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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento

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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
Edizioni Simone - Vol. 9/1 Compendio di diritto fallimentare
Parte primaLa principale procedura concorsuale
Capitolo 3Gli organi preposti
al fallimento
Sommario1. Generalità: soggetti della procedura. - 2. Il tribunale fallimentare. - 3. Il
giudice delegato. - 4. Il curatore. - 5. Il comitato dei creditori.
1.Generalità: soggetti della procedura
Sotto il profilo processuale, col termine «organo» si intende la persona o le persone
mediante le quali il processo opera e si svolge; il concetto di «organo», pertanto, si
contrappone a quello di «parti», che sono i soggetti del processo e subiscono l’attività
degli organi (nel fallimento, in particolare, i soggetti sono il fallito ed i creditori).
I quattro organi preposti alla procedura fallimentare sono:
— il tribunale fallimentare;
— il giudice delegato;
— il curatore;
— il comitato dei creditori.
2.Il tribunale fallimentare
A) Funzioni
Tribunale fallimentare è «il tribunale che ha dichiarato il fallimento, quindi, che ha
instaurato la procedura» individuato con i criteri di competenza territoriale che abbiamo
visto in precedenza.
Dottrina
Per tribunale fallimentare deve intendersi l’organo giurisdizionale competente a dichiarare il
fallimento ai sensi dell’art. 9 L.F.: sul punto occorre sottolineare come si debba fare riferimeno
all’ufficio giudiziario nel suo complesso e non alla specifica sezione fallimentare che, al suo
interno, e a fini meramente organizzativi, sia stata eventualmente e appositamente costituita
per trattare i processi di fallimento (CAVALLI, PALUCHOWSKY, LO CASCIO e altri).
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Esso è, in concreto, l’organo supremo del fallimento, che sovrintende a tutta la procedura con vasti poteri di controllo (art. 23 L.F.).
Spetta, infatti al tribunale:
— nominare e (eventualmente) revocare o sostituire, per giustificati motivi, gli organi
della procedura (quando non è prevista la competenza del giudice delegato);
— sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori;
— decidere le controversie relative alla procedura che non sono di competenza del
giudice delegato;
— decidere sui reclami contro i decreti del giudice delegato;
— chiedere chiarimenti, informazioni ed indicazioni al curatore, al fallito ed al comitato
dei creditori.
Il tribunale fallimentare, oltre che organo preposto alla procedura fallimentare con
l’attività ricordata, è anche giudice naturale di tutte le cause che derivano dal fallimento qualunque ne sia il valore; si suol dire, nella pratica, che il fallimento esercita
una vis attractiva delle cause suddette.
Si tratta di una importante deroga ai normali criteri della competenza per valore, materia
e territorio, dettata dalla finalità di riunire davanti ad un solo giudice la trattazione di
tutte quelle cause che si trovino in un rapporto di dipendenza dal fallimento.
Sul concetto di «cause che derivano dal fallimento» non vi è pieno accordo in dottrina; secondo la
teoria oggi prevalente sono azioni che derivano dal fallimento quelle «che dipendono dal fallimento
o che nella loro disciplina sono influenzate dal fallimento» relative cioè a situazioni soggettive o
pretese che traggono origine dalla procedura fallimentare.
Sono tali, ad esempio, le revocatorie ordinarie e quelle fallimentari, le azioni dirette al recupero
dei beni ai sensi degli artt. 64 e 65 L.F., le cause di opposizione al fallimento o allo stato passivo,
di responsabilità nei confronti del curatore.
Restano, invece, escluse da tale vis attractiva le azioni relative a rapporti che già si trovavano
nel patrimonio del fallito, iniziate o proseguite dal curatore (azioni di pagamento, annullamento,
risoluzione etc.: si tratta, infatti, di azioni che si pongono con il fallimento in relazione di mera
occasionalità e rispetto alle quali il curatore si trova sostanzialmente nella stessa posizione in
cui si sarebbe trovato l’imprenditore che non fosse fallito). La riforma del 2006 ha soppresso la
precedente esclusione, prevista dall’art. 24 L.F., delle cause reali immobiliari, per cui anche esse
rientrano, nelle procedure iniziate dopo il 16 luglio 2006, nella competenza del tribunale fallimentare.
Secondo la Cassazione:
— sono di competenza del tribunale fallimentare le controversie che nascono in dipendenza dello
stato di dissesto dell’imprenditore ed anche quelle che incidono sulla procedura concorsuale,
volta a realizzare unitariamente l’esecuzione del patrimonio del debitore e ad assicurare la
«par condicio creditorum». Tale competenza è altresì estesa alle domande di accertamento,
quando siano dirette a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna
(Cass., 8 agosto 2007, n. 17388);
— sono estranee, invece, all’ambito di attrazione nel foro fallimentare tutte quelle azioni che il
curatore esercita per fare valere pretese inerenti a rapporti che non discendono direttamente
dal fallimento o che non siano da questo, comunque, influenzate.
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Il decreto di riforma del 2006, in ossequio all’impostazione applicata all’intera disciplina del fallimento, aveva stabilito che alle controversie che scaturivano dal fallimento
decise dal tribunale fallimentare si applicasse il rito dei procedimenti in camera di
consiglio (secondo le norme previste dagli articoli 737-742 c.p.c.).
Sul punto è intervenuto il decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007), il quale, sopprimendo
il secondo comma dell’art. 24 L.F., ha eliminato il riferimento al rito camerale, rendendo
quindi tali controversie assoggettabili al rito ordinario del processo di cognizione. Ciò
perché tali controversie coinvolgono azioni o cause dei terzi estranei al fallimento, per
cui l’adozione del rito camerale li priverebbe ingiustamente delle garanzie dei due gradi
di giudizio a cognizione piena.
B) Provvedimenti
I provvedimenti del tribunale, nelle materie previste dall’art. 23 L.F., sono pronunciati
— salvo diversa previsione normativa — con decreto.
La riforma del 2006 ha cercato di risolvere l’ampio dibattito, nato in seno alla precedente
disciplina, relativamente alla distinzione tra provvedimenti ordinatori, non impugnabili
nemmeno in Cassazione ex art. 111 Cost., e provvedimenti decisori, suscettibili invece
di gravame.
L’art. 26 L.F. ha, infatti, stabilito la reclamabilità dei decreti del tribunale salvo che non
sia diversamente disposto: in questo modo ha sancito il principio generale dell’impugnabilità, riservandosi poi di prevedere, di volta in volta, la natura del provvedimento
del tribunale e la sua reclamabilità.
Il giudizio di reclamo avviene secondo le regole che esamineremo in merito ai provvedimenti del giudice delegato, in quanto è prevista la stessa disciplina, con la differenza
che in questo caso il reclamo è proposto alla Corte di appello (art. 26 L.F.).
In concreto
A titolo meramente esemplificativo è prevista esplicitamente la possibilità di reclamo dei decreti
con cui il tribunale decide:
— il rigetto dell’istanza di fallimento (art. 22 L.F.);
— la revoca del curatore (art. 37, 2° comma, L.F.);
— la chiusura del fallimento o il rigetto della relativa istanza (art. 119, 3° comma, L.F.);
— l’omologazione del concordato fallimentare (art. 131 L.F.);
— l’esdebitazione del fallito (art. 143, 2° comma, L.F.);
— il rigetto della richiesta di fallimento per estensione dei soci illimitatamente responsabili di società
di persone (art. 147, ult. comma, L.F.).
