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Guido Cavalcanti «L`anima mia vilment` è sbigotita» 1

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Guido Cavalcanti «L`anima mia vilment` è sbigotita» 1
1
T
Guido Cavalcanti
«L’anima mia vilment’ è sbigotita»
• gli affetti devastanti dell’amore
La forza dell’amore è tale che il poeta sente angosciosamente in
pericolo la propria stessa vita. Gli occhi sono stati la “breccia”
attraverso la quale la «battaglia» è entrata nel soggetto, distruggendone rapidamente le difese interne (è
tema già guinizzelliano: cfr. qui i vv. 9 sgg. con i corrispettivi di «Lo vostro bel saluto e ’l dolce sguardo»). Il
confronto con la realtà esterna si riduce alla verifica della disperata condizione del poeta (vv. 7 sg.) e alla sua
ipotetica conferma intersoggettiva (vv. 12-14).
L’anima mia vilment’ è sbigotita
de la battaglia ch’e[l]l’ave dal core:
che s’ella sente pur un poco Amore
più presso a lui che non sòle, ella more.
da G. Cavalcanti, Rime,
a cura di D. De Robertis,
Einaudi, Torino 1986.
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Sta come quella che non ha valore,
ch’è per temenza da lo cor partita;
e chi vedesse com’ell’è fuggita
diria per certo: «Questi non ha vita».
Per li occhi venne la battaglia in pria,
che ruppe ogni valore immantenente,
sì che del colpo fu strutta la mente.
Qualunqu’è quei che più allegrezza sente,
se vedesse li spirti fuggir via,
di grande sua pietate piangeria.
metrica sonetto con disposizione delle rime rara
nelle terzine e del tutto eccezionale nelle quartine,
secondo lo schema ABBB, BAAA; CDD, DCC.
«Nel contesto l’asimmetria vuol significare lo sconvolgimento operato nell’anima amante» (Contini).
1-4 La mia anima è angosciata (sbigotita) per
avvilimento (vilment’<e>) a causa dell’assalto (de
la battaglia) che essa riceve (ch’ell’ave = che
ella ha) da parte del (dal) cuore: così che (che)
se essa [: l’anima] sente Amore un poco soltanto
(pur) più vicino (presso) a lui [: al cuore] di quanto
non era solito (che non sòle; sòle = suole, vale
un imperfetto), ella muore. Le conseguenze terribili
dell’innamoramento sono descritte secondo la concezione fisiologica e psicologica dell’epoca: l’anima
(cioè lo spirito individuale) sta materialmente nel
cuore; qui agisce la forza dell’amore, concepito
come uno “spirito” (cioè un sottile essere dotato
di energia), invadendo come un nemico lo spazio.
La vicinanza dell’amore è oltremodo pericolosa per
l’anima, che è perciò costretta ad abbandonare il
cuore, provocando di fatto la morte del soggetto.
L’ingresso dell’amore nel cuore è avvenuto (cfr. vv.
9 sgg.) attraverso gli occhi, la “porta” dell’interiorità
sull’esterno. Amore...ella more: l’*equivoco
(AMORE/ellA MORE) sottolinea la contrapposizione/simiglianza tra le conclusioni delle *quartine
(more/non ha vita).
5-8 [L’anima] sta senza forza vitale (come quella
che non ha valore = come un’anima che ecc.; è
comparazione apparente), essendosi (ch’è = la quale
è) staccata (partita) dal cuore (da lo cor) per paura
(per temenza); e se qualcuno (e chi) vedesse che
(com’<e>) ella è fuggita [dal cuore] direbbe (dirìa)
certamente (per certo): «Costui (questi) non ha
vita [: è morto]». Chi vedesse…diria…: l’introduzione di un ipotetico punto di vista esterno – che si
ritroverà frequentemente in Petrarca – ha due funzioni:
conferma oggettivamente la condizione del poeta
quale è da lui soggettivamente avvertita, ed enfatizza
la sua sofferenza attraverso un raddoppiamento
quasi teatrale delle prospettive.
9-11 L’assalto (la battaglia; cfr. v. 2) arrivò (venne) inizialmente (in pria; pria = prima) attraverso
gli (per li) occhi, [assalto] che spezzò (ruppe) im-
G. B. PALUMBO EDITORE • LETTERATURA ITALIANA
mediatamente (immantenente) ogni forza vitale
(ogni valore), così (sì) che a causa del (del) colpo
la [mia] capacità intellettiva (mente) fu distrutta
(strutta). Il v. 9 corrisponde al v. 2 e il v. 11 al v.
1, a sottolineare anche in questo modo l’ossessiva
violenza della distruzione portata dall’amore all’interno del soggetto.
12-14 Chiunque (qualunque è quei) prova
(sente) più allegria (allegrezza) [: la persona più
allegra che esista], se vedesse [in me] le funzioni
vitali (li spirti = gli spiriti) fuggire via [dal corpo],
piangerebbe (piangerìa) con tutta la sua pietà (di
grande sua pietate). Spirti: veri e propri enti
addetti alle funzioni vitali dell’organismo, concepiti
sulla base del pensiero aristotelico quale era stato
rielaborato dalla dottrina della Chiesa (da Alberto
Magno in particolare); la loro individualizzazione
consente di allargare lo scenario del dramma
d’amore. Di grande sua pietate: riferibile anche,
con più efficacia ma maggiori difficoltà sintattiche,
a mente del v. 11: l’ipotetico osservatore, pur
felice in sé, proverebbe pietà ‘della condizione profondamente pietosa del poeta’.
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