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DANTE IN MUSICA - prima parte

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DANTE IN MUSICA - prima parte
Dante in musica
(I parte)
di Giorgio Ceccarelli Paxton
Premessa
Sono particolarmente grato all’Associazione culturale Nuove Tendenze del privilegio offertomi nell’ospitare sul suo
sito un mio contributo nell’ambito dell’anno celebrativo del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Un
pensiero a quello che è stato non solo uno dei più grandi poeti della storia dell’umanità, ma il fondatore della lingua
italiana, e la cui modernità è ancora straordinariamente attuale, non poteva mancare da parte di una associazione come
Nuove Tendenze che, nonostante il suo nome “future-minded”, si è sempre occupata di cultura, di alta cultura – e di tutta
la cultura - , a 360 gradi.
Quanto segue è la ristrutturazione di una trasmissione dallo stesso titolo che ho curato agli inizi del 2015 per
Radio Vaticana. Vi è qui una implementazione del testo originario, che, per gli scopi cui era dedicato – sostanzialmente
ascolti musicali, quindi con notevole ristrettezza dei tempi dedicati alla parte divulgativa - risultava molto, anzi direi
troppo, sintetico.
“DANTE IN MUSICA”, dunque, e non “La musica in Dante”. La distinzione è fondamentale, perché “La
musica in Dante”, anche se argomento di per sé fascinoso ed interessante, significherebbe una serie di disquisizioni di
carattere filosofico ed estetico sul come la musica era concepita nel Medioevo, nel dolce stilnovo, in Dante, sulle arti
del trivio e del quadrivio, sull’armonia delle sfere ecc. ecc. Al contrario, scopo di questo lavoro è quello di presentare e,
per quanto possibile, analizzare compositori che abbiano scritto musica da ispirazione dantesca e sull’argomento
“Dante”. “Dante in musica”, quindi, non solo per commemorare il 750° anniversario dalla nascita (ricordo le date di
nascita e di morte: 1265-1321), ma per esplorare come l’universo dantesco, certamente quello della Commedia, ma
anche quello minore della Vita nuova e delle Rime ma anche del Convito, sia stato affrontato nel corso della storia della
musica non soltanto da autori quasi coevi al poeta fiorentino, ma, e questo può sembrare strano, soprattutto da
compositori moderni e contemporanei. Un esempio per tutti: il compositore russo Boris Tischenko, morto nel 2010,
compose un ciclo coreografico di ben cinque sinfonie, tutte ispirate dalle e alle opere di Dante. Ma di questo parleremo
in seguito.
Per tornare a noi, tenteremo, in un breve excursus, di presentare una sintesi delle composizioni scritte per
Dante e/o su testo dantesco, che sia quanto più possibile esaustiva, partendo da un criterio cronologico, basato sulla
evoluzione delle opere del Poeta.
Le opere di Dante contengono un'erudita testimonianza letteraria sulla musica del suo tempo. Egli stesso si
interessò di musica e, secondo Boccaccio "sommamente si dilettò in suoni e canti nella sua giovinezza, e a ciascuno che
a quei tempi era ottimo cantore o sonatore fu amico ed ebbe sua usanza; ed assai cose da questo tirato compose le
quali di piacevole e maestrevole nota a questi cotali facea rivestire". Dante fu anche allievo di Casella, il musico del
secondo canto del Purgatorio a cui fa intonare la canzone "Amor che nella mente mi ragiona" (vv. 106-119), la cui
musica però è andata perduta.
Ben pochi brani musicali su versi di Dante ci sono pervenuti da parte dei suoi contemporanei e più in generale
le composizioni su soggetto dantesco non furono moltissime da parte dei suoi coevi o nei secoli immediatamente
successivi, anche perché questi videro un immotivato oblio della sua arte, che solo il Romanticismo provvide a
rivalutare. Dai tempi di Dante si ha notizia solo della musica per la ballata "Deh violetta che in ombra d'amore" (la
LXIII delle Rime), composta probabilmente da un certo Scochetto.
Le cose migliorano leggermente con il fermento culturale e spirituale del Rinascimento e con il fiorire della
polifonia vocale. In questo ambiente troviamo Luca Marenzio o Marenzi - nato probabilmente nel 1553 (la data è
incerta) e morto a Roma nel 1599 – che fu compositore, cantore e liutista e soprattutto il più acclamato autore di
madrigali del suo tempo. Questi occupano gran parte della sua produzione musicale, svolta in circa due decenni di
attività nel corso dei quali produsse molti libri di madrigali a più voci tra cui dieci a cinque voci. E’ proprio nel IX Libro
di madrigali a cinque voci che troviamo musicato il sonetto Cosi nel mio parlar voglio esser aspro che fu
probabilmente scritto da Dante prima dell’esilio, intorno al 1296-98, ed appartiene al gruppo delle “Rime per la donna
di pietra”. E’ il numero 103 nella classica edizione Barbi ed il 46 nella più recente edizione Contini.
Il poeta descrive l’estrema violenza con la quale prima la donna e poi l’Amore stesso lo hanno aggredito sino a
ridurlo in fin di vita; quindi auspica un mutamento della situazione e una ipotetica punizione con la quale l’Amore
schianti la crudeltà della donna e le faccia sentire prima la violenza e poi la magnanimità dell’amante.
Il tema della crudeltà della donna è un elemento innovativo rispetto alla tradizione stilnovistica che spesso
rappresentava Amore come crudele, ma manteneva sempre la donna in una sfera più elevata, addirittura soprannaturale.
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Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un dïaspro
tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda;
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda
né si dilunghi da’ colpi mortali,
che, com’avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun’arme:
sì ch’io non so da lei né posso atarme…
Marenzio musicò solo le prime due strofe [qui ed in seguito non riporterò le poesie nella loro completezza, ma
solo le strofe effettivamente musicate, per non appesantire il discorso: d’altronde le versioni complete sono ormai
facilmente reperibili in internet], cosa che fece anche Vincenzo Galilei (1520-1591), il padre di Galileo, il quale fu un
abile suonatore di liuto e di viola oltre che il dotto teorico della Camerata Fiorentina. La poesia era la stessa, ma la resa
musicale fu completamente diversa, rispecchiando in ambo i casi la diversa estetica dei due compositori. Luca Marenzio
privilegia la musica moderna (ovvero quella a lui contemporanea) nell'espressività del madrigale, con il libero uso di
artifici e di un denso intreccio contrappuntistico. Le intenzioni narrative ed emozionali del testo sono ben sottolineate,
con contrasti timbrici e dinamici, con accelerazioni e rallentamenti del ritmo, cromatismi, e l'isolamento di singole voci.
