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Trauma Journal Club numero 7 - Italian Resuscitation Council

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Trauma Journal Club numero 7 - Italian Resuscitation Council
TJC
Anno 4 numero 7 Marzo 2014
In questo numero
!
Indici di shock
!
Il rimpiazzo volemico
!
Ipotermia
!
Controllo dell'emorragia
!
Trattamento precoce
dell’ustionato.
Nel prossimo
numero
Trauma Cranico
Contatti
Per commenti e contributi
clicca
Redazione TJC
o scrivi a
[email protected]
Full text pdf
http://www.ircouncil.it/ptc/
trauma-journal-club
Italian Resuscitation Council
SHOCK
Editoriale
Nell’Aprile del 2010 appariva on-line il primo numero del
Trauma Journal Club: una nuova entusiasmante iniziativa
editoriale nata dalla passione di un gruppo di medici ed
infermieri italiani. L’obiettivo era selezionare dalla letteratura
internazionale argomenti di interesse comune nell’ambito
della patologia traumatica.
La Commissione Trauma vuole riproporre questo progetto,
riconoscendone il valore e l’interesse suscitato. Un gruppo di
lavoro, coordinato da Luca Delpiano, ha provato a ridefinirne
i contenuti:
! ogni numero avrà un tema dominante, ma non esclusivo, per
questo numero sarà lo Shock e per il prossimo il Trauma
Cranico;
! la rivista comprenderà riassunti e commenti di articoli
internazionali, “expert opinion” , review sistematiche ma
anche articoli originali proposti dai collaboratori;
! ci saranno spazi dedicati a innovazioni ed eventi nell’ambito
della “formazione sul trauma”;
! la rivista conterrà “pillole di metodologia”: approfondimenti
brevi di aspetti metodologici/statistici. La rivista, a cadenza trimestrale, è scaricabile on-line dal sito
IRC http://www.ircouncil.it/ptc/trauma-journal-club da tutti i
soci.
Affinchè questo ambizioso progetto non resti appannaggio di
pochi, ma contribuisca alla diffusione di “una cultura del
trauma” chiediamo a tutti i lettori un’intensa collaborazione.
A tale scopo potete utilizzare l’indirizzo: [email protected] per inviare i vostri commenti, proposte, domande e
contributi; quest’ultimi saranno attentamente valutati dal
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 numero 7 Marzo 2014
comitato di redazione per un’eventuale pubblicazione.
Il tema dominante di questo primo numero è lo Shock: da qualche anno la letteratura pone l’accento
sul concetto di “damage control strategy” una sintesi di controllo chirurgico precoce, supporto
emostatico e ipotensione permissiva.
Da qui tutta una serie di domande: come individuare precocemente i pazienti in shock? Quali e quanti
liquidi? Come prevenire l’ipotermia? Quando e quali emoderivati?
E la letteratura prova a rispondere…..
Buona lettura a tutti!
Dott.sa Concetta Pellegrini, Benevento
INDICE
Editoriale_________________________________________________________________________ p.1
1. L’Indice di Shock (Shock Index): una guida rapida per predire la necessità di trasfusione?__ p3
2. L’utilizzo del deficit di basi come parametro per la valutazione iniziale dei pazienti con trauma grave___________________________________________________________________ p4
3. Il rimpiazzo volemico con Ringer-lattato è dannoso nello shock emorragico severo,
ma protettivo nello shock emorragico: studi in un modello murino._______________________ p7
4. Effetti della fluidoterapia con Colloidi vs Cristalloidi sulla mortalità dei pazienti critici
che presentano shock ipovolemico. The CRISTAL Randomized Trial____________________ p11
5. La fluidoterapia_________________________________________________________________ p15
6. Controllo del sanguinamento e della coagulopatia conseguente a trauma maggiore:
una linea guida europea aggiornata__________________________________________________ p18
7. Ipotermia accidentale____________________________________________________________ p24
8. Strumenti per prevenire, misurare e trattare l’ipotermia:un’indagine
nei servizi pre-ospedalieri norvegesi_________________________________________________ p29
9. Gli effetti del riscaldamento attivo nell’assistenza pre-ospedaliera del trauma,
durante il trasporto in ambulanza e in elicottero – trial clinico randomizzato______________ p30
10. Trattamento iniziale dell’ustionato: che impatto ha la valutazione errata
della superficie ustionata?__________________________________________________________ p34
11. Domande e risposte: la terapia infusionale dell’ustionato nelle prime ore dal trauma____ p36
12. Le medicazioni emostatiche avanzate non sono superiori alla semplice garza
negli scenari sotto fuoco nemico____________________________________________________ p39
13. L’infusione di fluidi in ambito preospedaliero è associata,
nei pazienti con trauma, ad un aumento della sopravvivenza____________________________ p43
14. Una precoce e aggressiva rianimazione con cristalloidi influisce negativamente sulla prognosi dei pazienti vittima di trauma chiuso______________ p46
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Trauma Journal Club
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Anno 4 numero 7 Marzo 2014
1. L’Indice di Shock (Shock Index): una
guida rapida per predire la necessità di
trasfusione?
Sintesi a cura di CPSE Claudio
Tacconi, Bologna
Abstract
Introduction: Isolated vital signs (for example, heart rate or systolic blood pressure) have been shown unreliable in
the assessment of hypovolemic shock. In contrast, the Shock Index (SI), defined by the ratio of heart rate to systolic
blood pressure, has been advocated to better risk-stratify patients for increased transfusion requirements and early
mortality. Recently, our group has developed a novel and clinical reliable classification of hypovolemic shock based
upon four classes of worsening base deficit (BD). The objective of this study was to correlate this classification to
corresponding strata of SI for the rapid assessment of trauma patients in the absence of laboratory parameters.
The Shock Index
revisited – a fast guide
to transfusion
requirement? A
retrospective analysis
on 21,853 patients
derived from the
TraumaRegister
DGUW
Mutschler et al. Crit Care 2013,
17:R172
Methods: Between 2002 and 2011, data for 21,853 adult trauma patients were retrieved from the TraumaRegister
DGUW database and divided into four strata of worsening SI at emergency department arrival (group I, SI <0.6;
group II, SI ≥0.6 to <1.0; group III, SI ≥1.0 to <1.4; and group IV, SI ≥1.4) and were assessed for demographics, injury
characteristics, transfusion requirements, fluid resuscitation and outcomes. The four strata of worsening SI were
compared with our recently suggested BD-based classification of hypovolemic shock.
Results: Worsening of SI was associated with increasing injury severity scores from 19.3 (± 12) in group I to 37.3
(± 16.8) in group IV, while mortality increased from 10.9% to 39.8%. Increments in SI paralleled increasing fluid
resuscitation, vasopressor use and decreasing hemoglobin, platelet counts and Quick’s values. The number of blood
units transfused increased from 1.0 (± 4.8) in group I to 21.4 (± 26.2) in group IV patients. Of patients, 31% in group
III and 57% in group IV required ≥10 blood units until ICU admission. The four strata of SI discriminated transfusion
requirements and massive transfusion rates equally with our recently introduced BD-based classification of
hypovolemic shock.
Conclusion: SI upon emergency department arrival may be considered a clinical indicator of hypovolemic shock in
respect to transfusion requirements, hemostatic resuscitation and mortality. The four SI groups have been shown to
equal our recently suggested BD-based classification. In daily clinical practice, SI may be used to assess the
presence of hypovolemic shock if point-of-care testing technology is not available.
Keywords: Trauma, Shock, Classification, Vital signs, Shock index, Base deficit, Transfusion
Introduzione L’emorragia non controllata è una delle
principali cause di morte nel paziente traumatizzato pertanto il
trattamento dello shock ipovolemico è uno dei punti cardine nella gestione del trauma. Nella
valutazione dello stato di shock alla stima delle perdite volemiche secondo i criteri dettati dall’Atls, è
stata recentemente integrata la misurazione del deficit di basi (BD) come criterio predittivo per la
necessità di trasfusioni massive. In mancanza però di dati laboratoristici (BD), un altro parametro per
determinare la presenza di shock ipovolemico è l’Indice di Shock (SI), suggerito già nel 1967 e definito
come il rapporto fra frequenza cardiaca e pressione arteriosa sistolica.
Obiettivo Come allora lo SI può essere correlato allo shock, alla necessità di trasfusioni, alla
mortalità?
Materiali e Metodi Come database è stato utilizzato il Trauma Register DGU, analizzando 21853
pazienti trattati fra il 2002 e il 2011. Per l’arruolamento dei pazienti era necessaria un’età maggiore di
16 anni, la presenza di dati relativi alla frequenza cardiaca , pressione arteriosa, GCS e valore di BD in
pronto soccorso. Per ogni paziente è stato calcolato l’indice di shock (SI) e sono stati definiti a priori 4
gruppi. Gruppo I SI < 0,6 (assenza di shock), Gruppo II SI fra 0,6 e 1,0 (shock lieve), Gruppo III SI
compreso fra 1,0 e 1,4 (shock moderato), Gruppo IV SI superiore a 1,4 (shock grave).
Risultati In base alla stratificazione dei pazienti in classi guidata dal SI si è visto che:
L’aumento del SI è correlato alle lesioni primitive (ISS)
La mortalità aumenta all’aumentare del gruppo (dal 10,9% gruppo I al 39,8% gruppo IV)
Col peggioramento della categoria aumenta l’incidenza di insufficienza multiorgano
Nei pazienti con SI > 1,0 è presente coagulopatia ed all’aumentare dello SI si nota una perdita di punti
di emoglobina e piastrinopenia
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Con un valore di SI maggiore di 1,0 si nota un incremento del 50% dei pazienti che necessitavano di
trasfusione (almeno un emoderivato), mentre per quanto riguarda la trasfusione massiva (almeno 10
emoderivati), ne ha necessitato un 31% di pazienti in gruppo III ed un 57% di pazienti in gruppo IV.
Conclusioni Confrontando la classificazione in base al BD a quella in base allo SI, in relazione alla
necessità di trasfusione ed alla trasfusione massiva (analisi delle aree), si è visto che entrambe le
metodologie sono accurate come previsione del fabbisogno trasfusionale.
La valutazione dello shock mediante lo SI può pertanto essere utilizzata in assenza di un sistema
laboratoristico che ci dia una valutazione del BD
Sia la metodica che utilizza per la valutazione dello shock ipovolemicolo lo Shock Index (SI) sia la
metodica che utilizza il dosaggio del deficit di basi (BD) sono accurate.
Gli autori consigliano l’utilizzo dello SI nei momenti in cui non è possibile dosare il deficit di basi
ovvero nel soccorso preospedaliero e nei primi istanti dell’arrivo in pronto soccorso. La classificazione
dello shock con l’una o l’altra metodica ci consente di avere una previsione della possibilità di dover
somministrare emocomponenti al paziente
Limiti riconosciuti dagli autori
L’analisi dei dati presenti nel registro traumi non teneva in considerazione alcune variabili:
Anamnesi del paziente e farmaci in terapia cronica
Tutti i traumi erano prevalentemente traumi chiusi, pertanto l’applicazione di tali valutazioni sui
traumi penetranti non è stata validata
Tutte le valutazioni e le classificazioni sono state eseguite utilizzando i dati raccolti durante la prima
valutazione intraospedaliera, non vengono utilizzati dati del preospedaliero.
2. L’utilizzo del deficit di basi come
parametro per la valutazione iniziale dei
pazienti con trauma grave
Sintesi a cura di CPSE Claudio
Tacconi, Bologna
Renaissance of base
deficit for the initial
assessment of trauma
patients: a base deficit
based classification
for hypovolemic shock
developed on data
from 16,305 patients
derived from the
TraumaRegister
DGU®
Mutschler et al. Crit Care 2013,
17:R42
Italian Resuscitation Council
Abstract
Introduction: The recognition and management of hypovolemic shock still remain an important task during initial
trauma assessment. Recently, we have questioned the validity of the Advanced Trauma Life Support (ATLS)
classification of hypovolemic shock by demonstrating that the suggested combination of heart rate, systolic blood
pressure and Glasgow Coma Scale displays substantial deficits in reflecting clinical reality. The aim of this study was
to introduce and validate a new classification of hypovolemic shock based upon base deficit (BD) at emergency
department (ED) arrival.
Methods: Between 2002 and 2010, 16,305 patients were retrieved from the TraumaRegister DGU® database,
classified into four strata of worsening BD [class I (BD ≤ 2 mmol/l), class II (BD > 2.0 to 6.0 mmol/l), class III (BD >
6.0 to 10 mmol/l) and class IV (BD > 10 mmol/l)] and assessed for demographics, injury characteristics, transfusion
requirements and fluid resuscitation. This new BD-based classification was validated to the current ATLS
classification of hypovolemic shock.
Results: With worsening of BD, injury severity score (ISS) increased in a step-wise pattern from 19.1 (± 11.9) in class
I to 36.7 (± 17.6) in class IV, while mortality increased in parallel from 7.4% to 51.5%. Decreasing hemoglobin and
prothrombin ratios as well as the amount of transfusions and fluid resuscitation paralleled the increasing frequency
of hypovolemic shock within the four classes. The number of blood units transfused increased from 1.5 (± 5.9) in
class I patients to 20.3 (± 27.3) in class IV patients. Massive transfusion rates increased from 5% in class I to 52% in
class IV. The new introduced BD-based classification of hypovolemic shock discriminated transfusion requirements,
massive transfusion and mortality rates significantly better compared to the conventional ATLS classification of
hypovolemic shock (p < 0.001).
Conclusions: BD may be superior to the current ATLS classification of hypovolemic shock in identifying the
presence of hypovolemic shock and in risk stratifying patients in need of early blood product transfusion.
Introduzione Il riconoscimento precoce dello shock
ipovolemico e la sua gestione nel paziente con trauma grave
costituiscono uno dei punti cruciali di trattamento nelle prime
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fasi di gestione intraospedaliera. La valutazione emodinamica viene fatta, secondo quanto dettato
dall’ATLS, monitorando frequenza cardiaca, pressione arteriosa sistolica e Glasgow Coma Scale; i
parametri vengono inseriti in una tabella che ci indica una classe di shock ovvero ci da una stima delle
perdite del paziente e conseguentemente un’indicazione terapeutica per il reintegro volemico. La
validità clinica di tale valutazione viene messa in discussione da due studi indipendenti che analizzano
due database (Trauma Audit Research Network e Trauma Register DGU). Entrambe le analisi sono
arrivate alla conclusione che col metodo ATLS viene sovrastimata la tachicardia associata a
ipotensione e sottostimata l’alterazione dello stato di coscienza. Alla luce di ciò è stato suggerito un
altro parametro per il monitoraggio dello shock ipovolemico: il deficit di basi (BD). Tale parametro,
risulta, dalla letteratura, essere legato alla mortalità, ai giorni di degenza ed alla possibilità
dell’insorgenza di complicanze multiorganiche. Inoltre, il BD, è un parametro di facile monitoraggio
già all’ingresso in ospedale.
Obiettivo Validazione di un metodo per l’attribuzione della classe di shock ipovolemico utilizzando il
deficit di basi
Materiali e Metodi Nel presente studio vengono analizzai dati estrapolati dal Trauma Register
DGU relativi a pazienti adulti (> 16 anni) vittime di trauma dal 2002 al 2010 (16305 pazienti) che
presentavano i parametri clinici relativi a frequenza cardiaca, pressione sistolica, GCS e BD durante
la valutazione in pronto soccorso.
Preventivamente, sono state create quattro classi di shock sulla base del BD su cui inserire i vari
pazienti del registro. Classe I (shock assente) BD < 2 mmol/litro, Classe II (shock lieve) BD compreso
fra 2,0 e 6,0 mmol/litro, Classe III (shock moderato) BD compreso fra 6,0 e 10,0 mmol/litro, Classe
IV (shock grave) BD superiore a 10 mmol/litro.
Risultati Osservando i risultati ottenuti inserendo i 16305 pazienti nelle rispettive classi di shock
sulla base del BD in comparazione col sistema ATLS si osserva che : Non ci sono variazioni significative della frequenza cardiaca nelle diverse classi
La pressione arteriosa sistolica ha una variazione (decremento) importante solo in classe IV
La mortalità e la morbilità aumentano in maniera esponenziale all’aumentare della classe
C’è una diminuzione del livello di emoglobina e di piastrine all’aumentare della classe
Nei pazienti di classe III e IV compare coagulopatia
L’aumento della classe di shock BD correlata corrisponde ad un aumento degli emocomponenti
trasfusi
Anche la somministrazione di fluidi e vasopressori aumenta come dosaggio al peggioramento della
classe.
Un confronto ai due metodi di valutazione dello shock (ATLS vs BD)ha dimostrato che, sempre in
riferimento ai 16305 pazienti del Trauma Register DGU, la scala riferita al livello di BD risulta più
precisa per discriminare la necessità di emotrasfusione. Utilizzando la scala BD si nota che la
necessità di trasfusione massiva (10 emoderivati) aumenta dal 5% in classe I al 52% in classe IV. Al
contrario, seguendo la classificazione ATLS, il 4% in classe I e il 25% in classe IV ricevevano
trasfusione massiva.
La tabella sottostante riporta la classificazione dello shock secondo il valore di BD e la relativa
raccomandazione riguardo alla necessità di emoderivati
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Classe I
Classe II
Classe III
Classe IV
Shock
No
Lieve
Moderato
Grave
BD mmol/litro
<2
>2 < 6
>6 < 10
> 10
Necessità
emoderivati
Osserva
Considera
Tipizzazione – cross
match
Probabile necessità
trasfusione massiva
Conclusioni La necessità di trasfusione massiva è l’unico vero dato che ci interessa immediatamente
nella gestione del paziente in Pronto Soccorso. Superata la soglia di 6 mmol/litro di BD viene
raccomandato di eseguire una tipizzazione del sangue e un cross match per costituire una scorta di
emoderivati per il paziente.
Ovviamente è da tenere in considerazione che un aumento del BD è correlato ad una aumento delle
lesioni presenti e non ancora diagnosticate (ISS) ed ad un aumento dell’insorgenza di MOF, oltre che
della mortalità (7,4 % in classe I e 51,5 % in classe IV).
A cura di CPSE Claudio Tacconi, Bologna
Commento art 1 e 2
L’Indice di Shock (SI) e il Deficit di Basi (BD) possono essere dei validi indicatori di shock
ipovolemico e guidare le nostre strategie terapeutiche nel trattamento del paziente
traumatizzato?
Per rispondere a questa domanda abbiamo analizzato due articoli pubblicati su Critical Care nel
2013.
Attualmente nel soccorso preospedaliero e nelle prime fasi del soccorso intraospedaliero la
presenza e la successiva gravità dello shock nel paziente politraumitazzato viene valutata
secondo il metodo proposto dall’ATLS e, sulla base della classe di shock, viene proposta una
terapia basata sul rimpiazzo volemico. Tale sistema di valutazione è gravato dal rischio di under
triage (valutazione dello stato di coscienza) e di overtriage (valutazione della frequenza
cardiaca). Esistono altri parametri basic ed immediati che possono essere più specifici nel
predire evoluzioni dello shock ipovolemico?
Gli articoli analizzati, valutano quanto l’indice di shock e il deficit di basi siano attendibili e
utili nella valutazione dello shock ipovolemico. Entrambi i parametri si correlano, oltre che all’
aumento della mortalità e alla gravità delle lesioni (ISS), alla necessità di emotrasfusione. Per
valori di SI superiori a 1,0 e BD superiore a 6 mmoli/litro si è visto un aumento della necessità
di trasfusioni del 50%. Essendo la trasfusione di emoderivati una delle principali terapie sul
paziente traumatizzato sia per reintegrare il volume depleto che per contrastare la coagulopatia,
possiamo affermare che sia lo SI che il BD sono elementi utili al fine di ridurre il terapy free
interval.
Per ottimizzare il lavoro e nell’ottica delle risorse disponibili, lo SI è un parametro di
valutazione applicabile nel soccorso preospedaliero per anticipare le manovre del Trauma
Center di destinazione mentre il BD è un parametro utile al trauma team intraospedaliero per
predire l’evoluzione del paziente con shock.
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3. Il rimpiazzo volemico con Ringer-lattato è
dannoso nello shock emorragico severo, ma
protettivo nello shock emorragico: studi in
un modello murino.
Sintesi a cura di Dott.ssa
Simona Cotena, Benevento.
Volume replacement
with Ringer-lactate is
detrimental in severe
hemorrhagic shock
but protective in
moderate
hemorrhagic shock:
studies in a rat model
Abstract
Introduction: To date, there are insufficient data demonstrating the benefits of preclinically administered
Ringer-lactate (RL) for the treatment of hemorrhagic shock following trauma. Recent animal experiments have
shown that lactate tends to have toxic effects in severe hemorrhagic shock. This study aimed to compare the
effects of RL administered in a rat model of severe hemorrhagic shock (mean arterial blood pressure (MAP): 25
to 30 mmHg) and moderate hemorrhagic shock (MAP: 40 to 45 mmHg).
Methods: Four experimental groups of eight male Wistar rats each (moderate shock with Ringer-saline (RS), moderate
shock with RL, severe shock with RS, severe shock with RL) were established. After achieving the specified depth of
shock, animals were maintained under the shock conditions for 60 minutes. Subsequently, reperfusion with RS or RL
was performed for 30 minutes, and the animals were observed for an additional 150 minutes.
