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DISPERSIONE SCOLASTICA “Sapere, saper fare e saper essere

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DISPERSIONE SCOLASTICA “Sapere, saper fare e saper essere
DISPERSIONE SCOLASTICA
“Sapere, saper fare e saper essere nella dimensione scolastica:
verso nuove “comunità di ricerca”
A cura di: Fabiana Codiglioni
Il fenomeno dell'abbandono scolastico da parte degli studenti che frequentano le scuole secondarie di 2° grado
costituisce un "indicatore" significativo del "disagio" vissuto da molti ragazzi/e al momento del loro ingresso
nell'adolescenza; che coincide appunto con il passaggio dalla scuola media inferiore a quella superiore.
L'adolescenza è l'età che si configura come:
o Perdita del corpo infantile.
o Perdita del ruolo infantile.
o Perdita dei genitori dell'infanzia.
A tali perdite corrispondono:
o La conquista del corpo adolescenziale.
o La conquista di un ruolo adulto.
o La conquista di un incontro maturo con i genitori.
Il superamento delle "perdite" ed il perseguimento delle "conquiste" impongono agli adolescenti dei vissuti spesso
problematici che li rendono impulsivi, instabili, intransigenti e li pongono in atteggiamento di onnipotenza e di
opposizione. Tali "modi di essere" non sempre sono adeguatamente compresi e contenuti dagli adulti; accade allora
che l'adolescente sentendosi "emarginato" ed escluso dal mondo circostante e metta in atto meccanismi di "fuga" tra
i quali anche la decisione di abbandonare la scuola. Questo avviene soprattutto quando l'esperienza scolastica viene
vissuta come non rispondente al soddisfacimento dei bisogni e del desiderio di crescita umana e di socializzazione.
E' durante l'adolescenza che si verifica il passaggio dal COSA PENSO al COSA SENTO cioè dal PENSIERO alle
EMOZIONI. E' importante che ciò avvenga con equilibrio perché, in caso contrario, nascono i conflitti e da questi
forme di disagio di varia natura che impediscono il benessere e la realizzazione piena della perso na.
Gli adolescenti vanno dunque aiutati a "guardarsi dentro", perché possano comprendere che le proprie sensazioni
ed emozioni sono cosa diversa dai propri pensieri; se aiutiamo i nostri ragazzi a "guardarsi dentro" li educhiamo ad
ascoltare le emozioni, a fare contatto con il mondo interiore, in definitiva li aiutiamo a capire e a conoscersi meglio.
A questo punto saranno in grado di riscoprire quali sono i bisogni fondamentali e se, gli educatori saranno
promotori del soddisfacimento di tali bisogni allora i giovani "cresceranno", e svilupperanno una personalità che li
farà essere adulti realizzati e felici.
Gli adolescenti sentono forte il bisogno di affetto; il bisogno sessuale, che si può soddisfare aiutandoli ad accettare il
proprio corpo ed a superare gradualmente la solitudine e la paura dell'altro sesso; il bisogno di "struttura" cioè la
necessità di organizzarsi il tempo, il lavoro (anche quello legato alla scuola), la vita; il bisogno di indipendenza cioè
dell'autonomia delle proprie realizzazioni; il bisogno di stimoli, il bisogno di riconoscimento. In particolare per il
soddisfacimento di questi ultimi due : bisogno di stimoli e di riconoscimento, la scuola assume un ruolo
fondamentale per la "crescita" degli adolescenti, nella consapevolezza che il bisogno di "riconoscimento" può essere
soddisfatto con il DIALOGO.
Le Cause della dispersione scolastica
Per comprendere nel modo più puntuale possibile le cause all'origine del fenomeno della dispersione, sono stati
promossi incontri con gli insegnanti interessati al problema e con gli studenti; sono state inoltre esaminate le
schede sull'argomento, compilate dai docenti referenti impegnati nell'attività dei Centri di informazione e
consulenza (C.I.C.).
Il risultato di tale lavoro di approfondimento del fenomeno porta ad individuare, come determinanti l'abbandono,
le motivazioni sotto elencate.
La suddetta elencazione non è casuale ma segue un ordine in cui, partendo dalle cause individuate con maggiore
frequenza, si arriva a quelle di minore incidenza:
1. Lacune nella preparazione di base.
2. Scarso orientamento nella scuola media.
3. Insufficiente motivazione allo studio fin dall'ingresso (in particolare negli istituti professionali).
4. Scarso sostegno e coinvolgimento delle famiglie alla vita scolastica dello studente.
5. Eccessivo carico di lavoro e difficoltà di adattamento ai ritmi di studio (in particolare nei licei ed istituti
magistrali).
6. Caduta di motivazioni (soprattutto nel triennio) riconducibile all'incertezza e alla precarietà dello
inserimento nel mondo del lavoro (in particolare negli istituti professionali ed industriali).
7. Problemi di inserimento nella prima classe rapportabili anche a difficoltà di relazione con gli adulti.
8. Difficoltà nell'acquisizione di una corretta metodologia di studio.
9. Mancanza o insufficienza dello "star bene in classe".
10. Insufficiente attenzione da parte di alcuni consigli di classe ai bisogni di "crescita integrata" degli studenti.
11. Numero eccessivo di alunni nelle prime classi.
12. Eccesso di aspettative da parte dei genitori (in particolare nei licei).
13. Non corrispondenza tra età anagrafica e classe frequentata a causa di ripetenze.
14. Scarsa continuità didattico-educativa tra scuola media inferiore e superiore.
15. Carente livello socioculturale delle famiglie.
Le strategie di intervento
Individuate le cause dell'abbandono scolastico si impone la messa a punto di strategie di intervento al fine di
prevenire, contenere e quindi eliminare il fenomeno.
Dalla lettura delle motivazioni all'origine della dispersione appare evidente come prioritario lo scarso orientamento
nella scuola media. Secondo la definizione dell'UNESCO, "orientare" significa porre l'individuo in grado di
prendere coscienza di sé e di progredire con gli studi e la professione relativamente alle mutevoli esigenze della
vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona.
