Trauma Journal Club numero 7 - Italian Resuscitation Council
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Trauma Journal Club numero 7 - Italian Resuscitation Council
TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 In questo numero ! Indici di shock ! Il rimpiazzo volemico ! Ipotermia ! Controllo dell'emorragia ! Trattamento precoce dell’ustionato. Nel prossimo numero Trauma Cranico Contatti Per commenti e contributi clicca Redazione TJC o scrivi a [email protected] Full text pdf http://www.ircouncil.it/ptc/ trauma-journal-club Italian Resuscitation Council SHOCK Editoriale Nell’Aprile del 2010 appariva on-line il primo numero del Trauma Journal Club: una nuova entusiasmante iniziativa editoriale nata dalla passione di un gruppo di medici ed infermieri italiani. L’obiettivo era selezionare dalla letteratura internazionale argomenti di interesse comune nell’ambito della patologia traumatica. La Commissione Trauma vuole riproporre questo progetto, riconoscendone il valore e l’interesse suscitato. Un gruppo di lavoro, coordinato da Luca Delpiano, ha provato a ridefinirne i contenuti: ! ogni numero avrà un tema dominante, ma non esclusivo, per questo numero sarà lo Shock e per il prossimo il Trauma Cranico; ! la rivista comprenderà riassunti e commenti di articoli internazionali, “expert opinion” , review sistematiche ma anche articoli originali proposti dai collaboratori; ! ci saranno spazi dedicati a innovazioni ed eventi nell’ambito della “formazione sul trauma”; ! la rivista conterrà “pillole di metodologia”: approfondimenti brevi di aspetti metodologici/statistici. La rivista, a cadenza trimestrale, è scaricabile on-line dal sito IRC http://www.ircouncil.it/ptc/trauma-journal-club da tutti i soci. Affinchè questo ambizioso progetto non resti appannaggio di pochi, ma contribuisca alla diffusione di “una cultura del trauma” chiediamo a tutti i lettori un’intensa collaborazione. A tale scopo potete utilizzare l’indirizzo: [email protected] per inviare i vostri commenti, proposte, domande e contributi; quest’ultimi saranno attentamente valutati dal Trauma Journal Club pag ! 1 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 comitato di redazione per un’eventuale pubblicazione. Il tema dominante di questo primo numero è lo Shock: da qualche anno la letteratura pone l’accento sul concetto di “damage control strategy” una sintesi di controllo chirurgico precoce, supporto emostatico e ipotensione permissiva. Da qui tutta una serie di domande: come individuare precocemente i pazienti in shock? Quali e quanti liquidi? Come prevenire l’ipotermia? Quando e quali emoderivati? E la letteratura prova a rispondere….. Buona lettura a tutti! Dott.sa Concetta Pellegrini, Benevento INDICE Editoriale_________________________________________________________________________ p.1 1. L’Indice di Shock (Shock Index): una guida rapida per predire la necessità di trasfusione?__ p3 2. L’utilizzo del deficit di basi come parametro per la valutazione iniziale dei pazienti con trauma grave___________________________________________________________________ p4 3. Il rimpiazzo volemico con Ringer-lattato è dannoso nello shock emorragico severo, ma protettivo nello shock emorragico: studi in un modello murino._______________________ p7 4. Effetti della fluidoterapia con Colloidi vs Cristalloidi sulla mortalità dei pazienti critici che presentano shock ipovolemico. The CRISTAL Randomized Trial____________________ p11 5. La fluidoterapia_________________________________________________________________ p15 6. Controllo del sanguinamento e della coagulopatia conseguente a trauma maggiore: una linea guida europea aggiornata__________________________________________________ p18 7. Ipotermia accidentale____________________________________________________________ p24 8. Strumenti per prevenire, misurare e trattare l’ipotermia:un’indagine nei servizi pre-ospedalieri norvegesi_________________________________________________ p29 9. Gli effetti del riscaldamento attivo nell’assistenza pre-ospedaliera del trauma, durante il trasporto in ambulanza e in elicottero – trial clinico randomizzato______________ p30 10. Trattamento iniziale dell’ustionato: che impatto ha la valutazione errata della superficie ustionata?__________________________________________________________ p34 11. Domande e risposte: la terapia infusionale dell’ustionato nelle prime ore dal trauma____ p36 12. Le medicazioni emostatiche avanzate non sono superiori alla semplice garza negli scenari sotto fuoco nemico____________________________________________________ p39 13. L’infusione di fluidi in ambito preospedaliero è associata, nei pazienti con trauma, ad un aumento della sopravvivenza____________________________ p43 14. Una precoce e aggressiva rianimazione con cristalloidi influisce negativamente sulla prognosi dei pazienti vittima di trauma chiuso______________ p46 Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 2 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 1. L’Indice di Shock (Shock Index): una guida rapida per predire la necessità di trasfusione? Sintesi a cura di CPSE Claudio Tacconi, Bologna Abstract Introduction: Isolated vital signs (for example, heart rate or systolic blood pressure) have been shown unreliable in the assessment of hypovolemic shock. In contrast, the Shock Index (SI), defined by the ratio of heart rate to systolic blood pressure, has been advocated to better risk-stratify patients for increased transfusion requirements and early mortality. Recently, our group has developed a novel and clinical reliable classification of hypovolemic shock based upon four classes of worsening base deficit (BD). The objective of this study was to correlate this classification to corresponding strata of SI for the rapid assessment of trauma patients in the absence of laboratory parameters. The Shock Index revisited – a fast guide to transfusion requirement? A retrospective analysis on 21,853 patients derived from the TraumaRegister DGUW Mutschler et al. Crit Care 2013, 17:R172 Methods: Between 2002 and 2011, data for 21,853 adult trauma patients were retrieved from the TraumaRegister DGUW database and divided into four strata of worsening SI at emergency department arrival (group I, SI <0.6; group II, SI ≥0.6 to <1.0; group III, SI ≥1.0 to <1.4; and group IV, SI ≥1.4) and were assessed for demographics, injury characteristics, transfusion requirements, fluid resuscitation and outcomes. The four strata of worsening SI were compared with our recently suggested BD-based classification of hypovolemic shock. Results: Worsening of SI was associated with increasing injury severity scores from 19.3 (± 12) in group I to 37.3 (± 16.8) in group IV, while mortality increased from 10.9% to 39.8%. Increments in SI paralleled increasing fluid resuscitation, vasopressor use and decreasing hemoglobin, platelet counts and Quick’s values. The number of blood units transfused increased from 1.0 (± 4.8) in group I to 21.4 (± 26.2) in group IV patients. Of patients, 31% in group III and 57% in group IV required ≥10 blood units until ICU admission. The four strata of SI discriminated transfusion requirements and massive transfusion rates equally with our recently introduced BD-based classification of hypovolemic shock. Conclusion: SI upon emergency department arrival may be considered a clinical indicator of hypovolemic shock in respect to transfusion requirements, hemostatic resuscitation and mortality. The four SI groups have been shown to equal our recently suggested BD-based classification. In daily clinical practice, SI may be used to assess the presence of hypovolemic shock if point-of-care testing technology is not available. Keywords: Trauma, Shock, Classification, Vital signs, Shock index, Base deficit, Transfusion Introduzione L’emorragia non controllata è una delle principali cause di morte nel paziente traumatizzato pertanto il trattamento dello shock ipovolemico è uno dei punti cardine nella gestione del trauma. Nella valutazione dello stato di shock alla stima delle perdite volemiche secondo i criteri dettati dall’Atls, è stata recentemente integrata la misurazione del deficit di basi (BD) come criterio predittivo per la necessità di trasfusioni massive. In mancanza però di dati laboratoristici (BD), un altro parametro per determinare la presenza di shock ipovolemico è l’Indice di Shock (SI), suggerito già nel 1967 e definito come il rapporto fra frequenza cardiaca e pressione arteriosa sistolica. Obiettivo Come allora lo SI può essere correlato allo shock, alla necessità di trasfusioni, alla mortalità? Materiali e Metodi Come database è stato utilizzato il Trauma Register DGU, analizzando 21853 pazienti trattati fra il 2002 e il 2011. Per l’arruolamento dei pazienti era necessaria un’età maggiore di 16 anni, la presenza di dati relativi alla frequenza cardiaca , pressione arteriosa, GCS e valore di BD in pronto soccorso. Per ogni paziente è stato calcolato l’indice di shock (SI) e sono stati definiti a priori 4 gruppi. Gruppo I SI < 0,6 (assenza di shock), Gruppo II SI fra 0,6 e 1,0 (shock lieve), Gruppo III SI compreso fra 1,0 e 1,4 (shock moderato), Gruppo IV SI superiore a 1,4 (shock grave). Risultati In base alla stratificazione dei pazienti in classi guidata dal SI si è visto che: L’aumento del SI è correlato alle lesioni primitive (ISS) La mortalità aumenta all’aumentare del gruppo (dal 10,9% gruppo I al 39,8% gruppo IV) Col peggioramento della categoria aumenta l’incidenza di insufficienza multiorgano Nei pazienti con SI > 1,0 è presente coagulopatia ed all’aumentare dello SI si nota una perdita di punti di emoglobina e piastrinopenia Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 3 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Con un valore di SI maggiore di 1,0 si nota un incremento del 50% dei pazienti che necessitavano di trasfusione (almeno un emoderivato), mentre per quanto riguarda la trasfusione massiva (almeno 10 emoderivati), ne ha necessitato un 31% di pazienti in gruppo III ed un 57% di pazienti in gruppo IV. Conclusioni Confrontando la classificazione in base al BD a quella in base allo SI, in relazione alla necessità di trasfusione ed alla trasfusione massiva (analisi delle aree), si è visto che entrambe le metodologie sono accurate come previsione del fabbisogno trasfusionale. La valutazione dello shock mediante lo SI può pertanto essere utilizzata in assenza di un sistema laboratoristico che ci dia una valutazione del BD Sia la metodica che utilizza per la valutazione dello shock ipovolemicolo lo Shock Index (SI) sia la metodica che utilizza il dosaggio del deficit di basi (BD) sono accurate. Gli autori consigliano l’utilizzo dello SI nei momenti in cui non è possibile dosare il deficit di basi ovvero nel soccorso preospedaliero e nei primi istanti dell’arrivo in pronto soccorso. La classificazione dello shock con l’una o l’altra metodica ci consente di avere una previsione della possibilità di dover somministrare emocomponenti al paziente Limiti riconosciuti dagli autori L’analisi dei dati presenti nel registro traumi non teneva in considerazione alcune variabili: Anamnesi del paziente e farmaci in terapia cronica Tutti i traumi erano prevalentemente traumi chiusi, pertanto l’applicazione di tali valutazioni sui traumi penetranti non è stata validata Tutte le valutazioni e le classificazioni sono state eseguite utilizzando i dati raccolti durante la prima valutazione intraospedaliera, non vengono utilizzati dati del preospedaliero. 2. L’utilizzo del deficit di basi come parametro per la valutazione iniziale dei pazienti con trauma grave Sintesi a cura di CPSE Claudio Tacconi, Bologna Renaissance of base deficit for the initial assessment of trauma patients: a base deficit based classification for hypovolemic shock developed on data from 16,305 patients derived from the TraumaRegister DGU® Mutschler et al. Crit Care 2013, 17:R42 Italian Resuscitation Council Abstract Introduction: The recognition and management of hypovolemic shock still remain an important task during initial trauma assessment. Recently, we have questioned the validity of the Advanced Trauma Life Support (ATLS) classification of hypovolemic shock by demonstrating that the suggested combination of heart rate, systolic blood pressure and Glasgow Coma Scale displays substantial deficits in reflecting clinical reality. The aim of this study was to introduce and validate a new classification of hypovolemic shock based upon base deficit (BD) at emergency department (ED) arrival. Methods: Between 2002 and 2010, 16,305 patients were retrieved from the TraumaRegister DGU® database, classified into four strata of worsening BD [class I (BD ≤ 2 mmol/l), class II (BD > 2.0 to 6.0 mmol/l), class III (BD > 6.0 to 10 mmol/l) and class IV (BD > 10 mmol/l)] and assessed for demographics, injury characteristics, transfusion requirements and fluid resuscitation. This new BD-based classification was validated to the current ATLS classification of hypovolemic shock. Results: With worsening of BD, injury severity score (ISS) increased in a step-wise pattern from 19.1 (± 11.9) in class I to 36.7 (± 17.6) in class IV, while mortality increased in parallel from 7.4% to 51.5%. Decreasing hemoglobin and prothrombin ratios as well as the amount of transfusions and fluid resuscitation paralleled the increasing frequency of hypovolemic shock within the four classes. The number of blood units transfused increased from 1.5 (± 5.9) in class I patients to 20.3 (± 27.3) in class IV patients. Massive transfusion rates increased from 5% in class I to 52% in class IV. The new introduced BD-based classification of hypovolemic shock discriminated transfusion requirements, massive transfusion and mortality rates significantly better compared to the conventional ATLS classification of hypovolemic shock (p < 0.001). Conclusions: BD may be superior to the current ATLS classification of hypovolemic shock in identifying the presence of hypovolemic shock and in risk stratifying patients in need of early blood product transfusion. Introduzione Il riconoscimento precoce dello shock ipovolemico e la sua gestione nel paziente con trauma grave costituiscono uno dei punti cruciali di trattamento nelle prime Trauma Journal Club pag ! 4 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 fasi di gestione intraospedaliera. La valutazione emodinamica viene fatta, secondo quanto dettato dall’ATLS, monitorando frequenza cardiaca, pressione arteriosa sistolica e Glasgow Coma Scale; i parametri vengono inseriti in una tabella che ci indica una classe di shock ovvero ci da una stima delle perdite del paziente e conseguentemente un’indicazione terapeutica per il reintegro volemico. La validità clinica di tale valutazione viene messa in discussione da due studi indipendenti che analizzano due database (Trauma Audit Research Network e Trauma Register DGU). Entrambe le analisi sono arrivate alla conclusione che col metodo ATLS viene sovrastimata la tachicardia associata a ipotensione e sottostimata l’alterazione dello stato di coscienza. Alla luce di ciò è stato suggerito un altro parametro per il monitoraggio dello shock ipovolemico: il deficit di basi (BD). Tale parametro, risulta, dalla letteratura, essere legato alla mortalità, ai giorni di degenza ed alla possibilità dell’insorgenza di complicanze multiorganiche. Inoltre, il BD, è un parametro di facile monitoraggio già all’ingresso in ospedale. Obiettivo Validazione di un metodo per l’attribuzione della classe di shock ipovolemico utilizzando il deficit di basi Materiali e Metodi Nel presente studio vengono analizzai dati estrapolati dal Trauma Register DGU relativi a pazienti adulti (> 16 anni) vittime di trauma dal 2002 al 2010 (16305 pazienti) che presentavano i parametri clinici relativi a frequenza cardiaca, pressione sistolica, GCS e BD durante la valutazione in pronto soccorso. Preventivamente, sono state create quattro classi di shock sulla base del BD su cui inserire i vari pazienti del registro. Classe I (shock assente) BD < 2 mmol/litro, Classe II (shock lieve) BD compreso fra 2,0 e 6,0 mmol/litro, Classe III (shock moderato) BD compreso fra 6,0 e 10,0 mmol/litro, Classe IV (shock grave) BD superiore a 10 mmol/litro. Risultati Osservando i risultati ottenuti inserendo i 16305 pazienti nelle rispettive classi di shock sulla base del BD in comparazione col sistema ATLS si osserva che : Non ci sono variazioni significative della frequenza cardiaca nelle diverse classi La pressione arteriosa sistolica ha una variazione (decremento) importante solo in classe IV La mortalità e la morbilità aumentano in maniera esponenziale all’aumentare della classe C’è una diminuzione del livello di emoglobina e di piastrine all’aumentare della classe Nei pazienti di classe III e IV compare coagulopatia L’aumento della classe di shock BD correlata corrisponde ad un aumento degli emocomponenti trasfusi Anche la somministrazione di fluidi e vasopressori aumenta come dosaggio al peggioramento della classe. Un confronto ai due metodi di valutazione dello shock (ATLS vs BD)ha dimostrato che, sempre in riferimento ai 16305 pazienti del Trauma Register DGU, la scala riferita al livello di BD risulta più precisa per discriminare la necessità di emotrasfusione. Utilizzando la scala BD si nota che la necessità di trasfusione massiva (10 emoderivati) aumenta dal 5% in classe I al 52% in classe IV. Al contrario, seguendo la classificazione ATLS, il 4% in classe I e il 25% in classe IV ricevevano trasfusione massiva. La tabella sottostante riporta la classificazione dello shock secondo il valore di BD e la relativa raccomandazione riguardo alla necessità di emoderivati Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 5 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Classe I Classe II Classe III Classe IV Shock No Lieve Moderato Grave BD mmol/litro <2 >2 < 6 >6 < 10 > 10 Necessità emoderivati Osserva Considera Tipizzazione – cross match Probabile necessità trasfusione massiva Conclusioni La necessità di trasfusione massiva è l’unico vero dato che ci interessa immediatamente nella gestione del paziente in Pronto Soccorso. Superata la soglia di 6 mmol/litro di BD viene raccomandato di eseguire una tipizzazione del sangue e un cross match per costituire una scorta di emoderivati per il paziente. Ovviamente è da tenere in considerazione che un aumento del BD è correlato ad una aumento delle lesioni presenti e non ancora diagnosticate (ISS) ed ad un aumento dell’insorgenza di MOF, oltre che della mortalità (7,4 % in classe I e 51,5 % in classe IV). A cura di CPSE Claudio Tacconi, Bologna Commento art 1 e 2 L’Indice di Shock (SI) e il Deficit di Basi (BD) possono essere dei validi indicatori di shock ipovolemico e guidare le nostre strategie terapeutiche nel trattamento del paziente traumatizzato? Per rispondere a questa domanda abbiamo analizzato due articoli pubblicati su Critical Care nel 2013. Attualmente nel soccorso preospedaliero e nelle prime fasi del soccorso intraospedaliero la presenza e la successiva gravità dello shock nel paziente politraumitazzato viene valutata secondo il metodo proposto dall’ATLS e, sulla base della classe di shock, viene proposta una terapia basata sul rimpiazzo volemico. Tale sistema di valutazione è gravato dal rischio di under triage (valutazione dello stato di coscienza) e di overtriage (valutazione della frequenza cardiaca). Esistono altri parametri basic ed immediati che possono essere più specifici nel predire evoluzioni dello shock ipovolemico? Gli articoli analizzati, valutano quanto l’indice di shock e il deficit di basi siano attendibili e utili nella valutazione dello shock ipovolemico. Entrambi i parametri si correlano, oltre che all’ aumento della mortalità e alla gravità delle lesioni (ISS), alla necessità di emotrasfusione. Per valori di SI superiori a 1,0 e BD superiore a 6 mmoli/litro si è visto un aumento della necessità di trasfusioni del 50%. Essendo la trasfusione di emoderivati una delle principali terapie sul paziente traumatizzato sia per reintegrare il volume depleto che per contrastare la coagulopatia, possiamo affermare che sia lo SI che il BD sono elementi utili al fine di ridurre il terapy free interval. Per ottimizzare il lavoro e nell’ottica delle risorse disponibili, lo SI è un parametro di valutazione applicabile nel soccorso preospedaliero per anticipare le manovre del Trauma Center di destinazione mentre il BD è un parametro utile al trauma team intraospedaliero per predire l’evoluzione del paziente con shock. