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Canto XVI - Edu.lascuola

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Canto XVI - Edu.lascuola
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Canto XVI
Posizione VII cerchio, 3° girone (violenti). Sul baratro tra il VII e l’VIII
cerchio
Peccatori Sodomiti (violenti contro Dio nella natura)
Pena Corrono nella landa infuocata sotto la pioggia di fuoco, senza
potersi mai fermare
Contrappasso La pena richiama probabilmente la pioggia di fuoco che
si abbatté sulle corrotte città di Sodoma e Gomorra (Gen. 19)
Dante incontra Iacopo Rusticucci; Guido Guerra; Tegghiaio
Aldobrandi; Gerione (custode dell’VIII cerchio)
■ Sequenze narrative
®
vv 1-27
INCONTRO CON ALTRI SODOMITI
Sempre seguendo l’argine di pietra che costeggia il sabbione, i due poeti giungono in un
luogo dove si ode chiaramente il rumore della cascata del Flegetonte; qui vedono avvicinarsi un’altra schiera di sodomiti, che in terra furono insigni esponenti del ceto politico e
militare. Tre di loro, che dalla veste di Dante hanno capito che trattasi di un fiorentino, gli
si accostano correndo a cerchio intorno a lui, dato che la pena non consente loro di fermarsi, e mostrano il desiderio di voler parlare con lui.
® vv 28-63
Inferno, XVI,
20-27, miniatura
ferrarese,
1474-1482,
Ms. Urb. Lat. 365,
f. 41 r.
Roma, Biblioteca
Vaticana.
COLLOQUIO COI TRE FIORENTINI
Virgilio invita il discepolo a dimostrarsi cortese nei confronti di costoro, degni di rispetto nonostante l’attuale condizione. A parlare è solo uno degli spiriti, che dice di essere Iacopo Rusticucci; con lui sono Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi. Sono tre dei Fiorentini della passata generazione ch’a ben far puoser li ’ngegni, della cui sorte Dante aveva già chiesto notizie a
Ciacco (Inf.VI, 79-84). Dante spiega loro la sua condizione e le ragioni del suo viaggio.
® vv 64-90
CAUSE DELLA CORRUZIONE DI FIRENZE
Alla domanda di Iacopo se a Firenze esistano ancora cortesia e valor, Dante prorompe in
un’aspra invettiva contro la Firenze attuale, così diversa da quella passata perché corrotta
dagli immigrati dal contado (la gente nuova) e dalle ricchezze accumulate rapidamente (i sùbiti guadagni). I tre dannati si dimostrano addolorati per le parole di Dante, ma gli sono tuttavia riconoscenti per la risposta; quindi, dopo averlo pregato di rinnovare il loro ricordo
tra i vivi, si allontanano rapidamente.
® vv 91-136
L’ARRIVO DI GERIONE
I due poeti riprendono il cammino e vengono presto assordati dal precipitare del Flegetonte nell’ottavo cerchio.Virgilio si fa porgere da Dante la corda che questi porta legata ai
fianchi e la getta nel burrone. Allora, d’improvviso, sale dal fondo un essere mostruoso e
strano, che sembra nuotare nell’aria. Si tratta di Gerione, simbolo della frode e custode dell’ottavo cerchio.
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Inferno
C ant o XV I
■ Temi e motivi
La decadenza degli antichi valori
All’inizio del canto Dante incontra tre illustri fiorentini, rappresentanti della vecchia Firenze magnatizia e ammirati per la loro rettitudine e amor di patria: Guido Guerra, Tegghiaio
Aldobrandi e Iacopo Rusticucci. Tema del colloquio è la decadenza morale e politica di
Firenze, la terra prava che accomuna Dante a questi dannati e stabilisce una linea di continuità con i canti VI, X e XV, i cui protagonisti - rispettivamente Ciacco*, Farinata* e Brunetto Latini* -, sono tutti concittadini del poeta. Nucleo centrale del colloquio, culminante
nell’apostrofe* dei vv. 73-75, è il contrasto tra la Firenze del buon tempo antico (che verrà
celebrata ancora da Cacciaguida* in Paradiso XVI) e la corruzione attuale della città. La
causa di questo degrado è individuata da Dante nell’ascesa della gente nuova (v. 73), della
borghesia affaristica e mercantile, priva di nobili ideali e animata unicamente dal miraggio
dei sùbiti guadagni (v. 73). In verità è proprio questa classe di mercanti e banchieri a scardinare le strutture di un’economia ancora semifeudale, determinando il passaggio della
città da Comune a Signoria e gettando le basi della futura potenza economica di Firenze.
