LEZIONE P11 La natura e gli effetti del reato continuato
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LEZIONE P11 La natura e gli effetti del reato continuato
LEZIONE P11 La natura e gli effetti del reato continuato Sommario: 1. Il reato continuato come reato unico o come pluralità di reati? Gli interventi sulla questione delle Sezioni Unite. – 1.1. La pluralità di condotte. Il rilievo del lasso temporale che separa le singole condotte. – 1.1.1. I rapporti tra la continuazione ed il giudicato. – 1.2. Tossicodipendenza ed unicità del disegno criminoso. – 2. L’individuazione della violazione più grave ai fini della determinazione della pena. 1. Il reato continuato come reato unico o come pluralità di reati? Gli interventi sulla questione delle Sezioni Unite Storicamente ricondotta ai Pratici del diritto, che la elaborarono nel medio evo al dichiarato fine di mitigare l’estrema severità del sistema sanzionatorio del tempo in caso di reiterazione da parte del soggetto agente del medesimo reato in tempi diversi, la figura del reato continuato, pur con le peculiarità proprie all’ordinamento giuridico italiano, ha continuato a mantenere inalterata la sua funzione di contenimento della pena rispetto alla particolare ipotesi di concorso materiale tra reati realizzato in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In questi casi, invece dell’ordinario ricorso al cumulo materiale delle pene, il codice prevede l’applicazione del cumulo giuridico delle pene, sanzionando in forma unitaria un evidente caso di concorso fra reati posti in essere con una pluralità di condotte distinte. Il nostro ordinamento, infatti, all’art. 81 cpv. c.p. prevede l’applicazione della stessa pena contemplata dall’art. 81 co. 1 c.p. per il concorso formale di reati (.. pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo..) nel caso in cui il soggetto agente con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. L’attuale nozione recepita dal codice, frutto delle modifiche apportate dal d.l. 11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella l. 7.6.1974, n. 200), ha esteso l’ambito di naturale pertinenza della figura (storicamente riferita ai soli casi di violazione reiterata della stessa disposizione di legge (c.d. reato continuato omogeneo); si pensi al caso di chi, in tempi diversi, pone in essere 221 lezioni e sentenze di diritto penale – parte generale più furti la cui realizzazione avviene in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (è anche vero che nel caso del reato continuato omogeneo assume minor rilevanza il requisito del medesimo disegno criminoso, indispensabile invece rispetto alla continuazione tra reati eterogenei la cui convergenza verso una finalità comune rappresenta l’unica spiegazione plausibile a giustificarne il trattamento sanzionatorio mitigato con il ricorso al cumulo giuridico) andando a ricomprendere nell’alveo del reato continuato anche i casi di realizzazione di reati distinti tra loro (a ciò riferendosi l’inciso violazioni di diverse disposizioni di legge; si pensi al caso di chi, in tempi diversi, pone in essere la ricettazione di un’autovettura, la detenzione ed il porto in luogo pubblico di armi da fuoco, e più rapine, la cui realizzazione avvenga in esecuzione di un medesimo disegno criminoso), così realizzando il c.d. reato continuato eterogeneo. Al riguardo, secondo autorevole dottrina, non avrebbe più senso parlare di reato continuato (figura che presuppone la violazione della medesima disposizione di legge), avendo il sistema oramai recepito, con la riforma legislativa del 1974, la diversa figura della continuazione tra reati. La distinzione non è semplicemente nominalistica, ma si riflette sulla stessa natura giuridica dell’istituto. La natura giuridica del reato continuato, del resto, è da sempre al centro del dibattito dottrinario proprio in ragione della sua forma di manifestazione. Se ne afferma, infatti, ora l’unitarietà: il reato continuato sarebbe una figura unica in quanto sanzionata con un’unica pena, sostanzialmente indifferente alle forme di manifestazione dei reati satelliti (v. Cass., VI 98/211462 per la quale in tema di determinazione della pena per il reato continuato le circostanze