Invece Vincenzo Galilei sostiene la superiorità della musica antica nei confronti di quella contemporanea, perché
evidenzia il valore della parola e del canto, soprattutto attraverso la monodia, la semplicità e l'unità della declamazione,
cioè i "virtuosi effetti", ed è rispettosa del ritmo poetico mentre il contrappunto, secondo Galilei, oscura il significato
delle parole.
In totale le composizioni di vari autori su questa canzone “pietrosa” di Dante sono cinque: le rimanenti tre sono
di autore anonimo. Galilei musicò anche l’episodio del Conte Ugolino ma è purtroppo andato perduto.
Prima di passare alla Vita Nuova, faccio una rapida deviazione verso quel personaggio che è sempre presente in
tutte le opere di Dante, e cioè Beatrice. Tale imponente presenza non poteva non essere notata da diversi autori che ne
cantarono l’importanza nel mondo dantesco.
Boris Tischenko, nato a Leningrado nel 1939 e morto nella medesima città (che nel frattempo è diventata San
Pietroburgo) nel 2010, fu allievo di Galina Ustvolskaja e di Dmitri Shostakovich, cui fu legato anche da grande amicizia
e di cui divenne collaboratore in diverse liaisons musicali e biografiche. Fu un compositore prolifico che, anche se
attratto da alcuni modernismi come il serialismo e la tecnica aleatoria, rimase sempre profondamente legato alle
tradizioni culturali e musicali della propria terra.
Qui ci interessa particolarmente – e ne riparleremo anche in seguito – perché dedicò al poeta fiorentino un ciclo
sinfonico intitolato Beatrice formato da ben cinque sinfonie, contrassegnate come opus 123, composte tra il 1997 e il
2005. Esse sono ispirate non solo dalla Divina Commedia, ma anche dalla Vita Nuova, il Convito, le Rime ecc.,
insomma ci troviamo di fronte ad un attento lettore e studioso del mondo dantesco.
La struttura generale del ciclo prevede la Prima sinfonia come prologo al viaggio di Dante nell’altro mondo. La
Seconda e la Terza trattano dell’Inferno, la Quarta del Purgatorio e la Quinta del Paradiso. Molto altro ci sarebbe da dire
su queste composizioni, delle quali Tischenko stesso spiega diffusamente la simbologia e i significati, ma ci vorrebbe
una nota dedicata esclusivamente a lui, cosa che eventualmente si potrà anche fare in futuro, perché è comunque un
compositore che, anche al netto delle sue predilezioni dantesche, meriterebbe maggiore attenzione sia in campo
concertistico sia in campo discografico. Ne riparleremo mano a mano nell’ambito della trattazione della Divina
Commedia.
E’ poi da citare Granville Bantock (1868-1946) sinfonista inglese fortemente influenzato da Richard Wagner,
ma anche interessato ad aspetti esotici, in particolare orientaleggianti come dimostrano alcuni titoli delle sue opere, The
pearl of Iran, The burden of Babylon, Sapphic poem ecc. alcune delle quali anche basate su ispirazioni letterarie come
Prometheus unbound su testo di Shelley, Three Browning songs, e così via.
Il secondo dei sei poemi sinfonici di sua composizione è intitolato Dante and Beatrice ed è del 1901, e fu
completamente rielaborato nel 1910. Per esplicita ammissione dell’autore esso è inteso più come uno studio psicologico
che mira a evocare stati della mente piuttosto che descrivere dettagliatamente episodi individuali. Le sue varie parti
sono “Dante”, “La lotta tra Guelfi e Ghibellini”, “Beatrice”, “La visione dantesca dell’Inferno, Purgatorio, Paradiso”,
“L’esilio di Dante”, “Morte di Dante”.
Dopo questa generica introduzione alle vicende dantesche strettamente collegate, come noto, al suo amore per
Beatrice, vediamo più da vicino il sorgere di questo amore. Ci fa da guida la Vita Nuova, che è la prima opera di
attribuzione certa di Dante Alighieri, assemblata tra il 1293 ed il 1295. Si tratta di un prosimetro nel quale sono inserite
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31 liriche (25 sonetti, 1 ballata, 5 canzoni) e 42 capitoli. Lo stesso Dante ci testimonia che il testo più antico risale al
1283, quando egli aveva diciotto anni, e che il più tardo risale al giugno del 1291, anniversario della morte di Beatrice.
Non è questa la sede per una dettagliata analisi letteraria dell’opera, ma si può semplificarne la trama in tre
momenti fondamentali della vita dell'autore: una prima fase in cui Beatrice gli concede il saluto, fonte di beatitudine e
salvezza, una seconda in cui ciò non gli è più concesso, cosa che arreca in Dante una profonda sofferenza, una terza in
cui Beatrice muore e il rapporto non è più tra il poeta e la donna amata, ma tra il poeta e l'anima della donna amata.
Molte sono le rappresentazioni musicali di queste vicende e cercherò di citare tutte quelle più significative.
Iniziamo da un autore contemporaneo, il russo Vladimir Martynov, nato nel 1946 a Mosca, che nel 2007 ha
dato la première di un’opera della durata di due ore e mezza, interamente desunta dal testo dantesco, intitolata, non a
caso, La Vita Nuova. Il compositore sovrappone diversi stili, che non sempre si integrano perfettamente – evocazione di
canti russi, musica sacra rinascimentale, romanticismo wagneriano, leitmotiv straussiani, atonalità, minimalismo ecc. Il
libretto, di Edward Boyakov, è in latino chiesastico, italiano medievale e russo moderno. La varietà di questi stili,
piuttosto che preludere ad un efficace sincretismo, sembra sfilacciare il tessuto narrativo rendendolo vagamente
confuso. E’ comunque una valutazione strettamente personale che può naturalmente non essere condivisa.
Nell’VIII capitolo dell’opera Dante racconta di come fosse stato colpito dalla morte di una giovane amica di
Beatrice, lamento espresso nel sonetto “Morte villana, di pietà nemica”.
Morte villana, di pietà nemica,
di dolor madre antica,
giudicio incontastabile gravoso,
poi che hai data matera al cor doglioso
ond’io vado pensoso,
di te blasmar la lingua s’affatica.
E s’io di grazia ti voi far mendica,
convenesi ch’eo dica
lo tuo fallar d’onni torto tortoso,
non però ch’a la gente sia nascoso,
ma per farne cruccioso
chi d’amor per innanzi si notrica.
