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Ma è veramente quanto ci aveva chiesto l`Europa?

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Ma è veramente quanto ci aveva chiesto l`Europa?
Territori
ancAperta
http://www.bcccilentoelucaniasud.it
Speciale allegato al periodico di comunicazione della Banca del Cilento e Lucania Sud
Anno V - numero 2 - Febbraio 2016
DL 18/2016: la riforma varata dal Governo
Ma è veramente quanto ci
aveva chiesto l’Europa?
Castiello: la normativa del decreto confligge con
la “funzione sociale” delle cooperative
L’art.45 Cost. riconosce la “funzione sociale” delle imprese cooperative “a carattere di mutualità
e senza fini di speculazione privata”. Come è dato evincere dal dibattito in seno all’Assemblea Costituente in occasione della formulazione della norma, l’espressione “carattere di mutualità” è stato
inteso quale sinonimo di carattere democratico e cioè di autogestione della cooperativa, che trova
nell’identità di amministratore e socio, nel principio del voto capitario e nell’autonomia gestionale i
suoi fattori costitutivi. Il fatto che la Costituzione presupponga l’autogestione e l’autonomia della
cooperativa sintetizzandone i valori nell’espressione “carattere di mutualità” è dimostrato dalla circostanza che il legislatore costituente ha abbandonato la formula usata dal codice civile nell’art. 2511, dove si parla di “scopo mutualistico”
con evidente riferimento al vantaggio individuale del socio e, quindi, alla gestione di servizi, per valorizzare, piuttosto,
la democraticità dell’assetto strutturale della cooperazione fondato sull’autogestione. In definitiva, nel dibattito costituzionale assunse prevalente rilievo il modello organizzativo-strutturale incentrato sull’autogestione e sull’autonomia
dell’impresa cooperativa piuttosto che il vantaggio mutualistico.
segue alle pagine 2 e 3
Si può dire, in estrema sintesi, che nel modello costituzionale di cooperazione protetta ed
Solimeno: le norme varate dal Governo creano un vulnus
nel mondo della cooperazione
Nella lunga storia del cooperativismo italiano, che va dalla fine del XIX secolo all’assetto organizzativo attuale, sino all’ultimo decreto legge, il DL 18/2016, emanato dal Consiglio dei Ministri in queste
ultime settimane, che in parte recepisce il progetto di autoriforma del sistema promosso da Federcasse,
è possibile riscontrare almeno due fasi già compiute e una terza in via di compimento attraverso la
normativa appena definita.
La fase dei Padri Fondatori
La fase iniziale è quella voluta dai padri fondatori, quella di Raiffeisen, ma anche quella di Leone XIII con l’enciclica
“Rerum Novarum”, da cui nacque la Cassa Rurale di Loreggio che, in Italia, fa sorgere le Casse rurali vicine alle parrocchie e alla cooperazione sociale minore, per rispondere alle esigenze del popolo e delle piccole società artigiane ed
economiche. Nasce, in questo periodo, il mondo della cooperazione cattolica e socialista. Ad onor del vero, per onestà
intellettuale, bisogna riconoscere che anche durante il Ventennio si riscontrano rispetto e considerazione per il mondo
della cooperazione in generale e per quella di credito cooperativo in particolare. Questo
segue alle pagine 4 e 5
rispetto e questo riconoscimento trovano riscontro nella Legge Bancaria del 1936.
I punti essenziali del
decreto
Il pacchetto di misure del Decreto Legge 14 febbraio 2016,
n. 18 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 febbraio 2016,
n. 37), contenente misure urgenti per la riforma delle banche di credito cooperativo e altre disposizioni urgenti per
il settore del credito, si inserisce nell’ampio disegno di ristrutturazione del sistema bancario italiano con l’obiettivo
di rafforzarlo al fine di renderlo più resistente agli shock,
mettere gli istituti nelle condizioni di finanziare adeguatamente l’economia reale e quindi favorire la crescita e
l’occupazione. Fanno parte di questo disegno la riforma
delle Banche Popolari approvata lo scorso anno e l’autoriforma delle Fondazioni di origine bancaria, sostenuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in qualità
di Autorità di vigilanza. La riforma delle BCC consentirà
di superare le criticità che presenta la vigente disciplina
del settore: debolezze strutturali derivanti dal modello di
attività, particolarmente esposto all’andamento dell’economia del territorio di riferimento, ed anche dagli assetti
organizzativi e dalla dimensione ridotta. Allo stesso tempo
viene confermato il valore del modello cooperativo per il
settore bancario e rimane il
segue alle pagine 4 e 5
principio del voto capitario.
Fusione con la BCC di
Sassano
Al via il progetto
a pag. 6 e 7
Castiello: la normativa del decreto confligge con la “funzione sociale” delle imprese
cooperative “a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”
Numerosi i punti del testo normativo del DL 18/2016 che contrastano con i principi della socialità diffusa espressi nel nostro ordinamento giuridico, il valore della
cooperazione è sancito dalla Costituzione
segue dalla prima
incentivata in ragione della sua “funzione sociale” assumono eminente rilievo
la struttura dell’impresa cooperativa informata al principio dell’autonomia e
dell’autogestione e il profilo finalistico
costituito dall’assenza di intonazione
speculativa.
L’art. 45 della Costituzione, sul presupposto che coesistano l’intonazione non
speculativa e il carattere di mutualità della cooperativa, le riconosce la “funzione
sociale“ e cioè
L’impresa coopel’utilità sociale
rativa conforme al intrinseca al momodello dell’art.45 dello risultante
dalla sintesi dei
Cost., è investita
caratteri anzidi una “funzione
detti, obbligansociale” e rappredo il legislatore
senta un valore in
(statale e regionale) a controlli
sé che la Costituconservativi. Ed
zione tutela
invero la norma, premesso
che ”La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere
di mutualità e senza fini di speculazione
privata”, prescrive che: “la legge ne promuove e favorisce l’incremento con i
mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità ”.
In definitiva l’impresa cooperativa conforme al modello dell’art.45 Cost. è investita di una “funzione sociale” e rappresenta un valore in sé che la Costituzione
tutela assegnando al potere legislativo il
compito di garantirne con controlli di tipo
conservativo la continuità della sua identità nel tempo.