Per il suo conservatorismo politico Dante è lontano dal comprendere questa profonda trasformazione, ma ciò che gli preme è registrarne gli effetti negativi sul piano morale, che lo
portano ad opporre con forza (v. 76) all’arroganza e alla volgarità riscontrate nei nuovi ceti
emergenti gli ideali aristocratici e cortesi, ai suoi occhi irrimediabilmente perduti, della
Firenze antica rappresentata dai tre concittadini: rettitudine, pacifica convivenza, senso della
tradizione, sobrietà, liberalità, amor di patria. L’illustre passato dei tre personaggi evidenzia
drammaticamente la loro attuale condizione di dannati; pur riconoscendo la grandezza terrena del ben far dei tre compatrioti (vv. 58-60), il poeta accentua il distacco da loro sul piano
spirituale (Lascio lo fele e vo per dolci pomi, v. 61).
Il rito della corda
Sull’orlo del settimo cerchio si svolge quindi un misterioso rito allegorico: il lancio di una
corda (di cui era cinto Dante e che egli porge al maestro aggroppata e ravvolta) nel precipizio sottostante per attirare Gerione, l’essere ibrido che dovrà trasportare a volo i due pellegrini nell’ottavo cerchio, dove è punita la frode di cui egli è inequivocabilmente il simbolo. Certamente, la corda risulta collegata a Gerione (che da essa viene attirato sulla sponda) e alla lonza del primo canto (con quella stessa corda, infatti, Dante dice di aver pensato alcuna volta/ prender la lonza a la pelle dipinta, vv. 107-108), istituendo di conseguenza un
rapporto anche tra Gerione e la lonza. Il significato di questa corda è ancora oggetto di
discussione; in quanto strumento virtuoso, valido sia contro la lussuria che contro la frode,
essa deve avere una funzione simbolica polivalente, individuata da alcuni nella «temperanza» contro la lonza e nella «giustizia e verità» contro Gerione, da altri nella «continenza e
castità» nei confronti della lonza, nella «giustizia e fede» rispetto a Gerione. Sta di fatto che
il lancio della corda determina l’arrivo di Gerione, una straordinaria creatura caratterizzata, come si vedrà, da un aspetto multiforme, e investita di una funzione decisiva nella dinamica spaziale e allegorica del viaggio ultraterreno, rilevata tra l’altro da un ‘appello al lettore’* in cui viene coinvolto il poema stesso, per la prima volta indicato come «comedìa»
(vv. 127-128). Per il momento, però, Dante lascia ancora indistinta e confusa questa figura
maravigliosa ad ogne cor sicuro (v. 132), limitandosi a descriverne la risalita dal baratro attraverso una similitudine nautica e rinviando la sua precisa descrizione, con calcolato effetto
di attesa, al canto successivo.
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Canto XVI
®
Inferno
3
Già era in loco onde s’udìa ’l rimbombo
de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
simile a quel che l’arnie fanno rombo,
6
quando tre ombre insieme si partiro,
correndo, d’una torma che passava
sotto la pioggia de l’aspro martiro.
quando, da una schiera (torma) che procedeva sotto la pioggia
di fuoco del duro supplizio (martiro), si staccarono (si partiro)
insieme di corsa tre spiriti (ombre).
9
Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:
«Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri
esser alcun di nostra terra prava».
Venivano verso di noi e ciascuno di essi gridava: «Fermati (Sòstati) tu che dal modo di vestire (ch’a l’abito) ci (ne) sembri essere uno (alcun) della nostra crudele (prava) città».
12
Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.
Ahimè, quali piaghe, vecchie e recenti, prodotte (incese) dalle
fiamme, io vidi nelle loro membra! Mi recano ancora dolore
(men duol) solo (pur ch’) a ricordarle.
15
A le lor grida il mio dottor s’attese;
volse ’l viso ver’ me, e: «Or aspetta»,
disse, «a costor si vuole esser cortese.
La mia guida (dottor) si fermò rivolgendo la propria attenzione (s’attese) alle loro grida; voltò lo sguardo (viso) verso di me
e disse: «Fermati (aspetta) ora, nei confronti di costoro è giusto (si vuole) essere cortesi.
