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con gli occhi del nemico

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con gli occhi del nemico
Le recensioni di Veronica Curvietto
CON GLI OCCHI DEL NEMICO
David Grossman
Arnoldo Mondadori Editore
Collana “Argomenti”
pp. 96
“La Paura bussò alla porta, la Speranza andò ad aprire: non c’era nessuno”.
( proverbio popolare)
Il libro scelto per questa recensione è la penultima, bellissima fatica letteraria dello scrittore
David Grossman, considerato uno dei più grandi narratori contemporanei.
Nato a Gerusalemme, si è sempre impegnato per una soluzione pacifica della questione
palestinese.
Il figlio Uri è scomparso durante la seconda guerra del Libano.
Lo scritto comprende quattro brevi saggi, tratti da differenti interventi pubblici.
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Ognuno di questi elaborati conduce il lettore a riflettere sull’ importanza della letteratura in
generale, e dell’arte dello scrivere in particolare, e sulla triste situazione attuale del Medio Oriente.
Grossman parte da una condizione generica per arrivare ad una “soluzione” singola e
peculiare.
Intervento alla Conferenza al Congresso nazionale dei bibliotecari, Tel Aviv,Gennaio 2006
L’autore prende in considerazione uno degli obiettivi principali dello scrittore, o perlomeno
ciò che dovrebbe muovere una persona che vuol fare della scrittura il proprio strumento
comunicativo predominante: il desiderio di comprendere l’uomo e il mondo nei suoi differenti
aspetti e contraddizioni. Oltre alla comprensione, però vi è anche l’aspirazione a togliere eventuali
barriere che separano gli uni dagli altri, ostacoli aventi a che fare più con la sfera emotiva
dell’individuo.
Secondo Grossman, la scrittura dovrebbe portare con sé pure l’impulso a conoscere l’altro
dall’interno, tanto da volersi “mettere nei panni” dell’altro. Ciò comporta, per forza di cose,
l’accettazione dei limiti e dei difetti, oltre che delle qualità.
L’autore pone l’accento sul valore dell’ascolto e dell’accoglienza, ricordandoci che “dentro
quell’armatura” c’è una persona, dietro il muro che gli uomini pongono tra di loro, dietro tutte le
manifestazioni meschine e negative, vi sono delle persone, degli esseri umani.
Questa persona potrebbe anche essere un nemico potenziale, ma per la persona scrittore
anche la persona “nemico” è una persona da capire e da conoscere.
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Intervento alla Conferenza al Pen Club, New York, 29 Aprile 2007
In questo secondo discorso, il nostro autore parla della difficoltà nello scrivere in una
circostanza di belligeranza; egli fa riferimento alla situazione in Israele. Grossman ha sempre
menzionato nei suoi romanzi lo Stato d’Israele, un paese segnato da tempo immemorabile da
un’infinità di tragedie e momenti di paura e sfiducia.
La scrittura può essere d’aiuto ancora una volta, può essere un modo per affrancarsi e per
non essere vittime.
Intervento al simposio del Circolo Lévinas, Parigi, 5 Dicembre 2004
Nel terzo saggio, alcune meditazioni sono al centro del discorso: la pace tra Israele e i
palestinesi, tra Israele e il mondo arabo.
Molti israeliani hanno addirittura difficoltà ad immaginare uno stato di pace, questo perché,
nella storia dello Stato d’Israele e del popolo ebraico, non vi sono praticamente mai stati dei periodi
davvero sicuri e sereni; la pace viene vista come un qualcosa di effimero e passeggero.
Grossman utilizza un efficace, sebbene non felice, paragone, e lo fa per poter rendere al
meglio il senso di profondo disagio che alberga i cuori israeliani: egli parla di “smembramento”,
quello del corpo singolo, individuale e quello del corpo sociale.
Gli israeliani non si sentono ancora sicuri, non si sentono a casa propria. Ciò è dovuto anche
dal modo in cui il Medio Oriente ha accolto Israele, in modo ostile ed intollerante.
Vi è un’altra questione: i confini. Israele non ha mai avuto dei confini stabili, ciò ha
condotto i cittadini israeliani a non capire dove “finiscono” loro e dove “cominciano” gli altri e
questo li ha portati ad avere sempre la tentazione di introdursi negli spazi altrui e , allo stesso tempo,
la tendenza ad autodifendersi.
Purtroppo, però, questo bisogno di autoprotezione può portare l’individuo ad un blocco
fisico ed emotivo, che conduce facilmente ad autolimitarsi e a negarsi la gioia di vivere.
Discorso pronunciato alla commemorazione di Yitzhak Rabin, Gerusalemme, 4 Novembre
2006
L’ultimo saggio è stato dedicato alla memoria di Rabin (Primo ministro e Ministro della
Difesa il 13 luglio 1992. Assassinato a Tel Aviv il 4 novembre 1995 mentre partecipava ad un
raduno pacifista. Aveva 73 anni).
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Grossman pone l’accento su uno degli aspetti più gravi messi in luce dalla guerra:
attualmente, in Israele, non esiste un leader, una persona che guidi la popolazione israeliana e che la
faccia sentire viva e forte, responsabile e speranzosa del proprio futuro.
Rabin aveva intrapreso il sentiero giusto, il sentiero che portava alla pace; egli aveva intuito
che la società israeliana non avrebbe resistito a lungo in una situazione di conflitto e che vivere una
vita costantemente in uno stato di terrore e di mancanza di speranza sarebbe stato un sacrificio
troppo grande per Israele.
A volte, proprio come ci sono guerre portate avanti per mancanza d’alternativa, così c’è una
pace che si insegue e persegue per “mancanza di scelta”.
La Paura continua ad esserci e a sopravvivere, ma la Speranza, si sa, è l’ultima a morire.
Veronica Curvietto
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