Sulla base di tale accezione del concetto di "orientare" è auspicabile che nella scuola media inferiore vengano
realizzati progetti di orientamento che consentano agli studenti di:
♦ approfondire la conoscenza di sé e delle proprie capacità ed attitudini
♦ conoscere i piani di studio degli istituti superiori e i relativi sbocchi professionali
♦ conoscere i percorsi formativi extra scolastici
♦ accrescere le capacità di decidere da soli.
Ulteriore causa, non secondaria, di abbandono scolastico risultano essere le lacune presenti nella preparazione di
base; ferma restando la necessità della riforma della scuola media superiore, non rimane che programmare sulla
base di obiettivi prefissati i contenuti indicati dai programmi ministeriali della scuola di base; tali contenuti non
dovranno essere intesi come semplici conoscenze da somministrare, ma dovranno anche essere soggetti alla verifica
del conseguimento di un valido metodo di lavoro. Al fine di approfondire la conoscenza delle metodologie, nonché
delle finalità relative a ciascun tipo di scuola, proficuo sarà programmare incontri periodici e continuativi tra i
docenti dei vari ordini di scuole.
Per prevenire e/o contenere le altre cause di abbandono indicate, un ruolo fondamentale deve essere svolto dal
Consiglio di classe .
Afferisce, infatti, a tale organismo il compito di:
• Acquisire le informazioni utili alla miglior conoscenza della "personalità" degli studenti in modo tale che sia
possibile rispondere ai bisogni di "crescita integrata" degli stessi, mediante questionari che, compilati agli
allievi in entrata, forniscano notizie sulla vita personale dei medesimi.
• Promuovere incontri con gli insegnanti della scuola media di provenienza finalizzati alla migliore
conoscenza dell'alunno in ordine alle caratteristiche personali ed al livello delle conoscenze acquisite, onde
garantire una reale continuità didattico educativa.
•
Rendere meglio sostenibili gli impegni di studio in considerazione dell'età degli studenti e dei loro tempi di
apprendimento.
• Osservare i comportamenti che possono indicare una caduta di motivazione allo studio quali frequenze
irregolari, carenza d'interesse, scarso coinvolgimento nelle attività della classe, e promuovere tutte le
iniziative utili a favorire il recupero motivazionale.
• Attivare i corsi di sostegno, almeno per le prime classi nel periodo fine ottobre primi di novembre, in modo
da aiutare gli studenti a superare le difficoltà di natura didattica.
La prevenzione dell'abbandono scolastico è anche compito di ogni singolo docente, il quale dovrà:
→ favorire relazioni interpersonali positive tra i componenti il gruppo-classe
→ promuovere momenti di incontro sia con il gruppo-classe che con gli studenti singolarmente, in modo tale
che attraverso il dialogo libero ed informale si favoriscano la conoscenza e la confidenza reciproca.
Inoltre per incrementare il "piacere di frequentare la scuola" in quanto condizione indispensabile perché gli
studenti non la abbandonino, è necessario curare la composizione delle classi prime tenendo conto della tipologia
degli alunni sia in ordine alla provenienza sociale -territoriale sia in rapporto alle risultanze del rendimento e del
profitto pregressi adottando come criterio quello della più ampia eterogeneità.
Infine, riflettendo sulle cause dell'abbandono riconducibili a difficoltà di tipo relazionale (mancanza o insufficienza
dello "star bene in classe", numero eccessivo di alunni nelle prime classi, eccesso di aspettative da parte dei genitori,
mancata corrispondenza tra età anagrafica e classe frequentata a causa di ripetenze), l'attivazione di "gruppi di
incontro" appare come l'ipotesi di intervento ideale, soprattutto se pensati e realizzati come insiemi composti da
studenti di età diversa. In questo ultimo caso, infatti il "gruppo di incontro" rappresenterebbe il punto di
riferimento costante anche per gli studenti ripetenti, i quali perderebbero sì il gruppo classe ma non il "gruppo di
incontro".
Operativamente, per la conduzione dei gruppi di incontro, potrebbero essere coinvolti i docenti e gli studenti che
operano nei C.I.C.,e che in tale attività assumerebbero il ruolo di "tutors".
Premesso che per assolvere all'impegno di "conduttore di gruppo", sia gli studenti–tutors che i docenti dovranno
essere opportunamente formati, tale modalità operativa significherebbe la creazione di "tempi e spazi di incontro"
durante i quali gli studenti avrebbero l'opportunità di "raccontarsi". Verbalizzando le emozioni ed i sentimenti essi
potranno confrontarsi e condividere gli stati d'animo e le storie personali aiutandosi reciprocamente a superare le
eventuali difficoltà di ordine esistenziale.
Per introdurre, nelle scuole secondarie di 2° grado, la metodologia dei "gruppi di incontro" da prevedere
eventualmente nelle ore pomeridiane, appare utile l'applicazione della direttiva del Ministero della Pubblica
Istruzione n. 133 del 3/4/1996 che all'art. 1 recita:
"... le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell'ambito della propria autonomia, definiscono, promuovono e
valutano, in relazione all'età ed alla maturità degli studenti, iniziative complementari ed integrative nell'iter
formativo degli allievi, la creazione di occasioni e spazi di incontro da riservare loro, le modalità di apertura della
scuola alle domande di tipo educativo e culturale provenienti dal territorio, in coerenza con le finalità formative
istituzionali".
"Strategie di intervento" così articolate, che vedono parte attiva le componenti scolastiche: dai docenti
singolarmente, ai consigli di classe ed ai C.I.C., nella "lotta all'abbandono scolastico" garantirebbero non solo il
perseguimento dell'obiettivo di arginare questo fenomeno ma, anche la risposta complessiva ai bisogni di crescita
integrata degli studenti e la promozione del loro benessere fisico, psichico e relazionale.