Dal secolo hai partita cortesia
e ciò ch’è in donna da pregiar vertute:
in gaia gioventute
distrutta hai l’amorosa leggiadria.
Più non voi discovrir qual donna sia
che per le propietà sue canosciute.
Chi non merta salute
non speri mai d’aver sua compagnia.
[Vita Nuova, VIII 8-11]
Troviamo questa poesia musicata curiosamente da un compositore non notissimo. Othmar Schoeck nacque
nel 1886 in un villaggio vicino al lago di Lucerna, in Svizzera, e studiò al conservatorio di Zurigo e poi con Max Reger
a Lipsia. Nel 1908 tornò a Zurigo dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1957, alternando l’attività di compositore
con quella di direttore d’orchestra. Il suo repertorio compositivo comprende 3 opere: Venus, Massimilla Doni e
Penthesilea, ma il grosso della sua produzione è nella composizione di Lieder nella più pura tradizione tedesca. In
cinquant’anni di attività ne compose più di trecento per voce e pianoforte, con uno stile musicale che mostra una
marcata tendenza verso tessiture ritmiche e armoniche complesse. Due sono i Lieder compresi nella sua op. 9, la cui
particolarità è che sono gli unici Lieder, insieme ad un terzo presente nell’op. 31, su testi di poeti italiani. Il primo è di
Michelangelo, il secondo è la messa in musica nella traduzione del letterato tedesco Richard Zoozman (1863-1934) (che
dedicò tutta la sua vita alla traduzione di Dante) del suddetto sonetto, con il titolo tedesco Du, des Erbarmers feind,
grausamer Tod.
Mario Castelnuovo Tedesco (Firenze 1895 - Los Angeles 1968) è stato tra le intelligenze musicali più vive
della sua generazione. Pianista, accompagnatore, critico musicale, ma soprattutto compositore, è probabilmente ancora
sottostimato in quanto tale, ma la sua arte è veramente universale, sia per l’eclettismo che lo contraddistinse, sia per la
quantità della sua produzione, tutta di alto livello. Di particolare interesse i brani musicali ispirati da vari poeti, italiani e
non (si pensi ai dodici volumi nei quali Castelnuovo Tedesco raccolse tutte le Songs contenute nei testi teatrali di
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Shakespeare), e naturalmente, nel nostro caso, quelli ispirati da Dante. Ben quattro sonetti della Vita Nuova furono da
lui musicati:
1. Cavalcando l'altr'ier per un cammino
IX/9-12
2. Ne li occhi porta la mia donna Amore
XXI/2-4
3. Tanto gentile e tanto onesta pare
XXVI/5-7
4. Deh peregrini che pensosi andate
XL/9-10II
Nel primo, secondo le parole di Dante: “dico sì com’io trovai Amore, e quale mi parea”.
Cavalcando l'altr'ier per un cammino,
pensoso de l'andar che mi sgradia,
trovai Amore in mezzo de la via
in abito leggier di peregrino.
Ne la sembianza mi parea meschino,
come avesse perduta segnoria;
e sospirando pensoso venia,
per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi chiamò per nome,
e disse: «Io vegno di lontana parte,
ov'era lo tuo cor per mio volere;
e rècolo a servir novo piacere».
Allora presi di lui sì gran parte,
ch'elli disparve, e non m'accorsi come.
(Vita Nuova, IX, 9-21)
Un Amor pensoso e malinconico, svagato e distratto, che si avvicina a Dante riconoscendolo e prospettandogli
“novo piacer”. Ma le pene d’amore sono appena iniziate per il poeta. Il tutto è reso da Castelnuovo Tedesco con
leggerezza melodica molto piacevole, con echi di stilemi musicali rinascimentali.
Nel capitolo XXI è presente un sonetto in cui Dante opera una estrema sintesi di cosa significhi Amore per lo
Stilnovismo. Gli occhi, i movimenti, il sorriso, il parlare della donna amata rendono “gentile” e quindi bello e buono
tutto ciò che ella guarda, tutti coloro a cui ella sorride e parla: è una effusione, un uscire da sé, un donare bellezza,
amore e dolcezza da parte della donna al mondo circostante assolutamente spontaneo e naturale. Il sonetto s’intitola
“Negli occhi porta la mia donna Amore”.
Negli occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch'ella mira;
ov'ella passa, ogn'om vèr lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,
sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d'ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.
Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
ond'è laudato chi prima la vide.
Quel ch'ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.
Castelnuovo Tedesco musicò anche il celeberrimo “Tanto gentile e tanto onesta pare” dal capitolo XXVI; è
l’elemento centrale della seconda parte dell’opera
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
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Mòstrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi non la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: “Sospira!”
(Vita Nuova, XXVI)
Di questo sonetto esiste anche la trascrizione pianistica che Franz Liszt (1811-1886) desunse dallo spartito
con cui Hans von Bulow (1830-1894) aveva musicato questo sonetto. Liszt è compositore troppo noto per soffermarsi
sulla sua vita ed opere, ed è altrettanto nota la sua avidità per le trascrizioni. Riporto quindi solo un aneddoto: scritto da
Hans von Bulow nel 1865 per soprano e pianoforte e dedicato alla contessa Julia Masetti, questo pezzo fu trascritto
dieci anni dopo per pianoforte solista da Liszt. Lo stesso von Bulow, in una lettera a Louise von Welz ammise che la
trascrizione di Liszt era più rifinita e completa dello spartito che lui stesso aveva composto.
La seconda parte della Vita Nuova si concludeva con la morte di Beatrice, la quale ormai è divinizzata a tal
punto che l’ultimo capitolo è una prefigurazione della Divina Commedia. Beatrice è una figura angelica e la sua
funzione ormai è diventare fondamento di eterna salvezza. Tornando a Castelnuovo Tedesco, egli musicò anche il
penultimo sonetto dell’opera. Alcuni pellegrini diretti a Roma passano per Firenze ed essi simboleggiano il
pellegrinaggio intrapreso da ogni uomo verso la gloria dei cieli.
Deh! peregrini che pensosi andate,
forse di cosa che non v'è presente,
venite voi da sì lontana gente,
com'a la vista voi ne dimostrate,
che non piangete quando voi passate
per lo suo mezzo la città dolente,
come quelle persone che neente
par che 'ntendesser la sua gravitate.
Se voi restaste per volerlo audire,
certo lo cor de' sospiri mi dice
che lagrimando n'uscireste pui.
Ell'ha perduta la sua beatrice;
e le parole ch'om di lei pò dire
hanno vertù di far piangere altrui.