Results: All animals with moderate shock that received RL survived the entire study period, while six animals with
moderate shock that received RS died before the end of the experiment. Furthermore, animals with moderate shock
that received RL exhibited considerable improvements in their acid-base parameters and reduced organ damage.
In contrast, in animals with severe shock, only two of the animals receiving RS survived but all of the animals receiving
RL died early, before the end of the study period. Moreover, the severe shock animals that were treated with RL
exhibited considerably worsened acid-base and metabolic parameters.
Conclusions: The preclinical use of RL for volume replacement has different effects depending on the severity of
hemorrhagic shock. RL exhibits detrimental effects in cases of severe shock, whereas it has pronounced protective
effects in cases of moderate shock.
Introduzione. Lo shock emorragico rappresenta la principale
Hussmann et al. Crit Care 2014,
causa evitabile di morte per trauma. Accanto alla necessità di
18:R5
arrestare l’emorragia (che rappresenta la priorità, come
indicato dalla linee guida ATLS ) vi è quella di rimpiazzare il
volume ematico perso. Ciò viene tipicamente fatto, soprattutto nella fase preospedaliera, con
l’utilizzo di cristalloidi. Diversi studi hanno dimostrato la superiorità del Ringer -lattato (RL) rispetto
alla Soluzione Fisiologica in termini di miglioramento dei parametri emodinamici e coagulativi e
aumento della sopravvivenza.
In contrasto con questi risultati, gli Autori dello studio in oggetto avevano già dimostrato, in un
precedente lavoro, gli effetti tossici del RL nello shock emorragico severo (cioè con una pressione
arteriosa media (MAP) compresa tra 25 e 30 mmHg).
Obiettivo del presente studio è stato quello di valutare gli effetti della riperfusione con RL sulla
sopravvivenza, sui parametri emodinamici, sull’equilibrio acido – base e sul danno d’organo in un
modello animale di shock emorragico confrontando lo shock emorragico moderato (MAP tra 40 e 45
mmHg) e lo shock emorragico severo. A tale scopo il RL è stato confrontato con il Ringer - salino
(RS) che differisce dal primo solo per la presenza di cloro al posto dell’anione lattato metabolizzabile
e che, per tale motivo, è stato ritenuto dagli Autori più adatto all’esperimento.
Materiali e Metodi 38 topi maschi Wistar furono utilizzati per l’esperimento e assegnati a uno dei
seguenti gruppi:
! gruppo di controllo (6 animali);
! gruppo shock moderato/RS (MAP tra 40 e 45 mmHg, rianimazione con RS, 8 animali);
! gruppo shock moderato/RL (MAP tra 40 e 45 mmHg, rianimazione con RL, 8 animali);
! gruppo shock severo/RS (MAP tra 25 e 30 mmHg, rianimazione con RS, 8 animali);
! gruppo shock severo/RL (MAP tra 25 e 30 mmHg, rianimazione con RL, 8 animali).
Gli animali vennero anestetizzati con Isoflurano; vennero inseriti un catetere arterioso femorale e uno
venoso femorale. L’induzione dello shock venne effettuata attraverso il prelievo di 2 ml di sangue
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dall’arteria femorale ogni 3 minuti fino a raggiungere la MAP desiderata (40-45 mmHg o 25-30
mmHg). Questa venne mantenuta per circa 60 minuti o attraverso la somministrazione di sangue
citrato o attraverso prelievi addizionali di sangue se necessario. Dopo la fase di shock, venne iniziato
il rimpiazzo volemico attraverso la vena femorale secondo il rapporto 3:1 tra volume infuso e volume
ematico perso per una durata di circa 30 minuti. L’esperimento fu poi continuato per ulteriori 150
minuti o fino alla morte dell’animale.
I seguenti parametri furono misurati attraverso il prelievo di campioni ematici al tempo zero (T0),
dopo l’inserzione dei cateteri ( dopo 10 minuti, T10), al termine dell’induzione dello shock (T40),
immediatamente prima di iniziare la rianimazione (T100), alla fine della rianimazione (T130), e
durante la fase di osservazione finale (T160, T220 e T280):
! parametri dell’equilibrio acido-base e metabolici: pH, pO2, pCO2, base excess (BE), SpO2;
emoglobina ed ematocrito; elettroliti; lattati e glucosio (attraverso emogasanalisi arteriosa);
! parametri di danno d’organo: concentrazione plasmatica degli indici di citonecrosi (LDH, AST,
ALT, CPK) e della creatinina.
I parametri emodinamici (Pressione arteriosa sistolica, diastolica, MAP e frequenza cardiaca) vennero
monitorizzati in continuo.
Risultati
Sopravvivenza
Tutti gli animali del gruppo di controllo sopravvissero. Allo stesso modo, tutti gli animali del gruppo shock moderalo/RL sopravvissero, mentre solo 2
animali del gruppo shock moderato/RS sopravvissero. Tutti gli animali del gruppo shock severo/RL morirono; solo 2 animali del gruppo shock severo/RS
sopravvissero.
Parametri emodinamici
Nel gruppo di controllo la MAP era di 105.
In entrambi i gruppi di shock moderato la MAP fu portata a 110 con il rimpiazzo volemico; essa scese
a 35 nel gruppo trattato con RS, mentre, nel gruppo trattato con RL scese lentamente fino a 70
rimanendo costante fino alla fine dell’esperimento.
Nei gruppi di shock severo la MAP fu portata a 75 negli animali riperfusi con RS e a 65 in quelli
riperfusi con RL. In entrambi i casi la MAP scese a 30 dopo la fase di rianimazione volemica.
Non furono trovate differenze significative per quanto riguarda la frequenza cardiaca e quella
respiratoria.
Elettroliti
Non furono trovate differenze significative nella concentrazione degli elettroliti, fatta eccezione per il
cloro la cui concentrazione era più elevata nei gruppi trattati con RS.
Stato equilibrio acido-base e metabolico
Nel gruppo di controllo il pH, il BE e la pCO2 rimasero costanti.
In entrambi i gruppi di shock (severo vs moderato) si instaurò un acidosi metabolica, ma più
pronunciata nello shock severo (valori significativamente più bassi di pH e di BE), con minime
differenze tra i gruppi trattati con RL e quelli trattati con RS. Nel gruppo shock moderato/RS
l’acidosi metabolica era più pronunciata che nel gruppo shock moderato/RL, registrandosi in
quest’ultimo solo un acidosi metabolica lieve compensata (ph normale).
La concentrazione media dei lattati nel gruppo di controllo era 1,5 mmol/l. Questa salì a 4 mmol/lnello shock moderato, normalizzandosi (1 mmol/l) dopo rimpiazzo volemico,
indipendentemente dalla soluzione utilizzata. Italian Resuscitation Council
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Nello shock severo i lattati salirono a 7 mmol/l, scendendo, tuttavia senza normalizzarsi, a 2,5 negli
animali trattati con RS e a 4 in quelli trattati con RL.
Dopo l’induzione dello shock venne registrato in entrambi i gruppi (severo vs moderato) un
incremento della glicemia al quale seguì, durante la fase di shock e durante la riperfusione, una
riduzione fino a un valore medio di 100 mg/dl. Mentre tale valore rimase costante nel gruppo shock
moderato/RL, esso subì un decremento nei restanti gruppi, anche se più rapido e pronunciato nello
shock severo.
Parametri di danno d’organo
Tu t t i g l i i n d i c i d i c i t o n e c r o s i
A cura di Dott.ssa Simona Cotena, Benevento
aumentarono
durante
la
Commento
rianimazione volemica anche se in
maniera più pronunciata nello
I r i s u l t a t i d i q u e s to i n te r e s s a n te s t u d i o , c o m e
shock severo, e in misura minima
sottolineato dagli stessi Autori, sono in contraddizione
nel gruppo shock moderato/RL. con quanto finora riportato in letteratura e
La creatinina mostrò una tendenza
raccomandato dalle linee guida. Forse perché, come
all’incremento nello shock severo e
ipotizzato dagli Autori, nei vari studi non è mai stata
nel gruppo shock moderato/RS,
fatta una differenza tra shock moderato e shock severo
mentre rimase costante nel gruppo
e, probabilmente, nei modelli studiati lo shock era per lo
shock moderato/RL.
più moderato. Discussione L’effetto protettivo
E’ interessante notare come non solo il RL sia inefficace,
del RL nello shock emorragico è
ma addirittura dannoso nello shock severo. La
mediato principalmente dal suo
spiegazione di questo effetto dannoso fornita dagli
potere alcalinizzante che si oppone
Autori (incapacità di metabolizzazione del lattato
all’acidosi metabolica causata dallo
dovuta al danno d’organo) è peraltro dimostrata dai
shock. Infatti, l’anione lattato viene
risultati stessi dello studio (maggiore aumento degli
metabolizzato da fegato o mediante
indici di citonecrosi nello shock severo). la produzione di glucosio attraverso
E’, altresì, opportuno sottolineare che la prognosi dello
la gluconeogenesi o attraverso la
shock severo è peggiore di quella dello shock moderato
produzione di CO2 e H2O. Per ogni
per la severità stessa dello shock, indipendentemente
molecola di lattato metabolizzata
dalla soluzione utilizzata per il rimpiazzo volemico.
viene consumato uno ione H+ e
Infatti la mortalità in entrambi i gruppi di shock severo
prodotto uno ione HCO3-. Questo
era molto elevata (solo 2 sopravvissuti anche se rianimati
meccanismo spiegherebbe la
con RS).
superiorità del RL rispetto al RS
D’altra parte questo studio conferma l’effetto protettivo
osservata nello shock moderato.
del RL nello shock moderato.
L’effetto dannoso del RL, osservato,
Studi ulteriori che confermino questi dati e che come
al contrario, nello shock severo, è
questo, differenzino tra shock severo e moderato, sono
s p i e g a t o d a g l i Au t o r i c o n
necessari. Inoltre, qualora venissero confermati gli
l’incapacità da parte del fegato di
effetti dannosi del RL nello shock severo, essendo già
m e t a b o l i z z a r e i l l a t t a t o . Ta l e
noti gli effetti avversi della soluzione fisiologica, altre
incapacità è imputata al danno
soluzioni dovrebbero essere considerate e studiate (per
d’organo
conseguente
esempio la soluzione elettrolitica reidratante) nel
al’ipoperfusione più marcata. Il
rimpiazzo volemico dello shock emorragico traumatico.
lattato che in questo modo si
accumula non solo peggiora l’acidosi
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metabolica, ma inibisce anche la glicolisi.
Conclusioni Il RL ha effetti tossici nello shock severo, mentre risulta protettivo, in termini di
miglioramento della sopravvivenza, dei parametri acido-base e del danno d’organo, nello shock
moderato.
COLLOIDS VERSUS CRYSTALLOIDS FOR FLUID RESUSCITATION
IN CRITICALLY ILL PATIENTS (REVIEW)
Perel P, Roberts I, Ker K
Cochrane Database Syst Rev. 2013 Feb 28;2
Lo scopo di questa review sistematica è stato quello di individuare e di sintetizzare tutte le evidenze di
alta qualità (RCT) disponibili circa gli effetti, in termini di mortalità, del reintegro volemico con
cristalloidi o colloidi nei pazienti critici. Sono stati presi in considerazione solo trial randomizzati e
controllati condotti su pazienti in stato di criticità a causa di chirurgia, traumi, ustioni, complicanze
settiche. Sono stati esclusi trial condotti su pazienti in fase di preparazione in previsione di un intervento
chirurgico in regime di elezione e trial condotti su pazienti trattati con rimpiazzo volemico prima di bypass cardiopolmonare. Inoltre, sono stati esclusi i trial con un disegno tipo cross-over, in cui veniva
testato un algoritmo di reintegro volemico, in cui al gruppo controllo venivano somministrati fluidi per
via orale, in cui l’intervento era diretto al mantenimento dei livelli di albuminemia plasmatica, oppure in
cui veniva condotta una procedura di emodiluizione. Sono stati selezionati 76 trial, di cui solo 70
presentavano dati relativi alla mortalità.
Tra i colloidi utilizzati nei vari RCT figuravano destrano 70, HES, gelatine modificate, albumina e
frazioni di proteine plasmatiche. I trial sono stati stratificati sulla base del tipo di fluido somministrato,
piuttosto che sulla base della patologia per cui veniva somministrato.
Dalla review emerge che: non vi è alcuna evidenza della superiorità dei colloidi sui cristalloidi nel
reintegro volemico dei pazienti critici. In aggiunta, i colloidi sono più costosi rispetto ai cristalloidi. Non
vi è alcuna evidenza che i colloidi, rispetto ai cristalloidi, riducano il rischio di morte nei pazienti con
trauma, ustioni od in esiti di interventi chirurgici. L’utilizzo di soluzioni HES può addirittura aumentare
la mortalità dei pazienti
Sintesi a cura di dott.sa Elen Salerno
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4. Effetti della fluidoterapia con Colloidi vs
Cristalloidi sulla mortalità dei pazienti
critici che presentano shock ipovolemico.
The CRISTAL Randomized Trial
Sintesi a cura di Dott.ssa Irene
Principale, Torino
Effects of Fluid
Resuscitation With
Colloids vs
Crystalloids on
Mortality in Critically
Ill Patients Presenting
With Hypovolemic
Shock
The CRISTAL
Randomized Trial
Annane et al. JAMA 2013, 310,
1809-17
IMPORTANCE Evidence supporting the choice of intravenous colloid vs crystalloid solutions
for management of hypovolemic shock remains unclear.
OBJECTIVE To test whether use of colloids compared with crystalloids for fluid resuscitation
alters mortality in patients admitted to the intensive care unit (ICU) with hypovolemic shock.
DESIGN, SETTING, AND PARTICIPANTS A multicenter, randomized clinical trial stratified by case
mix (sepsis, trauma, or hypovolemic shock without sepsis or trauma). Therapy in the Colloids
Versus Crystalloids for the Resuscitation of the Critically Ill (CRISTAL) trial was open label but
outcome assessment was blinded to treatment assignment. Recruitment began in February
2003 and ended in August 2012 of 2857 sequential ICU patients treated at 57 ICUs in France,
Belgium, North Africa, and Canada; follow-up ended in November 2012.
INTERVENTIONS Colloids (n = 1414; gelatins, dextrans, hydroxyethyl starches, or 4% or 20%
of albumin) or crystalloids (n = 1443; isotonic or hypertonic saline or Ringer lactate solution)
for all fluid interventions other than fluid maintenance throughout the ICU stay.
MAIN OUTCOMES AND MEASURES The primary outcome was death within 28 days. Secondary
outcomes included 90-day mortality; and days alive and not receiving renal replacement
therapy, mechanical ventilation, or vasopressor therapy.
RESULTS Within 28 days, there were 359 deaths (25.4%) in colloids group vs 390 deaths
(27.0%) in crystalloids group (relative risk [RR], 0.96 [95% CI, 0.88 to 1.04]; P = .26). Within
90 days, there were 434 deaths (30.7%) in colloids group vs 493 deaths (34.2%) in
crystalloids group (RR, 0.92 [95% CI, 0.86 to 0.99]; P = .03). Renal replacement therapy was
used in 156 (11.0%) in colloids group vs 181 (12.5%) in crystalloids group (RR, 0.93 [95% CI,
0.83 to 1.03]; P = .19). There were more days alive without mechanical ventilation in the
colloids group vs the crystalloids group by 7 days (mean: 2.1 vs 1.8 days, respectively; mean
difference, 0.30 [95% CI, 0.09 to 0.48] days; P = .01) and by 28 days (mean: 14.6 vs 13.5
days; mean difference, 1.10 [95% CI, 0.14 to 2.06] days; P = .01) and alive without
vasopressor therapy by 7 days (mean: 5.0 vs 4.7 days; mean difference, 0.30 [95% CI, −0.03
to 0.50] days; P = .04) and by 28 days (mean: 16.2 vs 15.2 days; mean difference, 1.04 [95%
CI, −0.04 to 2.10] days; P = .03).
Introduzione Le evidenze che
supportano la scelta di soluzioni
cristalloidi o colloidi per lo shock
CONCLUSIONS AND RELEVANCE Among ICU patients with hypovolemia, the use of colloids vs
ipo volemico sono ad og gi non
crystalloids did not result in a significant difference in 28-day mortality. Although 90-day
chiare. L’obiettivo della fluido
mortality was lower among patients receiving colloids, this finding should be considered
exploratory and requires further study before reaching conclusions about efficacy.
terapia nello shock ipovolemico è
TRIAL REGISTRATION clinicaltrials.gov Identifier: NCT00318942
espandere lo spazio intravascolare
JAMA. 2013;310(17):1809-1817. doi:10.1001/jama.2013.280502
e richiamare liquidi dallo spazio
Published online October 9, 2013.
extravascolare, tramite l’aumento
della pressione osmotica grazie ai
Copyright 2013 American Medical Association. All rights reserved.
soluti per i cristalloidi, e l’aumento
del la pressione oncoticaDownloaded
per i From: http://jama.jamanetwork.com/ by a Regione Piemonte-Biblioteca Virtuale per la Salute User on 02/07/2014
colloidi. L’espansione volemica
teoricamente dovrebbe essere pari alla tonicità del soluto e al potere oncotico.
I cristalloidi si dividono in isotonici, suddivisi in soluzioni non tamponate (soluzione salina isotonica)
e tamponate (ringer lattato, ringer acetato) e ipertonici. La famiglia dei colloidi si divide invece in
ipooncotici ( gelatine, albumina 4 o 5%) e iperoncotici ( destrano, acido idrossietilico, albumina 20
25%).
In passato si è pensato che i colloidi fossero più efficienti dei cristalloidi in termini di liquido che
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rimane nello spazio intravascolare e che quindi ne fosse necessaria una quantità minore per
raggiungere il goal emodinamico. Tuttavia, i colloidi presentano tutta una serie di altri effetti
(alterazione della risposta immunologica, aumento del rischio di insufficienza renale o di morte) di cui
non è possibile non tenere conto e sono anche molto più costosi. Più recentemente è stato invece
raccomandato l’utilizzo dei cristalloidi anche in pazienti settici, nonostante si pensi che ci possa
essere un beneficio dalla somministrazione di albumina (linee guida della Surviving Sepsis Campaign).
Obiettivo Stabilire se l’impiego di colloidi invece che di cristalloidi modifica la mortalità nei pazienti
con shock ipovolemico ammessi in terapia intensiva.
Metodi Il CRISTAL trial, studio multicentrico randomizzato, ha reclutato 2857 pazienti in un arco
temporale che va da febbraio 2003 ad agosto 2012, ponendosi come outcome primario la mortalità a
28 giorni e come outcome secondario la mortalità a 90 giorni e i giorni di sopravvivenza liberi da
dialisi, ventilazione meccanica e terapia con vasopressori, i giorni senza insufficienza d’organo e la
degenza in terapia intensiva e in ospedale. Pazienti eleggibili per lo studio erano adulti che fossero stati ricoverati nelle terapie intensive
partecipanti allo studio, che non avessero ricevuto rianimazione volemica prima della loro
ammissione e che avessero come diagnosi d’ingresso:
Ipotensione (PAOS<90 mmHg, PAM< 60 mmHg, ipotensione ortostatica)
Basse pressioni di riempimento o basso indice cardiaco
Segni di ipoperfusione o ipossia (GCS<12, cute sudata, output urinario < 25 ml/h, refill time > 3 sec,
lattati >2 mmMoli/l, urea >56 mg/dl o sodio frazionato escreto< 1%)
I pazienti sono stati stratificati sulla base di tre possibili diagnosi (sepsi, politrauma, altre cause di
ipovolemia), e randomizzati in due gruppi: gruppo sperimentale (rianimato con colloidi), gruppo di
controllo (rianimato con cristalloidi). Ai pazienti sono stati somministrati solo i fluidi per cui erano
stati randomizzati. La durata del trattamento e la scelta del liquido specifico da utilizzare all’interno
del gruppo randomizzato sono state lasciate a discrezione dei clinici, con alcune restrizioni:
dose giornaliera di acido idrossietilico non > 30 ml/kg
seguire le raccomandazioni d’uso delle agenzie locali
Non è stato ritenuto opportuno nonchè praticabile tenere in cieco i clinici. Sono stati invece
mantenuti in cieco gli analizzatori dei risultati.
Sono stati sistematicamente registrati i dati anagrafici ed antropometrici, la data di ammissione in
ospedale ed in terapia intensiva, il reparto di ricovero del paziente prima dell’ingresso in terapia
intensiva, la disability scale score, i segni vitali, il SAPS II, il SOFA score, l’ISS per i pazienti
traumatizzati, ogni intervento, i test di laboratorio e gli Rx torace.
Risultati Non è risultata nessuna differenza in termini di mortalità a 28 giorni tra i due gruppi di
pazienti. A 90 giorni c’è stata una lieve riduzione di mortalità nel gruppo trattato coi colloidi. I
pazienti sono stati stratificati in base alla diagnosi di ammissione poiché sia il rischio di morte, sia la
gestione clinica, sia la risposta alla terapia volemica avrebbero potuto essere diverse a seconda che il
paziente fosse settico,politraumatizzato o avesse uno shock ipovolemico senza sepsi e non
emorragico. La popolazione dello studio è risultata differente rispetto a quelle dei recenti trial in cui
venivano arruolati pazienti solo sulla base dell’ipotensione e dell’acidosi lattica.