Saper Apprendere
L'unico vero viaggio di esplorazione non consiste nell'andare in posti nuovi, ma nell'avere altri occhi.
Marcel Proust
Il "saper apprendere" è un concetto utile e produttivo che merita di entrare a far parte dei nuovi curricoli e di essere
dunque esplicitato in termini di obiettivi selezionati e organizzati.
In quest'ottica si individuano cinque criteri che possono aiutarci a definire questo nuovo curricolo sottolineando i
risvolti metodologici.
1. Saper apprendere: strategie, conoscenze, atteggiamenti.
Da anni ormai si parla di abilità di studio, di strategie di apprendimento, di autonomia dello studente. Da qualche
tempo la categoria concettuale del "saper apprendere" è stata anche riconosciuta in programmi e documenti
"ufficiali", fino ad essere citata espressamente nel Quadro generale di riferimento del Consiglio d'Europa, dove
viene associata strettamente ai più classici sapere, saper fare, saper essere.
Dunque il saper apprendere è, in un certo senso, l'ultimo nato dei vari saperi, e, in questa proliferazione di
categorie, sembra opportuno chiederci se si tratti di un concetto utile perché indipendente o se, al contrario, si
sovrapponga in qualche modo agli altri ad esso associati.
Certamente il saper apprendere implica, in primo luogo, delle competenze, delle strategie. Può trattarsi di strategie
cognitive, che ci aiutano a rielaborare le informazioni (parliamo allora, ad esempio, di inferenza, di associazione, di
classificazione).
Può trattarsi di strategie metacognitive, strategie che ci aiutano ad auto-gestirci nel nostro apprendimento, e allora
parliamo, ad esempio, di pianificazione, di controllo, di autovalutazione. Può anche trattarsi di strategie socioaffettive, con cui cerchiamo di gestire il rapporto con noi stessi e con gli altri. Può infine trattarsi di strategie di
comunicazione e di compensazione, con cui cerchiamo di ridurre al minimo gli inconvenienti della nostra limitata
competenza linguistica e socioculturale, sfruttando nello stesso tempo al massimo le nostre potenzialità
comunicative. In ogni caso abbiamo a che fare con modalità di comportamento concrete e operative, cioè, in
definitiva, con un saper fare.
Ma tutto questo non basta a definire la persona che sa imparare. Si intuisce che dietro un uso produttivo di strategie
c'è ben altro, a cominciare da un insieme di conoscenze. Ognuno possiede delle conoscenze, innanzitutto, sui
contenuti della disciplina che sta imparando, nel nostro caso sui concetti di lingua, di comunicazione e di cultura.
Queste conoscenze possono anche esistere al livello di convinzioni ingenue, intuitive, e non necessariamente
consapevoli, su che cos'è una lingua, come funziona, a che cosa serve, come si usa. Ma ognuno possiede anche delle
conoscenze sui metodi della disciplina che sta imparando, nel nostro caso sui modi di acquisizione e apprendimento
di una lingua. Anche in questo caso, può trattarsi di convinzioni più o meno consapevoli su come si impara una
lingua, su che cosa può facilitarne o ostacolarne l'apprendimento, su quali caratteristiche personali entrano in gioco
(1).
Queste convinzioni di carattere generale sulla lingua e sull'apprendimento sono strettamente associate a parallele
convinzioni che ciascuno di noi ha su se stesso in quanto persona e in quanto persona che impara.
Le conoscenze personali sono un fattore essenziale del saper apprendere, sono un sapere un po' particolare che non
è mai neutro, ma anzi, influenza in modo più o meno diretto atteggiamenti, valori, aspettative e motivazioni. Le
conoscenze come convinzioni o "rappresentazioni mentali", condizionano la percezione che si ha delle proprie
capacità e del proprio ruolo come persona che impara: funzionano, insomma, da filtro cognitivo e affettivo (2).
In definitiva saper apprendere implica anche degli atteggiamenti adeguati, ossia un saper essere. Esso è connaturato
agli altri saperi (3).
Saper apprendere implica l'uso di strategie.
Il valore trasversale di queste strategie, delle convinzioni e degli atteggiamenti associati, non è spesso riconosciuto
nella tradizione storica del nostro sistema, non è mai stato previsto un programma sistematico, esplicito e continuo
di sviluppo di questi elementi.
Tutto questo giustifica un posto di prim'ordine agli elementi del saper apprendere.
2. Cinque criteri per un curricolo.
Definire una disciplina o un settore di conoscenze e competenze significa identificare, selezionare, graduare e
organizzare degli obiettivi e dei contenuti nel tempo, nello spazio e rispetto alle risorse umane e materiali.
Ci possono essere cinque criteri di base adeguati a definire e organizzare un curricolo di processi di apprendimento
più che di contenuti:
v Flessibilità
v Integrazione
v Operatività
v Trasferibilità
v Ricorsività
Flessibilità
Ognuno impara in modo diverso , unico e irripetibile. Da una parte c’è la necessità di riconoscere e favorire le
differenze individuali, gli stili di apprendimento personali, i cambiamenti che le persone, specialmente i giovani,
sperimentano in tempi anche molto brevi e dall'altra la necessità di fornire dei modelli, delle proposte, delle
possibilità di scelta (4).
Un curricolo per il saper apprendere non può imporre modi di fare, di sapere, di essere; può però fornire occasioni
sistematiche di scoperta dei propri modi di imparare (5). Distinguiamo allora tra obiettivi ritenuti fondanti e modi
individuali di raggiungerli.
In questo senso il curricolo potrà essere molto ricco e variato, ma, nello stesso tempo, molto aperto alla
negoziazione e alla mediazione (Voller 1997: 108-111).
Flessibilità significa dunque creare le condizioni perché ognuno possa scoprire la propria personale "costellazione di
strategie".
