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La fame - Fabbri Editori
6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo Giulio Bedeschi La fame Gli Alpini italiani si trovarono, nell’inverno del 1942-43, a dover affrontare, privi di mezzi e di equipaggiamento adeguato, la ritirata dalla Russia. I patimenti che dovettero sopportare furono enormi, indescrivibili. Eppure negli Alpini fu sempre vivo il sentimento dell’onore unito al desiderio di non cedere, di non farsi sopraffare dagli eventi. 1. isbe: capanne di con- tadini della steppa russa, costruite con tronchi di albero e ricoperte di paglia o frasche. 2. gli stracci ai piedi: gli Alpini, per proteggere dal gelo i piedi non più riparati dagli scarponi sfondati, li avvolgevano con stracci strettamente legati. 3. della ventisei: la divisione del comandante Reitani. La divisione è un’unità militare idonea a condurre il combattimento mediante raggruppamenti militari tattici. 4. crosciare: produrre rumore. 5. un passo abbastanza redditizio: un passo che li faceva procedere abbastanza speditamente. 6. insulto dei piedi: danno che provocano i piedi sulla neve. 7. infido: malsicuro. 8. brume cineree: neb- bie color cenere, grigiastre. 9. immoto: immobile. Dopo cinque provvidenziali ore di sonno, rovistate da cima a fondo le isbe1 per scovare semi di girasole, rape gelate ed ogni genere di rifiuti, allineate le slitte e allacciati gli stracci ai piedi2, alle prime luci del ventotto gennaio gli uomini della ventisei 3 ripresero il loro posto nella colonna. Alla mattina, al primo contatto, la neve era ripugnante: al solo sentirla crosciare4 sotto i piedi, a taluni provocava il vomito. Prometteva patimenti per ogni istante della giornata, era la complice prima degli innumerevoli dolori che perseguitavano i soldati da dodici giorni. Per il primo tratto di cammino la neve era dura, consistente, permetteva un passo abbastanza redditizio5, gli uomini camminavano volentieri per vincere la molestia del freddo; ma ben presto sotto l’insulto dei piedi6 e degli zoccoli la neve perdeva compattezza, si rimescolava, diveniva polverosa e la colonna era costretta a procedere fino a notte in un asciutto canale dal fondo sdrucciolevole e infido7, nel quale gli uomini erano condannati ad avanzare per l’abituale ventina d’ore ogni giorno. Quando poi sopraggiungeva la tormenta, l’avversità era tale che la colonna poteva procedere soltanto di uno, di mezzo chilometro all’ora. Stanchezza, fame, sete, freddo, sonno: questi cinque elementi si componevano in vario modo nel corpo di ogni uomo, e già i primi chilometri di cammino richiedevano una disperata tenacia per procedere sulla steppa; poi si spalancava l’inferno entro quell’orizzonte cancellato dall’implacabile biancore della neve, disperso dalla nuvolaglia sfilacciata in brume cineree8; la vastità paurosa della steppa corrodeva non meno della fame. Allora, e fino a notte fonda, fuori dagli usuali limiti del tempo e dello spazio la colonna procedeva nell’infinito e nell’immoto9. Veniva ogni giorno il momento in cui il cuore dei marciatori chiedeva per carità di poter sostare e morire. «Ho trovato in un’isba una manciata di semi di girasole», disse Zoffoli a Serri tendendogliene un pizzico. L’ufficiale non ebbe forza di rifiutare, ringraziò con lo sguardo, portò alla bocca alcuni semi e affondando gli incisivi nell’esigua polpa oleosa concentrò ogni sua Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 1 6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo 10. tisici: malati di tu- bercolosi. 11. consunzione: len- to deperimento del fisico, perdita di forza e di salute. 12. cute: pelle. 13. alone di patimento: ombra di sofferenza. 14. fugata dalle contratture: fatta fuggire dalle contrazioni del volto. 