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tom peters e la ricerca dell`eccellenza

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tom peters e la ricerca dell`eccellenza
Manager, imprese e la capacità di reagire al cambiamento
<< L'eccellenza è un concetto pratico non uno slogan pubblicitario>>
Definire Tom Peters non è cosa facile. Famoso per le sue idee rivoluzionarie è senza dubbio, uno
dei principali esperti di management a livello internazionale.
Per il Los Angeles Times, è il padre dell’azienda post-moderna. I suoi libri hanno segnato la storia
del pensiero imprenditoriale dagli anni Ottanta in poi. Alla ricerca dell’eccellenza per anni ai vertici
delle classifiche di vendita (Sperling & Kupfer, pagg. 453, euro 22,00) è considerato il miglior libro
di business di tutti tempi. Ma questo non basta per definire il carattere di questo uomo in grado di
scuotere, come un terremoto, le più radicate certezze del top management di tutto il mondo.
Tom Peters ha l’aria del cattivo sergente nordista. La voce potente. Le idee chiare e forti come il
sole della California.
Mentre cresce l’enfasi sul valore dell’eccellenza (qualche volta, a dire il vero, abusando di questo
concetto, fino a svuotarlo di contenuto) ci stiamo accorgendo che puntare sulla qualità di prodotti e
servizi è la più rivoluzionaria delle strategie di marketing.
In tutti i casi, dovremmo essere capaci di chiederci di quali valori si tratta e soprattutto che cosa
definisce l’eccellenza.
Si tratta di una questione di primato come alla Caterpillar che affida tutto alla forza del suo motto
(consegna i pezzi di ricambio entro ventiquattr’ore in tutto il mondo) oppure di «essere fedeli alla
nostra estetica» come Walter Hoving dice di se stesso e di Tiffany’s? Ha ragione Ray Kroc della
McDonald’s che esalta la bellezza dell’hamburger, oppure Watson della IBM con il suo rispetto per
l’individuo?
Per Roberto Tunioli di Datalogic, imprenditore dell’anno (Ernst & Young) per la vision più
innovativa, la «forza è nel cambiamento».
Tutto questo è semplicemente banale? «Solo se si è cinici» risponde Tom Peters.
«Valori di questo tipo hanno la capacità di trasformare le aziende che li applicano davvero».
Qual è la domanda che le fanno più spesso?
Tom Peters: Ovunque vada, quelli che vorrebbero essere imprenditori mi chiedono come fare per
creare una piccola azienda. E io rispondo: Comprate una grande azienda e aspettate. È solo
questione di tempo. Le grandi aziende non funzionano più. Fra dieci anni forse, le imprese italiane
suggeriranno alle business school un nuovo modello di organizzazione. Negli anni Cinquanta, si
diceva che l’America andava come andava la General Motors. Oggi, mi auguro che le cose non
stiano ancora così. La General Motors non solo fa automobili costose, ma fa pessime automobili
che sono anche costose.
Secondo lei da cosa dipende?
Dipende dalla testa. La General Motors è gestita da un contabile. I contabili sono importanti, ma
devono fare il loro lavoro. Non si può promuovere un Cfo a Ceo.
Alla ricerca dell’eccellenza è un libro che ha segnato più di una generazione di manager in tutto il
mondo. Lei sente questa responsabilità?
Io sono responsabile solo di me stesso e delle mie azioni. Alla ricerca dell’eccellenza è un libro che
ha avuto molto successo, ma è un libro stupido che dice cose ovvie. Spesso mi pagano per dire cose
ovvie. Non so come ho fatto a scrivere più di duecento pagine per dire che le persone sono
importanti. Ricordo che quando presentavo il libro e dicevo che le persone erano importanti non
riuscivo a credere che ci fossero manager pronti a scrivere sui loro blocchi “le-persone-sonoimportanti…”
Sta scherzando, vero?
E'chiaro che sto esagerando. Però confesso una cosa, sto esagerando solo un po’.
Che cosa conta?
Tutto si riduce al carattere, lo abbiamo visto in America con il fiasco della Enron.
Qualche manager mi scuserà, però il carattere non è un business plan…
Crede ai cambiamenti?
È più facile uccidere un’organizzazione che cambiarla. Credo ai cambiamenti quando nascono
dall’interno e non quando sono imposti dall’alto. In questo caso non daranno mai buoni risultati
come la maggior parte delle fusioni tra imprese.
