere tali ostacoli sono facilmente superabili. In primo luogo, si osserva che la
compensazione fiscale è uno strumento diverso da quella fallimentare, che il contribuente (la procedura) ha la facoltà di utilizzare. Quindi non soggiace alle regole dell’art.
56 l. fall. (reciprocità e anteriorità delle obbligazioni alla sentenza di fallimento).
Inoltre, come la giurisprudenza ha osservato, il fallimento non rappresenta un diverso e
terzo soggetto rispetto al fallito; ciò in quanto questi mantiene in capo a sé la soggettività tributaria, sebbene diversi obblighi fiscali siano svolti dal curatore in pendenza di procedura45. Infine, non vi è nemmeno il rischio di una violazione della par condicio, considerato che il curatore ha la facoltà anche di compensare una parte del credito e non
tutto.
A tal riguardo, alcuni sostengono che la reciprocità delle obbligazioni non verrebbe
meno per effetto del fallimento e quindi potrebbe sempre sussistere la possibilità di ricorrere alla compensazione ex art. 17 D.Lgs 241/97 ovvero, in via residuale, a quella
dell’art. 8 dello Statuto del contribuente46.
Peraltro, si osserva che già le istruzioni al modello Iva art. 74 bis vietano al curatore di
chiedere al rimborso l’eventuale credito iva con la dichiarazione speciale infrannuale,
essendo obbligato invero a computarlo in detrazione nel periodo successivo (in senso
contrario però Cass. 28.04.2006, n. 10004, che ammette la possibilità di chiedere a
rimborso subito il credito).
44
A favore della tesi della compensabilità del credito del fallito ante con il debito della procedura sorto dopo, essendo
lesiva della par condicio solo quella opposta cioè debito ante e credito post: Marinucci, i crediti producibili nel fallimento, p. 206, Ferrara Il Fallimento, 335, Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, p. 277. Contrari: Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, 1996, 247, Inzitari, Commentario Sciaoloja Branca alla legge fallimentare, 195 e Cass.
10349/2003 e 19169/2003.
45
Mandrioli, 2001, 286. Messina, Corriere Tributario 29/2010.
46
Messina Sebastiano Maurizio, Corriere Tributario, 29/2010, p. 2383
19
L’unica accortezza che egli avrà cura di verificare è che il credito sia fondato (due diligence fiscale47).
La terza ipotesi di compensazione non pone problemi, riguardando i rapporti di credito
e debito maturati successivamente all’apertura del fallimento.
3.5 L’assegnazione dei crediti tributari
Tale possibilità è prevista dall’art. 117 l. fall. che prevede la possibilità del giudice delegato di assegnare a uno o più creditori concorrenti che vi consentano, e nel rispetto
delle cause di prelazione, i crediti d’imposta non ancora rimborsati, in luogo delle somme agli stessi spettanti.
La disposizione innova la norma relativa alla disciplina del riparto finale. A tal riguardo,
il legislatore non ha dato particolari spiegazioni, neppure nella relazione illustrativa. Tale innovazione è stata accolta con particolare favore, in quanto volta a favorire il realizzo dei crediti erariali e, in ultima analisi, la speditezza della procedura.
Vediamo ora le caratteristiche operative principali di tale disposizione:
a) essa può avvenire solo in occasione del riparto finale;
b) il trasferimento dei crediti deve avvenire nel rispetto delle cause di prelazione,
per cui la cessione potrà aver luogo a favore dei crediti di grado più elevato,
proporzionalmente ai rispettivi ammontari48;
c) i
creditori
assegnatari
devono
dare
preventivo
consenso
esplicito
all’assegnazione.
Diciamo subito che sull’argomento non si rinviene allo stato alcuna pronuncia giurisprudenziali e neppure particolari approfondimenti dottrinali.
Vediamo, ad ogni modo, di mettere a fuoco la natura giuridica dell’istituto. Il termine
“assegnazione” richiama chiaramente quanto previsto dall’art. 2928 del codice civile e
l’art. 553 del codice di procedura civile relativamente alle esecuzioni individuali che
hanno per oggetto crediti pignorati presso terzi.