15. indicibilmente: in modo indescrivibile. attenzione nel coglierne il sapore. Parevano squisiti, ma il sapore si dileguava subito e nello stomaco non scendeva quasi nulla. «Semi di girasole», disse raggiungendo Reitani e allungando la mano; «ne ho sei per te, sta’ attento a non lasciarli cadere.» «Oh…» esclamò il capitano sorridendo e sfilando un guanto; nel ricevere i semi, uno gliene cadde nella neve, lo raccolse rapidamente e lo mise in bocca con avidità, serbando gli altri nella mano a pugno. «Speriamo che questa colazione non ci debba servire anche da pranzo e da cena», disse Serri. «Chissà che si possa trovare qualcosa in qualche isba», rispose il capitano; «da tre giorni ho un continuo crampo allo stomaco. A te lo posso dire, sei il mio medico: a volte sento dolori così forti da trattenermi a stento dal rotolarmi sulla neve e non alzarmi più. Ma io so che devo dare l’esempio, Italo, e quindi non cederò, o sarò l’ultimo. Come vanno gli uomini?» «In questi ultimi giorni tutti hanno subito un tracollo, segno che ormai per la mancanza di cibo i nostri corpi stanno divorando i tessuti essenziali, muscoli e ogni altra cosa. Siamo diventati irriconoscibili; guarda Sorgàto, Zoffoli, Covre, lo stesso Bartolan, quindici giorni fa erano degli atleti, ora sembrano dei tisici10. Stiamo morendo di consunzione11, questa è la realtà. Fra tutti noi, soltanto Scudrèra fa eccezione: nonostante il congelamento alle mani ha ancora del vigore in corpo, è prodigioso; escluso lui, entro qualche giorno noi saremo spacciati. Sono obbligato a dirtelo, Ugo: tu sei il comandante e devi saperlo.» «La mia ventisei…», mormorò il capitano mordendosi le labbra; alla stretta dei denti il labbro inferiore leso dal freddo gli si spaccò e un rivoletto di sangue fluì scorrendo a rapprendersi nella barba cespugliosa. L’ufficiale non passò neppure la lingua sul labbro inciso, lasciò con indifferenza che il sangue colasse. Italo Serri guardò quel volto smagrato e giallo in cui gli zigomi premevano come punte sotto la cute12 erosa dal gelo. A palpebre abbassate, poteva già parere il viso di un morto. Soltanto i grandi occhi approfonditi in un violaceo alone di patimento13 avevano mantenuta e anche accresciuta una vitalità eccitata e febbrile, nella quale si disperdevano i residui dell’antica dolcezza fugata dalle contratture14 segnate da una disperata e selvaggia energia. L’uomo che portava quel viso nel vento della steppa soffriva indicibilmente15 per sé, ma più ancora per i suoi soldati. Serri ben lo sapeva. Avrebbe dato qualunque cosa per vedere i solchi di quel volto spianarsi in un sorriso tranquillizzatore. «Non possiamo morire di fame prima dei nostri uomini, capitano», disse risolutamente; «ma è quello che ci sta succedendo.» «Devo rimanere sempre nella colonna, non posso litigare con i soldati per un pezzo di rapa marcia», rispose Reitani. Egli, fin dall’inizio della marcia di ritirata, aveva compreso che l’u- Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 2 6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo 16. batteria: unità d’ar- tiglieria composta da quattro-sei pezzi; comprende tutto il personale e i mezzi necessari al servizio e al trasporto. 17. a foggia: a forma. 18. crauti: foglie di cavolo tagliate a liste sottili e fatte fermentare con il sale. 19. incoercibile: impossibile da reprimere. 