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La chiesa di S. Pietro a Klippan, Svezia, 1963-1966

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La chiesa di S. Pietro a Klippan, Svezia, 1963-1966
Arte del costruire
Gennaro Postiglione
sigurd lewerentz
La chiesa di S. Pietro
a Klippan, Svezia,
1963-1966
L’architettura come mezzo
di comunicazione
Disegno del fronte ovest (rielaborato).
Disegno del fronte est (rielaborato).
Il volume della sacrestia a nord.
ato a Vasternorrland, nel nord
della Svezia, nel 1885, Sigurd
Lewerentz si forma prima come
ingegnere, presso il Politecnico di Göteborg, e poi come architetto all’Accademia di Belle Arti di Stoccolma. Studi
questi ultimi che però abbandona per
frequentare la Klara Skola, una libera
istituzione attivata per l’interesse comune suo, di E. Gunnar Asplund e
Osvald Almqvist, ed in cui, tra gli altri,
sono coinvolti nell’insegnamento C.
Westman e R. Östberg. Dopo l’esperienza alla Klara Skola, Lewerentz
svolge alcuni periodi di apprendistato
in Germania, tra Berlino e Monaco,
con alcuni importanti professionisti
tedeschi: Bruno Möhring, Theodor Fisher e Richard Rimerschmid, dove l’architetto si forma alle nuove idee che
nascevano nel continente.
Tornato in patria, avvia a Stoccolma
nel 1911 il proprio studio professionale
insieme a Torsten Stubelius ma dal
N
1917, data che segna la fine di questo
sodalizio, l’architetto lavora prevalentemente da solo, eccezion fatta per la
partecipazione ad alcuni concorsi in
occasione dei quali collabora con alcuni colleghi a tempo determinato.
I temi affrontati da Lewerentz, durante
la sua longeva carriera, comprendono,
oltre quelli classici dell’architettura,
sia il disegno della città e del territorio, come testimoniano i numerosi
progetti a scala urbana, che il disegno
dell’oggetto industriale, fino ad arrivare al progetto di grafica pubblicitaria: suoi sono i manifesti e il logo prodotti per l’Esposizione di Stoccolma
del 1930. L’architetto è anche l’autore
di numerosi brevetti per la costruzione
ed il buon funzionamento di infissi
metallici della cui realizzazione si occupa, in qualità di titolare d’impresa,
per un lungo periodo della sua carriera. Ma è il tema religioso, e più specificamente cimiteriale, che Lewerentz
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CIL 67
Le finestre degli uffici sul fronte est.
affronta più spesso ed in cui riesce anche ad ottenere i risultati migliori. Dagli esordi, con il progetto non realizzato per il cimitero di Helsinborg e con
il successivo progetto di concorso per
l’ampliamento del cimitero sud di
Stoccolma, che si aggiudica insieme a
Asplund, per finire con la chiesa di S.
Pietro a Klippan, sua ultima grande
opera.
Lewerentz muore, nel 1975, a Lund,
alla veneranda età di novant’anni, pochi anni dopo la realizzazione del
chiosco dei fiori al cimitero est di
Malmö, ultimo ampliamento di un
opera che lo aveva visto esordiente
professionista nel 1916, quando si era
aggiudicato il concorso per il disegno
generale del complesso cimiteriale.
La lunga carriera professionale di
Lewerentz copre quasi completamente
l’arco di questo secolo e si sviluppa
parallelamente alle principali tendenze architettoniche che ne hanno
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AR TE DEL COS TRUIRE
dominato la scena, talvolta coincidendo, ma più spesso distaccandosene, con sfaccettature misantrope ed
aristocratiche che ne hanno contraddistinto anche la complessa personalità. Uomo di poche parole, poco propenso ad offrire spiegazioni al suo
fare o a cercare teorie che ne giustificassero le scelte, Lewerentz affida
tutto ciò che ha da dire esclusivamente ai suoi progetti e alle sue
opere. Al suo silenzio e alla sua natura schiva si deve la relativa poca notorietà della sua attività professionale
che, seppur non eccessivamente nutrita, rappresenta una delle esperienze più significative di questo secolo sviluppatasi parallelamente alle
vicende della modernità. Dal carattere
tutt’altro che semplice, si guadagna
rapidamente la fama di essere un pessimo “organizzatore” e di non essere
capace di tenere fede agli impegni
presi, caratteristiche che sono la conseguenza della sua naturale attitudine a rimettere ogni volta il progetto
in discussione, anche quando lo si poteva ritenere ormai concluso. Le sue
architetture testimoniano infatti l’attività di un uomo sempre pronto a porsi
nuovi interrogativi, capace di saper
cercare anche oltre il confine del già
noto; metodo con cui l’architetto si
muove e lavora, fin dagli esordi,
quando il debito dei suoi progetti al
codice linguistico del tempo, quello
neoclassico, è forte e facilmente riconoscibile. Il progetto per il cimitero di
Helsinborg, il concorso per l’ampliamento del cimitero sud di Stoccolma
e il progetto per il cimitero est di
Malmö, tutti sviluppati durante i primi
anni di attività, rivelano però ad una
lettura ravvicinata, “una obliquità”(1)
della forma che mostra l’attitudine
dell’architetto svedese a non accontentarsi di formule precostituite scegliendo di indagare sempre le intime
necessità del progetto e dei materiali.