In effetti, il parallelismo tra la procedura esecutiva collettiva (il fallimento) e individuale
sembra piuttosto calzante. E quindi, al pignoramento, nel fallimento si avrà la sentenza
di fallimento e al posto dell’ordinanza di assegnazione, vi sarà il decreto di esecutività
del piano di riparto contenente un’esplicita disposizione del giudice delegato di assegnazione del credito tributario, come nel dettaglio esposto nel piano di riparto stesso.
L’assegnazione realizza pertanto, in forza del decreto del giudice, un immediato effetto
traslativo della titolarità del credito, con gli effetti previsti nell’art. 2928 c.c., laddove si
prevede che il diritto del creditore assegnatario verso il debitore che ha subito
47
Verifica: a) esistenza documentazione contabile a supporto; b) esistenza e regolarità delle dichiarazioni fiscali accertabili; c) eventuale esistenza di attuali o potenziali contenziosi tributari; d) attestazione ex art. 10 DL 269/2003; d)
attestazione carichi pendenti all’ufficio e all’esattoria.
48
M.R. Grossi. La riforma della Legge fallimentare, p. 1593.
20
l’espropriazione (il fallito) non si estingue se non con la riscossione del credito assegnato. Sono inoltre ammesse assegnazioni di crediti condizionali, non liquidi e non esigibili, quali possono appunto essere i crediti d’imposta.
Vediamo come possiamo procedere dal punto di vista operativo.
Prima della novella, la prassi utilizzata da alcuni tribunali consisteva, nell’attribuzione in
sede di riparto (finale) dei crediti tributari non riscossi e/o non utilizzati, con conferimento a un istituto di credito del mandato di riscuoterli e di distribuirne il ricavato tra i creditori secondo le modalità previste nel riparto stesso49. Si trattava, più esattamente, dei
crediti per iva e per ritenute d’acconto subite emergenti dalle dichiarazioni finali che il
curatore era poi chiamato a presentare50.
Si tratta in buona sostanza di un mandato nell’interesse del terzo ex art. 1723, comma
2, c, c., a titolo oneroso o in parte aleatorio.
Per operare, è auspicabile che i creditori stessi indichino le loro coordinate bancarie e
che sia la banca ove è stato aperto il deposito del fallimento a provvedere al bonifico
delle somme loro assegnate in sede di riparto51.
Tuttavia, vi è chi aveva visto la possibilità del fallito tornato in bonis di revocare il mandato conferito dal tribunale, potendosi ravvisare una giusta causa di recesso nella violazione delle disposizioni relative alla garanzia patrimoniale dei creditori non concorrenti che dopo la chiusura della procedura possono ritornare a rivalersi sui beni del debitore ex- fallito52.
Alla luce della novella, l’obiezione suddetta non appare condivisibile non appena si
pensi che l’assegnazione, secondo i principi interpretativi sopra enucleati, comporta il
pieno e immediato trasferimento del credito allo stesso modo di una cessione e che il
mandato irrevocabile è solo uno strumento per ottenere l’incasso del credito
dall’Amministrazione finanziaria in modo più agevole e non un elemento essenziale del
provvedimento. In questo senso, il fallito tornato in bonis non ha nessun potere dispositivo sul credito in argomento, essendo stato legittimamente disposto a favore di terzi
dagli organi della procedura concorsuale, e quindi non potrebbe revocare in nessun
caso il mandato.
Per quanto attiene alle modalità operative, il curatore avrà cura di inserire nel rendiconto tra le attività realizzate anche i crediti che intende assegnare53e chiedere il consenso
del creditore assegnatario prima della formazione del riparto formale.
49
Tribunale di Sulmona, circolare 21.04.2004, n. 2 – D’Orazio. In “Il Fallimento”, 4/2005, p. 471. Stefano Tonetti,
Aspetti fiscali delle procedure concorsuali, p. 333.