Tale obiettivo acquisisce migliore evidenza attraverso il raffronto tra l’art. 45
e l’art. 41 Cost. che, nel disciplinare la
libertà di impresa, prevede al secondo
2
comma che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana. La legge determina i
programmi e i controlli opportuni perché
l’attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali”. Il raffronto tra queste due fondamentali disposizioni della Carta Costituzionale rende palese la diversa qualità e
natura dei controlli: di tipo conservativo
sull’impresa cooperativa conforme al
modello di cooperazione tutelata che,
in ragione della “funzione sociale”, che
istituzionalmente le appartiene, merita di
essere conservata e preservata da degenerazioni; di tipo conformativo, invece,
nei confronti dell’impresa ordinaria che,
caratterizzata da intonazione speculativa,
deve essere sottoposta ad opportuni controlli affinché non si svolga in contrasto
con l’utilità sociale.
La natura a la finalità di tipo conservativo
degli interventi voluti dall’art. 45 Cost.
sull’impresa cooperativa conforme al modello ivi definito e i conseguenti vincoli
alla legge ordinaria affinché ne conservi
inalterate le qualità e l’identità devono
essere ben tenuti presenti ai fini di riscontrare la corrispondenza della riforma delle
Bcc e del decreto legge n. 18/2016 ai principi di cui al predetto art. 45 e, in definitiva, di verificare la costituzionalità della
riforma stessa.
La società Capogruppo.
L’art. 1 del Decreto Legge n.18/2016 riserva alla capogruppo poteri di intervento
conformativo e sostitutivo delle Bcc facenti parte del gruppo che mal si conciliano con il principio di autogestione delle
BCC e rischiano di affievolirne l’identità
e allontanarla dal modello di cooperazione tutelata e protetta scolpito nell’art. 45
Cost., il quale fa
obbligo al legislatore (statale
e regionale) di
accordare
incentivazione e
sostegno
alle
cooperative rispondenti a tale
modello. Significativi sono gli
spunti offerti dai
lavori preparatori
dell’art. 45 Cost.:
in
particolare
(come si evince
dagli atti dell’Assemblea
Costituente, II, Roma
1946-1948,
pp.
3990 ss.) l’emendamento dell’On.
le Canevari accolto e tradotto nella
formulazione definitiva del predetto
art.45, secondo cui
il riconoscimento
della “funzione
sociale” della cooperazione e l’obbligo per i pubblici poteri
di incentivazione e sostegno è in stretto e
necessario collegamento con i due principi che ne integrano “ la struttura e l’architettura”: quello del “carattere di mutualità” (inteso, come si è detto, alla stregua
dell’autogoverno della cooperativa piuttosto che come vantaggio mutualistico dei
soci) da una parte e quello dell’assenza di
finalità speculative dall’altra.
I dubbi e le riserve si originano dalla costatazione che la capogruppo, come è previsto dall’art. 37 bis introdotto nel Testo
Unico Bancario con l’art.1 del Decreto
Legge n.18/2016, non limita la sua funzione alla sola attività di coordinamento,
ma può spingere i propri interventi nei
confronti delle BCC aderenti a livelli
conformativi fortemente incisivi e stringenti, come è reso palese dall’espressione “direzione”, aggiunta a quella di “coordinamento”. E’ noto che nella teoria
dell’organizzazione amministrativa il coordinamento ha luogo attraverso la somministrazione di direttive e di indirizzi
caratterizzati dai requisiti della elasticità e
della flessibilità, essendo i soggetti destinatari vincolati al risultato, ma liberi nella
scelta dei mezzi; al contrario, la funzione
di direzione prende corpo nella imposizione di ordini o statuizioni comunque
vincolanti, che lasciano ben poco spazio
ai destinatari, anche per quel che attiene
alla sola attività strumentale. Si consideri,
ad esempio, la clausola i cui all’art. 37 bis,
terzo comma, lettera b, punto 2 che riserva
alla capogruppo il potere di “opporsi” alla
nomina di componenti di organi di amministrazione e controllo (il che vuol dire
vietarne la nomina) e, simmetricamente,
di “revocare” uno o più concorrenti degli
organi anzidetti, in entrambi, i casi “fino
a concorrenza della maggioranza”. L’investitura della società capogruppo di tali
pervasivi poteri denota il deciso intendi-
mento di erigere la capogruppo medesima
a un livello di assoluto dominio nei confronti delle banche aderenti.
E’ di intuitiva evidenza che l’investitura
di un potere sostitutivo degli esponenti aziendali, nullificando, in definitiva, il
potere di nomina esercitato dall’assemblea dei soci, organo sovrano della cooperativa, circoscrive in misura rilevante
l’autogoverno della cooperativa allontanandolo dal paradigma costituzionale di
cooperazione protetta ed incentivata. E’
ben vero che il novellato art.37 bis della
legge bancaria al comma 3, lettera b, punto 2 precisa che i poteri della capogruppo,
di opposizione alla nomina o di revoca
dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, possono esercitarsi
in casi “motivati ed eccezionali”, che,
unitamente alle “modalità di esercizio di
tali poteri”, saranno individuati e definiti
dal contratto di coesione che disciplina la
direzione ed il coordinamento della capogruppo sul gruppo. Ma è altrettanto vero
che la posizione di assoluto dominio della
società capogruppo può alterare gli equilibri contrattuali, sicché il contratto di coesione potrebbe flessibilizzare il rigore della surriferita clausola (casi “motivati ed
eccezionali”), recuperando alla capogruppo stessa un terreno di azione più esteso di
quello che la clausola stessa appare di riservarle, rendendo flessibile la previsione
dell’anzidetto comma 3, lettera b, punto 2
circa l’eccezionalità delle ipotesi in cui i
ridetti poteri interdittivi della nomina e di
revoca della nomina sono stati confinati.
Stesso ordine di considerazioni vale per
la clausola di cui al successivo punto 3
dove la capogruppo è investita della potestas excludendi di una Bcc “in caso di
gravi violazioni degli obblighi previsti dal
contratto”. Si è in presenza dell’investitura di un potere a fattispecie indeterminata, tale essendo la previsione delle gravi
violazioni, non meglio specificate, che il
BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016
contratto di coesione può intendere estensivamente riconducendo alla soglia della
gravità anche violazioni che tale carattere
intrinsecamente non possiedono (anche
se, a correggere eventuali abusi, potrebbe intervenire il potere autorizzativo della
Banca d’Italia previsto dall’art.37 bis l.
bancaria, quinto comma).