18
E se non fosse il foco che saetta
la natura del loco, i’ dicerei
che meglio stesse a te che a lor la fretta».
E se non fosse per le fiamme (foco) che la natura del luogo fa
scendere (saetta), direi che la fretta dovesse convenire (stesse)
più a te che a loro».
21
Ricominciar, come noi restammo, ei
l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
fenno una rota di sé tutti e trei.
Non appena (come) noi ci fermammo (restammo), essi (ei) ripresero il loro consueto lamento (l’antico verso); e quando furono giunti presso di noi, tutti e tre (trei) insieme formarono
(fenno) un cerchio (rota).
24
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
prima che sien tra lor battuti e punti,
Come sono soliti fare i lottatori (campion) nudi e unti, studiando (avvisando) la presa più vantaggiosa (lor presa e lor vantaggio) prima di colpirsi e ferirsi (battuti e punti),
27
così rotando, ciascuno il visaggio
drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
faceva ai piè continüo vïaggio.
così, con lo stesso movimento circolare (rotando), ciascuno (dei
tre) rivolgeva (drizzava) a me lo sguardo (visaggio), così che il
loro collo doveva fare un continuo movimento (vïaggio) contrario a quello dei piedi.
30
E «Se miseria d’esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,
33
la fama nostra il tuo animo pieghi
a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
così sicuro per lo ’nferno freghi.
36
Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
tutto che nudo e dipelato vada,
fu di grado maggior che tu non credi:
vv 1-27
INCONTRO CON ALTRI SODOMITI
Ero (era) ormai giunto nel punto [dell’argine] (loco) in cui si udiva il rimbombo del ruscello (l’acqua) che cadeva nel cerchio successivo (l’altro giro), simile al ronzio (rombo) delle api nelle arnie,
® vv 28-63
COLLOQUIO COI TRE FIORENTINI
Uno di essi cominciò: «Se la misera condizione (miseria) di questo sabbione (loco sollo = luogo cedevole) e il nostro aspetto annerito (tinto) e scorticato (brollo) rende spregevoli (in dispetto)
noi e le nostre richieste (prieghi),
la fama rimasta di noi (nostra) induca (pieghi) il tuo animo a
dirci chi sei tu, che ancora vivo calchi (freghi) i piedi nell’Inferno senza timore di bruciarti (sicuro).
Costui, di cui mi vedi calpestare le orme, benché (tutto che)
vada nudo e scorticato (dipelato), fu di rango sociale (grado)
più alto (maggior) di quanto credi:
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Inferno
C ant o XVI
39
nepote fu de la buona Gualdrada;
Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
fece col senno assai e con la spada.
fu nipote della virtuosa (buona) Gualdrada; si chiamò Guido
Guerra e in vita si distinse (fece… assai) sia per virtù civili (col
senno) che militari (con la spada).
42
L’altro, ch’appresso me la rena trita,
è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
nel mondo sù dovria esser gradita.
L’altro, che calpesta (trita) la sabbia (rena) vicino a me, è Tegghiaio Aldobrandi, il cui consiglio (voce) avrebbe dovuto essere stato meglio ascoltato (dovrìa esser gradita) a Firenze (nel
mondo sù).
45
E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo Rusticucci fui, e certo
la fiera moglie più ch’altro mi nuoce».
E io, che sono sottoposto al tormento (posto… in croce) insieme a loro, fui Iacopo Rusticucci; e certo più di ogni altra cosa (più ch’altro) mi è dannosa (mi nuoce) la moglie intrattabile
(fiera)».
48
S’i’ fossi stato dal foco coperto,
gittato mi sarei tra lor di sotto,
e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
Se io fossi stato protetto (coperto) dal fuoco, mi sarei gettato
giù tra loro, e credo che il mio maestro (dottor) l’avrebbe consentito (sofferto);
51
ma perch’io mi sarei brusciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia
che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
ma dal momento che mi sarei bruciato, la paura prese il sopravvento (vinse) sul sincero sentimento (buona voglia) che mi
rendeva desideroso (ghiotto) di abbracciarli.
