Comments
Description
Transcript
ABC di metrica
ABC La metrica italiana si fonda su un sistema sillabico accentuativo: in un verso sono importanti il numero delle sillabe e il ritmo, che regola la successione e l’alternanza delle sillabe toniche (o accentate, o forti) e delle sillabe atone (o non accentate, o deboli). Da componente imprescindibile del fraseggio poetico, la rima è progressivamente divenuta, dai primi dell’Ottocento a oggi, un ingrediente puramente opzionale, funzionale al raggruppamento dei versi o alla caratterizzazione di generi specifici. 1. Terminazione dei versi e computo sillabico Il verso tipico della tradizione poetica italiana è il verso piano, con accento sulla penultima sillaba (come piane sono moltissime parole della nostra lingua). Ne deriva che il verso tronco (con accento sull’ultima sillaba) presuppone idealmente una sillaba in più e il verso sdrucciolo (con accento sulla terzultima sillaba) una sillaba in meno. Esempio di versi endecasillabi piani e tronchi alternati: Signorina Felicita, è il tuo giorno! A quest’ora che fai? Tosti il caffè: e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, All’avvocato che non fa ritorno? E l’avvocato è qui: che pensa a te. (endecasillabo piano) (endecasillabo tronco) (endecasillabo piano) (endecasillabo tronco) (endecasillabo piano) (endecasillabo tronco) G. Gozzano, La signorina Felicita, vv. 7-12. Esempio di versi endecasillabi sdruccioli e piani alternati: M’apparisti così come in un cantico del Prati, lacrimante l'abbandono per l’isole perdute nell'Atlantico; ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono sentimentale giovine romantico... Quello che fingo d’essere e non sono! (endecasillabo sdrucciolo) (endecasillabo piano) (endecasillabo sdrucciolo) (endecasillabo piano) (endecasillabo sdrucciolo) (endecasillabo piano) G. Gozzano, La signorina Felicita, vv. 429-434. Contribuiscono dunque alla definizione del verso sia il numero delle sillabe metriche che lo compongono sia, e di più, la sede sillabica (la posizione) su cui poggia l’ultimo accento. Un endecasillabo, in altri termini, si qualifica in primo luogo come il verso che presenta un accento fisso sulla decima sillaba (il decasillabo sulla nona e analogamente per gli altri versi). 1 Nel computo sillabico occorre peraltro tenere conto che la sillaba metrica può anche non coincidere con la sillaba grammaticale, perché quasi sempre all’individuazione della sillaba metrica concorrono fenomeni che riguardano l’incontro di due o più vocali all’interno della parola o all’interno del verso. I più frequenti di questi fenomeni si definiscono: Sineresi Si ha quando due vocali interne a una parola, che normalmente formerebbero due sillabe grammaticali distinte, formano un’unica sillaba metrica: Esempio: «Venere, e fea quelle isole feconde», U. Foscolo, A Zacinto, v. 5 («fea» è parola che si compone di due sillabe grammaticali e che dà luogo tuttavia a una sola sillaba metrica. Nel verso sono presenti peraltro, evidenziati in giallo, due fenomeno di sinalefe) Dieresi Si ha quando due vocali interne a una parola, che normalmente formerebbero un dittongo (cioè una sillaba sola), formano invece due sillabe metriche distinte; la dieresi è segnalata da due punti posti sopra la prima vocale: Esempio: «invidierà l’illusïon che spento», U. Foscolo, Dei sepolcri, v. 24. («illusion» è parola che si compone di tre sillabe grammaticali e che dà luogo tuttavia a quattro sillabe metriche) Sinalefe Si ha quando la vocale finale di una parola forma un’unica sillaba metrica con la vocale iniziale della parola seguente. Nella metrica italiana la fusione è di norma obbligatoria quando a incontrarsi sono due vocali atone; è invece facoltativa se una o entrambe le vocali sono accentate. Esempio: «Tu non altro che il canto avrai del