50
V. Greco, La cessione e il riparto fra i creditori del credito di imposta derivante dalle ritenute operate sugli interessi
corrisposti al curatore fallimentare. Riflessioni sul c.d. residuo attivo, in Dir. Fall., 2000, I 683.
51
Greco
52
E. Stasi, Sui crediti tributari formati nella procedura fallimentare, “Il Fallimento, 4/2005, p. 1473.
53
S. Tonetti, cit.
21
I crediti assegnati andranno individuati con precisione nel piano di riparto e attribuiti
pro-quota ai creditori con grado successivo a quello pagato con liquidità o anche no,
laddove si abbia un creditore che accetti di essere pagato con tale assegnazione anziché con somme liquide. In tal caso, si osserva, il credito assegnato potrebbe essere
oggetto di valutazione. Per la verità operazione alquanto difficile, laddove vi fosse uno
o più creditori e non tutti quelli dello stesso grado che accettino l’assegnazione in luogo
della distribuzione di somme, dovendosi tener conto della data di presumibile incasso e
dell’eventuale alea al fine di una riduzione di tale valore54. Qualche autore solleva il
dubbio che di tal evento futuro si possa tener conto, attribuendo ai creditori assegnatari
un credito di valore nominale superiore rispetto ai creditori di pari grado che vengono
pagati in denaro55.
Ma, forse, anche tale problematica è priva di rilevo, allorquando maturino interessi di
cui potrebbero beneficiare i creditori assegnatari, anche se taluno vede in tale caso una
violazione dei diritti degli altri creditori concorrenti56.
Dopo il decreto che rende esecutivo il piano di riparto, il progetto stesso, in uno con il
decreto del giudice, andrà notificato all’Amministrazione finanziaria e al concessionario
della riscossione competente, in virtù dell’applicabilità delle disposizioni operative delle
cessioni dei crediti tributari anche al trasferimento coattivo in sede di esecuzione forzata presso terzi57.
Un’ultima annotazione di carattere tributario: il piano di riparto che preveda
un’assegnazione di crediti dovrebbe essere soggetto a registrazione con applicazione
dell’aliquota dello 0,5% (Art. 6 Tariffa allegata al DPR 131/9 e CM 27.12.93, n. 45).
4. RESPONSABILITA’ TRIBUTARIA E PENALTRIBUTARIA DEL CURATORE
Per esaminare in modo corretto il tema della responsabilità tributaria nel fallimento, occorre ancora una volta tenere in considerazione in via preliminare il principio fondamentale enucleato in premessa, che investe il rapporto tra curatore e obbligazione tributaria, ossia il principio di tassatività, in base al quale non vi è responsabilità tributaria
in capo al medesimo se non per la violazione degli specifici obblighi attribuitigli dalla
legge.
Per il resto, le norme nell’ambito fallimentare non divergono da quelle applicabili alla
generalità dei soggetti, dovendosi tenere in considerazione quanto previsto dal D.Lgs
472/1997 e D.Lgs 74/2000 in tema rispettivamente di sanzioni amministrative e penali
derivanti dalla violazione degli obblighi tributari.
54
M. Grossi, Formulario delle procedure concorsuali, p. 1593.
Miele, p. 935
56
Perrotti, 1904.
57
Stefano Tonetti, p. 315.
55
22
Va innanzitutto esclusa l’applicabilità in capo al curatore delle specifiche responsabilità
incombenti sugli amministratori, liquidatori e soci previste dall’art. 36 del DPR 602/72 in
caso di liquidazione o scioglimento della società.
Si rammenta che tale norma prevede che i liquidatori dei soggetti Ires che non adempiono l’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione rispondano in proprio se soddisfano creditori posteriori di grado58.
Naturalmente anche l’organo gestorio del fallimento può essere assoggettato a sanzioni di tipo amministrativo, ed anche penale, qualora si renda responsabile di violazione
delle norme fiscali59.