Lewerentz ogni volta dimostra di essere capace di saper cercare soluzioni
assolutamente personali, fuori da
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qualsiasi consuetudine e assolutamente pertinenti al progetto e alla
costruzione.
Ma è durante gli ultimi anni di attività,
dal progetto del complesso parrocchiale di S. Marco a Stoccolma (1956)
fino agli ultimi progetti, che il pensiero “obliquo” di Lewerentz si manifesta con tutta la sua potenza.
A Bjørkhagen e, con maggior consapevolezza e maturità, a Klippan si assiste ad una programmatica elusione
della regola, intesa come principio
normativo che risiede fuori della costruzione, e alla affermazione di un
nuovo modo di pensare e costruire
l’architettura, anarchico ed aristocratico. Non ci sono infatti nelle opere di
questi anni solo piccoli dettagli rivelatori, come era accaduto per la cappella della Resurrezione, del cimitero
sud di Stoccolma, e gli edifici manifestano attraverso la loro costruzione il
nuovo corso progettuale del maestro
svedese.
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Pianta (rielaborata):
1. vestibolo
2. sacrestia
3. cappella dei matrimoni
4. sala d’attesa
5. organo
6. sala riunioni e feste
7. sala per la cresima
8. sala consiliare
9. ufficio parrocchiale
10. sala d’attesa
11. spazio per la ricreazione
12. scale di accesso al centro per i bambini
13. ingresso alla chiesa
14. corte.
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CIL 67
IL MATTONE COME MODULO PER
PROGETTARE A Klippan, Lewerentz
decide di adottare un solo principio
compositivo, affidare unicamente al
mattone bruno di Helsinborg la costruzione del progetto: pareti, pavimenti e soffitti sono pensati e realizzati tutti con un unico materiale e con
un unico componente, il mattone appunto, senza consentirne però mai il
taglio. Il semplice disegno del complesso, che vede contrapposti il corpo
quadrato della chiesa e quello ad “L”
degli uffici, non lascia trasparire lo
spessore ed il travaglio celato nelle
singole parti; S. Pietro è infatti un’architettura che va vista da vicino, perché è solo ad una lettura ravvicinata
che è possibile scorgere il senso contenuto nelle scelte progettuali e in
quelle costruttive. Lewerentz utilizza
infatti il processo costruttivo come
elemento semantico, per cui le diverse
parti dell’edificio raccontano della costruzione, del momento in cui i mattoni e la malta sono stati messi in
La corte che separa la chiesa dagli uffici parrocchiali.
Dettaglio della muratura.
