- 64 - 7.2. Autolesione dell`incapace: esclusione applicazione art
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- 64 - 7.2. Autolesione dell`incapace: esclusione applicazione art
CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 64 - CAPITOLO I L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE. (Donatella M. E. BONOMO). SOMMARIO: (…) – 7.2. Autolesione dell’incapace: esclusione applicazione art. 2047 c.c. Breve excursus storico ed inquadramento della problematica nella giurisprudenza. – 7.3. (Segue) Autolesione ed obblighi di protezione. Teoria del “contatto sociale qualificato”: ulteriori sviluppi nella giurisprudenza delle Corti.– (…). […] 7.2. Autolesione dell’incapace: esclusione applicazione art. 2047 c.c. Breve excursus storico ed inquadramento della problematica nella giurisprudenza. Parlando di soggetti incapaci di intendere e volere, siano questi minori o infermi di mente, non si può tralasciare di far cenno all’eventualità, non del tutto remota, che siano essi stessi, con il proprio comportamento, ad autocagionarsi una lesione, nonostante la sorveglianza di altri soggetti. Bisogna segnalare a riguardo, come l’orientamento giurisprudenziale ormai dominante, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite del 20021, ritiene che tale fattispecie non rientri nella disciplina dell’art. 2047 c.c., in quanto si afferma che la presunzione di responsabilità a carico del sorvegliante, a cui consegue un’inversione dell’onere della prova a favore del danneggiato, sia finalizzata alla sola tutela rafforzata verso i terzi vittime di atti lesivi dell’incapace e non alla tutela dello stesso incapace che sia rimasto vittima di un proprio comportamento. 1 Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Giust. Civ. 2002, I, c. 2414. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 65 - Tuttavia la lesione non rimarrà priva di tutela, in tali circostanze infatti, il sorvegliante potrà essere chiamato a rispondere di tale fatto dannoso ma, contro di lui, non sarà invocabile l’art. 2047 c.c. Per capire meglio le ragioni che sottostanno all’originale soluzione della questione offerta dalla pronuncia della Suprema Corte, in ultimo citata, appare necessario effettuare un breve riepilogo storico, su come la fattispecie dell’autolesione dell’incapace sia stata, di volta in volta, affrontata e sui motivi che hanno spinto, nel tempo, ad adottare ed, in seguito, abbandonare certe impostazioni2. Sinteticamente è possibile suddividere tale percorso in tre fasi distinte. In un primo momento, l’orientamento dominante della Corte di Cassazione applicava letteralmente l’articolo in questione, riconoscendo quindi la responsabilità (ex art. 2047 c.c.) del soggetto tenuto alla sorveglianza solo, ed esclusivamente, là dove la vittima del danno fosse un terzo. Tale impostazione ha portato a ritenere di conseguenza che, nel caso di lesioni autoprocuratesi dall’incapace, si dovesse far ricorso all’art. 2043 c.c. per fondare la responsabilità eventuale del sorvegliante, da cui si fa derivare, per lo stesso danneggiato incapace, l’onere di provare tutti gli elementi del fatto illecito, dando prova, in particolare, della mancata diligenza nell’esercizio della sorveglianza3. A partire dal 1997, a seguito di una prima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile4 - che si pose in contrasto con l’orientamento precedente si giunse, in questa seconda fase, ad un’estensione della tutela del danneggiato incapace che si fosse auto procurato un danno. La giurisprudenza, da questo momento5, iniziò ad effettuare una lettura allargata delle fattispecie agli artt. 2047 e 2048 c.c., prevedendo l’applicabilità per analogia delle medesime anche al caso in esame affermando, di conseguenza, che l’obbligo di vigilanza, contemplato 2 Sul tema: I. CARASSALE, Danno cagionato dall’incapace a sé medesimo: dal torto al contratto, sempre nell’ottica del risarcimento, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2004, I parte, (pag. 494 e ss.) 3 In tal senso v.: Cass. Civ. Sez. III, 13 maggio 1995, n. 5268, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1996, I, p. 239. 4 5 Cass. Civ. Sez. Un., 11 agosto 1997, n. 7454, in Danno e Resp. 1998, p. 260. Per dei precedenti che si collocano in un’epoca anteriore allo stesso intervento delle Sezioni Unite, ma che assumono la medesima posizione interpretativa da queste ultime adottata: v. Cass. Civ. Sez. III, 1° agosto 1995, n. 8390, in Banca Dati De Jure Giuffrè; Cass. Civ., 03 febbraio1972, n. 260, in Foro It. 1972, I, c. 3522. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 66 - dall’articolo in questione, fosse posto anche in funzione della protezione del soggetto affidato6, in modo da permettere al danneggiato incapace7 di beneficiare del particolare regime probatorio codificato in tale articolo. La terza ed ultima fase8 di questo percorso prevede un ulteriore sviluppo della soluzione alla questione dell’autolesione dell’incapace. L’ulteriore mutamento d’indirizzo della nostra giurisprudenza è stato motivato, in particolare, dai gravi problemi di logica interpretativa che è possibile emergano dalla tesi favorevole all’applicazione della responsabilità presunta al di fuori del danno arrecato a terzi e, dalle conseguenti critiche che potenzialmente possono derivarne9. Tale ultima svolta è imputabile alla sentenza del 2002, delle medesime Sezioni Unite della Corte di Cassazione10, le quali sono tornate nuovamente a pronunciarsi sul tema. In tale frangente, la Suprema Corte, al fine di svincolare definitivamente dall’art. 2047 e 2048 c.c. la fattispecie in esame - senza peraltro aggravare la posizione del danneggiato in relazione al regime dell’onere probatorio a cui far riferimento in questi casi - fa brillante ricorso alla “teoria del contatto sociale qualificato”11, allo scopo di giungere all’applicazione dei principi della responsabilità contrattuale in luogo della disciplina dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.12, in 6 Espressione di questo indirizzo: Cass. Civ., 16 giugno 1998, n. 6331, in Foro It., 1999, I, c. 1174. 7 È opportuno precisare che il riferimento nel testo al danneggiato incapace (che si sia auto procurato una lesione), sia da intendersi come qualifica attribuibile al soggetto “incapace naturale”, qualora il sorvegliante fosse stato chiamato a rispondere ex art. 2047 c.c.; e viceversa, “all’incapace legale” (minore, interdetto o inabilitato) se fosse stata invocata tutela ex art. 2048 c.c. 8 La terza fase è riferibile all’orientamento venuto ad affermarsi in seguito all’ulteriore pronunciamento delle Sezioni Unite del 2002 (Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, cit.) che ci si accinge ad analizzare in prosieguo nel testo. 9 Sul tema: I. CARASSALE, Danno cagionato dall’incapace a sé medesimo: dal torto al contratto, sempre nell’ottica del risarcimento, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2004, I parte, (pag. 494 e ss.). 10 Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, cit. 11 Si segnala, sin d’ora, che di recente, a conferma della tesi sostenuta dalla Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346 (cit.), è intervenuto un nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite della medesima Corte: Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, in Resp. Civ. Prev. 2009, 1, 38. Nonché - con particolare riguardo al rapporto tra medico e paziente e - di poco precedente: Cass. Civ. Sez. Un., 11gennaio 2008, n. 577, in in Giust. Civ. 2009, 11, I, 2532. 12 Si evidenzia come, tuttavia, l’inquadramento entro la disciplina contrattuale di tali fattispecie, agevola il profilo dell’onere probatorio per il danneggiato, ma parimenti porta all’applicazione dell’intera disciplina contrattuale; e quindi anche dell’art. 1225 c.c., che limita la risarcibilità ai soli danni prevedibili al momento dell’instaurazione del rapporto, salvo casi di dolo. L’articolo si ritiene inoperante in ambito aquiliano, in considerazione del mancato richiamo all’art. 2056 c.c., che detta i CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 67 - questo modo permettendo, in tema di onere della prova, il ricorso all’art. 1218 c.c.13 In tale pronuncia la Corte esclude l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. in capo all’insegnate, per un’autolesione di un suo allievo durante l’orario delle lezioni, asserendo che la disciplina da applicare al caso di specie, non sia da ricercare nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ma entro il quadro della regolamentazione della responsabilità contrattuale. In particolare tale responsabilità contrattuale deriverebbe da un contatto sociale, tra l’insegnante ed il minore14, in grado di generare obbligazioni per i soggetti che siano protagonisti di tale relazione qualificata. La Suprema Corte sostiene, in definitiva, che entro le obbligazioni di tale rapporto sia possibile rinvenire, sicuramente, a carico dell’insegnante quella di protezione verso il minore stesso15, attuabile attraverso un’opportuna vigilanza del medesimo. 7.3. (Segue) Autolesione ed obblighi di protezione. Teoria del “contatto sociale qualificato”: ulteriori sviluppi nella giurisprudenza delle Corti. A sostegno della lettura offerta dal giudice di legittimità nella sua più autorevole composizione nel 200216, è intervenuto, recentemente, un ulteriore pronunciamento criteri per la determinazione del danno risarcibile in tale ambito. Come osservato anche dalla Suprema Corte: Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, cit. 13 Ai sensi del disposto di cui all’art. 1218 c.c. l’onere della prova è posto a carico del debitore, il quale è tenuto a dimostrare che l’adempimento è divenuto impossibile per una causa a lui non imputabile. 14 Nello stesso senso, sempre con riferimento alla lesione auto procuratesi da un minore “capace di intendere e volere” (caduto da un burrone durante un escursione di un raduno di scout), in cui si convenivano in giudizio ex art. 2048 c.c. ed ex art. 2043 c.c., gli organizzatori dell’associazione ed i responsabili la sorveglianza: v. Trib. Roma Sez. XII, 15 dicembre 2004, in Banca Dati De Jure Giuffrè. 