Ma la clausola che suscita ancor più forti
perplessità e riserve sulla costituzionalità
dell’art.37 bis della legge bancaria come
integrato dal Decreto Legge n.18/2016
è quella di cui al terzo comma, lettera b,
punto 3, seconUna clausola che
do la quale è
rimessa al consuscita forti pertratto di coesioplessità e riserve
ne l’indicazione
sulla costituziodelle “altre minalità dell’art. 37
sure sanzionabis della Legge
torie graduate
Bancaria come in- in
relazione
tegrato dal decreto alla gravità della violazione”
del Governo
ai danni delle
Bcc aderenti al
gruppo in caso di gravi violazioni degli
obblighi previsti dal contratto.
L’art. 23 Cost. sancisce il principio generale di tassatività e rigorosa tipicità delle
sanzioni, istituendo una riserva di legge
che, sul piano delle fonti legislative ordinarie, è integrata dalla legge generale
sulle sanzioni n.689/1981, art.1. che si
ispira appunto al principio della rigorosa
tipicità sanzionatoria. La delegificazione
prevista dal terzo comma, lettera b, punto
3 anzidetto, che rimette al contratto di coesione la previsione della generalità delle
misure sanzionatorie diverse da quella
della esclusione delle Bcc dal gruppo, non
sembra conforme al principio costituzionale di riserva di legge di cui al cit. art. 23
Cost. La delegificazione e la contrattualizzazione della previsione di tali sanzioni
ancora una volta espone le Bcc al rischio
del potere dominante della capogruppo e
della sudditanza nei confronti del potere
stesso con la conseguente, non irrealistica, ipotesi di una eccessiva estensione
ed articolazione nel contratto di coesione
del potere sanzionatorio, rispetto al quale l’unico debole argine posto dalla legge
è costituito dal richiamo del principio di
proporzionalità delle sanzioni, graduate “in relazione alla gravità della violazione”; principio, peraltro, già presente
nell’ordinamento giuridico, sicché il suo
generico richiamo, senza ulteriori criteri
delimitativi, può ritenersi, in definitiva, se
non superfluo, di scarsa utilità.
Il conflitto di interessi
Il Decreto n. 18/2016 ha previsto, nell’integrare la legge bancaria con l’aggiunta
dell’art.37 bis, che la società capogruppo
è “costituita in forma di società per azioni…il cui capitale è detenuto in misura
maggioritaria dalle banche di credito cooperativo appartenenti al gruppo”. Ne
consegue il conformarsi di una situazione
d’identità di controllore e di controllato.
Nasce spontaneo il quesito: è possibile
concepire correttamente un assetto della
capogruppo in forma di Spa di cui le BCC
possiederanno il controllo (detenendo la
maggioranza del capitale) quando la capogruppo è investita di poteri di “direzione e
coordinamento sulle società del gruppo” e
di altri pervasivi poteri di controllo sulle
Bcc partecipanti, ivi inclusa la potestas
excludendi dal gruppo e il potere sostitutivo dei componenti della governance?
Sulla unicità della capogruppo
Al paradigma costituzionale di cooperazione tutelata sul presupposto dell’assetto
democratico e dell’autonomia dell’impresa cooperativa, in luogo di un sistema
monocentrico, che si esaurisce in una
sola capogruppo,
appare maggiormente coerente
un sistema policentrico, fondato
su una pluralità
di capogruppo.
In questa direzione si erano
orientate le autorità creditizie. Il
Governatore della Banca d’Italia, in occasione
tanto dell’ultima
assemblea
dei
Partecipanti (26
maggio 2015) che
dell’Assemblea
ABI, ha parlato di
enti “capogruppo”
e non di un’unica
“capogruppo”. Il
dr. Carmelo Barbagallo, Capo del
Dipartimento Vigilanza Bancaria e
Finanziaria Banca
d’Italia, intervenendo il 15 ottobre 2015 al “Seminario Istituzionale sulle
tematiche relative alla riforma del settore delle banche di credito cooperativo”
(Commissioni riunite –Sesta della Camera dei Deputati e Sesta del Senato della
Repubblica), ha, a sua volta, ipotizzato la
formazione di “gruppi” costituiti “per iniziativa delle aspiranti capogruppo s.p.a. e
delle BCC che ad esse fanno riferimento
e che sia successivamente possibile per
ogni BCC chiedere l’ammissione ad uno
dei gruppi costituitisi, da ottenere entro un
termine breve alle stesse condizioni stabilite per gli aderenti originari (clausola c.d.
di opt-in)”.
In realtà appare più vicino e coerente al
paradigma costituzionale di cooperazione
tutelata e incentivata un modello fondato
sull’iniziativa delle Bcc che concorrano
per così dire “dal basso” alla formazione
delle capogruppo aderendo ad esse in autonomia, piuttosto che un modello che le
veda obbligate ad aderire ad un’unica capogruppo calata “dall’alto”, senza alcuna
possibilità di scelte alternative.
Il rischio di frammentazione, paventato
dal Presidente della Federcasse e da lui
medesimo rappresentato nell’intervento
al predetto Seminario, avrebbe potuto essere, almeno in buona parte, neutralizzato
istituendo opportuni collegamenti (strutturali e funzionali) tra le società capogruppo, in quanto componenti di un unico
Movimento, quello della cooperazione
di credito, fondato su comuni interessi e
valori: quelli formulati nella “Carta dei
Valori del Credito Cooperativo”, piuttosto che prevedere, secondo la soluzione
privilegiata dal D.L. n.18/2016, un’unica
capogruppo senza possibilità alternative
di adesione per le Bcc.
Sul diritto di recesso
Forti perplessità e riserve suscita la previsione della “via d’uscita“ con sentita alle
Bcc con un patrimonio superiore a 200
milioni che potranno continuare l’attività
bancaria in forma di spa , ma a condizione di sottostare ad un prelievo fiscale pari
al 20 % delle riserve, quale corrispettivo
della rimozione del vincolo della loro indivisibilità .
A parte ogni altra considerazione, è da
dire che le riserve traggono origine anche
dalle rinunce, negli anni, ai dividendi da
parte dei soci; rinunce ispirate alla finalità di connotare la cooperativa di credito
alla stregua di finalità marcatamente non
speculative, così avvicinandola vieppiù al
modello di cui all’art. 45 Cost. e meritandone, a maggior ragione, la tutela conservativa ed incentivante.