Integrazione
Come abbiamo già visto, saper apprendere significa attivare contemporaneamente strategie , convinzioni e
atteggiamenti. Credo Non basta insegnare delle tecniche per far cambiare dei comportamenti e allora lo sforzo deve
andare anche nella direzione del sapere e del saper essere, e, in particolare, della scoperta e continua rimessa in
discussione delle rappresentazioni mentali che gli studenti hanno della lingua, dell'apprendimento e di se stessi
(Holec 1996).
Per cambiare i modi di imparare occorre dunque proporre delle strategie, ma questa è solo la punta dell'iceberg,
perché occorre nello stesso tempo affrontare il sommerso delle convinzioni e degli atteggiamenti.
Operatività
Il legame strettissimo che lo studente deve percepire tra il saper apprendere e il contenuto di ogni curricolo
disciplinare spiega che cos’è l’operatività. Ciò significa che usare del tempo prezioso per imparare a imparare deve
essere percepito come un investimento vantaggioso perché, in concreto, aiuta a vivere meglio lo studio e la vita a
scuola, migliorando il proprio rendimento. La scelta degli obiettivi e dei contenuti del saper apprendere dipende
dalla rilevanza rispetto ai problemi effettivamente vissuti da chi sta imparando (6).
Questo non è solo un criterio di efficienza, per così dire, economica, del tipo "massimo rendimento col minimo
sforzo". C'è una ragione più profonda dietro tutto ciò, e cioè il possibile ruolo motivazionale delle strategie.
L'uso delle strategie può migliorare il proprio senso di auto-efficacia e di auto-controllo, e dunque la propria
motivazione, a condizione che l'uso sia accompagnato da una presa di coscienza delle ragioni per l'uso e dei benefici
ottenuti (McCombs 1988, Berbaum 1991).
Questo fa pensare che operatività significa fare esperienze concrete ma, nello stesso tempo, esplicite e trasparenti di
modi di imparare (Mariani 1992a, Westhoff 1993, Mariani 1996).
Tuttavia l'esperienza concreta in sé non è sufficiente se non è accompagnata da una riflessione esplicita e
trasparente su quanto si è fatto in concreto. Non è così difficile fare una buona esperienza, ma è molto più difficile
trarre dall'esperienza un significato che la trascenda e si generalizzi e si trasferisca ad altre esperienze future.
Questo è il ruolo della riflessione, o meglio, del ciclo "esperienza - riflessione - nuova esperienza - nuova
riflessione": faccio, penso, verbalizzo e discuto come ho fatto, e rifaccio con una nuova competenza più efficiente
perché più consapevole (7).
Trasferibilità
La trasferibilità è un'estensione dell’operatività. Uno dei criteri per scegliere un obiettivo del saper apprendere
piuttosto che un altro, cioè per stabilire delle priorità, è il grado di generalizzabilità dell'obiettivo - o, detto in altri
termini, la misura in cui una strategia, una convinzione, un atteggiamento possono trasferirsi ad altri contesti
rispetto a quello in cui sono stati inizialmente considerati.
L'utilizzo delle conoscenze e delle competenze pregresse, comprese quindi, per esempio, le regole, i copioni, gli
schemi, è associato ad un ruolo attivo della mente, e quindi alla convinzione che le risposte ai problemi, in un certo
senso, sono già in parte dentro di sé: dunque vi è associato un atteggiamento di disponibilità, cognitiva ma anche
affettiva, ad agire responsabilmente, ad essere protagonisti del proprio apprendimento.
La trasferibilità può quindi operare all'interno di ogni curricolo disciplinare come attraverso i curricoli delle varie
discipline.
Il saper apprendere non può risolversi tutto nella sua natura trasversale, perchè esistono strategie che si possono
applicare in tutte le discipline, ma esistono anche strategie che in certe discipline hanno una valenza particolare.
Dunque l'integrazione trasversale dovrà accompagnarsi all'attenzione alle specifiche esigenze disciplinari.
Ricorsività
La ricorsività consiste semplicemente nell'applicare al curricolo del saper apprendere quell'approccio a spirale che
spesso caratterizza i curricoli disciplinari, a partire proprio da quelli linguistici. E' ormai una prassi consolidata
proporre un contenuto linguistico, ad esempio una determinata forma verbale, o ancor più una certa abilità, non
una sola volta per tutte, ma a più riprese, "riciclandola", per così dire, a livelli sempre più approfonditi e complessi.
Se facciamo questo per i contenuti di un programma linguistico, a maggior ragione possiamo farlo per un
programma che consiste essenzialmente nello sviluppo di processi. Questo criterio diventa ancora più significativo
se pensiamo che molte strategie possono e devono essere sviluppate nell'arco di anni, e quindi, in verticale,
attraverso vari cicli o livelli scolastici, in modo da essere progressivamente affinate in base all'età e alla maturazione
cognitiva e affettiva degli studenti.
Esistono due malintesi di base: che il saper apprendere consista soprattutto in un addestramento all'uso di strategie,
e che queste strategie debbano necessariamente avere un'alta densità metacognitiva, ossia comportino livelli molto
elevati di metacognizione e di metalinguaggio, cioè di consapevolezza e di capacità di verbalizzare con una
terminologia adeguata.
Riguardo al primo di questi malintesi, è importante ricordare che saper apprendere non si risolve solo nell'acquisire
strategie, ma comporta un'attenzione parallela alle convinzioni e agli atteggiamenti, cioè a componenti che non
sono solo cognitive, ma investono la globalità della persona, e anzi, chiamano in causa in primo luogo fattori sociali
e affettivi, che a tutte le età hanno una rilevanza primaria. Riguardo al secondo malinteso, e cioè il timore di
proporre attività metacognitive troppo complesse, il problema si risolve proprio applicando la ricorsività, lo
sviluppo a spirale, il "riciclaggio" continuo (8).
