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Appunti completi integrati col libro

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Appunti completi integrati col libro
CLINICA ORTOPEDICA
Argomenti
• Artrosi
• Cifosi e Lordosi
• Deformità congenite
• Distacchi epifisari
• Distorsioni
• Fratture Arto Inferiore
• Fratture Arto Superiore
• Fratture Bacino
• Fratture Vertebrali
• Lussazioni
• Scoliosi
Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ
pag. 24.
pag. 12.
pag. 2.
pag. 48.
pag. 52.
pag. 41.
pag. 28.
pag. 39.
pag. 35.
pag. 49.
pag. 16.
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DEFORMITÀ CONGENITE
DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA
Questa patologia era denominata, in passato, anche Lussazione congenita dell’anca. È
caratterizzata, alla nascita, da insufficiente sviluppo (displasia) delle due componenti articolari
dell’anca e da concomitante lassità capsulo-legamentosa. Tali anomalie congenite rappresentano il
substrato predisponente comune per quadri clinici diversi a seconda dell’età nella quale l’affezione
è diagnosticata e trattata. Solo questa condizione è veramente presente alla nascita e, quindi,
congenita 1. È un’affezione frequente spesso diagnosticata tardivamente e solo la diagnosi neonatale
permette nella quasi totalità dei casi una guarigione completa. Si può associare ad altre deformità.
Cenni di anatomia normale
Nel bambino normale alla nascita la cavità cotiloide è rappresentata da una calotta sferica
cartilaginea (cartilagine acetabolare) risultante di tre porzioni: iliaca, ischiatica e pubica,
incompletamente ossificate e non ancora saldate tra loro. La porzione iliaca comprende la parte
superiore o tetto dell’acetabolo ed appare separata da quella ischiatica e pubica da cartilagine di
accrescimento che prende il nome di cartilagine a Y o ipsilonica (fig. 43).
Il bordo della cavità cotiloidea è rivestito da un orletto fibro-cartilagineo denominato limbus che
darà origine al ciglio cotiloideo nell’adulto (fig. 47). Il normale sviluppo dell’articolazione prevede
le sollecitazioni meccaniche che la testa del femore esercita concentricamente ed uniformemente
sulle pareti dell’acetabolo stesso ed avviene per tre meccanismi: 1) accrescimento interstiziale delle
cartilagini acetabolare e ispilonica; 2) ossificazione endocondrale delle cartilagini; 3) ossificazione
periostale sulla superficie esterna dell’ala iliaca che determina approfondimento dell’acetabolo.
Misurazioni e valori di riferimento
• Angolo di inclinazione: l’angolo esistente tra asse del collo del femore e asse della diafisi; nel
neonato è un po’ più ampio dell’adulto: 130°-135° rispetto a 125°; si parla, quindi, di valgismo
fisiologico dell’anca neonatale.
• Angolo di declinazione: l’angolo che l’asse del collo del femore forma con un piano passante
per i due condili femorali; nel neonato è un po’ più ampio dell’adulto: 35° rispetto a 15°-20°; si
parla, quindi, di antiversione del collo del femore neonatale.
N.B. Se questi ultimi due valori tendono a restare ampi, si parla si coxa valga anteflessa.
• Angolo C di Hilgenreiner: in RX antero-posteriore; il tetto dell’acetabolo presenta una
inclinazione di 25°-30° rispetto all’orizzontale, ricoprendo sufficientemente la testa
dell’acetabolo, rappresentato da un abbozzo cartilagineo radiotrasparente; la sua ossificazione
inizia al 3°-4° mese dopo la nascita e appare centrata nella cavità cotiloide (fig. 44).
• Diagramma di Ombredanne: in RX antero-posteriore; è risultante dall’incrocio tra la linea
orizzontale condotta per le due cartilagini ipsiloniche e le due perpendicolari abbassate
bilateralmente dal punto più esterno del tetto cotiloideo; il nucleo dell’epifisi prossimale
femorale appare, nel neonato sano, nel quadrante infero-interno (fig. 57).
• Ogive di Shenton: in RX antero-posteriore; sono linee curve continue che in un soggetto
normale seguono, bilateralmente, il profilo del margine inferiore della branca ileo-pubica e del
collo femorale.
1
Non sono da considerarsi condizioni congenite predisponenti: l’eventuale lussazione della testa del femore (si parla di
anca lussabile alla nascita – vedi oltre), così come l’eventuale perdita di rapporti articolari per malformazione
embrionaria.
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• Criteri di Bertold: distanza h tra la linea bisipsilonica e la parte ossificata più alta del femore
(> 5mm) o la distanza d tra il punto più alto del femore ed il bordo inferiore dell’ileo (< 18 mm
– fig. 23 QA).
• Metodo ecografico di Graf: questa tecnica prevede la valutazione ecografica dell’anca anche
nel neonato in cui l’ossificazione non è ancora iniziata.
• Il fronte di ossificazione della testa del femore (placca epifiso-metafisaria) è costituita da
cellule a palizzata responsabili di iperecogenicità, visibile a mezzaluna; la parte formata
dalla cartilagine è anecogena.
• L’emibacino è formato dall’ala iliaca, ipercogena, che si prolunga in basso e medialmente a
formare il cotile con il pube e l’ischio; ecograficamente: 1) dall’esterno all’interno: si ha
un’eco non molto densa corrispondente al tessuto fibroadiposo dalla metafisi iliaca inferiore
fino al fondo della cavità cotiloidea (coda di ravanello), ed una zona anecogena della
cartilagine ipsilonica; 2) dall’alto al basso: il tetto cartilagineo ha forma di triangolo
anecogeno, delimitato in alto dalla parte ossea iperecogena del tetto e, lateralmente,
dall’alto al basso, dal tessuto fibroso ecogeno del periostio prima, e del pericondrio dopo,
che si continua con la capsula. Medialmente alla capsula il tetto cartilagineo termina con un
piccolo triangolo iperecogeno, il labrum, formato da fibre collagene, che in condizioni
normali avvolge la testa femorale e diviene visibile dal 1°-2° mese in poi.
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I punti di repere da evidenziare sono, in ordine: ala iliaca, labrum, coda di ravanello, fronte di
ossificazione. Questi punti di repere permettono di tracciare delle linee ed angoli:
• Linea di base: unisce il ciglio cotiloideo al punto di inserzione della capsula (punto di
trasformazione del pericondrio in periostio).
• Linea del tetto cotiloideo: unisce il ciglio osseo al bordo inferiore dell’osso iliaco (fondo
del cotile); questa linea intersecata con quella di base forma l’angolo α (angolo del tetto
osseo), che stabilisce il limite tra anca normale (>60°) e patologica.
• Linea del tetto cartilagineo: unisce il ciglio osseo cotiloideo al labrum acetabolare; questa
linea intersecata con quella di base forma l’angolo β (angolo del tetto cartilagineo), che
stabilisce il confine tra anca centrata (>77°) e decentrata.
Epidemiologia
La frequenza della DCA varia nei diversi Paesi e nelle diverse razze, presente fino al 2,5 per mille,
risultando quasi sconosciuta nella razza nera. La percentuale generale va dallo 0,6 al 2%
considerando le lussazioni e fino al 6% considerando i vari stadi di malattia. In Italia la frequenza
varia dallo 0,1 allo 0,6%, considerando la lussazione, ma aumenta considerando le anche lussabili e
displasiche. Il rapporto maschi/femmine è di 1:5; il lato destro è colpito nel 20% dei casi, il sinistro
nel 33% dei casi, la bilateralità arriva al 47%. Il fattore familiare è del 3 - 12%.
Etiopatogenesi
• Fattori genetici: differente razza e presenza di familiarità. Le displasie su base genetica del
cotile e del femore sono da considerarsi solo fattori predisponenti, ma da soli non determinano
la lussazione.
• Fattori meccanici: sono preponderanti, spt nelle primipare; sono chiamati in causa la
presentazione podalica, spt quelle con iperflessione ed extrarotazione delle anche, così come la
macrosomia, l’ologodramnios ecc., quindi, in definitiva, tutte le condizioni di sproporzione tra
utero e feto.
Alcuni lavori recenti (Dunn, Seringe ecc…) hanno dimostrato che la lussazione può avvenire:
• Durante la vita fetale: quando si instaura conflitto meccanico.
• Non può avvenire durante il parto perché i traumi ostetrici comportano distacco epifisario
prossimale del femore anziché una lussazione.
• Dopo la nascita: se l’anca è instabile, cioè lussabile.
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L’anca stabile, cioè non lussabile, nonostante la presenza di displasia cotiloidea e/o femorale, non
può produrre la migrazione della testa del femore fuori dal cotile e, quindi, la patologia.
Classificazione
A scopo didattico si usava definire la DCA in diversi stadi subentranti:
• Prelussazione o displasia propriamente detta.
• Sublussazione.
• Lussazione.
• Lussazione inveterata.
Ad oggi, invece, si è capito che il carattere subentrante non è presente e che la lesione principale di
partenza è l’anca lussata o sublussata in utero. Da qui:
• Anca displasica.
• Anca lussabile: che può evolvere in sublussabile e stabile (in entrambi i casi è riscontrabile la
displasia), o può evolvere in anca normale.
• Anca lussata riducibile: può evolvere in anca sublussata o in lussazione inveterata.
• Anca lussata irriducibile: con certa evoluzione in lussazione inveterata.
Anatomia Patologica
Le lesioni variano per il feto, neonato, lattante e bambino.
FETO, NEONATO E LATTANTE
Si riconoscono, essenzialmente:
• Anche lussate e sublussate.
• Anche displastiche.
Nelle anche lussate e sublussate:
• Capsula: lassa nella sua parte postero-inferiore (chambre de luxation).
• Legamento rotondo: allungato, nastriforme, talvolta atrofico o assente.
• Limbus cotiloideo: talvolta assente o più spesso deformato in eversione o inversione; il
cotile perde la rotondità diventando ovale; presenza di una salienza smussa nella porzione
postero-superiore del bordo dell’acetabolo definita neo-limbus (Ortolani).
• Testa del femore: un po’ appiattica per l’appoggio anomalo e per la pressione del
legamento rotondo.
• Collo femorale: angoli di inclinazione e declinazione aumentati = coxa valga anteversa.
Secondo Dunn si parla di DCA:
• I grado: sublussazione con limbus everso.
• II grado: lussazione intermedia con limbus in parte everso, in parte invertito.
• III grado: lussazione con limbus invertito.
Nelle anche displasiche:
Le anomalie morfologiche riguardano esclusivamente il cotile, che risulta:
• Primitiva: non mostra beneficio con trattamento e non mostra evoluzione verso lussazione.
• Secondaria: ad una lussazione spontaneamente ridotta all’atto del parto (specie dopo
presentazione podalica), o dopo un trattamento.
BAMBINO ALL’ETÀ E DOPO LA DEAMBULAZIONE
• Displasia cotiloidea: cotile insufficiente per mancanza di copertura antero-superiore della testa
del femore associata a coxa valga anteversa.
• Sublussazione: anomalia a carico del polo antero.superiore dell’acetabolo, là dove poggia la
testa femorale più o meno anteversa. Allontanamento della testa del femore dal fondo del cotile
e la sua risalita verso il bordo dell’acetabolo.
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• Lussazione: è inveterata; la testa è risalita, generalmente, in sede superiore al cotile, ed è quasi
sempre irriducibile. Vi è la presenza di un neocotile e se la testa del femore vi poggia, si parla di
lussazione appoggiata, se invece è libera nei muscoli glutei si definisce non appoggiata. È
riscontrabile deformazione della testa del femore, ulteriore distensione ed ipertrofia della
capsula e del legamento rotondo, notevole accorciamento dei mm. pelvi-femorali (adduttori ed
ileo-psoas – qui il tendine distale del muscolo passa a ponte sulla capsula articolare,
strozzandola nella porzione centrale, con la classica deformazione a clessidra). È presente la
cosiddetta doccia di migrazione, che è un solco osseo scavato dal progressivo spostamento
verso l’alto della testa femorale che si estende dal cotile ormai abbandonato fino alla zona
dell’ala iliaca ove è collocata la testa.
Esame clinico
L’esame clinico prevede raccolta anamnestica su evoluzione della gravidanza, della primiparietà,
della gemellarità, della presentazione, della modalità del parto, nonché della presenza di antecedenti
familiari. Disporre il bambino supino su tavolo duro in modo che il bacino non ruoti,
completamente nudo, ben rilassato (provocando il riflesso di suzione). Osservare la posizione
spontanea delle coscie: se sono in abduzione sono probabilmente normali; l’atteggiamento
asimmetrico delle coscie è dubbio per l’anca con limitazione in abduzione.
• Studio di ab-adduzione: abduzione a neonato supino con ginocchia flesse a 90° è di 70-85°; se
inferiore a 50° si parla di limitazione per retrazione degli adduttori ⇒ effettuare la prova del
tono degli adduttori (stretching rapido fino a 70°, ritorno alla normalità e poi stretching dolce
fino a 70°: se c’è limitazione l’anca è a rischio). Adduzione a paziente prono, con ginocchio
flesso a 90°; prima si abduce l’anca e poi la si adduce. Se l’arto non raggiunge la linea mediana
del corpo si ha retrazione degli abduttori ⇒ si ha rischio all’altro arto perché risulta in
adduzione per obliquità del bacino e retrazione degli adduttori. – In questa posizione si studia
anche la lassità della capsula legamentosa con la prova di Trelat o della squadra ⇒ si effettua
extrarotatazione dell’anca che, se affetta da patologia, può determinare contatto tra margine
laterale del piede e piano del letto.
• Scroscio articolare: si può apprezzare, a volte, anche uditivamente; lo scrosci è rilevabile nei
movimenti di adduzione per lo più nelle stesse posizioni; ha carattere di benignità, ma è da
controllare sempre.
• Segno di Savariaud: consiste nell’accorciamento dell’arto affetto, nel passaggio dalla posizione
supina a quella seduta, mantenendo le ginocchia estese.
• Manovre di studio dell’instabilità:
• M. di Le Damany – rivela un’anca lussabile: pz supino con arti addotti ed anche flesse a
90°, si pone palmo della mano sul ginocchio fless, police su faccia interna della coscia e
medio su regione trocanterica; adducendo ulteriormente l’anca e spingendo i femori
posteriormente, l’anca può lussare; lasciando la presa ritorna alla normalità.
• M. di Ortolani – rivela un’anca lussata riducibile: posizione del pz e delle mani come la
precedente. Si pratica movimento di abduzione e lieve extrarotazione delle cosce, tirando
vero l’alto e spingendo sul grande trocantere verso l’avanti e medialmente; l’anca lusata si
riduce con una netta sensazione di scatto. Se si lascia la presa, l’anca rilussa facilmente.
• M. di Barlow – rivela un’anca instabile con Ortolani negativa. Pz supindo, una mano
stabilizza la pelvi con pollice sul pube e le dita sul sacro, l’altra mano circonda l’arto da
esaminare ad anca flessa a 90° e ginocchio completamente flesso, ponendo il medio sul
grande trocantere e il pollice sulla faccia interna della coscia; si porta la coscia in abduzione
intermedia (circa 40°). Prima parte: spingi con pollice indietro e verso l’esterno alla radice
della coscia ⇒ se la testa femorale scivola sopra il bordo posteriore dell’acetabolo, l’anca è
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•
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lussabile. Seconda parte: pressione in avanti con medio ⇒ se l’anca scivola in avanti con
testa del femore che scivola nell’acetabolo, l’anca è lussata ma riducibile.
Alla fine dell’esame clinico si definiscono:
Anca normale: tutti segni negativi.
Anca riducibile: Ortolani e/o Barlow +;
Anca irriducibile: rara – unico segno della limitazione netta dell’abduzione.
Anca lussabile: Le Damany e/o Barlow + con fuoriuscita della testa.
Anca dubbia: scroscio o limitazione con instabilità.
Imaging
• Ecografia secondo Graf: secondo la metodica di Graf, bisogna riscontrare i punti di repere,
tracciare le linee di base, del tetto cotiloideo e del tetto cartilagineo, con la misurazione degli
angoli α e β. Se l’angolo α > 60° e β > 77°, si ha anca normale e centrata.
•
anche displasiche (stadio 2A+,2A-,2B), con angolo alfa tra 50° e 60°;
•
anche critiche e "decentering hips" (stadio 2C, D), con angolo alfa tra 43° e 49°;
•
anche decentrate (stadio 3A, 3B), con angolo alfa minore di 43°.
Molto rare sono le anche di stadio 4 ("femore calvo"), in cui non è possibile effettuare una
misurazione, poiché i punti di repere non sono più rilevabili per la marcata lussazione e
deformazione del margine cotiloideo e del labbro acetabolare. Anche con angoli β > 77° sono
decentrate.
• RX: varia in base all’età ed agli stadi.
• Primi mesi di vita: per l’incompleta ossificazione si fa ricorso all’ECO.
• 4-6 mesi: permette di evidenziare la displasia dell’anca mediante il riscontro della tipica
triade di Putti: 1) angolo C di Hilgenreiner risulta aumentato finanche i 45°,
continuandosi quasi sulla stessa linea del profilo dell’ala iliaca (fig. 57a): sfuggenza ed
esagerata inclinazione del tetto acetabolare; 2) ipoplasia o mancanza del nucleo della testa
del femore; 3) allontanamento del nucleo femorale riscontrabile nel quadrante infero
esterno nel diagramma di Ombredanne.
• Sublussazione: persistenza della sfuggenza del tetto e ulteriore allontanamento e risalita
della testa del femore con interruzione dell’ogiva di Shenton.
• Lussazione: sfuggenza del tetto acetabolare e spianamento del cotile; perdita completa dei
rapporti articolari e testa del femore in sede iliaca; eventuale impronta scavata nell’ala iliaca
(neo-cotile) e doccia di migrazione; deformazione della testa del femore; ipoplasia,
antiversione e valgismo del collo femorale (coxa valga anteversa).
Diagnosi
Alla nascita va effettuato sempre l’esame clinico da ripetere più volte nel corso dei primi mesi di
vita; in caso di sospetti, va effettuata l’ECO secondo Graf, ed eventualmente anche l’ecografia
dinamica dell’anca. Verso il 4° mese va effettuata anche la RX. La diagnosi differenziale tra
lussazione su base displastica e acquisita (trauma, osteoartritica, paralitica) si basa su indagine
anamnestica e sul quadro radiografico, che mostra, in questi ultimi casi, una conformazione normale
del cotile e dell’epifisi femorale nelle forme traumatiche e paralitiche; nelle forme infettive (artriti
acute da piogeni, osteoartriti tubercolari ecc…) è evidente la presenza di ampie lesioni distruttive
dei componenti articolari.
Più la diagnosi è tardiva, più il trattamento risulta difficile, più i rischi iatrogeni aumentano e più
diminuisce la possibilità di una restitutio ad integrum, perché diminuisce il potenziale evolutivo del
cotile.
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Trattamento
• Nelle anche displasiche (alterazioni displasiche cotiloidee e femorali), si tratta solo nel IV-V
mese se residua, dopo controllo radiografico, con divaricatore.
• Nelle anche lussate riducibili può essere utilizzato un cuscino divaricatore a permanenza che
mantiene le anche ridotte, alla nascita o dopo 2 mesi. Se l’applicazione è difficoltosa si può
applicare anche un’ortesi di Pavlik.
• Nelle anche lussate irriducibili si può usare un’ortesi di Pavlik, anche se la percentuale di
insuccessi è alta. In questi casi si può lasciare libero il soggetto e al 3° mese ridurre l’anca
mediante una trazione progressiva, con i metodi Over Head o Sommerville-Petit; quando il
controllo radiografico mostra la discesa della testa del femore nell’acetabolo si applica un
apparecchio gessato pelvi-malleolare bilaterale che mantenga le anche in flessione a 110°,
abduzione a 60°-70° e rotazione neutra.
• Nelle anche lussabili o sublussabili non vi è bisogno della riduzione, ma solo di
stabilizzazione, mantenendo le anche flesse in abduzione mediante un cuscino divaricatoe, di
tipo Milgram o altro.
• Terapia cruenta: nelle lussazioni inveterate dopo il 4°-5° anno di età; si concreta mediante una
miotenotomia, apertura della capsula articolare, rimozione degli ostacoli fibrosi e riduzione
della testa del femore in cavità acetabolare, il tutto integrato con la creazione di un sistema di
contenimento della testa femorale, in modo da poter compensare il deficiente sviluppo del tetto
acetabolare.
Esiti
Possono verificarsi rigità articolari, a seguito del’apertura della capsula; può residuare un lieve
valgismo, che può essere anche solo apparente per l’eccessiva antiversione del collo del femore
(possono correggersi da sé durante l’accrescimento – per questo non si effettua più l’osteotomia di
centramento). Questa patolotogia predispone sempre alla coxartrosi.
PIEDE TORTO CONGENITO
È tra le anomalie scheletriche più comuni rilevabili alla nascita. È un’affezione solitamente
bilaterale e si può presentare con differenti gradi di gravità. Può accompagnarsi frequentemente a
displasia dell’anca, e ad altre alterazioni dello scheletro, per cui bisogna porre molta attenzione alla
diagnosi radiografica di tutto l’apparato locomotore. In caso di bilateralità, si può avere la stessa
lesione ad entrambi i piedi, o diverse.
Epidemiologia
L’incidenza di PTC resta più o meno stabile. Va da 1-2 per la razza caucasica ai 3-4 per la razza
orientale su 1000 nati vivi. La percentuale aumenta in caso di aborto spontaneo, specialmente in
patologie cromosomiche (trisomia 13, trisomia 5+, trisomia 18). Il sesso maschile prevale con un
rapporto 2:1. In figli di consanguinei aumenta l’incidenza al 20-30%, così come in figli di portatori
si ha un aumento al 25%.
Definizione e classificazione
Per PTC si intende una deformità del piede, presente alla nascita, caratterizzata da uno stabile
atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo
compongono, cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo-tendinee e delle fasce.
Lasciata a se stessa, ad eccezione del piede talo-valgo (vedi dopo), esita in una modificazione
strutturale dello scheletro del piede per cui la deformità diviene sempre più difficilmente
corregibile. Esistono 4 varietà di piede torto congenito. In ordine di frequenza:
• Piede equino-cavo-varo-addotto-supinato.
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• Piede talo-valgo.
• Metatarso addotto.
• Piede refless-valgo / astragalo verticale.