Un esempio paradigmatico (che peraltro
non è né il primo né l’ultimo) è offerto
dal comportamento dei numerosi soci della più grande unità del gruppo, la Bcc di
Roma, i quali già da molti anni, con voto
assembleare unanime, hanno rinunciato
ai dividendi, esaltando l’intonazione non
speculativa della partecipazione alla cooperativa.
L’assentimento all’uscita dal gruppo e
alla trasformazione in spa alla condizione
del pagamento di un’imposta pari al 20%
delle riserve, se può soddisfare le pretese
del fisco, non soddisfa certamente quelle
del Credito Cooperativo che subisce un
indebolimento patrimoniale con attrazione delle riserve “affrancate” nell’alveo
della ordinaria imprenditorialità bancaria
d’ispirazione speculativa. Via d’uscita,
questa, perciò di assaidubbia compatibilità con l’art.45 Cost. ed i vincoli di intonazione “conservativa” da questo posti alla
legge ordinaria.
Nella pagina a fianco. Sotto: Assemblea Costituente, l’intervento di Alcide De Gasperi sul movimento
cattolico della cooperazione. Sopra: il primo libro
mastro della BCC di Monterenzio (Bo), costituita
il 25 marzo 1902, con il nome di Cassa Rurale dei
Depositi e Prestiti di S. Benedetto del Querceto.
BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016
3
Solimeno: le norme varate dal Governo creano un grave vulnus nel mondo della
cooperazione
Se questa è la terza fase della storia del credito cooperativo, dopo quella dei padri fondatori e quella del ‘93, sussistono dubbi sul nuovo assetto della cooperazione:
dalla way out all’aumento della quota azionaria massima. La riforma è veramente quanto ci ha chiesto l’Europa?
Dai Padri Fondatori alla normativa del ‘93
La normativa del ’93 ha trasformato le istituzioni creditizie
sociali, cioè le ex CRA, Casse Rurali ed Artigiane, in vere
e proprie banche mantenendone la caratteristica di banca
del territorio finalizzata all’assistenza creditizia sociale di
base. Questa normativa, di conseguenza, ha comportato
una grossa modifica delle ex CRA trasformandole in Bcc,
le quali hanno assunto la caratteristica di banche universali. In sostanza, tali istituti, dal ’93 in poi, possono effettuare
tutte le operazioni come qualsiasi altro istituto bancario.
Ritornando alla prospettiva stoLa legge del ‘93 ha rica, possiamo quindi affermare
sancito, sulla base che la Legge del ‘36 era quella
della specializzazione bancaria
del principio di
e divideva gli istituti a breve, a
despecializzazione
medio e a lungo termine, istiche le BCC sono e tuti a carattere sociale, casse di
possono effettuare risparmio, popolari e BCC. La
legge del ‘93 ha rappresentatutte le operazioni
degli altri istituti di to, invece, la normativa della
despecializzazione del sistema
credito
bancario, sulla base del principio in base al quale anche le
BCC sono banche e possono effettuare tutte le operazioni
degli altri istituti di credito, ovviamente nella misura in
cui vi è la forza e la capacità interna di poter affrontare
il mercato e, naturalmente, sotto il controllo della Banca
d’Italia.
Il credito cooperativo nell’era della UE
Con le nuove normative economiche e bancarie europee
che hanno comportato l’istituzione di regole uniche del
sistema bancario europeo, è nata la necessità di rafforzare i sistemi bancari degli stati membri tra cui l’Italia e,
nell’ambito di ciò, nella cooperazione di credito italiana.
Osservando il sistema del credito cooperativo in prospettiva comparata, si notano, in campo europeo, diversi modelli. C’è il modello francese, il Crèdit Agricole, dove esiste
una banca capogruppo in un sistema verticale: le banche
locali non sono altro che filiali, non hanno alcuna autonomia dal punto di vista industriale, in quanto tutto è diretto
dalla capogruppo. C’è poi il modello olandese, quello del-
le RaboBanck, dove esiste una capogruppo, ma ha natura
di cooperativa. Le banche aderiscono attraverso accordi
con la capogruppo, ma, sostanzialmente, il modello è visto
come sistema unico, quindi c’è anche un unico sistema di
vigilanza sulla capogruppo. Esiste poi il sistema austrotedesco che è molto simile al nostro. In questo, ci sono
molte banche di piccole dimensioni a carattere locale. In
tale sistema, queste banche prendono la denominazione di
Raiffeisen Bank, dal nome del padre fondatore, Federico
Guglielmo Raiffeisen. A differenza del sistema italiano,
queste banche sono tutte banche autonome, ma sono fortemente collegate tra loro da vincoli di solidarietà, gestiti
da un fondo di solidarietà di sistema (F.I.P.) che ha quasi
un centinaio di anni ed è molto ricco. La vera differenza
rispetto al sistema italiano è che questo fondo consente di
affrontare le crisi, o le probabili crisi, delle singole banche
in modo concreto ed effettivo in quanto si hanno i fondi
per poter effettuare questo tipo di attività.
Il modello del credito cooperativo italiano
In Italia, l’organizzazione del credito cooperativo aderisce
al mondo della cooperazione ed è strutturata su due livelli,
c’è un livello sociale e di rappresentanza che è retto da
una federazione nazionale, “Federcasse”, organizzata sul
territorio attraverso federazioni regionali. Gli esponenti
di questi organismi sono i presidenti delle BCC e svolgono essenzialmente un’attività di rappresentanza di tutto il
movimento della cooperazione di credito sotto il profilo
dell’identità, della socialità, della fornitura di servizi specialistici di supporto e quant’altro. Parallelamente, esiste
poi il sistema tecnico, costituito da banche di primo livello,
le BCC, che in questo momento sono 364. Poi ci sono le
banche di secondo livello che sono partecipate dalle stesse
BCC, dalle altre banche di simile livello e dalla federazione nazionale, sono in definitiva quelle che consentono
a tutte le BCC di poter competere sul mercato bancario
globale. Tutte queste banche sono tenute assieme dall’interesse economico socialmente incrociato con le attività
delle banche di primo e di secondo livello. Il tutto è coordinato dal potere politico della Federazione. In realtà, oggi
non esiste un vero e proprio collante di tipo giuridico che
consenta a tutte queste entità di essere un gruppo in senso
tecnico.