Discussione e Conclusioni Non c’è stata differenza significativa di mortalità a 28 giorni tra i due
gruppi. Inaspettatamente si è rilevato un tasso di mortalità lievemente minore a 90 giorni nei pazienti
trattati con colloidi rispetto a quelli trattati con cristalloidi. Questo dato deve però essere considerato
provvisorio e da riconfermare con nuovi studi dato che a 28 giorni la differenza era nulla e il limite di
confidenza è prossimo a 1.
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Nel gruppo dei cristalloidi, l’86% dei pazienti ha ricevuto soluzione salina isotonica; nel gruppo dei
colloidi circa il 70% acido idrossietilico e il rimanente 30% gelatine. I pazienti rianimati con cristalloidi hanno ricevuto una quantità di liquidi significativamente
maggiore per raggiungere il target emodinamico rispetto al gruppo colloidi. La rianimazione con colloidi è risultata essere associata ad un più rapido svezzamento dal
trattamento con vasopressori e da un numero maggiore di giorni liberi da ventilazione.
Non c’è stata nessuna evidenza di aumento del rischio di insufficienza renale colloide-correlato, in
contrasto con i dati dei precedenti trial. Ciò può essere spiegato dal fatto che:
in questo trial sono state seguite strettamente le raccomandazioni delle singole agenzie e sono stati
esclusi i pazienti con insufficienza renale severa.
La minor insufficienza cardiorespiratoria che è stata rilevata, correlata all’uso dei colloidi ha avuto
azione di protezione a livello renale.
La maggior parte dei pazienti che hanno ricevuto rianimazione con cristalloidi ha ricevuto soluzione
fisiologica che può incrementare il rischio di danno renale se paragonato ad una fluido terapia con
restrizione cloridrica
Limiti riconosciuti dagli autori I limiti di questo studio sono rappresentati dal fatto che i clinici
non erano in cieco, erano cioè a conoscenza del fluido somministrato ai pazienti, e che il periodo di
reclutamento che è durato 9 anni. Inoltre sono state paragonate due strategie terapeutiche e non due
molecole, in quanto specchio più accurato della routine dei vari paesi, e quindi sono stati utilizzati i fluidi disponibili nei singoli centri.
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PILLOLE DI METODOLOGIA PER UNA LETTURA CRITICA.
A cura di Dott. Paolo Gardois
Lo studio di Annane e colleghi vuole comprendere se l'uso dei colloidi al posto dei cristalloidi
riduce la mortalità a 28 giorni per i pazienti ricoverati in un reparto di terapia intensiva in
seguito a shock ipovolemico. Questo e` chiamato outcome (o esito) primario.
Per capire se la mortalita` si riduce davvero, si sono scelti due gruppi di pazienti, il piu`
possibile simili. Il primo gruppo e` stato sottoposto al trattamento con colloidi (COL), il
secondo al trattamento con cristalloidi (CRI). I risultati sono stati i seguenti:
- COL: 359 morti su 1414 (25.4%);
- CRI: 390 morti su 1443 (27.0%).
I risultati sono diversi. Sono però abbastanza diversi? )Si puo` cioe`sostenere che il
trattamento con colloidi funziona meglio di quello con cristalloidi rispetto all'outcome
primario?
Per rispondere, gli autori usano una misura chiamata “rischio relativo" (RR). Il RR e` una
misura di associazione del rischio: serve a far comprendere quanto il rischio di un evento varia a
seguito di un dato intervento. Il RR in questo studio serve a rispondere alla domanda: un
paziente nel gruppo "colloidi" (COL) che rischio ha di morire entro 28 giorni rispetto ad un
paziente del gruppo "cristalloidi" (CRI)?
Il RR si calcola dividendo il rischio dell'evento morte nel gruppo COL (cioè la probabilità in
percentuale che si verifichi l'evento “morte" -25,4%) per il rischio del gruppo CRI (27%).
Eseguendo il calcolo, ottengo che il RR per COL rispetto a CRI è di 0.96: un paziente del
gruppo COL ha quindi il 96% di possibilità di morte entro 28 giorni rispetto ad un paziente del
gruppo CRI. I due rischi sono quasi identici, anche se il paziente del gruppo COL "rischia"
leggermente di meno.
Al RR sono poi associati:
- una misura di significatività statistica (P value)
- un intervallo di confidenza al 95% (IC).
In questo caso, P = 0.26: il RR ottenuto (0.96) non è statisticamente significativo, quindi
potrebbe essere dovuto al caso. Solo se P fosse inferiore a 0.05 il risultato sarebbe
statisticamente significativo: in questo caso, infatti, eseguendo il confronto 100 volte, meno di 5
volte la differenza di rischio tra i due gruppi apparirebbe per caso. Inoltre, l'IC al 95% è troppo
ampio: da 0.88 a 1.04. Ripetendo l'esperimento 100 volte, per 95 volte i risultati ricadrebbero
nel range che va da RR = 0.88 a RR = 1.04. Questo risultato non è quindi soddisfacente, perché
in certi casi il RR potrebbe addirittura essere superiore in COL rispetto a CRI.
In conclusione, con i dati dello studio non possiamo concludere che il rischio sia minore nel
gruppo dei colloidi rispetto a quello dei cristalloidi. Si tratta perciò di uno studio negativo.
Lo studio non ha potuto dimostrare che esiste una differenza di rischio tra i due gruppi, e non
ha neppure dimostrato che questa differenza esiste.
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5. La fluidoterapia
Sintesi a cura di Dott.ssa Elen
Salerno, Torino
The
n e w e ng l a n d j o u r na l
of
m e dic i n e
review article
Resuscitation fluids
Critical Care Medicine
Myburgh et al. N Engl J Med
2013, 369, 1243-51
Simon R. Finfer, M.D., and Jean-Louis Vincent, M.D., Ph.D., Editors
Resuscitation Fluids
John A. Myburgh, M.B., B.Ch., Ph.D., and Michael G. Mythen, M.D., M.B., B.S.
In t ro d u z i o n e I l r e i n t e g r o
volemico con cristalloidi o colloidi è
una pratica con cui il clinico si cimenta quotidianamente. La scelta di somministrare un fluido
anzichè un altro è dettata da principi fisiologici, ma spesso subisce l’influenza della preferenza
individuale. Sono state elaborate delle raccomandazioni per il corretto impiego clinico dei fluidi, ma
esse sono basate per lo più su opinioni di esperti e su un basso livello di evidenza clinica.
Recentemente, è stata scoperta l’importanza di un particolare complesso molecolare, detto
glicocalice, costituito da glicoproteine e proteoglicani legati alla superficie endoluminale
dell’endotelio. L’integrità di tale struttura è fondamentale al fine di prevenire il passaggio
transluminale dei fluidi dal compartimento intravascolare allo spazio interstiziale.
Classicamente, i fluidi sono suddivisi in colloidi e cristalloidi. Per molto tempo i fautori dell’utilizzo
dei colloidi hanno sostenuto le loro maggiori proprietà espansive sul circolo, dettate dalla maggior
capacità di rimanere all’interno del compartimento intravascolare. Per contro, gli oppositori
contestavano il maggior costo dei colloidi, nonostante i cristalloidi fossero maggiormente incriminati
nella genesi di edema interstiziale. Il fluido “ideale” dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche:
dovrebbe essere in grado di determinare un’espansione del volume plasmatico che sia prevedibile e
riproducibile, possedere una composizione chimica che sia il più simile possibile a quella dei fluidi
extracellulari corporei, dovrebbe essere completamente metabolizzato senza determinare fenomeni di
accumulo tissutale, non dovrebbe essere causa di fenomeni avversi, dovrebbe possedere un rapporto
costo-efficacia favorevole. Purtroppo, un fluido che possieda tutte queste caratteristiche non esiste
ancora. La scelta di infondere un fluido piuttosto che un altro, quindi, dovrebbe essere condotta
soppesando attentamente i rischi ed i benefici che ne potrebbero derivare, considerando il fluido al
pari di un vero e proprio farmaco.
Metodi Revisione della letteratura Risultati e Discussione
Albumina Il capostipite dei colloidi è rappresentato dall’albumina umana, sottoposta a trattamento
termico per prevenire la trasmissione di agenti patogeni. Nello studio SAFE del 2004, gli effetti del
reintegro volemico con albumina 4% sono stati posti a confronto con quelli derivati dalla
somministrazione di soluzione fisiologica. Non è emersa alcuna differenza statisticamente
significativa in termini di mortalità a 28 giorni, nè di sviluppo di un’insufficienza d’organo di nuova
insorgenza. Inoltre, la somministrazione di albumina era associata ad un aumento di mortalità a due
anni statisticamente significativo nei pazienti con trauma cranico, forse per un eccessivo incremento
della pressione intracranica. Al contrario, si è assistito ad una riduzione del tasso di mortalità a 28
giorni soprattutto quando l’albumina veniva somministrata nei pazienti con sepsi severa. Nessuna
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differenza tra i due gruppi di studio è emersa quando l’albumina veniva somministrata nei pazienti
con ipoalbuminemia (<25 g/l). Nessuna differenza è emersa per quanto riguarda gli effetti emodinamici
sostenuti dai due tipi di fluidi oggetto di studio (aumento della pressione arteriosa media e riduzione
della frequenza cardiaca), nonostante l’albumina determinasse un aumento della pressione venosa
centrale. Dalle evidenze attualmente disponibili, si deduce che l’albumina potrebbe determinare
benefici quando somministrata a popolazioni specifiche di pazienti, come, ad esempio, quelli con
sepsi severa, mentre il suo impiego dovrebbe essere assolutamente evitato nei pazienti con trauma
cranico. Colloidi semisintetici La disponibilità limitata ed il costo elevato dell’albumina hanno spinto la
ricerca verso la creazione di colloidi semisintetici. Il razionale d’uso dei colloidi semisintetici risiede
nel loro contenuto di macromolecole che, in virtù del loro elevato peso molecolare, dovrebbero
prevenire la fuoriuscita del fluido dal compartimento intravascolare in cui viene somministrato e
dovrebbero facilitare il richiamo di liquidi dall’interstizio verso il volume ematico. Tra questi figurano
le soluzioni HES, le gelatine ed i destrani.
Le soluzioni HES (soluzioni di amidoidrossietilico) contengono dei polimeri di amilopectina derivati
da sorgo, mais e patate, a cui vengono sostituiti dei gruppi idrossietilici. Un alto tasso di sostituzione
svolge un’azione protettiva nei confronti dell’idrolisi svolta da amilasi plasmatiche aspecifiche,
prolungando la permanenza del composto nel torrente ematico, ma aumentando, altresì, il rischio di
accumulo dello stesso a livello di cute, reni e fegato ed aumentando il rischio di effetti indesiderati
sistemici. Proprio a causa del rischio di accumulo tissutale, il volume infuso non dovrebbe mai
eccedere i 33-50 ml/Kg/die. Alla luce delle evidenze cliniche ad oggi disponibili, l’impiego delle
soluzioni HES è difficile da giustificare, in quanto esse hanno dimostrato di determinare un
incremento del tasso di mortalità e di insufficienza renale acuta nei pazienti a rischio quando
confrontati con i cristalloidi. Inoltre, l’utilizzo di tali colloidi è associato anche ad un’aumentata
incidenza di prurito e ad un aumentato consumo di prodotti ematici a causa dell’alterazione della
coagulazione indotta da tali composti. Al momento, sulla base delle evidenze a disposizione, non si è
ancora in grado di affermare se queste stesse conclusioni siano applicabili anche ad altri colloidi
semisintetici come le gelatine. Al momento non esistono RCT sull’impiego di colloidi semisintetici
non-HES. Cristalloidi La soluzione più impiegata è sicuramente la soluzione di NaCl allo 0,9% (soluzione
fisiologica), contenente sodio e cloruro nelle medesime concentrazioni, isotonica rispetto ai fluidi
extracellulari. Tuttavia, la somministrazione di elevati volumi di soluzione fisiologica è da evitare, in
quanto può essere responsabile di acidosi metabolica ipercloremica, con conseguente
compromissione della funzionalità renale e del sistema immunitario (anche se le conseguenze cliniche
di questi fenomeni restano ancora da chiarire). Le più recenti soluzioni ipertoniche di NaCl (3%, 5% e
7,5%) non hanno portato, al momento, ad un miglioramento dell’outcome, soprattutto per i pazienti
con trauma cranico.
Alcune soluzioni cristalloidi, derivate dalle soluzioni di Hartmann e di Ringer, sono definite
bilanciate, poiché cercano di mimare nella maniera più fedele possibile la reale composizione ionica
del plasma. In realtà, però, nessuna di queste soluzioni possiede una composizione chimica identica a
quella plasmatica. Queste soluzioni sono lievemente ipotoniche a causa della concentrazione di sodio
lievemente inferiore rispetto a quella dei fluidi extracellulari. Quando somministrate in quantità
elevata, possono determinare iper-lattacidemia, alcalosi metabolica, ipotonicità plasmatica (per le
soluzioni contenenti sodio lattato) e cardiotossicità (per le soluzioni contenenti acetato). L’aggiunta di
calcio, inoltre, può portare alla formazione di microtrombi per il legame con il citrato contenuto nelle
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emazie concentrate. Le soluzioni bilanciate sono da considerarsi come liquidi da somministrare in
prima linea nei pazienti candidati a chirurgia, nelle vittime di trauma e/o ustioni e nei pazienti con
chetoacidosi diabetica. Tuttavia, al momento non esiste ancora un trial randomizzato e controllato in
cui si ponga a confronto la sicurezza e l’efficacia della soluzione fisiologica e delle soluzioni bilanciate. Conclusioni Per la corretta gestione del reintegro volemico del paziente è fondamentale attenersi ad
alcuni principi di buona condotta clinica:
I fluidi sono da considerarsi dei veri e propri farmaci. Possiedono rischi e benefici che devono essere
attentamente soppesati quando si decide di somministrarli, tenendo conto anche delle caratteristiche
del paziente a cui sono destinati.
Rimpiazzare, laddove possibile, il fluido che è andato perso, nel medesimo volume.
Considerare la sodiemia, l’osmolarità plasmatica, l’equilibrio acido-base ed il bilancio idrico
cumulativo del paziente quando ci si accinge a compiere la scelta di quale e quanto fluido
somministrare.
Considerare, nel paziente in shock, l’utilizzo precoce di catecolamine.
Se la causa di ipovolemia è un’emorragia, è fondamentale attuare nelle maniera più tempestiva
possibile il controllo definitivo della fonte di sanguinamento ed il reintegro delle perdite con emazie
concentrate.
Considerare il ricorso alla soluzione fisiologica nei pazienti con ipovolemia ed alcalosi.
Considerare l’albumina in fase precoce nei pazienti con sepsi severa, ma ricordare che è
controindicata nei pazienti con trauma cranico.
Nel paziente con trauma cranico sono indicati la soluzione fisiologica o soluzioni isotoniche rispetto
al plasma. La sicurezza della soluzione salina ipertonica non è ancora stata dimostrata.
Le soluzioni HES non dovrebbero essere impiegate, soprattutto nei pazienti con sepsi e/o a rischio di
insufficienza renale acuta. La tipologia e la giusta quantità di fluidi indicati nel paziente vittima di
ustioni non è ancora stata stabilita con certezza.
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SINTESI DELLA NOTA AIFA: RESTRIZIONI D’USO HES
….L’AIFA, in data 28 giugno 2013, aveva già disposto a
scopo cautelativo il “divieto di utilizzo” per tutti i
A cura di Dott.sa Irene Principale, Torino.
medicinali per uso infusionale contenenti amido
idrossietilico (con esclusione delle soluzioni per la
http://www.agenziafarmaco.gov.it
conservazione degli organi) in attesa della decisione
della Commissione Europea, legalmente vincolante in
tutta EU. La CE ha concluso che il rapporto beneficio-rischio per i medicinali contenenti amido idrossietilico
(HES) rimane favorevole nel trattamento dell’ipovolemia causata da emorragia acuta, quando i cristalloidi
da soli non sono considerati sufficienti, a condizione che siano implementate restrizioni delle indicazioni,
controindicazioni, avvertenze ed altre modifiche alle informazioni contenute nel riassunto delle
caratteristiche del prodotto, quali misure di minimizzazione dei rischi. Riassunto - I prodotti contenenti HES devono essere utilizzati solo per il trattamento dell’ipovolemia causata da
emorragia acuta quando i cristalloidi da soli non sono considerati sufficienti.
- I prodotti contenenti HES devono essere utilizzati alla più bassa dose efficace per il più breve periodo
di tempo. Il trattamento deve essere guidato da un monitoraggio emodinamico continuo, in modo da
poter interrompere l’infusione non appena siano stati raggiunti adeguati valori emodinamici.
- I prodotti contenenti HES sono ora controindicati nelle seguenti condizioni:
o Sepsi o Ustioni o Insufficienza renale o terapia renale sostitutiva o Emorragia intracranica o cerebrale o Pazienti critici (tipicamente ricoverati in Terapia Intensiva) o Pazienti iperidratati, inclusi i pazienti con edema polmonare o Pazienti disidratati o Iperkaliemia (applicabile solo ai prodotti contenenti potassio) o Grave iponatriemia o grave ipercloremia o Coagulopatia grave o Funzionalità epatica gravemente compromessa o Insufficienza cardiaca congestizia o Pazienti sottoposti a trapianto d’organo
C’è una mancanza di dati di sicurezza consistenti a lungo termine nei pazienti sottoposti a procedure
chirurgiche e nei pazienti con trauma. Il beneficio atteso del trattamento deve essere attentamente
valutato in relazione all’incerto profilo di sicurezza a lungo termine, e devono essere considerati i
trattamenti alternativi disponibili. Ulteriori studi saranno eseguiti con soluzioni HES in pazienti con
trauma e nella chirurgia elettiva. - Ampi studi clinici randomizzati hanno riportato un aumentato rischio di disfunzione renale nei pazienti
critici, inclusi i pazienti settici, Pertanto, i prodotti contenenti HES non devono più essere utilizzati in
questi pazienti.
- L’uso di HES deve essere interrotto al primo segno di danno renale. È raccomandato il monitoraggio
della funzionalità renale nei pazienti in trattamento con prodotti contenenti HES per almeno 90 giorni.
- Nel caso di somministrazioni ripetute, i parametri di coagulazione del sangue devono essere monitorati
attentamente. Il trattamento deve essere interrotto al primo segno di coagulopatia.
Ulteriori informazioni sulla sicurezza: Le soluzioni per infusione contenenti HES appartengono alla classe terapeutica dei colloidi. Nell’Unione
europea (UE), le soluzioni per infusione contenenti HES sono approvate tramite procedure nazionali. Recentemente, sono stati pubblicati i risultati di due studi clinici su pazienti critici, principalmente con
sepsi, a confronto con i cristalloidi. Gli studi hanno mostrato un maggior rischio di effetti avversi renali
nei pazienti trattati con HES. Lo studio di pazienti con sepsi ha anche mostrato un maggior rischio di
mortalità nei pazienti trattati con HES. Sulla base dei risultati di questi studi randomizzati controllati, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA),
ha avviato nel novembre 2012 una rivalutazione sulla sicurezza di tutti i prodotti contenenti
HES, sul mercato UE. La rivalutazione ha compreso dati tratti dalla letteratura scientifica, dati presentati dalle
aziende, dati dagli autori degli studi e dalle parti interessate……
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6. Controllo del sanguinamento e della
coagulopatia conseguente a trauma
maggiore: una linea guida europea
aggiornata.
Sintesi a cura di Dott. Luca
Delpiano, Torino
Abstract
Introduction: Evidence-based recommendations are needed to guide the acute management of the bleeding
trauma patient. When these recommendations are implemented patient outcomes may be improved.
Methods: The multidisciplinary Task Force for Advanced Bleeding Care in Trauma was formed in 2005 with the
aim of developing a guideline for the management of bleeding following severe injury. This document represents
an updated version of the guideline published by the group in 2007 and updated in 2010. Recommendations
were formulated using a nominal group process, the Grading of Recommendations Assessment, Development and
Evaluation (GRADE) hierarchy of evidence and based on a systematic review of published literature.
Management of
bleeding and
coagulopathy
following major
trauma: an updated
European guideline
Spahn et al. Crit Care 2013,
17:R76
Results: Key changes encompassed in this version of the guideline include new recommendations on the
appropriate use of vasopressors and inotropic agents, and reflect an awareness of the growing number of patients
in the population at large treated with antiplatelet agents and/or oral anticoagulants. The current guideline also
includes recommendations and a discussion of thromboprophylactic strategies for all patients following traumatic
injury. The most significant addition is a new section that discusses the need for every institution to develop,
implement and adhere to an evidence-based clinical protocol to manage traumatically injured patients. The
remaining recommendations have been re-evaluated and graded based on literature published since the last
edition of the guideline. Consideration was also given to changes in clinical practice that have taken place during
this time period as a result of both new evidence and changes in the general availability of relevant agents and
technologies.
