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Una riflessione a più voci sulla malattia in famiglia

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Una riflessione a più voci sulla malattia in famiglia
Sezione
Lombarda
Via Labus, 15 - 20147 Milano - Tel. 02.41.21.176 - Fax 02.41.27.14.97 - mail: [email protected]
News Letter dei
Sanitari
Unitalsiani
Periodico Bimestrale - Supplemento al numero odierno del Charitas
n.
8
Pellegrinaggio in Polonia
A tu per tu con la liceità della sperimentazione medica
I
n aprile per alcuni di noi,
sei medici della Lombarda, c’è stato un viaggio
nel cuore dell’Europa.
L’occasione: il pellegrinaggio convegno ad Auschwitz
e Birkenau, un momento
di formazione organizzato
dalla presidenza nazionale
dell’Unitalsi per noi medici
e operatori sanitari.
In Polonia le tappe previste
sono state: Varsavia, Czestochowa, Auschwitz (Oswiecim), Birkenau – Auschwitz
2 e Cracovia. Un convegno
itinerante, due ore ogni giorno, sulla ricerca clinica: fino a dove
ci si può spingere. Un momento della giornata nel quale approfondire temi legati alla deontologia professionale: fino a dove
la sperimentazione può spingersi, soprattutto in riferimento a
quanto fatto dai criminali nazisti come il famigerato dottor Mengele. Non episodi legati solo al passato dei campi di sterminio,
ma anche oggi c’è il rischio di ammantare di valore scientifico
sperimentazioni che, se oggi non arrivano al limite della tortura,
sono di dubbia utilità nella cura del paziente reale.
Federico Baiocco, responsabile nazionale dei medici Unitalsi,
in una sua riflessione ha ben sottolineato un interrogativo che
avremmo potuto farci: «Ma perché arrivare fino in Polonia, e
perché soffermarci a riflettere sulle atrocità che furono compiute
ad Auschwitz da parte dei nazisti dietro una giustificazione di
scientificità? La risposta la troviamo in una brevissima riflessione
fatta da un collega presente con noi: “Quello che mi raccontava
mio padre dei suoi mesi trascorsi in campo di concentramento a
Buchenwald, non era riuscito a farmi percepire il dolore e le tragedia che lui ha vissuto, come la nostra visita ad Auschwitz. Non
possiamo più parlare soltanto, ma dobbiamo gridare affinché chi
ci ascolta possa fare altrettanto”».
Andare in Polonia in pellegrinaggio alla Madonna Nera di Czestochowa, cuore della pietà popolare polacca e madre della stessa
nazione, collante dell’unità di un popolo per secoli spartito tra
le potenze vicine, è stata anche l’occasione di andare a fondo
dell’orrore vissuto solo settant’anni fa in queste terre. Non è
mancato ovviamente anche il ricordo del beato Giovanni Paolo II,
il papa polacco che ha fatto amare a tutto il mondo la Madonna
Nera. Il ricordo di papa Wojtyla è stato particolarmente vivo a
Cracovia città di cui Giovanni Paolo II è stato arcivescovo prima
dell’elezione al soglio pontificio nel 1978.
Certo il momento più forte è stato la visita ai campi di sterminio.
Luoghi dell’orrore e della disperazione umana, luoghi che non
possono non interrogare ciascuno di noi. Il cancello di ingresso
ad Auschwitz, i forni crematori, le baracche di Birkenau, o quello
che resta dopo che i nazisti in fuga hanno tentato di cancellare
le tracce dello sterminio. Visitare i campi è come immergersi in
un incubo, il silenzio, i muri tutto è rimasto come all’indomani
della liberazione, ma tutto è cambiato perché i nostri occhi oggi
vedono al di là dell’apparenza. Certo anche in questo abisso d’orrore non mancata una luce, come quella che possiamo intuire
guardando il luogo del martirio di San Massimiliano Kolbe, ucciso ad Auschwitz. Nel corso del nostro convegno abbiamo avuto l’occasione di riflettere sul fatto che come medici abbiamo il
dovere di conoscere e non dimenticare. Perché se è o vero che la
sperimentazione è una necessità del metodo scientifico però come
ricorda giustamente Baiocco «sia la conoscenza sia l’eventuale
applicazione terapeutica non possono prescindere dal rapporto
che si instaura tra sperimentatore e coloro che sono oggetto della
sperimentazione. I rapidi sviluppi delle biomedicine, e la necessità di moltiplicare le sperimentazioni, portarono, in quel periodo
storico, a perdere di vista la relazione tra il medico ed il/la “paziente-cavia”». Oggi a dominare è l’idea della “sperimentazione
con l’Uomo” che ha surclassato la concezione della “sperimentazione sull’Uomo”. Noi tutti abbiamo presente la dichiarazione di
Helsinki che è la base della normativa attuale in cui si può leggere: è dovere dei medici promuovere e salvaguardare la salute
delle persone e l’interesse scientifico non deve prevalere su questo
principio; ogni studio clinico deve avere validità scientifica. Essa è
conditio sine qua non dell’eticità dello studio. Uno studio clinico
scientificamente non valido, non è etico, perché si fanno correre
ai pazienti eventuali rischi senza il controvalore di un eventuale
beneficio.