La
necessità di creare un unico gruppo per
far fronte alle crisi
Il decreto legge che disciplina la riforma delle
BCC, varato nei giorni scorsi dal Consiglio dei
Ministri, che poi recepisce, in qualche modo, le
direttive di autoriforma che il sistema stesso si è
dato, mira proprio a colmare questo gap. Mira,
cioè, a definire un collante effettivo tra il movimento e le BCC. In pratica si mira a far sì che
le banche di credito cooperativo, tutte insieme,
possano essere definite gruppo in senso tecnico,
quindi che possano mettere assieme tutti i loro
patrimoni per poter poi far fronte a tutti quelli
che possono essere gli stati di crisi. Questa è,
in sostanza, la richiesta che veniva dall’Europa. L’unione
bancaria europea è, oggi, principalmente fondata su due
istituti: la moneta unica, l’euro, e il sistema di gestione delle crisi, l’EBA. Per poter aderire a questa precisa istanza
dell’Unione Bancaria Europea, il Governo ha emanato
questa nuova regolamentazione sulla base di un progetto
di autoriforma generato dalla stessa Federazione. Il decreto legge per il momento ha dettato dei capisaldi, non ha
fatto altro che, tenendo presente l’autoriforma proposta,
costruire la cornice entro cui bisogna definire contenuti.
Questi contenuti saranno realizzati in primis dal Parlamento, che dovrà convertire il decreto in legge, saranno
realizzati in seguito da Bankitalia che ha avuto il compito
di modificare alcuni articoli della legge bancaria per renderli applicabili ed attuativi rispetto ai principi del decreto;
il tutto trasformando il decreto in normativa di vigilanza.
Una volta definite queste regole, il mondo della cooperazione di credito ha poi diciotto mesi di tempo per poter
realizzare il gruppo, attraverso l’istituzione di una capogruppo, che dovrebbe essere una Newco, una società nuova, dotata di licenza bancaria e dovrà svolgere quel ruolo
di direzione, di indirizzo e di controllo su tutto il sistema
della cooperazione di credito. Allo stesso tempo dovrà gestire quelli che sono i fondi comuni e i patrimoni comuni,
finalizzando gli stessi a prevenire o affrontare le situazioni
di crisi. Questo è il quadro di riferimento, tutte le banche
di credito cooperativo possono e devono aderire a questo
sistema attraverso un patto parasociale, nel significato
tecnico del termine. Quest’ultimo viene definito “patto
di coesione”, patto col quale si delega alla capogruppo la
capacità di direzione, organizzazione e controllo. In questo modo si realizza un modello di gruppo anche in senso
giuridico, un gruppo vero e proprio fondato su cooperative
che operano tutte assieme. L’unica differenza è data proprio dalla natura giuridica della capogruppo che il Governo ha voluto, per un problema di snellezza operativa, non
fosse una cooperativa, ma una società per azioni, con un
capitale minimo di un miliardo. Il decreto ha individuato,
inoltre, anche una cosiddetta via di fuga per quelle banche
di credito cooperativo che, dotate di una certa consistenza
patrimoniale, indicata in 200 ml minimo, non avessero la
volontà di aderire a questo gruppo.
La
famigerata
“way
out” e i primi problemi relativi
allo smantellamento del sistema cooperativistico
Il DL 18/2016 ha previsto che, in determinate condizioni
e parametri, si possa anche non far parte del gruppo unico.
Per quello che si legge costantemente sulla stampa nazionale e su quella specializzata, sembra che questa ipotesi di
“way out” sia fortemente avversata da quanti vi vedono
un “vulnus” che corre il rischio di colpire pesantemente
tutta la cooperazione italiana, partendo dalla cooperazione di credito. In queste ultime settimane si sono utilizzati
termini forti, si è addirittura parlato di un dirigismo che
ricorda il Ventennio quantunque, come si diceva sopra, in
quel periodo v’è stata una grossa attenzione per il mondo
della cooperazione.
I punti essenziali del decreto del 14 febbraio
dovrà essere convertito in legge nei prossimi
Le linee guida dell’intervento riformatore sono:
confermare il ruolo delle BCC come banche cooperative delle
comunità e dei territori;
migliorare la qualità della governance e semplificare l’organizzazione interna;
assicurare una più efficiente allocazione delle risorse all’interno del sistema;
consentire il tempestivo reperimento di capitale in caso di
tensioni patrimoniali, anche attraverso l’accesso di capitali
esterni al mondo cooperativo;
garantire l’unità del sistema per accrescere la competitività e
la stabilità nel medio-lungo periodo.
In particolare, la riforma del settore del credito cooperativo
4
prevede:
Obbligo per le BCC di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni con
un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro. L’adesione
ad un gruppo bancario è la condizione per il rilascio, da parte
della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo.
La Bcc che non intende aderire ad un gruppo bancario, può
farlo a condizione che abbia riserve di una entità consistente (almeno 200 milioni) e versi un’imposta straordinaria del
20 per cento sulle stesse riserve. Non può però continuare ad
operare come banca di credito cooperativo e deve deliberare
la sua trasformazione in spa. In alternativa è prevista la liquidazione.
La società capogruppo svolge attività di direzione e di coordinamento sulle BCC in base ad accordi contrattuali chiamati
‘’contratti di coesione’’. Il contratto di coesione indica disciplina e poteri della capogruppo sulla singola banca. I poteri
saranno più o meno stringenti a seconda del grado di rischiosità della singola banca misurato sulla base di parametri oggettivamente individuati.
La maggioranza del capitale della capogruppo è detenuto
dalle BCC del gruppo. Il resto del capitale potrà essere detenuto da soggetti omologhi (gruppi cooperativi bancari europei, fondazioni) o destinato al mercato dei capitali.
Al fine di favorire la patrimonializzazione delle singole BCC
è stato elevato il limite massimo dell’investimento in azioni di
una banca di credito cooperativo e il numero minimo dei soci.
BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016
Il problema dell’autonomia e il valore concreto della
way out
Ragionando sul tessuto normativo del decreto, si può affermare che l’autonomia del credito cooperativo esista
nella misura in cui la BCC sia virtuosa o meno. In altri
termini, il livello di autonomia è direttamente proporzionale alla capacità della BCC di saper stare sul mercato,
più la banca è virtuosa, più è autonoma. Nel caso in cui
una banca di credito cooperativo sia poco virtuosa, ci sono
dei meccanismi che tendono a correggere il suo modo di
agire, addirittura attraverso azioni di bocciatura del gruppo dirigente e della governanIl livello di autoce, con la finalità di riportarla
alla sana e prudente gestione.
nomia delle BCC
Questo è un meccanismo che
è direttamente
proporzionale alla ha voluto sia la BCE che Bankitalia la quale dovrà anche dicapacità di questi
sciplinarne i contenuti tecnici
istituti di saper sta- nell’ambito della cornice di cui
re sul mercato: più si diceva sopra. Su questo credo
la banca è virtuosa, che, più o meno, tutte le banche
possano convenire: è evidente
più è autonoma
che si vuol mettere a fattor comune quelli che sono sacrifici,
patrimoni, la vita delle singole Bcc, delle persone e di
una miriade di soci che vi operano. Non è giusto che per
iniziative di alcuni o per poca lungimiranza si mettano a
repentaglio risorse di una pluralità di persone. Su questo
punto è necessario attendere l’individuazione dei meccanismi tecnici. Sull’altro aspetto, quello della cosiddetta via
di fuga, le correnti di pensiero sono diverse. Alcune posizioni si basano su presupposti giuridici, anche rispettabili.
Affinché, infatti, si possa parlare di via di fuga, la possibilità cioè che una banca di credito cooperativo non aderisca
al gruppo, occorre la presenza di due condizioni: la prima
è che si abbia un patrimonio netto, voglio precisare che il
decreto parla di patrimonio netto, superiore a 200 ml di
euro e che si devolva il 20% al fisco, a titolo di imposta.
Quest’ultima non è devoluzione di una parte delle riserve,
come si è letto su alcuni giornali: le riserve restano tutte, si pagano solo le tasse. L’altra condizione necessaria
per la via di fuga è che bisogna trasformarsi in società per
azioni. In questo si può individuare, come è stato fatto da
molti autorevoli interpreti di questa riforma, un “vulnus”
che addirittura potrebbe generare un ricorso alla Corte Costituzionale. In questo caso, infatti, risorse accumulate in
tanti anni e in modo lento e parsimonioso, godendo anche
di una fiscalità di vantaggio, si rendono disponibili ad un
soggetto privato, che poi diventa soggetto speculativo per
forma tecnica con la costituzione di una società per azioni,
stravolgendo quindi completamente la natura e l’origine
del mondo della cooperazione, della socialità, del bene comune. A contrasto di questa deriva vi è l’articolo 45 della
nostra Costituzione dove si legge che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere
di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più
idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il
carattere e le finalità”. In questo concordo con chi
ha sollevato questa problematica.
Galeotto fu il principio….
Si possono inoltre riscontrare altri tipi di posizioni, quelle del mondo della cooperazione, secondo
le quali si individua in questa possibilità un “vulnus” che rende attaccabili i fondi della cooperazione. In definitiva, oggi questa via di fuga è resa
possibile per la cooperazione di credito, visto che
si inserisce il nuovo principio secondo il quale
pagando un’imposta si possano portar via questi fondi dal mondo della cooperazione, domani
questo principio può riguardare altre cooperative
di altro genere. Quindi, la presa di posizione di quell’esponente importante di Confcooperative, che ha affermato che
nemmeno il fascismo si era permesso di fare una cosa del
genere, trova riscontro in questo tipo di preoccupazione.
Way out tra depauperamento delle risorse e libertà
imprenditoriale
Applicando questa normativa relativa alla via di fuga, vi
sarebbero meno risorse, non solo sul piano dell’esistente,
ma anche per il futuro. Oggi, infatti, parliamo di quello che
è stato scritto nelle due pagine del decreto, poi bisogna vedere il quadro normativo che ci si va a costruire sopra. Mi
sembra però che su questo punto vi siano state prese di posizioni politiche importanti anche all’interno del governo.
Questo è un principio molto dibattuto. Può infatti essere
giusto, da un punto di vista teorico, creare una via di fuga
per quelle banche di credito cooperativo che non vogliono aderire ad un progetto comune, e che nell’ambito della
applicazione del principio della libertà di impresa possano
rimanerne fuori. Sarebbe, in effetti, il riconoscimento della
libertà economica imprenditoriale tutelata anch’essa dalla
nostra Costituzione. Se questo, però, lo si vuole introdurre, perché dobbiamo limitarlo alle banche che hanno almeno 200 milioni? Forse perché una banca con 200 ml acquisisce la patente per stare sul mercato in modo sicuro? Non
si direbbe, visto quello che è successo recentemente alle
famose quattro banche che avevano un patrimonio di gran
lunga superiore ai duecento milioni e che sono andate tutte
in default. Non si direbbe, visto quello che sta succedendo
in Germania a Deutch Bank etc. Quindi, se questo non è
un livello di consistenza patrimoniale che di per sé consente di affrontare con sicurezza il mercato, allora perché
porre questo limite? E’ giusto dare una via di fuga, credo
che sia giusto darla a tutti coloro i quali non ritengono, per
tanti motivi, di aderire alla cooperazione di credito nazionale. In Italia ci sono delle banche che, pur essendo BCC,
sono però da sempre fuori dalla cooperazione di credito,
sono fuori da Federcasse. Parliamo di CrediBo, parliamo
di tutto il gruppo CaBel, sono tutte banche che sono fuori
da questo movimento. Perché dovrebbero aderire ad un
progetto del genere visto che hanno già dimostrato di poter
stare autonomamente sul mercato?
Il superamento nel tempo del sistema cooperativistico italiano attuale. E’ veramente questa la richiesta dell’Europa?
