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Inferno, canto V (commento a Paolo e Francesca)
Inferno, canto V Paolo e Francesca Commento Siamo nel secondo cerchio dell’Inferno, il primo dei quattro in cui sono puniti gli incontinenti, cioè coloro che non riuscirono a frenare gli istinti, a “contenerli” entro i limiti della ragione: oltre ai lussuriosi, che espiano qui il loro peccato, nei cerchi successivi Dante e Virgilio incontreranno i golosi (terzo cerchio), gli avari e i prodighi (quarto cerchio), gli iracondi e gli accidiosi (quinto cerchio). Il Canto V è il primo dell’Inferno che ci mostra la pena di una categoria di dannati e Francesca è il primo peccatore a dialogare con Dante: all’inizio del canto troviamo anche una figura demoniaca, Minosse, che è il giudice dei dannati ed è ridotto a una strana parodia della giustizia divina, essendo descritto come un essere mostruoso e animalesco, con una lunga coda che avvolge intorno a sé per indicare ai peccatori il luogo infernale cui sono destinati. Non sappiamo da dove Dante abbia tratto questa curiosa trasformazione: nel mito classico Minosse era descritto piuttosto come re saggio e giusto. I lussuriosi sono trascinati da una bufera incessante, che simboleggia la forza della passione cui essi non seppero opporsi in vita (Dante li definisce peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento). Molto probabilmente tra loro si distingue una schiera costituita dai lussuriosi morti violentemente, in cui sono vari personaggi del mito e della letteratura, come Didone, Achille, Tristano, oltre che i due protagonisti del canto. Dante qui intende svolgere un discorso sulla letteratura amorosa, pericolosa per i lettori che potrebbero mettere in pratica i comportamenti descritti nei libri, che vantano l’amore sensuale e non spiritualizzato. Non a caso i lussuriosi nominati da Virgilio appartengono quasi tutti alla letteratura o al mito; Dante stesso non ha bisogno di spiegazioni per capire che in questo cerchio sono puniti i lussuriosi: il poeta, infatti, era stato lettore e autore di letteratura d’amore – pensiamo alla sua produzione stilnovista –, quindi si sente coinvolto in prima persona nel peccato ed è molto turbato. Francesca è un personaggio significativo, perché il suo caso doveva essere ben presente ai contemporanei di Dante. La vicenda era quella di un adulterio tra Francesca da Polenta, figlia del signore di Ravenna, e il cognato Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto, che la donna aveva sposato in un matrimonio combinato per riappacificare le due famiglie. Gianciotto aveva scoperto la relazione e aveva ucciso entrambi. Dante non intende giustificare in alcun modo il peccato dei due amanti, ma piuttosto mettere in guardia tutti i lettori dai rischi della letteratura di argomento amoroso. Francesca, infatti, è una donna colta, esperta di letteratura: cita indirettamente Guinizelli e lo stesso Dante, dei quali riprende alcuni versi nella famosa anafora amor... amor... amor; il suo amore con Paolo è nato per una reciproca attrazione fisica e l’occasione è venuta proprio dalla lettura di un libro, il romanzo di Lancillotto e Ginevra. La colpa di Paolo e Francesca, perciò, non è tanto di essersi innamorati, ma di aver messo imitato il comportamento peccaminoso dei due personaggi letterari: hanno scambiato la letteratura con la vita e ciò ha causato la loro dannazione. La pietà provata da Dante verso di loro non è dunque una generica compassione, ma è il turbamento di uno scrittore che prende coscienza della pericolosità della poesia amorosa da lui scritta in passato. In questo senso Dante ritratta anche parte della sua precedente produzione poetica. Non è del resto un caso che una lussuriosa sia il primo dannato descritto da Dante, mentre tra gli ultimi penitenti del Purgatorio (Canto XXVI) ci sarà Guido Guinizelli, che è lì proprio in quanto poeta d’amore.