Vittoria dell’Acqua
Il gruppo dei medici dell’Unitalsi Lombarda a Czestochowa.
I nostri convegni
“Una riflessione a più voci sulla
malattia in famiglia”
A
l convegno per gli operatori sanitari dello scorso
6 aprile nella sede dell’Unitalsi Lombarda, al tavolo dei relatori erano seduti: don Antonio Mazzi, Franca Fossati Bellani e Giuseppe Anzani. Il sacerdote
fondatore di Exodus, la presidente della sezione milanese della Lega italiana contro i tumori e il presidente
emerito del Tribunale di Como, infatti erano chiamati a
confrontarsi con il tema “Quando la malattia entra in
famiglia”. Con loro ad introdurre i lavori e a coordinare
le tante domande la responsabile medico dell’Unitalsi
lombarda Vittoria Dell’Acqua e Riccardo Bertoletti, responsabile sanitario dell’Ospedale di Sondalo.
Don Mazzi ha posto l’attenzione su un dramma di
oggi: la “malattia” della figura del padre «sono tutti ottimi uomini, ma manca la paternità. La crisi del padre è
la crisi di noi preti» ha ammesso. Osservando poi l’attualità ha ricordato come «la vera malattia della società
non è la crisi economica, ma è la paura dei figli, in particolare
dei figli adolescenti» non solo, «la vera nascita di un figlio è l’adolescenza, l’infanzia è come lo spogliatoio, la discesa in campo
è l’adolescenza: dobbiamo ripartire da qua, poi ciascuno agirà
con la propria specificità e ruolo». E non poteva trascurare don
Mazzi il parallelo tra la figura del padre e quella di Dio Padre,
ricordando che la fede deve esserci prima, prima della malattia
«la vita è fatta di domande, non di risposte. La domanda “perché muoio?” deve rimanere un interrogativo. Non dobbiamo
arrivare al dolore per leggere nella nostra vita», ha continuato.
Don Mazzi, ha poi ricordato la sua infanzia, il suo essere orfano
di padre, l’essere cresciuto in campagna e soprattutto la figura
del nonno, socialista, che è stato all’origine della sua vocazione
«Sono qui anche per quest’uomo che ha fatto la cosa più semplice e mi ha salvato. Faccio il prete così, perché il vuoto di mio
padre si è riempito facendo il padre per gli altri».
«Ho avuto la fortuna di non vivere il momento della iper specializzazione» ha esordito Franca Fossati Bellani, oncologa pediatra, che ha sottolineato come nella medicina sia fondamentale
la comunicazione: per lei una parola da eliminare è “azienda”
accanto al termine “ospedale”, un’altra parola che non piace alla
dottoressa Fossati è “survivor” ovvero sopravvissuti che troppo
spesso si usa in statistiche mediche di derivazione statunitense
«perché non chiamarli guariti?». Sono ben 700mila le famiglie
che stanno vivendo questa patologia e rivolgendosi ai sanitari
in sala ha ricordato come la tecnologia sia uno strumento «non
la panacea dei mali». Importante per il medico è quello anche
di stabilire una relazione empatica con pazienti e familiari per
questo è fondamentale anche il come si parla «anche la qualità
della nostra voce conta, come la comunicazione non verbale. Per questo per noi è importante la presenza degli psicologi
prendendo spunto da modelli stranieri». Franca Fossati ha infine affrontato il tema delle cure domiciliari del malato terminale
e il lavoro dei palliativisti per stare «vicino al malato perché non
soffra».
Giuseppe Anzani, da magistrato e quindi uomo di legge ha citato l’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute «ma
che cosa è questo diritto? Per l’Oms la salute è uno stato di
completo benessere» ha esordito.
Anzani ha guidato i presenti a riflettere sul benessere che può
essere sociale, «noi siamo giudici di famiglie malate e quindi
infelici». Ha poi affrontato l’eterna dicotomia di cosa è bene e
cosa è male, lo stesso meccanismo della malattia «è una storia
che dobbiamo attraversare».