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 6 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 3. Il rimpiazzo volemico con Ringer-lattato è dannoso nello shock emorragico severo, ma protettivo nello shock emorragico: studi in un modello murino. Sintesi a cura di Dott.ssa Simona Cotena, Benevento. Volume replacement with Ringer-lactate is detrimental in severe hemorrhagic shock but protective in moderate hemorrhagic shock: studies in a rat model Abstract Introduction: To date, there are insufficient data demonstrating the benefits of preclinically administered Ringer-lactate (RL) for the treatment of hemorrhagic shock following trauma. Recent animal experiments have shown that lactate tends to have toxic effects in severe hemorrhagic shock. This study aimed to compare the effects of RL administered in a rat model of severe hemorrhagic shock (mean arterial blood pressure (MAP): 25 to 30 mmHg) and moderate hemorrhagic shock (MAP: 40 to 45 mmHg). Methods: Four experimental groups of eight male Wistar rats each (moderate shock with Ringer-saline (RS), moderate shock with RL, severe shock with RS, severe shock with RL) were established. After achieving the specified depth of shock, animals were maintained under the shock conditions for 60 minutes. Subsequently, reperfusion with RS or RL was performed for 30 minutes, and the animals were observed for an additional 150 minutes. Results: All animals with moderate shock that received RL survived the entire study period, while six animals with moderate shock that received RS died before the end of the experiment. Furthermore, animals with moderate shock that received RL exhibited considerable improvements in their acid-base parameters and reduced organ damage. In contrast, in animals with severe shock, only two of the animals receiving RS survived but all of the animals receiving RL died early, before the end of the study period. Moreover, the severe shock animals that were treated with RL exhibited considerably worsened acid-base and metabolic parameters. Conclusions: The preclinical use of RL for volume replacement has different effects depending on the severity of hemorrhagic shock. RL exhibits detrimental effects in cases of severe shock, whereas it has pronounced protective effects in cases of moderate shock. Introduzione. Lo shock emorragico rappresenta la principale Hussmann et al. Crit Care 2014, causa evitabile di morte per trauma. Accanto alla necessità di 18:R5 arrestare l’emorragia (che rappresenta la priorità, come indicato dalla linee guida ATLS ) vi è quella di rimpiazzare il volume ematico perso. Ciò viene tipicamente fatto, soprattutto nella fase preospedaliera, con l’utilizzo di cristalloidi. Diversi studi hanno dimostrato la superiorità del Ringer -lattato (RL) rispetto alla Soluzione Fisiologica in termini di miglioramento dei parametri emodinamici e coagulativi e aumento della sopravvivenza. In contrasto con questi risultati, gli Autori dello studio in oggetto avevano già dimostrato, in un precedente lavoro, gli effetti tossici del RL nello shock emorragico severo (cioè con una pressione arteriosa media (MAP) compresa tra 25 e 30 mmHg). Obiettivo del presente studio è stato quello di valutare gli effetti della riperfusione con RL sulla sopravvivenza, sui parametri emodinamici, sull’equilibrio acido – base e sul danno d’organo in un modello animale di shock emorragico confrontando lo shock emorragico moderato (MAP tra 40 e 45 mmHg) e lo shock emorragico severo. A tale scopo il RL è stato confrontato con il Ringer - salino (RS) che differisce dal primo solo per la presenza di cloro al posto dell’anione lattato metabolizzabile e che, per tale motivo, è stato ritenuto dagli Autori più adatto all’esperimento. Materiali e Metodi 38 topi maschi Wistar furono utilizzati per l’esperimento e assegnati a uno dei seguenti gruppi: ! gruppo di controllo (6 animali); ! gruppo shock moderato/RS (MAP tra 40 e 45 mmHg, rianimazione con RS, 8 animali); ! gruppo shock moderato/RL (MAP tra 40 e 45 mmHg, rianimazione con RL, 8 animali); ! gruppo shock severo/RS (MAP tra 25 e 30 mmHg, rianimazione con RS, 8 animali); ! gruppo shock severo/RL (MAP tra 25 e 30 mmHg, rianimazione con RL, 8 animali). Gli animali vennero anestetizzati con Isoflurano; vennero inseriti un catetere arterioso femorale e uno venoso femorale. L’induzione dello shock venne effettuata attraverso il prelievo di 2 ml di sangue Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 7 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 dall’arteria femorale ogni 3 minuti fino a raggiungere la MAP desiderata (40-45 mmHg o 25-30 mmHg). Questa venne mantenuta per circa 60 minuti o attraverso la somministrazione di sangue citrato o attraverso prelievi addizionali di sangue se necessario. Dopo la fase di shock, venne iniziato il rimpiazzo volemico attraverso la vena femorale secondo il rapporto 3:1 tra volume infuso e volume ematico perso per una durata di circa 30 minuti. L’esperimento fu poi continuato per ulteriori 150 minuti o fino alla morte dell’animale. I seguenti parametri furono misurati attraverso il prelievo di campioni ematici al tempo zero (T0), dopo l’inserzione dei cateteri ( dopo 10 minuti, T10), al termine dell’induzione dello shock (T40), immediatamente prima di iniziare la rianimazione (T100), alla fine della rianimazione (T130), e durante la fase di osservazione finale (T160, T220 e T280): ! parametri dell’equilibrio acido-base e metabolici: pH, pO2, pCO2, base excess (BE), SpO2; emoglobina ed ematocrito; elettroliti; lattati e glucosio (attraverso emogasanalisi arteriosa); ! parametri di danno d’organo: concentrazione plasmatica degli indici di citonecrosi (LDH, AST, ALT, CPK) e della creatinina. I parametri emodinamici (Pressione arteriosa sistolica, diastolica, MAP e frequenza cardiaca) vennero monitorizzati in continuo. Risultati Sopravvivenza Tutti gli animali del gruppo di controllo sopravvissero. Allo stesso modo, tutti gli animali del gruppo shock moderalo/RL sopravvissero, mentre solo 2 animali del gruppo shock moderato/RS sopravvissero. Tutti gli animali del gruppo shock severo/RL morirono; solo 2 animali del gruppo shock severo/RS sopravvissero. Parametri emodinamici Nel gruppo di controllo la MAP era di 105. In entrambi i gruppi di shock moderato la MAP fu portata a 110 con il rimpiazzo volemico; essa scese a 35 nel gruppo trattato con RS, mentre, nel gruppo trattato con RL scese lentamente fino a 70 rimanendo costante fino alla fine dell’esperimento. Nei gruppi di shock severo la MAP fu portata a 75 negli animali riperfusi con RS e a 65 in quelli riperfusi con RL. In entrambi i casi la MAP scese a 30 dopo la fase di rianimazione volemica. Non furono trovate differenze significative per quanto riguarda la frequenza cardiaca e quella respiratoria. Elettroliti Non furono trovate differenze significative nella concentrazione degli elettroliti, fatta eccezione per il cloro la cui concentrazione era più elevata nei gruppi trattati con RS. Stato equilibrio acido-base e metabolico Nel gruppo di controllo il pH, il BE e la pCO2 rimasero costanti. In entrambi i gruppi di shock (severo vs moderato) si instaurò un acidosi metabolica, ma più pronunciata nello shock severo (valori significativamente più bassi di pH e di BE), con minime differenze tra i gruppi trattati con RL e quelli trattati con RS. Nel gruppo shock moderato/RS l’acidosi metabolica era più pronunciata che nel gruppo shock moderato/RL, registrandosi in quest’ultimo solo un acidosi metabolica lieve compensata (ph normale). La concentrazione media dei lattati nel gruppo di controllo era 1,5 mmol/l. Questa salì a 4 mmol/lnello shock moderato, normalizzandosi (1 mmol/l) dopo rimpiazzo volemico, indipendentemente dalla soluzione utilizzata. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 8 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Nello shock severo i lattati salirono a 7 mmol/l, scendendo, tuttavia senza normalizzarsi, a 2,5 negli animali trattati con RS e a 4 in quelli trattati con RL. Dopo l’induzione dello shock venne registrato in entrambi i gruppi (severo vs moderato) un incremento della glicemia al quale seguì, durante la fase di shock e durante la riperfusione, una riduzione fino a un valore medio di 100 mg/dl. Mentre tale valore rimase costante nel gruppo shock moderato/RL, esso subì un decremento nei restanti gruppi, anche se più rapido e pronunciato nello shock severo. Parametri di danno d’organo Tu t t i g l i i n d i c i d i c i t o n e c r o s i A cura di Dott.ssa Simona Cotena, Benevento aumentarono durante la Commento rianimazione volemica anche se in maniera più pronunciata nello I r i s u l t a t i d i q u e s to i n te r e s s a n te s t u d i o , c o m e shock severo, e in misura minima sottolineato dagli stessi Autori, sono in contraddizione nel gruppo shock moderato/RL. con quanto finora riportato in letteratura e La creatinina mostrò una tendenza raccomandato dalle linee guida. Forse perché, come all’incremento nello shock severo e ipotizzato dagli Autori, nei vari studi non è mai stata nel gruppo shock moderato/RS, fatta una differenza tra shock moderato e shock severo mentre rimase costante nel gruppo e, probabilmente, nei modelli studiati lo shock era per lo shock moderato/RL. più moderato. Discussione L’effetto protettivo E’ interessante notare come non solo il RL sia inefficace, del RL nello shock emorragico è ma addirittura dannoso nello shock severo. La mediato principalmente dal suo spiegazione di questo effetto dannoso fornita dagli potere alcalinizzante che si oppone Autori (incapacità di metabolizzazione del lattato all’acidosi metabolica causata dallo dovuta al danno d’organo) è peraltro dimostrata dai shock. Infatti, l’anione lattato viene risultati stessi dello studio (maggiore aumento degli metabolizzato da fegato o mediante indici di citonecrosi nello shock severo). la produzione di glucosio attraverso E’, altresì, opportuno sottolineare che la prognosi dello la gluconeogenesi o attraverso la shock severo è peggiore di quella dello shock moderato produzione di CO2 e H2O. Per ogni per la severità stessa dello shock, indipendentemente molecola di lattato metabolizzata dalla soluzione utilizzata per il rimpiazzo volemico. viene consumato uno ione H+ e Infatti la mortalità in entrambi i gruppi di shock severo prodotto uno ione HCO3-. Questo era molto elevata (solo 2 sopravvissuti anche se rianimati meccanismo spiegherebbe la con RS). superiorità del RL rispetto al RS D’altra parte questo studio conferma l’effetto protettivo osservata nello shock moderato. del RL nello shock moderato. L’effetto dannoso del RL, osservato, Studi ulteriori che confermino questi dati e che come al contrario, nello shock severo, è questo, differenzino tra shock severo e moderato, sono s p i e g a t o d a g l i Au t o r i c o n necessari. Inoltre, qualora venissero confermati gli l’incapacità da parte del fegato di effetti dannosi del RL nello shock severo, essendo già m e t a b o l i z z a r e i l l a t t a t o . Ta l e noti gli effetti avversi della soluzione fisiologica, altre incapacità è imputata al danno soluzioni dovrebbero essere considerate e studiate (per d’organo conseguente esempio la soluzione elettrolitica reidratante) nel al’ipoperfusione più marcata. Il rimpiazzo volemico dello shock emorragico traumatico. lattato che in questo modo si accumula non solo peggiora l’acidosi Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 9 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 metabolica, ma inibisce anche la glicolisi. Conclusioni Il RL ha effetti tossici nello shock severo, mentre risulta protettivo, in termini di miglioramento della sopravvivenza, dei parametri acido-base e del danno d’organo, nello shock moderato. COLLOIDS VERSUS CRYSTALLOIDS FOR FLUID RESUSCITATION IN CRITICALLY ILL PATIENTS (REVIEW) Perel P, Roberts I, Ker K Cochrane Database Syst Rev. 2013 Feb 28;2 Lo scopo di questa review sistematica è stato quello di individuare e di sintetizzare tutte le evidenze di alta qualità (RCT) disponibili circa gli effetti, in termini di mortalità, del reintegro volemico con cristalloidi o colloidi nei pazienti critici. Sono stati presi in considerazione solo trial randomizzati e controllati condotti su pazienti in stato di criticità a causa di chirurgia, traumi, ustioni, complicanze settiche. Sono stati esclusi trial condotti su pazienti in fase di preparazione in previsione di un intervento chirurgico in regime di elezione e trial condotti su pazienti trattati con rimpiazzo volemico prima di bypass cardiopolmonare. Inoltre, sono stati esclusi i trial con un disegno tipo cross-over, in cui veniva testato un algoritmo di reintegro volemico, in cui al gruppo controllo venivano somministrati fluidi per via orale, in cui l’intervento era diretto al mantenimento dei livelli di albuminemia plasmatica, oppure in cui veniva condotta una procedura di emodiluizione. Sono stati selezionati 76 trial, di cui solo 70 presentavano dati relativi alla mortalità. Tra i colloidi utilizzati nei vari RCT figuravano destrano 70, HES, gelatine modificate, albumina e frazioni di proteine plasmatiche. I trial sono stati stratificati sulla base del tipo di fluido somministrato, piuttosto che sulla base della patologia per cui veniva somministrato. Dalla review emerge che: non vi è alcuna evidenza della superiorità dei colloidi sui cristalloidi nel reintegro volemico dei pazienti critici. In aggiunta, i colloidi sono più costosi rispetto ai cristalloidi. Non vi è alcuna evidenza che i colloidi, rispetto ai cristalloidi, riducano il rischio di morte nei pazienti con trauma, ustioni od in esiti di interventi chirurgici. L’utilizzo di soluzioni HES può addirittura aumentare la mortalità dei pazienti Sintesi a cura di dott.sa Elen Salerno Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 10 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 4. Effetti della fluidoterapia con Colloidi vs Cristalloidi sulla mortalità dei pazienti critici che presentano shock ipovolemico. The CRISTAL Randomized Trial Sintesi a cura di Dott.ssa Irene Principale, Torino Effects of Fluid Resuscitation With Colloids vs Crystalloids on Mortality in Critically Ill Patients Presenting With Hypovolemic Shock The CRISTAL Randomized Trial Annane et al. JAMA 2013, 310, 1809-17 IMPORTANCE Evidence supporting the choice of intravenous colloid vs crystalloid solutions for management of hypovolemic shock remains unclear. OBJECTIVE To test whether use of colloids compared with crystalloids for fluid resuscitation alters mortality in patients admitted to the intensive care unit (ICU) with hypovolemic shock. DESIGN, SETTING, AND PARTICIPANTS A multicenter, randomized clinical trial stratified by case mix (sepsis, trauma, or hypovolemic shock without sepsis or trauma). Therapy in the Colloids Versus Crystalloids for the Resuscitation of the Critically Ill (CRISTAL) trial was open label but outcome assessment was blinded to treatment assignment. Recruitment began in February 2003 and ended in August 2012 of 2857 sequential ICU patients treated at 57 ICUs in France, Belgium, North Africa, and Canada; follow-up ended in November 2012. INTERVENTIONS Colloids (n = 1414; gelatins, dextrans, hydroxyethyl starches, or 4% or 20% of albumin) or crystalloids (n = 1443; isotonic or hypertonic saline or Ringer lactate solution) for all fluid interventions other than fluid maintenance throughout the ICU stay. MAIN OUTCOMES AND MEASURES The primary outcome was death within 28 days. Secondary outcomes included 90-day mortality; and days alive and not receiving renal replacement therapy, mechanical ventilation, or vasopressor therapy. RESULTS Within 28 days, there were 359 deaths (25.4%) in colloids group vs 390 deaths (27.0%) in crystalloids group (relative risk [RR], 0.96 [95% CI, 0.88 to 1.04]; P = .26). Within 90 days, there were 434 deaths (30.7%) in colloids group vs 493 deaths (34.2%) in crystalloids group (RR, 0.92 [95% CI, 0.86 to 0.99]; P = .03). Renal replacement therapy was used in 156 (11.0%) in colloids group vs 181 (12.5%) in crystalloids group (RR, 0.93 [95% CI, 0.83 to 1.03]; P = .19). There were more days alive without mechanical ventilation in the colloids group vs the crystalloids group by 7 days (mean: 2.1 vs 1.8 days, respectively; mean difference, 0.30 [95% CI, 0.09 to 0.48] days; P = .01) and by 28 days (mean: 14.6 vs 13.5 days; mean difference, 1.10 [95% CI, 0.14 to 2.06] days; P = .01) and alive without vasopressor therapy by 7 days (mean: 5.0 vs 4.7 days; mean difference, 0.30 [95% CI, −0.03 to 0.50] days; P = .04) and by 28 days (mean: 16.2 vs 15.2 days; mean difference, 1.04 [95% CI, −0.04 to 2.10] days; P = .03). Introduzione Le evidenze che supportano la scelta di soluzioni cristalloidi o colloidi per lo shock CONCLUSIONS AND RELEVANCE Among ICU patients with hypovolemia, the use of colloids vs ipo volemico sono ad og gi non crystalloids did not result in a significant difference in 28-day mortality. Although 90-day chiare. L’obiettivo della fluido mortality was lower among patients receiving colloids, this finding should be considered exploratory and requires further study before reaching conclusions about efficacy. terapia nello shock ipovolemico è TRIAL REGISTRATION clinicaltrials.gov Identifier: NCT00318942 espandere lo spazio intravascolare JAMA. 2013;310(17):1809-1817. doi:10.1001/jama.2013.280502 e richiamare liquidi dallo spazio Published online October 9, 2013. extravascolare, tramite l’aumento della pressione osmotica grazie ai Copyright 2013 American Medical Association. All rights reserved. soluti per i cristalloidi, e l’aumento del la pressione oncoticaDownloaded per i From: http://jama.jamanetwork.com/ by a Regione Piemonte-Biblioteca Virtuale per la Salute User on 02/07/2014 colloidi. L’espansione volemica teoricamente dovrebbe essere pari alla tonicità del soluto e al potere oncotico. I cristalloidi si dividono in isotonici, suddivisi in soluzioni non tamponate (soluzione salina isotonica) e tamponate (ringer lattato, ringer acetato) e ipertonici. La famiglia dei colloidi si divide invece in ipooncotici ( gelatine, albumina 4 o 5%) e iperoncotici ( destrano, acido idrossietilico, albumina 20 25%). In passato si è pensato che i colloidi fossero più efficienti dei cristalloidi in termini di liquido che Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 11 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 rimane nello spazio intravascolare e che quindi ne fosse necessaria una quantità minore per raggiungere il goal emodinamico. Tuttavia, i colloidi presentano tutta una serie di altri effetti (alterazione della risposta immunologica, aumento del rischio di insufficienza renale o di morte) di cui non è possibile non tenere conto e sono anche molto più costosi. Più recentemente è stato invece raccomandato l’utilizzo dei cristalloidi anche in pazienti settici, nonostante si pensi che ci possa essere un beneficio dalla somministrazione di albumina (linee guida della Surviving Sepsis Campaign). Obiettivo Stabilire se l’impiego di colloidi invece che di cristalloidi modifica la mortalità nei pazienti con shock ipovolemico ammessi in terapia intensiva. Metodi Il CRISTAL trial, studio multicentrico randomizzato, ha reclutato 2857 pazienti in un arco temporale che va da febbraio 2003 ad agosto 2012, ponendosi come outcome primario la mortalità a 28 giorni e come outcome secondario la mortalità a 90 giorni e i giorni di sopravvivenza liberi da dialisi, ventilazione meccanica e terapia con vasopressori, i giorni senza insufficienza d’organo e la degenza in terapia intensiva e in ospedale. Pazienti eleggibili per lo studio erano adulti che fossero stati ricoverati nelle terapie intensive partecipanti allo studio, che non avessero ricevuto rianimazione volemica prima della loro ammissione e che avessero come diagnosi d’ingresso: Ipotensione (PAOS<90 mmHg, PAM< 60 mmHg, ipotensione ortostatica) Basse pressioni di riempimento o basso indice cardiaco Segni di ipoperfusione o ipossia (GCS<12, cute sudata, output urinario < 25 ml/h, refill time > 3 sec, lattati >2 mmMoli/l, urea >56 mg/dl o sodio frazionato escreto< 1%) I pazienti sono stati stratificati sulla base di tre possibili diagnosi (sepsi, politrauma, altre cause di ipovolemia), e randomizzati in due gruppi: gruppo sperimentale (rianimato con colloidi), gruppo di controllo (rianimato con cristalloidi). Ai pazienti sono stati somministrati solo i fluidi per cui erano stati randomizzati. La durata del trattamento e la scelta del liquido specifico da utilizzare all’interno del gruppo randomizzato sono state lasciate a discrezione dei clinici, con alcune restrizioni: dose giornaliera di acido idrossietilico non > 30 ml/kg seguire le raccomandazioni d’uso delle agenzie locali Non è stato ritenuto opportuno nonchè praticabile tenere in cieco i clinici. Sono stati invece mantenuti in cieco gli analizzatori dei risultati. Sono stati sistematicamente registrati i dati anagrafici ed antropometrici, la data di ammissione in ospedale ed in terapia intensiva, il reparto di ricovero del paziente prima dell’ingresso in terapia intensiva, la disability scale score, i segni vitali, il SAPS II, il SOFA score, l’ISS per i pazienti traumatizzati, ogni intervento, i test di laboratorio e gli Rx torace. Risultati Non è risultata nessuna differenza in termini di mortalità a 28 giorni tra i due gruppi di pazienti. A 90 giorni c’è stata una lieve riduzione di mortalità nel gruppo trattato coi colloidi. I pazienti sono stati stratificati in base alla diagnosi di ammissione poiché sia il rischio di morte, sia la gestione clinica, sia la risposta alla terapia volemica avrebbero potuto essere diverse a seconda che il paziente fosse settico,politraumatizzato o avesse uno shock ipovolemico senza sepsi e non emorragico. La popolazione dello studio è risultata differente rispetto a quelle dei recenti trial in cui venivano arruolati pazienti solo sulla base dell’ipotensione e dell’acidosi lattica. Discussione e Conclusioni Non c’è stata differenza significativa di mortalità a 28 giorni tra i due gruppi. Inaspettatamente si è rilevato un tasso di mortalità lievemente minore a 90 giorni nei pazienti trattati con colloidi rispetto a quelli trattati con cristalloidi. Questo dato deve però essere considerato provvisorio e da riconfermare con nuovi studi dato che a 28 giorni la differenza era nulla e il limite di confidenza è prossimo a 1. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 12 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Nel gruppo dei cristalloidi, l’86% dei pazienti ha ricevuto soluzione salina isotonica; nel gruppo dei colloidi circa il 70% acido idrossietilico e il rimanente 30% gelatine. I pazienti rianimati con cristalloidi hanno ricevuto una quantità di liquidi significativamente maggiore per raggiungere il target emodinamico rispetto al gruppo colloidi. La rianimazione con colloidi è risultata essere associata ad un più rapido svezzamento dal trattamento con vasopressori e da un numero maggiore di giorni liberi da ventilazione. Non c’è stata nessuna evidenza di aumento del rischio di insufficienza renale colloide-correlato, in contrasto con i dati dei precedenti trial. Ciò può essere spiegato dal fatto che: in questo trial sono state seguite strettamente le raccomandazioni delle singole agenzie e sono stati esclusi i pazienti con insufficienza renale severa. La minor insufficienza cardiorespiratoria che è stata rilevata, correlata all’uso dei colloidi ha avuto azione di protezione a livello renale. La maggior parte dei pazienti che hanno ricevuto rianimazione con cristalloidi ha ricevuto soluzione fisiologica che può incrementare il rischio di danno renale se paragonato ad una fluido terapia con restrizione cloridrica Limiti riconosciuti dagli autori I limiti di questo studio sono rappresentati dal fatto che i clinici non erano in cieco, erano cioè a conoscenza del fluido somministrato ai pazienti, e che il periodo di reclutamento che è durato 9 anni. Inoltre sono state paragonate due strategie terapeutiche e non due molecole, in quanto specchio più accurato della routine dei vari paesi, e quindi sono stati utilizzati i fluidi disponibili nei singoli centri. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 13 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 PILLOLE DI METODOLOGIA PER UNA LETTURA CRITICA. A cura di Dott. Paolo Gardois Lo studio di Annane e colleghi vuole comprendere se l'uso dei colloidi al posto dei cristalloidi riduce la mortalità a 28 giorni per i pazienti ricoverati in un reparto di terapia intensiva in seguito a shock ipovolemico. Questo e` chiamato outcome (o esito) primario. Per capire se la mortalita` si riduce davvero, si sono scelti due gruppi di pazienti, il piu` possibile simili. Il primo gruppo e` stato sottoposto al trattamento con colloidi (COL), il secondo al trattamento con cristalloidi (CRI). I risultati sono stati i seguenti: - COL: 359 morti su 1414 (25.4%); - CRI: 390 morti su 1443 (27.0%). I risultati sono diversi. Sono però abbastanza diversi? )Si puo` cioe`sostenere che il trattamento con colloidi funziona meglio di quello con cristalloidi rispetto all'outcome primario? Per rispondere, gli autori usano una misura chiamata “rischio relativo" (RR). Il RR e` una misura di associazione del rischio: serve a far comprendere quanto il rischio di un evento varia a seguito di un dato intervento. Il RR in questo studio serve a rispondere alla domanda: un paziente nel gruppo "colloidi" (COL) che rischio ha di morire entro 28 giorni rispetto ad un paziente del gruppo "cristalloidi" (CRI)? Il RR si calcola dividendo il rischio dell'evento morte nel gruppo COL (cioè la probabilità in percentuale che si verifichi l'evento “morte" -25,4%) per il rischio del gruppo CRI (27%). Eseguendo il calcolo, ottengo che il RR per COL rispetto a CRI è di 0.96: un paziente del gruppo COL ha quindi il 96% di possibilità di morte entro 28 giorni rispetto ad un paziente del gruppo CRI. I due rischi sono quasi identici, anche se il paziente del gruppo COL "rischia" leggermente di meno. Al RR sono poi associati: - una misura di significatività statistica (P value) - un intervallo di confidenza al 95% (IC). In questo caso, P = 0.26: il RR ottenuto (0.96) non è statisticamente significativo, quindi potrebbe essere dovuto al caso. Solo se P fosse inferiore a 0.05 il risultato sarebbe statisticamente significativo: in questo caso, infatti, eseguendo il confronto 100 volte, meno di 5 volte la differenza di rischio tra i due gruppi apparirebbe per caso. Inoltre, l'IC al 95% è troppo ampio: da 0.88 a 1.04. Ripetendo l'esperimento 100 volte, per 95 volte i risultati ricadrebbero nel range che va da RR = 0.88 a RR = 1.04. Questo risultato non è quindi soddisfacente, perché in certi casi il RR potrebbe addirittura essere superiore in COL rispetto a CRI. In conclusione, con i dati dello studio non possiamo concludere che il rischio sia minore nel gruppo dei colloidi rispetto a quello dei cristalloidi. Si tratta perciò di uno studio negativo. Lo studio non ha potuto dimostrare che esiste una differenza di rischio tra i due gruppi, e non ha neppure dimostrato che questa differenza esiste. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 14 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 5. La fluidoterapia Sintesi a cura di Dott.ssa Elen Salerno, Torino The n e w e ng l a n d j o u r na l of m e dic i n e review article Resuscitation fluids Critical Care Medicine Myburgh et al. N Engl J Med 2013, 369, 1243-51 Simon R. Finfer, M.D., and Jean-Louis Vincent, M.D., Ph.D., Editors Resuscitation Fluids John A. Myburgh, M.B., B.Ch., Ph.D., and Michael G. Mythen, M.D., M.B., B.S. In t ro d u z i o n e I l r e i n t e g r o volemico con cristalloidi o colloidi è una pratica con cui il clinico si cimenta quotidianamente. La scelta di somministrare un fluido anzichè un altro è dettata da principi fisiologici, ma spesso subisce l’influenza della preferenza individuale. Sono state elaborate delle raccomandazioni per il corretto impiego clinico dei fluidi, ma esse sono basate per lo più su opinioni di esperti e su un basso livello di evidenza clinica. Recentemente, è stata scoperta l’importanza di un particolare complesso molecolare, detto glicocalice, costituito da glicoproteine e proteoglicani legati alla superficie endoluminale dell’endotelio. L’integrità di tale struttura è fondamentale al fine di prevenire il passaggio transluminale dei fluidi dal compartimento intravascolare allo spazio interstiziale. Classicamente, i fluidi sono suddivisi in colloidi e cristalloidi. Per molto tempo i fautori dell’utilizzo dei colloidi hanno sostenuto le loro maggiori proprietà espansive sul circolo, dettate dalla maggior capacità di rimanere all’interno del compartimento intravascolare. Per contro, gli oppositori contestavano il maggior costo dei colloidi, nonostante i cristalloidi fossero maggiormente incriminati nella genesi di edema interstiziale. Il fluido “ideale” dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche: dovrebbe essere in grado di determinare un’espansione del volume plasmatico che sia prevedibile e riproducibile, possedere una composizione chimica che sia il più simile possibile a quella dei fluidi extracellulari corporei, dovrebbe essere completamente metabolizzato senza determinare fenomeni di accumulo tissutale, non dovrebbe essere causa di fenomeni avversi, dovrebbe possedere un rapporto costo-efficacia favorevole. Purtroppo, un fluido che possieda tutte queste caratteristiche non esiste ancora. La scelta di infondere un fluido piuttosto che un altro, quindi, dovrebbe essere condotta soppesando attentamente i rischi ed i benefici che ne potrebbero derivare, considerando il fluido al pari di un vero e proprio farmaco. Metodi Revisione della letteratura Risultati e Discussione Albumina Il capostipite dei colloidi è rappresentato dall’albumina umana, sottoposta a trattamento termico per prevenire la trasmissione di agenti patogeni. Nello studio SAFE del 2004, gli effetti del reintegro volemico con albumina 4% sono stati posti a confronto con quelli derivati dalla somministrazione di soluzione fisiologica. Non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa in termini di mortalità a 28 giorni, nè di sviluppo di un’insufficienza d’organo di nuova insorgenza. Inoltre, la somministrazione di albumina era associata ad un aumento di mortalità a due anni statisticamente significativo nei pazienti con trauma cranico, forse per un eccessivo incremento della pressione intracranica. Al contrario, si è assistito ad una riduzione del tasso di mortalità a 28 giorni soprattutto quando l’albumina veniva somministrata nei pazienti con sepsi severa. Nessuna Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 15 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 differenza tra i due gruppi di studio è emersa quando l’albumina veniva somministrata nei pazienti con ipoalbuminemia (<25 g/l). Nessuna differenza è emersa per quanto riguarda gli effetti emodinamici sostenuti dai due tipi di fluidi oggetto di studio (aumento della pressione arteriosa media e riduzione della frequenza cardiaca), nonostante l’albumina determinasse un aumento della pressione venosa centrale. Dalle evidenze attualmente disponibili, si deduce che l’albumina potrebbe determinare benefici quando somministrata a popolazioni specifiche di pazienti, come, ad esempio, quelli con sepsi severa, mentre il suo impiego dovrebbe essere assolutamente evitato nei pazienti con trauma cranico. Colloidi semisintetici La disponibilità limitata ed il costo elevato dell’albumina hanno spinto la ricerca verso la creazione di colloidi semisintetici. Il razionale d’uso dei colloidi semisintetici risiede nel loro contenuto di macromolecole che, in virtù del loro elevato peso molecolare, dovrebbero prevenire la fuoriuscita del fluido dal compartimento intravascolare in cui viene somministrato e dovrebbero facilitare il richiamo di liquidi dall’interstizio verso il volume ematico. Tra questi figurano le soluzioni HES, le gelatine ed i destrani. Le soluzioni HES (soluzioni di amidoidrossietilico) contengono dei polimeri di amilopectina derivati da sorgo, mais e patate, a cui vengono sostituiti dei gruppi idrossietilici. Un alto tasso di sostituzione svolge un’azione protettiva nei confronti dell’idrolisi svolta da amilasi plasmatiche aspecifiche, prolungando la permanenza del composto nel torrente ematico, ma aumentando, altresì, il rischio di accumulo dello stesso a livello di cute, reni e fegato ed aumentando il rischio di effetti indesiderati sistemici. Proprio a causa del rischio di accumulo tissutale, il volume infuso non dovrebbe mai eccedere i 33-50 ml/Kg/die. Alla luce delle evidenze cliniche ad oggi disponibili, l’impiego delle soluzioni HES è difficile da giustificare, in quanto esse hanno dimostrato di determinare un incremento del tasso di mortalità e di insufficienza renale acuta nei pazienti a rischio quando confrontati con i cristalloidi. Inoltre, l’utilizzo di tali colloidi è associato anche ad un’aumentata incidenza di prurito e ad un aumentato consumo di prodotti ematici a causa dell’alterazione della coagulazione indotta da tali composti. Al momento, sulla base delle evidenze a disposizione, non si è ancora in grado di affermare se queste stesse conclusioni siano applicabili anche ad altri colloidi semisintetici come le gelatine. Al momento non esistono RCT sull’impiego di colloidi semisintetici non-HES. Cristalloidi La soluzione più impiegata è sicuramente la soluzione di NaCl allo 0,9% (soluzione fisiologica), contenente sodio e cloruro nelle medesime concentrazioni, isotonica rispetto ai fluidi extracellulari. Tuttavia, la somministrazione di elevati volumi di soluzione fisiologica è da evitare, in quanto può essere responsabile di acidosi metabolica ipercloremica, con conseguente compromissione della funzionalità renale e del sistema immunitario (anche se le conseguenze cliniche di questi fenomeni restano ancora da chiarire). Le più recenti soluzioni ipertoniche di NaCl (3%, 5% e 7,5%) non hanno portato, al momento, ad un miglioramento dell’outcome, soprattutto per i pazienti con trauma cranico. Alcune soluzioni cristalloidi, derivate dalle soluzioni di Hartmann e di Ringer, sono definite bilanciate, poiché cercano di mimare nella maniera più fedele possibile la reale composizione ionica del plasma. In realtà, però, nessuna di queste soluzioni possiede una composizione chimica identica a quella plasmatica. Queste soluzioni sono lievemente ipotoniche a causa della concentrazione di sodio lievemente inferiore rispetto a quella dei fluidi extracellulari. Quando somministrate in quantità elevata, possono determinare iper-lattacidemia, alcalosi metabolica, ipotonicità plasmatica (per le soluzioni contenenti sodio lattato) e cardiotossicità (per le soluzioni contenenti acetato). L’aggiunta di calcio, inoltre, può portare alla formazione di microtrombi per il legame con il citrato contenuto nelle Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 16 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 emazie concentrate. Le soluzioni bilanciate sono da considerarsi come liquidi da somministrare in prima linea nei pazienti candidati a chirurgia, nelle vittime di trauma e/o ustioni e nei pazienti con chetoacidosi diabetica. Tuttavia, al momento non esiste ancora un trial randomizzato e controllato in cui si ponga a confronto la sicurezza e l’efficacia della soluzione fisiologica e delle soluzioni bilanciate. Conclusioni Per la corretta gestione del reintegro volemico del paziente è fondamentale attenersi ad alcuni principi di buona condotta clinica: I fluidi sono da considerarsi dei veri e propri farmaci. Possiedono rischi e benefici che devono essere attentamente soppesati quando si decide di somministrarli, tenendo conto anche delle caratteristiche del paziente a cui sono destinati. Rimpiazzare, laddove possibile, il fluido che è andato perso, nel medesimo volume. Considerare la sodiemia, l’osmolarità plasmatica, l’equilibrio acido-base ed il bilancio idrico cumulativo del paziente quando ci si accinge a compiere la scelta di quale e quanto fluido somministrare. Considerare, nel paziente in shock, l’utilizzo precoce di catecolamine. Se la causa di ipovolemia è un’emorragia, è fondamentale attuare nelle maniera più tempestiva possibile il controllo definitivo della fonte di sanguinamento ed il reintegro delle perdite con emazie concentrate. Considerare il ricorso alla soluzione fisiologica nei pazienti con ipovolemia ed alcalosi. Considerare l’albumina in fase precoce nei pazienti con sepsi severa, ma ricordare che è controindicata nei pazienti con trauma cranico. Nel paziente con trauma cranico sono indicati la soluzione fisiologica o soluzioni isotoniche rispetto al plasma. La sicurezza della soluzione salina ipertonica non è ancora stata dimostrata. Le soluzioni HES non dovrebbero essere impiegate, soprattutto nei pazienti con sepsi e/o a rischio di insufficienza renale acuta. La tipologia e la giusta quantità di fluidi indicati nel paziente vittima di ustioni non è ancora stata stabilita con certezza. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 17 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 SINTESI DELLA NOTA AIFA: RESTRIZIONI D’USO HES ….L’AIFA, in data 28 giugno 2013, aveva già disposto a scopo cautelativo il “divieto di utilizzo” per tutti i A cura di Dott.sa Irene Principale, Torino. medicinali per uso infusionale contenenti amido idrossietilico (con esclusione delle soluzioni per la http://www.agenziafarmaco.gov.it conservazione degli organi) in attesa della decisione della Commissione Europea, legalmente vincolante in tutta EU. La CE ha concluso che il rapporto beneficio-rischio per i medicinali contenenti amido idrossietilico (HES) rimane favorevole nel trattamento dell’ipovolemia causata da emorragia acuta, quando i cristalloidi da soli non sono considerati sufficienti, a condizione che siano implementate restrizioni delle indicazioni, controindicazioni, avvertenze ed altre modifiche alle informazioni contenute nel riassunto delle caratteristiche del prodotto, quali misure di minimizzazione dei rischi. Riassunto - I prodotti contenenti HES devono essere utilizzati solo per il trattamento dell’ipovolemia causata da emorragia acuta quando i cristalloidi da soli non sono considerati sufficienti. - I prodotti contenenti HES devono essere utilizzati alla più bassa dose efficace per il più breve periodo di tempo. Il trattamento deve essere guidato da un monitoraggio emodinamico continuo, in modo da poter interrompere l’infusione non appena siano stati raggiunti adeguati valori emodinamici. - I prodotti contenenti HES sono ora controindicati nelle seguenti condizioni: o Sepsi o Ustioni o Insufficienza renale o terapia renale sostitutiva o Emorragia intracranica o cerebrale o Pazienti critici (tipicamente ricoverati in Terapia Intensiva) o Pazienti iperidratati, inclusi i pazienti con edema polmonare o Pazienti disidratati o Iperkaliemia (applicabile solo ai prodotti contenenti potassio) o Grave iponatriemia o grave ipercloremia o Coagulopatia grave o Funzionalità epatica gravemente compromessa o Insufficienza cardiaca congestizia o Pazienti sottoposti a trapianto d’organo C’è una mancanza di dati di sicurezza consistenti a lungo termine nei pazienti sottoposti a procedure chirurgiche e nei pazienti con trauma. Il beneficio atteso del trattamento deve essere attentamente valutato in relazione all’incerto profilo di sicurezza a lungo termine, e devono essere considerati i trattamenti alternativi disponibili. Ulteriori studi saranno eseguiti con soluzioni HES in pazienti con trauma e nella chirurgia elettiva. - Ampi studi clinici randomizzati hanno riportato un aumentato rischio di disfunzione renale nei pazienti critici, inclusi i pazienti settici, Pertanto, i prodotti contenenti HES non devono più essere utilizzati in questi pazienti. - L’uso di HES deve essere interrotto al primo segno di danno renale. È raccomandato il monitoraggio della funzionalità renale nei pazienti in trattamento con prodotti contenenti HES per almeno 90 giorni. - Nel caso di somministrazioni ripetute, i parametri di coagulazione del sangue devono essere monitorati attentamente. Il trattamento deve essere interrotto al primo segno di coagulopatia. Ulteriori informazioni sulla sicurezza: Le soluzioni per infusione contenenti HES appartengono alla classe terapeutica dei colloidi. Nell’Unione europea (UE), le soluzioni per infusione contenenti HES sono approvate tramite procedure nazionali. Recentemente, sono stati pubblicati i risultati di due studi clinici su pazienti critici, principalmente con sepsi, a confronto con i cristalloidi. Gli studi hanno mostrato un maggior rischio di effetti avversi renali nei pazienti trattati con HES. Lo studio di pazienti con sepsi ha anche mostrato un maggior rischio di mortalità nei pazienti trattati con HES. Sulla base dei risultati di questi studi randomizzati controllati, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ha avviato nel novembre 2012 una rivalutazione sulla sicurezza di tutti i prodotti contenenti HES, sul mercato UE. La rivalutazione ha compreso dati tratti dalla letteratura scientifica, dati presentati dalle aziende, dati dagli autori degli studi e dalle parti interessate…… Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 18 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 6. Controllo del sanguinamento e della coagulopatia conseguente a trauma maggiore: una linea guida europea aggiornata. Sintesi a cura di Dott. Luca Delpiano, Torino Abstract Introduction: Evidence-based recommendations are needed to guide the acute management of the bleeding trauma patient. When these recommendations are implemented patient outcomes may be improved. Methods: The multidisciplinary Task Force for Advanced Bleeding Care in Trauma was formed in 2005 with the aim of developing a guideline for the management of bleeding following severe injury. This document represents an updated version of the guideline published by the group in 2007 and updated in 2010. Recommendations were formulated using a nominal group process, the Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation (GRADE) hierarchy of evidence and based on a systematic review of published literature. Management of bleeding and coagulopathy following major trauma: an updated European guideline Spahn et al. Crit Care 2013, 17:R76 Results: Key changes encompassed in this version of the guideline include new recommendations on the appropriate use of vasopressors and inotropic agents, and reflect an awareness of the growing number of patients in the population at large treated with antiplatelet agents and/or oral anticoagulants. The current guideline also includes recommendations and a discussion of thromboprophylactic strategies for all patients following traumatic injury. The most significant addition is a new section that discusses the need for every institution to develop, implement and adhere to an evidence-based clinical protocol to manage traumatically injured patients. The remaining recommendations have been re-evaluated and graded based on literature published since the last edition of the guideline. Consideration was also given to changes in clinical practice that have taken place during this time period as a result of both new evidence and changes in the general availability of relevant agents and technologies. Conclusions: A comprehensive, multidisciplinary approach to trauma care and mechanisms with which to ensure that established protocols are consistently implemented will ensure a uniform and high standard of care across Europe and beyond. Introduzione Una gestione corretta del sanguinamento massivo nel paziente vittima di trauma prevede la precoce identificazione della fonte emorragica, seguita da immediate misure che hanno l’obbiettivo di ridurre le perdite, ripristinare la perfusione tissutale e garantire la stabilità emodinamica. Circa 1/3 dei pazienti con emorragia conseguente a trauma presentano, al momento dell’ammissione in ospedale, una alterazione della coagulazione. Questi pazienti hanno un aumento significativo dell’incidenza di insufficienza multiorgano e della mortalità rispetto a pazienti con medesima gravità delle lesioni in assenza di coagulopatia. La coagulopatia indotta da trauma (TIC) è stata recentemente definita come una condizione conseguente alla combinazione di diversi fattori: shock indotto dall’emorragia, danno tissutale correlato alla produzione di complessi trombina-trombomodulina e all’attivazione della cascata anticoagulativa e della fibrinolisi. Obiettivo Queste linee guida costituiscono un aggiornamento di quelle pubblicate per la prima volta nel 2007 e già aggiornate nel 2010, fanno parte dellla “STOP Bleeding Campaign” che ha l’obbiettivo di ridurre la morbilità e la mortalità associata all’emorragia post-traumatica. Queste linee guida non forniscono solo un mezzo per comprendere meglio la patofisiologia del grave sanguinamento nei pazienti vittima di trauma, ma costituiscono una guida per il trattamento, e identificano le aree in cui è necessaria una futura ricerca. Metodi Le raccomandazioni sono state formulate e graduate in accordo con la Grading of Recommendations Assess- ment, Development and Evaluation (GRADE). Sono il risultato di una analisi sistematica della letteratura. Risultati Gli autori forniscono le seguenti raccomandazioni. 