(Vita Nuova, XL)
In questo vagare attraverso questa opera giovanile di Dante, incontriamo anche altri autori che ne musicarono
alcuni sonetti. Autori famosi alcuni, altri meno.
Tra questi ultimi c’è un compositore che probabilmente non molti conoscono: il trentacinquenne Nicolai
Jacobsen, nato nel 1979 e attualmente residente in Texas. Nonostante la giovane età questo compositore ha vinto
numerosi premi internazionali e ha avuto commissionati diversi lavori da prestigiosi solisti e complessi di musica
classica. Le sue ispirazioni vengono dalla musica elettronica, dal rock progressivo e dalla musica tradizionale asiatica.
Tra i suoi lavori cito Graft, Haru-no ime-ji, Sakura, Switter, Song for a winter’s night. Ma quello che qui ci interessa è
una serie di quattro sonetti danteschi da lui musicati. La raccolta si intitola semplicemente “Dante’s Songs”, per tenore,
corno francese e pianoforte.
Nel capitolo XXVIII della Vita Nuova Dante commenta l’improvvisa morte di Beatrice, commento che si
protrae per i capitoli seguenti e che trova la sua acme nel capitolo XXXI nella canzone intitolata “Li occhi dolenti per
pietà del core”, nella quale – per usare le parole di Dante “ragionassi di lei per cui tanto dolore si era fatto
distruggitore della mia anima”.
Li occhi dolenti per pietà del core
hanno di lagrimar sofferta pena,
sì che per vinti son remasi omai.
Ora, s'i' voglio sfogar lo dolore,
che a poco a poco a la morte mi mena,
convènemi parlar traendo guai.
E perché me ricorda ch'io parlai
de la mia donna, mentre che vivia,
donne gentili, volontier con vui,
non vòi parlare altrui,
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se non a cor gentil che in donna sia;
e dicerò di lei piangendo, pui
che si n'è gita in ciel subitamente,
e ha lasciato Amor meco dolente.
(Vita Nuova, XXXI)
Oltre al suddetto Jacobsen musicò anche altri due sonetti dalla Vita Nuova ed uno dalle Rime, una poesia eticopolitica intitolata “Ma tu, foco d’amor”:
Se vedi li occhi miei di pianger vaghi
per novella pietà che 'l cor mi strugge,
per lei ti priego che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacere i svaghi;
con la tua dritta man, cioè, che paghi
chi la giustizia uccide e poi rifugge
al gran tiranno, del cui tosco sugge
ch'elli ha già sparto e vuol che 'l mondo allaghi;
e messo ha di paura tanto gelo
nel cor de' tuo' fedei che ciascun tace.
Ma tu, foco d'amor, lume del cielo,
questa vertù che nuda e fredda giace,
levala su vestita del tuo velo,
ché sanza lei non è in terra pace.
(Rime, CV)
Sempre con la Vita Nuova nella borsa o nell’iPad, a seconda delle preferenze, viaggiamo metaforicamente nel
tempo e nello spazio dal Texas contemporaneo di Jacobsen alla Russia dell’Ottocento con Sergeij Ivanovich Taneyev
(1856-1910), che aveva studiato al Conservatorio di Mosca con Nikolaj Rubinstein e con Čaikovskij, coltivando anche
molti altri interessi di grande spessore culturale come la storia, la matematica e la filosofia. I suoi viaggi in Occidente
gli fecero conoscere Zola e Flaubert e una volta tornato in patria divenne professore al Conservatorio di Mosca, dove
ebbe come alunni Skrjabin, Rachmaninov, Gliere, Medtner. Scrisse sia musica pianistica sia cameristica sia sinfonica,
per lo più rimanendo ancorato alle tradizioni musicali russe e osteggiando le grandi innovazioni che caratterizzavano in
quel momento la vita culturale del suo paese.
A noi interessa in questa sede perché il suo numero d’opera 26 contiene la messa in musica di dieci poesie di
poeti occidentali tra cui Maeterlinck, Baudelaire, Rodenback. Le libere traduzioni furono desunte dalla raccolta “Gli
Immortali” di Ellis, pseudonimo di Lev Koblinsky (1889–1947). La seconda di queste poesie è appunto una canzone di
Dante tratta dal capitolo XXXII della Vita Nuova, il cui incipit è “Venite a intender li sospiri miei”. Questo brano, un
Andante, fu composto nel 1908 originariamente per soprano e pianoforte e fu poi arrangiato dall’autore per voce,
violino, violoncello e piano. La melodia, molto dolce e adatta al testo, si richiama alla grande tradizione liederistica
russa di Glinka, Čaikovskij e Dargomitskij.
Venite a 'ntender li sospiri miei,
oi cor gentili, chè pietà 'l disia:
li quai disconsolati vanno via,
e s'e' non fosser, di dolor morrei;
però che gli occhi mi sarebber rei,
molte fiate più ch'io non vorria,
lasso! di pianger sì la donna mia,
che sfogasser lo cor, piangendo lei.
Voi udirete lor chiamar sovente
la mia donna gentil, che si n'è gita
al secol degno de la sua vertute;
e dispregiar talora questa vita
in persona de l'anima dolente
abbandonata de la sua salute.
(Vita Nuova, XXXII)
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Per rimanere in Russia e sempre con questa opera cito il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” di cui ho
parlato sopra, nella versione che ne diede Anton Rubinstein (1829-1894) con il titolo tedesco “Mit meinem Mädchen”
come nr. 5 nella raccolta di Lieder op. 83.
Il sonetto ci rimane anche nella versione (1928) del pressoché sconosciuto compositore belga Norbert
Rousseau (1907-1975), evidentemente innamorato della letteratura italiana da comporre non solo una Ouverture per la
commedia di Goldoni 'Il Servo Di Due Padroni', Tre madrigali, Tre sonetti di Michelangelo, ma anche specificamente
di Dante, di cui musicò un Oratorio con il Primo, Secondo, e Terzo canto dell’Inferno (1944) e la Incoronazione di
Maria (1969).
Volendo qui concludere l’analisi di quest’opera, per passare oltre ricordo un poco valutato e poco eseguito
compositore italiano, Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948). Il suo amore per Dante lo spinse a scrivere nel 1901
addirittura una Cantica per soprano, baritono, coro e orchestra op. 9 intitolata appunto La vita nuova, straordinaria per
l’intensità melodica e la sicura cantabilità.
Prima di passare ai vari episodi della Divina Commedia, è necessario accennare a una serie di composizioni
che, pur non riferendosi specificamente ad un episodio della stessa, trattano in generale dell’universo dantesco.