Etiopatogenesi
Il preciso determinismo della malattia è sconosciuto. L’eziopatogenesi è forse multifattoriale.
• La teoria della mal posizione resta la principale e la più accreditata (⇑ incidenza in donne con
retroversione uterina o utero bicorne).
• Retrazione fibrosa delle strutture muscolo-tendinee e capsulari della gamba e del piede:
l’ipotrofia dei muscoli della gamba nel PTC è pressoché costante, ed è difficilmente corregibile,
anche dopo lunghi cicli di FKT.
• Difetti del tubo neurale: nel 10% come la mielodisplasia; in questi casi la DD non risulta
molto difficile perché la patologia si presenta in un quadro malformativo sindromico, spt in casi
di mielocele o mielomeningocele; resta più difficile in caso di spina bifida occulta.
• Alterazioni genetiche del tono muscolare: patologie come artrogriposi e S. di FreemanSheldon; va ricordato il fenomeno noto come Incremento della deformità da acinesia fetale
(Fetal Aknesya Deformation Sequence): la riduzione dei movimenti fetali degli arti comporta
squilibrio tra muscoli agonisti ed antagonisti con peggioramento della deformità distale.2
• Displasia Distrofica: alterazione genetica da aumentata tensione capsulo-tendinea.
Cenni di anatomia radiologica normale
Alla nascita alcune strutture del piede sono ossificate, altre no. In particolare alla nascita si apprezza
il nucleo di ossificazione del calcagno e dello scafoide; nel mesopiede è presente solo il nucleo di
ossificazione del cuboide; per quanto riguarda l’avampiede sono ossificati solo i metatarsi e le
falangi. All’età di 6 mesi compare il nucleo di ossificazione del 3° cuneiforme e le epifisi distali
di 1° e 5° falange prossimale. Ai 18 mesi compiono le epifisi delle falangi intermedie, mentre lo
scafoide e gli altri cuneiformi sono presenti non prima dei 2-2,5 anni.
In condizioni normali l’astragalo ed il calcagno sono moderatamente divergenti, ed in entrambe
le proiezioni (antero-posteriore e letero-laterale), i loro assi formano angoli di circa 30-40°; questo
angolo si definisce angolo di Kite e con l’accrescimento può ridursi ad un minimo di 25-35°.
In condizioni normali l’astragalo e lo scafoide sono, nelle due proiezioni, allineati l’uno all’altro,
e lo stesso vale per calcagno e cuboide.
PIEDE EQUINO-CAVO-VARO-ADDOTTO-SUPINATO
Questa forma è il PTC propriamente detto. È la varietà più frequente (70-75%), predilige il sesso
maschile ed è frequentemente bilaterale.
• Articolazione astragalo-calcaneare: il calcagno è varo e tende a ridurre l’angolo di Kite,
sovrapponendosi all’astragalo. Sul piano laterale, il margine posteriore tende a risalire, per il
tendine d’Achille ispessito e retratto. Nei casi gravi l’asse del calcagno può risultare anche
parallelo a quello dell’astragalo.3
• Articolazione astragalo-scafoidea: lo scafoide lussa medialmente, fino a prendere contatto, nei
casi gravi, con il malleolo interno. Con lo scafoide tutte le ossa si portano in adduzione.
• Articolazione calcaneo-cuboidea: perdita dei rapporti articolari, fino a completa lussazione
mediale del cuboide.
Di conseguenza tutte le capsule ed i tendini si ispessiscono, con fibrosi e retrazione.
2
Durante lo studio ECOgrafico prenatale si raccomanda sempre una valutazione dinamica del feto sollecitandone i
movimenti.
3
Paragone di Farabeuf: come una barca il calcagno vira adducendosi, beccheggia abbassando la sua estremità
anteriore ed alzando quella posteriore, rulla supinandosi (inclinandosi sulla sua faccia esterna).
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Per quanto attiene ai muscoli, bisogna ricordare che sul fulcro astragalo-calcaneare agiscono
quattro gruppi muscolari: tricipite surale posteriormente, estensori del piede anteriormente, tibiale
anteriore e tibiale posteriore medialmente, perionieri lateralmente. Il sinergismo normale si perde.
Gradi
• I grado: deformità modesta e non si riscontra notevole resistenza nel tentativo di riportare il
piede in atteggiamento ortomorfico.
• II grado: sul piano frontale il piede forma con la gamba un angolo di 90° e si apprezza
resistenza nel tentativo di correggere l’atteggiamento vizioso.
• III grado: sul piano frontale il piede forma con la gamba un anglo acuto, < 70-80°e la faccia
dorsale guarda addirittura plantarmente.
La prognosi è legata alla tempestività del trattamento.
Tratamento
Fin dalla nascita bisogna effettuare manipolazioni, correggendo tutte le componenti della deformità,
spt per la sub-lussazione astragalo-scafoidea e calcaneo-cuboidea ⇒ trazione longitudinale.
Ottenuto il rimodellamento, verso i 40-60 gg, si applica un femoro-podalico fino al ginocchio
(flessione a 90° per rilassare il tricipite surale), da cambiare ogni 8-10 giorni. dopo 3-4 gessi,
intorno, solitamente, ai 4-5 mesi di vita, si procede alla correzione chirurgica delle deformità
residue, con allungamento del tendine d’Achille mediante plastica a Z e capsulotomia delle
articolazioni tibio-tarsica e sotto-astragalica per ottenere una normale anatomia del retropiede. Dopo
l’intervento si gessa per altri 30-40 giorni, dopo di che si comincia con un ciclo di FKT giornaliero.
Di notte va usato un tutore ortopedico per 6-12 mesi, facendo, inoltre, imparare al bambino a
dormire supino.
PIEDE TALO-VALGO
Il piede si presenta in atteggiamento opposto al precedente, cioè in massima flessione dorsale: in
alcuni casi la superficie dorsale del piede è a contatto con la regione anteriore della tibia. La
flessione plantare è possibile solo passivamente. Può essere bilaterale e non è infrequente
l’associazione con DCA o piede equino-cavo-varo-addotto-supinato all’altro arto.
L’angolo di Kite è più ampio del normale, ed in visione laterale l’angolo astragalo-clacaneare >
60°. A livello delle strutture molli si può verificare retrazione del tendine del muscolo tibiale
anteriore, che può condizionare i tempi e modi di trattamento.
Per il trattamento, ci si avvale di manipolazioni per indirizzare il piede in equino, correggendo
conteporaneamente il valgismo. Generalmente tende a correggersi da sé. Tra una manipolazione e
l’altra bisogna applicare presidi ortopedici per mantenere la correzione: tutore costituito da una
vulva di plastica eseguita su calco gessato del piede in correzione; potendo persistere l’incremento
dell’angolo astragalo-calcaneare, con conseguente piede piatto pronato, bisogna utilizzare plantari
dinamici modellati. Interventi cruenti sono mirati all’allungamento dei tendini dorso-flessori del
piede.
METATARSO ADDOTTO
Non si parla più di “metatarso varo” perché in questa condizione è solo l’avampiede addotto,
mentre il retropiede è in linea con la gamba.
Le alterazioni anatomo-patologiche riguardano solo i rapporti tra mesopiede e avampiede. In
particolare lo scafoide si lussa medialmente e con esso il primo cuneiforme e il primo metatarso;
può associarsi una componente di supinazione più o meno accentuata. È frequente la retrazione
capsulo-tendinea mediale ed una retrazione del tendine del muscolo adduttore del 1° dito.
Per quanto attiene al trattamento, anche qui bisogna effettuare manipolazioni nei primi giorni di
vita, riportando l’avampiede in posizione normale, tenendo fermo il calcagno. Tra una
manipolazione l’altra si possono usare tutori regolabili. Non servono, di norma, più di 40-60 gg di
trattamento. In caso contrario, si utilizzano ortesi e/o si provvederà ad un trattamento cruento con
la resezione del tendine del muscolo adduttore del primo dito.
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PIEDE REFLESSO-VALGO / ASTRAGALO VERTICALE
Altrimenti detto “piede a dondolo”; è una rara forma caratterizzata da inversione della volta
longitudinale. Risulta, nella maggioranza dei casi, sostenuto da disturbi neurologici centrali (Paralisi
Cerebrali Infantili), periferiche (mielodisplasia), oppure è legato a patologie muscolari (miopatie) o
nervose (neuropatie periferiche progressive).
L’alterazione anatomo-patologica è caratterizzata dalla presenza dell’astragalo in posizione
verticale, a continuare idealmente l’asse tibiale ⇒ il calcagno posteriormente e i metatarsi
anteriormente tendono a dirigere verso l’alto, configurando “il dondolo”.
Il trattamento prevede manipolazioni e chirurgia per riporre l’astragalo in posizione normale.
TORCICOLLO
Il torcicollo è una deformità caratterizzata da permanente deviazione laterale e rotatoria del
capo. Se ne distinguono forme congenite ed acquisite.
TORCICOLLO CONGENITO MIOGENO
È la forma più frequente. Sembra prevalere nel lato destro e nel sesso femminile.
È riferibile alla retrazione fibrosa del muscolo sterno-cleido-mastoideo di un lato, con
accorciamento e minore elasticità del capo sternale e/o clavicolare del muscolo. Comporta, in
definitiva, un atteggiamento coatto caratteristico in flessione verso il lato affetto e rotazione verso il
lato opposto. La patogenesi prevede la teoria meccanica: posizione abnorme del feto nella cavità
uterina con ischemia unilaterale dello sterno-cleido-mastoideo, con conseguente retrazione fibrosa.4
Si ha un maggiore interessamento del capo sternale. Alla nascita è obiettivabile un ematoma
muscolare od una vera e propria infiltrazione emorragica interstiziale. L’aspetto muscolare è spesso
fibroso, quasi cicatriziale.
La sintomatologia prevede:
• Atteggiamento obbligato del capo in flessione omolaterale e rotazione controlaterale.
• Palpazione del fascio muscolare che si tende come una corda ruotando ulteriormente il capo
controlateralmente alla lesione.
• Emiatrofia dello scheletro cranio-facciale: scoliosi facciale e convergenza delle linee
orizzontali del viso; l’orecchio al lato colpito è più piccolo, l’occhio è abbassato e la spalla è
sollevata.
• Eventuale scoliosi cervicale.
Bisogna effettuare RX per escludere alterazioni ossee. Il trattamento è chirurgico e va attuato il più
precocemente possibile: si basa sulla sezione del capo sternale e clavicolare e nella sezione dei
foglietti di sdppiamento della fascia superficiale. Si applica, poi, un corsetto a minerva con
diadema, per circa 2 mesi in atteggiamento di ipercorrezione.
ALTRI TIPI
• Torcicollo congenito osseo – S. di Klippel-Feil: è raro. L’atteggiamento vizioso del capo è
legato ad anomalie congenite vertebrali: sinostosi atlanto-occipitale, emisponsilie, sinostosi ed
aplasie vertebrali ⇒ sempre anomala brevità del collo. Il trattamento prevede solo tutori.
• Torcicollo acquisito osteoarticolare: da processi infiammatori acuti o cronici del tratto
cervicale (reumatismi, discopatie, tbc, ecc…) e da fattori traumatici distorsivi del rachide.
• Torcicollo acquisito vario o sintomatico: da astigmatismo, diplopisa, disturbi labirintici,
mastoidei, ascessi oro-faringei, miopatia, isterismo, altro. Trattare la causa.
4
Sono state abbandonate le teorie traumatiche, infiammatorie ed embrionarie.
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DISMORFISMI E DEFORMITÀ SAGITTALI DEL RACHIDE
CIFOSI E LORDOSI
I dismorfismi o deformità sagittali del rachide sono le sue patologiche deviazioni posteriori (CIFOSI)
o anteriori (LORDOSI), in varia misura irriducibili, conseguenti ad alterazioni strutturali discolegamentose ed ossee vertebrali a varia eziologia. Poiché le deviazioni si iscrivono all'interno delle
fisiologiche curvature del rachide, quest'ultime possono risultare esageratamente aumentate
(ipercifosi toracica o dorso curvo, iperlordosi lombare), diminuite (dorso piat-to, dorso cavo,
ipolordosi, cifosi lombare) o alterate nella loro normale distribuzione (cifosi del passaggio dorso
lombare, cifosi cervi-co-dorsale).
Considerando i valori in gradi Cobb alla valutazione radiologica in stazione eretta la fisiologica
cifosi toracica in età evolutiva è compresa tra i 20-25° e i 40-45°. Al di sotto dei 20-25° Cobb si
definisce "dorso piatto", mentre al di sopra dei 45°-50° Cobb si definisce come ipercifosi toracica.
Per la regione lombare non sono stati definiti con altrettanta precisione i valori di riferimento: il
range di normalità può comunque essere considerato variabile tra i 20-25° ed i 50°-65°. La
fisiologica lordosi può raddrizzarsi fino ad arrivare anche ad invertirsi (cifosi lombare) oppure può
accentuarsi. Dalle curve strutturate sono da distinguere, in età pre-pubere e adolescenziale, per la
loro minore importanza clinica, le curve funzionali del tutto correggibili (dorso curvo o cifosi
posturale, iperlordosi lombare posturale) che tuttavia potenzialmente possono andare incontro a
strutturazione. Il disagio psicologico (immagine del proprio corpo, stima di sè) conseguente alla
deformità toracica non va sottovalutato.
CIFOSI
Ipercifosi posturale
Il dorso curvo posturale consiste in un aumento della cifosi dorsale generalmente accompagnato da
un'accentuata lordosi lombare. Talvolta la cifosi può essere anche molto marcata, ma rimane comunque clinicamente discretamente mobile, facilmente e volontariamente correggibile.
Secondo Hanberg gli atteggiamenti cifotici dell'età giovanile sarebbero da attribuirsi in prevalenza
ad una ipostenia dei muscoli erettori del tronco cui consegue un'accentuazione della curva fisiologica. Alla componente muscolare si sovrappone difficoltà neuromotoria di controllo
posturale.5
Alla radiografia i corpi vertebrali hanno contorni di normali dimensioni e non vi sono segni né di
cuneizzazione né di irregolarità delle limitanti.
Sono generalmente curve ben correggibili ma potenzialmente possono andare incontro a
strutturazione con conseguente rigidità; è anche possibile che un grave dorso curvo posturale
dell'età giovanile possa in età adolescenziale divenire un Morbo di Scheuermann (con il riscontro
di cuneizzazione vertebrale), ed in questi casi il riscontro di alterazioni dei corpi vertebrali è molto
precoce.
OSTEOCONDROSI VERTEBRALE GIOVANILE (M. DI SCHEUERMANN / DORSO CURVO GIOVANILE)
La cifosi toracica (dorso curvo) adolescenziale (giovanile) di Scheuermann è la forma più frequente
di ipercifosi, avendo un'incidenza media stimata dall'1% all'8% della popolazione. È una
osteocondrosi localizzata a livello dei piatti cartilaginei epifisari superiore ed inferiore, in più corpi
vertebrali. Ciò determina minore accrescimento in altezza nella parte anteriore dei corpi vertebrali.
L'eziologia è ancora incerta: la maggior parte degli autori chiama in causa primitive alterazioni
istopatologiche delle cartilagini fertili con successiva inibizione dell'accrescimento
somatovertebrale correlato a fattori meccanici secondari.
5
Spesso è presente un atteggiamento psicologico di introversione, chiusura.
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Clinicamente si presenta come una patologia indolore, caratterizzata da progressivo
incurvamento del dorso (ipercifosi) e iperlordosi lombare di compenso. Spesso alla deformità si
associa una rachialgia dorsale legata al movimento e alla postura (dorsalgia meccanica), che a
volte è il sintomo che per primo porta il paziente dal medico.
Nella forma classica, tre o più corpi vertebrali adiacenti presentano radiologicamente, di solito nel
tratto toracico medio, una deformità a cuneo anteriore di 5 o più gradi; talvolta, tuttavia, sono
cuneiformi solo una o due vertebre. Le tipiche alterazioni delle limitanti somatiche (addensamenti,
ondulazioni, noduli di Schmorl, anomalie delle apofisi anulari) possono interessare anche le vertebre non cuneiformi o, al contrario, non essere neppure presenti nelle vertebre cuneiformi.
La cifosi di Scheuermann è generalmente considerata lieve sotto i 50°, di media gravità tra 50-70°,
severa oltre i 70-75°. Il trattamento, in tutti i casi, prevede l’applicazione di tutori ortopedici
antigravitari (due prese, sternale e pubica, che contrastano la terza dorsale), alternata a cicli di
ginnastica attiva ed esercizi di rettificazione della colonna.
I criteri radiografici più importanti per la diagnosi di malattia di Scheuermann sono:
• Una vertebra cuneizzata di 5 o più gradi.
• Presenza di irregolarità dei piatti terminali.
• Un aumento oltre la norma del valore angolare della cifosi tora-cica (maggiore di 40-45°).
• Restringimento apparente dello spazio discale.
Esiste anche il Morbo di Scheuermann lombare atipico o Scheuermann tipo II (stando alla
classificazione di Blumenthal). Questa condizione, relativamente poco conosciuta, si riscontra a
livello del passaggio toraco-lombare o del rachide lombare sotto forma di cifosi angolare, di solito
assai poco appariscente per il coinvolgimento di solo una o due vertebre; è frequentemente causa di
lombalgia, specie in presenza di sollecitazioni meccaniche eccessive.
CIFOSI DORSO LOMBARE
E' una cifosi lunga perché scende sotto D12, includendo nel tratto cifotico anche L1-2 (e talvolta
anche altre vertebre lombari). Può essere di origine posturale: l'ipostenia della muscolatura e lo
scarso controllo del tronco portano il paziente a "sedersi" sulla propria schiena, con inversione
della parte superiore della fisiologica lordosi. Può essere dovuta, inoltre, ad una malattia di
Scheuermann tipo II.
Questa condizione predispone a rachialgie già nel giovane adolescente ed ancor di più nell'adulto
per gli esiti di natura degenerativa a distanza e quindi va trattata a prescindere dal valore angolare.
LORDOSI
IPERLORDOSI LOMBARE
La lordosi lombare raramente richiede un trattamento: è infatti una zona del rachide totalmente
mobile interposta tra due tratti rigidi (le cifosi sacrale e toracica) che si riconfigura in base alle
richieste funzionali determinate dalla necessità posturale rispetto ai punti fissi dati dall'orientamento
del bacino e dall'orizzontalità dello sguardo. Quindi un aumento della lordosi in ortostasi è
generalmente secondaria a un incremento della cifosi toracica e/o ad una antiversione del bacino.
Sono poi da considerare con particolare attenzione i rari casi di iperlordosi causati da
deformazione congenita del rachide lombare, da stenosi spinale negli acondroplastici e secondari
a procedure di shunt lombo-peritoneali.
ANAMNESI
Il momento dell'anamnesi non può mai essere trascurato, perché ci può orientare verso possibili
secondarismi che non possono essere mancati. E' quindi importante raccogliere le notizie circa
l'anamnesi familiare, fisiologica e patologica remota. Determinante è indagare sui dolori vertebrali,
anche saltuari o lievi, che spesso si associano al M di Scheuermann.
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Esame obiettivo
Determinazione dell’assetto sagittale del rachide con la raccolta di alcuni parametri numerici che
risultano poi essenziali nel monitoraggio della patologia.
• In ortostasi: osservazione generale del paziente facendolo salire su un podoscopio a luce
polarizzata che fornisce infine informazioni sul tipo di appoggio plantare e di carico degli arti
inferiori. Si osserva tutta la cute, specie in corrispondenza del rachide: la presenza di
ipercromie, nevi, angiomi, neurinomi può segnalare altre patologie. Osservando il paziente
• Lateralmente: è possibile valutare la presenza di spalle antepulse, anteposizione o
retroposizione del tronco e del capo, antiversione o retroversione del bacino. Determinante
inoltre verificare se la cifosi si prolunga nella zona lombare, se ci sono punti di incremento
della flessione anteriore, se risultano zone in cui le spinose sono più prominenti posteriormente
e se questi punti sono localizzati all'apice della cifosi o meno. In questi casi spesso si associa
una caratteristica forma a losanga della muscolatura paravertebrale che risulta allontanarsi dalla
linea mediana a causa dell'incremento lo-calizzato della curvatura. In caso di cifosi
dorsolombare spesso si osservano caratteristici ispessimenti della pelle in corrispondenza delle
spinose lombari sporgenti.
• Anteriormente: si notano pliche addominali anomale con strie arrossate in corrispondenza
della parte alta del tronco in caso di ipercifosi e dell'addome alto in caso di cifosi dorsolombare.
Valutare altre deformità toraciche (difetti costali, sternali, presenza di pectus excavatum o
carenatum).
• Posteriormente: si possono quindi notare la simmetria o l'asimmetria di spalle, scapole e triangoli della taglia.
• Eterometria arti inferiori: ponendo i pollici dell'esaminatore su SIAS, SIPS ed ali iliache e
valutando la simmetria in altezza.
• Misurazioni: il filo a piombo e gli inclinometri.
• Filo a piombo: distanza in millimetri tra le apofisi spinose di C7, di T12 e di L3 ed
il filo a piombo tangente all'apice della cifosi. Secondo Stagnara i valori a livello di
C7 ed L3 devono essere tra i 25 ed i 40 mm. Con il medesimo filo a piombo si può
quindi esaminare l'eventuale presenza di uno strapiombo sul piano frontale: si misura
in millimetri la distanza da C7 del filo a piombo fatto passare per le pliche
interglutee.
•
Inclinometri: valutazione delle curve sagittali del rachide; constano, nella loro
forma più comune, di un telaio rettangolare di supporto a un goniometro a scala
circolare con un indice pesante. Essi si dispongono, a paziente in stazione eretta
naturale, su tre punti di repere del rachide: T1 (caudalmente all'apofisi spinosa C7),
T12-L1, e S2 (linea congiungente le SIPS), Dalla somma degli angoli (a + ß) letti su
T1 e T12 si ottiene l'angolo di superficie della cifosi toracica e dalla somma degli
angoli (ß + γ) letti su T12 e S2 si ottiene l'angolo di superficie della lordosi lom-bare.
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•
Superficie delle curve sagittali del rachide: esistono inoltre strumenti un po' più sofisticati, tra i
quali ricordiamo l'Arcometro di D'Osualdo; si tratta di uno strumento messo a punto per
valutare l'assetto sagittale del rachide. Si basa su tre barre metalliche orizzontali posizionate
lungo il rachide del paziente in ortostasi (a livello di C7, estremità distale cifosi, apice cifosi) e
collegate tra loro da un'asta metallica graduata. Applicando lo strumento è possibile calcolare la
corda e la prominenza dell'arco cifotico e quindi determinare i gradi della cifosi stessa.