È invece espressamente prevista la non reclamabilità dei decreti con cui il tribunale:
— dispone la cessazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito (art. 104 L.F.);
— decide sui ricorsi avverso il decreto con cui il giudice delegato ha deciso il reclamo contro un
provvedimento del curatore o del comitato dei creditori (art. 36, 2° comma, L.F).
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3.Il giudice delegato
A) Funzioni
La riforma del 2006 ha inciso in modo rilevante sul ruolo assunto dal giudice delegato,
attribuendogli funzioni di controllo e di vigilanza sulla regolarità della procedura
(art. 25 L.F.) e sottraendogli la precedente funzione di direzione delle operazioni del
fallimento. Il giudice delegato, pertanto, non è più il «motore della procedura», in
concomitanza con i maggiori poteri e la più ampia autonomia gestoria attribuiti dalla
riforma al curatore e al comitato dei creditori.
Al giudice delegato sono attribuite le seguenti funzioni (art. 25 L.F.):
a) riferire al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del tribunale stesso;
b) emettere o provocare dalle autorità competenti i provvedimenti urgenti per la conservazione
del patrimonio, ad esclusione di quelli che incidono su diritti di terzi che rivendichino un proprio
diritto incompatibile con l’acquisizione;
c) convocare il curatore ed il comitato dei creditori nei casi prescritti dalla legge e ogni qualvolta
lo ritenga opportuno per il corretto e sollecito svolgimento della procedura;
d) su proposta del curatore, liquidare i compensi e disporre l’eventuale revoca dell’incarico conferito
alle persone la cui opera è stata richiesta dal curatore stesso nell’interesse della procedura;
e) provvedere sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori;
f) autorizzare per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L’autorizzazione deve essere data per atti determinati e, qualora riguardi i giudizi, deve essere rilasciata
per ogni grado di essi;
g) su proposta del curatore, nominare gli arbitri, verificata la sussistenza dei requisiti previsti dalla
legge (ex art. 83bis L.F.). La nomina dei difensori è invece ora rimessa al curatore;
h) procedere all’accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati dai terzi;
i) nominare il comitato dei creditori (art. 40 L.F.) e sostituirlo in caso di impossibilità di funzionamento (art. 41 L.F.);
l) autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa qualora non sia stato disposto con la sentenza
di fallimento (art. 104 L.F.);
m) autorizzare l’affitto dell’azienda (art. 104bis L.F.);
n) autorizzare gli atti conformi al programma di liquidazione (art. 104ter L.F., modificato dal decreto
correttivo);
o) sospendere le operazioni di vendita quando ricorrono gravi e giustificati motivi (art. 108 L.F.);
p) ordinare il riparto finale (art. 117 L.F.).
Va rilevato che il giudice delegato perde, nella disciplina riformata, il potere autorizzativo degli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal curatore, il quale passa
al comitato dei creditori.
Per evitare eventuali situazioni di stallo della procedura, la riforma ha previsto che il
giudice delegato possa provvedere direttamente nei casi di inerzia o di impossibilità
di funzionamento del comitato dei creditori (come nel caso di mancata costituzione
per insufficienza di numero e di indisponibilità di essi) o anche in situazioni in cui si
riscontri urgenza per l’adozione del provvedimento (ex art. 41, 4° comma, L.F.).
Inoltre, con l’intervento del decreto correttivo del 2007, il giudice delegato è stato
spogliato del potere di autorizzare il programma di liquidazione, precedentemente
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conferitogli dalla riforma del 2006: il D.Lgs. 169/2007 (in vigore per i fallimenti iniziati dopo il 1° gennaio 2008) ha infatti attribui­to tale potere al comitato dei creditori,
prevedendo tuttavia che il giudice delegato debba autorizzare gli atti di vendita previa
verifica della correttezza di essi rispetto al programma.
Per garantire la sua posizione di terzietà e di imparzialità, l’art. 25 L.F. stabilisce
infine che egli non possa decidere le cause da lui autorizzate, né partecipare — come
membro del tribunale in composizione collegiale — ai giudizi di reclamo proposti
contro i suoi atti.
Reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori
Compito del giudice delegato è anche quello di decidere sul reclamo proposto avverso gli atti del
curatore o del comitato dei creditori, proponibile dal fallito e da ogni altro interessato ed avente
ad oggetto ogni atto amministrativo del curatore e ogni autorizzazione o diniego del comitato dei
creditori (art. 36 L.F.).
Di importanza fondamentale è la circostanza che il gravame può essere proposto, solo ed esclusivamente, per violazioni di legge e mai per motivi di merito.
Il giudice delegato, sentite le parti, decide con decreto motivato, omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio.
L’art. 36 L.F. indica esplicitamente il contenuto del provvedimento di accoglimento del reclamo in
caso di omissione e i comportamenti che l’organo reclamato deve assumere, per cui:
— se è il curatore che deve supplire ad una propria omissione, il provvedimento di accoglimento
del reclamo impone l’attività positiva che era stata trascurata e il curatore deve aderirvi;
— se è il comitato dei creditori che ha omesso pareri o atti è prevista la sostituzione da parte
dell’organo che accoglie il reclamo all’attività omessa dal comitato, quindi, se è stato omesso un
parere o un’autorizzazione del comitato, essa viene emessa dal giudice delegato o dal tribunale
col provvedimento di accoglimento del reclamo.
B) Provvedimenti: loro impugnabilità
Tutti i provvedimenti del giudice delegato sono pronunciati con decreto motivato.
Contro di essi — eccettuati quelli per i quali sono espressamente previsti mezzi di impugnazione diversi — è ammesso reclamo al tribunale, da parte del fallito, del curatore,
del comitato dei creditori e di chiunque vi abbia interesse (art. 26 L.F.).
Il reclamo non ha carattere sospensivo dell’esecutività del provvedimento del giudice
delegato.
La riforma del 2006 ha sostanzialmente modificato la disciplina del reclamo, confermando tuttavia
la procedibilità in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio
di 10 giorni, decorrente dalla comunicazione o dalla notifica del provvedimento per il curatore,
per il fallito, per il comitato dei creditori e per chi ha chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il
provvedimento; dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dal giudice delegato o dal
tribunale (se quest’ultimo ha emesso il provvedimento, come ha precisato il decreto correttivo) per
gli altri interessati. Il curatore può comunicare integralmente il provvedimento con raccomandata
A/R, telefax o posta elettronica con garanzia dell’avvenuta ricezione. In ogni caso, cioè indipendentemente dalla comunicazione o notificazione, il reclamo non è più proponibile decorsi 90 giorni
dal deposito del provvedimento in cancelleria.
Il reclamo si propone con ricorso, contenente altresì l’indicazione specifica, a pena di decadenza,
dei mezzi di prova e dei documenti prodotti. Il presidente del collegio nomina il giudice relatore
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e fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti in camera di consiglio, assegnando al
reclamante un termine per la notifica al curatore ed ai controinteressati. Tra la notifica e l’udienza
devono intercorrere non meno di 15 giorni (in luogo dei precedenti 10 previsti dalla riforma del 2006).
All’udienza, il collegio, sentite le parti e il curatore ed assunte, anche d’ufficio, le informazioni necessarie, decide con decreto motivato entro 30 giorni dall’udienza: con esso conferma, modifica
o revoca il provvedimento reclamato.