3. Prevedere l'imprevedibile?
Un curricolo di processi è il tentativo di prevedere, descrivere, organizzare qualcosa che per tanti versi non è
prevedibile, né descrivibile, né organizzabile. Troppi elementi sono in gioco, troppe sono le possibili relazioni tra
questi elementi, troppa la complessità globale del sistema perché possiamo abbandonarci alla struttura rassicurante
di un curricolo. La teoria del caos, o della complessità, ci ricorda l'ormai famoso "effetto farfalla", citato persino in
Jurassic Park: una farfalla che sbatte le ali a Pechino può influenzare il clima di New York (Crichton 1991: 76; vedi
anche Larsen-Freeman 1997) (9).
In un sistema dove ogni piccolo evento può condizionare i processi globali, una discussione in classe, un piccolo
questionario, un'attività di riflessione, un'esperienza di lavoro di gruppo, possono introdurre un elemento di sana
"turbativa" e magari dare l'avvio a cambiamenti piccoli ma che si sviluppano nel tempo.
Qualche slogan sentito in giro negli ultimi anni ha forse colto lo spirito di questa cultura dei "piccoli passi":
"Think small"
"Think globally, act locally"
"Pensa in piccolo", ma anche "Pensa su scala globale, agisci su scala locale"
e una vecchia poesia popolare (citata da van Lier 1996: 86) ribadisce il valore del "piccolo":
For want of a nail
The shoe was lost;
For want of a shoe
The horse was lost;
For want of a horse
The rider was lost;
For want of a rider
The battle was lost;
For want of a battle
The kingdom was lost;
And all for the want
of a horse-shoe nail.
Per mancanza di un chiodo
Si perse il ferro di cavallo;
Per mancanza di un ferro
Si perse il cavallo;
Per mancanza di un cavallo
Si perse il cavaliere;
Per mancanza di un cavaliere
Fu persa la battaglia;
Per mancanza di una battaglia
Fu perso il regno;
E tutto per la mancanza
di un chiodo per ferro di cavallo.
4. Nuovi ruoli per il saper insegnare
Si evidenzia sempre più il ruolo degli insegnanti come esperti-consulenti-mediatori di procedure di
apprendimento, che propongono e negoziano con gli studenti, in modo che a tutti venga offerta la possibilità di
conoscere tante opzioni per poter imparare a scegliere, e dunque a costruirsi il proprio personale saper apprendere
(10).
L'integrazione propone una visione del lavoro del docente, prima ancora che del lavoro dello studente, come
sviluppo globale di persone-educatori: persone che cambiano nel tempo anche grazie alle strategie, alle convinzioni
e agli atteggiamenti di cui sanno diventare consapevoli.
L'operatività induce a sottolineare il ruolo di osservatori attenti degli insegnanti. Ciò significa rendere più esplicito
e trasparente, attraverso la riflessione, il significato delle esperienze.
Colui che insegna diventa connettore trasversale" di conoscenze e di competenze, per far ritrovare il filo
conduttore delle proprie esperienze a scuola sia ai propri studenti, sia ai propri colleghi. Occorre lavorare in un
approccio a spirale, e perciò avere un occhio clinico, per saper diagnosticare e monitorare i continui cambiamenti
come processo di “sperimentazione clinica continua”.
La ricchezza e la complessità di questi ruoli, in un certo senso a noi familiari, per altri versi invece magari intriganti
e disorientanti, ci può lasciare perplessi. Da una parte sentiamo l'esigenza e l'urgenza del cambiamento, dall'altra
parte capiamo che questo cambiamento è innanzitutto dentro di noi e nei rapporti con le persone, dunque è un
cambiamento che richiede i suoi tempi.
Talleyrand diceva: "Doucement, je suis pressé", citato in de Vecchi (1992: 221), che aggiunge:
"Cambiare non significa gettare via tutto e sostituirlo con tutt'altro. Ci si può evolvere cominciando col
riorganizzare in maniera diversa ciò che esiste già nella propria testa ..."
"Ciò che esiste già nella propria testa ..." - non andare in posti nuovi, ma avere altri occhi, come diceva Proust. E
come scrisse T.S.Eliot (Four Quartets):
We shall not cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time.
Non cesseremo di esplorare
E la fine di tutte le nostre esplorazioni
Sarà di arrivare dove siamo partiti
E conoscere quel luogo per la prima volta.
Note
(1) Holec (1996: 95-98) insiste sull'importanza delle convinzioni e degli atteggiamenti in un programma di
preparazione degli studenti all'autonomia, e identifica nell'analisi delle rappresentazioni mentali degli studenti
riguardo alla lingua, alla cultura e all'apprendimento la fase più delicata dell'intero processo.
(2) Wenden (1991:52) chiarisce che gli atteggiamenti hanno una componente cognitiva (convinzioni, percezioni,
informazioni sull'oggetto dell'atteggiamento), una componente valutativa (l'oggetto in questione può evocare
piacere o dispiacere, accordo o disaccordo, approvazione o disapprovazione) e una componente di comportamento
(in quanto predispongono la persona ad agire in un certo modo). Tra i fattori che condizionano un apprendimento
di tipo autonomo, Sheerin (1997: 57) elenca sia la predisposizione a che l'abilità di: 1) analizzare i propri punti di
forza e di debolezza e i propri bisogni linguistici; 2) porsi obiettivi realizzabili, sia generali che specifici; 3) stendere
un programma di lavoro per raggiungere gli obiettivi stabiliti; 4) compiere scelte riguardo ai materiali e alle attività;
5) lavorare senza supervisione; 6) valutare i propri progressi.
(3) Il Quadro comune di riferimento indica inoltre che "il saper apprendere deve anche essere inteso come
sapere/essere disposto a scoprire l'altro, che si tratti di un'altra lingua, un'altra cultura, altre persone, nuove
conoscenze" (Common European Framework/Cadre Européen Commun: 12).