•
Flessione anteriore: l'eventuale presenza di patologie scoliotiche associate all'ipercifosi è
necessaria una valutazione dei gibbi scoliotici. In questa posizione si valutano alcuni gruppi
muscolari chiave nel determinare una possibile alterazione sagittale dei cingoli.
Supino e prono: valutazione dell’elasticità di gruppi muscolari importanti dei cingoli.
•
Radiografia
L'esame radiografico principe per lo studio dell'ipercifosi è la radiografia laterale in ortostasi ed in
telemetria a due metri di distanza dal rachide con le braccia flesse a 45° e le mani poggiate su di un
supporto. Il paziente deve tenere la testa diritta.
Se al test di Adams si verifica la presenza di una scoliosi significativa, è importante associare una
proiezione anteroposteriore. Si calcola poi il grado di cifosi e lordosi con il metodo di Cobb.
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La cuneizzazione vertebrale può essere eventualmente calcolata segnando le linee parallele ai piatti
terminali e misurando gli angoli così formati.
Trattamento
Nelle forme iniziali consiste nell’applicazione di corsetti antigravitari, di tipo Millwaukee, Boston o
Chenau, modificati per cifosi mediante spinte dorsali. Nei casi gravi si applicano corsetti gessati.
Nei casi molto gravi (Cobb > 50°-60°), si effettua trattamento chirurgico effettuando correzione
della deformità e artrodesi vertebrale per via anteriore o posteriore.
corsetto Chenau
LA SCOLIOSI
Definizione
È una deviazione vertebrale che si manifesta su di un piano obliquo, essendo somma di una
inflessione laterale e di una rotazione delle vertebre. Tale deviazione non si corregge
spontaneamente alla flessione del tronco in avanti e si manifesta clinicamente con un gibbo costale
o lombare. Aspetti anatomo-patologici quali la rotazione e la cuneizzazione vertebrali sono sempre
costanti e rendono rigida ed evolutiva, in grado variabile, la deformità.
rotazione
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cuneizzazione
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Questa patologia ha caratteri peculiari e distintivi.
• Strutturazione vertebrale: rotazione dei corpi vertebrali verso la convessità della curva, e
rotazione verso la concavità delle apofisi trasverse.
• Fissità: la rotazione non è riducibile alle manovre di sottrazione del carico o di distensione
attiva (sospensione).
• Gibbo: a livello dorsale la rotazione vertebrale è responsabile della rotazione della gabbia
toracica e della formazione di una sporgenza caratteristica (gibbo). A livello lombare la
rotazione provoca la superficializzazione delle masse paravertebrali lombari.
• Evoluzione: con il procedere dell’aumento della entità angolare, aumentano proporzionalmente
il grado di rotazione e la gravità del gibbo costale o lombare.
Tali caratteristiche permettono di differenziare la scoliosi dagli atteggiamenti scoliotici: la prima, o
scoliosi “organica”, rappresenta un disfmorfismo del rachide; i secondi, o scoliosi funzionali, non
sono altro che paramorfismi visibili quando la colonna è sotto carico. L’esame clinico e
radiografico, a prima vista, possono risultare molto simili. L’atteggiamento scoliotico:
• Non è evolutivo.
• Non presenta gibbo costale o lombare alla visita clinica.
• Non presenta rotazione vertebrale ad esame attento delle radiografie.
Epidemiologia
Mediante screening scolastici durante il periodo di massima incidenza della malattia (6-15 anni), si
è registrata un’incidenza molto variabile, dal 4 per mille al 7 per cento. Secondo Shands ed
Eisberg, l’incidenza è dell’1,9% e solo nello 0,5% si registra scoliosi > 20°.
Classificazione
Genesi
Età
Sede curva primitiva
Entità deviazione
• Idiomatiche
• Neonatali
• < 20°
• Toracica
• Congenite
• Infantili
• 20° - 40°
• Lombare
• Acquisite
• Giovanili
• > 40°
• Toraco-lombare
• Adolescenziali
• Doppia primaria6
• Cervico-toracica
Altri caratteri classificativi sono: autorisolvenza/evoluzione e convessità (dx o sx).
Da notare, in particolare:
• Curve infantili incidono ugualmente tra i due sessi e sono, per il 90%, sinistro-convesse,
ulteriormente divisibili in autorisolventi (resolving) ed evolutive.
• Curve giovanili, di gran lunga le più frequenti e scoliosi dell’adolescente sono molto spesso a
sede toracica e destro-convesse nel 90% dei casi, e con un’incidenza m:f = 1:4.
Etiopatogenesi
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Anche dette combinate dorsali e lombari: in presenza di doppia curva si definisce la scoliosi doppia primaria
(toracica e lombare, doppia toracica…).
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Nel corso della storia sono esistite svariate teorie: ineguale lunghezza delle coste (Stromeyer nel
1838), teorie meccanicistiche (Meyer nel 1866), debolezza muscolare congenite (James nel 1956),
primitiva alterazione del senso dell’equilibrio ed asimmetria muscolare (Yamada nel 1971). Ad
oggi le teorie più accreditate, sebbene l’etiologia risulti ancora sconosciuta, sono:
• Teorie metaboliche: secondo Stearns, Glauber e Ponesti; alterato bilancio proteico fortemente
negativo, aumento di α1-globuline ed α1-glicoproteine, alterazione mucopolisaccaridi.
• Teorie ereditarie: Cowen, Hall e MacEwen; molti fratelli/sorelle o intere famiglie affette.
Ereditarietà dominante a penetranza ed espressività variabile, legata al cromosoma X.
• Teorie ormonali: la rilevazione che la scoliosi incide in 4 f su 1 m nell’epoca dell’età puberale,
permette di ipotizzare un ruolo ormonale. Secondo Ascani e La Rosa si ha una iperincrezione di
Gh; quest’ipotesi è suffragata dal riscontro di un’altezza media maggiore negli scoliotici.
Le scoliosi idiopatiche o essenziali rappresentano il gruppo più importante e cospicuo (80-90%).
Si riscontrano, come detto precedentemente, nel 2% dei soggetti in età prepubere, con netta
prevalenza per il sesso femminile. Le scoliosi congenite (emispondili +/- sinostosi,7 di smorfie della
cerniera lombo-sacrale – emisacralizzazione, schisi posteriori – sinostosi costali. Le scoliosi
acquisite sono riferibili a lesioni della cartilagine di accrescimento dei metameri vertebrali
(condrodistrofia spondilo-epifisaria, esiti di traumi o flogosi), lesioni dell’apparato neuro-muscolare
(postumi di poliomielite, ipertonie asimmetriche della muscolatura vertebrale negli spastici, ecc…),
a lesioni toraciche (fibrotorace, esisti di toracoplastiche per empieni, tbc…), ed a lesioni ossee
sistemiche o a focolaio (osteoporosi, neurofibromatosi, rachitismo ecc…). Un gruppo a parte tra le
forme acquisite è rappresentato dalle cosiddette scoliosi statiche, secondarie, cioè, ad una obliquità
del bacino dovuta a dismetria degli arti inferiori di modico grado (1-3 cm).
ANATOMIA PATOLOGICA
Ogni localizzazione della scoliosi presenta caratteristiche anatomopatologiche elementari definibili:
• Curvatura principale o primitiva: prodotta direttamente
dall’agente eziologico della scoliosi. Può interessare
ognuno dei tre distretti rachidei (dorsale, cervicale,
lombare), oppure ognuno dei loro tratti di passaggio. Si
distingue per le forti modifiche strutturali delle vertebre.
• Curve secondarie o di compenso: sono secondarie quelle
curve che si sviluppano nei tratti sopra e sottostante la
curva primitiva, al fine di compensare lo strapiombo
creatosi.
• Vertebra apicale: ogni vertebra posta all’apice della
curva, sul piano frontale, la più distante dall’asse normale.
• Vertebre estreme: ogni curva ha due vertebre poste ai
limiti, e rappresentano la zona di transizione (vertebra
neutra) tra curve di senso opposto.
• Rotazione: tutto il tratto interessato dalla curva ruota
intorno all’asse longitudinale, con torsione delle vertebre
su sé e i corpi si portano sul lato convesso della curva.
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A livello cervicale si parla di S. di Klippel-Feil: accorciamento del collo e atteggiamento coatto per ridotta escursione.
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•
•
•
•
•
•
•
•
Deformazione dei corpi: di entità decrescente dalla
apicale alle estreme; danno sullo sviluppo encondrale dalle
sollecitazioni
del
carico
che
hanno
agito
asimmetricamente. Sviluppo di cuneizzazione verso il lato
concavo della curva (vertebre trapezoidali).
Gibbo: deformazione del torace per spinta sulle coste delle
apofisi traverse delle vertebre dorsali; si sviluppa il gibbo
costale posteriore (dal lato della convessità della curva
dorsale), cui si accompagna sempre un gibbo costale
anteriore (dal lato della concavità della curva dorsale). Si
evidenzia osservando il paziente flesso in avanti, sia
d’avanti che di dietro. È possibile, ovviamente, misurarlo,
ed è ottimo metro di evoluzione.
Organi interni: modificazioni quali ipertrofia cuore
destro, stasi piccolo circolo ecc…
VARIETÀ PRINCIPALI DI SCOLIOSI
Lombari: curva principale estesa da D11 a L3, con apice su
L1-2; le curve di compenso, a grande raggio, si sviluppano
sul tratto dorsale e lombosacrale.
Dorso-lombari: solitamente c’è una curva molto ampia
estesa da D6-7 a L2-3; la vertebra apicale è rappresentata per
lo più da D11-12; è frequente uno strapiombo.
Toracico-lombare: due curve principali, disposte ad S
italica; quella dorsale va da D5-10, quella lombare va da D11
a L3 con apice su L1-2.
Dorsali: curva primitiva che interessa in genere 6 vertebre
da D4-6 a D11-12 e la vertebra apicale è D8-9; si hanno due
curve di compenso, una cervico-dorsale e una lombare.
Cervico-dorsali: molto rare; si ha una curva primitiva, a
raggio piccolo, estesa per 5-6 vertebre e con apice su D1-2.
scoliosi dorsale
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scoliosi dorso-lombare
scoliosi lombare
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scoliosi dorsolombare
scoliosi doppia primaria
(combinata/doppia curva)
EO E SINTOMATOLOGIA
La sintomatologia insorge ed evolve in maniera subdola e senza alcuna compromissione delle
condizioni generali. Va valutato il paziente sia frontalmente che dorsalmente.
• Strapiombo: allineamento tra protuberanza occipitale e linea interglutea con filo a piombo.
L’allontanamento può essere scoliotico, da atteggiamento scoliotico o da scoliosi statica; per
DD provi a fare “sospensione” e “soletta”.
• Incurvamento laterale della linea risultante dall’unione di tutte le apofisi spinose.
• Slivellamento biscapolare – bispinoilaco ant.sup., con perdita parallelismo.
• Scapola: abbassamento di una scapola rispetto all’altra.
• Mammelle: nelle bambine come per la scapola.
• Triangoli della taglia asimmetrici.
• Tronco/bacino: eventuale strapiombo.
• Gibbo: valutazione e misurazione in mm.
QUADRO RADIOGRAFICO
L’esame va praticato su RX della colonna “in toto”, comprendendo anche il bacino; va effettuato a
paziente in stazione eretta (in carico), in posizione supina (fuori carico), ed eventualmente in
sospensione (con il collare di Sayre - DD per atteggiamento scoliotico). In proiezione frontale si
può obiettivare una scoliosi statica, correggibile mediante l’uso di solette ortopediche. L’esame
viene effettuato anche con il massimo bending. Che cosa si ricerca con l’RX?
• Forma: alterazioni di forma delle vertebre (cuneizzazione e aspetto trapezoidale), max in
vertebra apicale e minima in vertebre estreme.
• Rotazione: entità della rotazione dei corpi vertebrali, tanto maggiore quanto più l’immagine
delle spinose si sposta verso la concavità della curva e i corpi verso la convessità.
• Sede: della curva primitiva.
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•
Età scheletrica del rachide: si effettua mediante il test di Risser. Si misura il grado di
“copertura” delle creste iliache da parte dei rispettivi nuclei di ossificazione; tale copertura si
sviluppa generalmente in sincronia con la ossificazione delle cartilagini epifisarie delle vertebre,
nell’arco di tempo di 26 mesi circa, iniziando (Risser I) intorno ai 13 anni e terminando
completamente (Risser 5) intorno ai 15 anni.
Valutazione da 0 a 5 secondo lo sviluppo del nucleo di ossificazione nelle creste iliache:
• 0: manca il nucleo di ossificazione.
• 1: inizio dell’ossificazione.
• 2: listella incompleta.
• 3: listella completa.
• 4: inizio saldatura.
• 5: saldatura completa e maturità ossea.
•
•
Maturità ossea: a livello delle epifisi della mano sinistra del soggetto mediante il confronto
dell’atlante radiografico di Greulich e Pyle.
Grado della curva. Esistono due diversi metodi per studiare il grado della curva, quello di
Cobb e quello di Risser-Ferguson
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METODO DI COBB
Si tracciano sul radiogramma le tangenti al piatto
superiore dell’estrema superiore della curva e al
piatto
inferiore
dell’
estrema
inferiore.
Si tracciano in seguito le perpendicolari a queste
tangenti. L'incontro fra le perpendicolari descriverà
un angolo il cui valore è espressione della entità della
deviazione scoliotica.
Metodo di Risser-Ferguson
È più preciso del precedente ma è più difficile da
eseguire. Si individua sul radiogramma il centro
delle vertebre estreme (prossimale e distale)
della curva e della vertebra apicale. Si tracciano
in seguito i segmenti di retta che congiungono
rispettivamente il centro della vertebra estrema
prossimale a quello della vertebra apicale e il
centro della vertebra estrema distale a quello
della vertebra apicale. La congiunzione delle due
semirette darà origine a un angolo che è
espressione dell'entità della curva scoliotica. Le
deformità vertebrali rendono spesso molto
difficoltosa l'individuazione dei centri vertebrali.
Attualmente le scoliosi si classificano in 7 classi in base all’angolo di Cobb:
I. 0°-20°.
II. 21°-30°.
III. 31°-50°.
IV. 51°-75°.
V. 75°-100°.
VI. 101°-125°.
VII. > 125°.
PROGNOSI
Nelle forme statiche, precocemente diagnosticate e trattate, la prognosi è buona. Nelle scoliosi
idiopatiche, se esiste familiarità, la prognosi è variabile per le variabili forme cliniche. In particolare
la chiusura delle cartilagini epifisarie vertebrali arresta la progressiva evoluzione della malattia:
ciò avviene in genere intorno ai 16-17 anni, salvo variazioni dell’età scheletrica accertabili con il
test di Risser. La crisi puberale rappresenta il periodo più temibile per la progressione della
deformità per il culmine dell’attività osteogenetica. Tre fattori principali da considerare:
• Età: tanto peggiore la prognosi quanto maggioreè l’intervallo di tempo dall’inizio della
patologia fino all’arresto.
• Curvatura: max gravità in scoliosi dorsali e poi, dorso-lombari, combinate, lombari.
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•
Grado di deviazione: a pari condizioni (stesso tipo di curva e stessa età), la prognosi è tanto
migliore quanto minore è il grado.
È da sfatare il mito che la scoliosi si arresta all’arresto della crescita ossea, perché è falso, almeno in
parte; scoliosi con Cobb > 50°-60° hanno alte probabilità di peggiorare in età adulta.
La scoliosi vera non è determinanta da posture errate o carichi eccessivi (zainetto, banco, posizione
seduta, modo di dormire); queste condizioni sono, infatti, reversibili sempre alla rimozione della
causa. Predispongono, però, allo sviluppo di atteggiamento scoliotico.
•
•
•
TRATTAMENTO
Atteggiamento scoliotico: ripetuti e prolungati cicli di ginnastica e controlli posturali periodici.
Scoliosi statiche: correzione mediante rialzo in modo da ripristinare il parallelismo biscapolobispinoiliaco ant./sup. Se avanza, si effettua trattamento per le forme idiopatiche. Se la dismetria
è forte (> 5-6 cm) bisognerebbe effettuare chirurgia per allungamento arto.
Forme idiopatiche:
• 10°-20°: osservazione attenta e istituzione di un programma di esercizi di ginnastica e/o
nella pratica di attività sportiva. I casi che mostrano evoluzione oltre i 20° in epoca prepuberale, necessitano un trattamento con busti ortopedici; agiscono tutti con il meccanismo
dei tre punti di spinta. Esistono due prototipi principali.
Millwaukee
Boston
È costituito da un corsetto dinamico che agisce in
distrazione mediante le aste regolabili e l’appoggio
occipito-mentoniero. Le pad di spinta ottengono la
correzione. Ideale per curve toraciche, toracolombari e doppie primarie.
Più tollerato dai pazienti perché bene occultabile; è il prototipo dei
corsetti bassi, indicato nelle curve lombari e toraco-lombari.
Esistono indicazioni precise per l’uso di questi corsetti: 1) Cobb 20°-35°; 2) paziente prepuberale; 3) flessibilità della curva > 50%; 4) progettazione e costruzione su misura; 5)
collaborazione della famiglia e del paziente. Nel tempo non si ottiene mai regressione.
N.B. Nei casi che peggiorano o casi rigidi ai test di
deflessione sin dall’inizio, si preferisce un corsetto
gessato, che ottiene una correzione da mantenere
con il corsetto lionese. Con opportune spinte
collocate a livello del gibbo costale, realizza la
correzione della deformità (deflessionederotazione). I risultati sono, qui, eccellenti.
•
> 35°-40°: sia dall’inizio del trattamento che in caso di insuccesso dei corsetti, è indicato
ricorrere alla chirurgia della deformità; oggi si effettua la correzione della curva mediante uso di
barre metalliche, uncini o viti transpeduncolari (tecnica di Cotrel e Dubousset – fissazione
segmentaria).
In tutti i casi è necessario effettuare ginnastica e sport vari, per mantenere il trofismo, tono e forza
muscolare. Necessaria è anche la ginnastica respiratoria.
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ARTROSI / OSTEOARTROSI
È una artropatia cronica evolutiva caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico
della cartilagine delle articolazioni diartrodiali (articolazioni mobili fornite di cartilagine, membrana
e liquido sinoviale – tutte strutture che possono essere coinvolte). Si manifesta clinicamente con
dolore, limitazione funzionale, atteggiamenti viziosi (compaiono, di norma, dopo qualche tempo
dall’inizio del processo patologico).
Classificazione
Epidemiologia
L’OA rappresenta l’artropatia più frequente nella popolazione. La prevalenza aumenta con l’età
ed il picco di massima frequenza è tra i 75 e gli 80 anni. Colpisce prevalentemente i soggetti
maschi prima dei 50 anni, e poi le femmine oltre i 50 anni.
Fattori di rischio
Tra questi, l’infiammazione è molto importante, poiché danni pregressi facilitano l’insorgenza di
patologia artrosica (tipico è il riscontro di artrosi post-artritica nei soggetti con AR).
Fisiopatologia
Il condrocita svolge un ruolo importantissimo perché produce costituenti della matrice cartilaginea
(collagene, GAG, C-6-S, C-4-S, K-S e A-JA) e vari enzimi (spt metallo-proteasi, catepsine, elastasi
e collagenasi) che servono al ricambio della matrice. L’alterazione della sua attività è sicuramente
alla base del processo patologico di OA. A questo sicuramente si aggiungono altri fattori, come la
perdita di quantità e qualità dei PTG, che causano una minore resistenza meccanica, cui
contribuisce il deficit del sistema di pompaggio dell’acqua e tutto ciò è legato alla senescenza.
Ancora, traumi e microtraumi, spt se continuativi, possono favorire la presenza di elemento
extracartilagineo nell’articolazione, in modo da amplificare il danno.
Le articolazioni più colpite sono:
• Arti superiori: TMC, MCF, IFD e IFP.
• Arti inferiori: anca, ginocchio, prima articolazione MTF.
Fasi della patologia
• Precoce: dolore intermittente e risposta positiva ai FANS.
• Tardiva: dolore continuo e assenza di risposta ai FANS.
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Anatomia patologica
Le lesioni si riscontrano costantemente, anche se variamente accentuate in rapporto al grado
evolutivo della patologia.
• Cartilagine: lesioni di tipo erosivo e produttivo; le lesioni erosive sono distribuite a chiazze
sulla cartilagine di rivestimento e si sviluppano nelle sedi di maggior carico – articolazioni
diartrodiali –, determinando assottigliamento, fissurazioni e ulcerazioni della con diminuzione
dello spessore; le lesioni di produttive si sviluppano nelle zone non sottoposte a carico – aree
marginali – con la produzione di osteofiti (becco osseo), per l’ossificazione della cartilagine e
delle inserzioni capsulari. È spesso riscontrabile anche alterazione del colore in senso giallastro.
• Osso subcondrale: si ha sclerosi nelle zone sottoposte a carico, con aumento dello spessore
delle trabecole; queste si alternano a zone di rarefazione che possono confluire, formando:
• Pseudocisti o geodi: vescicole nella trama ossea per irruzione del liquido sinoviale, con
frammenti cartilaginei, trabecole necrotiche ecc…
• Eburneizzazione: aumento dello spessore dell’osso quando la cartilagine scompare.
• Membrana sinoviale: edema, congestione, iperemia, ipetrofia ed ispessimento dei villi che
presentano frange esuberanti.
• Capsula: edema, ispessimento e fibrosclerosi.
Quadro clinico
• Dolore: di tipo meccanico, presente dopo movimento e che diminuisce a riposo. Il dolore
presenta un ciclo a 3 tempi: è vivo all’inizio del movimento (es. mattino), si attenua durante
l’attività, si riacutizza dopo affaticamento (es. sera).
• Rigidità mattutina o dopo inattività, ma, a differenza dell’AR, è presente per max 30 minuti.
• Limitazione funzionale è progressiva.
• Tumefazione: piuttosto rilevante, ed è “dura”, legata all’alterazione dell’articolazione; può
essere “molle”, per la presenza di versamento. È tipico il riscontro di crepitio durante la
palpazione dell’articolazione in moto.