15 Si segnala che l’art. 1173 c.c. (Fonti delle obbligazioni) espressamente prevede: “Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. In dottrina si afferma come la fonte degli obblighi di protezione, summenzionati, non sia da ricercare nell’atto illecito o nel contratto, ma segnatamente nella terza categoria di atti o fatti individuati, con funzione di chiusura, nel citato articolo. Vengono sottoposti alla disciplina contrattuale, in quanto assimilabili ad un “contratto di fatto” (che sorge a seguito del contatto sociale qualificato), che si istaura tra un medico e paziente, o tra l’allievo e l’insegnate, dai quali è possibile discendano i suddetti obblighi di protezione. In tal senso: B. INZITARI e V. PICCININI, La responsabilità civile-casi e materiali, Giappichelli,Torino, 2009, (pag. 146 e ss., in particolare: pag. 185). 16 Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, cit. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 68 - delle medesime Sezioni Unite della Suprema Corte17. Le Sezioni Unite, invero, si stavano occupando della problematica relativa al c.d. danno esistenziale, ma al fine di pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.18 e giungere all’affermazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, anche in ambito della responsabilità contrattuale19, effettuano un richiamo specificatamente ai “contratti di protezione”. Tali contratti sorgono, spesso, in ambito sanitario20. La fonte degli obblighi di protezione verso il paziente, volti alla tutela, soprattutto, della sua salute e dell’integrità psicofisica, sarebbe da rinvenire nel “contatto sociale qualificato” che viene in essere tra i medici ed il su menzionato paziente (o nel contratto di spedalità tra struttura e paziente). La Suprema Corte da atto dell’orientamento consolidato in materia21, che colloca entro la disciplina “contrattuale” questo genere di rapporti22, applicando, specificatamente, il principio del contatto sociale qualificato; ed assimila agli stessi, anche il rapporto che si istaura tra allievo ed insegnante. 17 Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, cit.; Cass. Civ. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, cit., che in tema di responsabilità medica, con riguardo al rapporto medico/struttura sanitaria e paziente inquadra entrambe le relazioni entro l’ambito della disciplina contrattuale, determinandone le già citate conseguenze in ordine probatorio. 18 Art. 2059 c.c. (Danni non Patrimoniali): “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.” 19 Quest’ultimo era uno dei tanti quesiti per i quali la Corte era stata chiamata a pronunciarsi, in considerazione delle diverse opinioni rinvenibili in argomento. In precedenza erano rinvenibili orientamenti che, in generale, affermavano la non risarcibilità del danno non patrimoniale in ambito di responsabilità contrattuale, interpretando in modo restrittivo i limiti espressi dell’art. 2059 c.c.; allo stesso tempo, però, vi erano pronunce che ammettevano la risarcibilità di tale danno (nella veste di danno c.d. esistenziale), specie in ambito di rapporti contrattuali di lavoro. La Corte era stata chiamata a dissipare i dubbi a riguardo, ed a dettare limiti e criteri di risarcibilità, alla luce di un’interpretazione razionale del sistema normativo, esercitando la sua funzione di nomofilachìa. 20 Secondo l’opinione di A. AMATUCCI, [I contratti con effetti protettivi, in www.personaedanno.it, pubblicato in data 08 settembre 2010] i “contratti di protezione” sarebbero meglio da definirsi come “contratti ad effetti protettivi”. L’A., inoltre, significativamente mette in luce che tali rapporti: “non costituiscono un tipo di contratto previsto dalla legge ma una categoria individuata dalla dottrina e saggiamente non definita dalle Sezioni Unite, che si limitano a riferirne il tipo ai contratti conclusi nel settore sanitario, ma non escludono affatto che non ne esistano in altri settori”. 21 A seguito della sentenza della Corte: Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, in Giust. Civ. 1999, I, c. 999. 22 Per ulteriori approfondimenti in ordine agli obblighi di protezione che derivino da tali rapporti v. infra, Cap. II, par. 5.2; par. 5.3.a); par. 5.3.b). CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 69 - Per una applicazione concreta di tale orientamento, si può menzionare una recente pronuncia della Cassazione23. Il tema del contendere era inerente al risarcimento dei danni (patrimoniali e non) di un minore, il quale si era provocato delle lesioni a seguito di un incidente durante la lezione di educazione fisica. La Corte di Appello aveva condannato al risarcimento del danno il Ministero della Pubblica Istruzione per il fatto dell’insegnante24. A seguito dell’impugnazione del provvedimento25 la Suprema Corte, nella sua decisione26, fa espresso richiamo alle due pronunce delle Sezioni Unite, affermando di condividere il principio per cui la lesione dei diritti inviolabili della persona, che abbia determinato un danno non patrimoniale, comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale od extracontrattuale. Conseguentemente se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni27. Dopo tali premesse afferma testualmente che: “costituisce 23 Cass. Civ. Sez. III, 03 marzo 2010, n. 5067, in Banca Dati De Jure Giuffrè. 