Conclusions: A comprehensive, multidisciplinary approach to trauma care and mechanisms with which to ensure
that established protocols are consistently implemented will ensure a uniform and high standard of care across
Europe and beyond.
Introduzione Una gestione corretta del sanguinamento
massivo nel paziente vittima di trauma prevede la precoce identificazione della fonte emorragica,
seguita da immediate misure che hanno l’obbiettivo di ridurre le perdite, ripristinare la perfusione
tissutale e garantire la stabilità emodinamica. Circa 1/3 dei pazienti con emorragia conseguente a
trauma presentano, al momento dell’ammissione in ospedale, una alterazione della coagulazione.
Questi pazienti hanno un aumento significativo dell’incidenza di insufficienza multiorgano e della
mortalità rispetto a pazienti con medesima gravità delle lesioni in assenza di coagulopatia. La
coagulopatia indotta da trauma (TIC) è stata recentemente definita come una condizione
conseguente alla combinazione di diversi fattori: shock indotto dall’emorragia, danno tissutale
correlato alla produzione di complessi trombina-trombomodulina e all’attivazione della cascata anticoagulativa e della fibrinolisi. Obiettivo Queste linee guida costituiscono un aggiornamento di quelle pubblicate per la prima volta
nel 2007 e già aggiornate nel 2010, fanno parte dellla “STOP Bleeding Campaign” che ha l’obbiettivo
di ridurre la morbilità e la mortalità associata all’emorragia post-traumatica. Queste linee guida non
forniscono solo un mezzo per comprendere meglio la patofisiologia del grave sanguinamento nei
pazienti vittima di trauma, ma costituiscono una guida per il trattamento, e identificano le aree in cui
è necessaria una futura ricerca.
Metodi Le raccomandazioni sono state formulate e graduate in accordo con la Grading of
Recommendations Assess- ment, Development and Evaluation (GRADE). Sono il risultato di una
analisi sistematica della letteratura.
Risultati Gli autori forniscono le seguenti raccomandazioni.
1: raccomandano per quei pazienti che necessitano un controllo chirurgico dell’emorragia, il tempo
che intercorre tra la lesione e l’intervento chirurgico deve essere ridotto al minimo possibile. (Grado
1A)
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2: raccomandano un utilizzo del touniquet per controllare le emorragie pericolose per la vita nelle
lesioni aperte degli arti nella fase pre-chirurgica. (Grado 1B)
3: raccomandano la normo-ventilazione dei pazienti vittima di trauma se non sono presenti segni di
erniazione cerebrale. (Grado 1C)
4: raccomandano che il medico valuti clinicamente la gravità dell’emorragia conseguente al trauma
attraverso una combinazione di: fisiologia del paziente, caratteristica della lesione anatomica,
meccanismo di lesione e risposta del paziente alla rianimazione iniziale. (Grado 1C)
5: raccomandano che i pazienti con shock emorragico e una fonte di sanguinamento identificata,
siano sottoposti a immediate procedure di controllo dell’emorragia, a meno che le iniziali misure di
rianimazione non abbiano successo. (Grado1B)
6: raccomandano che un paziente che presenti uno shock emorragico e una non identificata fonte di
sanguinamento venga sottoposto immediatamente a ulteriori indagini (Grado 1B)
7: raccomandano precoci indagini di imaging (ECO o CT) per la ricerca di liquido libero, in pazienti
con sospetto trauma del tronco. (Grado1B)
8: raccomandano che pazienti con significativo liquido libero in addome, ed emodinamicamente
instabili vengano sottoposti a intervento chirurgico urgente. (Grado1A)
9: raccomandano ulteriore valutazione mediante CT per i pazienti emodinamicamente stabili (Grado
1B)
10: non raccomandano l’uso di una singola misura dell’ematocrito come unico marker di laboratorio
per l’emorragia (Grado 1B)
11: raccomandano o il lattato sierico o il deficit di base, come test sensibile per stimare e
monitorizzare il grado di sanguinamento e di shock (Grado1B)
12: raccomandano che la pratica di routine nella ricerca della coagulopatia post traumatica includa la
precoce, ripetuta e combinata misura del tempo di protrombina (PT), tempo di tromboplastina
attivata (APTT), fibrinogeno e piastrine (Grado 1C) Raccomandano che anche i metodi viscoelastici
siano eseguiti per aiutare a caratterizzare la coagulopatia e a guidare la terapia emostatica. (Grado1C)
13: raccomandano un target pressorio tra 80 e 90 mmHg nella prima fase conseguente al trauma,
finchè non viene controllato il sanguinamento maggiore, nei pazienti senza trauma cranico.
(Grado1C). Raccomandano di mantenere una pressione media di 80 mmHg in pazienti con shock
emorragico e trauma cranico severo (GCS≤8). (Grado 1C).
14: raccomandano di iniziare terapia con fluidi in pazienti ipotesi con sanguinamento da trauma
(Grado1A). Raccomandano che i cristalloidi siano somministrati inizialmente per trattare
l’ipotensione nei pazienti con emorragia da trauma. (Grado1A). Raccomandano che le soluzioni
ipotoniche quali Ringer Lattato siano evitate in pazienti con grave trauma cranico. (Grado 1C). Se
vengono somministrati dei colloidi raccomandano la prescrizione della quantità limite per ciascuna
soluzione. (Grado 1B). Suggeriscono che le soluzioni ipertoniche possono essere utilizzate nel
trattamento iniziale, ma non hanno dimostrato vantaggi rispetto ai cristalloidi e ai colloidi nel trauma
chiuso con trauma cranico. (Grado 2B). Suggeriscono l’utilizzo delle soluzioni ipertoniche nei pazienti
con trauma penetrante del tronco emodinamicamente instabili. (Grado 2C).
15: suggeriscono la somministrazione di vasopressori per mantenere il target pressorio, in assenza di
risposta alla terapia con fluidi. (Grado 2 C). Suggeriscono l’utilizzo di un agente inotropo in presenza
di disfunzione cardiaca. (Grado 2C).
16: raccomandano la precoce applicazione di misure atte a ridurre la perdita di calore e riscaldare i
pazienti ipotermici, con l’obiettivo di ottenere e mantenere la normotermia. (Grado 1C).
Suggeriscono che l’ipotermia compresa tra 33 e 35°C possa essere instaurata per ≥48h nei pazienti con
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trauma cranico, una volta che si è ottenuto il controllo dell’emorragia con altri sistemi. (Grado 2C).
17: raccomandano un target di emoglobina compreso tra 7 e 9 d/dl. (Grado 1C).
18: raccomandano che il precoce controllo del sanguinamento addominale venga ottenuto utilizzando
il packing, controllo chirurgico diretto della fonte emorragica e l’uso di presidi emostatici locali. Nei
pazienti esangui, può essere utilizzato il clampaggio aortico come adiuvante. (Grado 1C).
19: raccomandano che i pazienti con rottura dell’anello pelvico, in shock emorragico siano sottoposti
a immediata chiusura dell’anello pelvico e stabilizzazione. (Grado 1B).
20: raccomandano che i pazienti con persistente instabilità emodinamica, nonostante adeguata
stabilizzazione dell’anello pelvico, ricevano precocemente packing pre-peritoneale, embolizzazione
angiografica e/o controllo chirurgico dell’emorragia. (Grado 1B).
21: raccomandano l’impiego della damage control surgery in pazienti con lesioni gravi, che
presentano grave shock emorragico, segni di persistente sanguinamento e coagulopatia. (Grado 1B).
Altri fattori che potrebbero far attuare un approccio basato sul damage control sono: grave
coagulopatia, ipotermia, acidosi, lesione maggiore anatomicamente inaccessible, necessità di
procedure che richiedono tempo, o concomitante lesione maggiore al di fuori dell’addome. (Grado
1 C ) . Ra c co m a n d a n o l a p r o ce d u r a c h i r u r g i c a d e f i n i t i v a i n p r i m a b a t t u t a n e i p a z i e n t i
emodinamicamente stabili e in assenza dei fattori sopracitati. (Grade 1 C).
22: raccomandano l’utilizzo di agenti emostatici topici associati ad altre misure chirurgiche, o con il
packing, per sanguinamenti venosi o moderati sanguinamenti arteriosi associati a lesioni
parenchimali. (Grado1B).
23: raccomandano che il monitoraggio e le misure di supporto alla coagulazione vengano iniziate il
più precocemente possibile. (Grado1C).
24: raccomandano che l’acido tranexamico venga somministrato il più precocemete possibile, nei
pazienti vittima di trauma con emorragia, o a rischio di emorragia significativa, alla dose di carico di 1
g infuse in 10 min, seguito da infusione continua di 1 g in 8 ore. (Grado 1A). Raccomandano che
l’acido tranexamico sia somministrato ai pazienti con emorragia da trauma entro le 3 ore dalla lesione.
(Grado 1B). Sug geriscono che protocolli per la gestione dell’emorra gia considerino la
somministrazione della prima dose di acido tranexamico, prima dell’arrivo del paziente in ospedale.
(Grado 2C).
25: raccomandano che i valori di calcio ionizzato siano monitorizzati, e mantenuti nei normali range
in corso di trasfuzione massiva. (Grado 1 C).
26: raccomandano l’iniziale somministrazione di plasma (plasma fresco congelato FFP o plasma con
inattivazione dei patogeni) (Grado 1B), o fibrinogeno (Grado 1C) nei pazienti con emorragia massiva.
Se vengono somministrate ulteriori dosi di plasma, suggeriscono come ottimale rapporto
plasma:emazie almeno di 1:2. (Grado 2C). Raccomandano che le trasfusioni di plasma vengano evitate
in pazienti senza importante emorragia. (Grado1B).
27: raccomandano il trattamento con fibrinogeno concentrato, o crioprecipitato, continuando la
gestione del paziente, se l’emorragia significativa è accompagnata da segni tromboelastometrici di
deficit della funzionalità del fibrinogeno, o se i livelli plasmatici di fibrinogeno sono inferiori a 1.5 –
2.0 g/l (Grado 1C). Suggeriscono una dose iniziale di fibrinogeno compresa tra 3 e 4 mg/kg o 50 mg/Kg
di crioprecipitato, che approssimativamente equivale a 15 – 20 unità di singolo donatore in un adulto
di 70 kg. Dosi successive devono essere guidate da un monitoraggio viscoelastico, e dosaggi in
laboratorio dei livelli di fibrinogeno. (Grado 2 C).
28: raccomandano che le piastrine vengano somministrate per mantenere un conteggio piastrinico
attorno a 50 x 109/l in pazienti con emorragia in corso e/o trauma cranico. (Grado 1C). Suggeriscono
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di mantenere una conta piastrinica di 100 x 109/l in pazienti con emorragia in corso e/o trauma
cranico. (Grado 2C). Suggeriscono una dose iniziale compresa tra 4 e 8 unità piastriniche singole, o un
pool da aferesi. (Grado 2C).
29: suggeriscono la somministrazione di piastrine in pazienti con emorragia significativa, o emorragia
intracranica, che sono in trattamento con antiaggreganti piastrinici. (Grado2C). Nei pazienti che
sono in trattamento soltanto con l’acido acetilsalicilico, suggeriscono la somministrazione di
desmopressina (0.3 μg/kg). (Grado 2C). Suggeriscono la misurazione della funzionalità piastrinica in
pazienti in trattamento, o con sospetto trattamento con antiaggreganti. (Grado 2C). Se viene
documentata una disfunzione piastrinica con sanguinamento continuo microvascolare, suggeriscono
trattamento con concentrati piastrinici. (Grado 2C).
30: suggeriscono che la desmopressina (0.3 μg/kg) venga somministrata in pazienti in trattamento con
inibitori piastrinici, o con la malattia di Von Willebrand. (Grado 2C). Non suggeriscono l’utilizzo
routinario della desmopressina nei pazienti con emorraggia post-traumatica. (Grado 2C).
31: raccomandano l’uso precoce di concentrati di complesso protrombinico (PCC), per la conversione
in emergenza degli anticoagulanti orali vitamina K dipendenti. (Grado 1B). Se viene applicata una
strategia basata su concentrati protrombinici di tipo goal-directed, suggeriscono che PCC venga
somministrato nei pazienti con emorragia, con evidenza tromboelastometrica di start coagulativo
ritardato. (Grado 2C).
32: suggerisco la misurazione dell’attività anti fattore Xa substrato specifico, in pazienti in
trattamento, o nel sospetto che siano trattati con farmaci anti- fattore Xa orali quali rivaroxaba,
apixaban o endoxaba. (Grado 2C). Se il sanguinamento mette a repentaglio la sopravvivenza
suggeriscono lo spiazzamento del rivaroxaban, apixaban, endoxaban con alte dosi (25 – 50 U/kg) PCC.
(Grado 2C). Non suggeriscono la somministrazione di PCC in pazienti trattati, o con sospetto di
trattamento con farmaci orali inibitori diretti della trombina, come dabigatran. (Grado 2B).
33: suggeriscono l’uso del fattore ricombinante VII attivato (rFVIIa) possa essere considerato se
l’emorragia maggiore e la coagulopatia persiste, nonostante i tentativi di controllo dell’emorragia e la
best practice nell’uso delle misure emostatiche convenzionali. (Grado 2C). Non suggeriscono l’uso del
rFVIIa in pazienti con emorragia intracerebrale causata da trauma cranico isolato. (Grado 2C).
34: suggeriscono la trombo-profilassi meccanica con la compressione pneumatica esterna (IPC), e/o
calze elastiche il prima possibile. (Grado 2C). Raccomandano la trombo-profilassi farmacologica entro
le 24h da quando è stata controllata l’emorragia. (Grado 1B). Non raccomandano l’uso routinario di
filtri cavali come tromboprofilassi. (Grado 1C).
35: raccomandano che tutte le istituzioni implementino un algoritmo basato sull’evidenza per il
trattamento dei pazienti emorragici. (Grade 1C). Checklist.
36: raccomandano che checklist di trattamento vengano utilizzate per guidare la gestione clinica.
(Grade 1B). Sistema qualità.
37: raccomandano che tutte le istituzioni includano una valutazione dell’aderenza all’algoritmo
istituzionalizzato nel sistema qualità (Grado 1C).
Discussione Nella discussione gli autori forniscono una checklist per definire il percorso di
trattamento e una flow chart delle modalità di trattamento del paziente con emorragia post
traumatica.
Conclusioni L’approccio multidisciplinare al paziente traumatizzato rimane un caposaldo della best
practice, tutte le istituzione dovrebbero dotarsi di protocolli basati sull’evidenza e adattati alla realtà
locale
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Messaggi chiave
! Il monitoraggio e misure di supporto alla coagulazione dovrebbero essere messe in campo il
prima possibile, in seguito a lesioni traumatiche e dovrebbero essere utilizzate come guida alla
terapia emostatica. ! Un approccio basato sul concetto di damage control alle procedure chirurgiche dovrebbe essere
il filo conduttore nel trattamnto del paziente, incluse la chiusura e la stabilizzazione delle fratture
dell’anello pelvico, packing, embolizzazione, e tecniche emostatiche topiche.
! Queste linee guida rivedono i target fisiologici e suggeriscono la scelta e la dose dei fluidi, degli
emoderivati, e dei farmaci nel paziente con emorragia.
! Il crescente numero di pazienti anziani richiede attenzione specifica a un trattamento
appropriato al profilo di rischio tromboembolico, e alla possibile terapia con farmci
antiaggreganti o anticoagulanti.
! Un approccio multidisciplinare al trattamento del paziente vittima di trauma rimane un
caposaldo della buona cura del paziente, ogni istituzione deve sviluppare, implementare e aderire
a un protocollo di gestione, che sarà adattato alla situazione locale.
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A cura di Dott. Luca Delpiano, Torino
Commento art. 4,5,6
I tre articoli precedenti affrontano la grande sfida del trattamento dello shock ipovolemico,
concentrando l’attenzione sulla scelta del fluido da utilizzare nella rianimazione di un trauma
grave. Molti saranno cresciuti, come il sottoscritto, frequentando e cimentandosi come formatori
nei corsi IRC. Nei corsi avanzati, per anni, si è detto: non ci sono evidenze sull’efficacia dei
cristalloidi rispetto ai colloidi, per cui è indifferente l’uso degli uni o degli altri. Entrambi hanno
vantaggi e svantaggi quindi il take home message era: cercate di non essere talebani, utilizzate
entrambi, e se possibile, una volta identificata la classe di shock, cercate di utilizzarli entrambi in
dose 50:50 per bilanciare i rispettivi effetti collaterali con i benefici. Dagli articoli e allegati
selezionati emerge un messaggio diverso? Sembra di sì: infatti la Chochrane sostiene che non
essendoci evidenza che i colloidi offrano vantaggi rispetto ai cristalloidi, ed essendo più costosi
non ne è giustificato l’utilizzo. L’amido idrossietilico (HES) è stato ritirato dal commercio a
Giugno 2013, e in seguito, come riportato nella nota AIFA, reinserito con delle restrizioni d’uso. Il
CRISTAL offre delle conclusioni che richiedono ulteriori studi. La review di Finfer e Vincent ci
ricorda che i cristalloidi non sono tutti uguali: la soluzione fisiologica è diversa dalle soluzioni
bilanciate, così come per i colloidi l’albumina è diversa da l’HES. Il clinico che si trova a dover
scegliere il fluido da somministrare al paziente a quali principi si deve attenere? E quali take home
message ci possiamo portare a casa da questa selezione della letteratura? Qualche risposta la
possiamo trovare, a partire da Finfer che ci dice che il fluido ideale non è stato ancora prodotto, e
quindi quando ci apprestiamo a scegliere un fluido dobbiamo trattarlo come qualsiasi altro
farmaco: soppesando rischi e benefici. I collodi hanno ancora un loro spazio: l’albumina umana
può essere ragionevolmente presa in considerazione nel paziente settico, ma evitata nel paziente
con trauma cranico, l’HES può essere utilizzato nel trattamento dell’ipovolemia causata da
emorragia acuta, quando i cristalloidi da soli non sono sufficienti a raggiungere il target
pressorio ,definito in base alla damage control resuscitation, ma non deve essere superata la dose
di 33-50 ml/kg/die, è controindicato nell’insufficienza renale, e va monitorizzata la funzionalità
renale e i parametri coagulativi. Le soluzioni ipertoniche sembrano avere un vantaggio nel
paziente con trauma penetrante emodinamicamente instabile.
I cristalloidi sono la prima scelta nel trattamento dell’ipotensione, nei pazienti con emorragia da
trauma, la soluzione più utilizzata è la Fisiologica allo 0,9%, il Ringer Lattato deve essere evitato
nel grave trauma cranico.
Laddove è possibile bisognerebbe rimpiazzare il fluido che è andato perso, nel medesimo volume
e quindi nell’emorragia conseguente a trauma bisogna utilizzare in quantità adeguata gli
emoderivati: emazie per mantenere target di emoglobina compreso tra 7 e 9 g/dl, plasma in
rapporto sangue/plasma di 2:1 o fibrinogeno, piastrine e terapia emostatica.
Per rispondere alle domande iniziali quindi questa selezione della letteratura ci dice che la scelta
dei fluidi da infondere si è fatta più complicata, non basta più individuare la classe di shock e
infondere la quantità di liquidi stimata con una par condicio tra cristalloidi e colloidi, ma bisogna
individuare il giusto fluido per il giusto paziente, cominciando sempre dai cristalloidi, in quantità
controllate in base al target pressorio, attenersi ai principi della damage control resuscitation e
della hemostatic resuscitation. E infine considerare il precoce utilizzo dei vasopressori per
mantenere i target pressori in assenza di risposta alla terapia con i fluidi.
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7. Ipotermia accidentale
Sintesi a cura di Dott. Paolo
Narcisi, Cpsi Enzo Amelio, Cpsi
Mauro Bonino, Torino
The
n e w e ng l a n d j o u r na l
of
m e dic i n e
review article
Accidental
Hypothermia
Current Concepts
Accidental Hypothermia
Brown et al. N Engl J Med 2012,
367, 1930-8
Douglas J.A. Brown, M.D., Hermann Brugger, M.D., Jeff Boyd, M.B., B.S.,
and Peter Paal, M.D.
L’Ipotermia accidentale (una diminuzione nella temperatura core <35 °C [95 ° F]) è una condizione
associata ad un significativo aumento della morbilità e mortalità. Molti sono i sistemi di
riscaldamento che si utilizzano, e questo riflette sicuramente il grosso livello di incertezza che esiste
nella pratica. Alcuni approcci sono disponibili solo in centri specializzati ed è, quindi, necessario
fornire chiarezza in merito alla scelta tra il trasportare il paziente ad uno di questi centri o fornire un
trattamento a livello locale. Introduzione Il corpo umano è in grado di difendersi dal freddo con l’attività muscolare e il brivido,
ma quando la produzione di calore è superata dal freddo eccessivo si verifica l’ipotermia primaria.
Quella secondaria è invece determinata dall’associazione con patologie che provocano perdita di
calore, (paradossalmente può avvenire anche in ambiente caldo); in questo caso la morte del paziente
è più frequentemente dovuta alla patologia di base piuttosto che al freddo. Inizialmente il paziente
ipotermico è cosciente, respira, ha un’emodinamica normale, ma questa situazione si altera con il
raffreddamento, prima con la fibrillazione atriale (32°C), poi con un progressivo aumento del rischio di
arresto cardiaco (28°C).