Aspetti radiologici generali
Riduzione della rima articolare, sclerosi dell’osso subcondrale nelle zone sottoposte a carico,
pseudocisti (geodi)e osteofiti (becco osseo) nelle zone non sottoposte a carico.
Aspetto psicologico
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Lo stress, l’abbandono, la depressione, possono alterare la percezione del dolore, con formazione di
circoli viziosi ed aumento del problema: sickness behaviour!
Esami bioumorali
Quando è possibile il prelievo, l’analisi del liquido sinoviale dimostra carattere non infiammatorio,
con cellule nucleate che non superano i 1000 elementi/mm3.
Terapia generale
Cure fisiche e riabilitative la devono fare da padrone, in aggiunta a terapie termali o fangoterapia.
Importantissimo è l’abolizione dei fattori di rischio come alcool, fumo, obesità ecc… I trattamenti
farmacologici prevedono l’uso di FANS (spt paracetamolo) e steroidi per via generale o
intrarticolare, e decontratturanti. Si possono aggiungere, inoltre, terapie di fondo:
• Antiartrosici sintomatici lenti: condroitin-solfato, SAMe.
• Condroprotettori: glucosamina solfato e diacerina.
La terapia fisica prevede: calore, massaggi, ginnastica funzionale ecc… trova indicazione nelle
forme iniziali e nel pre e post-operatorio.
I trattamenti chirurgici prevedono la deposizione intrarticolare di acido jaluronico e/o
l’applicazione di protesi; altre tecniche sono la atrodesi (rara) e l’osterotomia.8
Anca - Coxartrosi
La coxartrosi è una delle forme più bastarde di OA; è molto frequente (1% degli adulti); colpisce, in
genere, i soggetti che hanno oltrepassato i 50 anni. Si ha dolore alla marcia e limitazione
funzionale progressiva. Il dolore è inizialmente avvertito all’inguine e/o alla parte anteriore della
coscia, ma può anche interessare il lato interno della coscia e può essere riferito al ginocchio; nei
casi avanzati il dolore può essere anche ininterrotto. Obiettivamente si osserva un atteggiamento
viziato, favorito dalla contrattura muscolare in adduzione, flessione e rotazione esterna della coscia.
N.B. Questo meccanismo è alla base del riscontro dei un arto inferiore apparentemente più corto
all’EO, che può evidenziare quasi sempre ipotonia e ipotrofia del quadricipite. Il paziente ha
sempre zoppia di fuga. All’Rx si riscontra un’alterazione totale dell’articolazione con la presenza
di osteofiti qua e la; sono presenti, inoltre: riduzione rima articolare, sclerosi subcondrale,
osteofitosi, geodi. Per la DD valutare sempre il dolore che qui recede caratteristicamente a riposo.
Nelle forme primitive sono caratterizzate da rapporti acetabolo/testa femore normali.
Le forme secondarie sono riferibili a:
• Sublussazione da DCA.
• Osteocondrosi dell’anca (M. di Waldenstrom-Legg-Calvé-Perthes).
• Epifisiolisi.
• Pregresse flogosi.
• AR.
• Pregressi traumi.
Il trattamento prevede l’artroprotesi; questa si effettua mediante svariate tecniche: si inserisce
una componente cotiloidea formata da una coppa in lega di titanio (polietilene, metallo o ceramica),
nell’acetabolo; questa è destinata ad accogliere l’estremità cefalica (acciaio inossidabile, lega di
metallo, ceramica) della componente femorale. Queste componenti si possono cementare all’osso,
oppure possono essere rivestite di idrossiapatite che favorisce lo sviluppo osseo in sede
periprotesica, assicurando un ancoraggio migliore e duraturo. In caso di coxartrosi con variazione
del normale angolo di inclinazione (valgismo), si procede con una osteotomia in attesa
dell’attuazione dell’intervento chirurgico.
8
In particolar modo utilizzata per la coxartrosi: si effettua la resezione di un cuneo osseo per correggere eventuali
alterazioni assiali e per ripristinare le zone di scarico del peso normali.
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Ginocchio - Gonartrosi
L’OA del ginocchio, conosciuta anche come gonartrosi è molto frequente ed invalidante. Colpisce
spt le donne e le articolazioni femororotulea e femorotibiale. È spesso secondaria a traumi o flogosi.
La sintomatologia è tipica. Il dolore, anteromediale, di tipo meccanico, si attenua a riposo. Si può
avere contrattura dolorosa post-inattività. Può peggiorare con versamento. Spesso l’impotenza
funzionale è tardiva. Frequente l’ipotonia e/o ipotrofia del quadricipite. Nelle fasi avanzate è
frequente la deviazione assiale. Alla Rx il reperto tipico, oltre a quelli già citati (osteofitosi,
restringimento rima articolarte ecc…), è l’appuntimento delle spine intercondiloidee,
specialmente tibiali. Frequenti sono i distacchi degli osteofiti. Il trattamento medico prevede a volte
anche infiltrazione locale di cortisonici cronodose ed il lavaggio articolare per via artroscopica.
Eventuali deviazioni assiali possono essere curate con osteotomia correttiva. Si può effettuare
artroprotesi con sostituzione delle due estremità articolari. La FKT è fondamentale.
Colonna vertebrale
L’artrosi al rachide si localizza, principalmente, nei tratti lombare e cervicale. Le alterazioni
principali sono due:
• Artrosi anteriore intersomatica: spondiloartrosi; si riscontra frequentemente, ma colpisce solo
le articolazioni diartrodiali (ipofisarie, unco-vertebrali e costovertebrali). È legata a progressiva
disidratazione e perdita dell’elasticità, degenerazione e schiacciamento di uno o più dischi
intervertebrali. A causa della degenerazione discale, le sollecitazioni presso rie si concentrano
sui bordi e corpi vertebrali, con sclerosi delle limitanti superiore ed inferiore, e con sviluppo
degli osteofiti marginali. Ciò può comportare la spondilosi deformante.
• Artrosi posteriore interapofisaria: consiste nella comparsa delle tipiche alterazioni artrosiche
a carico delle apofisi articolari posteriori.
La sintomatologia è caratterizzata sempre da: dolore e rigidità articolare, spesso accompagnata
da contratture muscolari e riduzione della normale lordosi cervicale e lombare. Frequente è il
riscontro di cervicoartrosi.
QUADRI CLINICI
• Cervicobrachialgia: compressione a livello del forame intervertebrale per formazione di
osteofita o per protusione discale. Le radici più frequentemente colpite sono C5, C6, C7. si ha
dolore, disturbi sensitivi, iporeflessia bicipitale, stiloradiale e tricipitale. TC e RM sono
utilissimi per la diagnosi. È una sindrome da compressione radicolare.
• Artrosi dorsale: è frequente e con pochi sintomi, ma determina riduzione dell’altezza e cifosi.
• Artrosi lombare – lombosciatalgia/lombalgia:9 determina, invece, lombalgia, per
compressione radicolare e determina la cosiddetta sindrome del nervo sciatico, con dolore
irradiato alle natiche, alla faccia posteriore della coscia, al cavo popliteo ed al polpaccio, fino al
primo dito del piede. !!!!!!!!!! Questo è importante elemento di DD con le spondiloartriti,
caratterizzate dalla sciatica mozza.
COMPLICANZE
• Sindromi midollari: mielopatia da spoldiloartrosi. Gli osteofiti si generano sui bordi posteriori
delle vertebre; attuano compressione sul sacco meningeo e sul midollo.
• Sindromi vascolari: cervicocefalalgia da compressione dell’arteria vertebrale; conseguono
svariati disturbi: algie cervicali e nucali, cefalea, nistagmo, vertigini ecc… (S. Neri-Barré-Lieu).
• Sindromi radicolari: cervicobrachialgie e lombosciatalgie.
I segni RX sono legati a osteofitosi e restringimento degli spazi discali.
Il trattamento varia:
• Artrosi cervicale: terapia medica e FKT (massoterapia, laser, trazioni cervicali); nei casi gravi si
può ricorrere al collare di Shanz. Cruenta: artrodesi per via anteriore o liberazione di una radice.
9
Vedi capitolo su Lombalgie/Lombosciatalgie/Cruralgie (CAP 6) per le differenti sintomatologie.
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•
Artrosi lombare: terapia medica e FKT. Nei casi resistenti si può utilizzare busto ortopedico o
terapia cruenta con artrodesi, laminectomie ecc…
Mano
L’OA della mano è abitualmente classificata come OA primaria, in quanto non sembra dipendere
da alcuna causa evidente. L’aspetto più classico è rappresentato dalla formazione di tumefazioni
dure sulle superificie dorsale delle IFD, chiamate noduli di Heberden, tipicamente nelle donne ed
in età avanzata. L’interesamento delle IFP è più raro. Le tumefazioni qui presenti sono definite
noduli di Bouchard ed hanno consistenza più molle rispetto alle altre. L’interessamento classico
riguarda, inoltre, la TMC con la rizartrosi del I dito (segno della mano quadrata), con
sublussazione esterna del primo dito e riduzione della rima articolare.
Va posta particolare attenzione per la DD:
• Artrite psoriasica: anch’essa interessa le IFD, ma si associa a onicopatia.
• AR: interessamento delle IFP, ove si trovano erosioni associate a osteoporosi periarticolare,
assenti nell’OA.
Il trattamento prevede l’uso di valve sagomate limitanti, ionoforesi, ultrasuoni ecc… in casi rari si
può effettuare artrodesi trapezio-metacarpica in posizione funzionale, con rimozione del trapezio e
plastica tendinea.
!!! Altre localizzazioni sono al piede, alla caviglia ed alla spalla.
FRATTURE DELL’ARTO SUPERIORE
FRATTURE DELLA CLAVICOLA
Sono fratture frequenti, a tutte le età. Generalmente per trauma indiretto come la caduta sul
moncone della spalla. La frattura interessa il terzo medio. È spesso composta e nei bambini è a
legno verde. Quelle complete sono tipiche: frammento mediale che si porta in alto e
posteriormente (mm. Sterno-cleido-mastoideo) e laterale che si porta in basso (deltoide e peso
arto). La sintomatologia è tipica:
• Difesa: spalla abbassata, braccio accostato al torace, gomito flesso sostenuto dall’altra mano,
capo deviato verso il lato leso per evitare tensione muscolare.
• Deformità della regione.
• Dolore: spontaneo e a pressione.
• Motilità preternaturale.
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Le complicazioni precoci sono rare, come la lesione della vena succlavia da frammenti del focolaio
di frattura. Le tardive sono la viziosa consolidazione con danno estetico e pseudoartosi
dell’adulto. La terapia prevede:
• Neonati e fino a 2 anni: bendaggio alla Desault (esuberante attività ossea), anche con scomp.
• Bambini > 2 anni: se esiste scomposizione si effettua la trazione alla Petit per 20-25 gg.;
questa prevede una serie di anelli (ascelle e inguine) collegati tra loro posteriormente a incrocio.
La trazione posteriore e in basso permette il posizionamento corretto della frattura.
• Adulti: se c’è scomposizione, si effettua osteosintesi con il chiodo di Rush, per evitare lesioni
vascolo-nervose.
Fratture della Scapola
Sono fratture rare ed interessano diversi settori: corpo, apofisi, collo-glena; quest’ultima, di non
facile riscontro con RX, prevede indagine TC. Nelle fratture di corpo e apofisi si applica bendaggio
alla Desault, mentre nelle fratture di collo-glena è opportuno una osteosintesi cruenta con ricostruzione della superficie articolare, spt se esiste scomposizione.
Fratture dell’Estremità Prossimale dell’Omero
Fratture del collo chirurgico10
Sono frequenti nell’anziano, per l’osteoporosi tipica. Spesso indirette per cadute su spalla, gomito
o mano, atteggiata a difesa. Esistono diversi tipi:
• Composta: infrazione o frattura non composta.
• Scomposizione modesta con angolatura e ingranamento reciproco dei frammenti.
• Penetrazione diafisaria nella spongiosa epifisaria.
• Dislocazione del frammento distale verso il capo ascellare.
• Frattura-lussazione: frattura e lussazione della testa nell’omero verso il cavo ascellare.
La sintomatologia è tipica:
• Difesa.
• Deformità eventuale a “colpo d’ascia” del terzo superiore del braccio.
• Tumefazione per stravaso ematico e/o spostamento frammenti.
• Segno di Hennequin: ecchimosi tipica che interessa la faccia interna del braccio, la cavità
ascellare e la faccia laterale del torace anche fino alla cresta iliaca.
Il dato anamnestico importante e di sospetto, spt in anziani, è: dolore acuto, scroscio e impotenza
funzionale, insorti dopo una caduta. DD con lussazione scapolo-omerale.
Le complicazioni immediate sono la lussazione della spalla, che necessita trattamento d’urgenza;
le tardive sono le viziose consolidazioni e la rigidità (più o meno marcata anche grazie al grande
recupero funzionale dell’articolazione della spalla). La consolidazione è, in genere, di 30 gg. Anche
nell’anziano. Il trattamento prevede:
• Frattura composta o modesto spostamento: Desault o tutore per 20-25 gg.
• Spostamento accentuato: si effettua riduzione con trazione transolecranica e
immobilizzazione toraco-brachiale. Si può effettuare osteosintesi con chiodi di Rush per
abbreviare i tempi di immobilizzazione. Nei soggetti anziani, per evitare l’immobilizzazione
toraco-brachiale, si applica il tipico gesso pendente (brachio-antibrachiale dal terzo medio
dell’omero al polso, con un peso al gomito ed una bretella passante al collo).
• Fratture con lussazione: correzione cruenta se la riduzione incruenta è difficoltosa.
FRATTURE DELLA GROSSA TUBEROSITÀ
Sono fratture meno importanti, ma molto più frequenti delle precedenti. Possono essere isolate o
fratture-lussazioni scapolo-omerali. Avvengono per trauma o per strappamento. La
10
Il collo chirurgico è la zona limitante l’estremità prossimale ed il corpo dell’osso; limite passante al di sotto delle due
tuberosità. La zona ristretta tra la testa dell’omero e le due tuberosità, invece, è il collo anatomico.
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sintomatologia è limitata al dolore e all’impotenza funzionale. La terapia è limitata al tutore o
alla Desault per 20gg. Possono essere causa di impingement per risalita della grossa tuberosità; in
questi casi è necessaria la riduzione cruenta ed osteosintesi.
FRATTURE DEL COLLO ANATOMICO
Sono fratture rare e costituiscono una vera e propria decapitazione dell’omero. Spesso evolvono
verso la necrosi avascolare. Necessitano di immobilizzazione in tutore o Desault per 25-30 gg,
previa eventuale riduzione incruenta se c’è scomposizione.
FRATTURE DELLA TESTA DELL’OMERO
Sono fratture rare.
• Infrazione e infossamenti: tutore o Desault per 30gg.
• Scoppio: rimozione chirurgica dei frammenti e sostituzione protesica della testa dell’omero.
Fratture della Diafisi Omerale
Sono tutte le fratture comprese tra una linea passante poco al di sotto del collo chirurgico e un’altra
posta a 4 cm. circa sopra epicondilo ed epitroclea. Sono lesioni frequenti nell’adulto, spt maschio:
per trauma diretto la frattura risulta spesso trasversale o poco obliqua; nei traumi indiretti la
frattura spesso è obliqua o spiroide, spt se la dialisi omerale è sollecitata a flettersi o torcersi, con
presenza quasi costante di un terzo frammento con interposizione di lembi muscolari. La
scomposizione è più frequente nelle fratture alte per l’azione delle masse muscolari (deltoide,
grande pettorale, bicipite e tricipite). La sintomatologia prevede:
• Dolore spontaneo e provocato.
• Impotenza funzionale completa.
• Deformità angolare con eventuale accorciamento di qualche cm.
• Mobilità preternaturale.
• Tumefazione di tutto il braccio ed ecchimosi finanche all’avambraccio.
Le complicazioni immediate sono l’esposizione del focolaio e le lesioni del nervo radiale.
Il nervo mediano decorre medialmente nel braccio; passa all’altezza della diafisi omerale sulla faccia
anteriore dell’omero, proseguendo accostato alla vena basilica nel sottocutaneo. Il nervo ulnare nel braccio
decorre nella loggia anteriore nel terzo superiore e nel terzo medio; nel terzo inferiore, invece, decorre nella
loggia posteriore coperto dal capo mediale del tricipite; al gomito percorre il solco trocheo-epitrocleare
dell’omero, insinuandosi, all’avambraccio, tra i due capi prossimali del muscolo flessore ulnare del carpo. Il
nervo radiale, invece, ha decorso particolare: superata l’ascella, passa sotto il muscolo grande rotondo e
profondamente al capo lungo del muscolo tricipite, nella loggia posteriore, accostato all’omero (solco
radiale), tra capo mediale e laterale del tricipite, fino al setto intermuscolare laterale che perfora, per disporsi
nell’interstizio tra i muscoli brachioradiale e brachiale anteriore, sulla faccia anteriore dell’avambraccio.
Frequentemente si verifica stiramento, contusione o compressione del nervo, anche da parte dei
frammenti di frattura. La sezione subtotale o totale è più rara ed avviene per la vicinanza a
margini aguzzi o taglienti di frammenti ossei. La sintomatologia in questo caso è tipica:
• Impossibilità ad estendere mano e falangi prossimali (mano cadente).
• Impossibilità ad abdurre il pollice.
• Anestesia al lato esterno del dorso della mano e del pollice.
• Conservata motilità alle falangi distali, comandata da mm. lombricali ed interossei (n. ulnare).
L’evoluzione di questa lesione è benigna se non vi è danno irreversibile (EMG dopo 15gg.).
Complicanza tardiva non eccezionale è la pseudoartrosi, spt per fratture trasversali del terzo
inferiore della diafisi ed in quelle spiroidi (interposizione di masse muscolari ecc…).
Il trattamento è vario. Incruento:
• Immobilizzazione in toraco-brachiale per 2-3 mesi preceduta, se c’è scomposizione dei
frammenti, da trazione continua transolecranica o mediante gesso pendente.
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•
Immobilizzazione in toraco-brachiale per 30 gg (o gesso pendente) e applicazione di un
tutore funzionale fino a consolidazione avvenuta.
Il trattamento cruento prevede:
• Se vi è deficit del nervo radiale mediante neurolisi o neuroraffia e sintesi della frattura.
• Osteosintesi nelle fratture multifocali o spiroidi ed toilette focolaio se esposta.
• Chiodi endomidollari (tipo Rush) per fratture trasversali.
Dopo la sintesi si applica un tutore per 30-40 gg.
FRATTURE DEL GOMITO
Fratture sovracondiloidee dell’omero
Una buona percentuale dei casi prevede interruzione scheletrica solo per infrazione o per
infossamento; spesso sono composte. Colpiscono principalmente i bambini tra 5 e 10 anni. Si
distinguono in:
• F. per estensione: sono le più frequenti; quasi sempre per caduta a terra con il palmo della
mano a difesa con il gomito sollecitato in iperestensione. L’epifisi distale dell’omero (paletta
omerale) si sposta dorsalmente, attratta in alto dal tricipite; il frammento diafisario si sposta in
avanti e distalmente.
• F. da flessione: generalmente indiretto per caduta sul gomito sollecitato in iperflessione; qui la
paletta omerale si sposta anteriormente e il frammento diafisario si sposta posteriormente.
Le variazioni sul piano frontale prevedono valgismo o varismo.
La sintomatologia prevede:
• Tumefazione in toto per edema e forte stravaso.
• Dolore vivacissimo spontaneo, alla palpazione e a qualsiasi tentativo di movimento.
• Eventuale deformità in valgismo o varismo.
• Ecchimosi sulla faccia anteriore del gomito.
N.B. DD con lussazione di gomito: nelle fratture il triangolo di Hüter (delineato da tre apici:
epicodilo omerale, epitroclea omerale e apice dell’olecrano – normalmente ha base verso l’alto
costituita dalla linea epicolido-epitroclea, e apice verso il basso rappresentato dall’apice
dell’olecrano; si valuta con braccio in semiflessione) è normale e i rapporti tra i tre punti di rèpere
sono conservati.
Le complicazioni sono varie. Quelle immediate si riconducono principalmente a lesioni nervose:
• Nervo radiale (vedi percorso sopra), spt per estensione, potendo essere uncinato dal frammento
superiore. Si configura il quadro clinico della mano cadente (frat. diafisi omerale – vedi sopra).
• Nervo mediano può essere leso, ma è difficile per la protezione offerta dal ventre del m.
brachiale anteriore. Se presente, si ha: 1) impossibilità a chiudere completamente la mano a
pugno (mm. flessori delle falangi distali delle prime quattro dita); 2) mancata opponibilità del
pollice (m. opponente del primo dito); 3) anestesia della faccia palmare delle prime tre dita e
della metà mediale del quarto dito.
• Nervo ulnare è raramente colpito, decorrendo nella doccia epitrocleo-olecranica. Si ha deficit
solo tardivo per consolidazione viziosa in valgismo con suo stretching.
Le complicanze recenti sono principalmente vascolari e temibilissime. Sono rappresentate
essenzialmente dalla sindrome di Volkmann.
La sindrome di Volkmann è una complicanza ischemica causata da:
• Spasmo dell’arteria omerale per contusione o stiramento.
• Inginocchiamento dell’arteria causata da spostamento dei frammenti.
• Compressione graduale esercitata sul tronco arterioso dall’ematoma di frattura che si raccoglie tra il
piano osseo e le fascie aponeurotiche inestensibili del gomito e dell’avambraccio.
• Applicazione precoce di fasciature o gessi quando ancora l’ematoma non è scomparso.
La patogenesi è caratterizzata da una serie di alterazioni arteriose (in primis l’obliterazione dell’arteria
omerale), venose e nervose che interferiscono e si aggravano a vicenda compromettendo il trofismo e la
vitalità dei tessuti di avambraccio e mano, spt per i muscoli flessori della mano e dita. Ciò determina una
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retrazione fibrosclerotica dei muscoli con riduzione della distanza tra i punti di inserzione.
FASE PRODROMICA
Nelle prime ore successive al trauma o all’applicazione di apparecchi troppo costrittivi: dolore lancinante
all’avambraccio con irradiazione all’ascella e alla mano; edema della mano e delle dita che sono fredde e
cianotiche; riduzione mobilità delle dita.