24 Si segnala che in tema di responsabilità degli insegnanti di scuole statali, l'art. 61, comma 2, L. 11 luglio 1980 n. 312, prevede la sostituzione dell'Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi. Esclude "in radice" la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da "culpa in vigilando", quale che sia il titolo, contrattuale o extracontrattuale, dell'azione. Da ciò, secondo la Corte, deriva che l'insegnante sia privo di legittimazione passiva non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata, nell'ambito di un'azione di responsabilità extracontrattuale, la presunzione di cui all'art. 2048, comma 2, c.c.), ma anche nell'ipotesi di danni arrecati dall'allievo a sé stesso (ipotesi da far valere secondo i principi della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.). Fermo restando che in entrambi i casi, qualora la P.A. sia condannata a risarcire il danno al terzo o all'alunno autodanneggiatosi, l'insegnante sarà successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite operante verso la P.A. ma non verso i terzi. 25 Veniva contestato, nell’atto di impugnazione la falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. e art. 185 c.p., in ragione della desunta responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., considerando che la Corte di Appello aveva in tal modo qualificato giuridicamente la fattispecie. Inoltre veniva censurata la violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., in ragione della responsabilità diretta (contrattuale) ed indiretta (rapporto di immedesimazione organica dei dipendenti) del dicastero convenuto. Con il secondo motivo si denunciava la violazione dell'art. 2043 c.c., in ragione del mancato accertamento della responsabilità civile dell'insegnante, onde inferirne la concorrente responsabilità extracontrattuale giustificativa, ex art. 185 c.p. e art. 2059 c.c., della liquidazione del danno non patrimoniale. 26 Cass. Civ. Sez. III, 03 marzo 2010, n. 5067, cit. 27 Così come affermato dalla Corte di Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, cit. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 70 - contratto di protezione quello che intercorre - come nella specie - tra l'allievo e l'istituto scolastico. In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (…), tra gli interessi non patrimoniali da realizzare, rientra quello all'integrità fisica dell'allievo, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione. Quanto al tema della responsabilità, deve sottolinearsi (…) che le Sezioni Unite di questa Corte28, (…) avevano affermato (…) che nel caso di danno cagionato dall'alunno a sé stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale.”29 A tal fine la Suprema Corte mette in evidenza che fra allievo ed istituto scolastico si instaura un vincolo negoziale, ciò avviene attraverso l'accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione, dello stesso allievo, alla scuola. Da tale rapporto negoziale, a parere della Corte, sorge - a carico dell'istituto - l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza ed incolumità del allievo affidato, nel periodo in cui costui fruisce della prestazione scolastica (in tutte le sue espressioni). Inoltre, afferma l’Organo Giudicante, che tale obbligo di vigilanza risulta essere funzionale anche al fine di evitare che sia l'allievo stesso a procurarsi un danno. La Corte - dopo aver analizzato la posizione obbligatoria dell’istituto verso il soggetto affidatogli - continua la sua argomentazione concentrandosi specificatamente sul rapporto tra allievo ed insegnante ed, in relazione a questo, afferma che: “quanto al precettore, dipendente dell'istituto scolastico, tra insegnante ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico (che quindi può dare luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale e non aquiliana), nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, al fine di evitare che l'allievo si procuri, da solo, un danno alla persona.”30 28 La Corte, nel caso di specie (Cass. Civ. Sez. III, 03 marzo 2010, n. 5067, cit.), fa espresso riferimento alla citata sentenza della Corte di Cass. Civ. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, cit. 29 Cass. Civ. Sez. III, 03 marzo 2010, n. 5067, cit. 30 Cass. Civ. Sez. III, 03 marzo 2010, n. 5067, cit. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 71 - La Suprema Corte prosegue mettendo in rilievo, in fine, le conseguenze di tale inquadramento in relazione all’onere della prova, per il quale, come già rilevato, si farà capo al disposto dell’art. 1218 c.c.31 In relazione, specificatamente, all’art. 2047 c.c. - il quale si riferisce, esclusivamente, al soggetto incapace di intendere e volere - è possibile dare conto di una pronuncia della terza sezione della Corte di Cassazione32, una delle prime ad uniformarsi ai principi dettati dalle Sezioni Unite nel 2002. Il caso era relativo ad una bambina di tre anni, che durante la sua permanenza al nido, si era ferita ad una mano riportando lesioni permanenti. La bimba, nonostante fosse stata affidata a delle vigilanti, era riuscita ad introdurre una manina all’interno di un quadro elettrico. La Corte di Appello aveva condannato le vigilanti ai sensi del 2047 c.c., ed il Comune, proprietario dell’edificio, per violazione del principio generale del neminem laedere, riconoscendo per entrambi una responsabilità extracontrattuale. La Suprema Corte, mantiene la condanna al risarcimento dei danni, ma rettifica l’inquadramento giuridico. La Corte di Cassazione33, infatti, afferma che:“la norma, che pone una presunzione di responsabilità a carico del sorvegliante per i danni cagionati dal soggetto sottoposto alla sorveglianza, suscettiva di essere superata soltanto dalla prova “di non aver potuto impedire il fatto”, non è infatti applicabile nel caso di danni che l’incapace abbia causato a sé stesso, atteso che la detta presunzione è stabilita nei confronti di coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci, i quali cagionino danni, e non trova pertanto applicazione nell’ipotesi inversa di incapaci i quali siano i soggetti passivi dell’evento di danno [(…) principio ribadito dalle S.U. con sentenza n. 9346-02 in relazione alla alternativa analoga previsione dell’art. 2048 c.c. (…)].” La Corte individua la soluzione del caso di specie, seguendo i principi dettati dalla sentenza delle Sezioni Unite, a cui si è espressamente richiamata, ed a riguardo afferma che: “va ancora precisato che, nel caso di danno arrecato dall’incapace (…) a sé stesso, la responsabilità del sorvegliante della struttura nella quale l’incapace è ammesso va ricondotta non già nell’ambito della responsabilità 31 Art. 1218 (Responsabilità del debitore). 32 Cass. Civ. Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2004, I parte, p. 491 e 33 Cass. Civ. Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245, cit. ss. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 72 - extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., bensì nell’ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.”34 Quanto finora esposto per il minore incapace di intendere e volere può, dunque, valere anche per l’infermo di mente che si autolesioni, soprattutto quando costui si trovi ricoverato presso una struttura ospedaliera, affidato alle cure di un medico. In questi casi ben potrà configurarsi un’obbligazione di protezione, a carico del medico, derivante dal contatto sociale qualificato che può sorgere tra medico e paziente in considerazione del particolare rapporto che è possibile si instauri tra i due soggetti35. Ciononostante è opportuno, in relazione a questa tematica, analizzare in modo più approfondito la questione, valutando gli effetti della legge Basaglia, specie per quel che riguarda la dimensione del potere-dovere di vigilanza che viene consentito allo psichiatra36. E’ necessario segnalare come l’applicazione del principio del “contatto sociale qualificato” sia scaturito proprio al fine di dare soluzione al dibattito giurisprudenziale e dottrinario in tema di responsabilità medica37, in relazione ai rapporti che vengano in essere in ambito sanitario. Il negozio giuridico che si istaura tra la struttura sanitaria ed il paziente, all’atto dell’accettazione del medesimo per una data prestazione o del ricovero, è un contratto a tutti gli effetti38, ed ha ad oggetto, 34 Cass. Civ. Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245, cit. 35 In questo senso in giurisprudenza per tutte: Cass. Civ. Sez. Un., 11gennaio 2008, n. 577, cit.; In relazione specificatamente al tema trattato, per approfondimenti inerenti ai rapporti peculiari tra medico psichiatra e paziente, con analisi di similitudini e differenze di ordine giuridico rispetto agli ordinari medici di medicina generale in dottrina: P. CENDON, Infermità di mente e responsabilità civile, in GI, Vol. CXLIII, 1991, parte IV, (c. 81 e ss., in particolare: c. 87 - 88 - 89; in riferimento specifico agli obblighi di protezione: v. c. 100). 36 Queste considerazioni saranno possibili solo a seguito di ulteriori premesse e chiarimenti, si segnala come saranno oggetto di approfondimento nei prossimi capitoli: v. infra, Cap. II, par. 5.2; par. 5.3 a) ed inoltre 5.3 b). 