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ORGOGLIO E PREGIUDIZIO
ORGOGLIO E PREGIUDIZIO ORGOGLIO: Esagerato sentimento della propria dignità, dei propri meriti, della propria posizione o condizione sociale, per cui ci si considera superiori agli altri. PREGIUDIZIO: Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore. Queste definizioni, tratte dall’enciclopedia Treccani, rappresentano alla perfezione il lato oscuro della mia personalità, il lato negativo da nascondere perché considerato come “difetto”: ho sempre avuto timore di poter sopravvalutare i miei meriti e sottovalutare quelli altrui a causa di giudizi affrettati. Forse è proprio questo uno dei motivi per cui amo questo libro. Non c’è dubbio, mi rispecchia. Le cinque sorelle Bennet nel film di Joe Wright del 2005 “Orgoglio e pregiudizio” (Pride and Prejudice), pubblicato il 28 gennaio 1813, è uno dei più celebri romanzi di Jane Austen. Esso è un esempio di novel of manners in cui viene descritta la società di quel periodo, ed in particolare la condizione femminile: le donne perbene non avevano ambizioni lavorative e per ottenere un posto rispettabile in società una donna “doveva” sposarsi con un uomo di prestigio. Quindi, per molte donne, un buon e conveniente matrimonio era l’unico espediente per “sistemarsi”. Tipico quindi di questo genere è il “theme of love”. La trama è incentrata sulle vicende della famiglia Bennet, composta dai signori Bennet e dalle loro cinque figlie. Poiché i Bennet non hanno figli maschi, le proprietà di famiglia andranno in eredità ad un cugino, William Collins. La famiglia Bennet è quindi nei guai e perciò occorre trovare dei buoni partiti per le cinque ragazze. Finalmente Charles Bingley, un ricco scapolo, si stabilisce con le sue sorelle e il suo migliore amico, lo scontroso e introverso Fitzwilliam Darcy, a Netherfield, dove abitano i Bennet: è l'occasione sperata. Bingley si innamora, ricambiato, della primogenita Jane. Elizabeth, la secondogenita, meno bella della sorella ma molto intelligente, è invece attratta dal giovane e affascinante colonnello George Wickham, che si rivelerà un subdolo manipolatore con il vizio del gioco d’azzardo. Per eliminare un potenziale rivale, egli calunnia Darcy agli occhi di Elizabeth, che cade vittima delle trame di Wickham. Rupert Friend nei panni di Wickham nel film di Joe Wright del 2005 Perciò, quando Darcy chiede ad Elizabeth di sposarlo, con sua grande sorpresa, la ragazza, pur essendo socialmente inferiore a lui, non accetta: troppi fatti spregevoli le sono stati raccontati sul suo conto. Darcy capisce che qualcuno ha tramato contro di lui: perciò, mettendo da parte l'orgoglio, le scrive una lettera spiegandole ogni cosa, ed è così che finalmente Elizabeth apprende tutta la verità riguardo a fatti di cui era all’oscuro, vergognandosi profondamente della sua credulità. Infine Wickham scappa con Lydia, la sciocca sorella sedicenne di Elizabeth, compromettendo la sua reputazione. Darcy si impegna segretamente per rintracciarli. L’epilogo della storia è a lieto fine: vede infatti il matrimonio delle due coppie, quella di Jane e Bingley e quella di Elizabeth e Darcy. Nonostante l’apparenza “consolatoria”, Pride and Prejudice non è per nulla un "libro da capezzale", anzi, è considerato dalla critica un capolavoro della letteratura moderna. I temi portanti, come anticipa il titolo, sono l'orgoglio (di Darcy) e il pregiudizio (di Elizabeth) che ostacolano la loro storia d'amore. Ad un certo punto del romanzo vi è un capovolgimento graduale: l’orgoglio di Darcy si rivela non senza pregiudizio e il pregiudizio di Elizabeth non senza orgoglio, fino al culmine rovinoso della prima proposta di matrimonio di Darcy: qui le loro posizioni si ribaltano, il che, paradossalmente ma non troppo, consentirà ai due, grazie alla loro intelligenza, di venirsi incontro reciprocamente e di superare gli ostacoli. Tali ostacoli sono quindi di natura interna e non esterna, a differenza di quanto accade per esempio nel romanzo greco-latino, con l'eccezione di Dafni e Cloe di Longo Sofista, quasi tutto basato sulla scoperta dell'amore e del sesso da parte dei due ingenui protagonisti. Jean-Pierre Cortot, Dafni e Cloe, 1827 Altri temi importanti sono il matrimonio, i rapporti tra i due sessi, il ruolo della donna. Le unioni matrimoniali dettate più dalla convenienza che dall'amore, come quella tra i coniugi Bennet e tra Charlotte e Mr. Collins, sono giudicate deprecabili dalla Austen, che tuttavia è ben consapevole anche della futilità dei rapporti basati solo sull'attrazione fisica, come quello tra Lydia e Wickham. La protagonista, Elizabeth, è l'ideale di donna della Austen: un ideale che potremmo definire protofemminista che ricorda