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TERAPIA DEL DOLORE Un diritto del paziente abolire la SOFFERENZA di Emanuela Zerbinatti Corbis Combattere il dolore è oggi possibile e doveroso, per una migliore qualità della vita ma soprattutto per risparmiare energie da utilizzare nella lotta alla malattia mberto Veronesi da sem- cento dei casi è stata proprio la pre considera il problema sua comparsa a portare alla diadel dolore durante la ma- gnosi. In realtà, il dolore è un lattia come una priorità assolu- segnale molto generico del fatto ta: “Ho sempre avuto la pro- che qualcosa nell’organismo fonda convinzione che sollevare non va e che bisogna correre ai il malato dal dolore sia un pre- ripari. Tuttavia il modo di afciso dovere medico” sottolinea. frontarlo cambia in base alle E aggiunge “Obbligo umano modalità con cui si presenta. ed etico, e anche dovere profes- Infatti, mentre la maggior parte delle persone è dissionale, perchè a mio giudizio il sol- Per ogni tipo posta a tutto pur di lievo dal dolore fa di dolore esiste combattere un dolore comparso alparte della terapia a una cura pieno titolo, e appropriata l’improvviso in uno stato di generale rende più efficaci gli interventi chirurgici e far- benessere, gli individui diventamacologici, perchè ridona al no incredibilmente arrendevoli paziente la serenità psichica che quando soffrono di una malatla sofferenza aveva distrutto, e tia grave o cronica, come se la quindi lo mette in grado di rea- sofferenza fosse, in questi casi, una condizione inevitabile. gire meglio alla malattia”. I pazienti oncologici credoIl dolore è un sintomo comune tra i malati di tumore: no spesso che il dolore può basti sapere che nel 30 per sparire solo con la guarigione, U 12 Fondamentale ottobre 2007 ma si tratta di una convinzione errata che va di pari passo con quella, altrettanto sbagliata, di considerare la comparsa o l’aggravamento di un dolore come un segnale di peggioramento. “Il dolore è un meccanismo di autodifesa fisiologico e come tale non va mitizzato o demonizzato, ma indagato con particolare attenzione” spiega Franco De Conno, direttore della Struttura complessa di cure palliative dell’Istituto nazionale tumori (INT) di Milano. “Solo una volta esaurita questa funzione di ‘spia’, il sintomo, ormai inutile, deve essere combattuto senza esitazione perché rischia di cronicizzare, diventando una malattia nella malattia, che provoca disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, irritabilità, ansia, depressione”. FORME DIVERSE, APPROCCI DIVERSI La distinzione tra dolore acuto e cronico è importante, ma non è l’unica possibile. Sulla base del meccanismo d’origine si distinguono, per esempio, i dolori somatici (che provengono dalla superficie corporea) da quelli viscerali (il mal di pancia) o neuropatici (dovuti a irritazione delle terminazioni nervose). Ciascuno ha caratteristiche proprie e risponde a terapie diverse: per questo la loro identificazione è importante. Il dolore non è una semplice trasmissione di uno stimolo lungo le vie nervose, ma si accompagna sempre a uno stato di sofferenza emotiva. Il modo con cui si reagisce a esso dipende infatti da fattori come la personalità, le espe- LA RICERCA CONTINUA rienze precedenti, la cultura, la presenza o meno di una rete di supporto e di risorse economiche, tutti elementi molto soggettivi. La componente emotiva diventa tanto più manifesta quanto più il dolore tende a cronicizzare, stravolgendo la normale vita quotidiana. Il cosiddetto ‘dolore totale’ è quindi l’insieme del dolore fisico e della sofferenza psichica ed è tipico di chi ha una malattia cronica come il tumore. Nei pazienti oncologici, il male può essere dovuto alla massa stessa che stimola le terminazioni nocicettive, ovvero i ‘sensori’ del dolore, per compressione diretta oppure attraverso la produzione di sostanze che irritano i recettori. Talvolta anche le cicatrici di interventi o le radiazioni possono aggravare la situazione. Qualunque ne sia la causa, il dolore oncologico non trattato efficacemente rischia di debilitare i pazienti nel fisico e nella mente, facendo perdere anche la voglia di affrontare le terapie. LE CURE FARMACOLOGICHE “Oggi abbiamo a disposizione molte terapie per contrastare il dolore oncologico, efficaci nella quasi totalità dei casi” afferma De Conno. “Si tratta principalmente di farmaci (antinfiammatori, oppioidi e altre sostanze) che possono agire a diversi livelli sulle vie di trasmissione del dolore. I comuni antinfiammatori non steroidei (FANS), come l’aspirina, agiscono a livello periferico prevenendo la sensibilizzazione dei