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AR TE DEL COS TRUIRE
opera e del momento in cui, con una
semplice tela di sacco, la malta superflua è stata portata via, senza ulteriori
interventi di finitura. Anche il lavoro
del fabbro risulta impresso nei cordoli
delle saldature non levigate, e così,
allo stesso modo, il lavoro di tutti
quelli che hanno preso parte alla realizzazione dell’opera. Il tempo della
costruzione permea l’edificio, le
stesse frequenti visite al cantiere di
Lewrentz, e suoi incontri con Karl
Sjöholm, direttore dei lavori, sono riportate nelle innumerevoli modifiche
apportate al progetto, a testimonianza
di un metodo di lavoro che predilige
il working-progress alle soluzioni
definitive prese in studio al tavolo
da disegno.(2)
La scelta, programmatica, di utilizzare
il mattone intero in tutto l’edificio implica l’impegno a seguire e a risolvere
ogni giorno i problemi che ciò impone
al cantiere; ad esempio l’obbligo di
dover calibrare, di volta in volta ed in
misura adeguata alle circostanze, il
giunto di malta tra i filari, facendolo
variare a seconda delle necessità. Per
questo motivo la malta sembra che in
alcuni casi serva a tenere separati i
mattoni, mentre in altri invece sembra
che siano i mattoni a tenere separata
la malta;(3) in questi casi la sua miscela risulta arricchita di scaglie di ardesia che conferiscono alla superficie
della muratura quel tipico aspetto
rozzo che ne contraddistingue la texture e ne suggerisce la reciprocità figurativa con gli alberi di betulla tra cui
l’opera si inserisce. L’ardesia è inoltre
utilizzata anche per contrastare il fenomeno del ritiro che, in simili condizioni, può assumere dimensioni considerevoli. Talvolta, per risolvere il problema posto dalla determinazione di
non tagliare i mattoni, l’architetto lascia che la muratura si sfrangi, conferendo alla costruzione un inquietante
aspetto di non finito, di incompleto,
come accade nella pavimentazione interna della chiesa in corrispondenza
del fonte battesimale, dove un taglio
ne squarcia la tessitura lasciando intravvedere un piccolo specchio d’acqua. Solo un leggero rigonfiamento
del pavimento e un’esile struttura in
ferro aiutano a non cadervi dentro,
mentre goccia a goccia, con continuità, l’acqua scivola dal fonte battesimale nel fiume artificiale, rompendo
con il suo rumore perpetuo il buio ed il
silenzio in cui è avvolta la chiesa.
L’architetto ha però la rara capacità di
trasformare ciò che appare semplice
atto costruttivo in elemento significante, facendo si che le necessità tecniche e funzionali diventino inquietanti soluzioni progettuali. È il caso,
ad esempio, del pilastro in acciaio che
a Klippan, sorgendo come un albero
dal pavimento della chiesa, si distende verso l’alto, per raggiungere e
sostenere le volte della copertura.
Il passaggio dal sostegno verticale
alle volte e l’articolazione stessa della
struttura metallica, con il suo sdoppiarsi e spostare i carichi, dà vita a
nuovi significati che ne travalicano le
semplici necessità funzionali e costruttive. Non simmetrico, come invece una stringente logica strutturale
avrebbe voluto, il pilastro si trasforma
in croce a cui l’architetto affida il compito di sostenere, non solo simbolicamente, la copertura in mattoni dell’aula sacra. Lewerentz usa il mattone
in maniera espressiva, affidando ad alcuni correnti in ferro il compito di assorbire gli sforzi di tensione; all’esterno una sottile lamina in rame ne
segue fedelmente l’andamento, comunicando integralmente il comportamento della forma interna.
L’architetto visita per la prima volta
nel 1963 il lotto su cui, qualche anno
più tardi, sarebbe sorta la parrocchia
di S. Pietro; Klippan, questo il nome
del piccolo centro che avrebbe accolto
la chiesa, si trova a poche decine di
chilometri da Helsinborg, nella penisola meridionale della Svezia. L’incarico gli viene affidato dal comitato istituito per la realizzazione del complesso, in accordo con l’ufficio di
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Piano del comune e all’architetto è affiancato il teologo Lars Ridderstedt, in
qualità di consulente, che elabora il
programma funzionale del progetto e
collabora con Lewerentz per riscoprire
i sensi più profondi contenuti nella liturgia e per cercarne una possibile trasposizione nella forma costruita.
ALLA BASE DEL DISEGNO DI S.
PIETRO c’è infatti un’attenta analisi
del rito ed una sua profonda reinterpretazione. La pianta quadrata della
chiesa, ad esempio, risponde alla volontà di rifiutare il consueto impianto
basilicale, improntato ad una gerarchica processualità, a favore di una distribuzione più democratica che tiene
conto delle singole individualità. Coralità e individualità divengono i parametri non solo dell’impianto generale
ma anche della costruzione stessa del
complesso, come dimostra l’uso libero
e poetico del mattone che ben trasfigura in forma costruita la dialettica tra
componente individuale e disegno generale. La scelta della tipologia ad impianto centrale, per il corpo che ospita
la chiesa, rappresenta la ripresa dello
stare insieme in circolo, del cenacolo dell’antica tradizione dei circumstantes(4) - che aveva caratterizzato le
prime comunità cristiane; è il loro spirito che l’architetto fa rivivere tra le
mura della chiesa, lo spirito primitivo
di un cristianesimo forte e comunitario. “Si entra nella chiesa da una cappella laterale, a cui si accede da uno
stretto passaggio a nord, volutamente
intimo e informale, perché tiene conto
del fatto che le persone arrivano alla
funzione in piccoli gruppi o da sole:
solo al termine della celebrazione, accomunate dall’esperienza vissuta,
escono insieme dalle ampie porte predisposte sul fronte ovest. Qui lo spazio é contrassegnato dal disegno di un
ampio giardino su cui domina la facciata principale della chiesa; l’insieme
é arricchito dalla presenza di uno
specchio d’acqua e da una scultura. La
torre campanaria é posta in prossimità
Le sale per la cresima sul fronte est.