FASE SI STATO
Si instaura dopo 2-3 settimane di trattamento. Si ha deformità ad artiglio della mano con polso flesso a 90°,
prime falangi iperestese e falangi terminali flesse; ipotrofia dei muscoli dell’avambraccio (piastrone duro);
parestesie ed anestesie con interessamento atipico dei tessitori dei nervi mediano e radiale.
Le complicanze tardive sono molteplici:
• Gomito varo: disturbo estetico e funzionale (contrasto con il valgismo fisiologico di 15°).
• Gomito valgo: nessun particolare problema, ma può determinare stretching ulnare con il
quadro tipico della mano benedicente (iperestensione metacarpo-falangea e falangi prossimali
4° e 5° dito e flessione falangi distali, ipotrofia eminenza ipotecare e del 1° spazio interdigitale
- 1° adduttore – anestesia della faccia del 5° dito e metà ulnare del 4°).
• Ossificazioni periarticolari – osteoma del brachiale anteriore: causa spesso rigidità.
Compare dopo 20-25 gg dal trauma, con radioopacità nubecolare in corrispondenza della faccia
flessoria del gomito. Può aumentare in estensione e intensità, spt se sono effettuate brusche
manovre di mobilizzazione e rieducazine passiva.
Il trattamento è variabile.
• Frattura: è incruento e mira a risolvere o evitare le crisi ischemiche. Va effettuato d’urgenza.
MAI applicare subito bendaggi o gessi. Se la frattura è composta si applica inizialmente solo
una valva gessata dorsale con immobilizzazione a 90°; solo dopo si applica un brachiobrachiale. Se la frattura è scomposta si effettua trazione transolecranica con paziente supino e
braccio verticale a 90°. La trazione è offerta da pesi collegati alla staffa, a sua volta collegata ai
fili transolecranici. La controtrazione è data dal peso del corpo. Così si facilita il deflusso del
sangue e si evitano le complicanze ischemiche. Con questo metodo l’edema si risolve in 4-5 gg
e si potrà applicare un toraco-metacarpale per 20-25 gg e poi potrà fare riabilitazione.
• Complicanze vascolari: profilassi o rimozione delle fasciature/gessi. Eventuale fasciotomia.
• Eventuali esiti: trattamento chirurgico, spt per correggere varismo o eccessivo valgismo ed
evitare stretching dell’ulnare.
• Deformità di Volkmann conclamata: ridurre la distanza tra i punti di inserzione prossimale e
distale dei flessori della mano e delle dita.
FRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE
Sono fratture molto comuni e sono al secondo posto tra le fratture di gomito. Il trauma è spesso
indiretto per caduta su mano atteggiata a difesa. La lesione può essere:
• Fissurazione.
• Frattura parcellare o marginale con o senza scomposizione.
• Fratture trasversali subito sotto il capitello prima della tuberosità bicipitale (decapitazione del
radio e eventuale angolazione o capottamento del capitello stesso).
La sintomatologia è caratterizzata da: 1) dolore alla pressione in un punto preciso (sede subepicondiloidea, dove normalmente si sente ruotare il capitello radiale in prono-supinazione); 2)
limitazione dolorosa alla prono-supinazione; 3) scarsa limitazione alla flesso-estensione.
Il trattamento è vario:
• Senza scomposizione: immobilizzazione brachio-metacarpale per 20gg.
• Scomposte nell’adulto: riduzione cruenta con sintesi del capitello con piccole viti o fili di
Kirschner. Nelle fratture pluriframmentarie si asporta il capitello.
• Bambini: tentare sempre riduzione incruenta e poi la cruenta. Evitare sempre asportazione
capitello per evitare valgismo del gomito. Dopo intervento, brachio-metacarpale per 15-20
giorni.
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Fratture dell’Olecrano
Sono fratture frequenti, tipiche dell’età adulta. Il trauma è spesso diretto per caduta su gomito in
flessione, o indiretto per caduta su mano atteggiata a difesa. Il trauma diretto, di solito, determina
isolamento a tutto spessore dell’olecrano, isolandolo dall’ulna. La frattura può trovarsi, inoltre,
all’apice, e spesso avviene per strappamento da parte del tricipite. In questi due casi si ha sempre
interposizione di materiale fibroso nella diastasi.
La sintomatologia prevede: 1) tumefazione ed ecchimosi del gomito; 2) depressione
interframmentaria in regione olecranica a gomito flesso a 90°; 3) impossibilità di estensione attiva.
Le complicanze sono caratterizzate principalmente dall’esposizione. Il trattamento è incruento
solo nelle fratture incomplete e non scomposte con brachio-metacarpale per 25-30 gg. Il trattamento
cruento avviene nelle fratture complete, spt se esiste diastasi. I meccanismi principali sono:
• Sintesi mediante vite infissa in senso cranio-caudale dall’apice dell’olecrano alla diafisi ulnare.
• Emicerchiaggio metallico ancorato a due fili di Kirschner, introdotti nell’olecrano, con
eventuale legame a chiodi di Rush.
Altre fratture di gomito
Sono rappresentate dalle fratture intercondiloidee a V o a T dell’epifisi distale di omero, dalle
fratture della coronide dell’ulna, da quelle della troclea (med), epitroclea e condilo (lat). Non sono
lesioni molto frequenti, ad eccezione di quelle di condilo e epitroclea che rappresentano dei veri e
propri distacchi epifisari (vedi dopo).
Fratture dell’Avambraccio
Fratture associate di Radio e Ulna
Sono fratture biossee della diafisi di radio e ulna, dette anche fratture di antibraccio. Sono
frequenti nei bambini. Avvengono per danno indiretto, spesso per caduta sul palmo della mano. In
questi casi ne normali curvature di radio e ulna si inflettono sino alla rottura che, tipicamente,
avviene al terzo medio-inferiore della diafisi. Negli adulti il meccanismo è generalmente diretto e
il tipo di frattura è spesso condizionata dal punto di applicazione dell’agente lesivo.
Dal punto di vista anatomo-patologico, esistono diverse varianti.
• Decalage: si ha spostamento rotatorio “ad peripheriam” di un frammento del radio intorno al
suo asse longitudinale ed intorno a quello dell’ulna. Il decalage ulnare è sempre modesto per
lieve rotazione del frammento distale. Il radio soggiace all’azione dei muscoli pronatori
(pronatore rotondo e quadrato) e supinatori (bicipite e breve supinatore). In condizioni di
integrità scheletrica, la posizione del radio è controllata volontariamente. In condizioni di
frattura, questi muscoli possono agire in maniera diversa sui segmenti di frattura:
• Sopra inserzione distale del pronatore rotondo: frammento prossimale ruota in
massima supinazione per azione dei supinatori; frammento distale ruota in massima
pronazione per azione dei pronatori.
• Distalmente all’inserzione del pronatore rotondo: frammento prossimale si semipronosupinazione per azione dei supinatori e del pronatore rotondo; frammento
distale in pronazione per azione del pronatore quadrato.
• Angolazione: spostamento angolare rispetto agli assi delle ossa. Ne può risultare una deformità
a X, a K, a losanga ecc…
• Accavallamento: sotto l’azione dei muscoli dell’avambraccio, i frammenti distali tendono
sempre a risalire entro i limiti consentiti dalla membrana interossea.
Tutti gli spostamenti possono associati tra loro.
La sintomatologia prevede: dolore vivo spontaneo o provocato, impotenza funzionale, motilità
preternaturale, deformità angolare varia, ecchimosi, tumefazioni, crepitazioni.
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Le complicazioni sono divise in precoci, quali esposizioni, compromissione rara dell’ulnare o del
radiale, sindrome ischemica di Volkmann (rara), e tardive, quali pseudoartrosi (eccezionale nel
bambino), ritardo di consolidazione o consolidazione viziosa (spt decalage – molto invalidante
perché determina riduzione del movimento di prono-supinazione).
Il trattamento è vario.
• Bambini: incruento anche se con scomposizione. La riduzione avviene in narcosi, su letto
ortopedico, applicando una trazione distalmente ed una controtrazione prossimamente: ciò
riduce l’accavallamento. Si effettua, poi, un movimento di supinazione per correggere il
decalage, con orientamento dei frammenti. Successivamente si applicherà un brachiometacarpale con gomito a 90° e atteggiato in semipronosupinazione per 45 giorni.
• Adulti: si tende sempre a intervenire cruentamente; l’intervento consiste nella sintesi mediante
chiodi di Rush, oppure con placche metalliche avvitate, per facilitare il recupero funzionale ed
abolire la lunga immobilizzazione gessata per 3-4 mesi per gli adulti.
Altre fratture scheletriche dell’avambraccio
• Frattura isolata di diafisi ulnare.
• Frattura-lussazione di Montaggia: frattura isolata diafisi ulnare e lussazione capitello radiale.
• Frattura isolata di diafisi radiale.
• Frattura-lussazione di Galeazzi: frattura isolata diafisi radiale e lussazione epfisi distale ulnare.
Si trattano tutte incruentamente con brachio-antibrachiale per 2-3 mesi.
Fratture del Polso e della Mano
Frattura di Poteau-Colles
È la frattura extra-articolare più frequente. È per trauma indiretto, per caduta sulla mano
atteggiata a difesa, in estensione. La rima di frattura ha decorso trasversale, interessando la
metafisi distale radiale cui seguono diversi spostamenti.
• Ingranamento: incuneizzazione dell’apice del frammento radiale prossimale nella spongiosa
del frammento distale (assenza di crepitio e motilità preternaturale).
• Radializzazione: il frammento distale si sposta in senso radiale.
• Dorsalizzazione: il frammento distale si sposta in senso dorsale.
La frattura è sempre associata allo strappamento della apofisi stiloide ulnare per l’inserzione del
legamento triangolare.
La sintomatologia è tipica:
• Segni generici di frattura: dolore spontaneo e alla pressione e al movimento, tumefazione,
ecchimosi al polso e alla mano, impotenza funzionale, no crepitio e motilità preternaturale.
• Orizzontalizzazione linea bistiloidea legata all’ingranamento.
• Deformità a baionetta del profilo frontale della mano sull’avambraccio per la radializzazione.
• Deformità a dorso di forchetta del profilo laterale (sagittale) del polso, per dorsalizzazione; il
profilo della mano si dispone parallelamente e dorsalmente a quello della mano.
Le complicazioni immediate sono l’esposizione della frattura e la lesione del nervo mediano.
Quelle tardive sono spt la consolidazione viziosa (con o senza contenzione di frammenti) e l’osteoporosi delle ossa del carpo e della mano (s. di Sudek tipica degli anziani).11 La pseudoartosi della
stiloide ulnare è frequente e di solito ben tollerata.
Il trattamento è solitamente incruento e prevede la riduzione in narcosi con il ripristino della
superficie articolare distale del radio. Al letto ortopedico si effettua una forza traente sul pollice ed
una controtrazione in senso flettente sul frammento radiale distale, fino al ripristino degli angoli; si
11
Ciò avviene spesso se la frattura consolida senza il ripristino della normale inclinazione (linea bistiloidea) sul piano
frontale (25°), sia sul piano sagittale (10°); ciò determinerà un disturbo estetico, ma anche un deficit funzionale, per
riduzione della flessione della mano.
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prosegue con immobilizzazione in gesso per 30-35gg: per i primi 20gg con un brachio-metacarpale
e poi con un antibrachio-metacarpale per altri 15-20gg.
Frattura di Goyrand – Colles inversa
La dislocazione del frammento epifisario sul piano sagittale avviene in senso inverso; identica è,
invece, la sede e il decorso della rima di frattura. È rara. Si verifica per caduta con la mano in
flessione. Il frammento distale radiale si palmarizza e, sebbene tutti i reperti siano simili a quelli
della Colles classica, sul piano sagittale si ha l’aspetto a ventre di forchetta. Il trattamento è
analogo, ma durante la riduzione si effettuano manovre correttive in senso estensivo.
Fratture dell’epifisi distale di Radio
Interessano in vario grado la superficie articolare. Le più semplici si irradiano prossimamente
isolando solo una porzione della glena e sono definite marginali o cuneiformi. Quelle complesse,
invece, possono interessare tutta l’epifisi, con rime di frattura a V, T, Y, interessando raramente
anche la metafisi, configurando un vero e proprio scoppio. Il trattamento è semplice, con
immobilizzazione in gesso per 35 giorni. Nelle complesse si preferisce usare un fissatore esterno
per garantire ripristino dei normali rapporti articolari.
Fratture dello scafoide
Le fratture del carpo sono relativamente rare. Al contrario lo scafoide è sede frequente di lesione
per trauma indiretto da caduta sulla mano o per traumi a pugno chiuso. La sintomatologia prevede
dolore sordo, spontaneo, che aumenta con palpazione sulla tabacchiera anatomica e dalle
sollecitazioni sul 1° metacarpo. La diagnosi è con RX. Le complicanze non sono eccezionali, a
causa della vascolarizzazione terminale: necrosi avascolare del frammento prossimale e
pseudoartrosi. Il trattamento prevede l’immobilizzazione in gesso dell’avambraccio, del carpo,
metacarpo e 1° falange del 1° dito. Bisogna effettuare controllo RX periodico. La consolidazione
dura circa 3 mesi.
Fratture dei metacarpi e delle falangi della mano
Sono fratture molto frequenti e generalmente dovute a trauma diretto. Sul lavoro si verificano anche
fratture con lesione della cute, dei tendini, dei muscoli e anche maciullamenti. Possono interessare
tutte le sedi: epifisi, diafisi, metafisi prossimale (fratture della base) e metafisi distale (frattura
sottocapitale). Spesso è presente scomposizione, ma è difficile da ridurre. Il trattamento prevede
apparecchio gessato con le dita in semiflessione. Fratture instabili o irriducibili: riduzione e sintesi
cruente. Di particolare interesse è la frattura del 1° metacarpo, tipica dei pugili. Un frammento
resta sempre in rapporto con l’osso trapezio e il 1° metacarpo si disloca sempre dorsalmente = frattura-lussazione di Bennet. Clinica: dolore spontaneo e provocato e tumefazione costante. Il
trattamento prevede riduzione immediata mediante trazione assiale e pressione alla base del primo
dito e poi contenimento in gesso antibrachio-metacarpale inglobante il 1°dito, per 30 giorni. A volte
si necessita di sintesi temporanea mediante filo di Kirschner (base del metacarpo al trapezio).
FRATTURE VERTEBRALI
Sono divise in meliche ed amileiche, a seconda che la lesione si accompagni o meno a danno
midollare, da ricercare sempre; si dividono inoltre in dorso-lombari e cervicali.
Fratture Dorso-Lombari
Rappresentano l’80% di tutte le fratture vertebrali. Più colpite sono: I L, XII D, II L. Si verificano
più nei maschi e nell’età adulta,m per traumi che tendono a iperflettere il rachide (cadute su piedi o
natiche, caduta di gravi dall’alto ecc…).
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•
Corpo vertebrale: se si trova nel punto di massima curvatura si schiaccia per compressione
tra i metameri sopra- e sotto-stanti.
• Frattura-lussazione: avviene se c’è frattura anche dei peduncoli, delle lamine o delle apofisi
articolari; ciò può determinare compressione midollare.
• Fratture isolate dei peduncoli: traumi da torsione intermetamerica.
• Apofisi traverse / spinose: una o più; fratture isolate da strappamento.
• Crolli (schiacciamenti): in età senile e nel sesso femminile spt in menopausa; il primum movens
è l’osteoporosi della parte somatica delle vertebre, spt quelle dorsali; sono spesso misconosciute o trattate tardivamente.
Le fratture per trauma diretto avvengono per bastonate, colpi d’arma da fuoco ecc…
Esiste una ben specifica classificazione delle fratture dorso-lombari:
• Anteriori:
• Discoarticolari: danno limitato al disco e al piano osteocartilagineo (lamina limitante).
All’RX si nota interruzione della limitante e lieve infossamento in spongiosa subcondrale.
• Somatiche: il piano articolare ed il disco appaiono indenni. Il trauma è presente alla spongiosa equatoriale della vertebra, schiacciando a cuneo il corpo; poco danno al disco.
• Discosomatiche: sia disco che spongiosa; frammenti di disco penetrano la spongiosa.
All’RX il disco appare schiacciato a cuneo o anche frantumato; forte danno al disco.
• Posteriori:
• Apofisarie.
• Dei peduncoli.
• Delle lamine.
• Degli istmi.
Nelle fratture di apofisi trasverse e spinose non c’è danno al disco. Al contrario, le lesioni delle
apofisi articolari, degli istmi e delle lamine, si associano sempre a fratture discoarticolari.
• Totali:
• Senza dislocazione.
• Con dislocazione.
Queste lesioni totali con dislocazione sono caratterizzate, più che da lesioni discali, da
restringimenti dell’arco neurale, con problemi di compressione midollare; ciò è assente nelle lesioni
senza dislocazione, ma può sempre succedere.
La sintomatologia è dominata da:
• Dolore locale e spontaneo ed alla pressione sulla spinosa corrispondente.
• Rigidità del rachide lombare.
• Contrattura muscolare antalgica.
• Gibbo: deformità ad angolo acuto del rachide riscontrabile per gravi schiacciamenti.
Le complicazioni sono principalmente due: compressione midollare (o radicolare per lesioni sotto
L2 – il midollo qui si continua con le radici della cauda), e la discopatia degenerativa.
Compressione midollare
È frequente e molto temibile. Le alterazioni commotive o contusive del midollo spinale sono
frequenti, rare le compressioni o sezioni. Esistono diverse fasi.
Nella fase iniziale la sintomatologia è indipendente dall’entità del danno anatomopatologico. Si
manifesta con: paraplegia (paralisi flaccida), areflessia e anestesia più o meno estesa, in rapporto
al livello di lesione. Si ha paralisi sfinteriale ed eventuale shock.
Regredito lo shock, in rapporto alla diversità del danno neurologico, si può assistere alla regressione graduale della sintomatologia appena descritta, che avviene in 8-10 gg; se non avviene, bisogna
sospettare un danno permanente, diverso in base ai livelli:
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•
Sopra il cono: la porzione distale riprende la sua funzione per automatismo midollare, con
paralisi spastica (iperreflessia osteotendinea, Babinski +, cloni e contrazioni, possibilità di
automatismo vescicale).
• Al cono e cauda equina: assenza di automatismo vescicale.
Altre complicanze possono insorgere, portando il pz alla cachessia ed all’exitus: piaghe da
decubito (sacro, calcagno, trocantere ecc…), cistiti e cistopieliti (ristagno urinario e ripetuti cateterismi), edemi, tromboflebiti degli arti inferiori (vasoparalisi), infezioni broncopolmonari.
Discopatia degenerativa
È sempre tardiva; la guarigione delle fratture del corpo vertebrale è legata all’entità della lesione
del disco che non ha capacità riparative. La lesione ossea si risolve sempre in un periodo massimo
di 3 mesi. Il danno può essere compensato da osteofitosi marginale e sinostosi (saldamento a
ponte) con il corpo vertebrale adiacente, salvando il disco da ulteriori sollecitazioni. Se ciò non
avviene, si instaura la discopatia degenerativa: processo degenerativo associato a dolore
persistente o che si aggrava.
• Dolore locale, spontaneo o provocato.
• Contrattura muscolare con rigidità.
• Insufficienza al carico.
• Comparsa eventuale o accentuazione di gibbo.
All’RX si riscontra sempre:
• Restringimento spazio intersomatico.
• Sclerosi limitante.
• Turbe trofiche della spongiosa subcondra: geodi, sclerosi e rarefazione ossea.
La rigidità e l’ipotrofia muscolare sono responsabili dell’insorgenza di queste sindromi dolorose
tardive. Ciò avveniva spessissimo in era pre-radiografica, ed era conosciuta come sindrome di
Kümmel-Verneuil. Questi AA. credevano che alla base ci fosse una insufficiente riparazione ossea
e si tendeva a immobilizzare in apparecchi gessati i pz per tantissimo tempo, favorendo la rigidità e
l’ipotrofia muscolare; si formava un circolo visioso.
La prognosi è buona nelle lesioni amieliche. Al contrario, nelle meliche è sempre grave.
Il trattamento varia in base al tipo di frattura.
•
Somatiche e discosomatiche:
• Modesto schiacciamento: no riduzione e immobilizzazione con busto rigido per 90 giorni.
• Schiacciamento anteriore: riduzione entro i primi giorni reclinando il pz in iper-lordosi su
lettino ortopedico (evitare formazione precoce di callo fibroso); poi gessetto ortopedico in
iperestensione per 30 giorni senza carico; poi per altri 60 giorni un busto rigido.
• Schiacciamenti da osteoporosi: busto iperestensore e terapia medica.
Sempre ciclo di FKT dopo.
•
•
Discoarticolari: busto gessato o busto rigido per 30-40 gg e poi FKT.
Isolate delle apofisi trasverse o spinose: brevissima immobilizzazione in busto di stoffa e
stecche per 15-20 giorni per attenuare dolore econtrattura muscolare e riprendere deambulaz.
• Fratture totali: no manovre riduttive. Immbolizzazione per 3 mesi; eventuale chirurgia.
Il trattamento delle complicanze prevede:
•
•
Complicanze neurologiche: no laminectomia decompressiva. Prima TC e RMN e poi
eventuale correzione chirurgica con rimozione dell’ostacolo. Fondamentale la terapia di
prevenzione dei decubiti, delle complicanze settiche, degli atteggiamenti viziosi, rieducazione
vescicale e motoria del paziente.
Discopatia degenerativa: eventuale artrodesi vertebrale.
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Fratture Cervicali
In ordine di frequenza e di gravità, quelle delle prime due vertebre cervicali sono più rare e meno
gravi; la grandezza del canale rachideo è molto ampia a questo livello, e perciò le complicanze
midollari sono meno importanti. Se esistono lesioni midollari, portano quasi sempre a exitus.
Atlante
Per compressioni sul capo; le faccette articolari occipitali sono disposte dall’esterno all’interno e
dall’indietro all’avanti e trasmettono forze sull’atlante che tendono ad allargarlo trasversalmente;
l’osso si rompe, quindi, nel punto più debole: arco posteriore. Clinicamente si riscontra: dolore,
rigidità del capo, nevralgia del territorio del nervo occipitale; si tratta con immobilizzazione in
minerva gessata per due-tre mesi e FKT.
Epistrofeo
Interessa generalmente l’apofisi odontoide che si frattura alla base. La lesione si verifica per
compressione e flessione anteriore del capo. Spesso si associa a lussazione e sublussazione della
prima vertebra. Sintomatologia e trattamento analoghi a quelle dell’atlante.