Nell’affrontare il come rispondono le famiglie quando la patologia colpisce uno dei suoi componenti ha sottolineato che
la risposta dipende da come è “attrezzata” la famiglia «ci sono
poi famiglie poco attrezzate in cui si arriva alla dissoluzione dei
ruoli», ha spiegato ricordando come «la relazione burocratica
in genere non riannoda le sinapsi di relazione e della relazione
d’aiuto in particolare che è capacità di ospitare», ovvero un concetto materno di cui «si sente nostalgia».
Anzani ha chiuso il suo intervento ricordando un passo del
libro della Sapienza «Dio non ha creato la morte e non gode
per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano».
A novembre si parla del comunicare
L
a vita è comunicazione. Comunicare è necessario a tutte le
relazioni interpersonali, allo scambio di conoscenze e informazioni. Per questo è indispensabile una buona qualità del
comunicare. Anche nel nostro settore, nella sanità, il trasferimento di informazioni tra persone ricopre un’importanza strategica perché riduce il rischio di errori, migliora sia la qualità reale
dell’assistenza sia quella percepita dai cittadini, e riduce il contenzioso legale.
La comunicazione “esterna” e “interna” non possono essere considerate separatamente perché si influenzano reciprocamente.
Quindi, imparare a comunicare correttamente, utilizzando strumenti efficaci, può contribuire in maniera notevole a risolvere le
incomprensioni, ridurre la distanza tra le aspettative dei pazienti e le possibilità dell’assistenza medica, ripristinare la cura per
il paziente come persona e limitare l’uso non necessario della
tecnologia, riducendo anche gli sprechi. Il risultato finale è un
miglioramento della qualità dell’assistenza.
Date queste premesse non poteva non essere la comunicazione
il tema al centro del nostro convegno del 16 novembre prossimo. Questa volta, anche in occasione dei 110 anni dell’Unitalsi, il
convegno che si intitolerà “La Comunicazione diseguale: operatore sanitario – paziente”, sarà realizzato in collaborazione con la
presidenza nazionale.
Tra i relatori, già confermati, possiamo citare: don Carmine Arice,
responsabile Cei della Pastorale della salute; Federico Baiocco,
responsabile medico Unitalsi nazionale, Alberto Cattaneo, docente della Liuc; Salvatore Pagliuca, presidente Nazionale Unitalsi, Giusy Versace, atleta paralimpica e volontaria Unitalsi.
L’appuntamento sarà, diversamente dalle ultime volte, al mattino.
È stato richiesto l’accreditamento Ecm
A settembre a Lourdes
con gli Alpini
S
i svolgerà dal 13 al 19 settembre il pellegrinaggio ambrosiano a Lourdes
con gli Alpini dell’Ana (Associazione nazionale alpini). Unitalsi e Ana non è
la prima volta che si trovano insieme: la Protezione civile Unitalsi e gli Alpini, infatti, si sono ritrovati in Abruzzo ed Emilia per aiutare le popolazioni terremotate. Ma un pellegrinaggio è un’altra cosa. Questo nasce da una proposta
fatta da Vittore De Carli, presidente della sezione Lombarda a Luca Barisonzi,
un giovane militare alpino gravemente ferito in Afghanistan nel gennaio dello
scorso anno e accolta con entusiasmo dall’Ana di Milano.
Un invito quasi ad personam che, grazie all’entusiasmo tipico delle penne nere
e alla loro capacità di fare gruppo, si è trasformato in un vero e proprio evento.
Lo slogan scelto per lanciare l’iniziativa è “Pellegrinaggio degli Alpini: io ci sarò
Luca Barisonzi”. E così a settembre, a Lourdes gli Alpini dell’Ana porteranno le
loro penne nere insieme ai pellegrini dell’Unitalsi
Vieni con noi a Lourdes,
dal 13 al 19 settembre 2013
“Pellegrinaggio
degli Alpini”
al
io ci sarò
Luca Barisonzi
Per info:
SEZIONE ANA di MILANO tel: 02.48519720 - Email: [email protected] - www.milano.ana.it
Con Italo a Loreto
Che bello se la nostra fede
avesse l’alta velocità...
C
redo. La scritta sulla spilla che distingue il nostro impegno di medici sembra assumere ancora più significato in
questo anno della fede ed in questo pellegrinaggio un po’
atipico che riporta a Loreto l’Unitalsi Lombarda.
Il mezzo è nuovo e tecnologicamente avanzato. Ci ha portato
qui in poco tempo ed il nostro lavoro è stato certamente facilitato dalla climatizzazione e dalla durata del viaggio ma lo
spirito del pellegrinaggio non è cambiato, la gioia e l’aspettativa
che vediamo sui volti sono sempre uguali.