recettori del dolore; gli oppioidi e gli psicofarmaci agiscono invece a livello cerebrale ma, mentre i primi riducono effettivamente il dolore interagendo con recettori specifici nel cervello e nel midollo spinale, gli antidepressivi agiscono sulla componente emotiva, dissociandola dalla percezione del dolore. In pratica il male si sente ancora, ma viene vissuto in modo meno angosciante”. Non bisogna però avere fretta, perché anche i migliori farmaci hanno bisogno di tempo per agire. Per non incorrere in quel senso di sfiducia che fa perdere la voglia di continuare a lottare contro la malattia è sempre meglio tenere a mente qual è il proprio obiettivo (aumentare le ore di sonno senza dolore, alleviare il dolore a riposo, poi quello in posizione eretta e durante le normali attività), da raggiungere gradualmente. Anche la scelta del farmaco è per gradini, dal più debole per i dolori lievi a quello più potente per i dolori forti, così come consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità (vedi box a pag. 15). In generale, una dose di qualsiasi farmaco analgesico per essere giudicata efficace deve controllare il sinto- Cosa fare quando si soffre Non abbiate paura. Anche se siete malati di tumore, potreste avere un banale mal di testa o di pancia e anche un dolore che non c’entra nulla con la vostra malattia merita attenzione. Se poi la causa è proprio il tumore, non si tratta di un segno di peggioramento ma di un’indicazione che aiuterà i vostri medici ad ‘aggiustare’ le cure. Affidatevi ai medici. Oggi i medici dovrebbero chiedere sempre ai loro pazienti se hanno dolore, ma se per qualsiasi motivo non lo fanno non esitate a farglielo presente. Non abbiate paura di sembrare lamentosi: il dolore non è un castigo da sopportare stoicamente, è un vostro diritto essere nelle migliori condizioni per affrontare le cure. Descrivete il vostro dolore. Proprio perché le caratteristiche del vostro dolore potrebbero orientare i medici verso le cause e gli opportuni rimedi, è una buona idea annotarne su un diario ogni aspetto: quando è comparso, dove, come lo definireste (sordo, lancinante, pulsante, trafittivo, a scossa elettrica), quanto è intenso, come si evolve nel tempo, cosa lo attenua e cosa lo peggiora (caldo, freddo, movimento, massaggi), a quali sintomi si associa, come influisce sul vostro umore e sulla vostra vita. Seguite la terapia. La terapia prescritta va seguita attentamente. Confrontatevi con i medici sui suoi effetti: oggi i farmaci sono sicuri ed efficaci, ma potrebbe volerci un po’ per trovare quelli più adatti a voi. L’obiettivo non è solo l’abolizione del sintomo ma anche la perdita del ricordo del dolore: i farmaci vanno perciò assunti a orari fissi, in modo da ottenere un effetto analgesico costante. I centri di terapia del dolore. In più del 90 per cento dei casi si riesce a trovare la cura giusta, ma potrebbe essere necessario l’intervento di un esperto in terapia del dolore. Per avere informazione sui Centri di terapia del dolore più vicini a voi visitate il sito www.sportellodolore.net o quello della Società italiana di cure palliative www.sicp.it TERAPIA DEL DOLORE L’ospedale senza dolore Il dolore si può evitare o almeno ridurre, se ce ne prendiamo cura. Questo l’obiettivo dell'ambizioso progetto ‘Ospedale senza dolore’ lanciato da Umberto Veronesi nel 2001 per cambiare radicalmente l’approccio dei pazienti al dolore. Il progetto si ispira al primo ospedale con queste caratteristiche realizzato negli anni ’50 a Seattle da John Bonicam, che diventò poi realtà internazionale con l’appoggio dell'OMS nel 1992 a Montreal (Canada) per l'ospedale St-Luc. Il progetto si è sviluppato oltre che in Italia anche in altri Paesi: Francia, Svizzera, Belgio, Spagna, Stati Uniti e Congo. “Soffrire a tutti i costi non è più necessario. Vogliamo che il dolore diventi un'entità misurabile come la pressione e che, al momento del ricovero, sia considerato come gli altri parametri”, dice Alberto Sbanotto, direttore dell'Unità terapie di supporto e cure palliative all'IEO. mo per almeno quattro ore. È il medico che deve cercare la dose più adatta: bisogna però tener presente che i FANS e i cosiddetti oppioidi minori (come la codeina, che si differenzia dagli oppioidi maggiori come la morfina) presentano il cosiddetto ‘effetto tetto’, per cui esiste una dose limite oltre la quale ogni aumento è inutile. È per questo che spesso, dopo alcune modifiche della dose di partenza, è necessario passare a un farmaco posto sul gradino più alto o a una com- binazione di più sostanze. “Per alcuni tipi di dolore è inoltre indispensabile l’associazione