4.Il curatore
A) Funzioni
Il curatore, cui è affidata l’amministrazione del patrimonio fallimentare, è l’organo
propulsore della procedura alla cui iniziativa è condizionata la conservazione e la liquidazione del patrimonio del debitore ed il recupero alla garanzia patrimoniale dei beni e
diritti dei quali il fallito ha disposto anteriormente al fallimento (GUGLIELMUCCI).
Il curatore deve compiere tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza (e non
più la direzione) del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 31 L.F.).
Il legislatore della riforma del 2006, ridefinendo i ruoli degli organi della procedura, ha valorizzato
la funzione del curatore, accentuando in particolare il continuo dialogo intercorrente tra di esso
ed il comitato dei creditori che diviene organo di riferimento del primo. La riforma citata ha notevolmente rafforzato i poteri di iniziativa del curatore, al quale sono attribuiti numerosi compiti di
gestione, tra cui il più importante è la predisposizione del programma di liquidazione dei beni del
fallimento, contenente anche le decisioni sull’esercizio provvisorio dell’impresa, sulla proposizione
delle azioni revocatorie e recuperatorie, sulla valutazione delle proposte di concordato. Egli assume
così un ruolo determinante nelle decisioni di convenienza della procedura fallimentare, pur sotto
il controllo del comitato dei creditori.
Il curatore deve, entro i due giorni successivi alla comunicazione della sua nomina,
far pervenire al giudice delegato la propria accettazione (art. 29 L.F.). Se il curatore
non osserva questo obbligo, il tribunale, in camera di consiglio, provvede d’urgenza
alla nomina di altro curatore.
Secondo la maggior parte degli Autori l’accettazione dell’incarico da parte del curatore
può manifestarsi anche tacitamente, attraverso l’esercizio effettivo di atti ed operazioni
inerenti al relativo incarico.
Una volta accettato l’incarico, il curatore riveste la qualità di pubblico ufficiale per
quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni (art. 30 L.F.).
Al riconoscimento di tale qualifica consegue:
— l’intrasmissibilità delle funzioni del proprio ufficio ad altro soggetto (art. 32 L.F.),
essendo concessa al curatore soltanto la possibilità di delega per alcune funzioni,
previa autorizzazione del comitato dei creditori per specifiche operazioni, nonché la
possibilità di farsi coadiuvare da ausiliari in casi particolari (stima dei beni, difesa
in giudizio etc.);
— la natura di reati propri degli illeciti da lui commessi;
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— la particolare tutela penale, alla pari di qualsiasi pubblico ufficiale;
— l’obbligo di riferire sui reati dei quali venga a conoscenza nell’esercizio o a causa
del suo ufficio; nonché l’obbligo di ricercare eventuali elementi di responsabilità
nel comportamento del fallito o di altri.
Il curatore è nominato con la sentenza che dichiara il fallimento o, in caso di sostituzione o di revoca, con decreto del tribunale (art. 27 L.F.). È inoltre previsto dall’art.
37bis L.F., introdotto dalla riforma del 2006 e modificato dal decreto correttivo del
2007, che, conclusa l’adunanza per l’esame dello stato passivo, i creditori presenti che
rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi possano chiedere la sostituzione
del curatore, indicando al tribunale le ragioni della richiesta ed un nuovo nominativo.
Il decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007) è intervenuto sulla disposizione in esame sostanzialmente
in due punti: in primo luogo, ha precisato che la richiesta di sostituzione del curatore può essere
effettuata dalla maggioranza di tutti i creditori ammessi soltanto al termine dell’adunanza di verifica,
prima della pronuncia del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, in luogo della precedente
previsione della norma che richiedeva la maggioranza dei creditori «allo stato ammessi». Ciò al
fine di evitare che una maggioranza occasionale di creditori presenti in adunanza (anziché la
maggioranza di tutti i creditori ammessi) possa provocare la sostituzione di un curatore sgradito
solo ad alcuni. In secondo luogo, ha precisato che il tribunale non è più tenuto a disporre in ogni
caso la sostituzione del curatore, ma solo dopo aver verificato la sussistenza e aver valutato i
motivi addotti dai creditori, in coerenza con i poteri conferiti al tribunale dall’art. 37 L.F. in merito
alla revoca del curatore.
La riforma del 2006 ha individuato nuove categorie di soggetti che possono ricoprire
l’incarico di curatore (requisiti positivi). Possono, infatti, essere chiamati a svolgere
tali funzioni (art. 28 L.F.):
a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle
stesse abbiano i requisiti professionali suddetti.
Nel caso dello studio professionale associato, l’attività espletata dal singolo componente dello
stesso non può che essere imputata a quest’ultimo, non riconoscendosi all’ente collettivo
alcun tipo di personalità né di responsabilità diretta né indiretta nei confronti del cliente, bensì
ricollegando all’associazione professionale la caratteristica di «formazione collettiva volta a
consentire una più equa suddivisione dei costi e delle spese» inerenti l’espletamento di una
qualsiasi attività professionale (Trib. Milano, 6 novembre 2007). Il Tribunale, quindi, nell’ipotesi
di scelta di un curatore che faccia parte di un organismo strutturato come associazione professionale, non può nominare lo studio professionale quale titolare dell’ufficio di curatela, ma
solamente il singolo professionista, indicando, ai soli fini fiscali, l’associazione professionale
di cui fa parte. Discorso a parte va fatto per la società tra avvocati, regolata da una normativa
ad hoc anche in tema di responsabilità dei singoli componenti. È opportuno precisare che
l’inciso dell’art. 28 L.F. «in tal caso, all’atto dell’accettazione, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura» riguarda esclusivamente l’ipotesi in cui il Tribunale
nomini curatore una società tra professionisti, onde al momento dell’accettazione dell’incarico
l’amministratore della società dovrà necessariamente indicare l’avvocato responsabile della
procedura. Ne consegue che la responsabilità patrimoniale per gli atti compiuti dal curatore
riguarderà solamente il patrimonio dell’avvocato designato nonché della società, e non quello
personale degli altri soci (PANNELLA).
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A tal proposito, infine, è opportuno segnalare che la L. 183/2011 (Legge di stabilità per il
2012), oltre ad introdurre la possibilità per i professionisti di costituire società sia di persone
sia di capitali per l’esercizio di attività professionale (anche con la partecipazione di soggetti
non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento), ha abrogato
la L. 1815/1939 sulle associazioni tra professionisti;
c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in
società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non
sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.
Sono invece limiti negativi assoluti per la nomina a curatore:
— l’essere stato interdetto, inabilitato o dichiarato fallito;
— l’essere stato condannato a pena che comporta l’interdizione, anche temporanea,
dai pubblici uffici.
Trattasi di cause di incapacità giuridica assoluta ad assumere le funzioni di curatore,
le quali comportano la nullità della nomina e la decadenza automatica ex lege.
Sono limiti negativi relativi (poiché, a differenza di quelli dianzi enunciati, si riferiscono soltanto ad un determinato fallimento):
— l’essere coniuge, parente o affine entro il quarto grado del fallito;
— l’essere creditore del fallito;
— l’aver concorso al dissesto dell’impresa: sul punto è opportuno sottolineare che, a
seguito della L. 132/2015 di conversione del D.L. 83/2015, è stato eliminato il termine dei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento entro il quale si doveva
aver concorso al dissesto dell’impresa. Per le altre novità introdotte dal medesimo
provvedimento si rinvia alla lett. D) del presente paragrafo;
— trovarsi in conflitto di interessi con il fallimento.