Alla luce dell’art. 7 DL 269/2003, si è affacciato il dubbio che il curatore non sia responsabile in proprio nel caso di fallimento di società di capitali. Tale norma, si ricorda, prevede l’esclusiva responsabilità fiscale delle persone giuridiche e non dell’autore materiale della violazione. Questo perché richiede che venga colpito dalla sanzione solo chi
ha tratto effettivo vantaggio dalla violazione. Nell’ambito fallimentare tale disposizione
si tradurrebbe nell’inapplicabilità della sanzione tributaria per illegittimo comportamento
del curatore, in quanto degli effetti della violazione non si avvantaggerebbero i creditori.
La dottrina è tuttavia orientata nel ritenere non applicabile tale esonero nell’ambito del
fallimento60 .
Va poi tenuto presente la portata dell’art. 11 del citato decreto legislativo che individua
gli autori materiali della violazione quali corresponsabili in solido con l’ente della sanzione tributaria, individuando “fino a prova contraria” in chi ha sottoscritto la dichiarazione o compiuto gli atti illegittimi come l’autore della violazione 61.
58
Cfr. r.m. 19.02.1979, n. 7/1984. Rm 02.02.78 prot. 7/241. Cass. 05.02.82 n. 660.
Con la riforma del sistema sanzionatorio introdotta dal D.Lgs 472/1997 ogni dubbio al riguardo può dirsi fugato.
Vedasi anche Cass. 11.08.93 n. 8594 per le sanzioni in ordine agli obblighi dichiarativi, secondo cui il curatore è responsabile per le sanzioni relativamente alla dichiarazioni del periodo fallimentare che deve presentare.
60
Cfr. Enrico Stasi, Obblighi fiscali del curatore, Il Fallimento n. 9/2007, p. 1108. Pollio Papaleo, La fiscalità nelle
nuove procedure concorsuali, p. 349.
61
Art. 11 D.Lgs 472/1997: “Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del
tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell'adempimento
del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante dall'amministratore, anche, di fatto, di
società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione sono obbligati
solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.
2. Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi.
3. Quando la violazione è commessa in concorso da due o più persone, alle quali sono state irrogate sanzioni diverse, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente indicati nel comma 1 sono obbligati al pagamento di una
somma pari alla sanzione più grave. 4. Il pagamento della sanzione da parte dell'autore della violazione e, nel caso
in cui siano state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave estingue l'obbligazione indicata nel
comma 1.
5. Quando la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, il pagamento della sanzione e, nel caso in cui siano
state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave, da chiunque eseguito, estingue tutte le obbligazioni.
Qualora il pagamento sia stato eseguito dall'autore della violazione, nel limite previsto dall'articolo 5, comma 2, la
responsabilità della persona fisica, della società, dell'associazione o dell'ente indicati nel comma 1 è limitata all'eventuale eccedenza.
59
23
Mentre non vi sono dubbi sulla responsabilità del curatore per le sanzioni inerenti al periodo fallimentare, vi è incertezza riguardo alle eventuali violazioni degli obblighi inerenti al periodo prefallimentare.
Il curatore, a tal riguardo, potrà sempre dimostrare che la violazione non è stata da lui
commessa, in quanto deriva da comportamenti illeciti commessi dal fallito quando era
ancora in bonis, potendosi invero escludere la responsabilità per concorso ex art. 9
D.Lgs 472/97, posto che la sola sottoscrizione della dichiarazione non può comportare
la partecipazione all’eventuale illecito commesso anteriormente alla dichiarazione stessa.
La giurisprudenza ha sempre escluso che dalle prescrizioni di cui all’art. 74 bis DPR
633/72 e 25 DPR 600/73 (in tema di sostituti d’imposta), discenda una sorta di responsabilità solidale del curatore per le obbligazioni tributarie sorte nel corso della procedura concorsuale e ne, tantomeno, prima62. Non vi è quindi né una sorta di solidarietà paritetica tra fallito e curatore e neppure si può configurare una solidarietà dipendente
(es. sostituto d’imposta) prevista dall’art. 36 DPR 602/73. Neppure una tale conseguenza può essere desumibile dall’art. 38 l. fall.