con sostanze dette adiuvanti, cioè non necessariamente analgesiche” spiega De Conno. “Per esempio i dolori provocati da una lesione dei nervi sono ben controllati dall’aggiunta di antidepressivi, mentre quelli dovuti all’espansione del tumore beneficiano dell’uso dei corticosteroidi”. Esiste poi tutta una serie di interventi terapeutici di natura fisica o psicologica che possono Gli obiettivi del progetto sono: - aumentare la consapevolezza del dolore; - conoscere meglio gli aspetti di comunicazione emotivi e psicologici del dolore; - migliorare la valutazione del dolore. Si utilizza un regolo con delle tacche in una scala che varia da nessun dolore a massimo dolore possibile su cui il paziente indica il dolore percepito. In corrispondenza del segno l'operatore legge la misurazione (in mm) e la riporta sulla cartella clinica insieme agli altri parametri (temperatura, pressione ecc.). Di norma la misurazione si esegue tre volte al giorno; - proporre approcci al dolore acuto più efficaci con la collaborazione del paziente che è chiamato in prima persona a valutare il suo dolore, fornendo così al medico precisi parametri di riferimento. essere associati a questi farmaci, la cui scelta dipende molto dal tipo di dolore e dal vissuto del paziente (vedi box a pag. 15). IN ITALIA SI SOFFRE DI PIÙ Nonostante le armi che la scienza ha messo a punto, la battaglia contro il dolore sembra ancora da vincere. Secondo i risultati dello studio EPIC sul dolore oncologico, resi noti al congresso dell’Associazione europea di cure palliative che si è tenuto nel giugno scorso a Budapest, il problema è generale Scala analgesica dell’OMS Secondo le indicazioni dell’OMS, il dolore oncologico deve essere curato, in base all’intensità, con tre categorie di farmaci (FANS, oppioidi deboli e oppioidi forti) talvolta associati a sostanze adiuvanti (non direttamente analgesiche ma che favoriscono l’effetto degli antidolorifici). DOLORE FORTE Oppioidi forti± non oppioidi ±adiuvanti DOLORE MODERATO Corbis Oppioidi deboli± non oppioidi ±adiuvanti DOLORE LIEVE Non oppioidi ±adiuvanti Il dolore persiste o aumenta anche se a soffrire di più sono i pazienti con tumore del seno e del colon-retto. Dall’indagine, condotta su quasi 5.000 cittadini europei affetti da tumore, emerge infatti che, indipendentemente dal tipo e dallo stadio della malattia, il dolore è presente nel 73 per cento dei casi. Per gli italiani le cose vanno anche peggio perché considerando solo i connazionali partecipanti allo studio la percentuale sale al 95 per cento. A sorprendere ancora di più è che per ben quattro pazienti su dieci il dolore rimane talmente intenso da rendere addirittura insopportabile la vita. Una delle cause, secondo gli studiosi dell’EPIC, è la scarsa diffusione di centri specializzati nella cura del dolore, tanto che tre quarti dei pazienti continua ad avere l’oncologo come unico riferimento. Altri studi hanno poi dimostrato che anche quando il paziente arriva alle strutture specializzate, ciò avviene con notevole ritardo rispetto alla comparsa della sintomatologia dolorosa. Il risultato è che per quanto i pazienti si ritengano ben curati dal punto di vista oncologico generale, uno su quattro pensa che i suoi medici siano impotenti di fronte al dolore. “Alla base di tutto c’è un’og- LA RICERCA CONTINUA Metodi non farmacologici per il controllo del dolore Radioterapia. È indicata quando all’origine del dolore vi sono metastasi ossee e cerebrali, emorragie, sindromi da compressione. Si usano dosi più basse rispetto alla solita radioterapia, per cui anche gli effetti collaterali sono minori. TENS. Consiste nella stimolazione elettrica a basso voltaggio delle grandi fibre nervose periferiche con un piccolo apparecchio che invia scariche elettriche nei punti dolenti. Agopuntura. Agisce in modo simile alla TENS e in alcuni pazienti si rivela molto efficace. Terapie fisiche. Si tratta di una serie di tecniche che usano gettiva difficoltà strutturale” afferma Franco Mandelli, docente di ematologia dell’Università la Sapienza di Roma che nel 2004 ha sottoscritto il ‘Manifesto etico contro il dolore non necessario’ presentato all’allora ministro della Salute Sirchia. “In Italia abbiamo meno di quattro centri di terapia del dolore per milione di abitanti, quando nel resto d’Europa sono circa una decina con un picco nel Regno Unito, dove sono sedici per milione”. Tuttavia il problema non è soltanto dove fare la terapia, ma anche come farla. Se da un lato l’Italia è il Paese con il minor consumo di oppioidi contro il dolore, è al secondo posto per la diffusione dei farmaci antinfiammatori