L’America però è la terra delle grandi fusioni…
Le fusioni tra aziende sono come una nuova biologia. Come si può pensare di accoppiare due
dinosauri e aspettarsi degli enormi risultati? Se un elefante ingoia una zanzara è più facile che
cambi il metabolismo della zanzara piuttosto che quello dell’elefante.
Qual è la vera forza del cambiamento?
C’è una sola fonte di innovazione, le persone arrabbiate.
Che cosa manca nelle aziende?
Sono un americano e metto insieme ciò che trovo nel mondo reale. Nelle aziende si parla troppo e
non si fa abbastanza.
Ho scoperto che per capire quello che succede in una città di cui non si conosce la lingua bisogna
chiedere al tassista. Quanti Ceo conosce che vanno in giro in taxi?
Dobbiamo competere con la Cina e l’India. Per farlo non possiamo misurarci sullo stesso terreno
del costo del lavoro, ma sulla capacità di trasformare i sogni in realtà.
Gli accordi commerciali non salveranno l’Italia o gli Stati Uniti dalla concorrenza globale.
Il suo mercante di sogni preferito?
La nuova IBM.
C’è una parola nel linguaggio dell’economia che proprio non sopporta?
Odio la parola marketing. Esistono centinaia di corsi di marketing in salse varie e, mi ci gioco una
mano, neppure un corso di vendite. Le vendite non sono abbastanza sofisticate per le business
school. Io ho 63 anni e vendo le mie idee, non faccio marketing.
L’altra parola che odio è motivazione. Esiste solo una persona in grado di motivarci e siamo noi
stessi.
Esiste una formula vincente per resistere nel mercato?
Non ci sono trucchi. Bisogna lavorare sodo. L’essenza del successo è alzarsi presto e andare a letto
tardi. Chi ha da obiettare qualcosa può fare come i francesi e non lavorare affatto. Solo i francesi
pensano alle 35 ore per essere competitivi. L’eccellenza è un concetto pratico non uno slogan
pubblicitario.
La migliore definizione di eccellenza?
Non l’ho trovata in un libro di economia. E’ del regista Robert Altman che descrive il ruolo del
regista. Il ruolo del regista è quello di creare uno spazio dove l’attore può diventare di più di quanto
sognasse essere. E’ una definizione che si adatta benissimo al mondo del management. Nel 90%
delle volte, invece, quello che chiamano management è come rendere complicate cose che in
partenza sono semplici…
Che cosa è il management?
Il management è un’arte e non può essere trasformato in una scienza.
Chi cerca di farlo commette un grave errore. Google è un esempio.
Vivo nella Silicon Valley da trentacinque anni e ho visto sviluppare modelli di management da
parte di persone che lo praticano e non lo teorizzano.
La cosa più stupida che ha visto fare in azienda?
Tante che neppure le ricordo. Se esistesse l’Oscar della stupidità però lo darei al presidente
dell’Unilever. L’ottantacinque per cento dei loro prodotti sono venduti alle donne e nel loro top
management non c’è neppure una donna. Lo trovo stupido visto che nei prossimi vent’anni il potere
sarà proprio nelle mani delle donne.
Che cosa è il business?
Il business nella sua espressione migliore è un buon servizio.
Cosa la colpisce in un manager?
Il sorriso. Nulla è più contagioso dell’entusiasmo.
Come si fa per cambiare?
Bisogna iniziare. Comprare uno specchio per 10 dollari e guardarsi dentro può essere un buon
inizio. Troppi manager hanno perso di vista il senso dell’azione rapida, l’importanza del servizio al
cliente, l’innovazione reale e il fatto che nulla di tutto ciò è possibile senza la partecipazione di tutte
le funzioni aziendali.
Che cosa la scoraggia?
La mancanza di idee. Nella vita delle grandi aziende va scomparendo quello che le ha rese grandi,
l’innovazione. Secondo uno studio della National Science Foundation le piccole imprese producono
quattro volte più innovazione per unità monetaria investita in R&D delle imprese di medie
dimensioni e ventiquattro volte più delle grandi. Questo dimostra che i soldi non assicurano il
futuro.
La complessità nelle grandi organizzazioni è ineluttabile?
Solo nelle aziende gestite male. La storia delle aziende ben gestite ci insegna proprio il contrario.
Qual è la prima cosa che le viene in mente quando sente parlare di Made in Italy?
Penso a quanto mi è costata la cravatta che indosso.
( Fonte Data Manager Online)
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