20. immondo: sporco, disgustoso. nico modo per salvare il maggior numero di uomini stava nel mantenere sempre compatto il reparto, farne un nucleo che nell’immenso stuolo della colonna non si fosse mai disciolto; aveva pure intuito che se egli si fosse attardato a frugare nelle isbe durante le marce, ben presto in mancanza del suo controllo la batteria16 si sarebbe disgregata disperdendo uomini e slitte nel caos della colonna, abbandonando grado a grado i feriti al loro destino e gli artiglieri al marasma in cui vivevano le masse degli sbandati. Aveva quindi deciso, imitato dagli altri ufficiali, di non abbandonare per un istante le sue slitte in cammino attorno alle quali gravitavano gli uomini marcianti; mentre agli artiglieri era possibile correre e rovistare nelle isbe incontrate, gli ufficiali della ventisei e il comandante in primo luogo erano realmente prossimi a morir di fame. «Se incontreremo qualche isba, oggi nessuno mi tratterrà dal cercare qualche cosa da mangiare», disse Serri; «fossero anche foglie di granoturco, qualcosa devo mettere in corpo; chissà che possa trovare una rapa, o magari una patata intera. Mi sento sfinito.» Da qualche giorno la testa gli pesava tanto che, sempre costretto a tenerla abbassata per vedere dove mettere i piedi nella neve fonda, non riusciva più a tenerla eretta: gli pareva che le vertebre del collo gli si fossero incurvate e irrigidite a foggia17 di manico di ombrello. «Prova, Italo; chissà…» rispose il capitano guardandolo con occhi brucianti di muta avidità. Nelle ore che seguirono, la colonna s’imbatté in qualche isba diroccata, Serri si avvicinava ma i soldati precedenti l’avevano invariabilmente ripulita; non sarebbe rimasto che il tentativo di frugare sotto la neve dei cortiletti, ma era un lavoro lungo e il medico non voleva perdere di vista la ventisei che si allontanava rapidamente. Presso la porta di una stalla però, nella neve calpestata, Serri riuscì alfine a scovare un bariletto manomesso e schiantato contenente nel fondo, fra pezzi di ghiaccio e di neve indurita, un tritume rossastro: ebbe un tuffo al cuore, si sfilò un guanto e staccò una manciata di quell’impasto, l’osservò con ansia e s’avvide che il barile conteneva residui di crauti18 conservati. La massa era già stata rimestata di recente, Serri si chiese perché i soldati in precedenza non se ne fossero appropriati; osservandola con più cura s’avvide che quel tritume era zeppo di vermi bianchi raggrinziti e uccisi dal gelo: l’estate li aveva fatti nascere e l’inverno li aveva conservati assieme ai crauti andati a male. «Ho fame… muoio di fame…» pensò tentando di vincere la ripugnanza che la verminaia gli suscitava, ma una nausea incoercibile19 gli montò alla gola. Cercò di separare i crauti dai vermi, ma questi erano tanti e così fittamente inglobati nella massa che l’operazione era impossibile. «Devo tornare a casa…» pensò; e vincendo lo schifo diede un morso al cibo immondo20. Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 3 6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo Era gelido, insapore, ma cedeva alla pressione dei denti, e diveniva una pasta molle, nel caldo della bocca: sì, era cibo. L’inghiottì. Ne portò una manciata alla bocca, ne raccolse due grossi blocchi, quanto poté; corse a raggiungere Reitani. «Tieni, Ugo: c’è da mangiare», disse con occhi sfavillanti. Lo sguardo dilatato del capitano si smorzò nel vedere il brulicame che il medico gli aveva posto tra mano. «Mangia, non è cattivo», incitò il medico. «Tutt’altro!» disse allegramente Reitani masticando il primo boccone e tentando di contenere una smorfia di disgusto, «meglio che noi mangiamo vermi, piuttosto che i vermi mangino noi, no? Quante calorie sviluppa la carne di verme, dottore?» domandò scherzosamente mentre un sorriso gli riaffiorava dal fondo delle occhiaie. Mangiavano, grazie a Dio; avevano l’impressione che un residuo di vitalità si diffondesse subito nelle membra, la mente s’accendeva in nuovi calcoli e progetti da cui non era più esclusa la possibilità di sopravvivere. Tale era la loro miseria. (da Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, Milano) 4 Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education