37 In giurisprudenza per la prima affermazione di tale principio: Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, cit. Per una recente applicazione Cass. Civ. Sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538, in D & G, 2010, in cui è possibile rinvenire, in una sua massima, l’affermazione che: “in tema di responsabilità professionale da contratto o contatto sociale del medico, al fine del riparto dell'onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare il contratto (o contatto sociale) e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato”. Come in precedenza autorevolmente affermato da Cass. Civ. Sez. Un., 11gennaio 2008, n. 577, cit. 38 Si ritiene che il contratto stipulato tra Ente ospedaliero e paziente sia da considerarsi un contratto sinallagmatico, a prestazioni corrispettive, atipico, innominato, dal contenuto complesso, il quale ha ricevuto, dalla prassi, una tendenziale tipizzazione con la denominazione di "contratto di CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 73 - oltre la specifica obbligazione di cura anche, implicitamente, una serie di obbligazioni accessorie di vario genere, ed in particolar modo, inerenti alla sfera della salute in senso ampio. La responsabilità della struttura sanitaria per un eventuale inadempimento è, quindi senza dubbio, di natura contrattuale39. Problemi erano sorti in relazione alla qualificazione della responsabilità da attribuire al singolo medico dipendente da tale struttura40. Inizialmente veniva attribuita al medico una responsabilità di tipo extracontrattuale41, comportando, in questi casi, l’applicazione della disciplina dell’illecito aquiliano per eventuali danni derivanti dalla sua attività42. spedalità" o genericamente di assistenza sanitaria. G. IUDICA, Danno alla persona per inefficienza della struttura sanitaria, in Resp. Civ. e Prev. 2001, 01, (pag. 3 e ss., in particolare pag. 3 e 4). 39 Soggiacendo quindi alla disciplina contrattuale in relazione all’onere probatorio ex art. 1218 c.c. e con conseguente applicazione dell’art. 1228 c.c. per gli atti compiuti dagli ausiliari (“Salva diversa volontà delle parti il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.”). 40 In ragione della circostanza che il medico fosse da considerarsi, da un punto di vista formale, terzo rispetto al rapporto giuridico relativo al contratto di prestazioni sanitarie, stipulato tra paziente ed ente ospedaliero. G. IUDICA, op. cit., (pag. 3 e ss., in particolare pag. 3). 41 In giurisprudenza si esprimono a favore della tesi della responsabilità extracontrattuale del medico dipendente della struttura ospedaliera: Cass. Civ. Sez. III, 20 novembre 1998, n. 11743, in Danno e Resp. 1999, p. 344; Cass. Civ. Sez. III, 13 marzo 1998, n. 2750, in Foro It. 1998, I, c. 3521; Cass. Civ. Sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440, in Banca Dati De Jure Giuffrè; Cass. Civ. Sez. III, 26 marzo 1990, n. 2428, in Giurispr. It. 1991, I,1, c. 600; Cass. Civ. Sez. Lav., 07 agosto 1982, n. 4437, in Resp. Civ. e Prev. 1984, p. 78: la quale, in specie, afferma inoltre la possibilità di una responsabilità concorrente di natura contrattuale ed extracontrattuale per un unico evento dannoso posto in essere dal medesimo autore e, si esprime a favore dell’applicabilità al professionista intellettuale dell’art. 2236 c.c., delimitando, pertanto la responsabilità ai soli casi di dolo e colpa grave; Cass. Civ. Sez. III, 24 marzo 1979, n. 1716, in Foro It. 1980, I, c. 1115. Per le Corti di merito, inoltre, si segnala: Trib. Trieste, 14 aprile 1994, in Resp. Civ. e Prev. 1994, p. 768 (per un caso ove si costati l’assenza di un rapporto di lavoro subordinato del sanitario con la stessa struttura ospedaliera presso cui prestava la propria opera); Corte Appello Venezia, 11 febbraio 1993, in Giur. Merito 1994, p. 37; Trib. Verona, 04 marzo 1991, in Giur. Merito 1992, p. 823 (il quale mette il luce chiaramente che la responsabilità dei medici e del personale para-medico dipendente di un ente ospedaliero, per i danni conseguenti a fatto illecito commesso nell'esercizio della loro attività professionale, ha natura extracontrattuale quando manchi un rapporto diretto contrattuale di prestazione d'opera intellettuale con il paziente); Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1991, I, p. 357; Trib. Verona, 04 ottobre 1990, in Giuispr. It. 1991, I, 2, c. 696; Trib. Vicenza, 27 gennaio 1990, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1990, I, p. 734: la quale si esprime a favore del concorso di responsabilità contrattuale (struttura) ed extracontrattuale (sanitario) nel caso di lesione di diritti assoluti determinati da attività esecutive di prestazioni professionali in campo sanitario; Corte d’Appello di Roma, 06 settembre 1983, in Foro It. 1983, I, c. 2838: (tuttavia relativo ad un caso particolare ove viene riconosciuta la responsabilità per atto illecito del medico sulla base della normativa italiana, quando il contratto e l’esecuzione della cura sanitaria era avvenuto all’estero e la relativa azione, esercitabile in tale nazione straniera, in conseguenza della difettosa esecuzione del contratto, non poteva più essere esercitata per decorrenza dei termini). CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 74 - Solo successivamente è stato dato rilievo al particolare rapporto che si istaura tra il medico ed il paziente, riconoscendo in tali ipotesi un rapporto di origine contrattuale43, tuttavia, tale relazione veniva inquadrata, talvolta, tra i contratti a favore del terzo, o contratti con obblighi protettivi a favore dei terzi44. L’ultimo stadio di questa evoluzione ha, invece, portato a riqualificare la particolare relazione medico-paziente alla luce del su menzionato principio del contatto sociale qualificato, da cui derivano per il medico vari obblighi, tutti indirizzati alla tutela dell’interesse del suo assistito45. Tali obblighi sorgerebbero nel momento in cui il paziente si affida alle cure del medico, e quest’ultimo accetta di prestare la propria opera46. 