molto il carattere battagliero delle “suffragette”. Elizabeth non punta sulla bellezza, anche perché non è bellissima, ma riesce ad imporsi grazie alla sua intelligenza e alla sua vivacità, manifestando una personalità libera ed indipendente. Questo farà sì che proprio lo scapolo più ambìto, Darcy, essendo l'uomo più intelligente e anticonvenzionale del gruppo, s'innamori di lei. Keira Knightley (Elizabeth) e Matthew Macfadyen (Darcy) nel film di Joe Wright del 2005 I personaggi sono rappresentati con precisione e perfettamente a fuoco, ed il loro ritratto quasi calligrafico, spesso sottilmente ironico, costituisce uno degli aspetti più pregevoli del romanzo. L'intreccio coincide a grandi linee con la fabula. Peraltro, dal momento che l'analessi è un fenomeno usuale anche nella narrativa antica, dall'Odissea fino a romanzi come Le etiopiche di Eliodoro di Emesa, dobbiamo ritenere che la scelta della linearità narrativa da parte della Austen sia intenzionale: essa infatti contribuisce alla razionalità dell'insieme, a sottolineare e a mettere in luce i rapporti di causa-effetto. Su questo tema si erano scontrati già nell'antichità Callimaco ed Apollonio Rodio, il primo radicalmente contrario al "poema continuo" che racconta i fatti per filo e per segno in ordine cronologico, il secondo invece autore di un "poema ciclico", le Argonautiche. Sulla stessa linea si pone la scelta da parte della Austen del narratore eterodiegetico, che prevede la narrazione dei fatti in terza persona, e la focalizzazione zero (il narratore sembra sapere tutto dei personaggi e persino la fine della vicenda): una scelta molto tradizionalista, alla quale già romanzieri antichi come Petronio ed Apuleio avevano rinunciato, preferendo il punto di vista "obliquo" e soggettivo del protagonista. Ma, appunto, è proprio di questa soggettività che la Austen vuole fare a meno. In tutto questo non sembrerebbe esserci nulla di particolarmente originale: continuiamo a non capire il “segreto” del romanzo. Viene istintivamente in mente un parallelo con un autore antico tra i più fraintesi della storia della letteratura, proprio a causa del suo uso del lieto fine: Menandro. Il lieto fine menandreo, legato anche in questo caso a un matrimonio o a un doppio matrimonio, non svolge un ruolo "consolatorio", bensì ha una funzione per così dire paideutica: deve infatti additare ai lettori/spettatori la possibilità di una trasformazione positiva della società, a patto che si lavori con tenacia e intelligenza alla rimozione dei pregiudizi che tendono a prendere il sopravvento sull'humanitas. Un finale negativo indurrebbe al pessimismo ed ad un atteggiamento rinunciatario: esiste una profonda antinomia in questo senso tra il tragico e il comico, di cui la Austen, come Menandro, adotta il lato costruttivo e riformista dell'umorismo, quello che più tardi verrà teorizzato da Pirandello. Del resto, una caratteristica tipica della “Comedy of Manners” è il fatto che la sua conclusione è sempre a lieto fine. Ma l'aspetto probabilmente più rilevante dell'arte della Austen è il suo stile: asciutto, brillante, gioioso, mai sdolcinato, rispecchia una sovrana padronanza della situazione e dà la costante impressione di un gioco sorvegliato dall'alto, una partita a scacchi condotta con mente attenta e mano ben ferma. L'elemento significativo di questa regale padronanza intellettuale è l'ironia: tutta la società è rappresentata con ironia dalla Austen, che riserva un identico trattamento sia alla media sia all'alta borghesia. Inoltre, a differenza di quanto accade ad esempio in Luciano di Samòsata, altro maestro dell'ironia artistica, non scade mai in sarcasmo: la sua è un'ironia intellettuale, non lascia trapelare alcuna emozione, esprime solo la lucida e distaccata consapevolezza della stupidità dei comportamenti umani. Difficile anche proporre paralleli nelle arti figurative: forse solo Magritte sa essere altrettanto ironico ed intellettuale. La mente della scrittrice sembrerebbe dunque analizzare e scomporre la realtà che la circonda, per poi ricomporla in una visione lucida e superiore di sapore quasi matematico, in cui il lieto fine assume quasi il senso della dimostrazione di un teorema. Tuttavia la Austen, anche in questo simile a Menandro, non si oppone all'ambiente che la circonda e non lo disprezza, anzi, come nella sua stessa vita, lo accetta e lo ama. Dunque con scenari domestici, toni ironici, lieto fine e con la profonda serietà di una bambina molto intelligente, Jane costruisce il suo castello di sabbia pur sapendo che è solo un gioco. Ma è proprio il gioco che, con le sue regole, restituisce un senso, un ordine razionale e una bellezza alla realtà: è il regalo di Jane al mondo. BIBLIOGRAFIA: SITOGRAFIA: