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Ma è veramente quanto ci aveva chiesto l`Europa?
Territori ancAperta http://www.bcccilentoelucaniasud.it Speciale allegato al periodico di comunicazione della Banca del Cilento e Lucania Sud Anno V - numero 2 - Febbraio 2016 DL 18/2016: la riforma varata dal Governo Ma è veramente quanto ci aveva chiesto l’Europa? Castiello: la normativa del decreto confligge con la “funzione sociale” delle cooperative L’art.45 Cost. riconosce la “funzione sociale” delle imprese cooperative “a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Come è dato evincere dal dibattito in seno all’Assemblea Costituente in occasione della formulazione della norma, l’espressione “carattere di mutualità” è stato inteso quale sinonimo di carattere democratico e cioè di autogestione della cooperativa, che trova nell’identità di amministratore e socio, nel principio del voto capitario e nell’autonomia gestionale i suoi fattori costitutivi. Il fatto che la Costituzione presupponga l’autogestione e l’autonomia della cooperativa sintetizzandone i valori nell’espressione “carattere di mutualità” è dimostrato dalla circostanza che il legislatore costituente ha abbandonato la formula usata dal codice civile nell’art. 2511, dove si parla di “scopo mutualistico” con evidente riferimento al vantaggio individuale del socio e, quindi, alla gestione di servizi, per valorizzare, piuttosto, la democraticità dell’assetto strutturale della cooperazione fondato sull’autogestione. In definitiva, nel dibattito costituzionale assunse prevalente rilievo il modello organizzativo-strutturale incentrato sull’autogestione e sull’autonomia dell’impresa cooperativa piuttosto che il vantaggio mutualistico. segue alle pagine 2 e 3 Si può dire, in estrema sintesi, che nel modello costituzionale di cooperazione protetta ed Solimeno: le norme varate dal Governo creano un vulnus nel mondo della cooperazione Nella lunga storia del cooperativismo italiano, che va dalla fine del XIX secolo all’assetto organizzativo attuale, sino all’ultimo decreto legge, il DL 18/2016, emanato dal Consiglio dei Ministri in queste ultime settimane, che in parte recepisce il progetto di autoriforma del sistema promosso da Federcasse, è possibile riscontrare almeno due fasi già compiute e una terza in via di compimento attraverso la normativa appena definita. La fase dei Padri Fondatori La fase iniziale è quella voluta dai padri fondatori, quella di Raiffeisen, ma anche quella di Leone XIII con l’enciclica “Rerum Novarum”, da cui nacque la Cassa Rurale di Loreggio che, in Italia, fa sorgere le Casse rurali vicine alle parrocchie e alla cooperazione sociale minore, per rispondere alle esigenze del popolo e delle piccole società artigiane ed economiche. Nasce, in questo periodo, il mondo della cooperazione cattolica e socialista. Ad onor del vero, per onestà intellettuale, bisogna riconoscere che anche durante il Ventennio si riscontrano rispetto e considerazione per il mondo della cooperazione in generale e per quella di credito cooperativo in particolare. Questo segue alle pagine 4 e 5 rispetto e questo riconoscimento trovano riscontro nella Legge Bancaria del 1936. I punti essenziali del decreto Il pacchetto di misure del Decreto Legge 14 febbraio 2016, n. 18 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 febbraio 2016, n. 37), contenente misure urgenti per la riforma delle banche di credito cooperativo e altre disposizioni urgenti per il settore del credito, si inserisce nell’ampio disegno di ristrutturazione del sistema bancario italiano con l’obiettivo di rafforzarlo al fine di renderlo più resistente agli shock, mettere gli istituti nelle condizioni di finanziare adeguatamente l’economia reale e quindi favorire la crescita e l’occupazione. Fanno parte di questo disegno la riforma delle Banche Popolari approvata lo scorso anno e l’autoriforma delle Fondazioni di origine bancaria, sostenuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in qualità di Autorità di vigilanza. La riforma delle BCC consentirà di superare le criticità che presenta la vigente disciplina del settore: debolezze strutturali derivanti dal modello di attività, particolarmente esposto all’andamento dell’economia del territorio di riferimento, ed anche dagli assetti organizzativi e dalla dimensione ridotta. Allo stesso tempo viene confermato il valore del modello cooperativo per il settore bancario e rimane il segue alle pagine 4 e 5 principio del voto capitario. Fusione con la BCC di Sassano Al via il progetto a pag. 6 e 7 Castiello: la normativa del decreto confligge con la “funzione sociale” delle imprese cooperative “a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata” Numerosi i punti del testo normativo del DL 18/2016 che contrastano con i principi della socialità diffusa espressi nel nostro ordinamento giuridico, il valore della cooperazione è sancito dalla Costituzione segue dalla prima incentivata in ragione della sua “funzione sociale” assumono eminente rilievo la struttura dell’impresa cooperativa informata al principio dell’autonomia e dell’autogestione e il profilo finalistico costituito dall’assenza di intonazione speculativa. L’art. 45 della Costituzione, sul presupposto che coesistano l’intonazione non speculativa e il carattere di mutualità della cooperativa, le riconosce la “funzione sociale“ e cioè L’impresa coopel’utilità sociale rativa conforme al intrinseca al momodello dell’art.45 dello risultante dalla sintesi dei Cost., è investita caratteri anzidi una “funzione detti, obbligansociale” e rappredo il legislatore senta un valore in (statale e regionale) a controlli sé che la Costituconservativi. Ed zione tutela invero la norma, premesso che ”La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”, prescrive che: “la legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità ”. In definitiva l’impresa cooperativa conforme al modello dell’art.45 Cost. è investita di una “funzione sociale” e rappresenta un valore in sé che la Costituzione tutela assegnando al potere legislativo il compito di garantirne con controlli di tipo conservativo la continuità della sua identità nel tempo. Tale obiettivo acquisisce migliore evidenza attraverso il raffronto tra l’art. 45 e l’art. 41 Cost. che, nel disciplinare la libertà di impresa, prevede al secondo 2 comma che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Il raffronto tra queste due fondamentali disposizioni della Carta Costituzionale rende palese la diversa qualità e natura dei controlli: di tipo conservativo sull’impresa cooperativa conforme al modello di cooperazione tutelata che, in ragione della “funzione sociale”, che istituzionalmente le appartiene, merita di essere conservata e preservata da degenerazioni; di tipo conformativo, invece, nei confronti dell’impresa ordinaria che, caratterizzata da intonazione speculativa, deve essere sottoposta ad opportuni controlli affinché non si svolga in contrasto con l’utilità sociale. La natura a la finalità di tipo conservativo degli interventi voluti dall’art. 45 Cost. sull’impresa cooperativa conforme al modello ivi definito e i conseguenti vincoli alla legge ordinaria affinché ne conservi inalterate le qualità e l’identità devono essere ben tenuti presenti ai fini di riscontrare la corrispondenza della riforma delle Bcc e del decreto legge n. 18/2016 ai principi di cui al predetto art. 45 e, in definitiva, di verificare la costituzionalità della riforma stessa. La società Capogruppo. L’art. 1 del Decreto Legge n.18/2016 riserva alla capogruppo poteri di intervento conformativo e sostitutivo delle Bcc facenti parte del gruppo che mal si conciliano con il principio di autogestione delle BCC e rischiano di affievolirne l’identità e allontanarla dal modello di cooperazione tutelata e protetta scolpito nell’art. 45 Cost., il quale fa obbligo al legislatore (statale e regionale) di accordare incentivazione e sostegno alle cooperative rispondenti a tale modello. Significativi sono gli spunti offerti dai lavori preparatori dell’art. 45 Cost.: in particolare (come si evince dagli atti dell’Assemblea Costituente, II, Roma 1946-1948, pp. 3990 ss.) l’emendamento dell’On. le Canevari accolto e tradotto nella formulazione definitiva del predetto art.45, secondo cui il riconoscimento della “funzione sociale” della cooperazione e l’obbligo per i pubblici poteri di incentivazione e sostegno è in stretto e necessario collegamento con i due principi che ne integrano “ la struttura e l’architettura”: quello del “carattere di mutualità” (inteso, come si è detto, alla stregua dell’autogoverno della cooperativa piuttosto che come vantaggio mutualistico dei soci) da una parte e quello dell’assenza di finalità speculative dall’altra. I dubbi e le riserve si originano dalla costatazione che la capogruppo, come è previsto dall’art. 37 bis introdotto nel Testo Unico Bancario con l’art.1 del Decreto Legge n.18/2016, non limita la sua funzione alla sola attività di coordinamento, ma può spingere i propri interventi nei confronti delle BCC aderenti a livelli conformativi fortemente incisivi e stringenti, come è reso palese dall’espressione “direzione”, aggiunta a quella di “coordinamento”. E’ noto che nella teoria dell’organizzazione amministrativa il coordinamento ha luogo attraverso la somministrazione di direttive e di indirizzi caratterizzati dai requisiti della elasticità e della flessibilità, essendo i soggetti destinatari vincolati al risultato, ma liberi nella scelta dei mezzi; al contrario, la funzione di direzione prende corpo nella imposizione di ordini o statuizioni comunque vincolanti, che lasciano ben poco spazio ai destinatari, anche per quel che attiene alla sola attività strumentale. Si consideri, ad esempio, la clausola i cui all’art. 37 bis, terzo comma, lettera b, punto 2 che riserva alla capogruppo il potere di “opporsi” alla nomina di componenti di organi di amministrazione e controllo (il che vuol dire vietarne la nomina) e, simmetricamente, di “revocare” uno o più concorrenti degli organi anzidetti, in entrambi, i casi “fino a concorrenza della maggioranza”. L’investitura della società capogruppo di tali pervasivi poteri denota il deciso intendi- mento di erigere la capogruppo medesima a un livello di assoluto dominio nei confronti delle banche aderenti. E’ di intuitiva evidenza che l’investitura di un potere sostitutivo degli esponenti aziendali, nullificando, in definitiva, il potere di nomina esercitato dall’assemblea dei soci, organo sovrano della cooperativa, circoscrive in misura rilevante l’autogoverno della cooperativa allontanandolo dal paradigma costituzionale di cooperazione protetta ed incentivata. E’ ben vero che il novellato art.37 bis della legge bancaria al comma 3, lettera b, punto 2 precisa che i poteri della capogruppo, di opposizione alla nomina o di revoca dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, possono esercitarsi in casi “motivati ed eccezionali”, che, unitamente alle “modalità di esercizio di tali poteri”, saranno individuati e definiti dal contratto di coesione che disciplina la direzione ed il coordinamento della capogruppo sul gruppo. Ma è altrettanto vero che la posizione di assoluto dominio della società capogruppo può alterare gli equilibri contrattuali, sicché il contratto di coesione potrebbe flessibilizzare il rigore della surriferita clausola (casi “motivati ed eccezionali”), recuperando alla capogruppo stessa un terreno di azione più esteso di quello che la clausola stessa appare di riservarle, rendendo flessibile la previsione dell’anzidetto comma 3, lettera b, punto 2 circa l’eccezionalità delle ipotesi in cui i ridetti poteri interdittivi della nomina e di revoca della nomina sono stati confinati. Stesso ordine di considerazioni vale per la clausola di cui al successivo punto 3 dove la capogruppo è investita della potestas excludendi di una Bcc “in caso di gravi violazioni degli obblighi previsti dal contratto”. Si è in presenza dell’investitura di un potere a fattispecie indeterminata, tale essendo la previsione delle gravi violazioni, non meglio specificate, che il BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 contratto di coesione può intendere estensivamente riconducendo alla soglia della gravità anche violazioni che tale carattere intrinsecamente non possiedono (anche se, a correggere eventuali abusi, potrebbe intervenire il potere autorizzativo della Banca d’Italia previsto dall’art.37 bis l. bancaria, quinto comma). Ma la clausola che suscita ancor più forti perplessità e riserve sulla costituzionalità dell’art.37 bis della legge bancaria come integrato dal Decreto Legge n.18/2016 è quella di cui al terzo comma, lettera b, punto 3, seconUna clausola che do la quale è rimessa al consuscita forti pertratto di coesioplessità e riserve ne l’indicazione sulla costituziodelle “altre minalità dell’art. 37 sure sanzionabis della Legge torie graduate Bancaria come in- in relazione tegrato dal decreto alla gravità della violazione” del Governo ai danni delle Bcc aderenti al gruppo in caso di gravi violazioni degli obblighi previsti dal contratto. L’art. 23 Cost. sancisce il principio generale di tassatività e rigorosa tipicità delle sanzioni, istituendo una riserva di legge che, sul piano delle fonti legislative ordinarie, è integrata dalla legge generale sulle sanzioni n.689/1981, art.1. che si ispira appunto al principio della rigorosa tipicità sanzionatoria. La delegificazione prevista dal terzo comma, lettera b, punto 3 anzidetto, che rimette al contratto di coesione la previsione della generalità delle misure sanzionatorie diverse da quella della esclusione delle Bcc dal gruppo, non sembra conforme al principio costituzionale di riserva di legge di cui al cit. art. 23 Cost. La delegificazione e la contrattualizzazione della previsione di tali sanzioni ancora una volta espone le Bcc al rischio del potere dominante della capogruppo e della sudditanza nei confronti del potere stesso con la conseguente, non irrealistica, ipotesi di una eccessiva estensione ed articolazione nel contratto di coesione del potere sanzionatorio, rispetto al quale l’unico debole argine posto dalla legge è costituito dal richiamo del principio di proporzionalità delle sanzioni, graduate “in relazione alla gravità della violazione”; principio, peraltro, già presente nell’ordinamento giuridico, sicché il suo generico richiamo, senza ulteriori criteri delimitativi, può ritenersi, in definitiva, se non superfluo, di scarsa utilità. Il conflitto di interessi Il Decreto n. 18/2016 ha previsto, nell’integrare la legge bancaria con l’aggiunta dell’art.37 bis, che la società capogruppo è “costituita in forma di società per azioni…il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria dalle banche di credito cooperativo appartenenti al gruppo”. Ne consegue il conformarsi di una situazione d’identità di controllore e di controllato. Nasce spontaneo il quesito: è possibile concepire correttamente un assetto della capogruppo in forma di Spa di cui le BCC possiederanno il controllo (detenendo la maggioranza del capitale) quando la capogruppo è investita di poteri di “direzione e coordinamento sulle società del gruppo” e di altri pervasivi poteri di controllo sulle Bcc partecipanti, ivi inclusa la potestas excludendi dal gruppo e il potere sostitutivo dei componenti della governance? Sulla unicità della capogruppo Al paradigma costituzionale di cooperazione tutelata sul presupposto dell’assetto democratico e dell’autonomia dell’impresa cooperativa, in luogo di un sistema monocentrico, che si esaurisce in una sola capogruppo, appare maggiormente coerente un sistema policentrico, fondato su una pluralità di capogruppo. In questa direzione si erano orientate le autorità creditizie. Il Governatore della Banca d’Italia, in occasione tanto dell’ultima assemblea dei Partecipanti (26 maggio 2015) che dell’Assemblea ABI, ha parlato di enti “capogruppo” e non di un’unica “capogruppo”. Il dr. Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria Banca d’Italia, intervenendo il 15 ottobre 2015 al “Seminario Istituzionale sulle tematiche relative alla riforma del settore delle banche di credito cooperativo” (Commissioni riunite –Sesta della Camera dei Deputati e Sesta del Senato della Repubblica), ha, a sua volta, ipotizzato la formazione di “gruppi” costituiti “per iniziativa delle aspiranti capogruppo s.p.a. e delle BCC che ad esse fanno riferimento e che sia successivamente possibile per ogni BCC chiedere l’ammissione ad uno dei gruppi costituitisi, da ottenere entro un termine breve alle stesse condizioni stabilite per gli aderenti originari (clausola c.d. di opt-in)”. In realtà appare più vicino e coerente al paradigma costituzionale di cooperazione tutelata e incentivata un modello fondato sull’iniziativa delle Bcc che concorrano per così dire “dal basso” alla formazione delle capogruppo aderendo ad esse in autonomia, piuttosto che un modello che le veda obbligate ad aderire ad un’unica capogruppo calata “dall’alto”, senza alcuna possibilità di scelte alternative. Il rischio di frammentazione, paventato dal Presidente della Federcasse e da lui medesimo rappresentato nell’intervento al predetto Seminario, avrebbe potuto essere, almeno in buona parte, neutralizzato istituendo opportuni collegamenti (strutturali e funzionali) tra le società capogruppo, in quanto componenti di un unico Movimento, quello della cooperazione di credito, fondato su comuni interessi e valori: quelli formulati nella “Carta dei Valori del Credito Cooperativo”, piuttosto che prevedere, secondo la soluzione privilegiata dal D.L. n.18/2016, un’unica capogruppo senza possibilità alternative di adesione per le Bcc. Sul diritto di recesso Forti perplessità e riserve suscita la previsione della “via d’uscita“ con sentita alle Bcc con un patrimonio superiore a 200 milioni che potranno continuare l’attività bancaria in forma di spa , ma a condizione di sottostare ad un prelievo fiscale pari al 20 % delle riserve, quale corrispettivo della rimozione del vincolo della loro indivisibilità . A parte ogni altra considerazione, è da dire che le riserve traggono origine anche dalle rinunce, negli anni, ai dividendi da parte dei soci; rinunce ispirate alla finalità di connotare la cooperativa di credito alla stregua di finalità marcatamente non speculative, così avvicinandola vieppiù al modello di cui all’art. 45 Cost. e meritandone, a maggior ragione, la tutela conservativa ed incentivante. Un esempio paradigmatico (che peraltro non è né il primo né l’ultimo) è offerto dal comportamento dei numerosi soci della più grande unità del gruppo, la Bcc di Roma, i quali già da molti anni, con voto assembleare unanime, hanno rinunciato ai dividendi, esaltando l’intonazione non speculativa della partecipazione alla cooperativa. L’assentimento all’uscita dal gruppo e alla trasformazione in spa alla condizione del pagamento di un’imposta pari al 20% delle riserve, se può soddisfare le pretese del fisco, non soddisfa certamente quelle del Credito Cooperativo che subisce un indebolimento patrimoniale con attrazione delle riserve “affrancate” nell’alveo della ordinaria imprenditorialità bancaria d’ispirazione speculativa. Via d’uscita, questa, perciò di assaidubbia compatibilità con l’art.45 Cost. ed i vincoli di intonazione “conservativa” da questo posti alla legge ordinaria. Nella pagina a fianco. Sotto: Assemblea Costituente, l’intervento di Alcide De Gasperi sul movimento cattolico della cooperazione. Sopra: il primo libro mastro della BCC di Monterenzio (Bo), costituita il 25 marzo 1902, con il nome di Cassa Rurale dei Depositi e Prestiti di S. Benedetto del Querceto. BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 3 Solimeno: le norme varate dal Governo creano un grave vulnus nel mondo della cooperazione Se questa è la terza fase della storia del credito cooperativo, dopo quella dei padri fondatori e quella del ‘93, sussistono dubbi sul nuovo assetto della cooperazione: dalla way out all’aumento della quota azionaria massima. La riforma è veramente quanto ci ha chiesto l’Europa? Dai Padri Fondatori alla normativa del ‘93 La normativa del ’93 ha trasformato le istituzioni creditizie sociali, cioè le ex CRA, Casse Rurali ed Artigiane, in vere e proprie banche mantenendone la caratteristica di banca del territorio finalizzata all’assistenza creditizia sociale di base. Questa normativa, di conseguenza, ha comportato una grossa modifica delle ex CRA trasformandole in Bcc, le quali hanno assunto la caratteristica di banche universali. In sostanza, tali istituti, dal ’93 in poi, possono effettuare tutte le operazioni come qualsiasi altro istituto bancario. Ritornando alla prospettiva stoLa legge del ‘93 ha rica, possiamo quindi affermare sancito, sulla base che la Legge del ‘36 era quella della specializzazione bancaria del principio di e divideva gli istituti a breve, a despecializzazione medio e a lungo termine, istiche le BCC sono e tuti a carattere sociale, casse di possono effettuare risparmio, popolari e BCC. La legge del ‘93 ha rappresentatutte le operazioni degli altri istituti di to, invece, la normativa della despecializzazione del sistema credito bancario, sulla base del principio in base al quale anche le BCC sono banche e possono effettuare tutte le operazioni degli altri istituti di credito, ovviamente nella misura in cui vi è la forza e la capacità interna di poter affrontare il mercato e, naturalmente, sotto il controllo della Banca d’Italia. Il credito cooperativo nell’era della UE Con le nuove normative economiche e bancarie europee che hanno comportato l’istituzione di regole uniche del sistema bancario europeo, è nata la necessità di rafforzare i sistemi bancari degli stati membri tra cui l’Italia e, nell’ambito di ciò, nella cooperazione di credito italiana. Osservando il sistema del credito cooperativo in prospettiva comparata, si notano, in campo europeo, diversi modelli. C’è il modello francese, il Crèdit Agricole, dove esiste una banca capogruppo in un sistema verticale: le banche locali non sono altro che filiali, non hanno alcuna autonomia dal punto di vista industriale, in quanto tutto è diretto dalla capogruppo. C’è poi il modello olandese, quello del- le RaboBanck, dove esiste una capogruppo, ma ha natura di cooperativa. Le banche aderiscono attraverso accordi con la capogruppo, ma, sostanzialmente, il modello è visto come sistema unico, quindi c’è anche un unico sistema di vigilanza sulla capogruppo. Esiste poi il sistema austrotedesco che è molto simile al nostro. In questo, ci sono molte banche di piccole dimensioni a carattere locale. In tale sistema, queste banche prendono la denominazione di Raiffeisen Bank, dal nome del padre fondatore, Federico Guglielmo Raiffeisen. A differenza del sistema italiano, queste banche sono tutte banche autonome, ma sono fortemente collegate tra loro da vincoli di solidarietà, gestiti da un fondo di solidarietà di sistema (F.I.P.) che ha quasi un centinaio di anni ed è molto ricco. La vera differenza rispetto al sistema italiano è che questo fondo consente di affrontare le crisi, o le probabili crisi, delle singole banche in modo concreto ed effettivo in quanto si hanno i fondi per poter effettuare questo tipo di attività. Il modello del credito cooperativo italiano In Italia, l’organizzazione del credito cooperativo aderisce al mondo della cooperazione ed è strutturata su due livelli, c’è un livello sociale e di rappresentanza che è retto da una federazione nazionale, “Federcasse”, organizzata sul territorio attraverso federazioni regionali. Gli esponenti di questi organismi sono i presidenti delle BCC e svolgono essenzialmente un’attività di rappresentanza di tutto il movimento della cooperazione di credito sotto il profilo dell’identità, della socialità, della fornitura di servizi specialistici di supporto e quant’altro. Parallelamente, esiste poi il sistema tecnico, costituito da banche di primo livello, le BCC, che in questo momento sono 364. Poi ci sono le banche di secondo livello che sono partecipate dalle stesse BCC, dalle altre banche di simile livello e dalla federazione nazionale, sono in definitiva quelle che consentono a tutte le BCC di poter competere sul mercato bancario globale. Tutte queste banche sono tenute assieme dall’interesse economico socialmente incrociato con le attività delle banche di primo e di secondo livello. Il tutto è coordinato dal potere politico della Federazione. In realtà, oggi non esiste un vero e proprio collante di tipo giuridico che consenta a tutte queste entità di essere un gruppo in senso tecnico. La necessità di creare un unico gruppo per far fronte alle crisi Il decreto legge che disciplina la riforma delle BCC, varato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri, che poi recepisce, in qualche modo, le direttive di autoriforma che il sistema stesso si è dato, mira proprio a colmare questo gap. Mira, cioè, a definire un collante effettivo tra il movimento e le BCC. In pratica si mira a far sì che le banche di credito cooperativo, tutte insieme, possano essere definite gruppo in senso tecnico, quindi che possano mettere assieme tutti i loro patrimoni per poter poi far fronte a tutti quelli che possono essere gli stati di crisi. Questa è, in sostanza, la richiesta che veniva dall’Europa. L’unione bancaria europea è, oggi, principalmente fondata su due istituti: la moneta unica, l’euro, e il sistema di gestione delle crisi, l’EBA. Per poter aderire a questa precisa istanza dell’Unione Bancaria Europea, il Governo ha emanato questa nuova regolamentazione sulla base di un progetto di autoriforma generato dalla stessa Federazione. Il decreto legge per il momento ha dettato dei capisaldi, non ha fatto altro che, tenendo presente l’autoriforma proposta, costruire la cornice entro cui bisogna definire contenuti. Questi contenuti saranno realizzati in primis dal Parlamento, che dovrà convertire il decreto in legge, saranno realizzati in seguito da Bankitalia che ha avuto il compito di modificare alcuni articoli della legge bancaria per renderli applicabili ed attuativi rispetto ai principi del decreto; il tutto trasformando il decreto in normativa di vigilanza. Una volta definite queste regole, il mondo della cooperazione di credito ha poi diciotto mesi di tempo per poter realizzare il gruppo, attraverso l’istituzione di una capogruppo, che dovrebbe essere una Newco, una società nuova, dotata di licenza bancaria e dovrà svolgere quel ruolo di direzione, di indirizzo e di controllo su tutto il sistema della cooperazione di credito. Allo stesso tempo dovrà gestire quelli che sono i fondi comuni e i patrimoni comuni, finalizzando gli stessi a prevenire o affrontare le situazioni di crisi. Questo è il quadro di riferimento, tutte le banche di credito cooperativo possono e devono aderire a questo sistema attraverso un patto parasociale, nel significato tecnico del termine. Quest’ultimo viene definito “patto di coesione”, patto col quale si delega alla capogruppo la capacità di direzione, organizzazione e controllo. In questo modo si realizza un modello di gruppo anche in senso giuridico, un gruppo vero e proprio fondato su cooperative che operano tutte assieme. L’unica differenza è data proprio dalla natura giuridica della capogruppo che il Governo ha voluto, per un problema di snellezza operativa, non fosse una cooperativa, ma una società per azioni, con un capitale minimo di un miliardo. Il decreto ha individuato, inoltre, anche una cosiddetta via di fuga per quelle banche di credito cooperativo che, dotate di una certa consistenza patrimoniale, indicata in 200 ml minimo, non avessero la volontà di aderire a questo gruppo. La famigerata “way out” e i primi problemi relativi allo smantellamento del sistema cooperativistico Il DL 18/2016 ha previsto che, in determinate condizioni e parametri, si possa anche non far parte del gruppo unico. Per quello che si legge costantemente sulla stampa nazionale e su quella specializzata, sembra che questa ipotesi di “way out” sia fortemente avversata da quanti vi vedono un “vulnus” che corre il rischio di colpire pesantemente tutta la cooperazione italiana, partendo dalla cooperazione di credito. In queste ultime settimane si sono utilizzati termini forti, si è addirittura parlato di un dirigismo che ricorda il Ventennio quantunque, come si diceva sopra, in quel periodo v’è stata una grossa attenzione per il mondo della cooperazione. I punti essenziali del decreto del 14 febbraio dovrà essere convertito in legge nei prossimi Le linee guida dell’intervento riformatore sono: confermare il ruolo delle BCC come banche cooperative delle comunità e dei territori; migliorare la qualità della governance e semplificare l’organizzazione interna; assicurare una più efficiente allocazione delle risorse all’interno del sistema; consentire il tempestivo reperimento di capitale in caso di tensioni patrimoniali, anche attraverso l’accesso di capitali esterni al mondo cooperativo; garantire l’unità del sistema per accrescere la competitività e la stabilità nel medio-lungo periodo. In particolare, la riforma del settore del credito cooperativo 4 prevede: Obbligo per le BCC di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro. L’adesione ad un gruppo bancario è la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo. La Bcc che non intende aderire ad un gruppo bancario, può farlo a condizione che abbia riserve di una entità consistente (almeno 200 milioni) e versi un’imposta straordinaria del 20 per cento sulle stesse riserve. Non può però continuare ad operare come banca di credito cooperativo e deve deliberare la sua trasformazione in spa. In alternativa è prevista la liquidazione. La società capogruppo svolge attività di direzione e di coordinamento sulle BCC in base ad accordi contrattuali chiamati ‘’contratti di coesione’’. Il contratto di coesione indica disciplina e poteri della capogruppo sulla singola banca. I poteri saranno più o meno stringenti a seconda del grado di rischiosità della singola banca misurato sulla base di parametri oggettivamente individuati. La maggioranza del capitale della capogruppo è detenuto dalle BCC del gruppo. Il resto del capitale potrà essere detenuto da soggetti omologhi (gruppi cooperativi bancari europei, fondazioni) o destinato al mercato dei capitali. Al fine di favorire la patrimonializzazione delle singole BCC è stato elevato il limite massimo dell’investimento in azioni di una banca di credito cooperativo e il numero minimo dei soci. BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 Il problema dell’autonomia e il valore concreto della way out Ragionando sul tessuto normativo del decreto, si può affermare che l’autonomia del credito cooperativo esista nella misura in cui la BCC sia virtuosa o meno. In altri termini, il livello di autonomia è direttamente proporzionale alla capacità della BCC di saper stare sul mercato, più la banca è virtuosa, più è autonoma. Nel caso in cui una banca di credito cooperativo sia poco virtuosa, ci sono dei meccanismi che tendono a correggere il suo modo di agire, addirittura attraverso azioni di bocciatura del gruppo dirigente e della governanIl livello di autoce, con la finalità di riportarla alla sana e prudente gestione. nomia delle BCC Questo è un meccanismo che è direttamente proporzionale alla ha voluto sia la BCE che Bankitalia la quale dovrà anche dicapacità di questi sciplinarne i contenuti tecnici istituti di saper sta- nell’ambito della cornice di cui re sul mercato: più si diceva sopra. Su questo credo la banca è virtuosa, che, più o meno, tutte le banche possano convenire: è evidente più è autonoma che si vuol mettere a fattor comune quelli che sono sacrifici, patrimoni, la vita delle singole Bcc, delle persone e di una miriade di soci che vi operano. Non è giusto che per iniziative di alcuni o per poca lungimiranza si mettano a repentaglio risorse di una pluralità di persone. Su questo punto è necessario attendere l’individuazione dei meccanismi tecnici. Sull’altro aspetto, quello della cosiddetta via di fuga, le correnti di pensiero sono diverse. Alcune posizioni si basano su presupposti giuridici, anche rispettabili. Affinché, infatti, si possa parlare di via di fuga, la possibilità cioè che una banca di credito cooperativo non aderisca al gruppo, occorre la presenza di due condizioni: la prima è che si abbia un patrimonio netto, voglio precisare che il decreto parla di patrimonio netto, superiore a 200 ml di euro e che si devolva il 20% al fisco, a titolo di imposta. Quest’ultima non è devoluzione di una parte delle riserve, come si è letto su alcuni giornali: le riserve restano tutte, si pagano solo le tasse. L’altra condizione necessaria per la via di fuga è che bisogna trasformarsi in società per azioni. In questo si può individuare, come è stato fatto da molti autorevoli interpreti di questa riforma, un “vulnus” che addirittura potrebbe generare un ricorso alla Corte Costituzionale. In questo caso, infatti, risorse accumulate in tanti anni e in modo lento e parsimonioso, godendo anche di una fiscalità di vantaggio, si rendono disponibili ad un soggetto privato, che poi diventa soggetto speculativo per forma tecnica con la costituzione di una società per azioni, stravolgendo quindi completamente la natura e l’origine del mondo della cooperazione, della socialità, del bene comune. A contrasto di questa deriva vi è l’articolo 45 della nostra Costituzione dove si legge che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”. In questo concordo con chi ha sollevato questa problematica. Galeotto fu il principio…. Si possono inoltre riscontrare altri tipi di posizioni, quelle del mondo della cooperazione, secondo le quali si individua in questa possibilità un “vulnus” che rende attaccabili i fondi della cooperazione. In definitiva, oggi questa via di fuga è resa possibile per la cooperazione di credito, visto che si inserisce il nuovo principio secondo il quale pagando un’imposta si possano portar via questi fondi dal mondo della cooperazione, domani questo principio può riguardare altre cooperative di altro genere. Quindi, la presa di posizione di quell’esponente importante di Confcooperative, che ha affermato che nemmeno il fascismo si era permesso di fare una cosa del genere, trova riscontro in questo tipo di preoccupazione. Way out tra depauperamento delle risorse e libertà imprenditoriale Applicando questa normativa relativa alla via di fuga, vi sarebbero meno risorse, non solo sul piano dell’esistente, ma anche per il futuro. Oggi, infatti, parliamo di quello che è stato scritto nelle due pagine del decreto, poi bisogna vedere il quadro normativo che ci si va a costruire sopra. Mi sembra però che su questo punto vi siano state prese di posizioni politiche importanti anche all’interno del governo. Questo è un principio molto dibattuto. Può infatti essere giusto, da un punto di vista teorico, creare una via di fuga per quelle banche di credito cooperativo che non vogliono aderire ad un progetto comune, e che nell’ambito della applicazione del principio della libertà di impresa possano rimanerne fuori. Sarebbe, in effetti, il riconoscimento della libertà economica imprenditoriale tutelata anch’essa dalla nostra Costituzione. Se questo, però, lo si vuole introdurre, perché dobbiamo limitarlo alle banche che hanno almeno 200 milioni? Forse perché una banca con 200 ml acquisisce la patente per stare sul mercato in modo sicuro? Non si direbbe, visto quello che è successo recentemente alle famose quattro banche che avevano un patrimonio di gran lunga superiore ai duecento milioni e che sono andate tutte in default. Non si direbbe, visto quello che sta succedendo in Germania a Deutch Bank etc. Quindi, se questo non è un livello di consistenza patrimoniale che di per sé consente di affrontare con sicurezza il mercato, allora perché porre questo limite? E’ giusto dare una via di fuga, credo che sia giusto darla a tutti coloro i quali non ritengono, per tanti motivi, di aderire alla cooperazione di credito nazionale. In Italia ci sono delle banche che, pur essendo BCC, sono però da sempre fuori dalla cooperazione di credito, sono fuori da Federcasse. Parliamo di CrediBo, parliamo di tutto il gruppo CaBel, sono tutte banche che sono fuori da questo movimento. Perché dovrebbero aderire ad un progetto del genere visto che hanno già dimostrato di poter stare autonomamente sul mercato? Il superamento nel tempo del sistema cooperativistico italiano attuale. E’ veramente questa la richiesta dell’Europa? In chiusura, è necessario soffermarsi su come questa normativa sembra mirare ad indebolire in maniera progressiva il sistema del cooperativismo italiano che pure, come si è scritto sopra, ha una lunga e gloriosa storia. I patrimoni delle banche di credito cooperativo sono nati nell’ambito del sistema della cooperazione ed hanno avuto un regime fiscale di vantaggio. Perché poi, le BCC che non vogliono aderire, devono costituire modelli societari che hanno fini speculativi come le società per azioni, semplicemente pagando una tassa? Questo principio mi sembra veramente povero dal punto di vista concettuale. Infatti, come già accennato in precedenza, la normativa sembra che crei problemi politici con la cooperazione italiana, problemi di interpretazione costituzionale in riferimento all’articolo 45 Cost., problemi sociali, giacché sottrae fondi costituiti in decine o centinaia di anni dai cooperatori italiani per destinarli ad ambienti contendibili e, per loro natura, speculativi. Militano in questa direzione anche altri aspetti del DL n.18/2016 che meritano altrettanta riflessione e che si possono enumerare in questi seguenti punti: a. L’aumento del numero minimo dei soci occorrenti per la costituzione di una nuova Bcc, da 200 a 500 soci minimo (art.2, lettera a); b. l’aumento da 50mila 100mila euro della quota azionaria massima possedibile dal singolo socio (art.2, comma 4, lettera b); c. l’introduzione della volontà di sottoscrivere quote come requisito di immissione a socio (art.2, comma 4bis, lettera c); In definitiva, questi aspetti sembrano indirizzare la cooperazione italiana del credito verso la concentrazione e la contendibilità del sistema, concetti del tutto diversi dallo spirito mutualistico e sociale ideato e pensato dai padri fondatori. Bisogna a questo punto chiedersi se veramente l’Europa ci avesse chiesto tutto questo. Nella pagina a fianco: i soci costituenti della Cassa Rurale di Turriaco (Go), fondata nell’agosto del 1896 Sopra: Banca del Cilento e Lucania Sud, la Palazzina dei Organi Collegiali e della Direzione Generale a Vallo della Lucania 2016, emanato dal Governo. Il DL 18/2016 novanta giorni La capogruppo potrà sottoscrivere azioni di finanziamento (di cui all’articolo 2526 del codice civile) per contribuire al rafforzamento patrimoniale delle BCC, anche in situazioni diverse dall’inadeguatezza patrimoniale o dall’amministrazione straordinaria. Disposizioni transitorie: la banca che intende assumere il ruolo di capogruppo deve trasmettere la relativa comunicazione alla Banca d’Italia entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione della stessa Banca d’Italia. Il contratto di coesione è stipulato entro 90 giorni dalla conclusione degli accertamenti di Banca d’Italia. Sono previsti 60 mesi dall’entrata in vigore della legge per l’adeguamento da parte delle BCC al nuovo numero minimo di soci. Il decreto legge include inoltre le disposizioni che permettono di avviare il regime di garanzia sulle passività emesse nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate a fronte della cessione da parte di banche italiane di portafogli di crediti pecuniari qualificati come sofferenze. La misura ha caratteristiche tali da escludere la presenza di elementi di aiuto come formalmente confermato oggi dalla Commissione europea. Scopo della misura è favorire lo sviluppo del mercato italiano dei non performing loans (prestiti non performanti), facilitando l’accesso di investitori con orizzonte di medio-lungo periodo e contribuendo a ridurre la forbice di prezzo tra chi vende e chi compra crediti deteriorati, che rappresenta l’ostacolo principale per la crescita di questo mercato. La garanzia dello Stato può essere concessa solo ai titoli della classe senior e purché questi abbiano previamente ottenuto un livello di rating da una agenzia riconosciuta dalla BCE corrispondente a un investment grade. La garanzia diviene efficace quando la banca abbia venduto più del 50% dei titoli junior. La garanzia è onerosa e il prezzo della garanzia è costruito prendendo come riferimento i prezzi dei credit default swap di società italiane con un rating corrispondente a quello dei tioli senior che verrebbero garantiti. Il decreto legge definisce anche le caratteristiche delle operazioni ammissibili e dei titoli senior, la procedura di richiesta e l’eventuale fase di escussione delle garanzia. BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 5 Progetto di fusione con Sassano Progetto di fusione con Sassano Una nuova banca territoriale al servizio degli operatori economici e sociali Inviato a Bankitalia l’aggiornamento sul progetto di fusione Forte interazione tra le aree, le attività economiche e produttive e le comunità locali Le integrazioni al Piano di Fusione, presentato ad ottobre, afferiscono ai bilanci e al nuovo assetto organizzativo e patrimoniale della nuova banca “Fare banca territoriale con rinnovato spirito di servizio” è questa la sfida che pone il progetto di fusione tra la Banca del Cilento e Lucania Sud e la BCC di Sassano, questo anche il senso dell’aggiornamento integrativo di febbraio al progetto di fusione, promosso dalla Banca del Cilento e Lucania Sud in base ad una precisa richiesta di Bankitalia. L’organo di Vigilanza, infatti, nel prospettare una “road map” del piano di fusione promosso lo scorso ottobre, aveva richiesto alla Banca del Cilento e Lucania Sud un aggiornamento sulla base dei bilanci: ecco dunque la ratio del documento inviato nei giorni scorsi all’organo di vigilanza. L’obiettivo della fusione è quello di strutturare una banca che si occupi delle reali esigenze degli attori economici del territorio del Cilento, del Vallo di Diano, dell’area meridio- nale della Lucania, della fascia costiera di Maratea e dell’area settentrionale della Calabria: organizzare, cioè, una banca territoriale per imprese, famiglie e comunità locali. E’ questa una sfida che parte l’impegno dei soggetti che ne compongono la base sociale e ne sostengono l’esistenza e che tende a raggiungere risultati di piena stabilità economica di sviluppo e di crescita. Quello sul quale si estende la competenza della nuova banca è un territorio variegato. Si va dalla fascia costiera cilentana, lucana e calabrese, da Acciaroli a Praia a Mare, sino all’area dello Ionio, con le marine di Rotondella e Nova Siri. E’ questa l’area di sviluppo turistico con una moltitudine di sfaccettature sul piano dell’offerta e delle potenzialità di sviluppo. Si va, inoltre, dalle arre interne del Cilento all’area del Vallo di Diano sino al poten- tino. In questa zona si ha un’economia di servizi, commercio, artigianato sino alla piccola e media industria; su questa infatti insistono due dei maggiori centri del mezzogiorno della provincia salernitana: Vallo della Lucania e Sala Consilina, i cui comprensori rappresentano il cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni con tutte le conseguenze di sviluppo integrato che ne derivano. Su questa zona insistono diverse aree artigianali e l’area industriale di Tito di Potenza, passando per il grosso addentellato commerciale dell’indotto dell’auto del Vallo di Diano. Nella competenza della nuova banca, esiste, inoltre, l’area di Lauria, centro di servizi e di commercio a collegamento tra fascia costiera e zona interna della Lucania. Esiste, ancora, l’area centrale del Parco del Pollino, grosso polmone verde sul quale si sta intensificando l’attività produttiva legata al turismo verde e all’enogastronomia. Esiste ancora l’area della Sinnica, una strada di raccordo tra Lauria e lo Ionio, ricca di potenzialità produttive artigianali e agricole. Tutte queste zone di competenza della nuova banca rappresentano un equilibrio, dove la stagionalità di alcune aree, con i settori del turismo e dell’agricoltura, si compensa con una maggiore continuità delle attività commerciali e della piccole a media industria. Una banca territoriale, un istituto di credito cooperativo, rappresenta una forte interazione con le aree che la compongono e con le valenze economiche e produttive e raggiunge la stabilità quando le attività del territorio sono variegate e concorrono, tutte, ad assicurare lo sviluppo e il benessere delle comunità locali. A sinistra: BCC Sassano, la filiale di Tito di Potenza, attualmente quella più a sud del nuovo territorio della banca Il nuovo territorio di competenza Nella cartina in basso è riportato il territorio di competenza della nuova banca del Cilento, di Sassano e del Vallo di Diano e della Lucania Sud. Il territorio comprende l’area costiera del Cilento centro-meridionale, da Acciaroli a Sapri, l’area costiera della Basilicata e quella settentrionale della Calabria (da Maratea a Praia a Mare), l’area interna del Cilento attorno al monti Gelbison e Cervati, l’area del Vallo di Diano e del potentino, con la zona industriale di Tito di Potenza e la stessa città di Potenza. Il nuovo territorio comprende, inoltre, l’area della Lucania Sud, tanto quella centrale del Parco del Pollino che quella della Sinnica, l’arteria che mette in collegamento Lauria con lo Ionio. 6 BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 Sono state inviate all’Organo di Vigilanza le integrazioni al piano di fusione dello scorso ottobre. “Banca d’Italia ci aveva chiesto di fare un aggiornamento dei dati alla luce dell’approvazione del bilancio 2015” afferma il direttore generale della Banca del Cilento Lucania Sud, dottor Ciro Solimeno “ i bilanci delle due banche sono stati chiusi ed abbiamo inviato gli aggiornamenti richiesti, ci aspettiamo che nel giro di qualche mese l’operazione possa andare in porto.” Quali sono in sintesi gli aggiornamenti inviati? I punti salienti dell’aggiornamento riguardano la definizione del progetto civilistico di fusione, documento che è stato prodotto della Federazione Campania, la situazione economica e patrimoniale della due banche al 31 dicembre 2015, la tempistica degli adempimenti civilistici e societari e probabile data di decorrenza degli effetti giuridici, anche in questo caso il documento prodotto dalla federazione Campana. Abbiamo poi prodotto un aggiornamento relativo agli assetti organizzativi della nuova Banca, un aggiornamento delle previsioni trien- nali sulla base del consuntivo 2015 con particolare riferimento all’adeguatezza patrimoniale ai fini ICAAP con stress, alla dinamica del portafoglio prestiti e ipotesi di cessione, al ripristino di un’adeguata redditività delle componenti ordinarie, alle politiche per la gestione dei crediti anomali. Abbiamo infine fornito maggiori dettagli sulle operazioni di cessione ed abbiamo definito gli assetti organizzativi della nuova Banca. Quanto a questo ultimi, come sarà organizzata la nuova banca? E’ stata confermata la precedente struttura, quindi, sul piano dell’articolazione territoriale delle filiali, tutte queste rimarranno aperte. Sarà ridisegnata la rete di vendita per razionalizzare e migliorare il presidio del territorio. L’impianto organizzativo sarà quello attualmente in uso alla Banca del Cilento e Lucania Sud. E’ stato introdotto un nuovo ufficio: il “centro servizi operativi” da allestire presso i locali di Sala Consilina, presidiato da quattro risorse. Una risorsa ulteriore verrà assegnata all’ufficio Organizzazione Pianificazione e Controllo di gestione.. Quanto alla redditività prospettica cosa si ipotizza? Il nuovo conto economico prospetti- co prevede una maggior redditività sul margine d’interesse per effetto della sostituzione progressiva della parte ceduta delle sofferenze con nuovi impieghi vivi. L’accresciuta redditività consente di supportare sia i costi delle cessioni che le maggiori svalutazioni per adeguare il grado di copertura sul credito deteriorato, come di seguito rappresentato. Quindi, direttore, quando avverrà la fusione? Guardi, come ho già avuto modo di dire in una precedente intervista, Bankitalia ci ha chiesto anche di ipotizzare una tempistica in cui poter fare l’operazione, noi la tempistica l’abbiamo individuata di concerto con la Federazione Campana, che resta l’istituzione di riferimento di questa operazione perché così ha voluto Bankitalia e così abbiamo voluto noi partner, sia noi che la Sassano. Quindi, se le rispettive assemblee saranno d’accordo e, ovviamente, se lo sarà l’organo di vigilanza, ipotizziamo che l’operazione si possa celebrare dal prossimo primo luglio. Se così non dovesse essere, magari per problematiche tecniche, ogni data rimane possibile entro il 31 dicembre. A sinistra: BCC Sassano, la filiale di Tito di Potenza, attualmente quella più vicina a Potenza del nuovo territorio della banca I risultati patrimoniali prospettici della nuova banca BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 7 Una Fondazione per lo Sviluppo del Territorio Per la Cultura Per la Ricerca e l’innovazione Per la Crescita delle Comunità Locali BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016 9