Unicità del curatore e suoi ausiliari
Nello stesso fallimento — allo scopo di assicurare unità di indirizzo alla gestione — non possono
aversi, contemporaneamente, più curatori.
Le funzioni del curatore, pertanto, sono intrasmissibili (poiché l’unicità verrebbe vanificata dalla
libera trasferibilità) e possono essere delegate ad altri soltanto entro i limiti previsti dall’art. 32 L.F.
In particolare, la nomina del delegato, per le procedure iniziate dopo il 1° gennaio 2008, deve essere
autorizzata dal ­comitato dei creditori. Il decreto correttivo del 2007 ha infatti nuovamente modificato
l’art. 32 L.F., prevedendo che l’autorizzazione alla delega proposta dal curatore spetti appunto al
comitato dei creditori, e non al giudice delegato (come aveva previsto la riforma del 2006), in linea
con il nuovo ruolo assunto dal comitato stesso nella procedura fallimentare.
Vi sono specifiche competenze del curatore che non possono essere in alcun caso delegate ad altri,
quali:
— la predisposizione degli elenchi dei creditori e dei titolari di diritti reali e personali sui beni del
fallito, nonché del bilancio dell’ultimo esercizio in caso di omissione da parte del fallito (art. 89
L.F.);
— la comunicazione ai creditori ed ai titolari di diritti reali e personali sui beni del fallito dell’avviso
contenente l’indicazione dell’udienza di verifica del passivo (art. 92 L.F.);
— la predisposizione del progetto di stato passivo (art. 95 L.F.);
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— la comunicazione ai creditori ed ai terzi dell’esito del procedimento di accertamento del passivo
(art. 95 L.F.);
— la formazione del programma di liquidazione (art. 104ter L.F.).
Anche per i coadiutori è necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori, come aveva già
previsto la riforma del 2006 (in luogo di quella del giudice delegato prevista invece dalla disciplina
ante riforma). L’intervento del correttivo ha quindi uniformato le due discipline.
Il curatore è sempre responsabile dell’operato dei coadiutori.
B) Doveri
Il curatore ha il dovere di:
1) accettare espressamente l’incarico conferitogli, entro due giorni dalla comunicazione
della nomina, in quanto la mancata accettazione equivale a rinuncia (art. 29 L.F.);
2) apporre i sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell’impresa fallita e
sugli altri beni del fallito (art. 84 L.F.). Si tratta di un incarico nuovo per il curatore,
poiché nella disciplina anteriore alla riforma esso spettava al giudice delegato;
3) redigere «nel più breve tempo possibile» l’inventario dei beni del fallito, con l’assistenza del cancelliere e previo avviso al fallito ed al comitato dei creditori (art.
87 L.F.);
4) redigere la prima relazione informativa sulle cause del dissesto, entro sessanta giorni
dalla data della sentenza di fallimento. In tale relazione egli deve anche far cenno
alla condotta prefallimentare del debitore, al suo stato patrimoniale e, soprattutto,
alle ragioni obiettive del dissesto dell’impresa (art. 33 L.F.);
5) redigere per il giudice delegato, ogni sei mesi successivi alla presentazione della
relazione suddetta, un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione
di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto
della sua gestione (art. 33, ult. comma, L.F.). Una copia di tale rapporto deve essere trasmessa al comitato dei creditori, il quale, oltre ad esercitare in tal modo una
funzione di controllo, può formulare osservazioni scritte;
6) redigere il bilancio dell’ultimo esercizio del fallito se questi abbia omesso di farlo
o, se esso è stato fatto, revisionarlo ed, eventualmente, completarlo (art. 89 L.F.);
7) tenere un registro, previamente vidimato da almeno un componente del comitato
dei creditori e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione (art. 38 L.F.);
8) esaminare le domande di ammissione al passivo, predisporre elenchi separati dei
creditori e dei titolari di diritti sui beni mobili e immobili di proprietà o in possesso
del fallito, e depositare il progetto di stato passivo nella cancelleria del tribunale
con le proprie conclusioni sulle ragioni e sul titolo delle domande fatte valere (art.
95 L.F.);
9) presenziare all’udienza di discussione dello stato passivo ed intervenire per sollevare le eccezioni relative all’ammissione al passivo (art. 95 L.F.);
10) esaminare le domande di ammissione al passivo proposte tardivamente ed eventualmente, ricorrendone le condizioni, contestarle (art. 101 L.F.);
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11) presentare domanda di revocazione avverso il decreto del giudice delegato di ammissione di un credito allorché si sia scoperto che l’ammissione di tale credito o di
una garanzia siano state l’effetto di falsità, dolo o errore essenziale di fatto, ovvero
si rinvengano documenti decisivi prima ignorati e non prodotti tempestivamente
per causa non imputabile (art. 98 L.F.). Doveri uguali il curatore ha anche per le
domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili od immobili
possedute dal fallito, proposte da terzi;
12) presentare domanda di impugnazione avverso il decreto del giudice di ammissione di un credito, con cui contestare che la domanda di un creditore o di altro
concorrente sia stata accolta (art. 98 L.F.);
13) presentare istanza al tribunale di non farsi luogo al procedimento di accertamento
dello stato passivo per insufficiente realizzo dell’attivo (art. 102 L.F.);
14) depositare immediatamente le somme riscosse, a qualunque titolo sul conto
corrente intestato alla procedura, entro il termine massimo di 10 giorni dalla
corresponsione (art. 34 L.F.);
15) proporre al comitato dei creditori di autorizzare che le somme incassate vengano
in tutto o in parte investite con strumenti diversi dal deposito in conto corrente,
purché sia garantita l’integrità del capitale;
16) presentare ogni quattro mesi (anziché ogni due mesi, come avveniva nella disciplina anteriore alla riforma) un prospetto delle somme disponibili depositate su
tale conto ed, insieme, un progetto di riparto di tali somme fra i creditori ammessi
definitivamente, riservando le somme occorrenti per la procedura. Tale progetto
viene poi reso esecutivo ai sensi dell’articolo 110 L.F. e il curatore deve provvedere
al pagamento dei creditori;
17) presentare il rendiconto particolareggiato della sua gestione, dopo aver compiuto
la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale;
18) promuovere la chiusura del fallimento, quando si verifichi una delle cause previste
dall’art. 118 L.F.;
19) procedere agli adempimenti necessari, in caso di concordato fallimentare (artt.
125 e seguenti L.F.).
Inoltre, il D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, ha disposto che in caso di fallimento il
curatore ha l’obbligo, entro quindici giorni dall’accettazione dell’incarico, di comunicare
agli enti coinvolti i dati necessari ai fini dell’eventuale insinuazione al passivo della
procedura concorsuale, utilizzando il modello di comunicazione unica di cui all’art. 9
del D.L. 7/2007, conv. in L. 40/2007.
Il curatore entro dieci giorni dalla nomina deve comunicare al registro delle imprese il
proprio indirizzo di posta elettronica. Il nuovo adempimento, a cui sono tenuti anche il
commissario giudiziale in caso di concordato preventivo e il commissario liquidatore e
il commissario giudiziale in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese
in crisi, è stato introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013).