42 Poiché la responsabilità del medico non viene considerata parte del rapporto contrattuale tra la struttura ospedaliera e il paziente. In tale impostazione la responsabilità del sanitario, pertanto, sarà di tipo extracontrattuale, con tutti i risvolti negativi in tema di onere della prova (ex art. 2697 c.c.), e di prescrizione quinquennale dell’azione di risarcimento del danno (ex art. 2947 c.c.). 43 Si mette in evidenza che inizialmente viene ad affermarsi una responsabilità contrattuale di tipo professionale, che viene individuata in ragione della circostanza per cui la responsabilità dell'ente ospedaliero (gestore di un servizio sanitario), e del medico (suo dipendente), per i danni subiti da un paziente (a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica), si inserisce nell'ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato) tra l'ente gestore e lo stesso paziente che ha richiesto ed usufruito del servizio. Si segnalano come espressione di tale orientamento: Cass. Civ. Sez. III, 1° marzo 1988, n. 2144, in Foro It. 1988, I, c. 2296 (per la prima affermazione in tal senso); Cass. Civ. Sez. III, 02 dicembre 1998, n. 12233, in Danno e Resp. 1999, c. 777; Cass. Civ. Sez. III, 1° dicembre 1998, n. 12195, in Giust. Civ. 1999, I, c. 672; Cass. Civ. Sez. III, 27 luglio 1998, n. 7336, in Resp. Civ. e Prev. 1999, c. 996; Cass. Civ. Sez. III, 11 aprile 1995, n. 4152, in Riv. It. Med. Leg. 1997, c. 1073; Cass. Civ. Sez. III, 27 maggio 1993, n. 5939, in Banca Dati De Jure Giuffrè; Cass. Civ. Sez. III, 1° febbraio 1991, n. 977, in Giurispr. It. 1991, I, 1, c. 1379. Per le Corti di merito si segnala: Corte Appello Torino, 20 giugno 1997, in Foro It. 1998, I, c. 586; Trib. Milano, 09 gennaio 1997, in Resp. Civ. e Prev. 1997, p. 1220. 44 Affermano esplicitamente il ricorrere della fattispecie del “contratto con effetti protettivi a favore di terzi”: Cass. Civ. Sez. I, 22 novembre 1993, n. 11503, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1994, I, p. 690; Trib. Genova, 03 gennaio 1996, in Danno e Resp. 1997, p. 94. È da segnalare, tuttavia, che i casi riguardavano delle fattispecie particolari, nelle quali il contratto di assistenza sanitaria era stato stipulato da una partoriente. La prestazione consisteva specificatamente nell’attività di parto (per la quale è possibile affermare fosse stata pattuita anche a garanzia degli interessi del nascituro). Si intuisce che la decisione fosse motivata dalla circostanza per cui, il nascituro, una volta acquistata la capacità giuridica dopo la nascita, potesse vantare un diritto al risarcimento per gli eventuali danni che siano derivati dalla cattiva esecuzione della prestazione pattuita anche in suo favore. 45 In giurisprudenza per la prima affermazione di tale principio: Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, cit. Successivamente autorevolmente confermato da: Cass. Civ. Sez. Un., 11gennaio 2008, n. 577, cit. Per una recente applicazione: Cass. Civ. Sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538, cit. 46 In dottrina sull’argomento: M. FORZIATI, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il "contatto sociale" conquista la Cassazione, in Resp. Civ. e Prev. 1999, 3, (pag. 661 e ss.); B. INZITARI e V. PICCININI, op. cit., (pag. 146 e ss., in particolare: pag. 184 e 185); A. AMATUCCI, op. cit. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE Occorre, tuttavia rendere conto del fatto - 75 - che una parte minoritaria della 47 giurisprudenza di merito ritiene ancora applicabile, alla fattispecie dell’autolesione dell’incapace, l’art. 2043 c.c., così come assumevano le pronunce più lontane nel tempo. In questo senso una pronuncia di merito48 afferma che la responsabilità per i danni che alunni e studenti delle scuole, causano a sé stessi, durante il tempo cui sono sottoposti alla vigilanza del personale della scuola, non sia una responsabilità da fatto illecito che si trovi disciplinata negli artt. 2047 e 2048 c.c. Tale pronuncia concorda sul fatto che le suddette norme regolino, esclusivamente, il caso del danno che un incapace o un allievo possa arrecare “a terzi”, la cui responsabilità viene imputata ai soggetti che sono preposti a vigilarne la condotta. Ma in questa pronuncia si osserva che l’Organo Giudicante, pur partendo