Ultime 5 vertebre
Sono fratture meno frequenti delle dorso-lombari, ma sono molto esposte a complicanze
neurologiche; i traumi che le generano tendono a schiacciare o flettere bruscamente il collo (urto
contro il parabrezza, caduta di gravi, tutti su fondali bassi ecc…). Tipi di fratture:
• Discoarticolari: della limitante e della spongiosa subcondrale.
• Discosomatiche: con frammentazione e/o scoppio del corpo vertebrale; qui il frammento posteriore può dislocarsi e restringere il canale midollare.
• Del margine antero-inferiore del corpo vertebrale: per iperestensione (colpo di frusta) e
strap-pamento da parte del legamento longitudinale anteriore che vi si inserisce.
• Frattura-lussazione: frattura del corpo vertebrale e delle apofisi articolari con conseguente
lussazione e restringimento del canale midollare.
• Frattura salvatrice dell’arco: frattura lussazione con associata frattura dell’arco posteriore
della stessa vertebra = assenza di compressione midollare.
La sintomatologia prevede: atteggiamento coatto del capo; dolore spontaneo, accentuato alla
pressione sulla spinosa corrispondente al focolaio di frattura; contrattura muscolare: torcicollo.
Se esistono complicanze midollari si avrà:
• Tetraplegia flaccida con assenza di riflessi.
• Paralisi vescicale e rettale.
• Paralisi respiratoria: per lesioni superiori alla III vertebra.
• Paralisi del diaframma: origine del nervo frenico dalla III radice cervicale.
• Turbe da fratture meliche dorso-lombari (broncopolmoniti, decubiti, cisto-pieliti…).
Il trattamento mediante riduzione incruenta è molto difficile da effettuare; va effettuata immobilizzazione mediante minerva gessata per 2-3 mesi. Se coesiste lussazione-sublussazione, si può
applicare la fionda di Glisson: paziente supino con trazione al mento e all’occipite. Tale tecnica è,
però, poco tollerata perché rende impossibile mangiare; si preferisce, quindi, la trazione transparietale alla Crutschfield: la staffa di trazione è infissa nel tavolato esterno dei due parietali.
Dopo la riduzione si usa una minerva gessata per due-tre mesi. Se la riduzione è instabile, si
procede con trattamento cruento come per le fratture dorso-lombari.
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FRATTURE DEL BACINO
FRATTURE CHE NON INTERROMPONO LA CONTINUITÀ DEL CINGOLO PELVICO
Non sono gravi, non presentano particolari complicazioni e guariscono senza esiti particolari. Sedi:
• Spina iliaca anteriore superiore.
• Spina iliaca anteriore inferiore.
• Ala iliaca.
• Ischio.
• Sacro (fratture isolate)
• Coccige.
Queste fratture prevedono riposo a letto su piano rigido per 20-40gg.
Fratture che interrompono la continuità del cingolo pelvico
Sono fratture relativamente frequenti (lavoro e traffico). Hanno particolare importanza e vanno
diagnosticate precocemente perché si associano spesso a complicazioni degli organi pelvici. Il
trauma è riconducibile a sollecitazioni trasversali (tendono ad avvicinare le due ali iliache),
sagittali (ovalizzazione trasversale del bacino), verticali (dissociamento di un emibacino
dall’altro). Ne esistono diversi tipi particolari:
• Frattura doppia verticale di Malgaigne: frattura longitudinale della porzione posteriore
dell’ala iliaca (in prossimità della sincondrosi sacro-iliaca), associata a frattura ischio-pubica ed
ileo-pubica, oppure associata a disgiunzione della sinfisi pubica.
• Frattura quadrupla verticale di Tanton: è rara. È la frattura di Malgaigne bilaterale. Si
associa sempre a gravi danni degli organi interni. È tipica delle frane.
• Frattura di Voillemier: frattura delle branche ilio-pubica ed ischio-pubica, con frattura longitudinale della porzione alare del sacro, in corrispondenza dei forami sacrali.
• Frattura bilaterale del pube: frattura verticale che interessa bilateralmente le branche ischiopubiche ed ileo-pubiche. Il frammento a farfalla si sposta verso la cavità pelvica, mentre gli
emibacini tendono ad aprirsi a libro.
• Frattura monolaterale del pube: una delle due branche o entrambe, ma sempre monolaterale.
È il tipo di frattura meno grave.
Le complicazioni sono tante e varie. La lesione ossea isolata non è gravissima, quanto le
complicanze immediata (generali o locali) che l’accompagnano. NB. Difficile diagnosi solo con
RX, necessaria TC bacino, spt 3D, RM, ECO. L’approccio deve sempre includere il chirurgo spec.
• Shock: secondario a contusione degli organi pelvici.
• Lesione app. urinario: le più frequenti. Interessano vescica e uretra. La rottura di vescica si
verifica in stato di replezione dell’organo: può essere intra- o extraperitoneale. La rottura
intraperitoneale è più rara e si manifesta con versamento di sangue e urina nella cavità; la
rottura extraperitoneale si manifesta con raccolta di sangue e urina nello spazio perivescicale,
nelle fosse iliache ecc… La rottura dell’uretra, spt la porzione membranosa, si manifesta con
disuria, uretrorragia, dolore alla palpazione perineale e rettale, impossibilità di cateterismo.
• Lesioni visceri addominali: rottura di ansa intestinale, di un mesentere, del colon ecc…
• Lesioni vascolari con profuse emorragie se ai grossi vasi come arteria e vena iliaca (trombosi).
La sintomatologia è legata alla completa impotenza funzionale degli arti inferiori, dolore
diffuso a tutto il bacino, accentuato dalla pressione bimanuale sulle ale iliache (frequente anuria).
Il trattamento è cruento in urgenza, spt per le complicanze. Se non esistono complicanze, il
trattamento prevede immobilizzazione a letto su piano rigido per 30-40 gg, con bacino sostenuto da
un’amaca e fasciato per evitare diastasi ossea. È possibile effettuare sintesi ossea cruenta (placche,
viti, fissatori esterni ecc…).
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Fratture del Cotile
La maggior parte di queste fratture si verifica o per caduta o durante incidenti automobilistici, per
l’urto del ginocchio contro il cruscotto. Il danno è sempre diretto e la testa del femore agisce da
ariete contro la parete posteriore, superiore o contro il fondo dell’acetabolo.
Frattura del cotile senza lussazione
Urto moderato e assenza di modificazione rapporti articolari. Le fratture sono diverse:
• Ciglio: solo il ciglio posteriore del cotile.
• Ciglio-parietali senza spostamento: parete e ciglio posteriore senza dislocazione dei
frammenti.
• Ciglio-parietali con spostamento di uno o più frammenti del ciglio e della parete posteriore.
• Tetto-parietali: tetto e parete posteriore del cotile con o senza scomposizione dei frammenti.
• Fondo del cotile: variabile per grandezza e dislocazione dei frammenti.
Non sufficiente solo la RX, necessaria stratigrafia o TAC. La sintomatologia è caratterizzata da
impotenza funzionale totale, dolore spontaneo alla pressione su grande trocantere e dalla
successione sul calcagno. La complicanza è sempre una più o meno grave artrosi d’anca.
Il trattamento varia in base ai tipi di lesione.
• 1, 2 e 5: ciglio, ciglio-parietali senza spostamento e fondo; iniziale riposo a letto; poi scarico
completo dell’anca con gesso o tutore pelvicondiloideo e staffone di scarico. Dopo 4 mesi, si
passa al carico.
• 3 e 4: ciglio-parietale con spostamento e tetto-parietali; si altera la funzione continente e
portante dell’articolazione, per cui si necessita di riduzione cruenta e osteosintesi e poi vedi su.
Frattura del cotile con lussazione posteriore della testa femorale
Urto di particolare intensità. La porzione superiore o postero-superiore del cotile si distacca e la
testa del femore si disloca posteriormente. Qui le lesioni ossee sono molto evidenti, potendo
interessare una porzione più o meno ampia della cavità acetabolare. Generalmente la frattura
determina distacco di un frammento osseo triangolare (ma è possibile la pluriframmentazione). La
testa del femore si sposta in alto e posteriormente.
La capsula articolare è lacerata in tutta la porzione posteriore e disinserita dal bordo cotiloideo,
privata delle sue connessioni vascolari (presupposto per artrosi).
La sintomatologia è legata a grave shock, impotenza funzionale totale e vivissimo dolore.
Le complicazioni sono varie:
• Immediate: lesione del nervo grande sciatico con paralisi dei muscoli innervati dallo sciatico
popliteo esterno (no flessione dorsale e pronazione piede, anestesia sulla faccia laterale della
gamba e del dorso del piede); la lesione avviene per stretching, raramente per strappo. Un'altra
complicanza può essere l’irriducibilità della frattura per interposizione di frammento osseo.
• Tardive: recidiva alla lussazione per mancata ricostruzione del cotile, necrosi avascolare della
testa del femore, artrosi dell’anca per incongruenza dei rapporti articolari e per il danno subito
dalla cartilagine articolare.
Il trattamento prevede la riduzione in urgenza della lussazione in anestesia generale. Si applica,
poi, una trazione transcondiloidea femorale: evitare recidiva e diminuire pressione tra testa e
cotile. Si procede, poi, alla ricostruzione cruenta della parete cotiloidea ed alla sintesi con viti,
cambre ecc… Successivamente si usa apparecchio gessato pelvipodalico con scarico dell’anca
mediante appoggio sulla tuberosità ischiatica. Il carico attivo dopo almeno 4 mesi.
Frattura del cotile da sfondamento centrale e lussazione intrapelvica
È un casino! L’urto di forte intensità determina frattura del fondo e sfondamento e dislocazione
intrapelvica della testa femorale con incarcerazione. il quadro clinico è dominato dallo shock e
dalla impotenza funzionale totale. Tra le complicanze si ha l’artrosi dell’anca, sempre grave che
può determinare rigidità ed anchilosi. Il trattamento è generalmente incruento: trazione lungo asse
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femorale e trocanterico (transcondiloideo e transtrocanterica); segue immobilizzazione in
pelvipodalico per due mesi. Il carico diretto dopo 4 mesi. In irriducibilità si ricorre al trattamento
cruento.
FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE
FRATTURE DELL’ESTREMO SUPERIORE DEL FEMORE
Spt negli anziani per danni di modesta entità all’anca, come banali cadute. Il fattore predisponente
principale è l’osteoporosi, spt per le donne. Esistono zone più o meno colpite da questo processo.
La zona cervicale del femore, infatti presenta tre zone di rinforzo:
• Branca interna – sistema cefalico: a partire dalla corticale postero-mediale, si dirige verso la
porzione superiore della testa del femore anteriormente.
• Braca esterna – sistema trocanterico: a partire dalla corticale postero-mediale, si dirige verso
il grande trocantere anteriormente.
• Braca trasversale – sistema arciforme: a partire dalla corticale esterna infero-trocanterica
della diafisi femorale si dirige alla porzione inferiore della testa.
Parimenti, queste branche formano una zona di minore resistenza: il triangolo di Ward; questa
zona è più soggetta a lesioni e tende ad aumentare d’ampiezza nel corso del tempo.
Classificazione
Le lesioni sono classificate in base a rapporto tra lesione e inserzione distale della capsula.
La capsula ha inserzione a livello del collo del femore: nella porzione anteriore si inserisce a livello della
linea intertrocanterica; nella porzione posteriore si inserisce a livello della metà del collo femorale. Si
disegna, così, un piano immaginario obliquo dall’indietro all’avanti e dall’interno all’esterno che divide il
collo in una porzione mediale (intrarticolare) e laterale (extrarticolare).
La prognosi varia, inoltre, in base al tipo di lesione
(mediale o laterale), per il tipo di vascolarizzazione.
Il settore mediale è irrorato solo dai rami
provenienti dalle a. capsulari (circonflessa anteriore
e posteriore, rami ascendenti della circonflessa del
femore), data l’obliterazione dell’a. del legamento
rotondo in età senile: i rami penetrano nell’osso a
livello dell’inserzione distale e risalgono
medialmente. Una frattura mediale (a monte
dell’inserzione), interrompe il circolo endo-osseo,
disturbandone la consolidazione e la nutrizione. Il
settore laterale (base impianto collo, regione
trocanterica e sottotrocanterica) è irrorato dalle a.
capsulari e anche dalle a. traversa (ramo della
circonflessa del femore); una frattura a questo livello
lascia indenne la circolazione endo-ossea.
•
•
Fratture mediali: sottocapitate (zona adiacente testa del femore) e medio-cervicali o
transcervicali, sempre intrarticolari.
Fratture laterali: basicervicali (base collo anatomico), pertrocanteriche (spessore del grande
trocantere fino al piccolo trocantere), sottotrocanteriche, tutte extrarticolari.
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L’azione muscolare tende a spostare i frammenti ossei. Il segmento distale ruota sempre verso
l’esterno ed è tirato verso l’alto; il segmento prossimale si sposta poco grazie alla robusta capsula,
ma può seguire il frammento distale se si ha ingranamento. Gli spostamenti hanno varia entità.
La sintomatologia varia in base al livello della frattura.
• Fratture laterali: extrarotazione netta dell’arto (pz supino il margine esterno del piede sul
letto), dolore in regione anca esterna, impotenza funzionale, accorciamento dell’arto e risalita
trocant.).
• Fratture mediali: no accorciamento ed extrarotazione o modeste, dolore inguinale, impotenza
funzionale ridotta (specialmente nelle fratture ingranate).
Sempre effettuare RX. La prognosi, come detto precedentemente, è molto più buona per le fratture
laterali che non per le mediali, a causa della vascolarizzazione “precaria”. Le complicazioni sono:
• Precoci: sempre generali; broncopolmoniti ipostatiche da scarsa ventilazione polmonare,
piaghe da decubito (spt sede sacrale), cistopieliti (stasi urinaria), flebotrombosi ecc… Ognuna
può aggravare il quadro generale, fino all’exitus del paziente.
• Tardive: sempre locali.
• Pseudoartrosi del collo del femore: è rara e solo per fratture mediali, anche dopo osteosintesi; all’RX la rima di frattura è visibile, i margini sono sclerotici, il collo è ridotto in
lunghezza o anche scomparso per riassorbimento.
• Necrosi asettica della testa: appannaggio solo delle fratture mediali. Si riscontra nelle
fratture più mediali, quelle sottocapitate, anche dopo corretta osteosintesi. È subdola: persistenza e aumento progressivo del dolore all’anca. All’RX si riscontrano zone di
addensamento (necrosi spongiosa) e deformazione del profilo (schiacciamento trabecole).
• Viziosa consolidazione: responsabile dell’insorgenza di artrosi, se in varismo; in valgismo
è ben tollerata.
Il trattamento varia in base alla frattura.
• Mediali: trattamento cruento di sintesi o di protesizzazione. L’osteosintesi del collo è effettuata
nei meno anziani e nelle fratture con modesta o assente scomposizione. L’intervento consiste
nel compattamento dei frammenti e avvitamento mediante viti di diverso tipo. Il pz può muovre
l’arto a letto e la deambulazione va dopo pochi giorni con carico su arto dopo 3 mesi. La
protesizzazione è l’intervento elettivo, spt se ci sono molti frammenti, o per lesioni
sottocapitate. Consiste nella rimozione chirurgica di testa e collo e loro sostituzione con protesi
di metallo o altro ancorata alla diafisi mediate uno stelo endomidollare. Per evitare alterazioni
al cotile, si usano oggi le protesi biarticolari. Dopo pochi giorni dall’intervento, si può
deambu-lare con bastoni canadesi.
• Laterali: anche qui si può effettuare intervento cruento, spt dopo riduzione transcondiloidea.
La sintesi si effettua mediante vite-placca: una vite è inserita dalla porzione sottotrocanterica
fino alla testa del femore; a questa vite è collegata una placca che, poggiando sulla corticale
esterna, ad essa è adesa mediante altre viti transossee. Non sussistendo il pericolo di necrosi, il
carico può essere molto precoce.
• Pseudoartosi nelle fratture mediali: rimozione di eventuali mezzi di sintesi e protesizzazione.
• Necrosi asettica: identico trattamento.
• Consolidazione in varismo: osteotomia correttiva.
Fratture della Diafisi Femorale
Necessari fortissimi traumi, come gravi incidenti del lavoro o del traffico e perciò l’età media è la
più colpita. Si localizza spesso al terzo medio e più di rado al altri livelli e frequente è la presenza
di diversi frammenti. Nei bambini la rottura è spesso incompleta e sottoperiostea, evitando
frammenti e migliorando la prognosi. La lesione determina sempre angolazioni varie:
• Seno aperto internamente: spt fratture prossimali con spostamento del frammento prossimale
all’esterno e in avanti (glutei e psoas) e del segmento distale all’inteno ed in alto (adduttori).
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•
Seno aperto esternamente: spt fratture distali con spostamento del frammento prossimale
all’interno (adduttori) e del frammento distale all’indietro (bicipite femorale e semitendinoso e
semimembranoso) e tende alla flessione (gemelli).
• Accavallamento dei frammenti, spostamenti laterali, rotazioni ecc…
La sintomatologia è dominata da:
• Deformità per procurvamento o escurvamento della coscia, accorciamento o rotazione dell’arto.
• Dolore spontaneo e provocato al minimo spostamento, intollerabile.
• Impotenza funzionale completa.
Esistono diversi tipi di complicanze. Quelle immediate sono: shock pressoché immediato; embolia
adiposa rara; interposizione di fasci muscolari e lembi di tessuto tra i frammenti che possono
limitare la riduzione ossea. Quelle tardive sono: rigidità del ginocchio da prolungata immobilizzazione in gesso, pseudoartrosi, viziosa consolidazione.
Il trattamento è variabile. Nei bambini la consolidazione è più rapida (45 gg) e il trattamento è
incruento: trazione transcheletrica, riduzione e immobilizzazione in pelvipodalico. Negli adulti il
trattamento, di norma, è cruento per la necessità di abbreviare i tempi di recupero. Si effettua
inchiodamento midollare o fissatori esterni, spt in lesioni con molti frammenti. L’intervento di
inchiodamento può essere effettuato a cielo aperto o a cielo chiuso. Spesso si usano, nelle fratture
plurifocali e pluriframmentate, i chiodi bloccati. Dopo pochi giorni si ottiene una sintesi solida che
permette i movimenti e la deambulazione con bastoni canadesi dopo 2-3 settimane.
Fratture del Ginocchio
Fratture sovracondiloidee di femore
Non sono frequenti. Colpiscono di solito i giovani. Interessano la metafisi distale di femore, subito
sopra il massiccio epifisario, distaccandolo, quando complete, totalmente; in questi casi, inoltre, vi è
sempre uno spostamento del frammento distale posteriormente (mm. gemelli) e l’apice della
frattura può determinare compressione, danno o lesione di arteria poplitea e nervo sciatico
popliteo interno. Si rende, in questi casi, necessario il controllo costante di polso pedideo e
controllo dei mm. flessori del piede. Il trattamento è incruento se non esiste spostamento. Se è
presente, si usa la classica placca a L avvitata. Consolidano in 40-50 giorni.
Fratture dei condili femorali
Sono monocondiloidee o bicondiloidee, con una rima di frattura a Y o a T. Raro è lo scoppio
epifisario. Accadono spesso per caduta o per stress in varismo o valgismo. Si trattano spesso
cruentamente, con osteosintesi con viti, seguita da immobilizzazione in femoro-podalico per 40
gg.
Fratture della rotula
Le fratture della rotula sono molto frequenti, specialmente negli adulti. Il trauma è spesso diretto,
come l’urto al cruscotto in auto, e si rende sempre necessario un controllo al cotile per eventuale
danno indiretto. Le fratture sono:
• Comminute.
• Trasversali: possono presentare anche lesione del tendine del quadricipite e dei legamenti
alari, con interruzione della continuità ed interposizione di lembi di tessuto fibroso tra i
frammenti; in questo caso il frammento distale è tirato verso l’alto e quello distale resta in
basso.
• Sagittali: rima di frattura verticale con legamenti alari indenni e la tensione del quadricipite non
determina spostamenti né diastasi.
• Parcellari: necessaria attenzione nella DD con rotula bipartita, condizione bilaterale di incompleta saldatura tra diversi nuclei di ossificazione.
• Infrazioni.
La sintomatologia è tipica nelle fratture trasversali complete:
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•
•
•
•
•
Solco trasversale, a occhio nudo e alla palpazione.
Tumefazione e emartro.
Dolore spontaneo e alla palpazione.
Motilità preternaturale – solo nelle condizioni gravi che ledono anche i legamenti.
Impotenza funzionale nell’estensione e conservazione della flessione (anche se limitata dal
dolore).
La diagnosi si basa sempre su indagine RX (anche del cotile). Bisogna porre DD con rottura del
tendine del quadricipite (il solco si apprezza solo in fase di contrazione muscolare e la patella si
apprezza tutta intera) e con la rottura del legamento rotuleo (dolore localizzato distalmente alla
patella che è più su rispetto alla controlaterale). Le complicazioni sono immediate (escoriazioni,
flittene, esposizioni, associazione di frattura del cotile) e tardive (pseudoartrosi, rigidità del
ginocchio per aderenze e prolungata immobilità, artrosi femoro-rotulea). Il trattamento prevede u
approccio incruento (nelle infrazioni o rotture longitudinali con ginocchiera o tutore per 20-30 gg)
e cruento (cerchiaggio metallico dopo toiletta, tutore per 30 gg e FKT).
Frattura del piatto tibiale
La frattura può colpire il condilo estrerno, quello interno o entrambi. Si può configurare una frattura
a V, T, Y, con apice in alto. Queste fratture possono avvenire per caduta, per traumi diretti, come un
paraurti di un’auto, e cmq tutte le forti sollecitazioni varizzanti o valgizzanti. Si parla di
infossamento quando si ha una frattura di un emipiatto o di un emicondilo con sprofondamento
nella spongiosa epifisaria del piatto stesso e livellamento della superficie articolare. Si parla,
invece, di frattura verticale, quando un si ha completo isolamento di un emipiatto. Spesso le due
alterazioni coesistono. La sintomatologia varia:
• Lesioni lievi: modesto infossamento, infrazione; si ha dolore al carico e alla pressione.
• Lesioni più gravi: infossamento notevole, diastasi interframmentaria, scomposizione; si ha:
• Tumefazione notevole con diastasi e slargamento epifisi prossimale della tibia e emartro.