La comunicazione, anche se la norma non lo specifica, dovrà essere effettuata con modalità telematica e con la sottoscrizione digitale, per ciascuna delle imprese per la quale viene nominato
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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
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il curatore. Si specifica che a tale formalità non è soggetto il curatore che non accetti la nomina,
mentre la comunicazione deve essere comunque fatta dal curatore che, per un qualsiasi motivo,
subentri a quello precedente.
È opportuno sottolineare che il nuovo adempimento è una cosa diversa e si aggiunge all’obbligo
imposto dal citato D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010. Inoltre, contrariamente a quanto previsto
specificatamente per il precedente obbligo la cui omissione è punita con sanzioni amministrative
pecuniarie, il nuovo non prevede una sanzione specifica.
Il curatore può comunque ottemperare al doppio adempimento, ovviamente nel termine più breve
dei dieci giorni dalla nomina, con un’unica comunicazione contenente tutti i dati richiesti.
Infine, il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (cd. crescita bis) conv. in L. 17 dicembre 2012,
n. 221 ha introdotto l’art. 31bis L.F., che ha valenza di norma di carattere generale
sulle comunicazioni del curatore, imponendo allo stesso di effettuare tutte le comunicazioni ai creditori e ai titolari dei diritti sui beni all’indirizzo di posta elettronica
certificata (PEC), che gli stessi soggetti sono obbligati ad indicare al curatore nei casi
in cui è prevista una interlocuzione curatore-creditori.
L’invito ai creditori a comunicare l’indirizzo PEC è necessario per consentire al curatore
di effettuare le comunicazioni telematiche. Si tratta, in definitiva, di disposizioni (quella
del neointrodotto articolo 31bis L.F. e le altre modificate della legge fallimentare) che,
agevolando la partecipazione dei creditori alle procedure concorsuali che li vedono
coinvolti, si propongono non solo di accelerare il flusso di comunicazioni contenendo
al contempo i costi delle medesime, ma anche di creare un sistema improntato alla
massima trasparenza.
Quando tale indicazione viene omessa, nonché nella ipotesi di mancata consegna del
messaggio di PEC per cause imputabili al destinatario, tutte le comunicazioni saranno
eseguite esclusivamente a mezzo deposito in cancelleria.
C) Poteri
Il potere più importante del curatore, da cui derivano tutti gli altri, è l’amministrazione
e la custodia del patrimonio fallimentare cioè di quel complesso di beni mobili ed
immobili, di diritti ed obblighi, di rapporti attivi e passivi, destinato al soddisfacimento
paritario dei creditori concorsuali. Entrato, infatti, in possesso della titolarità, provvisoria
e funzionale, del patrimonio del fallito, il curatore diventa custode di tutte le attività
in esso comprese, con tutti i conseguenti poteri di amministrazione e di liquidazione,
per assicurare ai creditori l’esecuzione collettiva.
Dottrina
La dottrina prevalente (AZZOLINA, FERRARA) inquadra l’attività amministrativa del curatore
nella seguente ripartizione: a) atti di ordinaria amministrazione: che rientrano nei pieni poteri
del curatore, senza necessità di intervento di altri organi; b) atti di straordinaria amministrazione
e quelli specificamente elencati dall’art. 35 L.F. (riduzioni di crediti, transazioni, compromessi,
rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti dei terzi, cancellazione di ipoteche, accettazioni di eredità
o donazioni, restituzione di pegni e di cauzioni), per il compimento dei quali occorre l’autorizzazione del comitato dei creditori. Il decreto correttivo del 2007 è intervenuto sulla disposizione
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Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento
in esame, prevedendo che il curatore, quando chiede l’autorizzazione al comitato per compiere
uno degli atti suddetti, sia tenuto a formulare le proprie valutazioni conclusive in ordine alla
convenienza dell’atto da compiere: ciò al fine di rendere più trasparente l’attività di gestione del
curatore; c) atti di cui alla lett. b) aventi valore superiore a 50.000 euro e transazioni di qualsia­si
valore: per il compimento dei quali occorre la previa informazione al giudice delegato, salvo che
gli stessi non siano già stati autorizzati dal medesimo in seno al programma di liquidazione (ex
art. 104ter, ult. comma, L.F.), oltre all’autorizzazione del comitato dei creditori.
Per quanto riguarda, invece, le operazioni di liquidazione dell’attivo, entro 60 giorni
dalla redazione dell’inventario, il curatore deve proporre un programma di liquidazione, da sottoporre al comitato dei creditori per l’approvazione (art. 104ter L.F.), in
cui sono contenute le modalità ed i termini in cui avverrà la realizzazione dell’attivo e
deve specificare: le condizioni di vendita dei singoli cespiti, l’opportunità di proporre
azioni revocatorie o risarcitorie, o di procedere alla cessione unitaria del complesso
aziendale o di singoli rami di essa (per le novità introdotte dal D.L. 83/2015, conv. in
L. 132/2015, vedi lett. D).
In attuazione di tale piano, il curatore potrà quindi procedere alle vendite secondo procedure competitive, mentre il giudice delegato dovrà autorizzarle non in base ad una valutazione di opportunità
per ognuna di esse, ma solo in relazione alla loro conformità al programma di liquidazione (come
ha precisato il decreto correttivo del 2007).
Infine, sempre nell’ambito dei poteri liquidatori concessigli, il curatore può cedere i crediti, anche
se contestati, e le azioni revocatorie concorsuali (art. 106 L.F.), escutere le polizze assicurative e
le fideiussioni bancarie di s.r.l. (art. 151 L.F.).
Appare opportuno infine ricordare che, ai sensi dell’art. 25 L.F., il curatore, per stare in giudizio
nelle controversie che riguardino il debitore fallito, ha bisogno dell’autorizzazione scritta del giudice
delegato, e tale autorizzazione deve essere data per ogni grado del giudizio.
D)Le novità introdotte dal D.L. 27-6-2015, n. 83, conv. in L. 6-8-2015, n. 132
Il D.L. 83/2015 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile
e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), conv. in L.
132/2015, contiene importanti interventi correttivi alla disciplina dei curatori fallimentari.
Innanzitutto, per quanto concerne i requisiti per la nomina a curatore di cui all’art. 28
L.F., viene eliminato l’arco temporale di cui al terzo comma della norma: attualmente
non possono essere nominati in qualità di curatore il coniuge, i parenti e gli affini
entro il quarto grado del fallito, i creditori e chi ha concorso al dissesto dell’impresa
(anche in precedenza era prevista questa causa di esclusione, ma la stessa era correlata
ad un preciso riferimento temporale: «durante i due anni anteriori alla dichiarazion di
fallimento»), nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.
Inoltre il curatore è nominato sulla base delle risultanze dei rapporti riepilogativi di
cui all’art. 33, 5° comma, L.F.
Tra le altre novità si prevede l’istituzione di un Registro nazionale, presso il Ministero
della Giustizia, tenuto con modalità informatiche e accessibile al pubblico, nel quale
dovranno confluire i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali
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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
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e dei liquidatori giudiziali, nonché verranno annotati i provvedimenti di chiusura dei
fallimenti e di omologazione dei concordati, oltre che l’ammontare dell’attivo e del
passivo delle procedure chiuse.