E’ invece da ritenere che vi sia, oltre a una personale responsabilità per le sanzioni
amministrative tributarie, una responsabilità risarcitoria del curatore per violazione
dell’obbligo di adempiere il proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura
dell’incarico, qualora i debiti erariali non trovino capienza nell’attivo realizzato e non
dovessero essere da lui soddisfatti. Di tale opinione è peraltro il Ministero63.
Ancora una volta emerge dunque la diversa natura del ruolo del curatore rispetto a
quella del rappresentante legale dell’ente fallito, quale ausiliario di giustizia incaricato di
un pubblico ufficio che, in quanto tale, non sostituisce il fallito nel rapporto tributario.
Proprio per tali motivi si può rilevare un dovere di collaborazione con l’Amministrazione
finanziaria qualora, in forza del suo ruolo e quale depositario pro tempore della documentazione contabile del fallito, il medesimo sia l’unico soggetto in grado di poter partecipare al procedimento amministrativo di verifica e accertamento, non potendosi certamente immaginare che le ragioni erariali possano arrestarsi di fronte ad una presunta
terzietà del ruolo del curatore64.
6. Per i casi di violazioni commesse senza dolo o colpa grave, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente indicati nel comma I possono assumere il debito dell'autore della violazione.
7. La morte della persona fisica autrice della violazione, ancorché avvenuta prima della irrogazione della sanzione
amministrativa, non estingue la responsabilità della persona fisica, della società o dell'ente indicati nel comma 1.”
62
Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, sez. III, 19.10.2010, n. 197. Comm. Trib. Centr. 02.12.97 n. 5950. Vi è commento su fall. 6/2010 alla sentenza Commissione Tributaria di Torino 28/01/2010, n. 2 che vede una responsabilità in
solido con l’ente tornato in bonis per il pagamento dell’Ires sul periodo fallimentare o una diretta e unica responsabilità nel caso in cui trattenga le somme comunque prelevate.
63
RM 7/1984 del 19.02.79. Per la responsabilità del curatore per le sanzioni, definibili anche con il ravvedimento operoso, e non per il tributo cfr. Comm. Trib. Reg. Bologna sezione 6, 02.07.07, n. 44
64
Basilavecchia M., Corriere tributario, 40/2003, p. 3327.
24
Alla luce di quanto sopra, vediamo di seguito come la giurisprudenza ha risolto alcuni
casi:
-
Il curatore non è responsabile per infedele dichiarazione, con particolare riguardo
alla dichiarazione prefallimentare, quando egli abbia fornito gli elementi documentali che comunque erano a sua disponibilità, stante la carenza oggettiva riconducibile
alle pregresse inadempienze della società65.
-
Il fallito è penalmente responsabile dell’omessa presentazione della dichiarazione
dei redditi relativa all’esercizio anteriore al fallimento, in quanto tale obbligo non
compete al curatore66.
-
Tra gli obblighi tributari incombenti sul curatore, non esplicitamente previsti dalla
legge, rientra anche la compilazione e la tempestiva risposta ai questionari inviatigli
dall’Amministrazione finanziaria e la pronta esibizione delle scritture contabili67. Ciò
anche in funzione di quanto previsto dall’art. 88 l. fall., laddove dispone che il curatore prende in consegna i beni man mano che fa l’inventario insieme alle scritture
contabili e con i documenti del fallito68.
-
Anche il curatore può avvalersi del c.d. ravvedimento operoso di cui all’art. 13
D.Lgs 472/97.
-
Al curatore sono applicabili le seguenti sanzioni previste dagli artt. 32 e 33 del decreto succitato: (1) Omessa presentazione della dichiarazione con debito d’imposta;
2) omessa presentazione della dichiarazione senza debito d’imposta; 3) infedele dichiarazione; 4) dichiarazione presentata su modello non conforme; 5) omissione o
inesattezze di dati rilevanti per l’individuazione del contribuente, determinazione del
tributo e compimento dei controlli; 6) omissione negli atti e nei documenti da esibire
all’ufficio) e negli omessi e ritardati versamenti ex art. 34.