non steroidei, decisamente meno efficaci nelle sofferenze intense e croniche. “Bisogna fare di più anche nel campo della formazione di medici e infermieri e dell’informazione generale perché sono ancora troppi gli stereotipi culturali riguardo al dolore e alla sua cura” spiega Mandelli. “I FANS, utilissimi in molti casi, in altri sono inefficaci, dove viceversa gli oppioidi sono non solo utili, ma indispensabili. La temuta pericolosità degli oppioidi, in particolare della morfina è, come per tutti i farmaci, legata al consumo non necessario. Studi clinici hanno dimostrato che in mani esperte gli oppioidi non danno problemi nemmeno nei pazienti più anziani, debilitati o non in grado di comunicare, dove semmai il problema è di riuscire a capire se e quanto dolore hanno”. LA RICERCA VA AVANTI Le premesse per un cambiamento in positivo nella terapia del dolore ci sono tutte, anche dal punto di vista legislativo. Ci sono nuovi interventi che migliorano ulteriormente la normativa precedente, proposta dall’allora ministro della Salute Umberto Veronesi, che faceva parte di un progetto più ampio per liberare i malati dalla sofferenza e coinvolgeva il cosiddetto ‘ospedale senza dolore’. Negli ultimi mesi il ministero della Salute ha infatti introdotto alcuni decreti che da un lato ridurranno i tempi di attesa per l’accesso alle strutture specializzate e dall’altro favoriranno l’utilizzo da parte dei medici di farmaci veramente efficaci. “Per quanto riguarda la ricerca, invece, sono in corso diversi studi su nuove soluzioni farmacologiche e c’è un importante filone di indagini sulla genetica dei recettori che calore, freddo, massaggi, vibrazioni, pressione, eccetera. L’effetto è molto soggettivo per cui se in alcuni pazienti un trattamento può dare sollievo in altri può aggravare il dolore. Ipnoterapia. È un intervento psicoterapico che consiste nell’induzione (o autoinduzione) di uno stato simile al sonno, che porta al rilassamento e soprattutto agisce sulla componente emozionale del dolore. Interventi psicologici. Si basano su tecniche cognitive o comportamentali per il controllo del dolore. Le tecniche di rilassamento hanno lo scopo di eliminare lo stress e altri fattori emozionali che possono acuire i sintomi. porterà a una vera personalizzazione delle cure” spiega De Conno. “Non ci si deve però attendere grandi rivoluzioni: la storia della terapia del dolore è vecchia quanto la medicina e gli aspetti importanti sono già noti. Oggi non è affatto difficile eliminare la componente fisica del dolore anche nel paziente oncologico, quel che manca è la capacità di dare risposte concrete e immediate alla sofferenza psichica, personale e sociale dei malati e dei loro familiari. Qualcosa però si sta muovendo. In Italia i centri esistenti funzionano bene, altri stanno nascendo, per cui è ragionevole attendersi, insieme al raggiungimento degli standard internazionali, anche un netto miglioramento nella percezione dei pazienti. La mia esperienza dimostra che i malati inviati oggi al centro di cura del dolore non sono più a un punto di disperazione tale da invocare la morte, e, nei pochi in cui ciò accade, tale sentimento scompare all’inizio del trattamento. L’Istituto tumori di Milano è una struttura di eccellenza, dove tutto il percorso terapeutico può essere portato avanti nei vari servizi disponibili internamente. Ciò non è sempre possibile in altre strutture. La sfida nel prossimo futuro sarà quella dell’integrazione dei servizi, in modo che il paziente e i familiari non siano lasciati soli davanti a un problema come il dolore”. C’è anche chi ritiene che sia importante continuare la battaglia. “Qualcosa si sta muovendo, è vero, ma l’Italia è un Paese in cui se ci si distrae un attimo tutto si ferma, e fermarsi, in questo campo, vuol dire rimanere indietro” avverte Mandelli. “Non si tratta solo di non abbassare la guardia, ma di continuare a lottare per una medicina che sia davvero un ‘prendersi cura’ del malato. Curare la malattia non basta, se il dolore logora, insieme al corpo, anche l’equilibrio morale e psichico di chi già sta lottando contro il cancro. Occuparsi della sofferenza del paziente è un dovere del medico ed è triste, ma necessario, doverlo ribadire ogni volta. Ogni giorno sperimentiamo l’ingiustizia di una tale sofferenza aggiuntiva. Riteniamo però che le cure per il dolore dovrebbero essere fatte in un ambiente più familiare e che si debbano mettere a punto, come facciamo a Roma, programmi di assistenza a domicilio. Sono un po’ più difficili da gestire per i medici, ma alla fine ripagano su tutti i fronti”. Fondamentale ottobre 2007 15