Se il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare trascritto da Liszt su musica di von Bulow, di cui ho trattato
precedentemente non è più che un’esercitazione gradevole da annoverarsi fra i tanti trastulli musicali di cui questo
compositore si dilettava, ben altro spessore hanno la Dante-Sonata: Après une lecture de Dante e la Dante-Symphonie
in due movimenti. La Sonata, precedente alla sinfonia, essendo stata abbozzata nel 1837, rivela un rapporto evolutivo
rispetto alla forma classica della sonata. Già il sottotitolo apposto da Liszt stesso: "Fantasia quasi sonata" è un
indicatore della sostanza poetica del brano, immerso in pieno romanticismo musicale. Negli anni ’30 dell’Ottocento
Liszt lesse attentamente, in compagnia di Marie d’Agoult, la Divina Commedia. Il primo titolo dato all’opera fu
Paralipomènes a la Divina Commedia. Fantaisie Symphonique. Essa fu poi completata nel 1849 ed inserita come
settimo ed ultimo pezzo negli Années de Pelerinage – Deuxième année: Italie. Per la sua lunghezza e la sua importanza
è da considerarsi un brano autonomo, un vero e proprio poema sinfonico per pianoforte che adotta liberamente la formasonata in funzione esplicativa del contrasto dialettico tra i tormenti dell’Inferno e l’amore di Francesca da Rimini.
Passeranno quasi vent’anni e Liszt ritornerà a Dante, non più accompagnato dalla contessa d’Agoult (si
separarono nel 1844, dopo dieci anni di appassionata convivenza) ma dalla principessa Carolyne von Sayn
Wittgenstein, donna dotata di fascino straordinario non tanto per la sua bellezza fisica, ma soprattutto per la sua grande
cultura letteraria a filosofica. A lei – “che ha perfezionato la sua fede con l’amore, arricchita la sua speranza attraverso
il dolore, costruita la sua felicità con il sacrificio; a lei che è la mia vita, il firmamento del suo pensiero, la preghiera
vivente, il cielo della mia anima” – Liszt dedicò i suoi poemi sinfonici. Se è vero che la principessa fu l’ispiratrice di
molte delle composizioni di Liszt, l’esondazione di sentimenti che traspare dalla precedente citazione è simile alla
primitiva dedica della Eine Symphonie zu Dantes Divina Commedia (abbozzata nel 1847 e conclusa con due finali nel
1855/56). Dedica a Wagner: “Come Virgilio guidò Dante, così tu m’hai guidato attraverso le misteriose regioni di
mondi sonori ebbri di vita. Dal profondo del cuore t’invoca: Tu sei lo mio maestro e lo mio autore; e ti dedica
quest’opera, pegno di un amore perennemente fedele, il tuo F. Liszt”.
In un primo momento Liszt voleva dividere la sua composizione in tre parti: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Fu
proprio Wagner a dissuaderlo su quest’ultima parte. Nessun essere umano, gli fece capire, può esprimere in musica la
gioia e l’estasi del Paradiso. Così Liszt si orientò su due tempi, Inferno e Purgatorio. Dalla prima cantica attinse al canto
III (Per me si va…) e al V (Paolo e Francesca); dal Purgatorio al I canto (Dolce color d’oriental zaffiro…). Il brano
finisce con il Coro lirico del Magnificat anima mea, Dominum (dal Vangelo di Luca, I, 46/55), in cui il contrasto tra le
pene eterne (Inferno) e temporali (Purgatorio) si purificano nella solennità della preghiera alla Vergine.
Charles Wuorinen, compositore americano nato nel 1938, compose tra il 1993 e il 1996, una serie di tre
balletti, intitolata The Dante Trilogy, ognuno dei quali dedicato a ciascuna delle tre cantiche. Il primo, ispirato
all’Inferno, è intitolato “La missione di Virgilio”, il secondo, ispirato al Purgatorio, si chiama “La grande processione”,
il terzo, ispirato al Paradiso, si intitola “Il fiume della luce”. Ognuno di questi episodi si declina in una serie di sottoepisodi che seguono lo sviluppo dell’azione dantesca. “La grande processione” si riferisce specificamente al canto
XXIX del Purgatorio, un canto tra i più simbolici. Il canto è dedicato pressoché per intero alla descrizione della
processione simbolica che rappresenta la vicenda storica della Chiesa, costituendo una pausa didascalica che, con
intenso fervore mistico, prepara l'arrivo di Beatrice nel canto successivo. La protagonista iniziale è ancora Matelda, che
però ha qui l'unica funzione di accompagnare Dante alla visione delle figure, mentre Virgilio osserva la scena con lo
stesso stupore del discepolo senza poter spiegare nulla, segno evidente del fatto che il suo ufficio di guida si è ormai
definitivamente concluso (il maestro ha pronunciato le sue ultime parole nel poema alla fine del ventisettesimo canto
del Purgatorio, e non parlerà più fino alla sua scomparsa nel trentesimo).
La Dante Trilogy comprende anche un’ultima parte dedicata al Paradiso, intitolata “The River of Light”. Il
compositore lo descrive come “riflesso degli aspetti della cosmologia dantesca… e naturalmente caratterizzato dalla
mia risposta alle straordinarie bellezze del poema e a quello che vogliono significare e trasmettere.” Il pezzo non si
riferisce specificamente a versi precisi e identificabili, ma è un unico movimento pieno di grazia e spiritualità.
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Dante iniziò l’Inferno, la prima delle tre cantiche di cui è composta la Divina Commedia, nel 1304, due anni
dopo l’inizio del suo esilio da Firenze. Motivi di tempo e di spazio consigliano di sorvolare l’analisi congiunta della vita
del poeta insieme allo sviluppo della Commedia unitamente ai brani musicali ad essa ispirati. Dobbiamo focalizzarci su
questi ultimi con necessari ma sintetici rimandi al poema.
John Herbert Foulds (1880 –1939) è stato un compositore inglese appartenente al cosiddetto gruppo della
“Rinascita musicale Britannica”. Autodidatta, compositore di musica classica di stampo leggero e di accompagnamenti
per opere teatrali, si fece notare anche per lavori più ambiziosi come un World Requiem e, dopo un lungo soggiorno in
India, per lavori che si richiamavano alle tradizioni musicali di quel paese come Three Mantras.
Visions of Dante op. 7 per coro e orchestra è un lavoro in tre parti composto tra il 1905 e il 1908, basato sulla
Divina Commedia che Foulds conobbe nella traduzione di Longfellow. L’intera opera dura circa due ore ed è divisa in
tre parti: Inferno, Purgatorio e Paradiso. La musica del Preludio si articola in tre scene: il Largo iniziale descrive “la
foresta oscura” in cui Dante si è smarrito, subito dopo vi sono le “terribili apparizioni” (cioè le tre fiere) per arrivare poi
all’ “arrivo di Virgilio, la Guida”. La musica è di stampo wagneriano sia come mondo sonoro, sia come orchestrazione
e per l’uso dei Leitmotiv. Lo spartito nella sua interezza ebbe l’approvazione e il riconoscimento da parte di Elgar e
Bantock, ma non fu mai eseguito né dal vivo né registrato in disco. Solo il Preludio di cui sopra è stato recentemente
inciso su CD, e presto dovremmo avere la registrazione dell’intera opera.
Un altro prologo sinfonico alla Divina Commedia fu composto nel 1891 dal compositore tedesco Felix
Woyrsch (1860 - 1944). Musicista di secondo piano, egli si ispirò soprattutto a Brahms, Bach, Palestrina, Orlando di
Lasso e Heinrich Schütz, e in genere a tutta la tradizione sinfonica tedesca. Ultimamente la sua musica inizia a
interessare gli studiosi, che stanno cercando di rivalutare la sua figura. Fu comunque compositore prolifico che scrisse
sette sinfonie, alcuni lavori orchestrali, tre opere, un centinaio di Lieder e un concerto per violino. Tra i lavori
orchestrali spiccano quelli legati ad opere letterarie o pittoriche quali le “3 Böcklin-Fantasien” op. 53, L’Ouverture per
l’Amleto di Shakespeare op. 56, Ode an den Tod op. 57 su testo di Hölderlin, e, quella che qui ci interessa
maggiormente, il Prologo sinfonico alla Divina Commedia di Dante op. 40.
Enrique Costanzo Granados y Campiña (1867-1916), famoso compositore e pianista spagnolo di scuola
impressionista è noto soprattutto come l’autore delle celebri Goyescas, ispirate ai dipinti di Goya, ma durante gli anni
1895-1910 lavorò a molti poemi orchestrali su larga scala, molti dei quali rimasero però incompiuti. Tra i più importanti
che riuscì a terminare c’è il Dante, composto nel biennio 1907-8, la cui scrittura armonica e melodica è imparentata alla
lontana con Wagner.
La prima parte, Dante e Virgilio, evoca l’epico viaggio che Dante intraprende con il poeta mantovano. Dopo
una sobria apertura di corni e fiati, che richiama le pagine iniziali del Pelléas et Mélisande di Debussy, i violini si
lanciano in un’affermazione appassionata e la musica cresce in intensità, con la preminenza del corno inglese. Gli ottoni
e i violini risuonano minacciosi quando il viaggio si addentra nelle profondità dell’Inferno, rievocandone l’atmosfera.
Lentamente la musica ritorna all’inizio, i violoncelli e i contrabbassi in calando – come in attesa – danno inizio al
secondo episodio, l’incontro con Paolo e Francesca.
La Fantasia sinfonica e Fuga op. 57 di Max Reger (1873-1916) sottotitolata “Inferno” è esplicitamente
ispirata, secondo l’autore medesimo, all’Inferno di Dante: “è probabilmente la più difficile delle mie opere per organo
tra quelle che finora ho composto”. In effetti l’enorme densità e la complessità di elementi orchestrali riproposti
sull’organo segnano un punto di arrivo nella prassi compositiva di questo autore, almeno per quanto riguarda lo
strumento cui dedicò tutta la vita e la maggior parte delle sue composizioni.
Alle porte dell’Inferno incontriamo, per soffermarci brevemente con lui, quel Boris Tischenko che avevo
citato in precedenza. La sua fu una vera e propria immersione nel poema dantesco. Ho già citato il ciclo sinfonico
Beatrice op. 123 composto di cinque sinfonie, tutte intitolate “Dante”, ma ognuna delle quali ha una ulteriore citazione
dantesca che guida alla sua comprensione. La Prima Sinfonia sottotitolata “Tra i vivi” è del 1997 ed è un Prologo al
viaggio di Dante nel “mondo altro”. E’ un unico movimento di ventotto minuti e presenta Dante e Beatrice, entrambi
bambini, con le descrizioni della morte di Beatrice ed il successivo esilio del poeta. Le due diverse tematiche sono
rappresentate da stili musicali diversi. L’inizio tranquillo, luminoso, quasi arabescato muta in una musica insistente e
aspra (di chiara derivazione shostakovichiana) che sfocia in una linea ondulata del violino, chiaramente malinconica,
cui segue un Agitato percussivo e pieno di fermento.
La Seconda Sinfonia, composta nel 2000 è sottotitolata “Abbandonate ogni speranza voi che entrate” con
chiaro riferimento alla scritta che troneggia sulla porta di ingresso dell’Inferno. Dura quaranta minuti ed è divisa in due
parti: la prima parte, in forma sonata, è una cupa descrizione della “foresta oscura”, ma presto si ode lo stridore dei
primi tre cerchi infernali con una scrittura musicale descrittiva, pittorica quasi filmica, con gli ottoni e i legni in
evidenza. La seconda parte è anch’essa descrittiva con gli archi che riprendono i lamenti e le grida degli sfortunati
dannati del quarto cerchio.
Tornando un attimo indietro in questo cammino musical-dantesco ci troviamo al III canto dell’Inferno e
precisamente alle terzine 22-27: “ Quivi sospiri, pianti e alti guai”, che introducono gli ignavi.
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Luzzasco Luzzaschi, organista e compositore (nato a Ferrara nel 1545 circa e ivi morto nel 1607), allievo di
Cipriano de Rore e maestro di Gerolamo Frescobaldi, compose, fra l'altro, diversi libri di madrigali, notevoli per la loro
tendenza a un cromatismo accentuatamente espressivo. Nel Secondo Libro dei Madrigali a cinque voci (Venezia 1576)
compare un brano ispirato proprio ai suddetti versi del terzo canto dell'Inferno dantesco, in cui compare Celestino V, il
papa del “gran rifiuto”.
Passato il Limbo ci troviamo nel secondo cerchio dell’Inferno dove sono puniti gli incontinenti lussuriosi.