figlio», U. Foscolo, A Zacinto, v. 12. Da notare che la fusione delle vocali in sinalefe non interferisce con la normale pronuncia delle vocali stesse, il cui suono rimane ben distinto. Diversamente da quanto avviene per i fenomeni, ormai in disuso, definiti di elisione o di aferesi, in cui si registra una caduta a tutti gli effetti delle vocali interessate: a fine parola per l’elisione («Ov’Amor me, te sol Natura mena», Petrarca, Canzoniere, CCVIII, v.4), a inizio parola per l’aferesi («Dille, e ‘l basciar sie ‘n vece di parole», Petrarca, Canzoniere, CCVIII, v.13) Dialefe È il contrario della sinalefe e si ha quando la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola successiva formano due sillabe metriche diverse. Il fenomeno si verifica di norma quando la prima o entrambi le vocali sono accentate; più raramente quando è accentata solo la seconda e in altri casi. Esempio: ««Ciò ch’io dico di me, di sé intende», D. Alighieri, Paradiso, III, v. 112. Da notare che l’utilizzo della dialefe, caratteristico della poesia delle origini e di quella dantesca, fu rifiutato dal Petrarca e venne meno quasi del tutto nella produzione posteriore. 2 2. Gli accenti nel verso La posizione degli accenti all’interno del verso determina il suo ritmo. I versi bisillabi e trisillabi, in quanto brevi, usati raramente e per lo più in funzione d’intercalare rispetto a versi lunghi, non presentano ricorrenze significative; negli altri versi, dal quadrisillabo all’endecasillabo, si registrano accenti secondari e accenti principali mobili o fissi. Per gli accenti principali vale la seguente tabella: Verso Esempi Quadrisillabo o quaternario, fortemente ritmato, è verso per “canzonette” e filastrocche. Compare spesso in alternanza con l’ottonario. Damigella 1 e 3 tutta bella 1e3 (G.Chiabrera, Le vendemmie di Parnaso, XLII, vv.1-2) Quinario, di ritmo variabile ma incalzante è utilizzato parimenti Mentre ne’calici 1 e 4 nella poesia popolare e il vin scintilla 2e4 nella poesia d’arte. (G.Carducci, A Satana, vv. 5-6) Senario, verso in genere della poesia popolare e satirica (ma non mancano altri impieghi) Settenario, tipico della poesia lirica, dove compare spesso in alternanza con l’endecasillabo (con il quale condivide la grande varietà degli accenti principali mobili) Un popolo pieno 2 e 5 di tante fortune 2 e 5 (G.Giusti, Il re Travicello, vv. 9-10) Accenti principali sulle sillabe: 1 (più raro2) 3 1o2 4 2 5 talvolta 1 5 L’albero a cui tendevi 1 e 6 La pargoletta mano 2e6 Il verde melograno 2e6 Da’ bei vermigli fior 2-4-6 (G.Carducci, Pianto antico, vv. 1-4) 1o2o3o4 6 Che pur dianzi languia 3 e 6 (G.Parini, La educazione, v. 2) Sparsa le trecce morbide 1-4-6 2-4-6 Sull’affannoso petto (A.Manzoni, Adelchi, V, vv. 32-33) 3 Ottonario, fortemente ritmato, nella tradizione è verso per “canzonette”e “canzoni a ballo”. Ma non mancano altri impieghi e in Pascoli figura con un andamento ritmico molto diverso. Belle rose porporine 1-3-5-7 che tra spine 1-3 sull’aurora non aprite 1-3-7 (G. Chiabrera, Rime, XLVII, vv.1-3) Sul castello di Verona 1-3-7 Batte il sole a mezzogiorno. 1-3-5-7 (G.Carducci, La leggenda di Teodorico, vv.1-2) 2 7 5 8 S’ode a destra uno squillo di tromba 3-6-9 A sinistra risponde uno squillo 3-6-9 (A.Manzoni, Il Conte di Carmagnola, II, vv.1-2) 3 6 (altri, poco Al mio cantuccio // donde non sento frequenti) Se non le reste // brusir del grano 2-4 / 1-4, 2-4 / 2-4 (G.Pascoli, L’ora di Barga, vv.1-2) Endecasillabo È il verso più nobile e più diffuso della tradizione italiana, tipico della poesia lirica. (5) Questo è dall’ombre un ritorno 1-4-7 Dante Alighieri ha sorriso. 