dalle stesse premesse, giunge a conclusioni diverse e, discostandosi dall’orientamento appena riportato - ritenuto ormai dominante - afferma che, in tali circostanze, ci si troverebbe in presenza di una responsabilità regolata dalla norma 47 Si segnala, tuttavia, una pronuncia della Corte di legittimità che, pur non ponendosi in modo esplicito in contrasto con l’orientamento dominante (e non aderendo neanche alla tesi favorevole all’applicazione dell’art. 2043 c.c.), tuttavia offre una soluzione ambigua alla questione, lasciando implicitamente intendere che i principi dettati dalle Sezioni Unite del 2002 (cit.), potrebbero concorrere, in via alternativa, con l’applicazione analogica degli art. 2048 c.c. e 2047 c.c. (i quali però disciplinano una responsabilità di tipo extracontrattuale): v. Cass. Civ . Sez. III, 31 marzo 2007, n. 8067, in Foro It. 2007, 12, c. 3468. Il caso riguardava un minore ospite di una colonia estiva organizzata da un Comune, che durante il soggiorno aveva riportato delle lesioni cadendo, mentre giocava ad una partita di calcetto; l’evento si era verificato a causa dell’omessa custodia da parte dei sorveglianti. La Corte di merito aveva condannato il Comune, ed i sorveglianti ex art. 2048 c.c. I soccombenti ricorrono in Cassazione invocando la sentenza della Cass. Civ. Sez. Unite del 2002, n. 9346, cit. contestando l’inquadramento giuridico della fattispecie fatto dalla Corte di Appello. La Suprema Corte, tuttavia, rigetta il ricorso, non rettificando l’inquadramento giuridico della fattispecie. Motiva la sua scelta in ragione della circostanza che, in ogni caso l'onere di dimostrare che l'evento dannoso sia stato determinato da causa non imputabile all'obbligato (alla sorveglianza e/o protezione), incomba comunque sul sorvegliante (e viceversa sul danneggiato graverà l’onere di dimostrare che il danno sia venuto in essere durante lo svolgimento del rapporto); e questo resta valido sia che si affermi l’applicazione alla fattispecie dell’art. 2048 c.c., sia che “si voglia sostenere la tesi delle Sezioni Unite” del “contatto sociale qualificato”. È possibile obiettare, tuttavia, come - nonostante ciò possa essere vero con riferimento specifico al tema dell’onere della prova – le conseguenze dell’inquadramento della fattispecie in ambito contrattuale o, differentemente, extracontrattuale non si esauriscano, in via generale, esclusivamente in tale profilo. Infatti si ricorda la diversa regolamentazione relativa alla durata del termine di prescrizione dell’azione di risarcimento (la quale in caso di responsabilità contrattuale è soggetta, in linea di massima, al termine di prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c.; mentre in caso di responsabilità extracontrattuale è soggetta al termine abbreviato, ai sensi dell’art. 2947 c.c. 1°c. e 2°c., con possibilità di allungamento del termine nel caso in cui il fatto dannoso costituisca reato, ex art. 2947 c.c., 3°c.); nonché la differente disciplina sulla risarcibilità del danno imprevedibile (risarcimento,dunque, ammissibile laddove ci si trovi dinnanzi a responsabilità extracontrattuale, escluso ex art. 1225 c.c., salvo inadempimento doloso, in caso di responsabilità contrattuale). 48 Trib. Reggio Calabria Sez. II, 17 maggio 2005, in Banca Dati De Jure Giuffrè. CAPITOLO I: L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE - 76 - generale dettata dall'art. 2043 c.c. per cui, la responsabilità del sorvegliante, pur non trovando fondamento nei su menzionati articoli, in realtà sia idonea ad essere inquadrata come una responsabilità per fatto illecito49. 49 Per un’ ulteriore pronuncia di merito che si avvicina all’impostazione avanzata dal Tribunale di Reggio Calabria, (anche se non del tutto assimilabile), si evidenzia un recente pronunciamento del Tribunale di Milano (Trib. Milano Sez. X, 21 aprile 2009, n. 5223, in Giustizia a Milano 2009, 5, p. 37); ove esplicitamente si afferma che: “in ambito scolastico il vincolo negoziale sorge in virtù del "contatto sociale qualificato" verificatosi tra le parti del rapporto, a seguito dell'accoglimento della domanda d'iscrizione da parte dell'Istituto scolastico e della conseguente ammissione dell'allievo alla scuola. Ne deriva che tra le diverse obbligazioni accessorie assunte automaticamente dall'Istituto vi è quella di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a sé stesso. In tale ordine di fattispecie, l'onere probatorio del danneggiato risulta notevolmente alleggerito, (…). Al caso di specie, possono d'altro canto applicarsi “anche” le regole generali della responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. che implicano un onere della prova più gravoso: è infatti a carico della parte attrice la dimostrazione della colpa dell'insegnante (…) che non può ritenersi sussistente per il solo fatto della verificazione dell'infortunio.” Nel caso di specie la colpa è stata ravvisata nel non aver preparato adeguatamente ed in maniera accurata i propri allievi all'attività fisica.