(4) Nel considerare i fattori di carattere più strettamente personale entrano in gioco delicati problemi di natura
etica e pedagogica, che il Quadro comune di riferimento esemplifica come segue: "in che misura lo sviluppo della
personalità può essere un obiettivo educativo esplicito; come conciliare il relativismo culturale con l'integrità
morale ed etica; quali tratti della personalità a) facilitano b) ostacolano l'apprendimento e l'acquisizione di una
lingua straniera o seconda; come aiutare i discenti a sfruttare le loro forze e a superare le loro debolezze; come
conciliare la diversità delle personalità con le limitazioni che subiscono e che impongono i sistemi educativi"
(Common European Framework/Cadre Européen Commun: 48; sulle differenze individuali nell'uso delle strategie
cfr. anche pp. 77-78).
(5) Waystage 1990 focalizza questo aspetto relativamente alle strategie di compensazione: "Per alcuni l'abilità di far
fronte [a richieste comunicative impreviste] è connaturata. In qualche modo essi ce la fanno, per quanto carenti
siano nell'abilità o nella conoscenza delle forme "appropriate" della comunicazione. La maggior parte delle persone,
tuttavia, trarranno grande beneficio dal ricevere, nel corso del loro processo di apprendimento, ampie opportunità
di sviluppare le loro abilità a questo riguardo. Non si tratta sostanzialmente di "insegnare" loro come fare a farcela,
ma di condurli a sviluppare le proprie strategie. Anche se certe strategie e tecniche possono quasi certamente essere
utili a chiunque, occorre lasciare il più ampio spazio alle differenze individuali corrispondenti a differenze di
personalità" (van Ek e Trim 1991a: 64). Per lo stesso problema visto nell'ottica delle differenze culturali, si veda
Pennycook (1997: 35).
(6) Questo rimanda alla questione del rapporto tra il curricolo del "saper apprendere" e i curricoli disciplinari, con
particolare riferimento al livello di integrazione reciproca: Holec (1996: 98-100 e 105-107), ad esempio, discute
vantaggi e svantaggi del fornire una formazione al "saper apprendere" indipendente dal curricolo disciplinare,
integrata con questo o mista. Si veda anche Mariani 1992b.
(7) Questo è anche il ruolo riconosciuto alla metacognizione. Doly (1997: 24-25), ad esempio, ricorda che "occorre
che il soggetto operi delle esperienze metacognitive … per permettere un controllo sulla sua attività in modo tale
che possa comprendere ed esplicitare i rapporti tra le procedure utilizzate, lo scopo prefissato e la prestazione
realizzata … Occorre anche … che il soggetto operi una "rielaborazione del contenuto delle sue esperienze
metacognitive ad un livello concettuale astratto" … una rielaborazione esplicitabile, decontestualizzata e operata
dal soggetto, che deve così passare da un livello descrittivo e cronologico delle sue procedure ad un livello
esplicativo, logico e riformulato in termini generalizzabili …".
(8) Sul ruolo della metacognizione il Quadro comune di riferimento non sembra compiere scelte particolari, ma si
limita ad elencare le possibili opzioni a disposizione: "Le attitudini dei discenti allo studio e alla scoperta e la loro
accettazione della responsabilità che essi hanno del loro proprio apprendimento possono essere sviluppati: "a)
semplicemente come un sotto-prodotto dell'insegnamento e dell'apprendimento delle lingue, senza altre
pianificazioni o disposizioni, oppure b) tramite il progressivo trasferimento della responsabilità dell'apprendimento
dall'insegnante all'allievo/studente e l'incoraggiamento della riflessione, oppure c) per mezzo di un lavoro
sistematico sulla presa di coscienza da parte del discente del processo di insegnamento/apprendimento del quale
egli è parte in causa, oppure d) invitando i discenti a partecipare alla sperimentazione di approcci metodologici
diversi" ((Common European Framework/Cadre Européen commun: 113-114). Ancora più espliciti sono Waystage
1990 e Threshold Level 1990: nello specificare gli obiettivi dell'"imparare a imparare", entrambi i documenti
sembrano anzi mettere un po' in ombra il ruolo della metacognizione e considerarla come un accessorio non
indispensabile: "Parecchi degli [obiettiv i dell'"imparare a imparare"] sono formulati come "i discenti sono
consapevoli di ...". Ciò permette ovviamente diversi gradi di consapevolezza, e non implica alcun tentativo di
rendere operativo questo concetto. Questo significa semplicemente che, a nostro avviso, i corsi destinati a portare al
livello Waystage/Threshold dovrebbero fornire ai discenti l'opportunità di sviluppare la relativa consapevolezza
senza, tuttavia, esigere niente di specifico dai discenti a questo riguardo" (van Ek e Trim 1991a: 71; van Ek e Trim
1991b: 117).
(9) E tuttavia, come nota Richterich (1996: 49), una delle funzioni essenziali delle strategie, paradossalmente, è di
fornire strumenti per affrontare l'imprevedibile, ossia qualsiasi evento che modifichi lo spazio e il tempo, i
contenuti, l'insegnante e lo studente, e le relazioni tra tutti questi elementi. Agire strategicamente, in altre parole, è
anche saper improvvisare e immaginare per rispondere in modo adeguato alle continue sfide del cambiamento.
(10) Sul ruolo degli insegnanti nei confronti delle strategie di apprendimento, cfr. Williams e Burden (1997: 165) e
Westhoff (1993: 47); sui ruoli dell'insegnante che voglia favorire l'autonomia, cfr. Breen e Mann (1997: 145-148),
Voller (1997: 102-106) e Holec (1996: 92-93).
Appendice
Sono qui di seguito proposti alcuni repertori che possono risultare utili per la definizione di un curricolo per il
"saper apprendere".
Il carattere di questi repertori è esclusivamente descrittivo, ed il loro uso è limitato al riferimento ed alla
consultazione: non rappresentano né un elenco chiuso ed esaustivo, né un insieme di contenuti prescrittivi. Un
curricolo per il "saper apprendere", infatti, ha senso solo se costituisce uno strumento, per l'insegnante e per lo
studente, per scoprire gradualmente il proprio modo, unico perché personale, di imparare.