1-4-7 (G.Pascoli, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, I, vv.1-2) Novenario, inizialmente considerato verso ‘popolare’ acquista con Dov’era la luna? ché il cielo 2-5-8 Pascoli un ampio Notava in un’alba di perla 2-5-8 rilievo nella poesia (G.Pascoli, L’assiuolo, vv. 1-2) d’arte. Decasillabo, verso abbastanza raro è conosciuto soprattutto nelle varianti ritmiche proposte da Manzoni e da Pascoli, che lo articola talvolta nella forma del quinario doppio. 1 3 9 6 4 8 10 10 4 7 10 6 7 10 Nel mezzo del cammin di nostra vita 6-10 Mi ritrovai per una selva oscura 4-8-10 Meno frequenti: (D.Alighieri, Inferno, I, vv.1-2) Per me si va nell’eterno dolore 4-7-10 (D.Alighieri, Inferno, III, v.2 . Altri 4 Oggi si ritiene che il fenomeno della cesura, indicativa di una pausa metrica all’interno del verso, sia rilevante soltanto in caso di cesura fissa, rintracciabile nei versi doppi o accoppiati (doppio quinario «Al mio cantuccio // donde non sento / Se non le reste // brusir del grano» G. Pascoli, L’ora di Barga, vv.1-2; doppio settenario « Tra bande verdi gialle // d'innumeri ginestre / la bella strada alpestre // scendeva nella valle», G.Gozzano, Le due strade, vv. 1-2) Di cesura mobile, tuttavia, si parlava in passato in riferimento all’endecasillabo, che la cesura avrebbe diviso in due parti (emistichi) diseguali, corrispondenti nelle forme più diffuse a un quinario + un settenario o a un settenario + un quinario. Da qui la distinzione, nella metrica tradizionale, fra endecasillabi a minore (quelli con accento principale mobile in quarta posizione, divisi dalla cesura in un quinario + un settenario: «Tu lascerai // ogni cosa diletta», Dante, Paradiso, XVII, v.55) e endecasillabi a maiore (quelli con accento principale mobile in sesta posizione, divisi in un settenario + un quinario: «L’amor che move il sole // e l’altre stelle», Dante, Paradiso, XXXIII, v. 145). 3. La rima La rima, caratteristica della tradizione poetica italiana ma progressivamente caduta in disuso, comporta una perfetta identità di suono nell’uscita del verso a partire dall’ultima vocale tonica. Esempio: Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. D. Alighieri, Inferno, XXVI, vv. 118-120. Se a essere uguali nell’uscita del verso sono tutte le vocali o anche solo quelle accentate (acquafatta, ma anche fronda-immoto) si parla di assonanza tonica; se a coincidere sono la vocale atona e la consonante che la precede (manda-tonda) si parla di assonanza atona; se le vocali sono diverse ma le consonanti uguali si parla di assonanza consonantica (mente-tanto). Si definisce rima al mezzo quella collocata alla fine del primo emistichio, rima interna, più genericamente, quella collocata all’interno del verso. Rima al mezzo: Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. E. Montale, I limoni, vv. 1-3. Rima interna: Volgi al mio dubbio stato Che sconsigliato a te ven per consiglio. F. Petrarca, Canzoniere, canto 366, vv. 25-26. Si dicono versi sciolti quelli che non presentano rimandi reciproci di rima (il carme Dei Sepolcri di 5 Foscolo è costituito da 295 endecasillabi sciolti). Si dicono versi liberi quelli che non attingono a uno schema metrico fisso o che eludono, nella sostanza o talvolta solo in apparenza, le norme convenzionali della versificazione. 4. Enjambement Si ha quando la frase poetica non si esaurisce con la fine del verso ma prosegue nel verso o nei versi successivi. Il suo utilizzo è trasversale alla lirica italiana dai primi secoli ai giorni nostri. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core In su ‘l mio primo giovenile errore, quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. F.Petrarca, Canzoniere, I, vv. 1-4 Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. G. Leopardi, L’infinito, vv. 1-3 È forse detto che l’amore umano Vano non debba rimanere mai… Se la vallata è così chiara, il sole -ormai sul monte- con leggero amore vi scherza, né si duole più la terra. S.Penna, [È forse detto che l’amore umano] 6