Dettaglio di
una finestra.
Il fronte ovest
verso il giardino.
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dell’ingresso all’aula, subito sopra le
stanze della sacrestia”.(5)
Un edificio basso, separato dal corpo
principale da una corte stretta e lunga
sulla quale si aprono le porte di accesso ai diversi ambienti, ospita gli uffici parrocchiali, le sale di riunione e la
grande sala per le feste. Il secondo
corpo ha in pianta una forma ad “L”,
ma ricompone con il volume della
chiesa un impianto generale dalla
forma quadrata. In questi ambienti di
servizio, l’architetto presta particolare
attenzione al disegno delle pavimentazioni e alla loro realizzazione, che
presenta la particolarità di avere i
giunti tra le piastrelle leggermente rigonfi. Ciò é la conseguenza della pressione esercitata sulla malta dall’operaio quando ha posto in opera le singole piastrelle; solo che invece di farla
rimuovere, Lewerentz ha preferito conservarla, giustificando tale operazione
con la necessità di ottenere una superficie ruvida sotto i piedi che impedisse di scivolare.
Nella chiesa, invece, la pavimentazione é tutta in mattoni rossi e si distingue solo per la diversa texture di
alcuni campi, contribuendo a conferirle il caratteristico aspetto “cavernoso” che la contraddistingue. Anche
la profonda oscurità che avvolge lo
spazio della chiesa rafforza l’atmosfera “primitiva” di questo luogo, sottraendolo a qualsiasi storicizzazione:
tempio arcaio di una fede senza
tempo. Il buio della chiesa inoltre non
consente a chi entra di percepire con
immediatezza i margini dello spazio,
che emergono solo dopo una breve
attesa, necessaria a far adeguare la
pupilla alla nuova condizione luminosa e l’animo alla diversa condizione
spirituale.
Solo quattro piccole finestre illuminano la chiesa, mentre due lucernai
segnalano con un flebile raggio di luce
il percorso che il sacerdote compie
quando si reca dalla sacrestia all’altare. Non ci sono altre fonti di luce naturale e l’illuminazione generale è affi-
AR TE DEL COS TRUIRE
data alle candele e alle lampade che,
pendendo dal soffitto, sembrano galleggiare nel vuoto.
LA REALIZZAZIONE DEGLI INFISSI
ESTERNI Dopo aver guidato per
molti anni, anche come titolare, una
fabbrica di serramenti in metallo, ed
aver disegnato e brevettato numerosi
meccanismi per il loro funzionamento,
l’architetto a Klippan risolve lo stesso
problema semplicemente fissando
delle lastre di vetro camera all’esterno
delle bucature realizzate nella muratura. Lewerentz in persona, con disarmante semplicità, cancella, in un sol
colpo, il lavoro e le energie profuse
per lungo tempo nella sua fabbrica a
Eskilstuna. “Comincia col formare un
buco nei mattoni, un netto vuoto rettangolare con un contorno in mattoni.
Quindi applica uno spesso strato di
stucco nero sulla superficie esterna
dello squarcio e vi pressa sopra un
doppio vetro camera sigillato, di pochi centimetri più largo, e lo fissa utilizzando dei supporti metallici che lo
assicurano alla muratura. Dall’interno
non sembra neppure una finestra,
perché il vetro senza telaio è pressoché invisibile; all’esterno la precisione e la fragilità del vetro contrastano in modo violento con la brutalità dei mattoni”.(6) Nessuna traccia di
telai o controvelacci, di opere fisse e
mobili. La ventilazione all’interno dei
singoli locali, poiché tutte le finestre
sono fisse, è garantita attraverso l’utilizzo della camera d’aria lasciata nella
doppia fodera della muratura, dove i
fori e le aperture predisposte nei paramenti in mattoni consentono il corretto defluire dell’aria nei diversi ambienti. Il posizionamento dei vetri sul
filo esterno della muratura e l’assenza di cornici che inquadrino le bucature consentono all’architetto di
portare con immediatezza all’interno
le vedute esterne, annullando qualsiasi cesura tra natura e spazio costruito, che vivono così in continuità
l’uno dentro l’altro.