Diagnosi I pazienti sono ipotermici con una temperatura inferiore a 35 °C (95 °F). In considerazione
della difficoltà di misurare la temperatura, l’ipotermia può essere stadiata clinicamente sulla base dei
segni vitali con l'utilizzo del sistema di classificazione svizzero: (livelli di ipotermia da I a IV HT)
riportato in Tabella 2. Questo sistema è migliore rispetto alla stadiazione tradizionale ( ipotermia
lieve, moderata, grave e profonda). La misurazione della temperatura interna permette di decidere la
gestione e il trasporto. La
temperatura registrata può
variare a seconda della parte
del corpo, della sua perfusione
e
della
temperatura
ambientale. Nel paziente
intubato, l'inserimento di una
s o n d a n e l te r z o i n f e r i o r e
dell'esofa go è il metodo
preferito, mentre l'uso di una
sonda esofagea inserita
!
prossimalmente può dare dati
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errati, a causa della ventilazione con gas riscaldati. La sonda timpanica riflette la temperatura del
cervello, se il canale uditivo è libero mentre, l'uso di raggi infrarossi sulla cute o nel canale uditivo e i
termometri orali sono spesso imprecisi. La temperatura della vescica può essere errata durante il
lavaggio peritoneale, e le sonde rettali non sono affidabili per il ritardo di rilevazione. Trattamento pre-ospedaliero Le priorità del trattamento pre-ospedaliero sono la gestione attenta
del paziente, il supporto vitale di base o avanzato, il riscaldamento esterno passivo e attivo e il
trasporto ad un ospedale adeguato. Se assenti i segni vitali, si deve iniziare l’RCP (Rianimazione
Cardiopolmonare). Diversi sono i metodi di riscaldamento esistenti per la fase pre-ospedalieria; buoni
risultati si ottengono con sistemi di riscaldamento passivo, o con coperte “chimiche” o elettriche o ad
aria forzata (Tabella 3). In caso di insufficienza respiratoria o di alterazioni della coscienza è possibile
procedere a intubazione tracheale, in quanto il rischio di provocare un’aritmia maligna è basso.
Gestione dei liquidi I liquidi per via endovenosa devono essere riscaldati ( 38-42 ° C [100-108 ° F])
per evitare ulteriori perdite di calore. I cristalloidi caldi dovrebbero essere somministrati in base alla
volemia, controllando il glucosio, elettroliti, e ph; non è consigliabile l’uso di grandi volumi di
soluzione fisiologica che può aggravare l’acidosi. È consigliabile usare cautela nell’utilizzo delle
catecolamine, sia per il rischio di aritmia che per quello di provocare ipo-perfusione dei tessuti, in
particolare in pazienti a rischio di congelamento.
Trasporto I pazienti coscienti con brividi (fase HT I) possono essere curati sul posto se sono illesi, o
trasportati al più vicino ospedale (Tabella 2). I pazienti con deterioramento della coscienza (fase II
HT, HT III, o HT IV) devono essere valutati per l'instabilità cardiaca. I pazienti stabili sono da
trattare con riscaldamento esterno attivo non invasivo (Tabella 2), e devono essere trasportati al più
vicino ospedale in grado di fornire tali misure. I pazienti instabili (pressione sistolica <90 mm Hg o
extra ventricolari), quelli con una temperatura interna inferiore a 28 °C ( 82 °F) e quelli in arresto
cardiaco devono essere trasportati in un centro capace di fornire ossigenazione extracorporea a
membrana (ECMO), o bypass cardiopolmonare, salvo condizioni concomitanti (ad esempio, un
trauma) per il quale si impone il trasporto al centro attrezzato più vicino. Anche in condizioni
gravissime è possibile il recupero neurologico completo, poichè il cervello necessita di meno ossigeno
in ipotermia. È descritto un pieno recupero dopo 190 minuti di RCP. Se i tempi di trasporto sono
lunghi deve essere considerato l'uso di un dispositivo di compressione meccanica del torace, che può
migliorare il risultato. È necessario l’allertamento dell'ospedale di destinazione per garantire che
ECMO o il bypass cardiopolmonare siano disponibili. Si definisce “collasso durante il soccorso” un arresto cardiaco a seguito degli stimoli indotti
dall’estricazione, e dal trasporto di un paziente con ipotermia profonda (HT fase III). L’arresto
cardiocircolatorio è causato da ipovolemia, aritmie cardiache innescate da interventi, e da un ulteriore
raffreddamento. Altro fenomeno da tenere in considerazione è l’ “afterdrop” cioè il progressivo
raffreddamento del core anche dopo il salvataggio, documentato in esperimenti di raffreddamento
artificiali, o dedotto attraverso discrepanze tra temperatura rettale e core. Trattamento ospedaliero In un paziente in ipotermia, stabile, è indicato (Tabella 2) il
riscaldamento esterno, e il trattamento delle condizioni che causano ipotermia secondaria (Tabella 1),
senza utilizzare metodi di riscaldamento invasivi, che in questo caso non è dimostrato migliorino il
risultato, mentre non sono scevri dal rischio di complicazioni come emorragia o trombosi. Quando è
richiesto l'accesso venoso centrale, è importante mantenere la punta del catetere (e della guida)
lontano dal cuore per ridurre il rischio di aritmia. ECMO o bypass cardiopolmonare devono essere
presi in considerazione per i pazienti con ipotermia e instabilità cardiaca, che non hanno una risposta
alla terapia medica. Ad una temperatura interna di 28 °C (82 ° F) il consumo di ossigeno e la frequenza
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cardiaca sono generalmente diminuite del 50 %, ma non c’è consenso sul livello inferiore di gittata
cardiaca per cui instaurare ECMO. In caso di arresto cardio-circolatorio (stadio IV HT ), non vi è
consenso sul fatto che il trattamento con ECMO o bypass cardiopolmonare siano sicuri ed efficaci,
ma i pazienti così trattati hanno un tasso di sopravvivenza senza danno neurologico, che varia dal 47
al 63%, mentre non ci sono dati sulla stessa classe di pazienti, che non sono trattati con ECMO o
bypass cardiopolmonare, ma è probabile che il tasso di sopravvivenza sia inferiore al 37%. Il vantaggio
di ECMO o bypass cardiopolmonare è quello di mantenere un adeguato flusso ematico durante il
riscaldamento. Il supporto con ECMO dà risultati migliori rispetto al tradizionale bypass
cardiopolmonare, probabilmente a causa della elevata incidenza di insufficienza polmonare grave
dopo il riscaldamento, che può essere trattata in modo più efficiente con ECMO. Se ECMO o bypass
cardiopolmonare non sono disponibili, la circolazione dovrebbe essere sostenuto con la RCP, mentre
il paziente viene riscaldato con una tecnica di rewarming interno (Tabella 3). Secondo alcuni case
reports, il lavaggio pleurico ripristina la circolazione spontanea entro 2 ore, ed è una tecnica di
rewarming ragionevole e alternativa quando ECMO o bypass cardiopolmonare non sono disponibili.
Nei pazienti con ritorno della circolazione spontanea può presentarsi insufficienza multiorgano, e può
essere necessario proseguire con l’ECMO, e instaurare l’ipotermia terapeutica (ma non ci sono dati
certi a riguardo). Se l’asistolia persiste ad una temperatura superiore ai 32°C, è molto probabile che
l’arresto cardiaco sia irreversibile e dovrebbe essere considerata la cessazione dell’RCP.
L'uso di vasopressori in modelli animali di arresto cardiaco in ipotermia, ha dato risultati eterogenei,
con un piccolo numero di studi che dimostrano un beneficio. Le linee guida della European
Resuscitation Council raccomandano un approccio modificato per il supporto vitale avanzato,
costituito da un massimo di tre defibrillazioni con adrenalina non somministrata, fino a quando la
temperatura interna non sia superiore a 30 °C (86 ° F), e con l'intervallo tra le dosi raddoppiato, fino
alla temperatura interna superiore a 35 °C (95 ° F). Queste raccomandazioni sono in conflitto con le
linee guida dell'American Heart Association, secondo cui: "può essere ragionevole considerare la
somministrazione di un vasopressore durante l'arresto cardiaco, secondo l'algoritmo standard ALS in
concomitanza con le strategie di rewarming." Alti livelli di potassio plasmatico possono essere causati da ipossia e morte traumatica cellulare,
farmaci (ad esempio bloccanti depolarizzanti neuromuscolari), e una varietà di condizioni
patologiche. Un livello di potassio nel siero molto elevato è associato a decesso, ed è considerato un
marker di ipossia prima del raffreddamento. Alcuni ricercatori raccomandano un livello di potassio 12
mmol per litro, o 10 mmol per litro come limite superiore per sospendere l’RCP, con un limite di
8mmol per litro in adulti che siano stati sepolti da una valanga . Si consiglia di cessare l’RCP quando
il livello di potassio è superiore a 12 mmol per litro, e si consiglia di consultare il team ECMO o
bypass cardiopolmonare quando il livello di potassio è intorno ai 10-12 mmol per litro. Quando il
livello di potassio è inferiore a 10 mmol per litro, la sopravvivenza senza disturbi neurologici può
essere possibile e l’RCP deve essere continuata finché il paziente non è riscaldato. Altri biomarker,
come i livelli di lattato e pH, sono stati segnalati per avere un significato prognostico, anche se meno
consistente.
Il trauma, in particolare le lesioni cerebro-spinali, destabilizzano la termoregolazione; quindi, i
pazienti con traumi multipli o con traumi del sistema nervoso centrale sono spesso in ipotermia.
L’attività dei fattori della coagulazione e la funzione piastrinica sono ridotti con temperatura inferiore
a 34 °C ( 93 ° F ), causando una coagulopatia critica.
Il sangue viene riscaldato prima dei test di laboratorio, di conseguenza la coagulopatia indotta da
ipotermia non viene misurata. Italian Resuscitation Council
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La massima velocità di raffreddamento riportato in una persona che era stata completamente sepolta
da una valanga è stata di 9° C ( 48 ° F ). Con un tempo di sepoltura di meno di 35 minuti, il pericolo di
vita per l'ipotermia è improbabile a causa del tempo di raffreddamento insufficiente, quindi in caso di
assenza di segni vitali la causa deve essere attribuita al trauma e/o all’emorragia. Se il tempo di
sepoltura supera i 35 minuti, se le vie aeree sono ostruite dalla neve, e il paziente è asistolico, l’ipossia
ha probabilmente preceduto l’ipotermia ed è improbabile che la RCP sia di beneficio. Tuttavia, se il
tempo di seppellimento è più lungo di 35 minuti e le vie aeree non sono ostruite, l’ipotermia grave
deve essere sospettata, come causa di assenza dei segni vitali, e il paziente deve essere trattato di
conseguenza. Per stimare il tempo di seppellimento (se è sconosciuto) può essere utilizzata la
temperatura centrale, perchè una temperatura inferiore a 32 ° C [ 90 ° F ] correla con un tempo di
seppellimento maggiore di 35 minuti.
La rianimazione delle persone
c h e s o n o a n n e g a te i n a c q u a
fredda può avere un risultato
migliore rispetto a quelle
immerse in acqua calda. Se la
storia del paziente indica
immersione in acqua fredda,
(cioè, il corpo è stato esposto ad
acqua fredda, ma il paziente
poteva respirare ) è probabile
che il corpo si sia raffreddato
prima della comparsa di ipossia,
!
e arresto cardiaco (fase HT IV), in questo caso può essere possibile la sopravvivenza senza disturbi
neurologici e la rianimazione dovrebbe continuare. Se la storia indica l'annegamento in acqua fredda
(cioè, il corpo è stato esposto ad acqua fredda, e il paziente non era in grado di respirare) prima del
raffreddamento, il risultato può essere negativo.
La temperatura corporea più bassa riportata in pazienti con il pieno recupero neurologico, sono
leggermente inferiori a 14 ° C ( 57 ° F) in un caso di ipotermia accidentale e 9 ° C ( 48 °F) in un caso di
ipotermia indotta . Una survey in pazienti con stadio IV ipotermia ha mostrato che l'insufficienza
d'organo (MOF) era comune 24 ore dopo il ricovero, con l’edema polmonare come causa più comune
di morte. I pazienti con ipotermia primaria e stabilità cardiaca che sono stati trattati con rewarming
esterno attivo e mini-invasivo, hanno un tasso di sopravvivenza neurologicamente intatta del il 100%,
mentre per i pazienti con arresto cardiaco trattati con rewarming extracorporeo, il rate scende al
50%. Questo dato dimostra come il recupero completo possa essere possibile se l'ipossia non ha
preceduto l'ipotermia e senza gravi malattie preesistenti o traumi concomitanti.
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8. Strumenti per prevenire, misurare e
trattare l’ipotermia: un’indagine nei servizi
pre-ospedalieri norvegesi.
Sintesi a cura di Cpse Salvatore
Lanzarone, Cpse Ivan Bufalo,
Torino
Equipment to prevent,
diagnose, and treat
hypothermia: a survey
of Norwegian prehospital services
Abstract
Introduction: Hypothermia is associated with increased morbidity and mortality in trauma patients and poses a
challenge in pre-hospital treatment. The aim of this study was to identify equipment to prevent, diagnose, and treat
hypothermia in Norwegian pre-hospital services.
Method: In the period of April-August 2011, we conducted a survey of 42 respondents representing a total of 543
pre-hospital units, which included all the national ground ambulance services, the fixed wing and helicopter air
ambulance service, and the national search and rescue service. The survey explored available insulation materials,
active warming devices, and the presence of protocols describing wrapping methods, temperature monitoring, and
the use of warm i.v. fluids.
Results: Throughout the services, hospital duvets, cotton blankets and plastic “bubble-wrap” were the most
common insulation materials. Active warming devices were to a small degree available in vehicle ambulances (14%)
and the fixed wing ambulance service (44%) but were more common in the helicopter services (58-70%). Suitable
thermometers for diagnosing hypothermia were lacking in the vehicle ambulance services (12%). Protocols
describing how to insulate patients were present for 73% of vehicle ambulances and 70% of Search and Rescue
helicopters. The minority of Helicopter Emergency Medical Services (42%) and Fixed Wing (22%) units was reported
to have such protocols.
Conclusion: The most common equipment types to treat and prevent hypothermia in Norwegian pre-hospital
services are duvets, plastic “bubble wrap”, and cotton blankets. Active external heating devices and suitable
thermometers are not available in most vehicle ambulance units.
Karlsen et al. Scand J Trauma
Resus 2013, 21:63
Introduzione I pazienti vittime di trauma disperdono
temperatura sul luogo dell’evento, durante il trasporto e nel
dipartimento di emergenza. Studi condotti in USA e Australia mostrano, nel traumatizzato,
un’incidenza di ipotermia che varia dall’1,6% al 15,7% in relazione alla severità della lesione.
L’ipotermia si verifica in più del 40% dei pazienti traumatizzati che presentano anche segni di
ipoperfusione. Le conoscenze relative alla gestione dell’ipotermia in questa tipologia di paziente, con
specifico riferimento alla fase pre-ospedaliera, sono limitate e necessitano di ulteriori
approfondimenti.
Obiettivo Identificare gli strumenti disponibili per la prevenzione, trattamento e misurazione
dell’ipotermia nei pazienti traumatizzati nei servizi pre-ospedalieri norvegesi.
Metodi Nel periodo Aprile-Agosto 2011 sono state condotte interviste telefoniche strutturate ai
referenti delle postazioni di soccorso extra-ospedaliero, sia terrestri sia aeree, di tutto il territorio
nazionale norvegese. È stata indagata la presenza e l’utilizzo dei seguenti elementi:
! Sistemi d’isolamento termico
! Attrezzature per riscaldamento attivo
! Protocolli per l’isolamento termico
! Termometri per pazienti ipotermici (temperatura ≤32°C)
! Sedi anatomiche più comunemente utilizzate per il monitoraggio
! Sistemi per pre-riscaldare i fluidi
! Sistemi per scaldare i fluidi durante la loro somministrazione
Risultati Hanno risposto il 100% dei referenti coinvolti per un totale di 42 rispondenti. I sistemi
d’isolamento maggiormente presenti sono risultati esseri i piumoni, le coperte di cotone e i materiali
in plastica “a bolle”. Il 43% ha risposto che sono presenti sistemi di riscaldamento attivi e tra questi il
più rappresentato è l’applicazione di compresse riscaldate ad attivazione chimica. La presenza di
protocolli per l’isolamento termico del paziente variava dal 73% dei servizi di ambulanza terrestri al
22% dei servizi aerei passando per il 42% dell’elisoccorso. Tutti i servizi di soccorso aerei erano
provvisti di termometri per ipotermia, contrariamente a quanto emerso nei soccorsi di terra (12%). I
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siti anatomici maggiormente utilizzati per la misurazione sono stati quelli rettale, esofageo e
timpanico. I fluidi pre- riscaldati erano disponibili nella maggior parte delle sedi con l’eccezione dei
servizi su aereo. Il riscaldamento dei fluidi durante la somministrazione era disponibile in un limitato
numero di casi (0-20%).
Limiti L’indagine ha raggiunto il 100% delle unità di soccorso norvegese. Tuttavia le interviste
strutturate utilizzate non erano scevre da errori sistematici. Da un lato infatti gli intervistati potevano
fornire risposte imprecise o sbilanciate a favore della propria sede di appartenenza. Dall’altro lato
l’intervistatore con il proprio comportamento poteva inconsciamente influenzare le risposte.
Conclusioni I sistemi di riscaldamento attivi e i termometri per pazienti ipotermici sono risultati
disponibili in un numero limitato di servizi di ambulanza di terra. Questi dati potrebbero riflettere la
mancanza di un consenso sulle migliori pratiche relative a prevenzione e trattamento dell’ipotermia
nel paziente traumatizzato nella fase pre-ospedaliera.
9. Gli effetti del riscaldamento attivo
nell’assistenza pre-ospedaliera del trauma,
durante il trasporto in ambulanza e in
elicottero – trial clinico randomizzato.
Sintesi a cura di Cpsi M.
Cristina Aguiari, Cpse
Alessandra Barale, Cpse
Roberta Ferro, Torino
The effect of active
warming in
prehospital trauma
care during road and
air ambulance
transportation - a
clinical randomized
trial
Lundgren et al. Scand J Trauma
Resus 2011, 19:59
Abstract
Background: Prevention and treatment of hypothermia by active warming in prehospital trauma care is
recommended but scientifical evidence of its effectiveness in a clinical setting is scarce. The objective of this study
was to evaluate the effect of additional active warming during road or air ambulance transportation of trauma
patients.
Methods: Patients were assigned to either passive warming with blankets or passive warming with blankets with
the addition of an active warming intervention using a large chemical heat pad applied to the upper torso. Ear
canal temperature, subjective sensation of cold discomfort and vital signs were monitored.
Results: Mean core temperatures increased from 35.1°C (95% CI; 34.7-35.5°C) to 36.0°C (95% CI; 35.7-36.3°C) (p <
0.05) in patients assigned to passive warming only (n = 22) and from 35.6°C (95% CI; 35.2-36.0°C) to 36.4°C (95% CI;
36.1-36.7°C) (p < 0.05) in patients assigned to additional active warming (n = 26) with no significant differences
between the groups. Cold discomfort decreased in 2/3 of patients assigned to passive warming only and in all
patients assigned to additional active warming, the difference in cold discomfort change being statistically
significant (p < 0.05). Patients assigned to additional active warming also presented a statistically significant
decrease in heart rate and respiratory frequency (p < 0.05).
Conclusions: In mildly hypothermic trauma patients, with preserved shivering capacity, adequate passive warming
is an effective treatment to establish a slow rewarming rate and to reduce cold discomfort during prehospital
transportation. However, the addition of active warming using a chemical heat pad applied to the torso will
significantly improve thermal comfort even further and might also reduce the cold induced stress response.
Trial Registration: ClinicalTrials.gov: NCT01400152
Keywords: hypothermia, body temperature regulation, thermal comfort, active warming, passive warming, prehospital trauma care, emergency medical services (EMS)
Introduzione La prevenzione e il trattamento dell’ipotermia
attra verso il riscaldamento attivo nell’assistenza preospedaliera del trauma è raccomandato, ma la sua efficacia in
ambito clinico non è sostenuta da sufficienti evidenze
scientifiche. Obiettivo Valutare l’effetto di un riscaldamento attivo aggiuntivo durante il trasporto extraospedaliero, in ambulanza o in elicottero, dei pazienti traumatizzati.
Metodi Lo studio è un trial clinico randomizzato condotto da Dicembre 2007 a Maggio 2010.
L’ambito preso in esame è quello extra-ospedaliero concernente il paziente traumatizzato.
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I criteri di inclusione sono: età ≥18, presenza di trauma, GCS 15, durata del trasporto >10 minuti,
attesa dei soccorsi all’esterno senza aver ricevuto altri trattamenti per il riscaldamento, sensazione di
malessere da ipotermia ≥2.
I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi:
! pazienti trattati con riscaldamento passivo utilizzando solamente coperte (trattamento standard).
Dispositivi usati: coperte in polistere, di lana e miste.