In chiusura, è necessario soffermarsi su come questa normativa sembra mirare ad indebolire in maniera progressiva il sistema del cooperativismo italiano che pure, come si
è scritto sopra, ha una lunga e gloriosa storia. I patrimoni
delle banche di credito cooperativo sono nati nell’ambito
del sistema della cooperazione ed hanno avuto un regime
fiscale di vantaggio. Perché poi, le BCC che non vogliono aderire, devono costituire modelli societari che hanno
fini speculativi come le società per azioni, semplicemente
pagando una tassa? Questo principio mi sembra veramente povero dal punto di vista concettuale. Infatti, come già
accennato in precedenza, la normativa sembra che crei
problemi politici con la cooperazione italiana, problemi
di interpretazione costituzionale in riferimento all’articolo
45 Cost., problemi sociali, giacché sottrae fondi costituiti
in decine o centinaia di anni dai cooperatori italiani per
destinarli ad ambienti contendibili e, per loro natura, speculativi. Militano in questa direzione anche altri aspetti del
DL n.18/2016 che meritano altrettanta riflessione e che si
possono enumerare in questi seguenti punti:
a. L’aumento del numero minimo dei soci occorrenti per
la costituzione di una nuova Bcc, da 200 a 500 soci minimo (art.2, lettera a);
b. l’aumento da 50mila 100mila euro della quota azionaria massima possedibile dal singolo socio (art.2, comma
4, lettera b);
c. l’introduzione della volontà di sottoscrivere quote come
requisito di immissione a socio (art.2, comma 4bis, lettera
c);
In definitiva, questi aspetti sembrano indirizzare la cooperazione italiana del credito verso la concentrazione e la
contendibilità del sistema, concetti del tutto diversi dallo
spirito mutualistico e sociale ideato e pensato dai padri
fondatori. Bisogna a questo punto chiedersi se veramente
l’Europa ci avesse chiesto tutto questo.
Nella pagina a fianco: i soci costituenti della Cassa Rurale di Turriaco
(Go), fondata nell’agosto del 1896
Sopra: Banca del Cilento e Lucania Sud, la Palazzina dei Organi Collegiali e della Direzione Generale a Vallo della Lucania
2016, emanato dal Governo. Il DL 18/2016
novanta giorni
La capogruppo potrà sottoscrivere azioni di finanziamento
(di cui all’articolo 2526 del codice civile) per contribuire al
rafforzamento patrimoniale delle BCC, anche in situazioni
diverse dall’inadeguatezza patrimoniale o dall’amministrazione straordinaria.
Disposizioni transitorie: la banca che intende assumere il
ruolo di capogruppo deve trasmettere la relativa comunicazione alla Banca d’Italia entro 18 mesi dalla data di entrata
in vigore delle disposizioni di attuazione della stessa Banca
d’Italia. Il contratto di coesione è stipulato entro 90 giorni
dalla conclusione degli accertamenti di Banca d’Italia. Sono
previsti 60 mesi dall’entrata in vigore della legge per l’adeguamento da parte delle BCC al nuovo numero minimo di
soci.
Il decreto legge include inoltre le disposizioni che permettono di avviare il regime di garanzia sulle passività emesse
nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate a
fronte della cessione da parte di banche italiane di portafogli di crediti pecuniari qualificati come sofferenze. La misura
ha caratteristiche tali da escludere la presenza di elementi di
aiuto come formalmente confermato oggi dalla Commissione europea.
Scopo della misura è favorire lo sviluppo del mercato italiano dei non performing loans (prestiti non performanti), facilitando l’accesso di investitori con orizzonte di medio-lungo
periodo e contribuendo a ridurre la forbice di prezzo tra
chi vende e chi compra crediti deteriorati, che rappresenta
l’ostacolo principale per la crescita di questo mercato.
La garanzia dello Stato può essere concessa solo ai titoli
della classe senior e purché questi abbiano previamente ottenuto un livello di rating da una agenzia riconosciuta dalla
BCE corrispondente a un investment grade. La garanzia diviene efficace quando la banca abbia venduto più del 50%
dei titoli junior.
La garanzia è onerosa e il prezzo della garanzia è costruito
prendendo come riferimento i prezzi dei credit default swap
di società italiane con un rating corrispondente a quello dei
tioli senior che verrebbero garantiti.
Il decreto legge definisce anche le caratteristiche delle operazioni ammissibili e dei titoli senior, la procedura di richiesta e l’eventuale fase di escussione delle garanzia.
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Progetto di fusione con Sassano
Progetto di fusione con Sassano
Una nuova banca territoriale al servizio
degli operatori economici e sociali
Inviato a Bankitalia l’aggiornamento sul
progetto di fusione
Forte interazione tra le aree, le attività economiche e produttive e le comunità
locali
Le integrazioni al Piano di Fusione, presentato ad ottobre, afferiscono ai bilanci
e al nuovo assetto organizzativo e patrimoniale della nuova banca
“Fare banca territoriale con rinnovato
spirito di servizio” è questa la sfida che
pone il progetto di fusione tra la Banca
del Cilento e Lucania Sud e la BCC di
Sassano, questo anche il senso dell’aggiornamento integrativo di febbraio
al progetto di fusione, promosso dalla Banca del Cilento e Lucania Sud in
base ad una precisa richiesta di Bankitalia. L’organo di Vigilanza, infatti, nel
prospettare una “road map” del piano
di fusione promosso lo scorso ottobre,
aveva richiesto alla Banca del Cilento
e Lucania Sud un aggiornamento sulla
base dei bilanci: ecco dunque la ratio
del documento inviato nei giorni scorsi
all’organo di vigilanza. L’obiettivo della
fusione è quello di strutturare una banca
che si occupi delle reali esigenze degli
attori economici del territorio del Cilento, del Vallo di Diano, dell’area meridio-
nale della Lucania, della fascia costiera di Maratea e dell’area settentrionale
della Calabria: organizzare, cioè, una
banca territoriale per imprese, famiglie
e comunità locali. E’ questa una sfida
che parte l’impegno dei soggetti che
ne compongono la base sociale e ne sostengono l’esistenza e che tende a raggiungere risultati di piena stabilità economica di sviluppo e di crescita. Quello
sul quale si estende la competenza della
nuova banca è un territorio variegato. Si
va dalla fascia costiera cilentana, lucana
e calabrese, da Acciaroli a Praia a Mare,
sino all’area dello Ionio, con le marine di
Rotondella e Nova Siri. E’ questa l’area
di sviluppo turistico con una moltitudine di sfaccettature sul piano dell’offerta
e delle potenzialità di sviluppo. Si va,
inoltre, dalle arre interne del Cilento
all’area del Vallo di Diano sino al poten-
tino. In questa zona si ha un’economia
di servizi, commercio, artigianato sino
alla piccola e media industria; su questa
infatti insistono due dei maggiori centri
del mezzogiorno della provincia salernitana: Vallo della Lucania e Sala Consilina, i cui comprensori rappresentano
il cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni con tutte le
conseguenze di sviluppo integrato che ne
derivano. Su questa zona insistono diverse aree artigianali e l’area industriale di
Tito di Potenza, passando per il grosso
addentellato commerciale dell’indotto
dell’auto del Vallo di Diano. Nella competenza della nuova banca, esiste, inoltre, l’area di Lauria, centro di servizi e
di commercio a collegamento tra fascia
costiera e zona interna della Lucania.