Anche gli infissi in legno, sia interni
che esterni, seguono il medesimo
principio di elementarietà costruttiva:
un telaio, sovrapposto o meno a seconda dei casi ai vani predisposti nella
muratura, funge sia da battuta, sia da
telaio fisso; il battente, realizzato
dello stesso spessore del telaio, è formato da quattro pannelli di legno lamellare, tra di loro incastrati e incollati
con giunti a vista che disegnano il pattern a doppio “T” che ne caratterizza
la figura. Un filo di sigillante nero, infine, garantisce la continuità tra la muratura e l’opera in falegnameria.
Ma palesare le tecniche e le tecnologie adoperate nel maneggiare i materiali presenti nella costruzione, il mattone della muratura come il legno o il
ferro degli infissi, non deve trarre in
inganno e far pensare ad un’estetica
della tettonica, perché quest’atteggiamento in Lewerentz non è né coerente
né totale. Per cui, ad esempio, i mattoni non seguono rigorosamente un
disegno tettonico e il loro andamento,
in corrispondenza di architravi e trabeazioni, non viene modificato per simulare la contrapposizione tra la forza
di gravità e il peso della materia. Allo
stesso modo il posizionamento dei
pluviali non è né schematico né semplicistico. Mentre nella corte interna la
soluzione adottata per allontanare
l’acqua proveniente dalla copertura
della chiesa dà vita ad un motivo decorativo frutto della dialettica che si
instaura tra gronde e pluviali, sul
fronte principale Lewerentz rinunzia a
palesare il sistema di smaltimento
delle acque, che inserisce nella doppia fodera della muratura, lasciando la
facciata libera di esprimere la propria
composizione senza assoggettarla ai
vincoli degli impianti. La chiesa di S.
Pietro rappresenta, dunque, la costruzione di un uomo anziano e racchiude
pertanto l’esperienza di una vita intera, più attraverso rinunce che per citazioni.(7) Minimale più di qualsiasi
minimalismo e brutale più di qualsiasi
brutalismo, quest’opera costituisce,
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CIL 67
grazie alla sua secca ambiguità che
sgomenta chiunque si rechi a visitarla,
una delle opere più significative di
questo secolo, ergendosi a modello di
comportamento per chi sappia scoprirne e leggerne i segreti.
Difficile se non impossibile da classificare, la chiesa di S. Pietro a Klippan si
presenta come architettura del frammento e della frammentarietà. Molteplici sono le sfaccettature che la compongono e altrettanto innumerevoli
sono i modi delle loro possibili relazioni. Sfuggente a qualsiasi visione
sintetica, questa architettura elude la
presa non appena si riduca il portato
del suo valore ad uno, ed uno solo, dei
sensi in essa contenuti. Architettura
del frammento perché, nel passare ciclicamente dal generale al particolare,
si dà e si nega allo stesso tempo, generando il turbinoso fluire di significati e di sensazioni che ne contraddistingue le qualità spaziali.
Solo nella monomatericità della costruzione e nel buio del suo interno
sembra forse possibile poter scorgere
un sottile, e quasi invisibile, filo di
trama che ne tiene unite le diverse
parti. ¶
Note
1. St. John Wilson, C., Sigurd Lewerentz
and the Dilemma of the Classical, in “Perspecta” n. 24, 1988, pp. 50-77.
2. I disegni di cantiere sono stati elaborati
dall’architetto Michael Papadopoulos che
in quel periodo aiutava Lewerentz nell’attività professionale. Successivamente anche
l’architetto Erik Vilheim Sörensen prese
parte alla stesura dei grafici in qualità di
collaboratore.
3. B. Edman, Lewerentz muratore, in “Spazio&Società” n. 64, 1993, pp.76-82.
4. J. Ahlin, With the light as a building
block. The Petri church in Klippan, in “Sigurd Lewerentz architect”, Stockholm
1987, pp. 165-174.
5. P. Blande Jones, Dettagli rivelatori, in
“Spazio&Società” n. 53, 1991, p. 90.
6. P. Blande Jones, Dettagli rivelatori, in
“Spazio&Società” n. 53, 1991, p. 88.
7. P. Blande Jones, Lewerentz muratore, in
“Spazio&Società” n. 53, 1991, pp. 88-97.
Interno della chiesa. Dettaglio del pilastro centrale in ferro.
L’organo.
L’altare.
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