• Ecchimosi alla gamba e poplite.
• Dolore vivissimo alla palpazione su uno o entrambi i condili.
• Impotenza funzionale al carico e alla particolarità.
• Deformità in varismo o valgismo.
Le complicazioni sono immediate (rottura di uno o più legamenti, eventuale compromissione dello
sciatico popliteo esterno a livello della testa del perone) e tardive (artrosi, per incongruenza delle
superfici articolari, ginocchio varo o valgo per insufficiente riduzione della frattura, lassità
articolare). Il trattamento prevede esami quali stratigrafia o TAC per meglio definire il danno.
• Assenza di livellamento: immobilizzazione in femoro-podalico per 40 giorni, no carico per
60g.
• Infossamenti e fratture scomposte: intervento cruento di ricostruzione del piatto tibiale. Nel
semplice infossamento, si ricostruisce il piatto tibiale risollevandolo, con la spongiosa
subcondrale, inserendo pezzi di osso tibiale metafisi prossimale; poi si sostiene con una vite. Le
viti possono essere usate anche nei distacchi epifisari e nelle fratture verticali. Segue sempre immobilizzazione in femoro-podalico per 30-35 gg.; carico dopo 3 mesii.
Fratture delle spine tibiali
Sono rare. Possono essere isolate, bilaterali, o di tutta la l’eminenza intercondiloidea. Si verificano
per trauma diretto: strappamento dei crociati per ipersollecitazioni in estensioni o valgismo. Si ha
dolore, emartro, impotenza. Il trattamento è di norma incruento: femoro-podalico per 40 gg. Se
lo spostamento è eccessivo con alterazione dei crociati, si passa alla via cruente seguita da
ginocchiera gessata per 30 giorni. Altro tipo di solidarizzazione è quella con fili a ponte sul piatto
tibiale, effettuata in artroscopia.
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Fratture di Gamba
Si intende la frattura di tibia e perone contemporaneamente nel loro tratto diafisario. Sono molto
frequenti, sia nel bambino che nell’adulto, sia per trauma diretto che indiretto: in questo caso si
hanno fratture spiroidi per la torsione delle ossa sul proprio asse longitudinale, prima di tibia e poi
di perone, la cui frattura è sempre più prossimale. Esistono diversi tipi di frattura:
• A legno verde o sottoperiostee, tipiche dell’infanzia.
• Trasversali complete (diretto), spesso al terzo medio della dialisi.
• Oblique (indiretto), anche queste al terzo medio.
• Spiroidi (indiretto); in genere la tibia si frattura al terzo medio o inferiore e perone più su.
• Bifocali.
• Con un terzo frammento.
• Pluriframmentarie (diretto).
Le fratture complete, a due frammenti, la scomposizione costituisce la regola; si associa sempre
angolazione (valgismo o recurvato), risalita frammento distale (contrattura dei muscoli della
loggia laterale e posteriore), rotazione frammento distale (gravità con rotazione esterna).
La sintomatologia è modesta nelle fratture a legno verde e sottoperiostee, caratterizzate da dolore
sul focolaio di frattura; è molto spiccata nelle fratture complete: dolore vivo, impotenza funzionale,
deformità per accavallamento dei frammenti e angolazione, eventuale ecchimosi e tumefazione.
Le complicazioni sono immediate (esposizione e mortificazione di ampie zone cutanee e flittene
cutanee per turbe circolatorie da edema); esistono complicanze precoci (irriducibilità della frattura
per interposizione lembi muscolari o piccoli frammenti ossei nella rima di frattura, instabilità della
riduzione nelle fratture spiroidi con formazione di asola periostale12); esistono complicanze tardive
(ritardo di consolidazione, anche in rapporto alle caratteristiche ossee e del circolo ematico ed alla
scarsa superficie di contatto tra i frammenti, viziose consolidazioni).
Il trattamento varia.
• Incruento: nei bambini, nelle lesioni incomplete e non scomposte dell’adulto. Se esiste
scomposizione si provvederà alla riduzione mediante trazione transcalcaneare su telaio di
Braun per alcuni giorni, dopodichè si tenderà a correggere, con eventuali manovre ed in
anestesia generale, le ulteriori scomposizioni presenti. A riduzione ottenuta, si effettua
immobilizzazione gessata con femoro-podalico con ginocchio flesso per almeno 30gg e poi a
ginocchio esteso in carico per altri 40-50 giorni; infine gambaletto per altri 30-40 gg. Si può
ricorrere, spesso, all’uso di gesso funzionale per evitare prolungate immobilizzazioni.
• Cruento: spt nelle fratture complete di gamba dell’adulto. Ciò mira ad evitare alterazioni dei
trofismo dei tessuti e prolungate immobilizzazioni e rigidità articolari. Nelle fratture spiroidi si
usano viti transossee; nelle fratture trasversali e oblique si preferisce l’inchiodamento
endomidollare a cielo chiuso se possibile; nelle fratture bifocali, pluriframmentarie e del
terzo prossimale/distale si preferisce l’uso del chiodo bloccato; in quelle pluriframmentarie
gravi si usa, infine, il fissatore esterno. Tutte queste tecniche evitano immobilizzazione gessata
per troppo tempo e permettono il carico diretto dopo appena 20-30 gg.
FRATTURE DEL COLLO DEL PIEDE E DEL PIEDE
Fratture dei Malleoli
I meccanismi secondo cui avvengono le fratture dei malleoli sono le eccessive sollecitazioni in
varismo-adduzione-supinazione (frattura malleolo laterale), valgismo-abduzione-pronazione
(malleolo mediale) e iperflessione plantare (margine psoteriose distale di tibia).
12
L’apice aguzzo e tagliente di un frammento può perforare il periostio restandone incarcerato. Il periostio, dotato di
eccellente elasticità, permette la riduzione mediante trazione energica; quando si allenta la presa, però, il periostio,
proprio grazie alla sua elasticità, scompone nuovamente il frammento richiamandolo nell’asola.
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•
Monomalleolare: eccessiva sollecitazione in var-ad-s e val-ab-p o i-p; il malleolo si può
fratturare all’apice o alla base d’impianto. In questa seconda evenienza può inclinazione verso
l’interno o verso l’esterno, in dipendenza dalla pressione esercitata dall’astragalo o dai
legamenti. È frequente, in queste fratture, la lesione dei legamenti della sindesmosi interossea
con conseguente diastasi intermalleolare (diastasi della pinza tibio-peroneale). La frattura del
solo margine posteriore distale di tibia è detta frattura di Destot.
• Bimalleolare: se le sollecitazioni meccaniche in var-ad-s continua, oltre la rottura del malleolo
laterale, si può avere frattura del malleolo mediale per urto dell’astragalo. Viceversa, se le
sollecitazioni meccaniche in val-ab-p continuano, l’astragalo urta contro il malleolo laterale,
fratturandolo; si possono associare a sublussazione laterale del piede.
• Trimalleolare di Cotton: comprende anche la lesione del margine posteriore della tibia.
Possono associarsi o meno a lussazioni laterali o posteriori del piede.
• Di Dupuytren: frattura malleolo mediale e frattura sopra malleolare di perone (5-7 cm
dall’apice distale); persistenza di sollecitazione in val-ab-p.
• Di Maisonneuve: frattura malleolo laterale e frattura spiroide alta del perone per sollecitazione
in val-ab-p associata a forte componente rotatoria.
In tutti i casi si può verificare una sublussazione o lussazione dell’astragalo e, quindi, di tutto
il piede, all’interno, all’esterno o posteriormente.
La sintomatologia prevede dolore e tumefazione locale nelle infrazioni e nelle modeste fratture di
malleolo. Negli altri tipi si ha anche ecchimosi, dolore spontaneo e non solo al carico o
palpazione, impotenza funzionale. NB Ricercare sempre diastasi della pinza tibio-calcaneare con
RX comparativa delle caviglie. Eventuali colpi d’ascia nelle fratture con lussazione o sublussazione
per spostamento e disassiamento.
Le complicazioni sono immediate (esposizione e turbe vascolari nelle forme con lussazione),
precoci (flittene, flebiti e flebotrombosi), tardive (osteoporosi post-traumatica – sindrome di
Sudek – osteoporosi del malleolo tibiale da disassiamento, i9nstabilità articolare, viziosa
consolidazione con artrosi post-traumatica e limitazione funzionale).
Il trattamento varia.
• Incruento: fratture monomalleolari senza spostamento – gambaletto gessato per 30 giorni;
fratture monomalleolari con diastasi della pinza – femoro-podalico a ginocchio flesso per 20 gg
e poi gambaletto per altri 20gg.
• Cruento: fratture bi- e tri- malleolari scomposte o lussazioni dell’astragalo; irriducibilità della
frattura; persistente diastasi della pinza - osteosintesi con chiodino o vite malleolare, spt
riassorbibile. Dopo sempre immobilizzazione per 45 gg e poi FKT.
FRATTURE DELL’ASTRAGALO
Sono fratture rare ma meritano un cenno importante per le gravi conseguenze. Per traumi indiretti,
spt per iperflessione del piede, che tende a spingere il margine anteriore dell’epifisi distale della
tibia contro il sottostante astragalo fino a fratturarlo.
• I grado: senza spostamento dei frammenti.
• II grado: separazione e sublussazione del corpo dell’astragalo.
• III grado: fuoriuscita completa dell’astragalo dalla pinza bimalleolare.
N.B. Queste condizioni determinano sempre alterazione nutritizia alla testa ed al corpo
dell’astragalo. Le sedi di lesioni possono variare:
• Schiacciamento del corpo.
• Frattura della testa.
• Frattura di Shepherd: frattura dell’apofisi posteriore. !!! In DD con l’os trigonum: sesamoide
di facile riscontro in sede retroastragalica. Una RX comparativa all’altra caviglia è dirimente.
La sintomatologia prevede: dolore alla pressione ed alla prono-supinazione; tumefazione ed
ecchimosi al collo ed al dorso del piede; deformità, spt se si associa lussazione posteriore.
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Le complicazioni sono immediate (turbe pascolo-nervose), tardive (necrosi asettica con gravi
conseguenze – si riscontra con l’addensamento dell’astragalo in contrasto con l’osteoporosi diffusa
del piede legata all’immobilizzazione – e l’artrosi della sottoastragalica – si manifesta con dolori
vivi durante il cammino per sollecitazioni in varismo-supinazione e valgismo-pronazione – o
l’artrosi tibio-tarsica).
Il trattamento è sempre cruento se c’è lussazione o sublussazione: riduzione e sintesi della frattura
mediante fili di Kirschner transcutanei o una o più viti. Immobilizzazione in gambaletto per 40 gg
nelle fratture composte e almeno 60 per le scomposte. Periodi minori solo nelle fratture parcellari o
dell’apofisi posteriore.
Fratture del Calcagno
Sono molto frequenti, spt per gli adulti e per trauma diretto (caduta dall’alto sui talloni).
Il calcagno è un osso spugnoso rivestito da una corticale molto sottile che si ispessisce in corrispondenza
della superficie articolare antero-laterale per le maggiori sollecitazioni dell’astragalo; qui raggiunge unop
spessore di 5mm, costituendo il cosiddetto talamo. I rapporti articolari tra calcagno e astragalo sono definiti
tra loro dall’angolo tuberositario di Böhler: è l’angolo risultante dall’incrocio di due rette; la prima passa
per il punto più elevato del talamo e il punto più prominente della grande apofisi e l’altra passa per il
punto più elevato del talamo e il punto più prominente della grande tuberosità. VN = 25°-40°.
•
Fratture extratalamiche: isolate delle apofisi.
• Tuberosità posteriore: se localizzata distalmente all’inserzione del tendine d’Achille, può
aprirsi a “becco d’oca”.
• Piccola apofisi: strappamento da parte delle strutture legamentose.
• Grande apofisi: molto rara.
• Isolate del corpo: pre- e retro-talamiche; qui bisogna sempre cercare eventuale infossamento
che possono modificare i rapporti astragalo-calcaneari. Le fratture possono avere rima trasversale, obliqua, sagittale, irradiatesi posteriormente o anteriormente.
• Pluriframmentarie.
La sintomatologia prevede: dolore spontaneo, al carico, alla pressione bidigitale, alla percussione,
ecchimosi a sede plantare, deformità per slargamento del retropiede e appiattimento della volta
longitudinale, impotenza funzionale.
All’RX bisogna sempre ricercar l’angolo tuberositario di Böhler, secondo il quale si distinguono:
• Infossamento I grado: ridotto a 10-15°
• Infossamento II grado: annullato.
• Infossamento III grado: invertito.
Le complicanze immediate citiamo solo l’esposizione, oltretutto rara; tra quelle tardive citiamo
l’osteoporosi, l’artrosi della sottoastragalica, il piattismo del piede (causa di facile stancabilità alla
stazione eretta ed alla deambulazione).
Il trattamento varia:
• Incruento: frattura solo delle apofisi e nelle fratture del corpo in cui l’ancolo tubero-articolare
di Böhler è conservato; gambaletto gessato per circa 2 mesi con caratteristiche di carico.
• Cruento: tutte le lesioni con infossamento per cui è necessario ripristinare l’angolo tuberoarticolare; si effettua riduzione con viti, fili, mini placche e poi si usa il gambaletto; infine
calzatura ortopedica con plantare per ripristinare la volta longitudinale. NB IL trattamento è
sempre cruento nelle fratture a becco d’oca della tuberosità posteriore.
Altre fratture del piede
• Scafoide, cuboide e cuneiformi: sintomatologia blanda e ecchimosi nelle lesioni parcellari;
dolore vivo ed anche tumefazione nelle gravi. Nelle lesioni con lussazione di scafoide si ha
deformità (cavismo e sporgenza dell’osso sul dorso del piede); gambaletto per 1 mese.
• Metatarsi: alla diafisi, al collo (sottocapitate), all’epifisi prossimale (di base); spesso d atrauma
diretto, raramente da stress o da durata. Frequente quella della base del V metatarso, nelle
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•
distorsioni dell’avamnpiede, per strappamento del peroneo breve che vi si inserisce. Necessario
stop di 30 gg.; in quelle da durata lo stop è di 3 mesi.
Falangi: diretti, spt alluce; tutela con bendaggi adesivi per 15-20 gg.
DISTACCHI EPIFISARI
Sono lesioni frequenti, appannaggio dell’infanzia e dell’adolescenza. In queste età le cartilagini di
coniugazione sono punti di minore resistenza, creando una discontinuità ossea tra diafisi ed
epifisi. Il distacco consiste nella separazione traumatica di un nucleo d’accrescimento fisiario
dalla rispettiva sede d’impianto.
• Distacchi puri: soluzione di continuo coincide con la cartilagine di coniugazione.
• Distacchi misti: soluzione di continuo che interessa anche l’estremità distale del tessuto osseo
sul quale si impianta la cartilagine di coniugazione.
Secondo la classificazione di Salter e Harris esistono 5 tipi di distacchi epifisari
• I: puro. Periostio non compromesso. Durante l’infanzia. Le complicanze sono rare.
• II: è il più frequente. Il periostio mantiene la sua continuità in corrispondenza della frattura, ma
è interrotto a livello dell’epifisi. Accade spesso dopo i 10 anni. L’epifisi porta con se un
frammento metafisario. La ripresa è ottima.
• III: si ha distacco epifisario dal resto dell’epifisi salda e dalla cartilagine dell’accrescimento.
Spesso dopo i 10 anni. La zona di accrescimento è quasi fusa. Il periostio sembra integro.
• IV: la soluzione di continuo distacca parte della metafisi, interessa la cartilagine di
accrescimento, distacca un nucleo di accrescimento epifisario. Il periostio si rompe all’altezza
della frattura metafisaria. Può avvenire a tutte le età. La crescita può essere alterata.
• V: avviene per carichi severi sull’asse longitudinale delle ossa. I nuclei di accrescimento sono
compressi e perdono le potenzialità di crescita. Possono derivarne crescite con deviazioni angol.
I distacchi possono verificarsi, inoltre, con dislocazione del nucleo epifisario (spostamento). Nei
distacchi epifisari senza spostamento, è opportuno sempre fare RX comparativa.
La sintomatologia prevede: dolore in sede metafisaria, tumefazione, impotenza funzionale,
eventuale deformità per spostamento.
Le complicazioni sono immediate (esposizione, infezione, turbe pascolo-nervose ecc… come per
le fratture). Le tardive sono rappresentate dalle deformità per alterazione di osteogenesi.
Per la prognosi, i distacchi guariscono sempre molto bene senza esiti, spt i tipi I, II e III. Nel IV e
nel V si ha alterazione dell’accrescimento più o meno grave con deformità a distanza di tempo.
Il trattamento è d’urgenza e la riduzione in narcosi va effettuata con rapidità. La contenzione è
gessata per evitare recidive da scivolamento, spt per la detumefazione dell’arto in gesso.
• Epifisi distale di Radio: è il più frequente. Come Colles o Colles invertita. È generalmente di
tipo misto, accompagnata da frammento di cilindro diafisario. Frequentemente sussiste
spostamento dorsale e radiale, con quadro clinico simile alla Colles. Si riduce come Colles. Si
possono usare fili di Kirschner e poi immobilizzazione in brachio-metacarpale per 30gg.
• Capitello radiale: non molto frequente; se esiste scomposizione si impone riduzione e
fissazione temporanea con filo di Kirschner e brachio-metacarpale per 20 gg.
• Condilo omerale esterno: frequente, spt a 4-5 anni, per caduta su gomito. È generalmente
misto. Il nucleo, per i muscoli inseriti, si sposta distalmente e lateralmente ruotanto di 180°.
Trattamento sempre cruento con filo di Kirschner e brachio-metacarpale per 30gg.
• Epitroclea: 10-11 anni. È di solito puro e sotto l’azione dei mm. epitrocleari si disloca
distalmente. Trattamento come sopra.
• Epifisi prossimale di omero: frequente e spesso riferibile a trauma ostetrico, nel quale la
sintomatologia può far sospettare esistenza di paralisi del plesso brachiale. Nei bambini non è
molto frequente ed è misto. Se non c’è spostamento, si applica Desault per 20-30 gg. Se cìè
spostamento, riduzione transolecranica e contezione toraco-metacarpale.
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•
•
•
Distale di tibia: più frequente dell’arto inferiore. Di solito 12-16 anni. È misto e si associa
anche a frattura del nucleo epifisario ed anche a frattura sovramalleolare del perone. Gli
spostamenti non sono notevoli. La sintomatologia è come quella di fratture del piede. Eventuale
riduzione in narcosi e femoro-podalico per 30 giorni; poi gambaletto per 30 gg senza carico.
Epifisi prossimale di tibia: rara. Femoro-podalico per 45 gg, previa riduzione di scomp.
Epifisi distale del femore: misto e raro. Trattamento come su.
LUSSAZIONI
Lussazione: perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un’articolazione. Sono molto meno
frequenti delle fratture. Colpiscono principalmente gli adulti ed in ordine: spalla, gomito, dita, anca
e ginocchio. Si distinguono in:
• Complete: perdita totale dei rapporti articolari.
• Sublussazioni: perdita parziale dei rapporti articolari.
• Recenti: entro 24-36 ore.
• Inveterate: verificate in periodo precedente.
• Recidivanti: riprodotte in un periodo di tempo più o meno lungo per traumi anche modesti.
• Abituali: se si riproducono con facilità, anche senza traumi.
• Volontarie: se possono essere provocate dal paziente stesso.
Le recenti sono dovute a traumi indiretti di intensità tale da superare la resistenza delle robuste
strutture capsulo-legamentose.
La sintomatologia preved: 1) deformità della regione; 2) caratteristica resistenza elastica
apprezzabile nei tentativi di mobilizzazione; 3) impotenza funzionale.
Le complicazioni sono immediate e tardive. Le immediate sono: 1) frattura-lussazione, 2) irriducibilità della lussazione; 3) turbe vascolari e nervose; 4) rara esposizione. Le tardive sono: 1)
trasformazione in lussazione abituale (anche poi volontaria) per l’eccessivo danno capsulolegamentoso o per inadeguato trattamento; 2) necrosi asettica del capo articolare; 3) ossificazione
articolare con possibile rigidità; 4) lassità articolare.
Il trattamento prevede sempre la riduzione, quasi sempre per via incruenta; ciò va fatto entro le
prime 24 ore. Poi immobilizzazione per 15-20 gg. La terapia cruenta è per le lussazioni irriducibili.
Lussazione di Spalla – Lussazione Scapolo-Omerale
Completa perdita dei normali rapporti articolari tra testa dell’omero e cavità glenoide. È la più
frequente. Può avvenire in qualsiasi direzione, per l’alta mobilità della spalla.
Esistono due gruppi principali:
• Anteriori:
• Sotto-coracoidea.
• Sotto-glenoidea.
• Intracoracoidea.
• Sotto-clavicolare.
• Sopracoracoidea.
• Posteriore:
• Sotto-acromiale.
• Sotto-spinosa.
La più frequente è la sotto-coracoidea e ci limitiamo a questa. Il meccanismo patogenetico è quasi
sempre la caduta sulla mano o sul gomito, con arto a difesa e successivamente sollecitato in
elevazione e reiezione; più raramente il trauma è per caduta sul moncone della spalla.
La sintomatologia è tipica:
• Appiattimento del profilo della spalla, con accentuazione profilo acromiale (se. della spallina).
• Abduzione obbligata del braccio per 20-40°.
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•
•
Dolore e accentuazione ai tentativi di adduzione del braccio.
Reperto palpatorio di assenza della testa omerale nella sua sede normale (cavo ascellare o
regione sottoacromiale).
• Reperto palpatorio di tumefazione sottoclavicolare.
Le complicazioni sono diverse, immediate e tardive.
IMMEDIATE
• Frattura-lussazione di spalla: frattura a diversi livelli come il collo anatomico, il collo
chirurgico (tipico degli anziani) o del trachite. Aggravamento quindi sempre fare RX.
• Lesione del nervo circonflesso: è abbastanza frequente, dovuta a stiramento o strappamento
delle sue fibre. Il nervo ha fibre motorie (mm. deltoide) e fibre sensitive (cute della regione
deltoidea); per sicurezza e ragioni medico-legali, bisogna ricercare sempre la lesione, saggiando
la sensibilità cutanea, data l’impossibilità di abduzione dell’arto.