Il canto V dell’Inferno è il canto di Paolo e Francesca da Rimini e in questo episodio vi è forse la migliore
descrizione dell’Amore di tutta la letteratura mondiale, probabilmente superiore in quanto a possanza artistica e
mirabile sintesi alle vicende più o meno analoghe di Giulietta e Romeo e di Tristano e Isotta. Con queste premesse non
stupisce che sia l’episodio di tutta la Commedia che ha appassionato ed ispirato più di altri episodi i musicisti di tutte le
epoche. Moltissimi sono i brani che lo descrivono, superati numericamente solo dalle vicende shakespeariane di
Giulietta e Romeo. Non si può fare a meno di riproporre la più bella descrizione dell’amore di tutta la letteratura
mondiale, della vera essenza dell’Amore.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
La reiterazione della parola “Amor” all’inizio di ogni strofa dà la sensazione dell’incalzare appassionato di
questo sentimento che “s’apprende”, si aggrappa, attecchisce solo ad un “cor gentil” e non ad un cuore vile, volgare,
privo di sentimento. Quest’ultimo non può provare l’Amore. Esso è riservato solo ai cuori “gentili”. Non solo. “A nullo
amato amar perdona” è tra le più belle definizioni dell’amore mai concepita. Chi è amato non può fare a meno di
amare. L’Amore non “perdona” coloro che sono amati: essi devono ri-amare: questa è l’essenza dell’Amore. Il quale,
quindi, non solo è “riservato” ai cuori gentili, ma costoro non sono nella condizione di non riamare coloro che li ama.
Chi ama, è riamato. Chi è amato è destinato a provare una corresponsione amorosa verso chi lo ama.
Inizio la rassegna delle composizioni dedicate a questo episodio con il poema sinfonico Francesca da Rimini
op. 77 in mi minore di Antonio Bazzini (1818-1897), insigne e famoso violinista del suo tempo ma anche interessante
compositore. Nel 1843 Robert Schumann, uno che di musicisti se ne intendeva, scrisse di lui: “Se Bazzini avesse a
perdere la mano sinistra e dovesse di conseguenza rinunciare al violino, egli potrebbe e saprebbe rendersi grande con la
destra: scrivendo, egli sarebbe certamente annoverato fra i migliori compositori italiani”. Questa Francesca da Rimini,
composto in una prima versione nel 1879 redatto poi nella versione definitiva nel 1885, è un tipico poema sinfonico che
apre la strada al poema sinfonico in Italia, che troverà poi i suoi fasti in Ottorino Respighi e in altri compositori.
Arthur William Foote (1853 – 1937) fu un compositore americano membro della scuola di Boston o "Boston
Six." Insigne organista, musicologo, insegnante, come compositore si ispirò a Brahms e in genere alla tradizione
romantica europea. Rimangono di lui alcune importanti opere cameristiche, anche se in questa sede ci interessa per la
sua composizione Prologo Sinfonico Francesca da Rimini op. 24 del 1890. La composizione è in forma-sonata, tipica
per una Ouverture da concerto. Nonostante alcuni richiami precisi al testo poetico l’opera non deve essere confusa con
un poema sinfonico. Non è una pittura o descrizione degli avvenimenti, ma in realtà la musica vuole trasportare su un
piano più metafisico, dipingendo il contrasto esistente tra la forza dell’amore e la forza coercitiva della società e della
religione, una incompatibilità che causa la rovina di Francesca. E’ lo stesso compositore a spiegare che proprio alla fine
del brano la musica richiama i versi danteschi “Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria”
(Inferno, V, 121-123) che egli aveva posto come esergo allo spartito.
E’ qui interessante ricordare un brevissimo Lied (dal numero di catalogo H 114) intitolato Nessun maggior
piacere (sempre ispirato da Inferno V, 121-123) di Hector Berlioz (1803-1869). Berlioz rovescia i concetti espressi da
Dante e dice: Nessun maggior piacere che ricordarsi d’un tempo infelice nella fortuna!
Diversa atmosfera si respira con il compositore svizzero Pierre Maurice (1868-1936) che, studiando in
Francia con Massenet e Fauré, non potè fare a meno di assimilare le caratteristiche tipiche del sinfonismo francese, che
poi riversò nelle numerosissime opere di sua composizione intrise di colorismo impressionistico alla Ibert e alla
Rabaud. Il poema sinfonico Francesca da Rimini da Dante op. 6 di Maurice, composto nel 1899, è volutamente
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descrittivo del canto V della Commedia e richiama le atmosfere romantiche dei compositori russi fine secolo, essendo
stato composto in definitiva solo 25 anni dopo l’omonimo poema di Čaikovskij.
Visto che ho citato il compositore russo, tipico esponente del romanticismo di questa nazione, e che siamo in
tema di poemi sinfonici, è il momento di analizzare la Francesca da Rimini – Fantasia sinfonica op. 32 di Piotr Ilich
Čaikovskij (1840-1893). Scritta in tre settimane nell’ottobre del 1876, dopo aver letto in treno verso Parigi l’episodio
dantesco, Čaikovskij canta l’amore nell’episodio centrale, l’Andante cantabile, che è anche il punto culminante
dell’intero poema. L’ispirazione del compositore delinea il turbine di tutti i dolori che si aggira nel ciclone infernale, ma
anche l’elegia d’amore marcata di rimpianto e di rassegnazione. La musica racconta con umana pietà il destino tragico e
l’eterno dolore delle anime vinte dalla passione e destinate ad una fatale ed eterna dannazione.
Čaikovskij fu appassionato da episodi analoghi, basti citare i suoi poemi sinfonici Romeo e Giulietta, Hamlet,
ecc. e anche la sua Sesta Sinfonia, la Patetica che denota la stessa profonda passionalità. Ma passiamo oltre.
Paul August von Klenau (1883-1946) compositore e direttore d’orchestra di origine danese, allievo
di Max Bruch, scrisse opere teatrali di derivazione wagneriana, balletti, lavori sinfonici, vocali e da camera, che
trovarono maggior fortuna in Austria e Germania che nella madrepatria. La Quarta Sinfonia cosiddetta Sinfonia Dante
(del 1924), è basata sulla sua Fantasia-Inferno, un insieme di lavori che vedono il loro punto di partenza nella visione
dantesca dell’Inferno nella Divina Commedia. Essa comprende tre sezioni: “Discesa all'Inferno”, “Paolo e Francesca”,
“Ugolino”. La sezione “Paolo e Francesca” costituiva originariamente il movimento lento della Sinfonia. Con stilemi
musicali aspri e rigidi descrive la discesa di Dante all’Inferno seguita dai lamenti degli spiriti che sono sferzati dalla
tempesta. La lunga sezione centrale narra dell’intensa storia d’amore dei due amanti. Il poema sinfonico finisce con
l’evocazione del dolore di Dante sul crudele fato dei protagonisti della vicenda.