inerenti alle violazioni meno gravi dei cosiddetti reati satelliti rimangono prive di efficacia in quanto, considerata la inscindibilità dell’aumento di pena sino al triplo, non è possibile stabilire, in rapporto ai reati meno gravi, le frazioni di pena che ad essi si riferiscono e sulle quali dovrebbero operare gli aumenti o le diminuzioni delle relative circostanze, delle quali si potrà tener conto discrezionalmente soltanto nella determinazione dell’aumento da apportare alla pena stabilita per la violazione più grave) e rilevante autonomamente ai fini della dichiarazione di abitualità e di professionalità nel reato (v. Cass., Sez. VI, 8 luglio 2005, n. 33951 per la quale in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità dev’essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai fini in questione, consideri il reato come una pluralità di episodi tra loro isolati); ora la pluralità: il reato continuato sarebbe costituito da una serie di reati, trattati unitariamente sotto il profilo sanzionatorio, ma rilevanti autonomamente ove si consi- 222 Lezione P11. La natura e gli effetti del reato continuato deri la disciplina della prescrizione di cui agli artt. 157 e ss. c.p. (dopo la novella operata dalla legge n. 251 del 2005, a seguito della quale ogni reato in continuazione ha un proprio termine iniziale di decorrenza della prescrizione), dell’amnistia di cui all’art. 151 c.p., dell’ammissione ai benefici penitenziari (v. Cass., Sez. I, 12.4.2006, n. 14563, per la quale nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogato per il reato continuato è scindibile ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che non sono ostativi alla concessione di detti benefici, dovendosi ritenere, in base al principio del favor rei, che la pena inflitta con la sentenza di condanna relativa ai delitti ostativi sia stata espiata per prima; v. anche Cass., S.U., 30.6.1999, n. 14, per la quale nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi). L’incondizionata adesione all’una o all’altra impostazione avrebbe conseguenze nei diversi settori del diritto (anche in ambiti strettamente processuali come quelli relativi all’individuazione del Giudice competente; v. in proposito Cass., Sez. II, 7.4.2004, n. 18033, per la quale qualora un reato continuato sia attribuito ad un soggetto che era ancora minorenne all’inizio dell’attività criminosa poi protrattasi con ulteriori reati aventi distinta autonomia, ma unificati dall’identità del disegno criminoso, è possibile operare una scissione delle condotte del soggetto e distinguere, pertanto, tra episodi realizzati in data antecedente ed episodi realizzati in data successiva al raggiungimento della maggiore età, attribuendo la competenza a conoscere i primi al tribunale per i minorenni ed attribuendo la competenza a conoscere i secondi al tribunale ordinario). L’indirizzo preferibile, seguito anche in giurisprudenza (di recente dalle S.U. con la pronuncia del 13 giugno 2013, n. 25939, in Dispensa, e la pronuncia del 23.1.2009 n. 3286), in proposito è categorico nel sostenere che il reato continuato, inteso come figura autonoma, costituisca una fictio juris espressione del principio del favor rei che esplica esclusivamente una funzione quoad poenam, senza con ciò elidere l’ontologica autonomia di ogni singolo reato. Si afferma, quindi, che nel vigente sistema normativo il reato continuato, comprensivo anche dell’ipotesi di violazione di diverse disposizioni di legge, lungi dall’essere un reato unico, costituisce la risultante di reati plurimi aventi distinta autonomia ed unificati, solo per determinati effetti giuridici, dall’elemento ideativo agli stessi comune, ossia dall’identità del disegno criminoso. L’art. 81 comma 2 c.p., infatti, prevede un particolare trattamento sanzionatorio per colui che, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Il codice non fa distinzioni, né pone altre condizioni se non quella concernente 223 lezioni e sentenze di diritto penale – parte generale l’unicità del disegno criminoso di cui le singole violazioni si pongono come attuative. La questione, poi, se il reato continuato integri una nuova ed unitaria figura, oppure una speciale fattispecie complessa, è