54
Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fisse,
tanta che tardi tutta si dispoglia,
Poi cominciai: «La vostra condizione mi impresse (fisse) nell’animo (dentro) non disprezzo (dispetto), ma un dolore (doglia)
così intenso (tanta) che dovrà passare molto tempo (tardi) prima che svanisca (si dispoglia) del tutto,
57
tosto che questo mio segnor mi disse
parole per le quali i’ mi pensai
che qual voi siete, tal gente venisse.
non appena (tosto che) la mia guida (segnor) mi disse parole per
le quali io pensai che venissero (verso di noi) persone tanto
meritevoli (tal gente) quali voi siete.
60
Di vostra terra sono, e sempre mai
l’ovra di voi e li onorati nomi
con affezion ritrassi e ascoltai.
Io sono della vostra città (terra), e sempre (sempre mai) ascoltai
e riferii ad altri (ritrassi) con piacere (affezion) le vostre azioni
(ovra) e i vostri nomi onorati.
63
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi».
Lascio l’amarezza del peccato (lo fele) e mi dirigo (vo) verso la
dolcezza del bene (dolci pomi), promessa a me dalla mia guida
(duca) veritiera (verace); ma prima è necessario (convien) che io
scenda (tomi) fino al centro dell’universo».
66
«Se lungamente l’anima conduca
le membra tue», rispuose quelli ancora,
«e se la fama tua dopo te luca,
«Con l’augurio (Se) che tu possa vivere ancora a lungo», rispose ancora quello spirito, «e che la tua fama risplenda (luca)
dopo la tua morte (dopo te),
69
cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sì come suole,
o se del tutto se n’è gita fora;
dicci se i valori cortesi e le virtù morali (cortesia e valor) sopravvivono (dimora) ancora, come solevano un tempo (sì come
suole), nella nostra città, o se l’hanno del tutto abbandonata (se
n’è gita fora);
72
ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va là coi compagni,
assai ne cruccia con le sue parole».
poiché Guglielmo Borsiere, che da poco tempo (per poco) è
tormentato (si duole) insieme a noi ed è laggiù con i suoi
compagni, ci affligge (ne cruccia) molto con le sue parole».
166
® vv 64-90
CAUSE DELLA CORRUZIONE DI FIRENZE
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Canto XVI
Inferno
75
«La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
«Gli immigrati recenti (gente nuova) e le loro improvvise fortune (sùbiti guadagni) hanno generato in te, Firenze, superbia
(orgoglio) e sfrenatezza (dismisura), così che già cominci a pagarne le conseguenze (già ten piagni)».
78
Così gridai con la faccia levata;
e i tre, che ciò inteser per risposta,
guardar l’un l’altro com’al ver si guata.
Così gridai a testa alta; e i tre, che recepirono queste parole
come (per) risposta, si guardarono l’un l’altro come si assiste
(guata) alla conferma di una dura verità (al ver).
81
«Se l’altre volte sì poco ti costa»,
rispuoser tutti «il satisfare altrui,
felice te se sì parli a tua posta!
«Se ti costa sempre come ora (l’altre volte) così poco», risposero tutti insieme, «rispondere esaurientemente alle domande (il
satisfare altrui), felice te se sei in grado di parlare liberamente
(a tua posta) con tanta franchezza (sì)!
84
Però, se campi d’esti luoghi bui
e torni a riveder le belle stelle,
quando ti gioverà dicere “I’ fui’’,
Perciò, con l’augurio (se) che tu possa scampare (campi) dall’Inferno (d’esti luoghi bui) e ritornare a vedere il cielo (le belle stelle), quando ti piacerà (gioverà) rievocare il viaggio nell’Oltretomba (dicere “I’ fui”),
87
fa che di noi a la gente favelle».
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
ali sembiar le gambe loro isnelle.
fa in modo di parlare (fa che… favelle) di noi alla gente». Quindi sciolsero (rupper) il cerchio (rota), e nel (a) fuggire le loro
gambe veloci (isnelle) sembrarono (sembiar) ali.
90
Un amen non saria possuto dirsi
tosto così com’e’ fuoro spariti;
per ch’al maestro parve di partirsi.
Non si sarebbe potuto (possuto) pronunciare (dirsi) un “amen”
così velocemente (tosto) come essi scomparvero (fuoro spariti);
per la qual cosa al maestro parve opportuno (parve) allontanarsi (partirsi).
93
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
che per parlar saremmo a pena uditi.