1: raccomandano per quei pazienti che necessitano un controllo chirurgico dell’emorragia, il tempo che intercorre tra la lesione e l’intervento chirurgico deve essere ridotto al minimo possibile. (Grado 1A) Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 19 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 2: raccomandano un utilizzo del touniquet per controllare le emorragie pericolose per la vita nelle lesioni aperte degli arti nella fase pre-chirurgica. (Grado 1B) 3: raccomandano la normo-ventilazione dei pazienti vittima di trauma se non sono presenti segni di erniazione cerebrale. (Grado 1C) 4: raccomandano che il medico valuti clinicamente la gravità dell’emorragia conseguente al trauma attraverso una combinazione di: fisiologia del paziente, caratteristica della lesione anatomica, meccanismo di lesione e risposta del paziente alla rianimazione iniziale. (Grado 1C) 5: raccomandano che i pazienti con shock emorragico e una fonte di sanguinamento identificata, siano sottoposti a immediate procedure di controllo dell’emorragia, a meno che le iniziali misure di rianimazione non abbiano successo. (Grado1B) 6: raccomandano che un paziente che presenti uno shock emorragico e una non identificata fonte di sanguinamento venga sottoposto immediatamente a ulteriori indagini (Grado 1B) 7: raccomandano precoci indagini di imaging (ECO o CT) per la ricerca di liquido libero, in pazienti con sospetto trauma del tronco. (Grado1B) 8: raccomandano che pazienti con significativo liquido libero in addome, ed emodinamicamente instabili vengano sottoposti a intervento chirurgico urgente. (Grado1A) 9: raccomandano ulteriore valutazione mediante CT per i pazienti emodinamicamente stabili (Grado 1B) 10: non raccomandano l’uso di una singola misura dell’ematocrito come unico marker di laboratorio per l’emorragia (Grado 1B) 11: raccomandano o il lattato sierico o il deficit di base, come test sensibile per stimare e monitorizzare il grado di sanguinamento e di shock (Grado1B) 12: raccomandano che la pratica di routine nella ricerca della coagulopatia post traumatica includa la precoce, ripetuta e combinata misura del tempo di protrombina (PT), tempo di tromboplastina attivata (APTT), fibrinogeno e piastrine (Grado 1C) Raccomandano che anche i metodi viscoelastici siano eseguiti per aiutare a caratterizzare la coagulopatia e a guidare la terapia emostatica. (Grado1C) 13: raccomandano un target pressorio tra 80 e 90 mmHg nella prima fase conseguente al trauma, finchè non viene controllato il sanguinamento maggiore, nei pazienti senza trauma cranico. (Grado1C). Raccomandano di mantenere una pressione media di 80 mmHg in pazienti con shock emorragico e trauma cranico severo (GCS≤8). (Grado 1C). 14: raccomandano di iniziare terapia con fluidi in pazienti ipotesi con sanguinamento da trauma (Grado1A). Raccomandano che i cristalloidi siano somministrati inizialmente per trattare l’ipotensione nei pazienti con emorragia da trauma. (Grado1A). Raccomandano che le soluzioni ipotoniche quali Ringer Lattato siano evitate in pazienti con grave trauma cranico. (Grado 1C). Se vengono somministrati dei colloidi raccomandano la prescrizione della quantità limite per ciascuna soluzione. (Grado 1B). Suggeriscono che le soluzioni ipertoniche possono essere utilizzate nel trattamento iniziale, ma non hanno dimostrato vantaggi rispetto ai cristalloidi e ai colloidi nel trauma chiuso con trauma cranico. (Grado 2B). Suggeriscono l’utilizzo delle soluzioni ipertoniche nei pazienti con trauma penetrante del tronco emodinamicamente instabili. (Grado 2C). 15: suggeriscono la somministrazione di vasopressori per mantenere il target pressorio, in assenza di risposta alla terapia con fluidi. (Grado 2 C). Suggeriscono l’utilizzo di un agente inotropo in presenza di disfunzione cardiaca. (Grado 2C). 16: raccomandano la precoce applicazione di misure atte a ridurre la perdita di calore e riscaldare i pazienti ipotermici, con l’obiettivo di ottenere e mantenere la normotermia. (Grado 1C). Suggeriscono che l’ipotermia compresa tra 33 e 35°C possa essere instaurata per ≥48h nei pazienti con Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 20 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 trauma cranico, una volta che si è ottenuto il controllo dell’emorragia con altri sistemi. (Grado 2C). 17: raccomandano un target di emoglobina compreso tra 7 e 9 d/dl. (Grado 1C). 18: raccomandano che il precoce controllo del sanguinamento addominale venga ottenuto utilizzando il packing, controllo chirurgico diretto della fonte emorragica e l’uso di presidi emostatici locali. Nei pazienti esangui, può essere utilizzato il clampaggio aortico come adiuvante. (Grado 1C). 19: raccomandano che i pazienti con rottura dell’anello pelvico, in shock emorragico siano sottoposti a immediata chiusura dell’anello pelvico e stabilizzazione. (Grado 1B). 20: raccomandano che i pazienti con persistente instabilità emodinamica, nonostante adeguata stabilizzazione dell’anello pelvico, ricevano precocemente packing pre-peritoneale, embolizzazione angiografica e/o controllo chirurgico dell’emorragia. (Grado 1B). 21: raccomandano l’impiego della damage control surgery in pazienti con lesioni gravi, che presentano grave shock emorragico, segni di persistente sanguinamento e coagulopatia. (Grado 1B). Altri fattori che potrebbero far attuare un approccio basato sul damage control sono: grave coagulopatia, ipotermia, acidosi, lesione maggiore anatomicamente inaccessible, necessità di procedure che richiedono tempo, o concomitante lesione maggiore al di fuori dell’addome. (Grado 1 C ) . Ra c co m a n d a n o l a p r o ce d u r a c h i r u r g i c a d e f i n i t i v a i n p r i m a b a t t u t a n e i p a z i e n t i emodinamicamente stabili e in assenza dei fattori sopracitati. (Grade 1 C). 22: raccomandano l’utilizzo di agenti emostatici topici associati ad altre misure chirurgiche, o con il packing, per sanguinamenti venosi o moderati sanguinamenti arteriosi associati a lesioni parenchimali. (Grado1B). 23: raccomandano che il monitoraggio e le misure di supporto alla coagulazione vengano iniziate il più precocemente possibile. (Grado1C). 24: raccomandano che l’acido tranexamico venga somministrato il più precocemete possibile, nei pazienti vittima di trauma con emorragia, o a rischio di emorragia significativa, alla dose di carico di 1 g infuse in 10 min, seguito da infusione continua di 1 g in 8 ore. (Grado 1A). Raccomandano che l’acido tranexamico sia somministrato ai pazienti con emorragia da trauma entro le 3 ore dalla lesione. (Grado 1B). Sug geriscono che protocolli per la gestione dell’emorra gia considerino la somministrazione della prima dose di acido tranexamico, prima dell’arrivo del paziente in ospedale. (Grado 2C). 25: raccomandano che i valori di calcio ionizzato siano monitorizzati, e mantenuti nei normali range in corso di trasfuzione massiva. (Grado 1 C). 26: raccomandano l’iniziale somministrazione di plasma (plasma fresco congelato FFP o plasma con inattivazione dei patogeni) (Grado 1B), o fibrinogeno (Grado 1C) nei pazienti con emorragia massiva. Se vengono somministrate ulteriori dosi di plasma, suggeriscono come ottimale rapporto plasma:emazie almeno di 1:2. (Grado 2C). Raccomandano che le trasfusioni di plasma vengano evitate in pazienti senza importante emorragia. (Grado1B). 27: raccomandano il trattamento con fibrinogeno concentrato, o crioprecipitato, continuando la gestione del paziente, se l’emorragia significativa è accompagnata da segni tromboelastometrici di deficit della funzionalità del fibrinogeno, o se i livelli plasmatici di fibrinogeno sono inferiori a 1.5 – 2.0 g/l (Grado 1C). Suggeriscono una dose iniziale di fibrinogeno compresa tra 3 e 4 mg/kg o 50 mg/Kg di crioprecipitato, che approssimativamente equivale a 15 – 20 unità di singolo donatore in un adulto di 70 kg. Dosi successive devono essere guidate da un monitoraggio viscoelastico, e dosaggi in laboratorio dei livelli di fibrinogeno. (Grado 2 C). 28: raccomandano che le piastrine vengano somministrate per mantenere un conteggio piastrinico attorno a 50 x 109/l in pazienti con emorragia in corso e/o trauma cranico. (Grado 1C). Suggeriscono Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 21 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 di mantenere una conta piastrinica di 100 x 109/l in pazienti con emorragia in corso e/o trauma cranico. (Grado 2C). Suggeriscono una dose iniziale compresa tra 4 e 8 unità piastriniche singole, o un pool da aferesi. (Grado 2C). 29: suggeriscono la somministrazione di piastrine in pazienti con emorragia significativa, o emorragia intracranica, che sono in trattamento con antiaggreganti piastrinici. (Grado2C). Nei pazienti che sono in trattamento soltanto con l’acido acetilsalicilico, suggeriscono la somministrazione di desmopressina (0.3 μg/kg). (Grado 2C). Suggeriscono la misurazione della funzionalità piastrinica in pazienti in trattamento, o con sospetto trattamento con antiaggreganti. (Grado 2C). Se viene documentata una disfunzione piastrinica con sanguinamento continuo microvascolare, suggeriscono trattamento con concentrati piastrinici. (Grado 2C). 30: suggeriscono che la desmopressina (0.3 μg/kg) venga somministrata in pazienti in trattamento con inibitori piastrinici, o con la malattia di Von Willebrand. (Grado 2C). Non suggeriscono l’utilizzo routinario della desmopressina nei pazienti con emorraggia post-traumatica. (Grado 2C). 31: raccomandano l’uso precoce di concentrati di complesso protrombinico (PCC), per la conversione in emergenza degli anticoagulanti orali vitamina K dipendenti. (Grado 1B). Se viene applicata una strategia basata su concentrati protrombinici di tipo goal-directed, suggeriscono che PCC venga somministrato nei pazienti con emorragia, con evidenza tromboelastometrica di start coagulativo ritardato. (Grado 2C). 32: suggerisco la misurazione dell’attività anti fattore Xa substrato specifico, in pazienti in trattamento, o nel sospetto che siano trattati con farmaci anti- fattore Xa orali quali rivaroxaba, apixaban o endoxaba. (Grado 2C). Se il sanguinamento mette a repentaglio la sopravvivenza suggeriscono lo spiazzamento del rivaroxaban, apixaban, endoxaban con alte dosi (25 – 50 U/kg) PCC. (Grado 2C). Non suggeriscono la somministrazione di PCC in pazienti trattati, o con sospetto di trattamento con farmaci orali inibitori diretti della trombina, come dabigatran. (Grado 2B). 33: suggeriscono l’uso del fattore ricombinante VII attivato (rFVIIa) possa essere considerato se l’emorragia maggiore e la coagulopatia persiste, nonostante i tentativi di controllo dell’emorragia e la best practice nell’uso delle misure emostatiche convenzionali. (Grado 2C). Non suggeriscono l’uso del rFVIIa in pazienti con emorragia intracerebrale causata da trauma cranico isolato. (Grado 2C). 34: suggeriscono la trombo-profilassi meccanica con la compressione pneumatica esterna (IPC), e/o calze elastiche il prima possibile. (Grado 2C). Raccomandano la trombo-profilassi farmacologica entro le 24h da quando è stata controllata l’emorragia. (Grado 1B). Non raccomandano l’uso routinario di filtri cavali come tromboprofilassi. (Grado 1C). 35: raccomandano che tutte le istituzioni implementino un algoritmo basato sull’evidenza per il trattamento dei pazienti emorragici. (Grade 1C). Checklist. 36: raccomandano che checklist di trattamento vengano utilizzate per guidare la gestione clinica. (Grade 1B). Sistema qualità. 37: raccomandano che tutte le istituzioni includano una valutazione dell’aderenza all’algoritmo istituzionalizzato nel sistema qualità (Grado 1C). Discussione Nella discussione gli autori forniscono una checklist per definire il percorso di trattamento e una flow chart delle modalità di trattamento del paziente con emorragia post traumatica. Conclusioni L’approccio multidisciplinare al paziente traumatizzato rimane un caposaldo della best practice, tutte le istituzione dovrebbero dotarsi di protocolli basati sull’evidenza e adattati alla realtà locale Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 22 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Messaggi chiave ! Il monitoraggio e misure di supporto alla coagulazione dovrebbero essere messe in campo il prima possibile, in seguito a lesioni traumatiche e dovrebbero essere utilizzate come guida alla terapia emostatica. ! Un approccio basato sul concetto di damage control alle procedure chirurgiche dovrebbe essere il filo conduttore nel trattamnto del paziente, incluse la chiusura e la stabilizzazione delle fratture dell’anello pelvico, packing, embolizzazione, e tecniche emostatiche topiche. ! Queste linee guida rivedono i target fisiologici e suggeriscono la scelta e la dose dei fluidi, degli emoderivati, e dei farmaci nel paziente con emorragia. ! Il crescente numero di pazienti anziani richiede attenzione specifica a un trattamento appropriato al profilo di rischio tromboembolico, e alla possibile terapia con farmci antiaggreganti o anticoagulanti. ! Un approccio multidisciplinare al trattamento del paziente vittima di trauma rimane un caposaldo della buona cura del paziente, ogni istituzione deve sviluppare, implementare e aderire a un protocollo di gestione, che sarà adattato alla situazione locale. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 23 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 A cura di Dott. Luca Delpiano, Torino Commento art. 4,5,6 I tre articoli precedenti affrontano la grande sfida del trattamento dello shock ipovolemico, concentrando l’attenzione sulla scelta del fluido da utilizzare nella rianimazione di un trauma grave. Molti saranno cresciuti, come il sottoscritto, frequentando e cimentandosi come formatori nei corsi IRC. Nei corsi avanzati, per anni, si è detto: non ci sono evidenze sull’efficacia dei cristalloidi rispetto ai colloidi, per cui è indifferente l’uso degli uni o degli altri. Entrambi hanno vantaggi e svantaggi quindi il take home message era: cercate di non essere talebani, utilizzate entrambi, e se possibile, una volta identificata la classe di shock, cercate di utilizzarli entrambi in dose 50:50 per bilanciare i rispettivi effetti collaterali con i benefici. Dagli articoli e allegati selezionati emerge un messaggio diverso? Sembra di sì: infatti la Chochrane sostiene che non essendoci evidenza che i colloidi offrano vantaggi rispetto ai cristalloidi, ed essendo più costosi non ne è giustificato l’utilizzo. L’amido idrossietilico (HES) è stato ritirato dal commercio a Giugno 2013, e in seguito, come riportato nella nota AIFA, reinserito con delle restrizioni d’uso. Il CRISTAL offre delle conclusioni che richiedono ulteriori studi. La review di Finfer e Vincent ci ricorda che i cristalloidi non sono tutti uguali: la soluzione fisiologica è diversa dalle soluzioni bilanciate, così come per i colloidi l’albumina è diversa da l’HES. Il clinico che si trova a dover scegliere il fluido da somministrare al paziente a quali principi si deve attenere? E quali take home message ci possiamo portare a casa da questa selezione della letteratura? Qualche risposta la possiamo trovare, a partire da Finfer che ci dice che il fluido ideale non è stato ancora prodotto, e quindi quando ci apprestiamo a scegliere un fluido dobbiamo trattarlo come qualsiasi altro farmaco: soppesando rischi e benefici. I collodi hanno ancora un loro spazio: l’albumina umana può essere ragionevolmente presa in considerazione nel paziente settico, ma evitata nel paziente con trauma cranico, l’HES può essere utilizzato nel trattamento dell’ipovolemia causata da emorragia acuta, quando i cristalloidi da soli non sono sufficienti a raggiungere il target pressorio ,definito in base alla damage control resuscitation, ma non deve essere superata la dose di 33-50 ml/kg/die, è controindicato nell’insufficienza renale, e va monitorizzata la funzionalità renale e i parametri coagulativi. Le soluzioni ipertoniche sembrano avere un vantaggio nel paziente con trauma penetrante emodinamicamente instabile. I cristalloidi sono la prima scelta nel trattamento dell’ipotensione, nei pazienti con emorragia da trauma, la soluzione più utilizzata è la Fisiologica allo 0,9%, il Ringer Lattato deve essere evitato nel grave trauma cranico. Laddove è possibile bisognerebbe rimpiazzare il fluido che è andato perso, nel medesimo volume e quindi nell’emorragia conseguente a trauma bisogna utilizzare in quantità adeguata gli emoderivati: emazie per mantenere target di emoglobina compreso tra 7 e 9 g/dl, plasma in rapporto sangue/plasma di 2:1 o fibrinogeno, piastrine e terapia emostatica. Per rispondere alle domande iniziali quindi questa selezione della letteratura ci dice che la scelta dei fluidi da infondere si è fatta più complicata, non basta più individuare la classe di shock e infondere la quantità di liquidi stimata con una par condicio tra cristalloidi e colloidi, ma bisogna individuare il giusto fluido per il giusto paziente, cominciando sempre dai cristalloidi, in quantità controllate in base al target pressorio, attenersi ai principi della damage control resuscitation e della hemostatic resuscitation. E infine considerare il precoce utilizzo dei vasopressori per mantenere i target pressori in assenza di risposta alla terapia con i fluidi. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 24 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 7. Ipotermia accidentale Sintesi a cura di Dott. Paolo Narcisi, Cpsi Enzo Amelio, Cpsi Mauro Bonino, Torino The n e w e ng l a n d j o u r na l of m e dic i n e review article Accidental Hypothermia Current Concepts Accidental Hypothermia Brown et al. N Engl J Med 2012, 367, 1930-8 Douglas J.A. Brown, M.D., Hermann Brugger, M.D., Jeff Boyd, M.B., B.S., and Peter Paal, M.D. L’Ipotermia accidentale (una diminuzione nella temperatura core <35 °C [95 ° F]) è una condizione associata ad un significativo aumento della morbilità e mortalità. Molti sono i sistemi di riscaldamento che si utilizzano, e questo riflette sicuramente il grosso livello di incertezza che esiste nella pratica. Alcuni approcci sono disponibili solo in centri specializzati ed è, quindi, necessario fornire chiarezza in merito alla scelta tra il trasportare il paziente ad uno di questi centri o fornire un trattamento a livello locale. Introduzione Il corpo umano è in grado di difendersi dal freddo con l’attività muscolare e il brivido, ma quando la produzione di calore è superata dal freddo eccessivo si verifica l’ipotermia primaria. Quella secondaria è invece determinata dall’associazione con patologie che provocano perdita di calore, (paradossalmente può avvenire anche in ambiente caldo); in questo caso la morte del paziente è più frequentemente dovuta alla patologia di base piuttosto che al freddo. Inizialmente il paziente ipotermico è cosciente, respira, ha un’emodinamica normale, ma questa situazione si altera con il raffreddamento, prima con la fibrillazione atriale (32°C), poi con un progressivo aumento del rischio di arresto cardiaco (28°C). Diagnosi I pazienti sono ipotermici con una temperatura inferiore a 35 °C (95 °F). In considerazione della difficoltà di misurare la temperatura, l’ipotermia può essere stadiata clinicamente sulla base dei segni vitali con l'utilizzo del sistema di classificazione svizzero: (livelli di ipotermia da I a IV HT) riportato in Tabella 2. Questo sistema è migliore rispetto alla stadiazione tradizionale ( ipotermia lieve, moderata, grave e profonda). La misurazione della temperatura interna permette di decidere la gestione e il trasporto. La temperatura registrata può variare a seconda della parte del corpo, della sua perfusione e della temperatura ambientale. Nel paziente intubato, l'inserimento di una s o n d a n e l te r z o i n f e r i o r e dell'esofa go è il metodo preferito, mentre l'uso di una sonda esofagea inserita ! prossimalmente può dare dati Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 25 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 errati, a causa della ventilazione con gas riscaldati. La sonda timpanica riflette la temperatura del cervello, se il canale uditivo è libero mentre, l'uso di raggi infrarossi sulla cute o nel canale uditivo e i termometri orali sono spesso imprecisi. La temperatura della vescica può essere errata durante il lavaggio peritoneale, e le sonde rettali non sono affidabili per il ritardo di rilevazione. Trattamento pre-ospedaliero Le priorità del trattamento pre-ospedaliero sono la gestione attenta del paziente, il supporto vitale di base o avanzato, il riscaldamento esterno passivo e attivo e il trasporto ad un ospedale adeguato. Se assenti i segni vitali, si deve iniziare l’RCP (Rianimazione Cardiopolmonare). Diversi sono i metodi di riscaldamento esistenti per la fase pre-ospedalieria; buoni risultati si ottengono con sistemi di riscaldamento passivo, o con coperte “chimiche” o elettriche o ad aria forzata (Tabella 3). In caso di insufficienza respiratoria o di alterazioni della coscienza è possibile procedere a intubazione tracheale, in quanto il rischio di provocare un’aritmia maligna è basso. Gestione dei liquidi I liquidi per via endovenosa devono essere riscaldati ( 38-42 ° C [100-108 ° F]) per evitare ulteriori perdite di calore. I cristalloidi caldi dovrebbero essere somministrati in base alla volemia, controllando il glucosio, elettroliti, e ph; non è consigliabile l’uso di grandi volumi di soluzione fisiologica che può aggravare l’acidosi. È consigliabile usare cautela nell’utilizzo delle catecolamine, sia per il rischio di aritmia che per quello di provocare ipo-perfusione dei tessuti, in particolare in pazienti a rischio di congelamento. Trasporto I pazienti coscienti con brividi (fase HT I) possono essere curati sul posto se sono illesi, o trasportati al più vicino ospedale (Tabella 2). I pazienti con deterioramento della coscienza (fase II HT, HT III, o HT IV) devono essere valutati per l'instabilità cardiaca. I pazienti stabili sono da trattare con riscaldamento esterno attivo non invasivo (Tabella 2), e devono essere trasportati al più vicino ospedale in grado di fornire tali misure. I pazienti instabili (pressione sistolica <90 mm Hg o extra ventricolari), quelli con una temperatura interna inferiore a 28 °C ( 82 °F) e quelli in arresto cardiaco devono essere trasportati in un centro capace di fornire ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO), o bypass cardiopolmonare, salvo condizioni concomitanti (ad esempio, un trauma) per il quale si impone il trasporto al centro attrezzato più vicino. Anche in condizioni gravissime è possibile il recupero neurologico completo, poichè il cervello necessita di meno ossigeno in ipotermia. È descritto un pieno recupero dopo 190 minuti di RCP. Se i tempi di trasporto sono lunghi deve essere considerato l'uso di un dispositivo di compressione meccanica del torace, che può migliorare il risultato. È necessario l’allertamento dell'ospedale di destinazione per garantire che ECMO o il bypass cardiopolmonare siano disponibili. Si definisce “collasso durante il soccorso” un arresto cardiaco a seguito degli stimoli indotti dall’estricazione, e dal trasporto di un paziente con ipotermia profonda (HT fase III). L’arresto cardiocircolatorio è causato da ipovolemia, aritmie cardiache innescate da interventi, e da un ulteriore raffreddamento. Altro fenomeno da tenere in considerazione è l’ “afterdrop” cioè il progressivo raffreddamento del core anche dopo il salvataggio, documentato in esperimenti di raffreddamento artificiali, o dedotto attraverso discrepanze tra temperatura rettale e core. Trattamento ospedaliero In un paziente in ipotermia, stabile, è indicato (Tabella 2) il riscaldamento esterno, e il trattamento delle condizioni che causano ipotermia secondaria (Tabella 1), senza utilizzare metodi di riscaldamento invasivi, che in questo caso non è dimostrato migliorino il risultato, mentre non sono scevri dal rischio di complicazioni come emorragia o trombosi. Quando è richiesto l'accesso venoso centrale, è importante mantenere la punta del catetere (e della guida) lontano dal cuore per ridurre il rischio di aritmia. ECMO o bypass cardiopolmonare devono essere presi in considerazione per i pazienti con ipotermia e instabilità cardiaca, che non hanno una risposta alla terapia medica. Ad una temperatura interna di 28 °C (82 ° F) il consumo di ossigeno e la frequenza Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 26 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 cardiaca sono generalmente diminuite del 50 %, ma non c’è consenso sul livello inferiore di gittata cardiaca per cui instaurare ECMO. In caso di arresto cardio-circolatorio (stadio IV HT ), non vi è consenso sul fatto che il trattamento con ECMO o bypass cardiopolmonare siano sicuri ed efficaci, ma i pazienti così trattati hanno un tasso di sopravvivenza senza danno neurologico, che varia dal 47 al 63%, mentre non ci sono dati sulla stessa classe di pazienti, che non sono trattati con ECMO o bypass cardiopolmonare, ma è probabile che il tasso di sopravvivenza sia inferiore al 37%. Il vantaggio di ECMO o bypass cardiopolmonare è quello di mantenere un adeguato flusso ematico durante il riscaldamento. Il supporto con ECMO dà risultati migliori rispetto al tradizionale bypass cardiopolmonare, probabilmente a causa della elevata incidenza di insufficienza polmonare grave dopo il riscaldamento, che può essere trattata in modo più efficiente con ECMO. Se ECMO o bypass cardiopolmonare non sono disponibili, la circolazione dovrebbe essere sostenuto con la RCP, mentre il paziente viene riscaldato con una tecnica di rewarming interno (Tabella 3). Secondo alcuni case reports, il lavaggio pleurico ripristina la circolazione spontanea entro 2 ore, ed è una tecnica di rewarming ragionevole e alternativa quando ECMO o bypass cardiopolmonare non sono disponibili. Nei pazienti con ritorno della circolazione spontanea può presentarsi insufficienza multiorgano, e può essere necessario proseguire con l’ECMO, e instaurare l’ipotermia terapeutica (ma non ci sono dati certi a riguardo). Se l’asistolia persiste ad una temperatura superiore ai 32°C, è molto probabile che l’arresto cardiaco sia irreversibile e dovrebbe essere considerata la cessazione dell’RCP. L'uso di vasopressori in modelli animali di arresto cardiaco in ipotermia, ha dato risultati eterogenei, con un piccolo numero di studi che dimostrano un beneficio. Le linee guida della European Resuscitation Council raccomandano un approccio modificato per il supporto vitale avanzato, costituito da un massimo di tre defibrillazioni con adrenalina non somministrata, fino a quando la temperatura interna non sia superiore a 30 °C (86 ° F), e con l'intervallo tra le dosi raddoppiato, fino alla temperatura interna superiore a 35 °C (95 ° F). Queste raccomandazioni sono in conflitto con le linee guida dell'American Heart Association, secondo cui: "può essere ragionevole considerare la somministrazione di un vasopressore durante l'arresto cardiaco, secondo l'algoritmo standard ALS in concomitanza con le strategie di rewarming." Alti livelli di potassio plasmatico possono essere causati da ipossia e morte traumatica cellulare, farmaci (ad esempio bloccanti depolarizzanti neuromuscolari), e una varietà di condizioni patologiche. Un livello di potassio nel siero molto elevato è associato a decesso, ed è considerato un marker di ipossia prima del raffreddamento. Alcuni ricercatori raccomandano un livello di potassio 12 mmol per litro, o 10 mmol per litro come limite superiore per sospendere l’RCP, con un limite di 8mmol per litro in adulti che siano stati sepolti da una valanga . Si consiglia di cessare l’RCP quando il livello di potassio è superiore a 12 mmol per litro, e si consiglia di consultare il team ECMO o bypass cardiopolmonare quando il livello di potassio è intorno ai 10-12 mmol per litro. Quando il livello di potassio è inferiore a 10 mmol per litro, la sopravvivenza senza disturbi neurologici può essere possibile e l’RCP deve essere continuata finché il paziente non è riscaldato. Altri biomarker, come i livelli di lattato e pH, sono stati segnalati per avere un significato prognostico, anche se meno consistente. Il trauma, in particolare le lesioni cerebro-spinali, destabilizzano la termoregolazione; quindi, i pazienti con traumi multipli o con traumi del sistema nervoso centrale sono spesso in ipotermia. L’attività dei fattori della coagulazione e la funzione piastrinica sono ridotti con temperatura inferiore a 34 °C ( 93 ° F ), causando una coagulopatia critica. Il sangue viene riscaldato prima dei test di laboratorio, di conseguenza la coagulopatia indotta da ipotermia non viene misurata. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 27 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 La massima velocità di raffreddamento riportato in una persona che era stata completamente sepolta da una valanga è stata di 9° C ( 48 ° F ). Con un tempo di sepoltura di meno di 35 minuti, il pericolo di vita per l'ipotermia è improbabile a causa del tempo di raffreddamento insufficiente, quindi in caso di assenza di segni vitali la causa deve essere attribuita al trauma e/o all’emorragia. Se il tempo di sepoltura supera i 35 minuti, se le vie aeree sono ostruite dalla neve, e il paziente è asistolico, l’ipossia ha probabilmente preceduto l’ipotermia ed è improbabile che la RCP sia di beneficio. Tuttavia, se il tempo di seppellimento è più lungo di 35 minuti e le vie aeree non sono ostruite, l’ipotermia grave deve essere sospettata, come causa di assenza dei segni vitali, e il paziente deve essere trattato di conseguenza. Per stimare il tempo di seppellimento (se è sconosciuto) può essere utilizzata la temperatura centrale, perchè una temperatura inferiore a 32 ° C [ 90 ° F ] correla con un tempo di seppellimento maggiore di 35 minuti. La rianimazione delle persone c h e s o n o a n n e g a te i n a c q u a fredda può avere un risultato migliore rispetto a quelle immerse in acqua calda. Se la storia del paziente indica immersione in acqua fredda, (cioè, il corpo è stato esposto ad acqua fredda, ma il paziente poteva respirare ) è probabile che il corpo si sia raffreddato prima della comparsa di ipossia, ! e arresto cardiaco (fase HT IV), in questo caso può essere possibile la sopravvivenza senza disturbi neurologici e la rianimazione dovrebbe continuare. Se la storia indica l'annegamento in acqua fredda (cioè, il corpo è stato esposto ad acqua fredda, e il paziente non era in grado di respirare) prima del raffreddamento, il risultato può essere negativo. La temperatura corporea più bassa riportata in pazienti con il pieno recupero neurologico, sono leggermente inferiori a 14 ° C ( 57 ° F) in un caso di ipotermia accidentale e 9 ° C ( 48 °F) in un caso di ipotermia indotta . Una survey in pazienti con stadio IV ipotermia ha mostrato che l'insufficienza d'organo (MOF) era comune 24 ore dopo il ricovero, con l’edema polmonare come causa più comune di morte. I pazienti con ipotermia primaria e stabilità cardiaca che sono stati trattati con rewarming esterno attivo e mini-invasivo, hanno un tasso di sopravvivenza neurologicamente intatta del il 100%, mentre per i pazienti con arresto cardiaco trattati con rewarming extracorporeo, il rate scende al 50%. Questo dato dimostra come il recupero completo possa essere possibile se l'ipossia non ha preceduto l'ipotermia e senza gravi malattie preesistenti o traumi concomitanti. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 28 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 8. Strumenti per prevenire, misurare e trattare l’ipotermia: un’indagine nei servizi pre-ospedalieri norvegesi. Sintesi a cura di Cpse Salvatore Lanzarone, Cpse Ivan Bufalo, Torino Equipment to prevent, diagnose, and treat hypothermia: a survey of Norwegian prehospital services Abstract Introduction: Hypothermia is associated with increased morbidity and mortality in trauma patients and poses a challenge in pre-hospital treatment. The aim of this study was to identify equipment to prevent, diagnose, and treat hypothermia in Norwegian pre-hospital services. Method: In the period of April-August 2011, we conducted a survey of 42 respondents representing a total of 543 pre-hospital units, which included all the national ground ambulance services, the fixed wing and helicopter air ambulance service, and the national search and rescue service. The survey explored available insulation materials, active warming devices, and the presence of protocols describing wrapping methods, temperature monitoring, and the use of warm i.v. fluids. Results: Throughout the services, hospital duvets, cotton blankets and plastic “bubble-wrap” were the most common insulation materials. Active warming devices were to a small degree available in vehicle ambulances (14%) and the fixed wing ambulance service (44%) but were more common in the helicopter services (58-70%). Suitable thermometers for diagnosing hypothermia were lacking in the vehicle ambulance services (12%). Protocols describing how to insulate patients were present for 73% of vehicle ambulances and 70% of Search and Rescue helicopters. The minority of Helicopter Emergency Medical Services (42%) and Fixed Wing (22%) units was reported to have such protocols. Conclusion: The most common equipment types to treat and prevent hypothermia in Norwegian pre-hospital services are duvets, plastic “bubble wrap”, and cotton blankets. Active external heating devices and suitable thermometers are not available in most vehicle ambulance units. Karlsen et al. Scand J Trauma Resus 2013, 21:63 Introduzione I pazienti vittime di trauma disperdono temperatura sul luogo dell’evento, durante il trasporto e nel dipartimento di emergenza. Studi condotti in USA e Australia mostrano, nel traumatizzato, un’incidenza di ipotermia che varia dall’1,6% al 15,7% in relazione alla severità della lesione. L’ipotermia si verifica in più del 40% dei pazienti traumatizzati che presentano anche segni di ipoperfusione. Le conoscenze relative alla gestione dell’ipotermia in questa tipologia di paziente, con specifico riferimento alla fase pre-ospedaliera, sono limitate e necessitano di ulteriori approfondimenti. Obiettivo Identificare gli strumenti disponibili per la prevenzione, trattamento e misurazione dell’ipotermia nei pazienti traumatizzati nei servizi pre-ospedalieri norvegesi. Metodi Nel periodo Aprile-Agosto 2011 sono state condotte interviste telefoniche strutturate ai referenti delle postazioni di soccorso extra-ospedaliero, sia terrestri sia aeree, di tutto il territorio nazionale norvegese. È stata indagata la presenza e l’utilizzo dei seguenti elementi: ! Sistemi d’isolamento termico ! Attrezzature per riscaldamento attivo ! Protocolli per l’isolamento termico ! Termometri per pazienti ipotermici (temperatura ≤32°C) ! Sedi anatomiche più comunemente utilizzate per il monitoraggio ! Sistemi per pre-riscaldare i fluidi ! Sistemi per scaldare i fluidi durante la loro somministrazione Risultati Hanno risposto il 100% dei referenti coinvolti per un totale di 42 rispondenti. I sistemi d’isolamento maggiormente presenti sono risultati esseri i piumoni, le coperte di cotone e i materiali in plastica “a bolle”. Il 43% ha risposto che sono presenti sistemi di riscaldamento attivi e tra questi il più rappresentato è l’applicazione di compresse riscaldate ad attivazione chimica. La presenza di protocolli per l’isolamento termico del paziente variava dal 73% dei servizi di ambulanza terrestri al 22% dei servizi aerei passando per il 42% dell’elisoccorso. Tutti i servizi di soccorso aerei erano provvisti di termometri per ipotermia, contrariamente a quanto emerso nei soccorsi di terra (12%). I Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 29 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 siti anatomici maggiormente utilizzati per la misurazione sono stati quelli rettale, esofageo e timpanico. I fluidi pre- riscaldati erano disponibili nella maggior parte delle sedi con l’eccezione dei servizi su aereo. Il riscaldamento dei fluidi durante la somministrazione era disponibile in un limitato numero di casi (0-20%). Limiti L’indagine ha raggiunto il 100% delle unità di soccorso norvegese. Tuttavia le interviste strutturate utilizzate non erano scevre da errori sistematici. Da un lato infatti gli intervistati potevano fornire risposte imprecise o sbilanciate a favore della propria sede di appartenenza. Dall’altro lato l’intervistatore con il proprio comportamento poteva inconsciamente influenzare le risposte. Conclusioni I sistemi di riscaldamento attivi e i termometri per pazienti ipotermici sono risultati disponibili in un numero limitato di servizi di ambulanza di terra. Questi dati potrebbero riflettere la mancanza di un consenso sulle migliori pratiche relative a prevenzione e trattamento dell’ipotermia nel paziente traumatizzato nella fase pre-ospedaliera. 9. Gli effetti del riscaldamento attivo nell’assistenza pre-ospedaliera del trauma, durante il trasporto in ambulanza e in elicottero – trial clinico randomizzato. Sintesi a cura di Cpsi M. Cristina Aguiari, Cpse Alessandra Barale, Cpse Roberta Ferro, Torino The effect of active warming in prehospital trauma care during road and air ambulance transportation - a clinical randomized trial Lundgren et al. Scand J Trauma Resus 2011, 19:59 Abstract Background: Prevention and treatment of hypothermia by active warming in prehospital trauma care is recommended but scientifical evidence of its effectiveness in a clinical setting is scarce. The objective of this study was to evaluate the effect of additional active warming during road or air ambulance transportation of trauma patients. Methods: Patients were assigned to either passive warming with blankets or passive warming with blankets with the addition of an active warming intervention using a large chemical heat pad applied to the upper torso. Ear canal temperature, subjective sensation of cold discomfort and vital signs were monitored. Results: Mean core temperatures increased from 35.1°C (95% CI; 34.7-35.5°C) to 36.0°C (95% CI; 35.7-36.3°C) (p < 0.05) in patients assigned to passive warming only (n = 22) and from 35.6°C (95% CI; 35.2-36.0°C) to 36.4°C (95% CI; 36.1-36.7°C) (p < 0.05) in patients assigned to additional active warming (n = 26) with no significant differences between the groups. Cold discomfort decreased in 2/3 of patients assigned to passive warming only and in all patients assigned to additional active warming, the difference in cold discomfort change being statistically significant (p < 0.05). Patients assigned to additional active warming also presented a statistically significant decrease in heart rate and respiratory frequency (p < 0.05). Conclusions: In mildly hypothermic trauma patients, with preserved shivering capacity, adequate passive warming is an effective treatment to establish a slow rewarming rate and to reduce cold discomfort during prehospital transportation. However, the addition of active warming using a chemical heat pad applied to the torso will significantly improve thermal comfort even further and might also reduce the cold induced stress response. Trial Registration: ClinicalTrials.gov: NCT01400152 Keywords: hypothermia, body temperature regulation, thermal comfort, active warming, passive warming, prehospital trauma care, emergency medical services (EMS) Introduzione La prevenzione e il trattamento dell’ipotermia attra verso il riscaldamento attivo nell’assistenza preospedaliera del trauma è raccomandato, ma la sua efficacia in ambito clinico non è sostenuta da sufficienti evidenze scientifiche. Obiettivo Valutare l’effetto di un riscaldamento attivo aggiuntivo durante il trasporto extraospedaliero, in ambulanza o in elicottero, dei pazienti traumatizzati. Metodi Lo studio è un trial clinico randomizzato condotto da Dicembre 2007 a Maggio 2010. L’ambito preso in esame è quello extra-ospedaliero concernente il paziente traumatizzato. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 30 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 I criteri di inclusione sono: età ≥18, presenza di trauma, GCS 15, durata del trasporto >10 minuti, attesa dei soccorsi all’esterno senza aver ricevuto altri trattamenti per il riscaldamento, sensazione di malessere da ipotermia ≥2. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: ! pazienti trattati con riscaldamento passivo utilizzando solamente coperte (trattamento standard). Dispositivi usati: coperte in polistere, di lana e miste. ! pazienti trattati sia con riscaldamento passivo con coperte sia con riscaldamento attivo, utilizzando compresse riscaldate ad attivazione chimica, applicate sulla parte superiore del torace. Dispositivi usati: compresse riscaldate ad attivazione chimica; applicate sul torace anteriormente, non a contatto diretto con la pelle, raggiungono i 50° in 2 minuti, devono essere sostituite ogni 30 minuti. Analisi Per ogni paziente sono stati misurati e monitorizzati: ! La temperatura corporea rilevata con sonda timpanica, (se la sonda viene isolata in maniera adeguata dall’ambiente esterno, può essere utilizzata anche con temperature esterne al di sotto dello zero, e la temperatura interna del corpo rilevata rappresenta uno dei metodi non invasivi più accurati). Il valore è stato monitorizzato per tutta la durata del trasporto con un sensore timpanico collegato a un monitor. ! Il disagio del paziente da ipotermia è stato monitorato usando una scala di valutazione numerica, che va da 0 a 10, dove 0 indica nessuna sensazione di freddo, e 10 indica una percezione del freddo insopportabile. ! Parametri vitali utilizzando gli strumenti standard. Questi dati sono stati registrati ogni 30 minuti fino all’arrivo in ospedale. ! Altre informazioni: tempo intercorso tra l’ora del trauma e l’arrivo dei mezzi di soccorso, durata dell’intervento, durata del trasporto, temperatura esterna, velocità del vento, temperatura interna del mezzo di soccorso, caratteristiche del paziente e dell’abbigliamento, il tipo e numero di coperte utilizzate, immobilizzazione e somministrazione di liquidi e farmaci E.V. riscaldati. Risultati Sono stati arruolati nello studio 51 pazienti (3 esclusi a posteriori), quindi 48 totali (19 maschi e 29 femmine). L’RTS (Revised Trauma Score) medio era di 7,83 (range 7,55-7,84). 22 pazienti sono stati allocati nel gruppo 1 e 26 nel gruppo 2. Nessuna differenza significativa tra i due gruppi in merito a caratteristiche demografiche o morfologiche. La temperatura esterna media sulla scena era di -4 °C (DS ±7°C); il tempo medio tra l’ora del trauma e l’ora in cui il paziente è stato caricato sul mezzo (esposizione al freddo) era di 73 minuti (DS±53 minuti). Nessuna differenza significativa è stata riscontrata tra i due gruppi. La temperatura media all’interno del mezzo di soccorso durante il trasporto era di 20°C (DS± 3°C) e il numero medio di coperte utilizzate era di 2.5 (DS± 1.1) senza differenze significative. Nessuna differenza significativa si è evidenziata tra i due gr uppi in merito a: spessore dell’abbigliamento e umidità, estensione dell’esposizione, l’incidenza dell’immobilizzazione di tutto il corpo, quantità di liquidi EV somministrata o incidenza di somministrazione di sedativi o oppioidi EV durante il trasporto. Discussione Nel corso dei primi 30 minuti di trasporto pre-ospedaliera, sia i pazienti che hanno ricevuto solo il riscaldamento passivo, sia i pazienti che hanno ricevuto il riscaldamento passivo con l'aggiunta del riscaldamento attivo, hanno presentato un aumento statisticamente significativo della Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 31 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 temperatura corporea e un miglioramento del disagio dovuto all’ipotermia Tuttavia nel primo gruppo solo i 2/3 dei pazienti hanno mostrato una diminuzione del disagio, mentre nel secondo gruppo tutti i pazienti. Questa differenza è motivabile grazie ai benefici delle compresse riscaldate in relazione al comfort del paziente: infatti tali dispositivi combinano la riduzione dei brividi da termogenesi con l’aumento della temperatura della pelle. La presenza di brividi non è stata monitorata direttamente, ma la riduzione dello stress da freddo è stata misurata con una piccola, ma significativa, diminuzione della frequenza respiratoria e cardiaca nei pazienti del gruppo 1, mentre tale diminuzione non è stata registrata nel gruppo 2. Nei pazienti con TC di 35°C e senza brivido, un adeguato riscaldamento passivo è un trattamento efficace per prevenire l’after-drop, assicurare un riscaldamento regolare e ridurre il disagio. Tuttavia l’utilizzo di sistemi attivi ha effetti benefici nell’aumento del comfort, e comporta una piccola riduzione dello stress indotto da ipotermia. Limiti Altri parametri come il consumo di ossigeno (come misura del brivido) e temperatura della cute, potrebbero essere importanti e utili come indicatori di stress da ipotermia. Inoltre è necessario considerare che pochi sono i trial clinici pubblicati in letteratura e presentano risultati discordanti. Traumi differenti, modalità di riscaldamento diversi e differenti quantità di riscaldamento passivo potrebbero spiegare risultati diversi nei vari studi. Conclusioni Nei traumi con ipotermia moderata, un riscaldamento passivo adeguato è un trattamento efficace per ottenere un lento grado di riscaldamento, e per ridurre il disagio da ipotermia durante il trasporto pre-ospedaliero. Tuttavia, sistemi per riscaldamento attivo (quali le compresse riscaldate ad attivazione chimica applicate sul torace) aumentano significativamente il comfort del paziente e potrebbero ridurre ulteriormente anche lo stress da ipotermia. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 32 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 A cura di Dott.sa Simona Frigerio, Torino Commento art. 7,8,9 Analizzando la letteratura relativa alla gestione dell’ipotermia accidentale nel trauma, a parte la gestione dei fluidi, tre sono gli elementi di cui è necessario tenere conto: la tipologia dei sistemi di riscaldamento attivi utilizzati nella fase pre-ospedaliera, nella fase ospedaliera e i sistemi di rilevazione della temperatura. Non sono disponibili, allo stato attuale, indicazioni precise sulla base di evidenze forti, a sostegno di pratiche che utilizzano specifici sistemi di monitoraggio o di riscaldamento; la cui scelta è comunque strettamente dipendente dal tipo di lesioni e dalle attrezzature disponibili. Se in letteratura esistono numerosi studi relativi all’ipotermia terapeutica o all’ipotermia accidentale nel peri-operatorio, lo stesso non può dirsi per l’ ipotermia accidentale nel trauma maggiore soprattutto per la difficoltà a condurre studi su una tipologia di paziente estremamente variabile. In ogni caso non si può però prescindere dalla monitorizzazione della temperatura e dal relativo trattamento dell’ipotermia anche attraverso l’azione combinata di più sistemi simultaneamente applicati al paziente. La gestione di questa condizione deve avvenire all’interno della rete del soccorso avanzato e quindi prevedere un’integrazione tra il trattamento extra e intra-ospedaliero A partire dalle indicazioni proposte nella Review diventa necessario identificare i migliori sistemi di trattamento, tenendo conto della tipologia di trauma che accede negli specifici contesti e delle risorse disponibili al fine di dare la migliore risposta al paziente. Non sempre, in effetti, in tutti i contesti può essere disponibile il trattamento gold-standard. Se è vero che l' ECMO è considerata la migliore risposta all'ipotermia severa, è altrettanto vero che tale tecnologia è disponibile solamente in specifici contesti. Diventa quindi determinante, nel gestire al meglio il paziente affetto da trauma maggiore con associata ipotermia moderata/severa, dotarsi di altri sistemi, che se pur meno efficaci, possono comunque fornire al paziente una risposta adeguata una volta applicati sinergicamente. In questo senso sono valide alternative i sistemi di riscaldamento attivi interni (l’emodialisi, i lavaggi vescicali, gastrici e pleurici, l’infusione di liquidi e/o emoderivati scaldati a 38-42° C) combinati a quelli attivi esterni (primo fra tutti il riscaldamento ad aria forzata). Inoltre è necessario tenere conto che tutti i sistemi di riscaldamento invasivi endo-vascolari presentano un elevatissimo rischio di complicanze emorragiche e trombotiche L'infermiere che lavora in contesti di cui sopra deve possedere le competenze necessarie per rispondere al problema ipotermia. Deve conoscere i migliori sistemi di monitoraggio in genere)ma soprattutto riferirli alla tipologia di pazienti di cui si occupa (ciò che va bene per un paziente potrebbe non funzionare per un altro) e le diverse possibilità di trattamento dell'ipotermia esistenti nel contesto. Solo in questo modo può garantire, nell’ambito della gestione dell’ipotermia, la corretta esecuzione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche e, in completa autonomia, l’utilizzo appropriato dei sistemi di riscaldamento. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 33 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 10. Trattamento iniziale dell’ustionato: che impatto ha la valutazione errata della superficie ustionata? Sintesi a cura di Dott.ssa Nadia Depetris, Torino abstract Introduction: Accurate estimation of burn size is of critical importance, as it is incorporated in every resuscitation formula. The aim of this study was to investigate total burn surface The potential impact of wrong TBSA estimations on fluid resuscitation in patients suffering from burns: things to keep in mind area (TBSA) accuracy among burn specialists, evaluate the potential impact of incorrect evaluation on variations of resultant fluid resuscitation volumes and to discuss future possibilities to estimate or measure TBSA more precisely. Methods: In a poll during two international burn meetings in 2010 and 2011 demonstrating three pictures of patients with different burn wound patterns and sizes we asked participants to estimate the total surface area burned in percentages. We then calculated resultant fluid volume differences based on established resuscitation formulas. Results: In the polled 80 participants, the estimations for three patients demonstrated the following differences (DIF = MAX ÿ MIN): for patient 1, 2 and 3 they were 22.5 (25–2.5), 16.5 (20–3.5) and 31.5 (40–8.5) %TBSA, respectively. Based on these differences we calculated the volume differences for patients 1,2 and 3, which were 1080 ml (Cincinnati Formula), 5280 ml (Parkland Formula) and 2016 ml (Cincinnati Formula), respectively. Conclusions: The analysis showed high deviations of total body surface area among partici- Par vizi et al. Burns 2014, 40, 241-5 pants, also resulting in large variations of initial fluid resuscitation volumes. One option to address estimation variances is to perform more accurate assessments; also incorporating new technologies aiding to improve the quality of body surface estimations and related decisions. # 2013 Elsevier Ltd and ISBI. All rights reserved. Introduzione Nelle primissime ore dopo il trauma il grande ustionato è caratterizzato da un marcato aumento della permeabilità capillare, che, unitamente ad altre alterazioni fisiopatologiche, determinano uno stato di shock emodinamico dalla gestione molto complessa. Una insufficiente infusione di liquidi nelle prime ore era in passato la principale causa di morte dell’ustionato. Attualmente è invece il problema opposto, una eccessiva infusione di liquidi, a complicare il trattamento precoce dell’ustionato. Il fenomeno, noto come “fluid creep”, causa complicanze quali aumento della pressione addominale, della sindrome compartimentale degli arti e un deterioramento degli scambi respiratori. Complicanze a lungo termine del fluid creep sono il prolungarsi della ventilazione meccanica, del ricovero in terapia intensiva e un aumento della morbilità e della mortalità. Negli ultimi anni si è assistito ad una presa di coscienza del problema e molte formule sono state proposte in alternativa alla classica formula di Parkland, che rimane comunque, nella sua forma rivisitata (2-4ml X Kg X TBSA) quella maggiormente utilizzata. Qualunque sia la formula impiegata, l’elemento chiave nella stima della velocità infusionale iniziale rimane la stima della superficie corporea ustionata (TBSA). Abbreviazioni utilizzate nel testo: TBSA (Total Body Surface Area), BSA (Body Surface Area). Obiettivo Valutare quanto la stima della TBSA sia operatore dipendente e quanto questo influisca sul trattamento iniziale del paziente ustionato. Metodi ! Raccolta dati • Gli autori hanno realizzato una survey distribuendo a personale medico ed infermieristico esperto nel trattamento delle ustioni immagini di pazienti ustionati e chiedendo loro di stimare per ogni immagine la TBSA. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 34 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 • Le immagini rappresentavano tre diversi pazienti ustionati. Il primo paziente (maschio, 2 anni, 12kg) presentava molteplici piccole aree di ustione, il secondo (maschio, 35 anni, 80kg) un’unica grande area del corpo ustionata, mentre il terzo (femmina, 4 anni, 16kg) presentava un’area ustionata grande più numerose piccole aree. ! Analisi • Sono state registrate la professione degli intervistati (medici strutturati, medici in formazione, infermieri) e il metodo utilizzato per la stima della TBSA (regola del 9, regola del palmo, schema di Lund-Browder, altro). • Per ogni paziente ustionato è stata calcolata la media delle TBSA stimate DS, la minima TBSA stimata e la massima TBSA stimata. • Sulla base di tali dati è stata calcolato il volume di fluidi per le prime 24h di trattamento utilizzando le formule più correntemente applicate: - Per gli adulti: Formula di Parkland modificata 2-4ml X Kg X TBSA - Per i bambini: Formula di Cincinnati (4 ml/kg/% TBSA + 1500 ml/m2 BSA) e Formula di Galveston (5000 ml/m2 TBSA + 2000 ml/m2 BSA) Risultati Hanno partecipato alla survey 80 professionisti esperti nel trattamento delle ustioni (32 medici strutturati, 27 medici in formazione e 21 infermieri). Il metodo utilizzato nella stima della TBSA è stato per la maggior parte degli intervistati la regola del 9 (38%), seguito dalla regola del palmo (37%) e dallo schema di Lund-Browder (18%). Nel restante 8% i partecipanti dichiaravano di aver utilizzato “altri metodi”. ! Paziente 1 (maschio, 2 anni, 12kg, molte piccole aree di ustione): TBSA media 8.4 4.4, minima TBSA stimata 2.5, massima TBSA stimata 25, volume minimo di fluidi 930ml, volume massimo di fluidi 2010ml ! Paziente 2 (maschio, 35 anni, 80kg, una sola grande area ustionata): TBSA media 7.9 2.8, minima TBSA stimata 3.5, massima TBSA stimata 20, volume minimo di fluidi 560ml, volume massimo di fluidi 6400ml ! Paziente 3 (femmina, 4 anni, 16kg, un’area di ustione grande più altre piccole aree): TBSA media 19.1 6.6, minima TBSA stimata 8.5, massima TBSA stimata 40 , volume minimo di fluidi 1549ml, volume massimo di fluidi 3565ml Discussione La stima della TBSA è l’elemento chiave, integrato in tutte le formule correntemente utilizzate, per stabilire se un ustionato deve essere trasferito presso un Centro Ustioni e per decidere la velocità infusionale iniziale di cui abbisogna. La survey, realizzata coinvolgendo personale medico e infermieristico esperto nel trattamento delle ustioni, ha evidenziato una grande variabilità interindividuale nello stimare la TBSA, con un notevole impatto sull’ammontare dei liquidi infusi al paziente nelle prime 24hh. Una errata valutazione della TBSA conduce a sottostimare la necessità di fluidi (under-resuscitation) o al contrario a sovrastimarla (over-resuscitation), con importanti conseguenze cliniche per il paziente, quali aumento della pressione addominale, sindrome compartimentale agli arti e deterioramento degli scambi respiratori (fenomeno noto come “fluid creep”). Altri studi sono giunti alla medesima conclusione: la valutazione della TBSA è operatore dipendente. Gli autori vedono come possibile soluzione l’introduzione di metodi oggettivi, non operatore dipendenti, quali quelli basati sulle moderne tecnologie (acquisizione delle immagini delle lesioni, loro elaborazione virtuale e successivo calcolo informatico della TBSA), per portare ad una stima più Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 35 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 precisa ed accurata della TBSA e di conseguenza della terapia infusionale iniziale dell’ustionato. A cura di Dott.ssa Nadia Depetris, Torino Commento art. 10 La survey presentata pone l’accento su quanto sia importante la terapia del paziente grande ustionato fin dalle sue primissime fasi e su quanto essa sia complessa e fonte di errori persino tra personale esperto. Molti professionisti (medici, chirurghi, anestesisti e infermieri) devono occasionalmente prestare soccorso a pazienti grandi ustionati. Il primo trattamento dell’ustionato è fondamentale per garantire la sopravvivenza del paziente e la sua successiva qualità di vita. Molte sono le domande. Abbiamo provato a rispondere ad alcune sulla base della letteratura. 11. Domande e risposte: La terapia infusionale dell’ustionato nelle prime ore dal trauma. A cura di Dott.ssa Nadia Depetris, Torino Bibliografia di riferimento. Pham et al. J)Burn)Care Res.)2008, 29(1):257-66 EBA (European Burn Association). European Practice Guidelines for Burn Care Second Edition, 2013 ABLS (Advance Burn Life Support) Course 2011 Qual è l’obiettivo terapeutico della fluidoterapia nelle fasi precoci del grande ustionato? Una corretta fluidoterapia nelle prime fasi del trattamento è fondamentale per la sopravvivenza del paziente grande ustionato. Il suo obiettivo è quello di contrastare gli effetti del burn shock (lo stato di shock ipovolemico non emorragico che caratterizza il paziente grande ustionato nelle prime fasi del suo decorso clinico) mantenendo un’adeguata perfusione d’organo, evitando però allo stesso tempo le complicanze di un eccesso di liquidi. Questo si ottiene infondendo i liquidi necessari per garantire la perfusione d’organo, ma riducendoli al minimo indispensabile. Nè troppo nè troppo poco. Quali sono le complicanze di una fluidoterapia non corretta? Possiamo distinguere due classi fondamentali di complicanze, a seconda che siano stati infusi troppi liquidi (over-resuscitation) o troppo pochi (under-resuscitation). Over-resuscitation Le complicanze di un eccesso di liquido nelle prime ore dall’ustione sono legate all’edema che si Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 36 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 forma nei tessuti ustionati, ma anche in quelli sani. Ricordiamo che quando l’ustione coinvolge più del 15-20% della superficie corporea le alterazioni della permeabilità capillare, che caratterizzano i tessuti ustionati, si estendono a tutti i tessuti del corpo del paziente. L’edema andrà quindi a coinvolgere tutti i distretti corporei, anche quelli in origine non ustionati. Somministrare un eccesso di liquido nelle prime ore esacerberà la formazione di edema, fenomeno indicato in letteratura con il termine “fluid creep”. Il fluid creep comporta spesso un approfondirsi delle ustioni, a seguito di una alterazione del flusso ematico locale e di un insufficiente apporto nutritivo ai tessuti, ma non solo. Il fluid creep provoca anche un aumento della pressione addominale, delle sindromi compartimentali agli arti, un deterioramento degli scambi respiratori. Under-resuscitation Al contrario, se sono somministrati al paziente troppo pochi liquidi si assiste ad un esacerbarsi del burn shock, con conseguente insufficienza multiorgano, tipicamente insufficienza renale, che è in genere la prima a manifestarsi. Gestione preospedaliera dell’ustionato: Quanti accessi venosi? Quale liquido utilizzare? Quanto infondere? Nelle primissime fasi di trattamento, in ambito extra-ospedaliero, ma anche in ambito intraospedaliero (soprattutto se si tratta di un centro non esperto nel trattamento del paziente grande ustionato) si può ricorrere a queste semplici raccomandazioni: ! un accesso venoso periferico di grosso calibro (2 se stimiamo che la superficie corporea ustionata sia superiore al 30%) ! qualora non sia possibile posizionare i cateteri venosi su cute sana (cosa che resta comunque preferibile) si possono posizionare gli accessi venosi anche su cute ustionata ! utilizzare Ringer Lattato (LR) ! somministrare per bambini di 5 anni o più piccoli: 125 ml all’ora per bambini dai 6 ai 13 anni: 250 ml all’ora per adulti o ragazzi sopra i 14 anni: 500 ml all’ora Come stimare la velocità infusionale iniziale? La velocità infusionale iniziale dipende dal peso del paziente e dalla stima della TBSA (Total Burn Surface Area). Il peso del paziente può essere stimato, ottenuto mediante pesa del paziente, oppure direttamente chiesto al paziente (se cosciente) o ai familiari. La TBSA può essere calcolata in vari modi, i più correntemente utilizzati sono la regola del 9 oppure gli schemi corporei preparati ad hoc. In ogni caso è importante ricordare che la TBSA è stimata considerando solo le ustioni di secondo o terzo grado, non quelle di primo grado. La formula al momento consigliata sia dall’ABA (American Burn Association) sia dall’EBA (European Burn Association) per il calcolo dei liquidi da infondere all’ustionato nelle prime 24 ore è la formula di Parkland rivisitata: 2 ml LR x peso del paziente in kg x TBSA. Questa formula deriva da quella precedentemente in uso e detta “di Parkland” (4 ml LR x Kg X Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 37 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 TBSA). La formula di Parkland è stata modifica proprio in seguito alla presa di coscienza del fenomeno del fluid creep, per cercare di limitare la tendenza a somministrare un eccesso di liquidi nella prima giornata del paziente ustionato. Applicando la formula si ottiene il volume di fluidi da somministrare nelle prime 24 ore dall’ustione, il totale va poi diviso a metà: La prima metà deve essere somministrata nelle prime 8 ore La seconda metà nelle successive 16 ore. Esempio pratico: Paziente adulto, peso 70kg, TBSA stimata 50%. 