questione dommatica che, comunque, non tocca il principio affermato nel secondo comma dell’art. 81 c.p.: secondo il quale, verificandosi la detta situazione, spetta all’imputato il particolare trattamento sanzionatorio previsto nella prima parte dell’articolo. D’altra parte, deve rilevarsi che, dopo la riforma del 1974, essendosi introdotta una nozione eterogenea di reato continuato, il problema dell’unità o della pluralità di reati o, meglio, dell’unità reale o fittizia dei reati, non conserva più importanza, visto che nella realtà esistono più reati ontologicamente distinti che vengono unificati ai fini sanzionatori. Ciò che rileva, dunque, ai fini dell’unificazione è soltanto l’esistenza del requisito soggettivo rappresentato dall’unicità del disegno criminoso, che non s’identifica assolutamente con il dolo (che è, anzi, diverso per ciascun reato), bensì con l’ideazione complessiva, con il piano criminoso generale, di cui ciascun reato è un momento attuativo. Che poi talvolta i vari reati, uniti dalla continuazione, possano essere dalla legge considerati separabili, ciò dipende proprio dalla natura stessa della continuazione che trova la sua giustificazione nella indulgentiae causa: ogniqualvolta l’unificazione sia per risolversi a danno dell’imputato, è lecito operare la scissione, parziale o totale, a seconda che lo richieda il favor rei. In conclusione, dunque, il reato continuato si configura quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo (così, anche Cass., Sez. Un., 13 giugno 2013, n. 25939; Cass. 20 luglio 2010, n. 28192). In questo senso si muove anche la giurisprudenza di legittimità riguardo ai rapporti tra il reato continuato e l’indulto (causa di estinzione della pena per i reati commessi entro una certa data prevista dal provvedimento legislativo che lo introduce). Invero, costituisce principio ormai consolidato che, salva diversa disposizione, il reato continuato va scisso – sia per l’ipotesi in cui, in ragione del titolo alcuni fra gli episodi criminosi unificati risultino esclusi ed altri compresi nel relativo provvedimento, sia per quella in cui alcuni siano stati commessi prima ed altri dopo il termine di scadenza ivi stabilito – allo scopo di consentire che il beneficio venga riconosciuto per i singoli fatti che vi rientrano (Cass. S.U. 16-11-89 n. 18; Cass. S.U. 24-196 n. 2780; e successivamente: Cass. 29-10- 04 a 43862; Cass. 16-3-05 n. 19740). 224 Lezione P11. La natura e gli effetti del reato continuato Trattasi di operazione realizzata nell’interesse del condannato il quale, se si avesse riguardo alla data di cessazione della continuazione ovvero se dovesse prevalere il titolo del reato per cui l’indulto non è applicabile, sarebbe ab origine privato dello stesso per tutti gli episodi (in questo senso anche Cass., Sez. Un., 22.5.2009, n. 21501, che si è occupata della questione se ai fini della revoca dell’indulto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1990, articolo 4 – in caso di condanna per vari reati uniti dal vincolo della continuazione – alcuni (tra i quali il più grave) consumati prima della scadenza del termine per la fruizione del beneficio ed altri successivamente, nei cinque anni dall’entrata in vigore del provvedimento di clemenza – si debba avere riguardo alla pena in concreto irrogata, a titolo di aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, per ciascun reato ovvero alla sanzione edittale minima per essi prevista, con massima riduzione consentita da eventuali circostanze attenuanti, concludendo che la pena per il reato o i reati satelliti, suscettibili di comportare la revoca dell’indulto e quindi di precluderne l’applicazione, va individuata nell’aumento inflitto a titolo di continuazione per ognuno di questi, spettando al giudice dell’esecuzione interpretare sul punto il giudicato, qualora ivi siano state omesse le singole specificazioni; v. in Dispensa). 