! pazienti trattati sia con riscaldamento passivo con coperte sia con riscaldamento attivo,
utilizzando compresse riscaldate ad attivazione chimica, applicate sulla parte superiore del
torace. Dispositivi usati: compresse riscaldate ad attivazione chimica; applicate sul torace
anteriormente, non a contatto diretto con la pelle, raggiungono i 50° in 2 minuti, devono essere
sostituite ogni 30 minuti.
Analisi Per ogni paziente sono stati misurati e monitorizzati:
! La temperatura corporea rilevata con sonda timpanica, (se la sonda viene isolata in maniera
adeguata dall’ambiente esterno, può essere utilizzata anche con temperature esterne al di sotto
dello zero, e la temperatura interna del corpo rilevata rappresenta uno dei metodi non invasivi
più accurati). Il valore è stato monitorizzato per tutta la durata del trasporto con un sensore
timpanico collegato a un monitor.
! Il disagio del paziente da ipotermia è stato monitorato usando una scala di valutazione numerica,
che va da 0 a 10, dove 0 indica nessuna sensazione di freddo, e 10 indica una percezione del
freddo insopportabile.
! Parametri vitali utilizzando gli strumenti standard. Questi dati sono stati registrati ogni 30
minuti fino all’arrivo in ospedale.
! Altre informazioni: tempo intercorso tra l’ora del trauma e l’arrivo dei mezzi di soccorso, durata
dell’intervento, durata del trasporto, temperatura esterna, velocità del vento, temperatura interna
del mezzo di soccorso, caratteristiche del paziente e dell’abbigliamento, il tipo e numero di
coperte utilizzate, immobilizzazione e somministrazione di liquidi e farmaci E.V. riscaldati.
Risultati Sono stati arruolati nello studio 51 pazienti (3 esclusi a posteriori), quindi 48 totali (19
maschi e 29 femmine). L’RTS (Revised Trauma Score) medio era di 7,83 (range 7,55-7,84). 22 pazienti
sono stati allocati nel gruppo 1 e 26 nel gruppo 2.
Nessuna differenza significativa tra i due gruppi in merito a caratteristiche demografiche o
morfologiche.
La temperatura esterna media sulla scena era di -4 °C (DS ±7°C); il tempo medio tra l’ora del trauma e
l’ora in cui il paziente è stato caricato sul mezzo (esposizione al freddo) era di 73 minuti (DS±53
minuti).
Nessuna differenza significativa è stata riscontrata tra i due gruppi.
La temperatura media all’interno del mezzo di soccorso durante il trasporto era di 20°C (DS± 3°C) e il
numero medio di coperte utilizzate era di 2.5 (DS± 1.1) senza differenze significative.
Nessuna differenza significativa si è evidenziata tra i due gr uppi in merito a: spessore
dell’abbigliamento e umidità, estensione dell’esposizione, l’incidenza dell’immobilizzazione di tutto il
corpo, quantità di liquidi EV somministrata o incidenza di somministrazione di sedativi o oppioidi
EV durante il trasporto.
Discussione Nel corso dei primi 30 minuti di trasporto pre-ospedaliera, sia i pazienti che hanno
ricevuto solo il riscaldamento passivo, sia i pazienti che hanno ricevuto il riscaldamento passivo con
l'aggiunta del riscaldamento attivo, hanno presentato un aumento statisticamente significativo della
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temperatura corporea e un miglioramento del disagio dovuto all’ipotermia
Tuttavia nel primo gruppo solo i 2/3 dei pazienti hanno mostrato una diminuzione del disagio, mentre
nel secondo gruppo tutti i pazienti. Questa differenza è motivabile grazie ai benefici delle compresse
riscaldate in relazione al comfort del paziente: infatti tali dispositivi combinano la riduzione dei
brividi da termogenesi con l’aumento della temperatura della pelle. La presenza di brividi non è stata
monitorata direttamente, ma la riduzione dello stress da freddo è stata misurata con una piccola, ma
significativa, diminuzione della frequenza respiratoria e cardiaca nei pazienti del gruppo 1, mentre
tale diminuzione non è stata registrata nel gruppo 2.
Nei pazienti con TC di 35°C e senza brivido, un adeguato riscaldamento passivo è un trattamento
efficace per prevenire l’after-drop, assicurare un riscaldamento regolare e ridurre il disagio. Tuttavia
l’utilizzo di sistemi attivi ha effetti benefici nell’aumento del comfort, e comporta una piccola
riduzione dello stress indotto da ipotermia.
Limiti Altri parametri come il consumo di ossigeno (come misura del brivido) e temperatura della
cute, potrebbero essere importanti e utili come indicatori di stress da ipotermia. Inoltre è necessario
considerare che pochi sono i trial clinici pubblicati in letteratura e presentano risultati discordanti. Traumi differenti, modalità di riscaldamento diversi e differenti quantità di riscaldamento passivo
potrebbero spiegare risultati diversi nei vari studi. Conclusioni Nei traumi con ipotermia moderata, un riscaldamento passivo adeguato è un
trattamento efficace per ottenere un lento grado di riscaldamento, e per ridurre il disagio da
ipotermia durante il trasporto pre-ospedaliero. Tuttavia, sistemi per riscaldamento attivo (quali le
compresse riscaldate ad attivazione chimica applicate sul torace) aumentano significativamente il
comfort del paziente e potrebbero ridurre ulteriormente anche lo stress da ipotermia.
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A cura di Dott.sa Simona Frigerio, Torino
Commento art. 7,8,9
Analizzando la letteratura relativa alla gestione dell’ipotermia accidentale nel trauma, a parte la
gestione dei fluidi, tre sono gli elementi di cui è necessario tenere conto: la tipologia dei sistemi
di riscaldamento attivi utilizzati nella fase pre-ospedaliera, nella fase ospedaliera e i sistemi di
rilevazione della temperatura.
Non sono disponibili, allo stato attuale, indicazioni precise sulla base di evidenze forti, a
sostegno di pratiche che utilizzano specifici sistemi di monitoraggio o di riscaldamento; la cui
scelta è comunque strettamente dipendente dal tipo di lesioni e dalle attrezzature disponibili. Se
in letteratura esistono numerosi studi relativi all’ipotermia terapeutica o all’ipotermia
accidentale nel peri-operatorio, lo stesso non può dirsi per l’ ipotermia accidentale nel trauma
maggiore soprattutto per la difficoltà a condurre studi su una tipologia di paziente estremamente
variabile. In ogni caso non si può però prescindere dalla monitorizzazione della temperatura e dal relativo
trattamento dell’ipotermia anche attraverso l’azione combinata di più sistemi simultaneamente
applicati al paziente. La gestione di questa condizione deve avvenire all’interno della rete del soccorso avanzato e
quindi prevedere un’integrazione tra il trattamento extra e intra-ospedaliero
A partire dalle indicazioni proposte nella Review diventa necessario identificare i migliori
sistemi di trattamento, tenendo conto della tipologia di trauma che accede negli specifici
contesti e delle risorse disponibili al fine di dare la migliore risposta al paziente. Non sempre, in
effetti, in tutti i contesti può essere disponibile il trattamento gold-standard. Se è vero che l'
ECMO è considerata la migliore risposta all'ipotermia severa, è altrettanto vero che tale
tecnologia è disponibile solamente in specifici contesti. Diventa quindi determinante, nel gestire
al meglio il paziente affetto da trauma maggiore con associata ipotermia moderata/severa,
dotarsi di altri sistemi, che se pur meno efficaci, possono comunque fornire al paziente una
risposta adeguata una volta applicati sinergicamente. In questo senso sono valide alternative i
sistemi di riscaldamento attivi interni (l’emodialisi, i lavaggi vescicali, gastrici e pleurici,
l’infusione di liquidi e/o emoderivati scaldati a 38-42° C) combinati a quelli attivi esterni (primo
fra tutti il riscaldamento ad aria forzata). Inoltre è necessario tenere conto che tutti i sistemi di
riscaldamento invasivi endo-vascolari presentano un elevatissimo rischio di complicanze
emorragiche e trombotiche
L'infermiere che lavora in contesti di cui sopra deve possedere le competenze necessarie per
rispondere al problema ipotermia. Deve conoscere i migliori sistemi di monitoraggio in
genere)ma soprattutto riferirli alla tipologia di pazienti di cui si occupa (ciò che va bene per un
paziente potrebbe non funzionare per un altro) e le diverse possibilità di trattamento
dell'ipotermia esistenti nel contesto. Solo in questo modo può garantire, nell’ambito della
gestione dell’ipotermia, la corretta esecuzione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche e, in
completa autonomia, l’utilizzo appropriato dei sistemi di riscaldamento.
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10. Trattamento iniziale dell’ustionato: che
impatto ha la valutazione errata della
superficie ustionata?
Sintesi a cura di Dott.ssa Nadia
Depetris, Torino
abstract
Introduction: Accurate estimation of burn size is of critical importance, as it is incorporated
in every resuscitation formula. The aim of this study was to investigate total burn surface
The potential impact
of wrong TBSA
estimations on fluid
resuscitation in
patients suffering
from burns: things to
keep in mind
area (TBSA) accuracy among burn specialists, evaluate the potential impact of incorrect
evaluation on variations of resultant fluid resuscitation volumes and to discuss future
possibilities to estimate or measure TBSA more precisely.
Methods: In a poll during two international burn meetings in 2010 and 2011 demonstrating
three pictures of patients with different burn wound patterns and sizes we asked participants to estimate the total surface area burned in percentages. We then calculated resultant
fluid volume differences based on established resuscitation formulas.
Results: In the polled 80 participants, the estimations for three patients demonstrated the
following differences (DIF = MAX ÿ MIN): for patient 1, 2 and 3 they were 22.5 (25–2.5), 16.5
(20–3.5) and 31.5 (40–8.5) %TBSA, respectively. Based on these differences we calculated the
volume differences for patients 1,2 and 3, which were 1080 ml (Cincinnati Formula), 5280 ml
(Parkland Formula) and 2016 ml (Cincinnati Formula), respectively.
Conclusions: The analysis showed high deviations of total body surface area among partici-
Par vizi et al. Burns 2014, 40,
241-5
pants, also resulting in large variations of initial fluid resuscitation volumes. One option to
address estimation variances is to perform more accurate assessments; also incorporating new
technologies aiding to improve the quality of body surface estimations and related decisions.
# 2013 Elsevier Ltd and ISBI. All rights reserved.
Introduzione Nelle primissime
ore dopo il trauma il grande ustionato è caratterizzato da un marcato aumento della permeabilità
capillare, che, unitamente ad altre alterazioni fisiopatologiche, determinano uno stato di shock
emodinamico dalla gestione molto complessa. Una insufficiente infusione di liquidi nelle prime ore era in passato la principale causa di morte
dell’ustionato. Attualmente è invece il problema opposto, una eccessiva infusione di liquidi, a
complicare il trattamento precoce dell’ustionato. Il fenomeno, noto come “fluid creep”, causa
complicanze quali aumento della pressione addominale, della sindrome compartimentale degli arti e
un deterioramento degli scambi respiratori. Complicanze a lungo termine del fluid creep sono il
prolungarsi della ventilazione meccanica, del ricovero in terapia intensiva e un aumento della
morbilità e della mortalità. Negli ultimi anni si è assistito ad una presa di coscienza del problema e molte formule sono state
proposte in alternativa alla classica formula di Parkland, che rimane comunque, nella sua forma
rivisitata (2-4ml X Kg X TBSA) quella maggiormente utilizzata.
Qualunque sia la formula impiegata, l’elemento chiave nella stima della velocità infusionale iniziale
rimane la stima della superficie corporea ustionata (TBSA).
Abbreviazioni utilizzate nel testo: TBSA (Total Body Surface Area), BSA (Body Surface Area).
Obiettivo Valutare quanto la stima della TBSA sia operatore dipendente e quanto questo influisca
sul trattamento iniziale del paziente ustionato.
Metodi ! Raccolta dati
• Gli autori hanno realizzato una survey distribuendo a personale medico ed infermieristico
esperto nel trattamento delle ustioni immagini di pazienti ustionati e chiedendo loro di
stimare per ogni immagine la TBSA.
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• Le immagini rappresentavano tre diversi pazienti ustionati. Il primo paziente (maschio, 2
anni, 12kg) presentava molteplici piccole aree di ustione, il secondo (maschio, 35 anni, 80kg)
un’unica grande area del corpo ustionata, mentre il terzo (femmina, 4 anni, 16kg) presentava
un’area ustionata grande più numerose piccole aree.
! Analisi
• Sono state registrate la professione degli intervistati (medici strutturati, medici in formazione,
infermieri) e il metodo utilizzato per la stima della TBSA (regola del 9, regola del palmo,
schema di Lund-Browder, altro).
• Per ogni paziente ustionato è stata calcolata la media delle TBSA stimate DS, la minima TBSA
stimata e la massima TBSA stimata.
• Sulla base di tali dati è stata calcolato il volume di fluidi per le prime 24h di trattamento
utilizzando le formule più correntemente applicate:
- Per gli adulti: Formula di Parkland modificata 2-4ml X Kg X TBSA
- Per i bambini: Formula di Cincinnati (4 ml/kg/% TBSA + 1500 ml/m2 BSA) e Formula di Galveston (5000 ml/m2 TBSA + 2000 ml/m2 BSA)
Risultati Hanno partecipato alla survey 80 professionisti esperti nel trattamento delle ustioni (32
medici strutturati, 27 medici in formazione e 21 infermieri).
Il metodo utilizzato nella stima della TBSA è stato per la maggior parte degli intervistati la regola del
9 (38%), seguito dalla regola del palmo (37%) e dallo schema di Lund-Browder (18%). Nel restante 8%
i partecipanti dichiaravano di aver utilizzato “altri metodi”.
! Paziente 1 (maschio, 2 anni, 12kg, molte piccole aree di ustione): TBSA media 8.4 4.4, minima
TBSA stimata 2.5, massima TBSA stimata 25, volume minimo di fluidi 930ml, volume massimo di
fluidi 2010ml
! Paziente 2 (maschio, 35 anni, 80kg, una sola grande area ustionata): TBSA media 7.9 2.8, minima
TBSA stimata 3.5, massima TBSA stimata 20, volume minimo di fluidi 560ml, volume massimo di
fluidi 6400ml
! Paziente 3 (femmina, 4 anni, 16kg, un’area di ustione grande più altre piccole aree): TBSA media
19.1 6.6, minima TBSA stimata 8.5, massima TBSA stimata 40 , volume minimo di fluidi 1549ml,
volume massimo di fluidi 3565ml
Discussione La stima della TBSA è l’elemento chiave, integrato in tutte le formule correntemente
utilizzate, per stabilire se un ustionato deve essere trasferito presso un Centro Ustioni e per decidere
la velocità infusionale iniziale di cui abbisogna. La survey, realizzata coinvolgendo personale medico e infermieristico esperto nel trattamento delle
ustioni, ha evidenziato una grande variabilità interindividuale nello stimare la TBSA, con un notevole
impatto sull’ammontare dei liquidi infusi al paziente nelle prime 24hh. Una errata valutazione della TBSA conduce a sottostimare la necessità di fluidi (under-resuscitation) o
al contrario a sovrastimarla (over-resuscitation), con importanti conseguenze cliniche per il paziente,
quali aumento della pressione addominale, sindrome compartimentale agli arti e deterioramento degli
scambi respiratori (fenomeno noto come “fluid creep”).
Altri studi sono giunti alla medesima conclusione: la valutazione della TBSA è operatore dipendente. Gli autori vedono come possibile soluzione l’introduzione di metodi oggettivi, non operatore
dipendenti, quali quelli basati sulle moderne tecnologie (acquisizione delle immagini delle lesioni,
loro elaborazione virtuale e successivo calcolo informatico della TBSA), per portare ad una stima più
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precisa ed accurata della TBSA e di conseguenza della terapia infusionale iniziale dell’ustionato.
A cura di Dott.ssa Nadia Depetris, Torino
Commento art. 10
La survey presentata pone l’accento su quanto sia importante la terapia del paziente grande
ustionato fin dalle sue primissime fasi e su quanto essa sia complessa e fonte di errori persino tra
personale esperto.
Molti professionisti (medici, chirurghi, anestesisti e infermieri) devono occasionalmente prestare
soccorso a pazienti grandi ustionati. Il primo trattamento dell’ustionato è fondamentale per
garantire la sopravvivenza del paziente e la sua successiva qualità di vita. Molte sono le domande. Abbiamo provato a rispondere ad alcune sulla base della letteratura. 11. Domande e risposte:
La terapia infusionale dell’ustionato nelle
prime ore dal trauma.
A cura di Dott.ssa Nadia
Depetris, Torino
Bibliografia di
riferimento.
Pham et al. J)Burn)Care
Res.)2008, 29(1):257-66
EBA (European Burn
Association). European
Practice Guidelines for Burn
Care Second Edition, 2013
ABLS (Advance Burn Life
Support) Course 2011
Qual è l’obiettivo terapeutico della fluidoterapia nelle
fasi precoci del grande ustionato?
Una corretta fluidoterapia nelle prime fasi del trattamento è
fondamentale per la sopravvivenza del paziente grande
ustionato. Il suo obiettivo è quello di contrastare gli effetti del
burn shock (lo stato di shock ipovolemico non emorragico che
caratterizza il paziente grande ustionato nelle prime fasi del
suo decorso clinico) mantenendo un’adeguata perfusione
d’organo, evitando però allo stesso tempo le complicanze di un
eccesso di liquidi. Questo si ottiene infondendo i liquidi necessari per garantire la
perfusione d’organo, ma riducendoli al minimo indispensabile.
Nè troppo nè troppo poco.
Quali sono le complicanze di una fluidoterapia non
corretta?
Possiamo distinguere due classi fondamentali di complicanze, a seconda che siano stati infusi troppi
liquidi (over-resuscitation) o troppo pochi (under-resuscitation).
Over-resuscitation
Le complicanze di un eccesso di liquido nelle prime ore dall’ustione sono legate all’edema che si
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forma nei tessuti ustionati, ma anche in quelli sani. Ricordiamo che quando l’ustione coinvolge più del 15-20% della superficie corporea le alterazioni
della permeabilità capillare, che caratterizzano i tessuti ustionati, si estendono a tutti i tessuti del
corpo del paziente. L’edema andrà quindi a coinvolgere tutti i distretti corporei, anche quelli in
origine non ustionati. Somministrare un eccesso di liquido nelle prime ore esacerberà la formazione di edema, fenomeno
indicato in letteratura con il termine “fluid creep”. Il fluid creep comporta spesso un approfondirsi delle ustioni, a seguito di una alterazione del flusso
ematico locale e di un insufficiente apporto nutritivo ai tessuti, ma non solo. Il fluid creep provoca
anche un aumento della pressione addominale, delle sindromi compartimentali agli arti, un
deterioramento degli scambi respiratori.
Under-resuscitation
Al contrario, se sono somministrati al paziente troppo pochi liquidi si assiste ad un esacerbarsi del
burn shock, con conseguente insufficienza multiorgano, tipicamente insufficienza renale, che è in
genere la prima a manifestarsi.
Gestione preospedaliera dell’ustionato: Quanti accessi venosi? Quale liquido utilizzare?
Quanto infondere?
Nelle primissime fasi di trattamento, in ambito extra-ospedaliero, ma anche in ambito intraospedaliero (soprattutto se si tratta di un centro non esperto nel trattamento del paziente grande
ustionato) si può ricorrere a queste semplici raccomandazioni:
! un accesso venoso periferico di grosso calibro (2 se stimiamo che la superficie corporea ustionata
sia superiore al 30%) ! qualora non sia possibile posizionare i cateteri venosi su cute sana (cosa che resta comunque
preferibile) si possono posizionare gli accessi venosi anche su cute ustionata
! utilizzare Ringer Lattato (LR)
! somministrare per bambini di 5 anni o più piccoli: 125 ml all’ora
per bambini dai 6 ai 13 anni: 250 ml all’ora
per adulti o ragazzi sopra i 14 anni: 500 ml all’ora
Come stimare la velocità infusionale iniziale? La velocità infusionale iniziale dipende dal peso del paziente e dalla stima della TBSA (Total Burn
Surface Area). Il peso del paziente può essere stimato, ottenuto mediante pesa del paziente, oppure direttamente
chiesto al paziente (se cosciente) o ai familiari. La TBSA può essere calcolata in vari modi, i più correntemente utilizzati sono la regola del 9 oppure
gli schemi corporei preparati ad hoc. In ogni caso è importante ricordare che la TBSA è stimata
considerando solo le ustioni di secondo o terzo grado, non quelle di primo grado.
La formula al momento consigliata sia dall’ABA (American Burn Association) sia dall’EBA (European
Burn Association) per il calcolo dei liquidi da infondere all’ustionato nelle prime 24 ore è la formula di
Parkland rivisitata: 2 ml LR x peso del paziente in kg x TBSA.
Questa formula deriva da quella precedentemente in uso e detta “di Parkland” (4 ml LR x Kg X
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TBSA). La formula di Parkland è stata modifica proprio in seguito alla presa di coscienza del
fenomeno del fluid creep, per cercare di limitare la tendenza a somministrare un eccesso di liquidi
nella prima giornata del paziente ustionato.
