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1 Trasferimento di ramo d`azienda, autonomia funzionale e
Trasferimento di ramo d’azienda, autonomia funzionale e preesistenza: l’art. 2112
c.c. interpretato alla luce della Dir. 23/2001/CE1
Il Tribunale di Milano, con due distinte pronunce, individua le condizioni di
applicabilità dell’art. 2112 c.c. alla luce della Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del
12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di
stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, e conferma che le componenti del
ramo d’azienda oggetto di cessione devono avere un collegamento funzionale tra di
loro, tale da rendere funzionalmente autonoma l’entità aziendale ceduta che deve quindi
preesistere al trasferimento stesso.
Le due pronunce in commento si sono espresse in merito ad un trasferimento di ramo
d’azienda, realizzato tra imprese farmaceutiche e poi impugnato da due lavoratori
dipendenti adibiti all’attività di informazione scientifica del farmaco.
Il ramo oggetto del trasferimento era formalmente composto da alcune Autorizzazioni
all’Immissione in Commercio (AIC), alcuni marchi registrati e dall’avviamento
commerciale legato ad alcune specialità medicinali, nonché da parte della rete di
informatori con relativo know-how.
All’esito dell’istruttoria emergeva però che, nella sostanza, le società coinvolte avevano
inteso trasferire, principalmente, parte della rete di informatori, che sino ad allora
avevano operato ognuno su un’area territoriale diversa, su linee di farmaci distinte e
promuovendo specialità non comprese nelle AIC cedute, senza peraltro collaborare tra
di loro.
Sulla base di tali rilievi il Tribunale ha ritenuto di non poter qualificare l’operazione
come trasferimento di ramo d’azienda ai fini di cui all’art. 2112 c.c., bensì come
cessione di singoli contratti di lavoro ex art. 1406 c.c., invalida in quanto realizzata
senza il consenso dei lavoratori interessati, dei quali ordinava pertanto la riammissione
in servizio presso la cedente.
I Giudici di Milano pervengono a questa soluzione considerando le finalità delle
direttive 23/2001/CE e 98/50/CE (di analogo contenuto) alle quali il legislatore del
2003, con la legge delega n° 30/03 e poi con l’art. 32 del D.Lgs. n° 276/03, modificativo
dell’art. 2112 c.c., ha inteso dare attuazione.
Come noto, il testo dell’art. 2112 c.c. previgente alla riforma Biagi, esigeva
espressamente che tanto l’azienda ceduta, quanto il ramo di essa, preesistessero al
trasferimento e che nell’ambito dell’operazione conservassero “la propria identità”.
Sulla scorta del fatto che le direttive non fanno riferimento al requisito della
preesistenza, il legislatore del 2003 ha ritenuto di poter di escludere tale requisito in
relazione alla cessione del solo ramo d’azienda e consentire così alla cedente ed alla
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Nota a sentenza dell’avv. Mauro Papais pubblicata sul Quotidiano IPSOA del 9 Maggio 2011
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cessionaria di individuarlo come tale “al momento del trasferimento”, inserendo il
relativo inciso nel nuovo testo della norma.
La giurisprudenza che si è occupata dell’argomento, anche in tempi recentissimi, ha
però rilevato che la distinzione tra cessione di azienda e cessione del ramo è meramente
quantitativa e non giustifica una disparità di trattamento tra le due fattispecie, alla luce
della ratio espressa anche dalla rubrica dell’art. 2112 c.c., che è principalmente quella di
mantenere i diritti dei lavoratori coinvolti nell’operazione (in tal senso Tribunale di
Genova del 22.06.2009 afferma che “Del resto il trasferimento di azienda nella sua
globalità si distingue dal trasferimento del ramo dal punto di vista quantitativo e quindi
sarebbe assolutamente irrazionale ed ingiustificato prevedere solo nel primo caso la
necessità dei due requisiti della preesistenza e della conservazione dell'identità, specie
ove si consideri che la ratio della norma (art. 2112 c.c.), esplicitata dalla sua rubrica,
continua ad essere il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di
azienda e la predetta esigenza è certo più consistente proprio nel trasferimento del
ramo di azienda.”).
Sulla stessa scia si collocano altre importanti pronunce che specificano ulteriormente le
finalità di tutela perseguite dalla norma comunitaria e confermano la necessità di
rispettare i requisiti della preesistenza e della conservazione dell’identità, non solo in
caso di cessione di un intero complesso aziendale, ma anche e soprattutto nell’ipotesi in
cui la cessione abbia ad oggetto solo un’articolazione della struttura d’impresa (In tal
senso, App. Torino, Sez. lavoro, 10/01/2011 sul punto afferma che “La normativa
relativa al trasferimento di ramo d'azienda, a seguito della modifica legislativa
introdotta dal D.Lgs. n. 276 del 2003, si estende anche al trasferimento di parte
dell'azienda, da intendersi, al fine di evitare operazioni fraudolente di trasferimento del
personale, in relazione anche alla funzione di tutela dei lavoratori rivestita dall'art.