1.1. La pluralità di condotte. Il rilievo del lasso temporale che separa le singole condotte Il richiamo alla pluralità di azioni od omissioni contenuto nella disposizione di cui all’art. 81 cpv. c.p. va pacificamente riferito al concetto giuridico di condotta. In sostanza, ciò che rileva ai fini della disciplina di cui all’art. 81 cpv. c.p., è l’individuazione di plurime condotte, ognuna integrante di per sé un’autonoma figura criminosa, unificate tra loro sotto il profilo finalistico dal medesimo disegno criminoso. Sul punto soccorrono gli ordinari criteri, già sviluppati a proposito della tematica del concorso formale tra reati, al fine di distinguere se si è al cospetto di un’unica condotta (articolata in una pluralità di atti distinti tra loro dal punto di vista naturalistico), ovvero di una pluralità di condotte tutte giuridicamente rilevanti. Il che comporta, ad es., che in tema di violenza sessuale di gruppo, allorché gli atti sessuali non vengano posti in essere in unico contesto temporale, ma intercorra un apprezzabile periodo di tempo fra i vari episodi, ciascuno dei quali caratterizzato dalla ripresa dell’azione violenta in danno della vittima, viene in tal modo a configurarsi una cesura tra i singoli fatti, ognuno dei quali costituente reato, con conseguente ravvisabilità del vincolo della continuazione (Cass., Sez. III, 9.11.2005, n. 45970); ed ancora, in materia di traffico di sostanze stupefacenti, l’assenza di contiguità tem- 225 lezioni e sentenze di diritto penale – parte generale porale tra le condotte di detenzione e cessione di sostanza stupefacente impedisce l’assorbimento dell’una condotta nell’altra, con la conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa disposizione di legge e quindi a distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della continuazione criminosa, ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro alternative di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. (Fattispecie in cui uno stesso soggetto aveva ceduto a terzi la sostanza stupefacente almeno due giorni dopo da quando aveva iniziato a detenerla; sic Cass., Sez. IV, 7.4.2005, n. 22588.). Quanto, poi, alle ricorrenti difficoltà di individuare, in concreto, la disciplina cui assoggettare le diverse ipotesi di pluralità di condotte integranti più reati, va detto che la differenza tra una semplice pluralità di reati (riconducibile alla figura del concorso materiale tra reati) ed il reato continuato consiste nel fatto che, nel primo caso l’obiettivo del soggetto attivo è unico e distinto per ciascuno dei reati commessi, anche se la sua condotta si articola in momenti ravvicinati tra loro, mentre nel reato continuato vi è sì una pluralità di obiettivi, ma essi sono tenuti insieme da un unico disegno criminoso. Così, si è detto che la resistenza o la minaccia adoperata nel medesimo contesto per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., ma tanti reati di resistenza – che possono essere uniti dal vincolo della continuazione – quanti sono i pubblici ufficiali in azione, giacché l’azione delittuosa si risolve in altrettante e distinte offese al libero espletamento dell’attività da parte di ogni pubblico ufficiale coinvolto (Cass., Sez. VI, 22.6.2006, n. 35376.). L’art. 81 cpv. c.p., inoltre, riconosce la possibilità di configurare il reato continuato anche nel caso in cui le plurime violazioni di legge vengano commesse anche in tempi diversi. L’inciso, peraltro, non si limita a contemplare il caso di reati realizzati in continuazione tra loro anche quando risultano commessi in un arco temporale più o meno esteso [d’altra parte è stato sottolineato a più riprese come la possibilità di un reato continuato posto in essere con atti contestuali (es. ricorrente è quello relativo al caso di reati omissivi realizzati dal datore di lavoro inadempiente rispetto a tutta una serie di misure di salvaguardia cui sarebbe stato tenuto a tutela dei lavoratori della propria azienda), per quel che concerne i reati di azione si riduce a mere ipotesi di scuola)], ma riconosce come ordinaria tale ipotesi, facendo salva l’applicazione dell’istituto anche nei casi di arresto e di detenzione del soggetto agente (assai discussi in passato in ordine alla loro supposta efficacia interruttiva del medesimo disegno criminoso). Infatti, oramai si ritiene pacifico che la distanza temporale tra un reato e l’altro, anche intervallata da periodi di detenzione del reo, può non essere sufficiente di per sé ad escludere il vincolo della continuazione. 226