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Il cittadino consapevole
ARPA Rivista N. 1 Gennaio-Febbraio 2003 Il cittadino consapevole Conoscere, sapere e condividere: ecco i presupposti per garantire a ogni persona il fondamentale diritto a un ambiente salubre e non degradato. Il concetto di cittadinanza ha origini antiche ma ottenne la sua piena sanzione nell’era delle due grandi rivoluzioni che, sul finire del XVIII secolo, condussero il mondo a una profonda svolta di civiltà: quella americana prima, quella francese dopo. Il “cittadino”, nel senso moderno del termine, nasce da tale crogiuolo di sperimentazioni istituzionali e di sconvolgimenti sociali. Nasce contrassegnato da nuovi diritti e nuovi doveri, rispetto al ruolo della persona nei regimi precedenti (rispetto al suddito, insomma). In nessuno degli importanti documenti, sul tema dei diritti di cittadinanza, nel mondo occidentale dalla fine del XVIII secolo fino alla metà del XX, veniva citato il diritto a un ambiente salubre, non degradato e inquinato. Tale diritto non era sancito, se non parlando genericamente di “tutela del paesaggio”, nemmeno nella Costituzione italiana. Il fatto è che la questione ambientale non è stata, per lunghissimo tempo, un problema drammaticamente epocale qual’è diventata, invece, nel corso del Novecento. È con il nostro tempo che prende corpo quest’ulteriore diritto di cittadinanza: il diritto all’ambiente. Il VI Programma europeo di difesa dell’ambiente non a caso pone al proprio centro, come protagonista del processo di sviluppo sostenibile, il cittadino responsabile, una persona che si fa carico, nell’orientare i propri comportamenti sia individuali che sociali, di esercitare i propri diritti partecipando attivamente alla gestione dei problemi della comunità e della loro positiva risoluzione. Per farlo, tale persona deve conoscere quei problemi, la loro causa e la loro gravità, le possibili soluzioni. Deve poter prendere parte attiva, insomma, ai processi decisionali di loro valutazione e di loro gestione. Dunque, il cittadino, per essere “responsabile”, deve essere “consapevole”, dal latino cum-sapere, sapere-con, condividere conoscenza. INFORMAZIONE Informare non significa, semplicemente, elargire notizie. Per diventare informazione, i dati debbono essere forniti in maniera accessibile, comprensibile e finalizzata (cioè tale da trasformare il dato in indicatore di qualcosa di socialmente significativo). Arpat si è molto impegnata e ancor più ha intenzione di impegnarsi su questo fronte, cosciente che l’informazione è di due tipi e che entrambi vanno implementati e consolidati: - l’informazione su richiesta (è l’ampia tematica dell’accesso del cittadino interessato all’informazione ambientale, alla consultazione degli atti e dei dati, insomma alla trasparenza dell’essere e del fare dell’Agenzia nei confronti del cittadino richiedente) - l’informazione attiva, ovverosia quella che Arpat diffonde non su esplicita domanda del cittadino richiedente ma per scelta propria (normativamente obbligata, peraltro), in quanto collocabile nell’ambito di quel dovere proattivo di empowerment del cittadino consapevole (da rendere sempre più consapevole). EDUCAZIONE Passiamo al concetto di educazione (nel senso della education anglosassone). In questa accezione, è “educazione” qualunque processo di accompagnamento (intenzionale e didatticamente efficace) dell’apprendimento delle persone. Malcom Knowles, il padre della teoria andragogica afferma: “La caratteristica dominante del XXI secolo sarà un ritmo di cambiamento accelerato, non solo a causa della rivoluzione tecnologica, ma per un’esplosione della quantità di conoscenze nuove e della possibilità di accedervi… Questa nuova condizione richiede una ridefinizione dello scopo dell’educazione e del significato stesso di persona educata. La definizione di questo termine nel XIX secolo [coincideva con il concetto di] persona istruita. Nel XXI secolo vorrei un sistema educativo che mi 7 aiuti a diventare una persona ‘competente’, mettendo al livello più elevato di competenza la capacità di apprendimento continuo, autodiretto, che dura tutta la vita”. Occorre costruire, insomma, ciò che Knowles chiama Lifelong Learning Resource System (Llrs) ovverosia “un consorzio di tutte le risorse di apprendimento presenti in una comunità”. La Toscana si sta dando un simile sistema, Arpat vi sta attivamente entrando (per la porta Infea ma sperabilmente ben oltre essa). Questo, dell’educazione, credo sarà il vero terreno di confronto, e perfino di scontro, del mondo di domani. Non a caso c’è chi propone di chiamare il – a me assai simpatico – movimento no-global, poi diventato new global, know-global: la vera partita politico-culturale del nostro tempo si gioca e sempre più si giocherà, infatti, sull’accesso ai, e an- cor più