Eccoci qui a donare il nostro servizio: in ospedale o nei luoghi
in cui viviamo la nostra missione e la nostra professionalità,
siamo abituati a essere considerati un po’ come i detentori della
sapienza, coloro che possono determinare – con le loro parole
– una situazione piuttosto che un’altra; nel pellegrinaggio, pur
ricorrendo a noi, ognuno sembra sapere che invece noi siamo
solo strumenti, che tutto appartiene a un Altro verso cui siamo
in cammino.
Questo è il Pellegrinaggio vero verso Chi rappresenta la pienezza della vita, della salute, della gioia.
E noi, medici, ci sentiamo trasportati insieme nel pellegrinaggio
in cui davvero siamo solo fratelli in cammino con tanti fratelli.
È il dono più bello di ogni pellegrinaggio, è entrare in punta di
piedi, con profonda attenzione e rispetto, nella sofferenza dei
fratelli ammalati, nella sofferenza di chi – chiamato a essere più
da vicino in croce – diventa dono prezioso per tutti noi: dalla
loro fede, dalla fede di tanti ammalati e tanti fratelli speciali per il
La partenza da Milano.
cuore di Dio la nostra fede esce rafforzata ed il nostro distintivo
sembra acquistare forza e significato.
Poco importa allora il mezzo, importa il cuore: arrivare con Italo
però ci ha consentito di giungere ai piedi di Maria non troppo
affaticati, non troppo provati da un viaggio che gli operatori di
Italo a bordo hanno fatto di tutto per rendere il più possibile
piacevole e siamo convinti che anche Maria è stata felice, da
buona Mamma attenta, di vedere i suoi figli meno provati.
La scritta che campeggia in chiesa sopra la Santa Casa riprende i bellissimi versi resi noti da Dante nella Divina Commedia
“Vergine Madre, figlia del tuo Figlio…” per concludere che “chi
vuol grazia a Te non ricorre la sua disianza vuol volar senz’ali”.
Il nostro desiderio di voler bene ai fratelli curando la malattia,
cercando di essere loro vicini nella sofferenza solo nel cuore
di Maria, solo attraverso la sua mediazione può avere ali, può
volare, può trovare risposta concreta.
Grazie a tutti i fratelli ammalati, ai fratelli speciali, a tutti coloro che ci consentono la gioia di un pellegrinaggio diverso, un
pellegrinaggio ad alta velocità: quella velocità che vorremmo
avesse la nostra fede.
Beatrice Morandi
Sajjada, il Tappeto della Preghiera
Proponiamo per i nostri amici una preghiera che un collega scrisse qualche decennio fa
e rileggendola adesso pare di un’attualità sconcertante.
L’autore è il prof. Nicola Simonetti, che allora era il Direttore Sanitario dell’Ospedale S. Chiara di Trento.
La preghiera del medico
Accorri in mio aiuto, o Signore!
La mia mano è stata chiamata più volte a guarire,
la mia mente ha lottato per guarire,
il mio cuore voleva sanare gli altri;
mano, mente e cuore però sono malati anch’essi,
non sanno strappare quel velo che tu hai posto davanti
alla malattia e al dolore.
Aiutaci, o Signore, a guarire la nostra persona
perché possiamo essere quel medico di cui il Siracide
(38, 1-15) dice che tu hai creato perché ce n’è bisogno.
Ti offro oggi, o Signore, il lungo grido di ribellione degli
uomini schiavi del dolore.
Ti offro la pena di coloro,
che attendono una visita medica e non la ricevono.
Ti offro la pena di coloro che
vogliono un posto in ospedale
e non riescono ad entrare.
Ti offro la mestizia di chi muore solo,
la disperazione di chi si uccide.
Ti offro gli invalidi per le nostre mancanze,
gli inabili per carenti prestazioni,
gli anziani e i reietti perché cronici.
I malati cui non riusciamo a dire la verità,
quelli che non riusciamo a curare perché
manca una macchina, un farmaco o un uomo.
Quell’esercito di afflitti che lottano con l’arma della sofferenza,
perché siano liberati i loro fratelli.
...Abbiamo rovinato l’amore,
ho rovinato il tuo amore, o Signore.
Ti chiedo di aiutarmi ad amare.
Purifica il mio cuore, affinché possa capire il fratello che soffre,
perché possiamo offrirti, alla fine dei tempi,
il paradiso che con i nostri pazienti
avremo costruito con le nostre mani.
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