Applicando la formula si ottiene il volume di fluidi da somministrare nelle prime 24 ore dall’ustione, il
totale va poi diviso a metà:
La prima metà deve essere somministrata nelle prime 8 ore
La seconda metà nelle successive 16 ore. Esempio pratico:
Paziente adulto, peso 70kg, TBSA stimata 50%.
2 ml LR x 70 (kg) x 50 (% TBSA) = 7,000 ml LR nelle prime 24 ore.
7000 ml/2= 3500 ml (prima metà) da infondere nelle prime 8 ore.
3500 ml/8 = 437 ml/ora Velocità infusionale nelle prime 8 ore
Quali pazienti richiedono un diverso trattamento? Come trattarli?
La formula di Parkland rivisitata deve essere applicata ai pazienti ustionati adulti che non presentino
lesioni associate.
Per i bambini che pesano meno di 40kg si usa la seguente formula: 3 ml LR x peso x % TBSA
Ricordando di somministrare al bambino anche fluidi di mantenimento (tipicamente glucosata) al fine
di evitare ipoglicemia, cui essi sono proni per le loro caratteristiche metaboliche.
Per gli adulti che abbiano subito elettrocuzione, che si presentino con importante danno da
inalazione, e in tutti quelli a rischio di crush syndrome (politraumatismo associato, ustioni molto
profonde, ritardo nei soccorsi, etc) si usa invece la seguente formula:
4 ml LR x peso x % TBSA.
Come valutare l’adeguatezza del riempimento? Come modificare la velocità infusionale se
questa sembra non adeguata?
Ogni paziente reagisce in modo diverso al trauma da ustione e all’infusione di liquidi. E’ importante
ricordare che il calcolo dell’ammontare dei liquidi da infondere nelle prime 24 ore è solo una stima
delle necessità del paziente, non un dictat assoluto. Una corretta terapia infusionale nelle fasi precoci dell’ustione parte sì dalla velocità infusionale
ottenuta con la formula, ma viene successivamente modificata sulla base dei parametri vitali del
paziente.
Il paziente deve essere strettamente monitorizzato al fine di capire se stiamo infondendo il giusto
ammontare di liquidi, ovvero se stiamo garantendo la sua perfusione d’organo. Stato di coscienza (se il paziente non è sedato), pressione arteriosa, frequenza cardiaca sono i
parametri di base, da monitorare in continuo. Monitoraggi più invasivi possono aiutare, ma non ci
sono ancora dati univoci sul loro impiego nelle fasi precoci. Il parametro che le attuali linee guida
suggeriscono come fondamentale per la verifica dell’adeguatezza della terapia infusionale
nell’ustionato nelle primissime fasi è la diuresi raccolta mediante catetere vescicale. La diuresi target è
di 0,5ml/kg/ora nell’adulto, basandosi sul peso ideale del paziente (circa 30-50ml/ora). Se la diuresi si
discosta da questo target per più di due ore consecutive la velocità infusionale deve essere modificata.
Se la diuresi è minore di 0,5ml/kg/ora la velocità infusionale deve essere aumentata di 1/3. Se la diuresi
è maggiore di 0,5ml/kg/ora la velocità infusionale deve essere ridotta di 1/3. Questo vale in paziente che non abbiano problemi renali preesistenti e nei quali non siano stati
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somministrati diuretici. Il target urinario si modifica nei bambini (1 ml/kg/ora nel bambino che pesi meno di 40kg), nei
pazienti che hanno subito elettrocuzione, politraumatismi associati e in tutti quelli che presentino
emoglobinuria. In questi casi, al fine di evitare i rischi della crush syndrome, la diuresi target è di
1-1,5ml/kg/ora.
12. Le medicazioni emostatiche avanzate
non sono superiori alla semplice garza negli
scenari sotto fuoco nemico.
Sintesi a cura di Dott. Alberto
Adduci, Torino
Advanced Hemostatic
Dressings Are Not
Superior to Gauze for
Care Under Fire
Scenarios
Watters et al. J TRAUMA, 2011,
70, 6, 1413-9
Background: Advanced hemostatic dressings perform superior to standard
gauze (SG) in animal hemorrhage models but require 2 minutes to 5 minutes
application time, which is not feasible on the battlefield.
Methods: Twenty-four swine received a femoral artery injury, 30 seconds
uncontrolled hemorrhage and randomization to packing with SG, Combat
Gauze (CG), or Celox Gauze (XG) without external pressure. Animals were
resuscitated to baseline mean arterial pressures with lactated Ringers and
monitored for 120 minutes. Physiologic and coagulation parameters were
collected throughout. Dressing failure was defined as overt bleeding outside
the wound cavity. Tissues were collected for histologic and ultrastructural
studies.
Results: All animals survived to study end. There were no differences in
baseline physiologic or coagulation parameters or in dressing success rate
(SG: 8/8, CG: 4/8, XG: 6/8) or blood loss between groups (SG: 260 mL, CG:
374 mL, XG: 204 mL; p . 0.3). SG (40 seconds 6 0.9 seconds) packed
significantly faster than either the CG (52 6 2.0) or XG (59 6 1.9). At 120
minutes, all groups had a significantly shorter time to clot formation com( , 0.01). At 30 minutes, the XG animals had shorter
pared with baselinee (p
( , 0.05). All histology
time to clot compared with SG and CG animals (p
sections had mild intimal and medial edema. No inflammation, necrosis, or
deposition of dressing particles in vessel walls was observed. No histologic
or ultrastructural differences were found between the study dressings.
Conclusions: Advanced hemostatic dressings do not perform better than
conventional gauze in an injury and application model similar to a care under
fire scenario.
Key Words: Hemostatic dressing, Care under fire, Combat Gauze, Celox
Gauze, Hemorrhagic shock.
In t ro d u z i o n e No n o s t a n te t u t t i i
progressi nella gestione dei traumi e dei
dispositivi di protezione individuale quali
i giubbotti antiproiettile, l’emorragia
continua ad essere la principale causa di
morte evitabile per trauma sia in ambito
2011;70:
1413–1419)
((JJ Trauma. 20
2011;7
;70:
0: 1413
13–1419)
9)
civile che tra i feriti in azioni di guerra. Alcuni studi dimostrano che una
emorragia non comprimibile del tronco è
la causa principale di morte ma che anche l’emorragia comprimibile delle estremità contribuisce con
un numero significativo di morti potenzialmente evitabili.
Fornire assistenza sul campo di battaglia durante un combattimento, pone il sanitario e la vittima al
rischio costante di lesioni e morte. Inoltre, la responsabilità primaria anche del sanitario, in tale
contesto, può essere quella di garantire un fuoco di copertura, prima, durante e dopo il trattamento.
Per queste ragioni, il Committee on Tactical Combat Casualty Care raccomanda l'applicazione di un
tourniquet come metodo di controllo delle emorragie delle estremità negli scenari sotto il fuoco
nemico. L'emorragia da ferite in zone del corpo non trattabili col posizionamento di un tourniquet ma ancora
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aggredibili con la compressione, come inguine, collo o ascella, può essere trattata mediante
applicazione di medicazioni emostatiche avanzate. In effetti, molti studi pubblicati hanno
confrontato l'efficacia delle varie medicazioni emostatiche avanzate, reciprocamente tra loro e
rispetto alla garza standard (GS) su quelle lesioni vascolari comprimibili in cui i tourniquets non
possono essere applicati. Gli agenti emostatici disponibili sotto forma di garza medicata non producono gli stessi effetti
negativi locali e embolici dei prodotti sotto forma granulare precedentemente diffusi in commercio e
si sono dimostrati più efficaci della garza standard (GS) quando applicati ad una grave lesione
dell’inguine. Tuttavia, tutti richiedono tempi di applicazione prolungati (i produttori raccomandano
dai 2 ai 5 minuti di compressione), cosa che è semplicemente impraticabile negli scenari sotto il fuoco
nemico.
La CG è una medicazione sotto forma di garza arrotolata, flessibile, impregnata di caolino, una argilla
che attiva la coagulazione. La CG è attualmente la medicazione raccomandata dal Tactical Combat
Casualty Care (TCCC) quando i combattenti feriti raggiungono luoghi sicuri (ambiente tattico). La
CG è presente in ogni kit di primo soccorso di ogni soldato. La Celox Gauze (XG, SAM Medical Products, Wilsonville, OR) è una benda di tessuto non tessuto
ricoperto da fibre emostatiche derivate dal chitosano. Una formulazione in polvere dello stesso
prodotto emostatico a base di chitosano aveva dato buoni risultati in studi precedenti. Il Regno Unito
ha adottato la XG per i suoi soldati in Afghanistan. In questo studio, gli autori hanno cercato di comparare le medicazioni emostatiche avanzate CG e
XG rispetto alla garza standard (GS, Kerlix, Convidien, Mansfield, MA) applicate su una lesione
dell’arteria in sede inguinale in un suino, eliminando i tempi di compressione della medicazione dopo
l’applicazione sulla ferita. L'obiettivo di questo studio era di determinare se tali medicazioni avanzate
fossero superiori alla GS in un modello animale che riproduce il trattamento sotto il fuoco nemico. Materiali e metodi L’Institutional Animal Care and Use Committee at Oregon Health & Science
University ha approvato questo studio. Modello di emorragia: E’ stata eseguita una incisione standard di 8 cm all'inguine, con esposizione
dell'arteria femorale, evitando lesioni della vena femorale e del nervo. Gli animali sono stati
stabilizzati e l'arteria è stata poi immersa in lidocaina 2% per 1 minuto per ridurre al minimo il
vasospasmo; è stata quindi registrata una MAP basale. Usando un ago da biopsia di 6 mm si è creata
una lesione della parete laterale del vaso provocando una emorragia che è stata consentita fluire per
30 secondi. Quindi sono state applicate le medicazioni sottoposte a studio attraverso la pozza di
sangue, stipando la cavità il più rapidamente possibile. Quando la cavità non veniva riempita
completamente dalla medicazione, veniva sovrapposta una spugna laparotomica standard (Kendall,
Convidien, Mansfield, MA) e la compressione veniva esercitata per la quantità di tempo
predeterminata. Trascorso il tempo predeterminato, la compressione veniva rilasciata e si iniziava la
rianimazione con fluidi (Ringer lattato a 165 ml/min) per raggiungere e mantenere la MAP basale per
tutta la durata dello studio. Lo studio formale ha utilizzato lo stesso modello di lesione. Otto animali sono stati prerandomizati
per ricevere una delle tre medicazioni: CG, XG o GS. Gli esaminatori sono rimasti all'oscuro sul tipo
di medicazione da applicare fino a dopo la creazione della lesione dell'arteria femorale. Dopo
l'arteriotomia e 30 secondi di emorragia incontrollata, la medicazione randomizzata è stata applicata
attraverso la pozza di sangue nella ferita. Le medicazioni sono state applicate il più rapidamente
possibile e se la cavità della ferita non veniva riempita completamente dalla medicazione in studio,
veniva sovrapposta una pezza laparotomica chirurgica standard.
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Il medesimo sperimentatore (M.K.) ha effettuato le lesioni arteriose e applicato le medicazioni, per
ridurre al minimo le variabilità soggettive. Dopo l’impacchettamento della ferita, si è iniziata la
rianimazione con fluidi con Ringer lattato a 165 ml/min per raggiungere e mantenere la MAP basale
per tutta la durata dello studio. Le ferite sono state ispezionate e la medicazione definita insufficiente
in presenza di una pozza di sangue al di fuori della ferita. La perdita ematica è stata calcolata
valutando il sangue raccolto nei contenitori degli aspiratori e attraverso l’utilizzo di medicazioni
prepesate.
Gli animali sono stati monitorati per 120 minuti e gli animali sopravvissuti sono stati soppressi. Prima
della soppressione la medicazione in studio è stata accuratamente rimossa dalla ferita e la lesione
vascolare è stata esaminata alla ricerca di emorragia recidiva. Si è calcolato anche il grado di
imbibizione di sangue della medicazione. Tutte le ferite sono state ispezionate postmortem al fine di
garantire tipi simili di lesione. Sono stati eseguiti un TEG e altre indagini di laboratorio (EGA,
ematocrito e lattato) basali e dopo 30 e 120 minuti dalla lesione. I dati demografici di base, come
peso, valori MAP pre lesione, le perdite ematiche pretrattamento così come le perdite di sangue post
lesione, le perdite ematiche complessive, i liquidi somministrati per via endovenosa, la diuresi, il
successo della medicazione e la mortalità sono stati raccolti e confrontati. Sono stati prelevati
campioni delle medicazioni in studio e del vaso lesionato per l'analisi istologica. I campioni sono stati
analizzati anche dal punto di vista ultrastrutturale. Gli esiti primari per lo studio sono stati il successo
della medicazione e la perdita di sangue.
Risultati Otto animali sono stati randomizzati per ciascun gruppo di studio. Ogni gruppo aveva
simile peso, valori di MAP pre-lesione, ematocrito basale e volume di emorragia incontrollata per 30
secondi. Anche la perdita di sangue postlesione, la perdita complessiva totale di sangue e i fluidi
reinfusi durante la rianimazione erano simili nei due gruppi. Tutti gli animali sono sopravvissuti fino al
completamento dello studio. Non ci sono state differenze nel successo della medicazione. Anche se le
medicazioni CG e XG hanno fallito maggiormente, questo non ha raggiunto livelli di significatività.
Anche il tempo per dichiarare fallita la medicazione non si è dimostrato differente tra CG e XG. Le
medicazioni di GS sono state applicate più velocemente rispetto CG o XG, il cui tempo di
applicazione non differisce tra loro. Alla rimozione della medicazione, l'emorragia è ripresa nella
maggior parte delle ferite. I valori di laboratorio a fine studio sono risultati simili tra i gruppi. Il grado
di impregnazione di sangue nelle medicazioni è stato simile tra i gruppi. A 120 minuti, tutti i gruppi
avevano un tempo significativamente più breve di formazione del coagulo (valore r del TEG) rispetto
al valore basale e coi valori simili tra loro (p < 0.01).
Conclusioni Ci sono buone ragioni per cui i normali bendaggi in garza esistono da millenni. Sono
leggeri, assorbenti, altamente adattabili, stabili in una varietà di condizioni ambientali e poco costosi.
Diversi agenti emostatici avanzati hanno dimostrato migliori effetti emostatici, miglior prognosi e
probabilmente hanno salvato più vite rispetto alla GS, quando applicate secondo il tempo di
compressione raccomandato dai produttori.
Tuttavia in uno scenario di guerra guerreggiata, sotto il fuoco nemico, ma anche in un contesto con
molteplici vittime, i tempi di compressione consigliati dai produttori (di 2 e 5 minuti) non sono
sempre realizzabili. In un contesto sotto il fuoco nemico possono essere affrontate solo le condizioni
immediatamente pericolose per la vite e spesso le vittime in combattimento devono provvedere a una
automedicazione e all’applicazione di un tourniquet. Un obiettivo primario del combattente in questo
contesto è anche quello di proteggersi e di continuare a rispondere al fuoco. Le gravi lesioni vascolari
che non possono essere controllate con l’applicazione di un tourniquet, devono essere trattate nel
modo più rapido possibile prima che la grave emorragia comprometta la vittima. Analogamente in
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presenza di vittima con multiple lesioni da
trattare, le medicazioni devono essere
applicate rapidamente ed efficacemente
riducendo al minimo il tempo di
compressione.
Gli autori hanno scelto di confrontare tre
medicazioni, CG, XG, e KERLIX come
garza standard (GS). CG si è dimostrato
altamente efficace nei diversi studi ed è
attualmente l'unica medicazione
emostatica avanzata in utilizzo nell’esercito
USA, ma non è mai stata testata con tempi
minimi di compressione. XG, un prodotto
relativamente nuovo, è attualmente in uso
in ambito militare nel Regno Unito. In questo lavoro, gli autori hanno utilizzato
un model lo ben consolidato di gra ve
emorragia arteriosa comprimibile ma non
controllabile mediante laccio emostatico,
per confrontare l'efficacia di XG, a CG e
GS (KERLIX), limitando il trattamento
della ferita alla sola applicazione della
medicazione senza compressione
aggiuntiva. In questo grave tipo di ferita da
combattimento e con questo modello di
applicazione, le medicazioni emostatiche
avanzate non si sono dimostrate superiori
rispetto alla GS. La mancanza di differenza nella
sopravvivenza, nell’efficacia della
medicazione e nelle perdite di sangue di
queste tre medicazioni è stata in qualche
modo sorprendente; in particolare le
prestazioni equivalenti della garza standard
che sebbene non abbia intrinseche
proprietà procoagulanti al di là di pressione
e assorbenza, è stata stipata nella ferita in
m o d o s i g n i f i c a t i v a m e n te p i ù v e l o ce
rispetto la CG e la XG. Questa differenza
di tempo è probabilmente importante in
caso di una emorragia arteriosa vivace in
co r s o . O l t r e a d e s s e r e a p p l i c a t a p i ù
rapidamente, vi è stato una impressione
generale che le ferite venissero stipate in
modo più completo con GS mentre le altre
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A cura di Dott. Alberto Adduci,Torino
Commento
Buona parte delle novità in medicina, cliniche e
tecnologiche, sono nate in ambito militare. Il
concetto stesso di soccorso preospedaliero, con
buona pace del Barone Larrey, nasce durante le
campagne di guerra napoleoniche nella seconda
metà del ‘700.
Ho ritenuto interessante introdurre, nello spazio
riservato al soccorso preospedaliero qualche news
proveniente dal mondo sanitario militare, anche
per la loro potenziale ricaduta in ambito civile.
Tra queste segnalo la rapida diffusione degli agenti
emostatici topici, sotto forma di polveri o garze
medicate.
Il lavoro in oggetto prova a ricondurre l’utilizzo di
queste medicazioni avanzate nel contesto di
guerra guerreggiata, nella situazione peggiore
ovvero in presenza di fuoco nemico, contesto in
cui mutano le priorità del soccorso
preospedaliero, privilegiando l’autoprotezione e
l’automedicazione, mentre si mantiene la risposta
al fuoco nemico. Quindi utilizzare procedure o
medicazioni che prevedono “minuti” di
applicazione non sembra essere una strategia che
paghi in termini di riduzione del rischio e della
mortalità.
E’ perciò curioso scoprire che una medicazione
avanzata, utilzzata in un contesto militare sotto il
fuoco nemico, non si riveli più efficace di una
semplice garza nell’arrestare una emorragia.
Il lavoro presentato rivela alcuni limiti, già
evidenziati dagli autori stessi nell’articolo, e
nonostante la risultante di questo lavoro credo
che lo sviluppo di emostatici topici sempre più
efficaci possa realmente incidere nella riduzione
della mortalità per emorragie comprimibili ma
non trattabili con tourniquet, anche nell’attività
quotidiana di soccorso preospedaliero, perché
“every red blood cell counts!”
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medicazioni non si adattavano a riempire sempre la geometria irregolare delle ferite. La sopravvivenza degli animali, benché non tutte le emorragie siano state uniformemente arrestate
dalle tre medicazioni, ha dimostrato che il sanguinamento veniva quantomeno rallentato,
premettendo una sopravvivenza di almeno 2 ore. Anche se una rianimazione volta a riportare la MAP
a livello basale aumenta la probabilità di alterazione del coagulo e di risanguinamento, la
sopravvivenza è anche verosimilmente aumentata grazie alla somministrazione continua di liquidi. Questo studio ha diversi limiti, alcuni dei quali sono stati accennati sopra. E’ evidente che il vero
trattamento sotto fuoco nemico non prevede infusione di liquidi, ma si è immaginato che ripristinare
la MAP basale avrebbe consentito di stressare meglio le performance delle medicazioni. Per le emorragie pericolose per la vita degli arti, l’unico trattamento indicato sotto il fuoco nemico è
il posizionamento di un tourniquet. Tuttavia, esiste la possibilità di salvare vite umane controllando le
emorragie in siti potenzialmente comprimibili, in cui un laccio non può essere applicato. Le
medicazioni devono essere facilmente applicabili e efficaci senza richiedere una compressione
prolungata dopo il posizionamento. In questo studio, la GS si comporta altrettanto bene delle due
medicazioni emostatiche avanzati, CG e XG in un modello di lesione e con una applicazione
compatibile con un contesto sotto il fuoco nemico. Queste medicazioni emostatiche avanzate in
determinate condizioni forniscono una migliore emostasi e devono certamente continuare ad essere
utilizzate. Comunque gli studi per ideare un prodotto in grado di arrestare l’emorra gia
immediatamente senza effetti collaterali devono essere continuati.
13. L’infusione di fluidi in ambito
preospedaliero è associata, nei pazienti con
trauma, ad un aumento della sopravvivenza.
Sintesi a cura di Dott.ssa Elisa
Saglio, Torino
Prehospital
intravenous fluid is
associated with
increased survival in
trauma patients
Delivery of intravenous crystalloid fluids (IVF) remains a tradition-based priority during prehospital resuscitation of trauma
patients. Hypotensive and targeted resuscitation algorithms have been shown to improve patient outcomes. We hypothesized
that receiving any prehospital IVF is associated with increased survival in trauma patients compared with receiving no
prehospital IVF.