Entro i limiti appena citati, i repertori possono costituire un utile strumento di esplicitazione e descrizione di
obiettivi: un punto di partenza per un confronto più "trasparente" tra insegnanti e con gli studenti per negoziare
percorsi, individuali e di classe, che rafforzino il senso di continuità dell'"imparare a imparare", sia in senso
orizzontale (attraverso le discipline) che in senso verticale (attraverso i cicli di istruzione).
STRATEGIE DI ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI (Strategie cognitive)
∗ Associazione: collegare le nuove informazioni con le conoscenze pregresse
Esempi:
- raccogliere le idee ("brainstorming") prima di leggere o scrivere un testo
- farsi domande prima e durante la lettura di un testo
- creare "mappe mentali" di un argomento
- usare associazioni personali per "immagazzinare" e recuperare termini e concetti
∗
∗
Classificazione: identificare e applicare criteri di distinzione e raggruppamento di informazioni
Esempi:
raggruppare termini e dare un nome ad ogni gruppo (categorie ed elementi)
riconoscere categorie di testi analizzandone le caratteristiche
raggruppare le informazioni di un testo per categorie
-
Inferenza/Deduzione: utilizzare tutte le informazioni già disponibili per rispondere a quesiti o colmare
lacune di comprensione
Esempi:
applicare regole, formule, idee generali per interpretare o spiegare fatti e situazioni particolari
riconoscere relazioni implicite (presupposizioni, implicazioni)
prevedere il risultato di un'esperienza, le conseguenze di un'azione
utilizzare indizi linguistici ed extra-linguistici per
assegnare un testo ad un genere
"indovinare" il significato di parole sconosciute
ricostruire il significato di un testo
prevedere l'inizio, la continuazione, la fine di un testo
∗
Induzione: cercare elementi comuni e relazioni (regolarità, modelli) nelle informazioni - Esempi:
-
analizzare esempi, fatti, situazioni specifiche per ipotizzare e verificare "regole", concetti generali, modelli
esplicativi
∗
-
Attenzione selettiva: focalizzare l'attenzione su aspetti specifici delle informazioni - Esempi:
osservare in modo sistematico elementi particolari
utilizzare le caratteristiche tipografiche di un testo: titoli, sottotitoli, illustrazioni, didascalie, ecc.
individuare "parole chiave" (es. per ritrovare informazioni specifiche nella lettura "selettiva")
individuare "frasi topiche" (es. per ritrovare idee principali nella lettura "globale")
utilizzare indicatori linguistici (es. connettori che segnalano le relazioni logiche e l'organizzazione di un
testo)
∗
Ristrutturazione: stabilire relazioni significative tra le informazioni, allo scopo di integrarle nelle proprie
conoscenze
Esempi:
riconoscere sequenze di informazioni (identificare sequenze logiche e relativi argomenti)
distinguere tipi e livelli di informazioni in ogni sequenza (es. affermazioni generali da esempi, categorie
da elementi, strutture da componenti, processi da stadi, cause da conseguenze, fatti da opinioni, tesi da
argomentazioni)
selezionare le informazioni rilevanti in base a criteri esplicitati
scegliere modalità di evidenziazione (es. sottolineature e altri accorgimenti grafici, titolazioni)
riorganizzare le informazioni selezionate (es. "mappe mentali", schemi, tabelle, grafici, diagrammi;
riassumere collegando gli elementi evidenziati o riducendo il testo originale)
-
-
∗
-
Trasferimento : utilizzare conoscenze e abilità già acquisite
Esempi:
collegare quanto appreso con la realtà quotidiana
utilizzare la lingua materna per comprendere la lingua straniera
STRATEGIE DI AUTO-GESTIONE (Strategie metacognitive e socio-affettive)
∗ Pianificazione
Esempi:
- identificare le proprie esigenze di apprendimento, in relazione ai propri interessi e necessità
- scegliere obiettivi (a breve, medio, lungo termine) (es. costruzione di un proprio "vocabolario"; selezione
della lingua per scopi ricettivi piuttosto che produttivi)
- programmare le condizioni dell'apprendimento:- luoghi- tempi (programmazione orari, periodi di studio,
pause; scansione delle revisioni) - risorse necessarie (umane e materiali) - modalità di
monitoraggio/"feedback"
- identificare le caratteristiche dei compiti da svolgere:
· scopi (es. acquisizione di conoscenze, pratica di abilità, sviluppo di consapevolezza)
· richieste (es. prerequisiti)
· procedure/strategie (es. suddivisione in sotto-compiti; anticipazione/orientamento nella lettura e
nell'ascolto; generazione di piani nel parlato e nella scrittura)
· livello di difficoltà
∗ Controllo
Esempi:
− identificare problemi:
· nella comprensione durante l'ascolto o la lettura (es. ponendosi domande)
· nella produzione orale (es. verificando se l'interlocutore ha capito) o scritta (es. utilizzando una griglia di
monitoraggio)
− identificare la causa dei problemi (es. programmazione inadeguata, mancanza di conoscenze, attenzione
insufficiente)
− ipotizzare possibili soluzioni
∗
Valutazione
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Esempi:
analizzare e correggere gli errori
autovalutare ("imparare dall'esperienza") i propri risultati (prodotti), le strategie usate (processi) e
programmare modalità di eventuale recupero
Comprensione ed uso dei metalinguaggi ("discorso della classe" e "discorsi delle discipline")
Utilizzo e creazione di risorse esterne
Esempi:
organizzare il proprio quaderno
selezionare fonti di informazione e documentazione
utilizzare libri di testo (es. struttura e articolazione, indici generali e analitici, bibliografie)
utilizzare opere di consultazione (grammatiche, dizionari, enciclopedie, atlanti, manuali, ecc.) sfruttando il
linguaggio verbale e grafico-visivo (simboli, sigle e abbreviazioni; illustrazioni; mappe, tabelle, grafici,
diagrammi; ecc.)
creare proprie risorse (es. rubriche di vocaboli, schede grammaticali, sintesi di regole, elenchi di termini o
formule, ecc.), anche per immagazzinare, organizzare e riutilizzare nuove acquisizioni (es. vocaboli,
concetti, riferimenti)
sfruttare occasioni di esperienze extra-scolastiche (es. giornali, riviste, programmi televisivi, video,
programmi informatici, Internet, posta elettronica, visite, incontri, corrispondenti, ecc.)