Nell’ambito delle novità finalizzate alla celerità del procedimento, il curatore dovrà
predisporre il programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione dei creditori
entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario e, in ogni caso, non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, pena la possibilità di essere
revocato per giusta causa in caso di mancato rispetto del termine senza giustificato
motivo. Inoltre, il programma di liquidazione dovrà specificare il termine entro il quale
sarà ultimata la liquidazione dell’attivo, che non potrà in ogni caso eccedere i due
anni dal deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, fatta salva la possibilità
per il curatore di indicare, in maniera motivata, la necessità di un termine maggiore,
seppur limitatamente a specifici cespiti dell’attivo (nuovo art. 10ter L.F.). Anche in
questo caso, il mancato rispetto dei termini previsti dal programma di liquidazione
senza giustificato motivo costituisce una giusta causa di revoca del curatore.
Sempre per incentivare una maggiore celerità nei fallimenti, il nuovo art. 118 L.F.
permette di chiudere la procedura fallimentare nel caso di cui al n. 3 («quando è
compiuta la ripartizione finale dell’attivo») anche in pendenza di giudizi, per i quali
il curatore mantiene in ogni caso la legittimazione processuale, e prevede una specifica
disciplina per quanto concerne le somme necessarie per le spese future.
Da ultimo, secondo quanto disciplinato dal nuovo art. 120 L.F., nell’ipotesi descritta
di chiusura del fallimento in pendenza di giudizi ai sensi dell’art. 118 L.F., il giudice
delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto.
E) Responsabilità
Il curatore è tenuto ad adempiere ai propri doveri, imposti dalla legge o derivanti dal
piano di liquidazione, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico come qualsiasi pubblico ufficiale.
Egli, secondo l’art. 38 L.F., deve tenere un registro in cui segnare, giorno per giorno,
le operazioni economiche compiute: registro che deve essere previamente vidimato
da almeno un componente del comitato dei creditori (nella disciplina ante riforma la
vidimazione spettava al giudice delegato).
Tutte le somme riscosse per conto del fallimento debbono essere depositate sul conto
corrente intestato all’ufficio fallimentare acceso presso un ufficio postale o una banca
individuati dal curatore e nel termine massimo dei dieci giorni: l’inosservanza di tale
obbligo è penalmente sanzionata dall’art. 230 L.F. e dall’art. 314 c.p. e costituisce un
elemento valutabile dal tribunale ai fini della revoca del curatore.
Contro gli atti di amministrazione del curatore (atti processuali, o di ordinaria amministrazione compiuti autonomamente, o di straordinaria amministrazione compiuti
con o senza autorizzazione) o contro suoi comportamenti omissivi, il fallito ed ogni
altro interessato (quindi anche i creditori e il comitato dei creditori) possono proporre
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Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento
reclamo al giudice delegato per violazione di legge, il quale decide con decreto motivato. La riforma del 2006 ha precisato che il reclamo deve essere proposto entro 8
giorni dalla conoscenza dell’atto o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine
indicato nella diffida a provvedere.
Contro il provvedimento del giudice delegato è proponibile, entro 8 giorni dalla data
dello stesso, ricorso al tribunale (la disciplina ante riforma prevedeva un termine di
3 giorni). Il tribunale decide entro 30 giorni con decreto motivato non impugnabile,
sentiti il curatore ed il reclamante (art. 36 L.F.).
Se è accolto il reclamo riguardante un comportamento omissivo del curatore, questi
deve dare esecuzione al provvedimento del tribunale.
Il tribunale, inoltre, può revocare il curatore in ogni tempo — con decreto — su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o di ufficio, sentiti
il comitato dei creditori ed il curatore medesimo (art. 37 L.F.).
Il legislatore della riforma del 2006, dirimendo l’ampio dibattito giurisprudenziale sorto nella vigenza
della precedente disciplina, ha disposto che il decreto di revoca o di rigetto dell’istanza di revoca
è reclamabile alla Corte di appello ai sensi dell’art. 26 L.F. (cioè con il rimedio previsto contro tutti
gli atti del tribunale); il reclamo non sospende l’efficacia del decreto.
In generale il curatore è responsabile nei confronti dei creditori e nei confronti del
fallito, dell’osservanza scrupolosa dei suoi doveri, relativi all’obbligo generico di assicurare che tutti i beni siano compresi nell’esecuzione e che nella stessa sia rispettato
il principio della par condicio: l’inosservanza di tali doveri, anche se soltanto colposa,
lo espone alla revoca.
Dottrina
È controverso se la responsabilità del curatore nei confronti del fallimento abbia natura contrattuale o extracontrattuale, problema la cui soluzione non è priva di rilevanza pratica in quanto
condiziona la disciplina del termine di prescrizione dell’azione volta a farla valere e dell’onere
della prova.
Invero, ove si acceda alla prima tesi, il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità
coinciderà con quello decennale dettato dall’art. 2946 c.c., mentre l’onus probandi graverà
sul curatore, in virtù della presunzione (relativa) di colpevolezza operante a carico dell’autore
dell’illecito contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.; il curatore, in altri termini, dovrà fornire la
prova liberatoria della propria responsabilità.
Se, invece, si aderisce alla tesi della natura extracontrattuale, l’azione di responsabilità dovrà
ritenersi soggetta a prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2947 c.c., mentre l’onere di
provare la sussistenza dell’elemento psicologico, oltre naturalmente a quella dell’elemento
fattuale (natura ed entità del danno), graverà sul fallimento e non già sul curatore.
L’orientamento prevalente aderisce alla tesi della natura contrattuale della responsabilità del
curatore, dovendo questi operare nell’interesse del fallimento.
È di tipo extracontrattuale, invece, la responsabilità gravante sul curatore per i danni derivati
dalla sua attività ai terzi. Parimenti egli è responsabile nei confronti del fallito se gli ha cagionato
danni patrimoniali.
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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
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Durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal
nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato o del comitato dei creditori.
È da notare che, secondo l’indirizzo della Cassazione, le azioni di responsabilità extracontrattuale
possono essere proposte anche quando la procedura fallimentare è ancora in corso: nel qual caso
è rimessa all’apprezzamento del tribunale l’eventualità di revocare il curatore.
F) Il compenso
Al curatore spetta un compenso proporzionato all’ammontare dell’attivo e del passivo
del fallimento, nonché il rimborso delle spese sostenute. Null’altro gli è dovuto, anzi
gli eventuali pagamenti a lui promessi e versati in più sono nulli e, perciò, ripetibili.
I criteri per la determinazione del compenso spettante al curatore sono stabiliti dal
D.M. 25 gennaio 2012, n. 30, che ne demanda la liquidazione al tribunale fallimentare.
Il decreto del tribunale che liquida il compenso è modificabile per motivi di legittimità
o di merito sino a quando non sia chiusa la procedura, è ricorribile per Cassazione e
deve essere congruamente motivato.