-
Il curatore non è sanzionabile per l’omesso versamento delle imposte relative al periodo prefallimentare.
-
Il curatore non può essere considerato responsabile per eventuali ritardi nel pagamento dell’imposta poiché, essendo il relativo pagamento subordinato al decreto
del GD che autorizza il prelievo, nessun termine e nessuna scadenza potrebbero
essere previsti per il versamento69.
65
Comm. Trib. Centr. 10.06.82 n. 1559, Comm. Trib. Centr. 26.05.1989 n. 3709. Comm. Trib. Centrale sez. 4,
08.10.01 n, 6614. Il Ministero nella ris. 17.12.76 prot. 7/2954 aveva ritenuto responsabile in ogni caso il curatore delle eventuali sanzioni relative agli obblighi tributari riguardanti al rapporto d’imposta facente capo al fallito,
66
Cass. 19.01.11 n. 1549. Cass.08.09.99 n. 10539.
67
Cass. 03/11274, Cass. 03/15095. Anche se dalla mancata risposta non può discendere un accertamento induttivo se
prima non è stata esaminata tutta la documentazione in possesso del curatore per ottemperare alle richieste di cui
all’art. 39 DPR 600/72
68
Cass. 27.11.02, n. 16793. Cass. 18.07.2003 n. 11274.
69
Comm. Trib. Gorizia 20.11.85, n. 536, Comm. Trib. Centr. 24.10.90, n. 6841, Comm. Trib. Centr. 10.04.92, n.
2798, Comm. Trib. Centr. 13.10.95, n. 3269.
25
-
Il curatore non può essere destinatario degli atti impositivi emessi successivamente alla chiusura del fallimento della società, ove questa sia stata cancellata, e non
può ritenersi responsabile per le contestate omissioni e per il pagamento dei tributi
e sanzioni70.
-
E’ inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dall’Amministrazione finanziaria
nei confronti del solo curatore del fallimento già chiuso in epoca anteriore alla conclusione del giudizio di appello, in quanto con la chiusura del fallimento cessano gli
effetti sul patrimonio e decadono gli organi dello stesso.
***
Per quanto riguarda la responsabilità penale del curatore, il tema va analizzato alla luce della riforma introdotta dal D.Lgs 74/2000.
La dottrina è orientata nel senso di escludere una responsabilità di tale natura in capo
al curatore. Ciò in quanto non può considerarsi soggetto passivo d’imposta, né responsabile d’imposta, né – in quanto pubblico ufficiale – soggetto in grado di porre in essere
attività illecite di evasione d’imposta per la sostanziale impossibilità di trarne alcun vantaggio patrimoniale.71
Di fatto però non può escludersi che il curatore concorra con il fallito o con uno o più
creditori per il compimento di taluna attività criminosa rientrante nell’ambito del decreto
succitato. Sarà pertanto ritenuto responsabile di eventuali reati in presenza di dolo
specifico diretto all’evasione del tributo72.
In tal senso, il curatore potrà essere ritenuto responsabile del reato di omessa, infedele
o fraudolenta dichiarazione, per il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, distruzione o occultamento delle scritture contabili. Non è invece
responsabile del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, non essendo il curatore responsabile d’imposta in luogo del fallito ed essendo riferibile al fallito la riscossione coattiva.
Potrebbe infine facilmente ravvisarsi l’ipotesi di peculato laddove il curatore prelevi
somme destinate al pagamento delle imposte e si appropri di tali somme.
***
***
***
***
***
70
Comm. Trib. Prov. Torino 28 gennaio 2010, n. 2.Contra Comm. Trib. 2^ grado Pavia 07.04.95 n. 4. Comm. Trib.
Prov. Torino 28 gennaio 2010, n. 2.
71
Brighenti, rass. Trib. 90,493, Caraccioli, Il fisco 86, 1340.
72
Il dolo specifico è una forma di dolo in cui il legislatore richiede, per la consumazione del reato, che l'agente agisca
per un fine particolare.
26
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