Esiste, ancora, l’area centrale del Parco
del Pollino, grosso polmone verde sul
quale si sta intensificando l’attività
produttiva legata al turismo verde e
all’enogastronomia. Esiste ancora l’area
della Sinnica, una strada di raccordo tra
Lauria e lo Ionio, ricca di potenzialità
produttive artigianali e agricole. Tutte
queste zone di competenza della nuova banca rappresentano un equilibrio,
dove la stagionalità di alcune aree, con i
settori del turismo e dell’agricoltura, si
compensa con una maggiore continuità
delle attività commerciali e della piccole a media industria. Una banca territoriale, un istituto di credito cooperativo,
rappresenta una forte interazione con le
aree che la compongono e con le valenze economiche e produttive e raggiunge
la stabilità quando le attività del territorio sono variegate e concorrono, tutte,
ad assicurare lo sviluppo e il benessere
delle comunità locali.
A sinistra: BCC Sassano, la filiale di Tito di Potenza, attualmente quella più a sud del nuovo territorio
della banca
Il nuovo territorio di competenza
Nella cartina in basso è riportato il territorio di competenza della nuova banca
del Cilento, di Sassano e del Vallo di Diano e della Lucania Sud. Il territorio
comprende l’area costiera del Cilento centro-meridionale, da Acciaroli a Sapri, l’area costiera della Basilicata e quella settentrionale della Calabria (da
Maratea a Praia a Mare), l’area interna del Cilento attorno al monti Gelbison
e Cervati, l’area del Vallo di Diano e del potentino, con la zona industriale di
Tito di Potenza e la stessa città di Potenza.
Il nuovo territorio comprende, inoltre, l’area della Lucania Sud, tanto quella
centrale del Parco del Pollino che quella della Sinnica, l’arteria che mette in
collegamento Lauria con lo Ionio.
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BancAperta - Speciale Territori - Anno V - Numero 2 - Febbraio 2016
Sono state inviate all’Organo di Vigilanza le integrazioni al piano di fusione dello scorso ottobre. “Banca d’Italia ci aveva chiesto di fare un aggiornamento dei
dati alla luce dell’approvazione del bilancio 2015” afferma il direttore generale della Banca del Cilento Lucania Sud,
dottor Ciro Solimeno “ i bilanci delle
due banche sono stati chiusi ed abbiamo
inviato gli aggiornamenti richiesti, ci
aspettiamo che nel giro di qualche mese
l’operazione possa andare in porto.”
Quali sono in sintesi gli aggiornamenti
inviati?
I punti salienti dell’aggiornamento riguardano la definizione del progetto civilistico di fusione, documento che è stato prodotto della Federazione Campania,
la situazione economica e patrimoniale
della due banche al 31 dicembre 2015,
la tempistica degli adempimenti civilistici e societari e probabile data di decorrenza degli effetti giuridici, anche in
questo caso il documento prodotto dalla federazione Campana. Abbiamo poi
prodotto un aggiornamento relativo agli
assetti organizzativi della nuova Banca,
un aggiornamento delle previsioni trien-
nali sulla base del consuntivo 2015 con
particolare riferimento all’adeguatezza
patrimoniale ai fini ICAAP con stress,
alla dinamica del portafoglio prestiti e ipotesi di cessione, al ripristino di
un’adeguata redditività delle componenti ordinarie, alle politiche per la gestione
dei crediti anomali. Abbiamo infine fornito maggiori dettagli sulle operazioni di
cessione ed abbiamo definito gli assetti
organizzativi della nuova Banca.
Quanto a questo ultimi, come sarà organizzata la nuova banca?
E’ stata confermata la precedente struttura, quindi, sul piano dell’articolazione territoriale delle filiali, tutte
queste rimarranno aperte. Sarà ridisegnata la rete di vendita per razionalizzare e migliorare il presidio del territorio. L’impianto organizzativo sarà
quello attualmente in uso alla Banca
del Cilento e Lucania Sud. E’ stato
introdotto un nuovo ufficio: il “centro
servizi operativi” da allestire presso i
locali di Sala Consilina, presidiato da
quattro risorse. Una risorsa ulteriore
verrà assegnata all’ufficio Organizzazione Pianificazione e Controllo di
gestione..
Quanto alla redditività prospettica
cosa si ipotizza?
Il nuovo conto economico prospetti-
co prevede una maggior redditività sul
margine d’interesse per effetto della sostituzione progressiva della parte ceduta delle sofferenze con nuovi impieghi
vivi. L’accresciuta redditività consente
di supportare sia i costi delle cessioni
che le maggiori svalutazioni per adeguare il grado di copertura sul credito deteriorato, come di seguito rappresentato.
Quindi, direttore, quando avverrà la
fusione?
Guardi, come ho già avuto modo di dire
in una precedente intervista, Bankitalia
ci ha chiesto anche di ipotizzare una
tempistica in cui poter fare l’operazione,
noi la tempistica l’abbiamo individuata
di concerto con la Federazione Campana, che resta l’istituzione di riferimento di questa operazione perché così ha
voluto Bankitalia e così abbiamo voluto noi partner, sia noi che la Sassano.
Quindi, se le rispettive assemblee saranno d’accordo e, ovviamente, se lo sarà
l’organo di vigilanza, ipotizziamo che
l’operazione si possa celebrare dal prossimo primo luglio. Se così non dovesse
essere, magari per problematiche tecniche, ogni data rimane possibile entro il
31 dicembre.
A sinistra: BCC Sassano, la filiale di Tito di Potenza,
attualmente quella più vicina a Potenza del nuovo
territorio della banca
I risultati patrimoniali prospettici della nuova banca
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Una Fondazione per lo Sviluppo del Territorio
Per la Cultura
Per la Ricerca e l’innovazione
Per la Crescita delle Comunità Locali
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