2 ml LR x 70 (kg) x 50 (% TBSA) = 7,000 ml LR nelle prime 24 ore. 7000 ml/2= 3500 ml (prima metà) da infondere nelle prime 8 ore. 3500 ml/8 = 437 ml/ora Velocità infusionale nelle prime 8 ore Quali pazienti richiedono un diverso trattamento? Come trattarli? La formula di Parkland rivisitata deve essere applicata ai pazienti ustionati adulti che non presentino lesioni associate. Per i bambini che pesano meno di 40kg si usa la seguente formula: 3 ml LR x peso x % TBSA Ricordando di somministrare al bambino anche fluidi di mantenimento (tipicamente glucosata) al fine di evitare ipoglicemia, cui essi sono proni per le loro caratteristiche metaboliche. Per gli adulti che abbiano subito elettrocuzione, che si presentino con importante danno da inalazione, e in tutti quelli a rischio di crush syndrome (politraumatismo associato, ustioni molto profonde, ritardo nei soccorsi, etc) si usa invece la seguente formula: 4 ml LR x peso x % TBSA. Come valutare l’adeguatezza del riempimento? Come modificare la velocità infusionale se questa sembra non adeguata? Ogni paziente reagisce in modo diverso al trauma da ustione e all’infusione di liquidi. E’ importante ricordare che il calcolo dell’ammontare dei liquidi da infondere nelle prime 24 ore è solo una stima delle necessità del paziente, non un dictat assoluto. Una corretta terapia infusionale nelle fasi precoci dell’ustione parte sì dalla velocità infusionale ottenuta con la formula, ma viene successivamente modificata sulla base dei parametri vitali del paziente. Il paziente deve essere strettamente monitorizzato al fine di capire se stiamo infondendo il giusto ammontare di liquidi, ovvero se stiamo garantendo la sua perfusione d’organo. Stato di coscienza (se il paziente non è sedato), pressione arteriosa, frequenza cardiaca sono i parametri di base, da monitorare in continuo. Monitoraggi più invasivi possono aiutare, ma non ci sono ancora dati univoci sul loro impiego nelle fasi precoci. Il parametro che le attuali linee guida suggeriscono come fondamentale per la verifica dell’adeguatezza della terapia infusionale nell’ustionato nelle primissime fasi è la diuresi raccolta mediante catetere vescicale. La diuresi target è di 0,5ml/kg/ora nell’adulto, basandosi sul peso ideale del paziente (circa 30-50ml/ora). Se la diuresi si discosta da questo target per più di due ore consecutive la velocità infusionale deve essere modificata. Se la diuresi è minore di 0,5ml/kg/ora la velocità infusionale deve essere aumentata di 1/3. Se la diuresi è maggiore di 0,5ml/kg/ora la velocità infusionale deve essere ridotta di 1/3. Questo vale in paziente che non abbiano problemi renali preesistenti e nei quali non siano stati Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 38 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 somministrati diuretici. Il target urinario si modifica nei bambini (1 ml/kg/ora nel bambino che pesi meno di 40kg), nei pazienti che hanno subito elettrocuzione, politraumatismi associati e in tutti quelli che presentino emoglobinuria. In questi casi, al fine di evitare i rischi della crush syndrome, la diuresi target è di 1-1,5ml/kg/ora. 12. Le medicazioni emostatiche avanzate non sono superiori alla semplice garza negli scenari sotto fuoco nemico. Sintesi a cura di Dott. Alberto Adduci, Torino Advanced Hemostatic Dressings Are Not Superior to Gauze for Care Under Fire Scenarios Watters et al. J TRAUMA, 2011, 70, 6, 1413-9 Background: Advanced hemostatic dressings perform superior to standard gauze (SG) in animal hemorrhage models but require 2 minutes to 5 minutes application time, which is not feasible on the battlefield. Methods: Twenty-four swine received a femoral artery injury, 30 seconds uncontrolled hemorrhage and randomization to packing with SG, Combat Gauze (CG), or Celox Gauze (XG) without external pressure. Animals were resuscitated to baseline mean arterial pressures with lactated Ringers and monitored for 120 minutes. Physiologic and coagulation parameters were collected throughout. Dressing failure was defined as overt bleeding outside the wound cavity. Tissues were collected for histologic and ultrastructural studies. Results: All animals survived to study end. There were no differences in baseline physiologic or coagulation parameters or in dressing success rate (SG: 8/8, CG: 4/8, XG: 6/8) or blood loss between groups (SG: 260 mL, CG: 374 mL, XG: 204 mL; p . 0.3). SG (40 seconds 6 0.9 seconds) packed significantly faster than either the CG (52 6 2.0) or XG (59 6 1.9). At 120 minutes, all groups had a significantly shorter time to clot formation com( , 0.01). At 30 minutes, the XG animals had shorter pared with baselinee (p ( , 0.05). All histology time to clot compared with SG and CG animals (p sections had mild intimal and medial edema. No inflammation, necrosis, or deposition of dressing particles in vessel walls was observed. No histologic or ultrastructural differences were found between the study dressings. Conclusions: Advanced hemostatic dressings do not perform better than conventional gauze in an injury and application model similar to a care under fire scenario. Key Words: Hemostatic dressing, Care under fire, Combat Gauze, Celox Gauze, Hemorrhagic shock. In t ro d u z i o n e No n o s t a n te t u t t i i progressi nella gestione dei traumi e dei dispositivi di protezione individuale quali i giubbotti antiproiettile, l’emorragia continua ad essere la principale causa di morte evitabile per trauma sia in ambito 2011;70: 1413–1419) ((JJ Trauma. 20 2011;7 ;70: 0: 1413 13–1419) 9) civile che tra i feriti in azioni di guerra. Alcuni studi dimostrano che una emorragia non comprimibile del tronco è la causa principale di morte ma che anche l’emorragia comprimibile delle estremità contribuisce con un numero significativo di morti potenzialmente evitabili. Fornire assistenza sul campo di battaglia durante un combattimento, pone il sanitario e la vittima al rischio costante di lesioni e morte. Inoltre, la responsabilità primaria anche del sanitario, in tale contesto, può essere quella di garantire un fuoco di copertura, prima, durante e dopo il trattamento. Per queste ragioni, il Committee on Tactical Combat Casualty Care raccomanda l'applicazione di un tourniquet come metodo di controllo delle emorragie delle estremità negli scenari sotto il fuoco nemico. L'emorragia da ferite in zone del corpo non trattabili col posizionamento di un tourniquet ma ancora Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 39 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 aggredibili con la compressione, come inguine, collo o ascella, può essere trattata mediante applicazione di medicazioni emostatiche avanzate. In effetti, molti studi pubblicati hanno confrontato l'efficacia delle varie medicazioni emostatiche avanzate, reciprocamente tra loro e rispetto alla garza standard (GS) su quelle lesioni vascolari comprimibili in cui i tourniquets non possono essere applicati. Gli agenti emostatici disponibili sotto forma di garza medicata non producono gli stessi effetti negativi locali e embolici dei prodotti sotto forma granulare precedentemente diffusi in commercio e si sono dimostrati più efficaci della garza standard (GS) quando applicati ad una grave lesione dell’inguine. Tuttavia, tutti richiedono tempi di applicazione prolungati (i produttori raccomandano dai 2 ai 5 minuti di compressione), cosa che è semplicemente impraticabile negli scenari sotto il fuoco nemico. La CG è una medicazione sotto forma di garza arrotolata, flessibile, impregnata di caolino, una argilla che attiva la coagulazione. La CG è attualmente la medicazione raccomandata dal Tactical Combat Casualty Care (TCCC) quando i combattenti feriti raggiungono luoghi sicuri (ambiente tattico). La CG è presente in ogni kit di primo soccorso di ogni soldato. La Celox Gauze (XG, SAM Medical Products, Wilsonville, OR) è una benda di tessuto non tessuto ricoperto da fibre emostatiche derivate dal chitosano. Una formulazione in polvere dello stesso prodotto emostatico a base di chitosano aveva dato buoni risultati in studi precedenti. Il Regno Unito ha adottato la XG per i suoi soldati in Afghanistan. In questo studio, gli autori hanno cercato di comparare le medicazioni emostatiche avanzate CG e XG rispetto alla garza standard (GS, Kerlix, Convidien, Mansfield, MA) applicate su una lesione dell’arteria in sede inguinale in un suino, eliminando i tempi di compressione della medicazione dopo l’applicazione sulla ferita. L'obiettivo di questo studio era di determinare se tali medicazioni avanzate fossero superiori alla GS in un modello animale che riproduce il trattamento sotto il fuoco nemico. Materiali e metodi L’Institutional Animal Care and Use Committee at Oregon Health & Science University ha approvato questo studio. Modello di emorragia: E’ stata eseguita una incisione standard di 8 cm all'inguine, con esposizione dell'arteria femorale, evitando lesioni della vena femorale e del nervo. Gli animali sono stati stabilizzati e l'arteria è stata poi immersa in lidocaina 2% per 1 minuto per ridurre al minimo il vasospasmo; è stata quindi registrata una MAP basale. Usando un ago da biopsia di 6 mm si è creata una lesione della parete laterale del vaso provocando una emorragia che è stata consentita fluire per 30 secondi. Quindi sono state applicate le medicazioni sottoposte a studio attraverso la pozza di sangue, stipando la cavità il più rapidamente possibile. Quando la cavità non veniva riempita completamente dalla medicazione, veniva sovrapposta una spugna laparotomica standard (Kendall, Convidien, Mansfield, MA) e la compressione veniva esercitata per la quantità di tempo predeterminata. Trascorso il tempo predeterminato, la compressione veniva rilasciata e si iniziava la rianimazione con fluidi (Ringer lattato a 165 ml/min) per raggiungere e mantenere la MAP basale per tutta la durata dello studio. Lo studio formale ha utilizzato lo stesso modello di lesione. Otto animali sono stati prerandomizati per ricevere una delle tre medicazioni: CG, XG o GS. Gli esaminatori sono rimasti all'oscuro sul tipo di medicazione da applicare fino a dopo la creazione della lesione dell'arteria femorale. Dopo l'arteriotomia e 30 secondi di emorragia incontrollata, la medicazione randomizzata è stata applicata attraverso la pozza di sangue nella ferita. Le medicazioni sono state applicate il più rapidamente possibile e se la cavità della ferita non veniva riempita completamente dalla medicazione in studio, veniva sovrapposta una pezza laparotomica chirurgica standard. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 40 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Il medesimo sperimentatore (M.K.) ha effettuato le lesioni arteriose e applicato le medicazioni, per ridurre al minimo le variabilità soggettive. Dopo l’impacchettamento della ferita, si è iniziata la rianimazione con fluidi con Ringer lattato a 165 ml/min per raggiungere e mantenere la MAP basale per tutta la durata dello studio. Le ferite sono state ispezionate e la medicazione definita insufficiente in presenza di una pozza di sangue al di fuori della ferita. La perdita ematica è stata calcolata valutando il sangue raccolto nei contenitori degli aspiratori e attraverso l’utilizzo di medicazioni prepesate. Gli animali sono stati monitorati per 120 minuti e gli animali sopravvissuti sono stati soppressi. Prima della soppressione la medicazione in studio è stata accuratamente rimossa dalla ferita e la lesione vascolare è stata esaminata alla ricerca di emorragia recidiva. Si è calcolato anche il grado di imbibizione di sangue della medicazione. Tutte le ferite sono state ispezionate postmortem al fine di garantire tipi simili di lesione. Sono stati eseguiti un TEG e altre indagini di laboratorio (EGA, ematocrito e lattato) basali e dopo 30 e 120 minuti dalla lesione. I dati demografici di base, come peso, valori MAP pre lesione, le perdite ematiche pretrattamento così come le perdite di sangue post lesione, le perdite ematiche complessive, i liquidi somministrati per via endovenosa, la diuresi, il successo della medicazione e la mortalità sono stati raccolti e confrontati. Sono stati prelevati campioni delle medicazioni in studio e del vaso lesionato per l'analisi istologica. I campioni sono stati analizzati anche dal punto di vista ultrastrutturale. Gli esiti primari per lo studio sono stati il successo della medicazione e la perdita di sangue. Risultati Otto animali sono stati randomizzati per ciascun gruppo di studio. Ogni gruppo aveva simile peso, valori di MAP pre-lesione, ematocrito basale e volume di emorragia incontrollata per 30 secondi. Anche la perdita di sangue postlesione, la perdita complessiva totale di sangue e i fluidi reinfusi durante la rianimazione erano simili nei due gruppi. Tutti gli animali sono sopravvissuti fino al completamento dello studio. Non ci sono state differenze nel successo della medicazione. Anche se le medicazioni CG e XG hanno fallito maggiormente, questo non ha raggiunto livelli di significatività. Anche il tempo per dichiarare fallita la medicazione non si è dimostrato differente tra CG e XG. Le medicazioni di GS sono state applicate più velocemente rispetto CG o XG, il cui tempo di applicazione non differisce tra loro. Alla rimozione della medicazione, l'emorragia è ripresa nella maggior parte delle ferite. I valori di laboratorio a fine studio sono risultati simili tra i gruppi. Il grado di impregnazione di sangue nelle medicazioni è stato simile tra i gruppi. A 120 minuti, tutti i gruppi avevano un tempo significativamente più breve di formazione del coagulo (valore r del TEG) rispetto al valore basale e coi valori simili tra loro (p < 0.01). Conclusioni Ci sono buone ragioni per cui i normali bendaggi in garza esistono da millenni. Sono leggeri, assorbenti, altamente adattabili, stabili in una varietà di condizioni ambientali e poco costosi. Diversi agenti emostatici avanzati hanno dimostrato migliori effetti emostatici, miglior prognosi e probabilmente hanno salvato più vite rispetto alla GS, quando applicate secondo il tempo di compressione raccomandato dai produttori. Tuttavia in uno scenario di guerra guerreggiata, sotto il fuoco nemico, ma anche in un contesto con molteplici vittime, i tempi di compressione consigliati dai produttori (di 2 e 5 minuti) non sono sempre realizzabili. In un contesto sotto il fuoco nemico possono essere affrontate solo le condizioni immediatamente pericolose per la vite e spesso le vittime in combattimento devono provvedere a una automedicazione e all’applicazione di un tourniquet. Un obiettivo primario del combattente in questo contesto è anche quello di proteggersi e di continuare a rispondere al fuoco. Le gravi lesioni vascolari che non possono essere controllate con l’applicazione di un tourniquet, devono essere trattate nel modo più rapido possibile prima che la grave emorragia comprometta la vittima. Analogamente in Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 41 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 presenza di vittima con multiple lesioni da trattare, le medicazioni devono essere applicate rapidamente ed efficacemente riducendo al minimo il tempo di compressione. Gli autori hanno scelto di confrontare tre medicazioni, CG, XG, e KERLIX come garza standard (GS). CG si è dimostrato altamente efficace nei diversi studi ed è attualmente l'unica medicazione emostatica avanzata in utilizzo nell’esercito USA, ma non è mai stata testata con tempi minimi di compressione. XG, un prodotto relativamente nuovo, è attualmente in uso in ambito militare nel Regno Unito. In questo lavoro, gli autori hanno utilizzato un model lo ben consolidato di gra ve emorragia arteriosa comprimibile ma non controllabile mediante laccio emostatico, per confrontare l'efficacia di XG, a CG e GS (KERLIX), limitando il trattamento della ferita alla sola applicazione della medicazione senza compressione aggiuntiva. In questo grave tipo di ferita da combattimento e con questo modello di applicazione, le medicazioni emostatiche avanzate non si sono dimostrate superiori rispetto alla GS. La mancanza di differenza nella sopravvivenza, nell’efficacia della medicazione e nelle perdite di sangue di queste tre medicazioni è stata in qualche modo sorprendente; in particolare le prestazioni equivalenti della garza standard che sebbene non abbia intrinseche proprietà procoagulanti al di là di pressione e assorbenza, è stata stipata nella ferita in m o d o s i g n i f i c a t i v a m e n te p i ù v e l o ce rispetto la CG e la XG. Questa differenza di tempo è probabilmente importante in caso di una emorragia arteriosa vivace in co r s o . O l t r e a d e s s e r e a p p l i c a t a p i ù rapidamente, vi è stato una impressione generale che le ferite venissero stipate in modo più completo con GS mentre le altre Italian Resuscitation Council A cura di Dott. Alberto Adduci,Torino Commento Buona parte delle novità in medicina, cliniche e tecnologiche, sono nate in ambito militare. Il concetto stesso di soccorso preospedaliero, con buona pace del Barone Larrey, nasce durante le campagne di guerra napoleoniche nella seconda metà del ‘700. Ho ritenuto interessante introdurre, nello spazio riservato al soccorso preospedaliero qualche news proveniente dal mondo sanitario militare, anche per la loro potenziale ricaduta in ambito civile. Tra queste segnalo la rapida diffusione degli agenti emostatici topici, sotto forma di polveri o garze medicate. Il lavoro in oggetto prova a ricondurre l’utilizzo di queste medicazioni avanzate nel contesto di guerra guerreggiata, nella situazione peggiore ovvero in presenza di fuoco nemico, contesto in cui mutano le priorità del soccorso preospedaliero, privilegiando l’autoprotezione e l’automedicazione, mentre si mantiene la risposta al fuoco nemico. Quindi utilizzare procedure o medicazioni che prevedono “minuti” di applicazione non sembra essere una strategia che paghi in termini di riduzione del rischio e della mortalità. E’ perciò curioso scoprire che una medicazione avanzata, utilzzata in un contesto militare sotto il fuoco nemico, non si riveli più efficace di una semplice garza nell’arrestare una emorragia. Il lavoro presentato rivela alcuni limiti, già evidenziati dagli autori stessi nell’articolo, e nonostante la risultante di questo lavoro credo che lo sviluppo di emostatici topici sempre più efficaci possa realmente incidere nella riduzione della mortalità per emorragie comprimibili ma non trattabili con tourniquet, anche nell’attività quotidiana di soccorso preospedaliero, perché “every red blood cell counts!” Trauma Journal Club pag ! 42 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 medicazioni non si adattavano a riempire sempre la geometria irregolare delle ferite. La sopravvivenza degli animali, benché non tutte le emorragie siano state uniformemente arrestate dalle tre medicazioni, ha dimostrato che il sanguinamento veniva quantomeno rallentato, premettendo una sopravvivenza di almeno 2 ore. Anche se una rianimazione volta a riportare la MAP a livello basale aumenta la probabilità di alterazione del coagulo e di risanguinamento, la sopravvivenza è anche verosimilmente aumentata grazie alla somministrazione continua di liquidi. Questo studio ha diversi limiti, alcuni dei quali sono stati accennati sopra. E’ evidente che il vero trattamento sotto fuoco nemico non prevede infusione di liquidi, ma si è immaginato che ripristinare la MAP basale avrebbe consentito di stressare meglio le performance delle medicazioni. Per le emorragie pericolose per la vita degli arti, l’unico trattamento indicato sotto il fuoco nemico è il posizionamento di un tourniquet. Tuttavia, esiste la possibilità di salvare vite umane controllando le emorragie in siti potenzialmente comprimibili, in cui un laccio non può essere applicato. Le medicazioni devono essere facilmente applicabili e efficaci senza richiedere una compressione prolungata dopo il posizionamento. In questo studio, la GS si comporta altrettanto bene delle due medicazioni emostatiche avanzati, CG e XG in un modello di lesione e con una applicazione compatibile con un contesto sotto il fuoco nemico. Queste medicazioni emostatiche avanzate in determinate condizioni forniscono una migliore emostasi e devono certamente continuare ad essere utilizzate. Comunque gli studi per ideare un prodotto in grado di arrestare l’emorra gia immediatamente senza effetti collaterali devono essere continuati. 