sul possesso dei, “mezzi di conoscenza”. COMUNICAZIONE Passiamo al concetto di comunicazione. Come sottolinea Marco Biocca, nel suo libro sulla risk communication, la storia della comunicazione, in materia di rischi sia ambientali che sanitari, ha origini recenti. Per un soggetto (per esempio Arpat, che non a caso sta potenziando i propri strumenti di contatto interattivo con i propri stakeholder, dal telefono verde al sistema Urp al sito web) che voglia efficacemente partecipare a tale scambio, ciò implica grande umiltà, grande capacità d’ascolto del sapere altrui, anche quando non è di natura “scientifica” bensì esperienziale e narrativa, grande competenza relazionale. Informazione, educazione, comunicazione: connettendo tra loro questi tre elementi dovrebbe venir ARPA • Riflessioni fuori la frase seguente: “La buona informazione fornisce al cittadino notizie accessibili, comprensibili, finalizzate ad arricchire la sua consapevolezza; la buona educazione aiuta il cittadino a fare di quelle notizie il fondamento cognitivo su cui costruire la propria crescita apprenditiva (il proprio empowerment di cittadinanza, il proprio saper trasformare la conoscenza in competenza); la buona comunicazione è il processo dialogico che il cittadino, reso consapevole e competente dall’informazione e dalla educazione, sa instaurare con tutti gli altri soggetti istituzionali, tecnicoscientifici e politici, per affrontare partecipativamente i comuni problemi”. IL NUOVO CEDIF Vorrei adesso accennare al tipo di organizzazione che, a mio modestissimo avviso, Arpat potrebbe diventare e di quale Cedif abbia bisogno per diventarlo. Cerco di definire le caratteristiche di tale organizzazione, giocando con le lettere stesse dell’acronimo di Arpat. - A come Apprendimento: la “nuova” Arpat deve diventare sempre più una learning organisation, un soggetto produttore di apprendimento continuo, per le proprie risorse umane e per quelle della società toscana tutta, a partire dai cittadini consapevoli - R come Ricerca: non soltanto finalizzata all’innovazione tecnologica, bensì come costruzione di virtuosi legami tra l’innovazione organizzativo-operativa di se stessa e l’innovazione normativa europea, le nuove frontiere della programmazione regionale, l’innovazione dei saperi prodotti dalle università toscane, i nuovi bisogni della società civile, la sperimentazione sociale di nuovi modelli partecipativi di risk evaluation, risk management, eco-governance - P come Progettualità: non quella dei progetti, belli ma assai specifici, che già Arpat va realizzando bensì la progettualità socio-istituzionale, diffusa e integrata, delle Agende 21, dei Piani di salute, dei Progetti di sviluppo locale, delle Valutazioni ambientali strategiche, tutte modalità innovative di eco-governance rispetto a cui la “nuova” Arpat può avere un ruolo chiaro, autorevole, efficace, in- vece che il ruolo “ballerino”, a metà strada tra l’ospite indesiderato e il “juke-box che dà i numeri” (troppo spesso avuto finora) - A come Apertura: come la mente umana diventa tanto più intelligente quanto più sa unire, in un circolo virtuoso di continua auto-implementazione, l’apertura all’esterno con l’apertura all’interno, anche quella mente-organizzazione che è Arpat dovrebbe sempre più funzionare così: basta sostituire il concetto di “mondo esterno” con quello di “società toscana” e il concetto di “neuroni” con quello di articolazioni funzionali dell’Agenzia. Quanto più Arpat si aprirà all’esterno, tanto più (poiché dall’e- sterno vengono domande di natura complessa e integrata) si aprirà al proprio interno (costruendo sinapsi, cioè scambi cooperativi trasversali, tra i propri servizi) e viceversa - T come Toscana: finora ha soprattutto indicato, per noi “arpisti”, sia l’ambito geografico di competenza, sia il lavorare a stretto supporto delle istituzioni che a vari livelli quell’ambito governano. Tutte cose che rimangono importanti, logicamente, ma a me piacerebbe che quella T significasse anche, se non soprattutto, “dei Toscani”, dei cittadini toscani, di tutte le donne e di tutti gli uomini della Toscana. Alcune brevi considerazioni, infine, su Cedif che ha un ruolo stra- tegico nel processo di rinnovamento dell’intera Agenzia. È da rilevare che è stata la prima struttura specifica di Arpat a raggiungere la Certificazione di qualità e sono maturi i tempi per intraprendere il percorso dell’accreditamento. Inoltre, al settore dovrebbe essere data una configurazione assai più complessa che in passato (sono ormai sette, infatti, le articolazioni funzionali di Cedif), e dare a ciascuna di tali articolazioni funzionali, attraverso l’accelerata messa in opera di vari concorsi, un dirigente che ne sia qualificato responsabile. Stefano Beccastrini Arpa Toscana Arch. Linea editoriale 8 ARPA Rivista N. 1 Gennaio-Febbraio 2003