Boris Blacher (1903-1975), importante compositore tedesco, inviso ai nazisti per il modernismo delle sue
composizioni, fu musicista versatile che si ispirò a Stravinskij, Milhaud, Bartók, Berg, alla dodecafonia e
successivamente anche alla musica elettronica.
Qui ci interessa soprattutto per il duetto soprano e violino intitolato Francesca da Rimini del 1954. E’ un tipo
speciale di duetto. Il soprano ed il violino si incontrano l’un l’altro su una superficie sdrucciolevole di metriche variabili
nel cui mondo il compositore usava vivere intensamente in quegli anni. Nelle prime settanta battute si ode solo il
violino, poi esso accompagna la voce, qualche volta brevemente, qualche volta con elementi musicali drammaturgici
estesi. Sotto un “AH!” infinito del soprano, il violino comincia nuovamente la sua attività e trova la sua via in un
colloquio avventuroso con la cantante.
Altri compositori più o meno grandi, più o meno famosi, dedicarono la loro arte compositiva a questo episodio.
Inizio una serie di mere citazioni con Ludovico Balbi (?-1604) che mise in musica i versi 4-12 del quinto
canto dell’Inferno (Stavvi Minos e orrendamente ringhia) nei suoi Capricci a sei voci del 1586.
Francesco Morlacchi (1784-1841) iniziò la composizione di un’opera, Francesca da Rimini, su libretto di
Felice Romani, rimasta incompiuta. Di lui ricordo anche l’importante cantata Lamento del Conte Ugolino (basato sul
canto XXXIII dell’Inferno), in due versioni una per soprano e quartetto d’archi e un’altra per baritono e pianoforte
(1832).
Anche Gaetano Donizetti (1797-1848) scrisse una analoga cantata per baritono basso e pianoforte intitolata Il
Conte Ugolino (1828), dedicata a Luigi Lablache quale tangibile segno di gratitudine per la splendida interpretazione
del celebre basso nella sua opera “L’esule di Roma”. Ma la scrittura vocale non riesce a competere con la forza dei versi
del canto XXXIII dell’Inferno dantesco. Rossini così commentò in una occasione: “ Ho udito che a Donizetti è venuta
la melanconia di mettere in musica un canto di Dante. Mi pare questo troppo orgoglio: in un’impresa simile credo che
non riuscirebbe il Padre Eterno, ammesso che egli fosse maestro di musica”. In ogni caso per Donizetti la scelta di tale
soggetto in questa particolare fase della sua carriera è indicativa dell’intenzione di mettere in musica vicende tragiche o
addirittura raccapriccianti. Il compositore scrisse anche una tragedia lirica in due parti, Pia de’ Tolomei, ispirata
all’omologo personaggio del canto V del Purgatorio.
Tornando a Francesca da Rimini, il librettista Felice Romani fu tra i più famosi e prolifici del suo secolo per
quanto riguarda la stesura di libretti d’opera. Ne scrisse molti anche per Saverio Mercadante (1795-1870) operista
molto prolifico che compose nel 1831 un melodramma in due atti intitolato appunto Francesca da Rimini.
Ancora qualche citazione di composizioni sullo stesso personaggio – Francesca da Rimini: l’opera di Sergej
Rachmaninov (1873-1943), la tragedia in quattro atti di Riccardo Zandonai (1883-1944) e la Grand Fantasia su
Françoise de Rimini di Ambroise Thomas (1811-1896).
Ed ancora: un Lied di Gaetano Donizetti ispirato al verso 80 del V Canto intitolato O anime affannate;
l’intero Canto V musicato per soprano e pianoforte da Vincenzo Battista (1823-1873); la Ouverture Francesca da
Rimini composta da Hermann Goetz (1840-1876); il compositore e contrabbassista italiano Antonio Scontrino (18501922) compose nel 1901 gli Intermezzi per la musica di scena della Francesca da Rimini di D’Annunzio; Luigi
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Mancinelli (1848-1921) scrisse un Paolo e Francesca, dramma lirico in un atto; il compositore ungherese Emil
Abranyi (1882-1970) compose addirittura un’opera in tre atti, Paolo és Francesca.
E così via. Vi sono indubbiamente altre composizioni ispirate a questo evento dell’Inferno dantesco, ma non ho
la pretesa di essere esaustivo per cui lasciamo gli sfortunati Paolo e Francesca al loro triste destino e continuando il
viaggio nell’Inferno dantesco arriviamo al canto VII, dove troviamo nel quinto cerchio gli iracondi e gli accidiosi,
immersi nella palude del fiume Stige.
E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co’ denti a brano a brano.
……………….
Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo
ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
portando dentro accidioso fummo:
or ci attristiam ne la belletta negra".
Poul Ruders è un compositore danese nato nel 1949 a Ringsted che sta avendo un buon successo sia in patria
sia all’estero, con le opere Tycho, The Handmaid’s Tale, Kafka’s Trial, oltre ad aver scritto quattro sinfonie e un paio di
concerti per pianoforte.
La sua Sonata per pianoforte nr. 1 (o Dante Sonata) fu composta nel 1970 ed è costituita da due movimenti:
Maestoso e Grave molto. E’ una sonata programmatica essendo ispirata e basata proprio sul VII Canto dell’Inferno, il
cerchio degli Iracondi, cui Ruders fa un preciso riferimento ai suddetti versi 109/115 e 121/124.
Il materiale sonoro è tradizionale, con tonalità libere, accordi ripetuti che si alternano con passaggi
virtuosistici. Le battute dal primo movimento Maestoso richiamano onomatopeicamente le percosse che gli iracondi si
infliggono l’un l’altro.
Intorno al 1904 Giacomo Puccini (1858-1924) iniziò la pianificazione di una serie di opere in un atto, avendo
in mente di riprendere ciascuna delle tre cantiche di Dante, tuttavia alla fine basò solo il Gianni Schicchi sul poema di
Dante. Gianni Schicchi de’ Cavalcanti fu un personaggio storico che Dante pose nella decima e ultima bolgia (falsari)
dell’ottavo cerchio (fraudolenti) (XXX canto dell’Inferno).
Dopo l’episodio possente e straziante del Conte Ugolino, di cui ho dato brevemente conto più sopra, ci si avvia
verso la conclusione della cantica.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” è l’ultimo verso del trentaquattresimo canto dell’Inferno. Finalmente
Dante e Virgilio sono fuori dalle mefitiche arie infernali (dal “mar crudele”, “dall’aura morta” per usare le parole del
poeta) e si apprestano a conoscere il “secondo regno”, cioè il Purgatorio, descritto nella seconda cantica scritta tra il
1309 e il 1313.
(continua)
© Nuove Tendenze 2015
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