2112 c.c.”; Cass. civ., Sez. lavoro, 01/02/2008, n. 2489, conferma il principio e
specifica che è “preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di
frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non
autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del
rapporto ad un ramo di azienda già costituito”.
L’elemento determinante per poter applicare la peculiare disciplina del trasferimento
d’azienda è, quindi, l’autonomia funzionale del ramo d’azienda oggetto di cessione, da
intendersi come struttura organizzata autonomamente apprezzabile sia sotto il profilo
economico, sia, quindi, giuridico, in un momento antecedente la realizzazione del
trasferimento.
Dunque, il fatto che il “nuovo” testo dell’art. 2112 c.c. (come modificato dall’art. 32
della L. 276/2003) consenta al cedente e al cessionario di individuare il ramo come tale
“al momento del trasferimento”, non toglie che le componenti del ramo stesso, siano
esse azienda in senso stretto e dunque, un complesso di strumenti e macchinari, il knowhow, ovvero anche il solo personale (In questo caso, naturalmente, ove tra i lavoratori vi
sia un stabile collegamento organizzativo- funzionale tale da conferire
all’organizzazione di persone nel suo complesso una capacità operativa autonoma, come
confermano Cass. 22125/2006 , App. Potenza, Sez. lavoro, 26/08/2008 e Cass. civ., Sez.
lavoro, 05/03/2008, n. 5932), siano in qualche misura già interdipendenti tra di loro per
la funzione che rappresentano nell’ambito dell’impresa cedente sia prima, sia dopo il
passaggio, nell’organizzazione della cessionaria.
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E tale è appunto il concetto di “identità”, cristallizzato dal legislatore comunitario nella
direttiva 23/2001/CE, che il ramo oggetto di cessione deve “conservare” nel passaggio
da un’impresa all’altra e che, tuttavia, l’attuale formulazione dell’art. 2112 c.c. . non
prevede, il che ha portato molte imprese ad effettuare trasferimenti di rami di azienda
non solo individuati, ma addirittura creati ad hoc al momento del trasferimento, come
nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Milano.
Il confronto tra la norma nazionale (2112 c.c.) e quella comunitaria (23/2001/CE),
manifesta, in effetti, un apparente conflitto tra le due discipline, che i Giudici di Milano
risolvono, però, in coerenza con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di
merito e di legittimità, senza giungere alla disapplicazione della norma nazionale.
In altri termini, il requisito della preesistenza del ramo, espunto formalmente dal
legislatore nazionale nel nuovo testo dell’art. 2112 c.c., rientra a pieno titolo fra i
requisiti di applicabilità della disciplina nazionale grazie ad un’interpretazione
conforme al diritto comunitario al quale, com’è noto, il Giudice nazionale deve
conformarsi nell’applicazione del diritto interno.
Per cui, chiarita la supremazia della fonte comunitaria, quindi, i Giudici milanesi si
limitano ad interpretare la regola codicistica nell’unico senso logicamente conforme alle
finalità di tutela espresse della direttiva, sulla scorta della considerazione che se l’entità
aziendale ceduta deve “conservare la propria identità” questa debba essere
necessariamente definita in un momento antecedente al passaggio dall’una all’altra
impresa.
La semplice considerazione logica per cui non può essere conservato ciò che non esiste
impone infatti che tutti gli elementi che qualificano il ramo d’azienda come tale (cioè, in
sintesi, l’autonomia funzionale e la preesistenza), siano in concreto ravvisabili prima
che l’atto formale di trasferimento produca i suoi effetti.
E l’immediata conseguenza che i magistrati milanesi ne traggono è che se l’oggetto
della cessione non è un’”articolazione funzionalmente autonoma di un’entità economica
organizzata” non può aversi trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., ma solo
una cessione di singoli contratti di lavoro, realizzabile ai sensi dell’art. 1406 c.c., ma
solo con il consenso dei singoli lavoratori ceduti.
Le pronunce in commento scontano un solo isolato precedente contrario (Tribunale di
Sulmona del 5.12.2007, secondo il quale “Il nuovo articolo 2112 c.c. ha modificato la
previgente disciplina attribuendo alla individuazione del ramo di azienda una forte
connotazione soggettiva e consentendo che il ramo venga identificato come tale dal
cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento indipendentemente dalla
sua effettiva preesistenza.”) risultando quindi conformi ad un orientamento
giurisprudenziale pressoché uniforme, che completa, integrandolo, il quadro normativo
nel cui ambito i trasferimenti d’azienda vanno considerati.
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