Dal 27 marzo 2012 è in vigore il decreto emanato dal Ministero della giustizia (D.M. 25 gennaio
2012, n. 30) che ha aggiornato i compensi (fermi ai criteri dell’abrogato D.M. 570/1992) riferiti ai
curatori fallimentari e la determinazione dei pagamenti relativi alle procedure di concordato preventivo. Il decreto in esame prevede che il compenso al curatore di fallimento sia liquidato dal tribunale
tenendo conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento nonché della
sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni. In particolare il compenso consiste
in una percentuale a scaglioni (la cui misura è stabilita nel dettaglio dal citato D.M. 25 gennaio
2012, n. 30), variabile in ragione dell’attivo realizzato (e non già di quello inventariato), che non
va soltanto inteso nel senso di ricavato pecuniario delle operazioni di liquidazione ma comprende
tutta quanta la liquidità, comunque acquisita dalla curatela, o per effetto della riscossione di crediti
o a seguito del vittorioso esperimento di azioni giudiziali o, ancora, reperita nella disponibilità del
fallito all’inizio della procedura fallimentare.
Al curatore è inoltre corrisposto, sull’ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare
dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti
tale cifra. Il compenso liquidato non può essere inferiore, nel suo complesso, a 811,35 euro, salvo
il caso in cui il curatore cessi dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni di fallimento.
Al curatore spetta anche un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 5% sull’importo del compenso liquidato nonché il rimborso delle spese vive effettivamente sostenute ed
autorizzate dal giudice delegato, documentalmente provate, escluso qualsiasi altro compenso
o indennità.
Il curatore può chiedere acconti sul compenso finale ed il tribunale può concederglieli. Tali acconti
sono correlati alla attività già svolta (o almeno da svolgere nell’immediatezza) e, proprio perché
commisurati ad un fatto o ad un’attività già avvenuti (o di imminente realizzazione), assumono il
connotato di definitività della loro attribuzione.
Il curatore ha diritto alla liquidazione del compenso anche in assenza di realizzo di attività, sempreché abbia svolto un’attività significativa. La liquidazione, in tal caso, deve essere commisurata
al valore dei beni inventariati, dei crediti accertati e di ogni altro importo.
Le somme necessarie per il pagamento del compenso vanno prelevate dall’attivo fallimentare
ed hanno preferenza assoluta. In caso di mancanza o di insufficienza dell’attivo, però, il compenso
del curatore resta privo di copertura, in quanto la legge non prevede che il relativo importo sia
posto a carico dell’Erario.
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Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento
Se nel corso della medesima procedura si sono avvicendati più curatori, il compenso non va liquidato
più volte ma globalmente ragguagliato all’attivo finale realizzato, tenuto conto anche del passivo
accertato: deve ricomprendersi, dunque, non soltanto il ricavato delle operazioni di liquidazione,
ma anche la liquidità comunque acquisita dal curatore durante la sua gestione, nonché l’attività
svolta dal curatore stesso per l’inventario dei beni, se ed in quanto significativa. Così determinato,
il compenso va quindi suddiviso tra i diversi professionisti investiti dell’incarico in rapporto all’opera
prestata ed ai risultati ottenuti da ciascuno, alla durata di ogni incarico, nonché alla diligenza con
la quale sono state espletate le diverse mansioni, pur sempre nel rispetto della percentuale massima fissata dal D.M. 25 gennaio 2012, n. 30. La riforma del 2006 ha precisato in proposito che il
compenso, da liquidarsi in ogni caso al termine della procedura (salvo gli acconti), è stabilito con
criteri di proporzionalità (art. 39 L.F.).
5.Il comitato dei creditori
A) Nozione, nomina e funzionamento
Il comitato dei creditori è un organo collegiale, composto da tre o cinque creditori e
nominato dal giudice delegato (art. 40 L.F.).
La scelta dei componenti è rigorosamente limitata alla cerchia dei creditori del fallito e dovrebbe
tener conto delle varie categorie di essi, affinché possa trovare possibilità di espressione la maggior parte degli interessi dei creditori, non sempre coincidenti. La riforma del 2006 ha precisato
a riguardo che il comitato deve essere nominato in modo da rappresentare in misura equilibrata
quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi.
Il comitato deve essere costituito entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento sulla
base delle risultanze documentali, sentiti il curatore ed i creditori che, nella domanda
di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere
l’incarico o hanno segnalato altri nominativi con i requisiti previsti.
Ai sensi dell’art. 40 L.F., il giudice delegato può sostituire i membri del comitato in
relazione alle variazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo, e tale facoltà è stata ricollegata dalla dottrina alle ipotesi di conflitto di interessi con la massa
fallimentare, non essendo possibile applicare, in via analogica, le disposizioni relative
all’astensione del voto in materia societaria.
La composizione del comitato può essere altresì modificata conclusa l’adunanza di
verifica dello stato passivo dai creditori presenti che rappresentino la maggioranza dei
crediti ammessi: essi, infatti, possono effettuare nuove designazioni ed il tribunale
provvederà alla nomina dei soggetti designati dai creditori, salvo che non siano rispettati
i criteri di cui all’art. 40 L.F. (art. 37bis L.F.).
Come abbiamo già visto in merito alla sostituzione del curatore, sulla norma in esame è intervenuto il decreto correttivo, prevedendo che la nuova designazione possa essere effettuata dalla
maggioranza di tutti i creditori ammessi soltanto al termine dell’adunanza di verifica, prima della
pronuncia del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, in luogo della precedente previsione
della norma che richiedeva la sola maggioranza dei creditori «allo stato ammessi».
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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
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Entro dieci giorni dalla nomina, il comitato provvede a nominare a maggiornaza il
proprio presidente.
Il presidente convoca il comitato per le deliberazioni di competenza o quando sia
richiesto da un terzo dei suoi componenti.
Tutte le decisioni dell’organo sono prese collegialmente a maggioranza, nel termine di quindici
giorni successivi alla comunicazione della richiesta al presidente, e devono essere succintamente
motivate. Il componente che si trova in conflitto di interessi si deve astenere dalla votazione. Il
voto può essere espresso anche per telefax o con altro mezzo elettronico o telematico, purché
sia possibile conservare la prova della manifestazione. In caso di inerzia (cioè quando il comitato
non decide nel termine massimo di quindici giorni), di impossibilità di costituzione per insufficienza
di numero o indisponibilità dei creditori, di impossibilità di funzionamento o di urgenza, provvede
il giudice delegato.
Ciascun componente può delegare in tutto o in parte le proprie funzioni ad uno dei soggetti
aventi i requisiti richiesti per la nomina di curatore, previa comunicazione al giudice delegato. I
componenti del comitato hanno in genere diritto solo al rimborso spese per l’adempimento degli
obblighi del proprio incarico, ma ad essi non spetta alcun compenso. Tuttavia la riforma del 2006
ha stabilito che, nell’adunanza per l’esame dello stato passivo, i creditori che rappresentano la
maggioranza di quelli ammessi, indipendentemente dall’entità dei crediti vantati, possano stabilire
che ai componenti del comitato sia attribuito, oltre al rimborso delle spese, un compenso per la loro
attività, in misura non superiore al 10% di quello liquidato al curatore (art. 37bis, ult. comma, L.F.).
B) Funzioni
Il comitato è organo autorizzativo e gestorio, in particolare dell’attività posta in essere
dal curatore (art. 41 L.F.).