Strategie socio-affettive
Esempi:
ricorrere ai compagni, agli insegnanti, ad altre figure di sostegno
identificare le strategie utilizzate da altri e aggiungerle al proprio repertorio
chiedere di essere corretti, chiedere un "feedback"
ricorrere a tecniche per auto-motivarsi, ridurre lo stress, ecc.
STRATEGIE DI COMPENSAZIONE/COMUNICAZIONE
(con particolare riferimento alla lingua straniera)
∗
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Dedurre significati sulla base di elementi già conosciuti quali:
meccanism i di formazione delle parole (radici, prefissi, suffissi; parole composte)
meccanismi morfologici e sintattici
parole straniere simili a parole italiane (con la dovuta attenzione ai cosiddetti "falsi amici")
"parole internazionali"
contesto
∗
Ottenere aiuto
Esempi:
segnalare che non si è capito
chiedere di ripetere, confermare, spiegare, dare esempi, parlare più lentamente
ripetere o parafrasare ciò che si è capito per ottenere un "feedback" dall'interlocutore
dire che non si è in grado di dire qualcosa; chiedere come si dice qualcosa
chiedere se si è stati capiti
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∗
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Adattare il messaggio
Esempi:
usare approssimazioni (sinonimi e contrari, sovraordinati, "parole generali", esempi, parafrasi, definizioni,
descrizioni)
Usare strategie di conversazione
Esempi:
tenere aperta la conversazione; mostrare interesse; incoraggiare l'interlocutore a parlare
−
−
usare "parole di riempimento", frasi fatte, tattiche per prendere tempo
scusarsi per non conoscere elementi dei codici di comportamento stranieri (anche facendo riferimento ai
propri e chiedendo consiglio)
∗
Usare fattori paralinguistici (accento, ritmo, intonazione) ed extra-linguistici (linguaggi non-verbali: es.
gesti, espressioni del viso, disegni)
Esempi:
per indicare un oggetto
per esprimere sentimenti, accordo e disaccordo, ecc.
−
−
Le indagini sociologiche
Nella Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia (Giugno 2004) si evidenzia l’abbassamento
dell’età di incontro con le sostanze di abuso in particolare marijuana e alcool, scesa in molti casi fino al limite dei
12-13 anni di età. Mentre dall’analisi, contenuta dal 4° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e
dell’adolescenza (Agosto 2004), realizzato dall’Eurispes in collaborazione con Telefono Azzurro, emerge che il 28%
di adolescenti italiani consuma sostanze stupefacenti di diversa natura e pericolosità. Una percentuale che, tradotta
in cifre, significa che un ragazzo su quattro fa uso di droghe e alcolici e che il problema della droga è dentro le
mura di casa di circa 700mila famiglie italiane.
La sofferenza relazionale
Cresce in Italia il consumo di farmaci (antidepressivi, sedativi, ansiolitici) che raggiunge il suo picco nella fascia
d’età tra i 20/25 anni . Siamo uno dei più grandi consumatori di ansiolitici nel mondo (800 Miliardi spesi nel '99) e
recenti dati dicono che oltre il 9% dei ragazzi tra i 9 e i 15 anni soffre nel nostro paese di problemi legati a bulimia
e anoressia, mentre il 20% dei suicidi è messo in atto da ragazzi tra i 14 e i 30 anni.
Il dasagio scolastico
L’insuccesso scolastico è un catalizzatore di difficoltà. Porta a fenomeni di disadattamento e successivamente di
abbandono. Le sue caratteristiche sono: bassa autostima, mancanza di figure di riferimento, difficoltà a considerare
significativa l’esperienza scolastica.
La dispersione scolastica
240mila ragazzi tra i 15 e i 18 anni lasciano le scuole superiori. Nel nostro Paese agli scrutini finali non viene
valutato il 7,1% degli studenti delle isole, il 3,4% del centro, il 4,3% del nord e il 4,6% del sud, negli istituti
secondari di 2° grado. Mentre i ripetenti sono il 6,3% e i respinti il 14,9%.
Conclusioni
L'abbandono scolastico non può e non deve essere valutato come "fatto" in se concluso, ma come un’esperienza che
incide fortemente sull'intero percorso di vita successivo dell'adolescente.
E' dunque importante che gli studenti, per primi, ne comprendano il significato e siano protagonisti attivi per il
superamento del fenomeno.
Tale obiettivo diventerà perseguibile se gli educatori saranno in grado di fare comprendere agli alunni che ciascuno
, in prima persona, è promotore della propria salute, intesa come benessere fisico, psichico e relazionale, e di quella
del gruppo di appartenenza (nello specifico il gruppo–classe).
Il protagonismo attivo degli studenti in ordine alla promozione della salute consentirà loro di concorrere, insieme
con i docenti, alla creazione di quel "clima scolastico" accogliente e formativo che solo può fare dell'esperienza di
vita scolastica un'esperienza forte e ricca di contenuti educativi spendibili sia durante il tempo degli studi che in
quello successivo.
Trovare "piacere" alla frequenza della scuola diventa sicuramente il primo antidoto al desiderio di abbandono.
Lo studente che "sente" la scuola come "accogliente" e come il luogo privilegiato, insieme alla famiglia, in cui
trovare la risposta ai bisogni di crescita non solo sul piano culturale ma anche su quello ugualmente indispensabile
della crescita personale ed integrata, non vive certo le frustrazioni e le delusioni che spesso sono all'origine della
"uscita" dalla scuola anzi tempo
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