Prospective data from 10 Level 1 trauma centers were collected. Patient demographics, prehospital IVF volume, prehospital
METHODS:
and emergency department vital signs, lifesaving interventions, laboratory values, outcomes, and complications were collected and analyzed. Patients who did or did not receive prehospital IVF were compared. Tests for nonparametric data were
used to assess significant differences between groupss (p
( e 0.05). Cox regression analyses were performed to determine the
independent influence of IVF on outcome and complications.
RESULTS:
The study population consisted of 1,245 trauma patients; 45 were excluded owing to incomplete data; 84% (n = 1,009) received prehospital IVF, and 16% (n = 191) did not. There was no difference between the groups with respect to sex, age,
and Injury Severity Score (ISS). The on-scene systolic blood pressure was lower in the IVF group (110 mm Hg vs. 100 mm Hg,
p G 0.04) and did not change significantly after IVF, measured at emergency department admission (110 mm Hg vs.
105 mm Hg, p = 0.05). Hematocrit/hemoglobin, fibrinogen, and platelets were lower (p
( G 0.05), and prothrombin time/
international normalized ratio and partial thromboplastin time were higherr (p
( G 0.001) in the IVF group. The IVF group
received a median fluid volume of 700 mL (interquartile range, 300Y1,300). The Cox regression revealed that prehospital
fluid administration was associated with increased survival (hazard ratio, 0.84; 95% confidence interval, 0.72Y0.98; p = 0.03).
Site differences in ISS and fluid volumes were demonstrated (p
( G 0.001).
CONCLUSION:
Prehospital IVF volumes commonly used by PRospective Observational Multicenter Massive Transfusion Study (PROMMTT)
investigators do not result in increased systolic blood pressure but are associated with decreased in-hospital mortality in
trauma patients compared with patients who did not receive prehospital IVF. (J
( Trauma Acute Care Surg.
Surg. 2013;74: S9YS15.
Copyright * 2013 by Lippincott Williams & Wilkins)
LEVEL OF EVIDENCE: Therapeutic study, level IV.
KEY WORDS:
Prehospital; resuscitation; clinical parameters; PROMMTT.
BACKGROUND:
Hampton et al. J Trauma Acute
Care Surg 2013, 7, Suppl 1, 9-15
Introduzione In ambito preospedaliero, la somministrazione
di cristalloidi nel paziente traumatizzato rimane uno dei punti
cardine del trattamento. In letteratura sono presenti numerosi studi che hanno dimostrato l’efficacia
della rianimazione con target pressorio o ipotensione permissiva. Sulla base di questi dati gli autori
hanno ipotizzato un aumento della sopravvivenza nei pazienti con trauma a seguito di
somministrazione di fluidi per via endovenosa in ambito pre-ospedaliero.
Lo studio, di tipo prospettico, ha raccolto i dati provenienti da dieci trauma center. Le caratteristiche
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delle due popolazioni in esame sono state confrontate ed è stata utilizzata l’analisi di regressione di
Cox per valutare l’influenza indipendente della somministrazione di fluidi sulla sopravvivenza nel
paziente traumatizzato. Lo studio ha coinvolto 1200 pazienti. Di questi l’84% era stato sottoposto a infusione di fluidi
(gruppo IVF), mentre il 16% no. Le due popolazioni sono risultate uguali per caratteristiche
demografiche. Nel gruppo IVF la pressione sistolica media era inferiore rispetto al gruppo di
controllo, così come i parametri dell’emocromo e i valori della coagulazione aumentati. Il volume
medio di fluidi somministrati nel gruppo IVF era di circa 700 ml di cristalloidi. L’analisi di
regressione di Cox dimostra, secondo gli autori, un aumento della sopravvivenza correlato alla
somministrazione di fluidi (Hazard Ratio: 0.84; Intervallo di Confidenza: 95%, 0.72-0.98; p = 0.03)
Gli autori del PRospective Observational Multicenter Massive Transfusion Study (PROMMTT)
concludono che la somministrazione di fluidi in ambito preospedaliero sia associata alla riduzione
della mortalità ospedaliera dei pazienti con trauma rispetto al gruppo controllo. La somministrazione di fluidi è un punto cardine della trattamento dei pazienti traumatizzati in
ambito preospedaliero, tuttavia è stato associato ad un aumento di coagulopatia, insufficienza
d’organo, ospedalizzazione prolungata e morte. Inoltre, sebbene faccia parte della pratica comune,
non esistono studi o linee guida che abbiano standardizzato il tipo di fluido, il volume e la durata che
deve avere questo trattamento. Da studi su modello animale si evince che l’utilizzo di soluzioni ipertoniche e colloidi non si è
dimostrato superiore all'uso di cristalloidi nella rianimazione dello shock emorragico.
I protocolli che prevedono la somministrazione di elevati volumi di fluidi sono stati correlati
all’aumento di complicanze quali sindrome compartimentale addominale, la sindrome da distress
respiratorio e l’insufficienza renale. Al contrario, protocolli che prevedono una somministrazione
limitata di fluidi, secondo quella che viene intesa come strategia di damage-control, ossia il
mantenimento i valori di pressione sistolica intorno a 90 mmHg mediante infusione di piccoli volumi
di cristalloidi o emazie concentrate o plasma fresco congelato, hanno dimostrato un miglioramento
dell’outcome.
Sulla base di questi dati, gli autori hanno ipotizzato che la somministrazione di fluidi in ambito
preospedaliero sia associato ad un miglioramento dell’outcome rispetto alla popolazione di pazienti
traumatizzati che non ricevono alcun fluido.
Risultati Caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione in studio
Lo studio ha coinvolto 1200 pazienti. Di questi lo 84% era stato sottoposto ad infusione di fluidi
(gruppo IVF), mentre il 16% no. Le due popolazioni sono risultate uguali per caratteristiche
demografiche. Il gruppo IVF presentava una pressione sistolica inferiore rispetto al gruppo di controllo. Per quanto
riguarda i parametri di laboratorio, i pazienti nel gruppo IVF presentavano valori di PT e PTT
superiori. Gli autori attribuiscono queste variazioni all’insorgenza di un iniziale coagulopatia da
trauma o alla coagulopatia da diluizione. Outcome
Per quanto riguarda la mortalità complessiva intraospedaliera gli autori non hanno osservato
differenze tra i due gruppi in studio (21% vs. 23%; p = 0.43). Tuttavia l’analisi di regressione di Cox,
controllata per sesso, meccanismo di lesione e score clinici, ha evidenziato una riduzione della
mortalità nel gruppo IVF (hazard ratio [HR], 0.84; 95% confidence interval [CI], 0.72-0.98; p = 0.03).
Anche la mortalità per danno cerebrale risultava ridotta nel gruppo a cui sono stati somministrati
fluidi (HR, 0.69; 95% CI, 0.54-0.88; p < 0.01).
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Discussione Gli autori di questo studio hanno ipotizzato che la somministrazione di fluidi in
ambito preospedaliero al paziente traumatizzato determini un miglioramento della sopravvivenza. Usando l’analisi di regressione di Cox hanno dimostrato che la popolazione che aveva ricevuto fluidi
dopo un trauma presentava una riduzione della mortalità ospedaliera. Il tasso di complicanze da
somministrazione di fluidi sembrerebbero, in base a questo studio, maggiormente correlate alle cure
ospedaliere più che al trattamento preospedaliero. Il gruppo IVF riceveva un volume medio di fluidi di 700 ml, nettamente inferiore al volume di 1-2
litri suggerito degli algoritmi proposti dal PHTLS. Il volume di fluidi somministrato non è sufficiente
a produrre un incremento dei valori pressori, ma allo stesso tempo permette di prevenire lo sviluppo
di un ulteriore calo pressorio. In questo studio gli autori concludono sostenendo che la somministrazione di fluidi in ambito
preospedaliero costituisca un beneficio per il paziente traumatizzato. Sono note le possibili
complicanze correlate alla somministrazione di fluidi nel trauma, quali l’ARDS, la sindrome
compartimentale e l’insufficienza renale. Esistono studi che hanno valutato la diversa incidenza di
quest’ultime in base ad un atteggiamento standard, che prevede l’infusione di un volume superiore ai
150 ml, o ad un atteggiamento restrittivo, mediante somministrazione di un volume inferiore a 150 ml.
Secondo quanto riportato da questi studi la rianimazione restrittiva di fluidi costituisce un vantaggio
in termini di sopravvivenza ed incidenza di complicanze. Da quanto riportato in letteratura sono ormai numerosi i dati a sostegno della rianimazione
ipotensiva, ossia il mantenimento di una pressione media intorno ai 50-65 mmHg, in termini di
riduzione della coagulopatia e di mortalità post-operatoria. Anche nello studio PROMMTT gli autori
hanno osservato un aumento della sopravvivenza nel gruppo di pazienti con valori pressori inferiori,
ossia il gruppo IVF. Gli autori stessi sottolineano i limiti di questo studio. In particolare viene messo in evidenza il fatto
che molti dati siano stati raccolti all’interno della popolazione dello studio PROMMTT, il cui intento
era quello di valutare protocolli intra-ospedalieri. Questo può essere causa di una minor attenzione
nella raccolta di dati sulle caratteristiche preospedaliere. Essendo inoltre il PROMMTT uno studio
osservazionale, non erano state imposte procedure standardizzate, per tanto i dati non sono sempre
uniformi. Mediante l’utilizzo dell’analisi di regressione di Cox gli autori hanno cercato di controllare
le differenze dovute al sito di provenienza dei dati, tuttavia in questo modo i dati non erano
sufficienti, per tanto è stata eseguita l’analisi come se tutti i dati provenissero da un unico trauma
center. Questo studio dimostra che la somministrazione di fluidi in ambito pre-ospedaliero determina un
vantaggio per il paziente ed una riduzione della mortalità. I protocolli che prevedono la
somministrazione di fluidi proscrivendo un incremento dei valori pressori dovrebbero diventare lo
standard.
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14. Una precoce e aggressiva rianimazione
con cristalloidi influisce negativamente sulla
prognosi dei pazienti vittima di trauma
chiuso.
Sintesi a cura di Dott.ssa Elisa
Saglio, Torino
Aggressive early
crystalloid
resuscitation
adversely affects
outcomes in adult
blunt trauma patients:
An analysis of the Glue
Grant database
Evidence suggests that aggressive crystalloid resuscitation is associated with significant morbidity in various clinical settings.
We wanted to assess whether aggressive early crystalloid resuscitation adversely affects outcomes in adult blunt trauma patients.
Data were derived from the Glue Grant database. Our primary outcome measure was all-cause in-hospital mortality. Secondary
outcomes included days on mechanical ventilation; intensive care unit (ICU) and hospital length of stay (LOS); inflammatory
(acute lung injury and adult respiratory distress syndrome, or multiple-organ failure) and resuscitation-related morbidity
(abdominal and extremity compartment syndromes or acute renal failure) and nosocomial infections (ventilator-associated
pneumonia, bloodstream, urinary tract, and surgical site infections).
RESULTS:
In our sample of 1,754 patients, in-hospital mortality was not affected, but ventilator days ( p G 0.001) as well as ICU ( p =
0.009) and hospital ( p = 0.002) LOS correlated strongly with the amount of crystalloids infused in the first 24 hours after
injury. Amount of crystalloid resuscitation was also associated with the development of adult respiratory distress syndrome
( p G 0.001), multiple-organ failure ( p G 0.001), bloodstream ( p = 0.001) and surgical site infections ( p G 0.001), as well as
abdominal ( p G 0.001) and extremity compartment syndromes ( p = 0.028) in a dose-dependent fashion, when age, Glasgow
Coma Scale (GCS), severity of injury and acute physiologic derangement, comorbidities, as well as colloid and blood product
transfusions were controlled for.
CONCLUSION:
Crystalloid resuscitation is associated with a substantial increase in morbidity, as well as ICU and hospital LOS in adult blunt
( Trauma Acute Care Surg
trauma patients. (J
Surg.. 2013;74: 1215Y1222. Copyright * 2013 by Lippincott Williams & Wilkins)
LEVEL OF EVIDENCE: Therapeutic study, level III.
KEY WORDS:
Crystalloid; resuscitation; outcomes; blunt trauma; Glue Grant.
BACKGROUND:
METHODS:
Introduzione I dati in letteratura suggeriscono che la
rianimazione mediante un volume elevato di fluidi sia associata
a un aumento della morbilità in numerosi contesti clinici.
Scopo dello studio è valutare come la rianimazione precoce con
Kasotakis et al.
volume ele vato di fluidi determini un peg gioramento
J Trauma Acute Care Surg 2013,
dell’outcome nei pazienti vittime di trauma. I dati utilizzati
74, 5, 1215-22
sono estratti dal database del Glue Grant. L’outcome primario
valutato è la mortalità ospedaliera per tutte le cause. Gli
outcome secondari comprendono i giorni di ventilazione meccanica, la permanenza in terapia
intensiva e la durata del ricovero, le morbilità flogistiche e correlate alla rianimazione e le infezioni
nosocomiali.
La popolazione esaminata comprende 1754 pazienti. La mortalità intraospedaliera non si è mostrata
aumentata, ma i giorni di ventilazione meccanica necessari (p<0.001), così come la durata del ricovero
in terapia intensiva (p=0.009), sono strettamente correlati al volume di fluidi ricevuto nelle prime 24
ore dopo il trauma. La stessa correlazione si è evidenziata tra volume di fluidi e sviluppo di sindrome
da distress respiratorio (p<0.001), insufficienza multiorgano (p<0.001), infezioni ematiche e del sito
chirurgico (p<0.001) e sindrome compartimentale (p< 0.028). Si sottolinea che i fluidi presi in esame
sono quelli somministrati nella fase preospedaliera del soccorso così come quelli somministrati
durante la stabilizzazione del paziente in shock room fino alla 24° ora post trauma.
La rianimazione mediante strategie aggressive con somministrazione di fluidi, ha costituito un
cardine della gestione del trauma per molti anni. Tuttavia numerosi dati estratti da studi prospettici
randomizzati presenti in letteratura hanno dimostrato che la mortalità e la morbilità di pazienti con
trauma penetrante poteva essere ridotta mediante strategie restrittive, tendo presente che molte delle
morbilità sono indotte loro stesse dalla somministrazione di fluidi. Da questi studi si evince come la
somministrazione di un elevato volume di liquidi possa peggiorare l’acidosi e il danno endoteliale
locale, e il sovraccarico di volume determini uno stimolo della risposta flogistica sistemica
responsabile dell’aumento della morbilità.
Con il presente studio, gli autori si propongono di stabilire se esista una associazione tra outcome
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clinicamente rilevanti e volume di cristalloidi infuso nei pazienti con trauma penetrante.
Risultati e metodi I dati sono estratti dalla cohorte multicentrica prospettica di pazienti con
trauma della Glue Grant (National Institute of General Medical Sciences, Inflammation and the Host
Response to Injury Collaborative Program, www.gluegrant.org).
I criteri di inclusione per lo studio Glue Grant comprendevano il meccanismo di lesione, un
punteggio superiore o uguale a 2 del Abbreviated Injury Scale (AIS) in qualsiasi sito di trauma tranne
che quello cranico, una significativa emorragia che abbia richiesto la trasfusione di emazie nella 12 ore
successive al trauma o l’evidenza di ipotensione e un deficit di basi superiore a 6 mEq/l.
Ipotesi L’ipotesi dello studio è che il volume di cristalloidi ricevuti durante la fase di rianimazione del
paziente con trauma nelle prime 24 ore dopo l’evento non modifichi la mortalità ospedaliera.
Outcome secondari sono la durata della ventilazione meccanica, la permanenza in terapia intensiva e
la durata del ricovero, le morbilità dovute a flogosi (ALI/ARDS, MOF) e alla rianimazione stessa
(sindrome compartimentale addominale o degli arti) e le infezioni nosocomiali.
Discussione Nonostante i progressi scientifici della medicina, la determinazione del metodo e degli
obiettivi della rianimazione nel paziente traumatizzato rimangono un argomento di forte dibattito. Il
concetto di damage-control resuscitation ha lentamente ma in modo inesorabile ottenuto un
riconoscimento all’interno della comunità scientifica. È diventato evidente che sebbene una
rianimazione aggressiva mediante fluidi migliori i parametri vitali del paziente nell’immediato, gli
effetti di tale trattamento nel tempo siano meno confortanti. Nella gestione del trauma, infatti, è
necessario tenere presente la possibile insorgenza di coagulopatia post-traumatica e da diluizione,
l’aumento del postcarico volemico iatrogeno e le altre numerose complicanze dovute alla
somministrazione di elevati volumi di fluidi e di emoderivati durante la rianimazione. A partire da tale osservazione gli autori hanno valutato se vi fosse una correlazione tra la
somministrazione di fluidi e l’insorgenza di complicanze cliniche nel paziente traumatizzato. In
particolare non si è osservato un aumento della mortalità dei pazienti correlabile al volume di
cristalloidi infusi, ma si è evidenziata un’associazione suggestiva tra volume di cristalloidi infuso nei
primi giorni e l’insorgenza di complicanze quali ARDS, MOF, sindrome compartimentale e
complicanze infettive. Rimane controverso se tale relazione sia espressione della maggiore
compromissione dovuto all’insulto traumatico piuttosto che un effetto puro della terapia
somministrata. In questo studio gli autori hanno effettuato un’analisi per sottogruppi, dividendo i pazienti in quattro
gruppi in base al volume di fluidi ricevuto. Analizzando le caratteristiche di tali gruppi, in modo
sorprendente, è emerso che la popolazione che aveva ricevuto un volume superiore di fluidi
presentava un’età e delle comorbilità inferiori rispetto agli altri pazienti in studio. L’analisi dei dati ha evidenziato un drammatico aumento statisticamente significativo delle
complicanze quali ARDS, MOF, sindrome compartimentale, così come un aumento della durata del
ricovero in terapia intensiva e della necessità di ventilazione meccanica, nella popolazione che aveva
ricevuto un volume superiore di cristalloidi. In particolare l’incidenza di tali eventi era tre volte
superiore.
Conclusioni Da questo studio emerge quindi una correlazione tra volume di fluidi infuso durante la
rianimazione e l’insorgenza di complicanze. Tale osservazione, alla luce dell’evidenze presenti in
letteratura sull’interazione tra infusione di fluidi e risposta infiammatoria ed immunologica
dell’organismo, pone l’accento sulla necessità di rivedere le linee guida e le indicazioni nel trattamento
e nella volemizzazione del paziente traumatizzato.
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A cura di Dott. Alberto Adduci, Torino
Commento art. 13,14
Si dice che siamo tutti figli dell'ATLS. Quindi per anni si è tentato di adattare le linee guida sul
trattamento del traumatizzato nate per la gestione in ospedale anche alla fase preospedaliera
del soccorso. Ecco che i nostri pazienti non erano “soddisfatti” se non ricevevano almeno due
litri di fluidi mediamente freddi attraverso due accessi venosi di grosso calibro. Il risultato?
Tempi di soccorso dilatati, emodiluizione, ipotermia, etc etc. Poi poco per volta le cose sono
cambiate, ritengo anche grazie alla diffusione dei programmi didattici sul trattamento
preospedaliero del traumatizzato. Poco per volta l'ammontare dei liquidi infusi fuori
dall'ospedale é andato riducendosi e la prognosi dei pazienti migliorando.
I due articoli riportati sembrano sostenere tesi diverse: Una fluidoterapia precoce e aggressiva
fa danni nei traumi chiusi (Kasotakis 2013) e invece i liquidi preospedalieri aumentano la
sopravvivenza (Hampton 2013). I fluidi fanno bene? I fluidi fanno male? In realtà il messaggio è
univoco e rappresenta una sfida per l’operatore del preospedaliero: per parafrasare uno dei
motti più noti: “i liquidi giusti, nel tempo giusto e nel quantitativo giusto”, quello minimo
sufficiente a garantire l’omeostasi cellulare.
Il terzo picco di mortalità per trauma, come dimostrato da Trunkey nel 1982, corrisponde a quel
20% circa di morti che si verificano a distanza di giorni o settimane dall'evento traumatico.
Sono morti che risentono dell’insorgenza di MOF e ARDS e quindi direttamente di una
gestione non corretta del paziente già nelle primissime fasi del soccorso. Questi e altri lavori
hanno definitivamente sancito che un trattamento non ottimale, e in particolare un
sovraccarico di fluidi nelle prime 24 ore, si traduce in un incremento significativo di quelle
condizioni che concorrono a compromettere la sopravvivenza del paziente traumatizzato.
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Redazione
Direttore Responsabile
Walter Cataldi
Direttore di redazione
Luca Delpiano
Vicedirettore di redazione
Nadia Depetris, Concetta Pellegrini
Comitato di redazione
Matteo Berton, Emiliano Cingolani, Simona Frigerio, Paolo Gardois, Paola Perfetti,
Claudio Tacconi
Hanno collaborato a questo numero
Alberto Adduci, M. Cristina Aguiari, Enzo Amelio, Alessandra Barale, Mauro Bonino, Ivan
Bufalo, Simona Cotena, Luca Delpiano, Nadia Depetris, Roberta Ferro, Paolo Gardois,
Salvatore Lanzarone, Concetta Pellegrini, Irene Principale, Elisa Saglio, Elen Salerno.
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La rivista è scaricabile gratuitamente all’indirizzo
http://www.ircouncil.it/ptc/trauma-journal-club
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