Esso infatti:
— autorizza tutti gli atti straordinaria amministrazione che devono essere eseguiti
dal curatore, nonché gli altri atti specificatamente indicati all’art. 35 L.F.;
— autorizza il nuovo curatore a proporre l’azione di responsabilità contro il curatore
revocato (art. 38 L.F.);
— autorizza il curatore a rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante il fallimento se i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione
risultino superiori al loro presumibile valore di realizzo (art. 42 L.F.);
— acconsente, congiuntamente al curatore, a restituire (con decreto del giudice
delegato) i beni mobili sui quali i tezi valutino diritti reali o personali facilmente
riconoscibili (art 87bis L.F.);
— autorizza il curatore a subentrare nei contratti pendenti in luogo del fallito (art. 72
L.F.);
— suggerisce di interrompere l’esercizio provvisorio dell’impresa, qualora ne ravvisi
la necessità (art. 104 L.F.);
— secondo la nuova formulazione apportata dal decreto correttivo, approva il programma di liquidazione predisposto dal curatore e può proporre a quest’ultimo le
eventuali modificazioni allo stesso (art. 104ter L.F.);
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Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento
— autorizza la nomina dei delegati e dei coadiutori del curatore (art. 32 L.F.);
— può autorizzare, su proposta del curatore, che le disponibilità liquide delle somme
riscosse dal fallimento vengano in tutto o in parte investite con strumenti diversi
dal deposito in conto corrente, purché sia garantita l’integrità del capitale (art.
34 L.F.).
L’attività gestoria è esercitata in particolar modo nella necessità che determinati atti,
compiuti dal giudice delegato, siano subordinati al previo parere favorevole del comitato.
In concreto
In particolare è necessario il consenso del comitato nei seguenti casi:
— per la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa (art. 104 L.F.);
— per affittare l’azienda, o rami d’azienda, del fallito a terzi e per concedere il diritto di prelazione
all’affittuario nel caso di successiva vendita (art. 104bis L.F.);
— secondo la nuova formulazione inserita dal decreto correttivo, per l’ammissione della proposta
di concordato fallimentare (art. 125 L.F.).
Contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori e i relativi comportamenti omissivi, il fallito ed ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto o, in caso di omissione, dalla
diffida a provvedere. Il giudice delegato decide con decreto motivato, reclamabile al
tribunale entro 8 giorni dalla comunicazione. Il tribunale decide sul ricorso entro 30
giorni con decreto motivato non impugnabile. Se è accolto il reclamo riguardante un
comportamento omissivo del comitato, il giudice delegato provvede in sostituzione di
quest’ultimo con l’accoglimento del reclamo (art. 36 L.F.).
Il comitato dei creditori svolge, inoltre, una funzione consultiva ed ha, altresì, poteri
di controllo sull’operato degli altri organi fallimentari (art. 41 L.F.).
Sotto il primo profilo, il comitato deve essere ascoltato in tutti i casi previsti dalla legge
(attività consultiva necessaria) e tutte le volte che il tribunale o il giudice delegato lo
ritengano opportuno (attività consultiva eventuale).
La richiesta del parere non vincolante è obbligatoria:
— per la revoca del curatore (art. 37 L.F.);
— per il subentro del curatore nel contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare
(art. 72ter L.F.);
— per la decisione di non procedere all’accertamento del passivo per insufficiente realizzo dei
beni (art. 102 L.F);
— per la vendita dei beni prima dell’approvazione del programma di liquidazione (art. 104ter L.F.);
— per sospendere le operazioni di vendita qualora ricorrano gravi e giustificati motivi (art. 108
L.F.);
— per la chiusura del fallimento in caso di insufficienza di attivo (art. 119 L.F.);
— per procedere all’esdebitazione del fallito (art. 143 L.F.);
— per l’esercizio delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore contro gli amministratori,
i componenti degli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori ed i soci di società a
responsabilità limitata (art. 146 L.F.).
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Capitolo 3 Gli organi preposti al fallimento
 63
Sotto il secondo profilo, il comitato o singoli suoi membri possono, di propria iniziativa, ispezionare le scritture contabili e i documenti del fallimento, nonché chiedere
notizie e chiarimenti.
Essi hanno diritto di essere informati specificamente su tutte le vicende del procedimento. A tale funzione può ricollegarsi la legittimazione a proporre reclamo contro i
decreti del giudice delegato, nonché a chiedere la revoca del curatore medesimo (artt.
26 e 37 L.F.).
Secondo la disciplina introdotta dalla riforma del 2006, inoltre, il comitato, nell’espletamento delle
sue funzioni di controllo:
— deve vidimare il registro tenuto dal curatore (art. 38 L.F.);
— ha diritto di prendere visione di qualunque atto o documento contenuti nel fascicolo del fallimento (art. 90 L.F.);
— durante il periodo di esercizio provvisorio, deve essere convocato dal curatore, almeno ogni 3
mesi, per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità
di continuarne l’esercizio. Deve inoltre essere informato dal curatore sulle circostanze sopravvenute che possono influire sull’esercizio provvisorio (art. 104 L.F.);
— è informato dal curatore sull’esito delle vendite effettuate (art. 107 L.F.).
C) Responsabilità
La riforma del 2006 ha previsto che ai componenti del comitato dei creditori si applichi, in quanto compatibile, l’art. 2407 c.c., relativo alla responsabilità dei sindaci nelle
società per azioni in solido con gli amministratori.
Sulla disposizione è intervenuto successivamente il decreto correttivo (D.Lgs.
169/2007), il quale ha limitato il richiamo all’art. 2407 c.c. ai soli 1° e 3° comma di esso
ed esonerando così il comitato dei creditori dalla cd. culpa in vigilando, consistente
nella responsabilità del comitato, in solido con il curatore, per i fatti o le omissioni di
questo, quando il danno fosse casualmente collegabile all’omessa o negligente vigilanza
del comitato stesso. In questo modo, la responsabilità del comitato, troppo rigidamente
prevista dalla riforma del 2006, è stata ampiamente ridimensionata, anche valutando
le diversità di ruoli tra il comitato ed il collegio sindacale.
In forza di tale rinvio, a partire dalle procedure iniziate dopo il 1° gennaio 2008, i
membri del comitato:
— devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico;
— sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto
sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Il decreto correttivo ha, inoltre, precisato che l’azione di responsabilità è proponibile,
dal solo curatore, anche durante lo svolgimento della procedura, previa autorizzazione
del giudice delegato; con il decreto di autorizzazione il giudice delegato sostituisce i
componenti del comitato nei confronti dei quali ha autorizzato l’azione.
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
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Parte prima La principale procedura concorsuale: il fallimento
Dottrina
Quanto alla natura di tale responsabilità, l’orientamento maggioritario sembra essersi indirizzato nel senso di classificare la responsabilità dei componenti del comitato dei creditori come
extracontrattuale (tra gli altri PAJARDI-PALUCHOSWKY); secondo tale dottrina il comitato dei
creditori non potrebbe dirsi parte di un vero e proprio rapporto di mandato, fonte di obbligazioni il cui inadempimento possa fondare una responsabilità di tipo contrattuale; ma, allo stato
attuale, non si può escludere che in futuro possa finire per affermarsi la tesi opposta della
natura contrattuale.
Questionario
1. Quali sono i compiti attribuiti al tribunale fallimentare? (par. 2)
2. Ai sensi dell’art. 26 L.F. qual è la disciplina dei reclami avverso i provvedimenti
del giudice delegato? (par. 3)
3. Quali sono i compiti attribuiti al curatore fallimentare? (par. 4)
4. In quali casi è necessario il consenso del comitato dei creditori? (par. 5)
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