Io lo seguivo e, dopo essere avanzati (iti) un poco, il fragore della
cascata (’l suon de l’acqua) era così vicino a noi che, se ci fossimo
parlati (per parlar), ci saremmo a malapena (a pena) uditi.
96
Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
Come il fiume che per primo, dal Monviso verso oriente (levante), nella parte sinistra dell’Appennino, sfocia in mare (ha
proprio cammino),
99
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
e che si chiama Acquacheta nella parte alta del suo corso (suso), prima (avante) di scendere (divalli) in pianura (giù nel basso letto), e a Forlì non si chiama più (è vacante = è privo) con
quel nome,
102
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
rimbomba presso (là sovra) San Benedetto all’Alpe poiché
precipita (per cadere) con un unico salto (ad una scesa) là dove
(ove) dovrebbe (dovea) essere ricevuto (recetto) in moltissimi
(salti) (mille);
105
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ’n poc’ora avria l’orecchia offesa.
così, giù da una parete (ripa) scoscesa, incontrammo (trovammo) quell’acqua rossa (tinta) cadere fragorosamente (risonar),
tanto che avrebbe danneggiato l’udito (l’orecchia offesa) in brevissimo tempo (’n poc’ora).
108
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Io portavo avvolta intorno ai fianchi (intorno cinta) una corda,
con la quale (e con essa) una volta pensai di catturare la lonza
dalla (a la) pelle screziata (dipinta).
® vv 91-136
L’ARRIVO DI GERIONE
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Inferno
C ant o XVI
111
Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
sì come ’l duca m’avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Dopo (Poscia) averla completamente srotolata (da me sciolta),
così come mi aveva ordinato il maestro, gliela porsi (porsila)
raccolta a matassa (aggroppata e ravvolta).
114
Ond’ei si volse inver’ lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell’alto burrato.
Egli allora si volse verso destra e la gettò giù nel profondo
burrone (alto burrato) un po’ lontano (alquanto di lunge) dalla
sponda.
117
‘E’ pur convien che novità risponda’,
dicea fra me medesmo, ‘al novo cenno
che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
“Qualcosa di straordinario (novità) deve (convien) certo (pur)
corrispondere (risponda)”, dicevo tra me e me, “all’inconsueto (novo) segnale (cenno) che il maestro segue con tanta attenzione (sì seconda)”.
120
Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
presso a color che non veggion pur l’ovra,
ma per entro i pensier miran col senno!
Ahi quanto devono (dienno) essere cauti gli uomini vicino alle persone che non solo (pur) vedono (veggion) gli atti esteriori (l’ovra), ma, grazie al loro acume (col senno), riescono a
penetrare (miran) nei pensieri!
123
El disse a me: «Tosto verrà di sovra
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
tosto convien ch’al tuo viso si scovra».
Egli mi disse: «Presto (Tosto) salirà (verrà di sovra) ciò che io attendo con certezza e che tu immagini solo confusamente (il
tuo pensier sogna): presto dovrà (convien) rivelarsi ai tuoi occhi
(viso).
126
Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
però che sanza colpa fa vergogna;
L’uomo, finché può (puote), deve (de’) sempre rifiutarsi dall’esprimere (chiuder le labbra) quella verità (ver) che ha l’apparenza (faccia) di menzogna, poiché (però che) essa lo farebbe sembrare bugiardo (fa vergogna) anche se è sincero (sanza colpa);
129
ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
s’elle non sien di lunga grazia vòte,
ma in questa occasione (qui) non posso tacerla; e in nome dei
versi (note) di questo poema (comedìa) – possano (se) non essere
a lungo privi (vòte) di favore presso il pubblico (di lunga grazia)
–, ti giuro, lettore,
132
ch’i’ vidi per quell’aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
che io vidi salire (venir… in suso) attraverso quell’aria densa (grosso) e scura, come se nuotasse (notando), una figura tale da impressionare (maravigliosa) anche un animo intrepido (cor sicuro),
135
sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
con lo stesso movimento con cui risale (torna) il marinaio
(colui), che talvolta scende sott’acqua (va giuso) per liberare (solver) l’ancora rimasta impigliata (ch’aggrappa) in uno scoglio o in
un altro ostacolo (altro) sul fondo marino (che nel mare è chiuso),
che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
che stende in alto le braccia e raccoglie le gambe (da piè si rattrappa).
168
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