13. L’infusione di fluidi in ambito preospedaliero è associata, nei pazienti con trauma, ad un aumento della sopravvivenza. Sintesi a cura di Dott.ssa Elisa Saglio, Torino Prehospital intravenous fluid is associated with increased survival in trauma patients Delivery of intravenous crystalloid fluids (IVF) remains a tradition-based priority during prehospital resuscitation of trauma patients. Hypotensive and targeted resuscitation algorithms have been shown to improve patient outcomes. We hypothesized that receiving any prehospital IVF is associated with increased survival in trauma patients compared with receiving no prehospital IVF. Prospective data from 10 Level 1 trauma centers were collected. Patient demographics, prehospital IVF volume, prehospital METHODS: and emergency department vital signs, lifesaving interventions, laboratory values, outcomes, and complications were collected and analyzed. Patients who did or did not receive prehospital IVF were compared. Tests for nonparametric data were used to assess significant differences between groupss (p ( e 0.05). Cox regression analyses were performed to determine the independent influence of IVF on outcome and complications. RESULTS: The study population consisted of 1,245 trauma patients; 45 were excluded owing to incomplete data; 84% (n = 1,009) received prehospital IVF, and 16% (n = 191) did not. There was no difference between the groups with respect to sex, age, and Injury Severity Score (ISS). The on-scene systolic blood pressure was lower in the IVF group (110 mm Hg vs. 100 mm Hg, p G 0.04) and did not change significantly after IVF, measured at emergency department admission (110 mm Hg vs. 105 mm Hg, p = 0.05). Hematocrit/hemoglobin, fibrinogen, and platelets were lower (p ( G 0.05), and prothrombin time/ international normalized ratio and partial thromboplastin time were higherr (p ( G 0.001) in the IVF group. The IVF group received a median fluid volume of 700 mL (interquartile range, 300Y1,300). The Cox regression revealed that prehospital fluid administration was associated with increased survival (hazard ratio, 0.84; 95% confidence interval, 0.72Y0.98; p = 0.03). Site differences in ISS and fluid volumes were demonstrated (p ( G 0.001). CONCLUSION: Prehospital IVF volumes commonly used by PRospective Observational Multicenter Massive Transfusion Study (PROMMTT) investigators do not result in increased systolic blood pressure but are associated with decreased in-hospital mortality in trauma patients compared with patients who did not receive prehospital IVF. (J ( Trauma Acute Care Surg. Surg. 2013;74: S9YS15. Copyright * 2013 by Lippincott Williams & Wilkins) LEVEL OF EVIDENCE: Therapeutic study, level IV. KEY WORDS: Prehospital; resuscitation; clinical parameters; PROMMTT. BACKGROUND: Hampton et al. J Trauma Acute Care Surg 2013, 7, Suppl 1, 9-15 Introduzione In ambito preospedaliero, la somministrazione di cristalloidi nel paziente traumatizzato rimane uno dei punti cardine del trattamento. In letteratura sono presenti numerosi studi che hanno dimostrato l’efficacia della rianimazione con target pressorio o ipotensione permissiva. Sulla base di questi dati gli autori hanno ipotizzato un aumento della sopravvivenza nei pazienti con trauma a seguito di somministrazione di fluidi per via endovenosa in ambito pre-ospedaliero. Lo studio, di tipo prospettico, ha raccolto i dati provenienti da dieci trauma center. Le caratteristiche Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 43 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 delle due popolazioni in esame sono state confrontate ed è stata utilizzata l’analisi di regressione di Cox per valutare l’influenza indipendente della somministrazione di fluidi sulla sopravvivenza nel paziente traumatizzato. Lo studio ha coinvolto 1200 pazienti. Di questi l’84% era stato sottoposto a infusione di fluidi (gruppo IVF), mentre il 16% no. Le due popolazioni sono risultate uguali per caratteristiche demografiche. Nel gruppo IVF la pressione sistolica media era inferiore rispetto al gruppo di controllo, così come i parametri dell’emocromo e i valori della coagulazione aumentati. Il volume medio di fluidi somministrati nel gruppo IVF era di circa 700 ml di cristalloidi. L’analisi di regressione di Cox dimostra, secondo gli autori, un aumento della sopravvivenza correlato alla somministrazione di fluidi (Hazard Ratio: 0.84; Intervallo di Confidenza: 95%, 0.72-0.98; p = 0.03) Gli autori del PRospective Observational Multicenter Massive Transfusion Study (PROMMTT) concludono che la somministrazione di fluidi in ambito preospedaliero sia associata alla riduzione della mortalità ospedaliera dei pazienti con trauma rispetto al gruppo controllo. La somministrazione di fluidi è un punto cardine della trattamento dei pazienti traumatizzati in ambito preospedaliero, tuttavia è stato associato ad un aumento di coagulopatia, insufficienza d’organo, ospedalizzazione prolungata e morte. Inoltre, sebbene faccia parte della pratica comune, non esistono studi o linee guida che abbiano standardizzato il tipo di fluido, il volume e la durata che deve avere questo trattamento. Da studi su modello animale si evince che l’utilizzo di soluzioni ipertoniche e colloidi non si è dimostrato superiore all'uso di cristalloidi nella rianimazione dello shock emorragico. I protocolli che prevedono la somministrazione di elevati volumi di fluidi sono stati correlati all’aumento di complicanze quali sindrome compartimentale addominale, la sindrome da distress respiratorio e l’insufficienza renale. Al contrario, protocolli che prevedono una somministrazione limitata di fluidi, secondo quella che viene intesa come strategia di damage-control, ossia il mantenimento i valori di pressione sistolica intorno a 90 mmHg mediante infusione di piccoli volumi di cristalloidi o emazie concentrate o plasma fresco congelato, hanno dimostrato un miglioramento dell’outcome. Sulla base di questi dati, gli autori hanno ipotizzato che la somministrazione di fluidi in ambito preospedaliero sia associato ad un miglioramento dell’outcome rispetto alla popolazione di pazienti traumatizzati che non ricevono alcun fluido. Risultati Caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione in studio Lo studio ha coinvolto 1200 pazienti. Di questi lo 84% era stato sottoposto ad infusione di fluidi (gruppo IVF), mentre il 16% no. Le due popolazioni sono risultate uguali per caratteristiche demografiche. Il gruppo IVF presentava una pressione sistolica inferiore rispetto al gruppo di controllo. Per quanto riguarda i parametri di laboratorio, i pazienti nel gruppo IVF presentavano valori di PT e PTT superiori. Gli autori attribuiscono queste variazioni all’insorgenza di un iniziale coagulopatia da trauma o alla coagulopatia da diluizione. Outcome Per quanto riguarda la mortalità complessiva intraospedaliera gli autori non hanno osservato differenze tra i due gruppi in studio (21% vs. 23%; p = 0.43). Tuttavia l’analisi di regressione di Cox, controllata per sesso, meccanismo di lesione e score clinici, ha evidenziato una riduzione della mortalità nel gruppo IVF (hazard ratio [HR], 0.84; 95% confidence interval [CI], 0.72-0.98; p = 0.03). Anche la mortalità per danno cerebrale risultava ridotta nel gruppo a cui sono stati somministrati fluidi (HR, 0.69; 95% CI, 0.54-0.88; p < 0.01). Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 44 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 Discussione Gli autori di questo studio hanno ipotizzato che la somministrazione di fluidi in ambito preospedaliero al paziente traumatizzato determini un miglioramento della sopravvivenza. Usando l’analisi di regressione di Cox hanno dimostrato che la popolazione che aveva ricevuto fluidi dopo un trauma presentava una riduzione della mortalità ospedaliera. Il tasso di complicanze da somministrazione di fluidi sembrerebbero, in base a questo studio, maggiormente correlate alle cure ospedaliere più che al trattamento preospedaliero. Il gruppo IVF riceveva un volume medio di fluidi di 700 ml, nettamente inferiore al volume di 1-2 litri suggerito degli algoritmi proposti dal PHTLS. Il volume di fluidi somministrato non è sufficiente a produrre un incremento dei valori pressori, ma allo stesso tempo permette di prevenire lo sviluppo di un ulteriore calo pressorio. In questo studio gli autori concludono sostenendo che la somministrazione di fluidi in ambito preospedaliero costituisca un beneficio per il paziente traumatizzato. Sono note le possibili complicanze correlate alla somministrazione di fluidi nel trauma, quali l’ARDS, la sindrome compartimentale e l’insufficienza renale. Esistono studi che hanno valutato la diversa incidenza di quest’ultime in base ad un atteggiamento standard, che prevede l’infusione di un volume superiore ai 150 ml, o ad un atteggiamento restrittivo, mediante somministrazione di un volume inferiore a 150 ml. Secondo quanto riportato da questi studi la rianimazione restrittiva di fluidi costituisce un vantaggio in termini di sopravvivenza ed incidenza di complicanze. Da quanto riportato in letteratura sono ormai numerosi i dati a sostegno della rianimazione ipotensiva, ossia il mantenimento di una pressione media intorno ai 50-65 mmHg, in termini di riduzione della coagulopatia e di mortalità post-operatoria. Anche nello studio PROMMTT gli autori hanno osservato un aumento della sopravvivenza nel gruppo di pazienti con valori pressori inferiori, ossia il gruppo IVF. Gli autori stessi sottolineano i limiti di questo studio. In particolare viene messo in evidenza il fatto che molti dati siano stati raccolti all’interno della popolazione dello studio PROMMTT, il cui intento era quello di valutare protocolli intra-ospedalieri. Questo può essere causa di una minor attenzione nella raccolta di dati sulle caratteristiche preospedaliere. Essendo inoltre il PROMMTT uno studio osservazionale, non erano state imposte procedure standardizzate, per tanto i dati non sono sempre uniformi. Mediante l’utilizzo dell’analisi di regressione di Cox gli autori hanno cercato di controllare le differenze dovute al sito di provenienza dei dati, tuttavia in questo modo i dati non erano sufficienti, per tanto è stata eseguita l’analisi come se tutti i dati provenissero da un unico trauma center. Questo studio dimostra che la somministrazione di fluidi in ambito pre-ospedaliero determina un vantaggio per il paziente ed una riduzione della mortalità. I protocolli che prevedono la somministrazione di fluidi proscrivendo un incremento dei valori pressori dovrebbero diventare lo standard. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 45 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 14. Una precoce e aggressiva rianimazione con cristalloidi influisce negativamente sulla prognosi dei pazienti vittima di trauma chiuso. Sintesi a cura di Dott.ssa Elisa Saglio, Torino Aggressive early crystalloid resuscitation adversely affects outcomes in adult blunt trauma patients: An analysis of the Glue Grant database Evidence suggests that aggressive crystalloid resuscitation is associated with significant morbidity in various clinical settings. We wanted to assess whether aggressive early crystalloid resuscitation adversely affects outcomes in adult blunt trauma patients. Data were derived from the Glue Grant database. Our primary outcome measure was all-cause in-hospital mortality. Secondary outcomes included days on mechanical ventilation; intensive care unit (ICU) and hospital length of stay (LOS); inflammatory (acute lung injury and adult respiratory distress syndrome, or multiple-organ failure) and resuscitation-related morbidity (abdominal and extremity compartment syndromes or acute renal failure) and nosocomial infections (ventilator-associated pneumonia, bloodstream, urinary tract, and surgical site infections). RESULTS: In our sample of 1,754 patients, in-hospital mortality was not affected, but ventilator days ( p G 0.001) as well as ICU ( p = 0.009) and hospital ( p = 0.002) LOS correlated strongly with the amount of crystalloids infused in the first 24 hours after injury. Amount of crystalloid resuscitation was also associated with the development of adult respiratory distress syndrome ( p G 0.001), multiple-organ failure ( p G 0.001), bloodstream ( p = 0.001) and surgical site infections ( p G 0.001), as well as abdominal ( p G 0.001) and extremity compartment syndromes ( p = 0.028) in a dose-dependent fashion, when age, Glasgow Coma Scale (GCS), severity of injury and acute physiologic derangement, comorbidities, as well as colloid and blood product transfusions were controlled for. CONCLUSION: Crystalloid resuscitation is associated with a substantial increase in morbidity, as well as ICU and hospital LOS in adult blunt ( Trauma Acute Care Surg trauma patients. (J Surg.. 2013;74: 1215Y1222. Copyright * 2013 by Lippincott Williams & Wilkins) LEVEL OF EVIDENCE: Therapeutic study, level III. KEY WORDS: Crystalloid; resuscitation; outcomes; blunt trauma; Glue Grant. BACKGROUND: METHODS: Introduzione I dati in letteratura suggeriscono che la rianimazione mediante un volume elevato di fluidi sia associata a un aumento della morbilità in numerosi contesti clinici. Scopo dello studio è valutare come la rianimazione precoce con Kasotakis et al. volume ele vato di fluidi determini un peg gioramento J Trauma Acute Care Surg 2013, dell’outcome nei pazienti vittime di trauma. I dati utilizzati 74, 5, 1215-22 sono estratti dal database del Glue Grant. L’outcome primario valutato è la mortalità ospedaliera per tutte le cause. Gli outcome secondari comprendono i giorni di ventilazione meccanica, la permanenza in terapia intensiva e la durata del ricovero, le morbilità flogistiche e correlate alla rianimazione e le infezioni nosocomiali. La popolazione esaminata comprende 1754 pazienti. La mortalità intraospedaliera non si è mostrata aumentata, ma i giorni di ventilazione meccanica necessari (p<0.001), così come la durata del ricovero in terapia intensiva (p=0.009), sono strettamente correlati al volume di fluidi ricevuto nelle prime 24 ore dopo il trauma. La stessa correlazione si è evidenziata tra volume di fluidi e sviluppo di sindrome da distress respiratorio (p<0.001), insufficienza multiorgano (p<0.001), infezioni ematiche e del sito chirurgico (p<0.001) e sindrome compartimentale (p< 0.028). Si sottolinea che i fluidi presi in esame sono quelli somministrati nella fase preospedaliera del soccorso così come quelli somministrati durante la stabilizzazione del paziente in shock room fino alla 24° ora post trauma. La rianimazione mediante strategie aggressive con somministrazione di fluidi, ha costituito un cardine della gestione del trauma per molti anni. Tuttavia numerosi dati estratti da studi prospettici randomizzati presenti in letteratura hanno dimostrato che la mortalità e la morbilità di pazienti con trauma penetrante poteva essere ridotta mediante strategie restrittive, tendo presente che molte delle morbilità sono indotte loro stesse dalla somministrazione di fluidi. Da questi studi si evince come la somministrazione di un elevato volume di liquidi possa peggiorare l’acidosi e il danno endoteliale locale, e il sovraccarico di volume determini uno stimolo della risposta flogistica sistemica responsabile dell’aumento della morbilità. Con il presente studio, gli autori si propongono di stabilire se esista una associazione tra outcome Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 46 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 clinicamente rilevanti e volume di cristalloidi infuso nei pazienti con trauma penetrante. Risultati e metodi I dati sono estratti dalla cohorte multicentrica prospettica di pazienti con trauma della Glue Grant (National Institute of General Medical Sciences, Inflammation and the Host Response to Injury Collaborative Program, www.gluegrant.org). I criteri di inclusione per lo studio Glue Grant comprendevano il meccanismo di lesione, un punteggio superiore o uguale a 2 del Abbreviated Injury Scale (AIS) in qualsiasi sito di trauma tranne che quello cranico, una significativa emorragia che abbia richiesto la trasfusione di emazie nella 12 ore successive al trauma o l’evidenza di ipotensione e un deficit di basi superiore a 6 mEq/l. Ipotesi L’ipotesi dello studio è che il volume di cristalloidi ricevuti durante la fase di rianimazione del paziente con trauma nelle prime 24 ore dopo l’evento non modifichi la mortalità ospedaliera. Outcome secondari sono la durata della ventilazione meccanica, la permanenza in terapia intensiva e la durata del ricovero, le morbilità dovute a flogosi (ALI/ARDS, MOF) e alla rianimazione stessa (sindrome compartimentale addominale o degli arti) e le infezioni nosocomiali. Discussione Nonostante i progressi scientifici della medicina, la determinazione del metodo e degli obiettivi della rianimazione nel paziente traumatizzato rimangono un argomento di forte dibattito. Il concetto di damage-control resuscitation ha lentamente ma in modo inesorabile ottenuto un riconoscimento all’interno della comunità scientifica. È diventato evidente che sebbene una rianimazione aggressiva mediante fluidi migliori i parametri vitali del paziente nell’immediato, gli effetti di tale trattamento nel tempo siano meno confortanti. Nella gestione del trauma, infatti, è necessario tenere presente la possibile insorgenza di coagulopatia post-traumatica e da diluizione, l’aumento del postcarico volemico iatrogeno e le altre numerose complicanze dovute alla somministrazione di elevati volumi di fluidi e di emoderivati durante la rianimazione. A partire da tale osservazione gli autori hanno valutato se vi fosse una correlazione tra la somministrazione di fluidi e l’insorgenza di complicanze cliniche nel paziente traumatizzato. In particolare non si è osservato un aumento della mortalità dei pazienti correlabile al volume di cristalloidi infusi, ma si è evidenziata un’associazione suggestiva tra volume di cristalloidi infuso nei primi giorni e l’insorgenza di complicanze quali ARDS, MOF, sindrome compartimentale e complicanze infettive. Rimane controverso se tale relazione sia espressione della maggiore compromissione dovuto all’insulto traumatico piuttosto che un effetto puro della terapia somministrata. In questo studio gli autori hanno effettuato un’analisi per sottogruppi, dividendo i pazienti in quattro gruppi in base al volume di fluidi ricevuto. Analizzando le caratteristiche di tali gruppi, in modo sorprendente, è emerso che la popolazione che aveva ricevuto un volume superiore di fluidi presentava un’età e delle comorbilità inferiori rispetto agli altri pazienti in studio. L’analisi dei dati ha evidenziato un drammatico aumento statisticamente significativo delle complicanze quali ARDS, MOF, sindrome compartimentale, così come un aumento della durata del ricovero in terapia intensiva e della necessità di ventilazione meccanica, nella popolazione che aveva ricevuto un volume superiore di cristalloidi. In particolare l’incidenza di tali eventi era tre volte superiore. Conclusioni Da questo studio emerge quindi una correlazione tra volume di fluidi infuso durante la rianimazione e l’insorgenza di complicanze. Tale osservazione, alla luce dell’evidenze presenti in letteratura sull’interazione tra infusione di fluidi e risposta infiammatoria ed immunologica dell’organismo, pone l’accento sulla necessità di rivedere le linee guida e le indicazioni nel trattamento e nella volemizzazione del paziente traumatizzato. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 47 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 A cura di Dott. Alberto Adduci, Torino Commento art. 13,14 Si dice che siamo tutti figli dell'ATLS. Quindi per anni si è tentato di adattare le linee guida sul trattamento del traumatizzato nate per la gestione in ospedale anche alla fase preospedaliera del soccorso. Ecco che i nostri pazienti non erano “soddisfatti” se non ricevevano almeno due litri di fluidi mediamente freddi attraverso due accessi venosi di grosso calibro. Il risultato? Tempi di soccorso dilatati, emodiluizione, ipotermia, etc etc. Poi poco per volta le cose sono cambiate, ritengo anche grazie alla diffusione dei programmi didattici sul trattamento preospedaliero del traumatizzato. Poco per volta l'ammontare dei liquidi infusi fuori dall'ospedale é andato riducendosi e la prognosi dei pazienti migliorando. I due articoli riportati sembrano sostenere tesi diverse: Una fluidoterapia precoce e aggressiva fa danni nei traumi chiusi (Kasotakis 2013) e invece i liquidi preospedalieri aumentano la sopravvivenza (Hampton 2013). I fluidi fanno bene? I fluidi fanno male? In realtà il messaggio è univoco e rappresenta una sfida per l’operatore del preospedaliero: per parafrasare uno dei motti più noti: “i liquidi giusti, nel tempo giusto e nel quantitativo giusto”, quello minimo sufficiente a garantire l’omeostasi cellulare. Il terzo picco di mortalità per trauma, come dimostrato da Trunkey nel 1982, corrisponde a quel 20% circa di morti che si verificano a distanza di giorni o settimane dall'evento traumatico. Sono morti che risentono dell’insorgenza di MOF e ARDS e quindi direttamente di una gestione non corretta del paziente già nelle primissime fasi del soccorso. Questi e altri lavori hanno definitivamente sancito che un trattamento non ottimale, e in particolare un sovraccarico di fluidi nelle prime 24 ore, si traduce in un incremento significativo di quelle condizioni che concorrono a compromettere la sopravvivenza del paziente traumatizzato. Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 48 TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 ✉ ️ [email protected] Redazione Direttore Responsabile Walter Cataldi Direttore di redazione Luca Delpiano Vicedirettore di redazione Nadia Depetris, Concetta Pellegrini Comitato di redazione Matteo Berton, Emiliano Cingolani, Simona Frigerio, Paolo Gardois, Paola Perfetti, Claudio Tacconi Hanno collaborato a questo numero Alberto Adduci, M. Cristina Aguiari, Enzo Amelio, Alessandra Barale, Mauro Bonino, Ivan Bufalo, Simona Cotena, Luca Delpiano, Nadia Depetris, Roberta Ferro, Paolo Gardois, Salvatore Lanzarone, Concetta Pellegrini, Irene Principale, Elisa Saglio, Elen Salerno. TJC Anno 4 numero 7 Marzo 2014 La rivista è scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://www.ircouncil.it/ptc/trauma-journal-club Italian Resuscitation Council Trauma Journal Club pag ! 49