TARDIVE
• Lussazione inveterata: il mancato trattamento adeguato non permettono più la riduzione per
via incruenta. Si verifica una retrazione della breccia capsulare con suo ampliamento; da qui
la testa dell’omero può fuoriuscire e lussarsi. La glena è vuota e si colma di tessuto fibroso, i
muscoli periarticolari si atrofizzano, la testa omerale si deforma e decalcifica.
• Lussazione recidivante e abituale: è una delle più frequenti, dovuta a insufficiente immobilizzazione di una lussazione recente. Può formarsi, infatti, un locus minori resistentiae, in corrispondenza del quale si può verificare recidiva della lussazione. Più spesso è presente una ben
definita lesione anatomo-patologica, non diagnosticabile all’RX. Si verifica, infatti, il distacco
dal bordo glenoideo di capsula e parte antero-inferiore del cercine (ciglio) fibrocartilagineo.
Ciò amplia la cavità glenoide e non ripara. Sollecitazioni anche irrilevanti possono determinare
recidiva. A lungo andare l’instabilità peggiora e la lussazione diventa abituale e volontaria.
La prognosi è buona se il trattamento è appropriato. Nei pz < 20 anni, la recidiva avviene spesso.
Negli adulti > 40 anni meno frequentemente.
Il trattamento è sempre d’urgenza.
• Nelle recenti si attua la riduzione in narcosi con due manovre:
• Manovra di Kocher: 1) rotazione esterna e abduzione dell’arto a gomito flesso; 2)
adduzione dell’arto, sempre ruotato esternamente, verso il torace e trazione verso il basso; 3)
rotazione interna e intrarotazione e adduzione dell’arto al tronco.
• Manovra di Ippocrate e Galeno: a pz supino, trazione dell’arto esteso e lievemente
abdotto. L’operatore incunea il proprio calcagno nudo nel cavo ascellare e effettua
controrotazione dell’arto. Manovre di intra- ed extrarotazione possono favorire tale
procedimento.
Durante queste manovre si appalesa sempre una sensazione di scatto ovattato. Si effettua sempre
RX e poi Desault per circa 20 gg.
• Lussazioni-frattura del collo chirurgico non si effettuano tali manovre, ma si procede con
trattamento chirurgico e osteosintesi mediante chiodi, viti, fili di Kirschner.
• Lussazioni-frattura di collo anatomico, per pericolo di necrosi asettica, si effettua
asportazione della testa dell’omeriìo e protesizzazione.
• Lussazioni inveterate si effettua, in caso di insuccesso della riduzione, chirurgia.
• Lussazioni recidivanti e abituali si effettua chirurgia con ricostruzione capsulare e del
cercine glenoideo, sia a cielo aperto che in artroscopia.
Lussazione Acromio-Clavicolare
Può essere incompleta o completa. Si verifica se si supera la resistenza del legamenti acromioclavicolari e spt dei più robusti legamenti coraco-clavicolari (trapezoide e conoide). È frequente
negli sportivi e dovuta a caduta sul moncone della spalla. nelle sublussazioni la sintomatologia è
modesta: dolore provocato sulla rima articolare acromio-clavicolare. Nelle lussazioni si ha vivo
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dolore e segno del tasto di pianoforte: la pressione esercitata dal dito dell’esaminatore riduce la
lussazione, ma questa recidiva appena la pressione cessa. Necessaria RX comparativa.
Complicazioni immediate sono rare. Quelle tardive possono essere: 1) artrosi acromio-clavicolare;
2) calcificazioni coraco-clavicolari asintomatica. Il trattamento prevede immobilizzazione di spalla
per 15-20 gg nelle sublussazioni e riduzione e fissaggio dell’articolazione cruenta (fili, placche) e
poi immobilizzazione per 25-30 giorni.
Lussazione del Gomito
Dopo la spalla è la più frequente. Colpisce i bambini e l’età adulta. Si verifica per sollecitazioni in
iperestensione (caduta su mano atteggiata a difesa con gomito in estensione). Abitualmente le due
ossa dell’avambraccio lussano posteriormente e ciò si appalesa all’EO mediante il riscontro di
deformità e inversione dell’angolo di Hüter (triangolo immaginario normalmente con base sulla
linea intercondiloidea dell’omero e vertice sull’apice dell’olecrano – in semiflessione).13
Le complicazioni immediate sono l’associazione con frattura di coronide ulnare e/o capitello
radiale e rara è l’esposizione. Le tardive sono rappresentate dalla rigidità, da ossificazioni periarticolari, artrosi post-traumatica.
Lussazione dell’Anca
È rara e tipica dell’adulto. Si verifica per violenta sollecitazione lungo l’asse del femore, a coscia
flessa e in adduzione (urto al cruscotto con gambe accavallate). La testa femorale, fuoriesce dalla
cavità cotiloide e si disloca. La lussazione tipica è posteriore in fossa iliaca esterna (lussazione
iliaca); con altri meccanismi patogenetici, può lussare anche verso la spina ischiatica (lus.
ischiatica), ma anche in sede anteriore, con lussazione otturatoria o pubica.
È sempre un evento grave. La sintomatologia prevede:
• Shock.
• Dolore violentissimo.
• Atteggiamento irriducibile della coscia in flessione, adduzione e rotazione interna (varietà
iliaca e ischiatica) o in flessione, abduzione e rotazione esterna (varietà pubica o otturatoria).
• Resistenza elastica ai movimenti passivi.
• Impotenza funzionale.
Le complicazioni sono immediate e tardive. Le immediate:
• Irriducibilità: interposizione del cercine acetabolare tra testa femorale e cavità cotiloide.
• Frattura del cotile.
• Lesione del nervo sciatico, generalmente reversibile, per contusione o stiramento da parte della
testa femorale, quasi sempre sono colpite le fibre dello sciatico popliteo esterno (incapacità a
flettere dorsalmente e pronare il piede, anestesia sulla faccia laterale della gamba e del dorso p.).
Le complicanze tardive sono rappresentate dall’artrosi post-traumatica e dalla necrosi asettica della
testa del femore. Il trattamento prevede sempre la riduzione incruenta da attuarsi entro poche ore
con manovre atte a far ripercorrere a ritroso il tragitto seguito durante il trauma. Poi segue
immobilizzazione per 30 giorni a letto, poi 30 gg di pelvi-condiloideo con staffane di carico, poi 2-3
mesi di deambulazione assistita.
LUSSAZIONI DELLE VERTEBRE
Le vertebre possono dislocarsi senza frattura. Sono rare e di appannaggio esclusivo del tratto
cervicale inferiore C3-C7; nel tratto dorsale e lombare le vertebre hanno una conformazione delle
apofisi articolari particolare, quindi la dislocazione metamerica si associa sempre a frattura. La
dislocazione può essere di vario grado, da 1-2 mm a tutta l’ampiezza del corpo vertebrale con
restringimento del canale midollare.
• Sublussazione.
13
DD con fratture sovracondiloidee dell’omero in cui il triangolo è normale.
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• Lussazione cavalcante: apofisi articolari a contatto solo degli apici.
• Lussazione incastrata o incarcerata: le apofisi articolari si accavallano completamente.
La sintomatologia si compendia nel dolore, rigidità, contrattura, atteggiamento in flessione,
sporgenza della vertebra sottostante.
Le complicazioni sono legate a deficit neurologici e sofferenza midollare e radicolare. La
sofferenza radicolare prevede deficit degli arti superiori, mentre la sofferenza midollare prevede
vere e proprie tetraplegie. Il trattamento consiste nella riduzione mediante fionda di Glisson o con
staffa transparietale alla Crutschfield.
Altre Lussazioni
• Metacarpo-falangee: frequenti, ma di facile riduzione e blocco per 15gg.
• Sterno-clavicolare: rara, per caduta sul moncone della spalla. Si appalesa salienza dell’estremità
sternale della clavicola che spesso esita in deformità.
• Capitello radiale: di norma si associa a fratture della diafisi ulnare: lesione di Monteggia. Spesso
c’è sublussazione, tipica nei bambini, per brusche trazioni dell’avambraccio (caduta e genitore
che tira il braccia). Si può avere una dislocazione incompleta del capitello radiale e il bambino
ha atteggiamento di pronazione obbligata (pronazione dolorosa).
• Polso: molto rare, spt dell’epifisi distale dell’ulna, quella tra radio e carpo (varietà anteriore e
posteriore – simili a Colles e Goyrand), retrolunare del carpo (tutto il capro si lussa dorsalmente,
ad eccezione del semilunare che resta in contatto il radio mediante il legamento triangolare).
• Ginocchio: rara. Dislocazione dell’epifisi prossimale della tibia anteriormente ai condili
femorali (lussazione anteriore) oppure posteriormente o lateralmente (lussazione posteriore o
laterale). Quella anteriore può dare distensione dello sciatico popliteo esterno. Possono
verificarsi anche lussazioni di rotula.
• Collo del piede e piede: rare. Sono lussazioni tibio-tarsica, sottoastragalica (rispetto a scafoide o
calcagno). Rarissime quelle medio-tarische e tarso-metatarsali, generalmente associate a frattura
di scafoide e metatarsi. Frequente la lussazione metatarso-falangea del I dito.
DISTORSIONI
Distorsione: insieme di lesioni capsulo-legamentose prodotte da una sollecitazione che tende a
modificare i reciproci rapporti dei capi articolari.
Sono lesioni frequenti nell’età adulta e colpiscono, in ordine di frequenza: ginocchio, collo del
piede, gomito, dita, rachide. Il trauma è sempre indiretto ed imprime all’articolazione una
sollecitazione esagerata nei normali piani del movimento articolare o, spesso, secondo piani diversi.
• Lievi: semplice distensione dei legamenti o della capsula; lacerazioni parcellari di fasci fibrosi.
• Gravi: rotture di uno o più legamenti, disinserzione con eventuale strappamento della corticale
ossea, lacerazioni capsulari ecc…
La sintomatologia prevede:
• Dolore nei punti di inserzione o sul decorso dei legamenti interessati, alla pressione o alle
sollecitazioni e manovre semeiologiche.
• Tumefazione: per emartro e/o infiltrazione nei tessuti molli.
• Segni di lassità articolare: eventuali; in dipendenza dalla lacerazione completa di uno o più
legamenti.
Le complicazioni:
• Calcificazioni para-articolari: al gomito è l’osteoma del brachiale anteriore; al ginocchio è
la calcificazione del capo prossimale del L.C.I..
• Rigidità / lassità articolare.
La prognosi è buona nelle distorsioni lievi; in quelle gravi, spt se non ben trattate, possono residuare
lassità articolari predisponenti a futuri cedimenti, traumi distorsivi recidivanti, modifiche artrosiche.
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Anche nelle forme gravi il trattamento consiste nell’immobilizzazione con tutela rigida (gessata,
vetroresina, tutore), previo intervento di ricostruzione eventuale. Nelle forme lievi si può effettuare
bendaggio elastico. L’immobilizzazione va tenuta sempre per almeno 15-20 gg, per riassorbire
edema e riparazione strutture legamentose.
Distorsioni del Ginocchio
Anatomia del ginocchio
È un ginglimo angolare (troclea), costituita da femore, tibia e rotula.
La superficie articolare del femore è offerta dai due condili, con
interposta la faccia rotulea (troclea femorale); la superficie articolare
della tibia è data dalle cavità glenoidee scavate sui due condili.
Anteriormente si trova la rotula, osso sesamoide, compreso nel
legamento rotuleo. Due fibrocartilagini, menisco mediale (una vera
semiluna) e laterale (quasi una O completa)14, di forma semilunare, più
spesse alla periferia, si interpongono tra le superfici articolari delle due
ossa lunghe.
I due menischi aderiscono perifericamente alla capsula articolare, in
corrispondenza delle spine anteriori e posteriori della eminenza
intercondiloidea, mediante il legamento trasverso anteriore e il
legamento posteriore del menisco laterale (legamento di Wrisberg –
particolarmente sviluppato in rapporto con l’estremità interna del
menisco laterale). I menischi hanno una zona interna, definita triangolo
d’appoggio, avascolare e poco deformabile, destinata a sopportare le
forze di pressione esercitate dai condili femorali; all’esterno, invece,
presentano una struttura ben vascolarizzata e innervata, fibroelastica e
ben deformabile, chiamata paramenisco (muro meniscale), che si continua con la corrispondente
porzione della capsula articolare. La loro funzione è quella di distribuire il carico su ampie
superfici, spostandosi durante i movimenti di flesso-estensione (vedi oltre). Tra menisco esterno e
capsula articolare, all’unione tra 1/3 medio e 1/3 posteriore, si forma uno jatus di minore resistenza
che giustifica la maggiore mobilità del menisco stesso e lo rende meno vulnerabile agli stress.
La capsula fibrosa unisce tra di loro le ossa. Si inserisce in dietro al femore, 1
cm sopra la cartilagine articolare e sui lati circa 5-6 mm sopra; anteriormente
aderisce al contorno della patella; in basso la capsula si attacca ai condili tibiali,
4-5 mm sotto la cartilagine articolare.15
L’articolazione del ginocchio possiede diversi legamenti che formano due
compartimenti divisi. Il comparimento centrale è composto dal pivot centrale
(pilone) è costituito dai due legamenti crociati, che restano fuori dalla
sinoviale: quello anteriore si tende dalla fossa intercondiloidea anteriore alla
faccia mediale del condilo laterale del femore; quello posteriore punta sul
condilo mediale con tragitto inverso.
Anteriormente il legamento rotuleo, cordone fibrosi ed
appiattito, si estende dall’apice della rotula alla tuberosità
anteriore della tibia. Sul margine superiore della rotula si
inserisce il tendine del quadricipite. Dai margini laterali
della rotula si spiccano orizzontalmente due lamette fibrose,
14
Mnemonicamente OECI.
La capsula articolare è molto sottile e lassa e permette che si determini un vasto cul di sacco della sinoviale che si
solleva tra femore e la faccia posteriore del quadricipite. In questo spazio è presente la borsa sopra-patellare, una
struttura sinoviale tesa da fibre muscolari provenienti dai fasci profondi del vasto intermedio: muscolo tensore della
sinoviale del ginocchio.
15
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i legamenti alari (retinacoli) della rotula che si fissano agli
epicondili femorali. Posteriormente giungono alla capsula
fasci di rinforzo: il legamento popliteo obliquo e arcuato.
Il primo proviene dal tendine del muscolo semimembranoso
e si porta verso il condilo laterale del femore; il secondo è
formato da fasci che convergono dalla tibia e dalla fibula
verso la fossa intercondiloidea.
Particolarmente robusti si presentano i legamenti collaterali; hanno forma di cordone cilindrico.
Quello laterale, 5 cm circa, dall’epicondilo laterale del femore si porta alla parte antero-laterale
della testa della fibula; quello mediale, nastriforme, lungo circa 9 cm, dall’epicondilo mediale si
estende alla parte superiore del margine mediale della tibia, assumendo con la capsula maggiore
aderenza. I legamenti collaterali, formano, insieme ad altri legamenti, altri compartimenti.
Il compartimento mediale è costituito dal LCI, dal
legamento posteriore obliquo (porzione posteromediale della capsula articolare) e dal tendine del
m. semimembranoso. Il LCI è formato da un
fascio superficiale, la cui parte posteriore
costituisce il legamento obliquo, ed un fascio
profondo costituito da due componenti, lig.
menisco-femorale e lig. menisco-tibiale. In questo
compartimento si crea anche il PAPI (punto
d’angolo postero interno), formato dal corno
posteriore del menisco interno, dal tendine del
semimebranoso, dal lig. posteriore obliquo.
Il compartimento esterno è costituito dal LCE,
dal tendine del m. popliteo e dal tendine del
m. bicipite femorale. In questo compartimento
si crea il PAPE (punto d’angolo postero
esterno), formato dal corno posteriore del
menisco esterno , dal LCE e dal tendine m.
popliteo. Su PAPI e PAPE agiscono delle forze
ben definite che permettono lo slittamento
all’indietro durante la flessione dell’arto:
la tensione del m. semimembranoso sul PAPI e del m. popliteo sul PAPI; ciò permette lo
scivolamento e una piccola deformazione in flessione dei menischi. Lo scivolamento anteriore dei
menischi durante l’estensione dell’arto, è legata all’azione dei legamenti menisco-rotulei per
azione del m. quadricipite.
LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE
ACUTE
Patogenesi e Anatomia patologica
I traumi di diverso tipo impegnano diversamente le strutture capsulo-legamentose:
• Valgismo-flessione-rotazione esterna: LCI, PAPI, LCA.
• Varismo-flessione-rotazione interna: LCE e LCA.
• Valgismo-estensione: LCA e LCP.
• Varismo-estensione: PAPE, LCP e LCA.
• Retropulsione tibia: trauma sagittale in corrispondenza dell’epifisi prossimale della tibia con
ginocchio in flessione; lesione LCP.
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• Iperestensione forzata: lesione LCA.
Le lesioni possono essere centrali (LCROC associati o meno a alterazioni periferiche), periferiche
(capsula, LCOLL), raramente totali. Possibili in tutti i casi le lesioni meniscali (vedi dopo).
Esistono diversi gradi di danno:
• I grado: semplice distensione o distrazione di fasci.
• II grado: lacerazione legamentosa parziale.
• III grado: lacerazione totale o avulsione legamentosa dalla inserzione ossea.
Sintomatologia
Si basa preliminarmente sul dato anamnestico di trauma al ginocchio, con improvviso dolore e
sensazione di crack, come se qualcosa fosse andato fuori posto; segue instabilità al carico.
Possiamo rilevare:
• Atteggiamento in lieve flessione con impossibilità alla estensione.
• Impotenza funzionale più o meno accentuata.
• Tumefazione del ginocchio e eventuale ballottamento rotuleo per idrartro/emartro.
• Dolore spontaneo diffuso e intenso. N.B. In alcuni casi di lesione grave il dolore può essere
diminuito o assente per interruzione di vie sentitive afferenti, o per diffusione dell’emartro in
sede extrarticolare (riduzione tensione della capsula).
• Dolore a pressione sui compartimenti mediale e/o laterale.
• Instabilità articolare, di facile riscontro a poche ore dal trauma; dopo giorni la contrattura
muscolare antalgica rende difficile il riscontro di questo elemento.
Esistono un “cuofano” di prove semeiologiche da poter effettuare per evidenziare l’instabilità
articolare che possono, inoltre, suggerire la lesione più probabile.
• Test di abduzione: stress in valgismo (mano a piatto a lato esterno del ginocchio e l’altra alla
faccia interna del piede); da effettuare in estensione ed in flessione (30°). + in flessione = LCA;
+ in estensione = LCA e LCP.
• Test di adduzione: stress in varismo con manovra opposta alla precedente, in estensione e
flessione. + in flessione = PAPE; + in estensione = PAPE + LCP.
• Test del cassetto anteriore: a ginocchio flesso a 90° a pz supino, sollecitazione in senso
posteriore-anteriore sull’estremità prossimale della tibia; in posizione neutra, in rotazione
interna e rotazione esterna; + in neutra = LCA; + in esterna = compartimento mediale e LCA; +
in interna = LCA e LCP.
• Test del cassetto posteriore: sollecitazione in senso antero-posteriore sull’estremità prossimale
della tibia, con pz supino e ginocchio flesso a 90°; + = lesione LCP.
• Jerk test: mano al calcagno e mano alla faccia esterna del ginocchio con arto in estesione; si
effettuano movimenti di flesso estensione, dopodiché si effettua una rotazione interna di
almento 20°; è + se si avverte una sensazione tattile e visiva di scatto alla faccia esterna del
ginocchio; indica lesione LCA.
• Lachman test: a ginocchio in lieve flessione, una mano tiene la coscia ferma, un’altra tiene
l’estermità prossimale della tibia, sollecitandola verso l’alto e verso il basso; + se si sublussa la
tibia = lesione LCA.
• Test di gravità: pz supino con anche flesse a 90°, gambe flesse a 90° e calcagni appoggiati su
piano rigido; + se si sublussa verso il basso la tibia = lesione LCP.
RX e diagnosi
Effettuare sempre RX in due proiezioni degli arti per escludere fratture concomitanti o distacchi
ossei parcellari a livello delle inserzioni legamentose.
La diagnosi è essenzialmente clinica, ma potrebbe essere necessario effettuare esame clinico in
narcosi. Utile complemento è la TC e la RMN.
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Complicazioni
IMMEDIATE
Associazione eventuale di frattura di emipiatto tibiale o delle eminenze intercondiloidee o deficit
dello sciatico popliteo esterno (rara) nelle lesioni varizzanti.
TARDIVE
• Instabilità di ginocchio: cedimento improvviso e insicurezza sotto carico per lesione LCA.
• Calcificazione di Pellegrini-Stieda: calcificazione dell’estremo prossimale del LCM,
secondaria alla disinserzione dal condilo femorale mediale: dolori persistenti e instabilità.
Prognosi
È legata al trattamento ed alla natura delle lesioni (periferiche o dei legamenti crociati), ed al loro
grado (distensione, lacerazione parziale, rottura o disinserzione), ed alla loro associazione, ed alla
tempestività del trattamento. Lesioni del pivot centrale non riparano spontaneamente e si richiede
l’intervento di ricostruzione a cielo aperto o in artroscopia.
Trattamento
• Lesioni periferiche lievi: bendaggio elastico per 15-20 gg; eventuale artrocentesi e ginocchiera
gessata o tutore femoro-malleolare per 20-30gg e FKT per le più gravi.
• Lesioni centrali: spt per LCA è chirurgico mediante trapianto tendineo (semitendinoso,
gracile, rotuleo, quadricipite) o sutura termino-terminale, reinserzione ossea ecc… Dopo si
usa un femoro-malleolare per 30-45 gg con mobilità guidata graduale.
N.B. Alcuni AA. preferiscono evitare la riparazione del pivot centrale a dopo la riparazione delle
altre lesioni, ottenute per via incruenta.
CRONICHE
Patogenesi
Lesioni croniche o lassità croniche sono dovute, in genere, a lesioni del pivot centrale; sono legate
a mancato riconoscimento o trattamento, trattamento inadeguato, deterioramento secondario della
stabilità (sport, lavori pesanti), dopo chirurgia.
Le lassità sono divise in rotatorie e dirette. Nelle rotatorie il LCP è integro e funge da perno
centrale di rotazione: 1) antero-mediali (compartimento interno e LCA); 2) antero-laterali (LCA e
compartimento interno); 3) postero-laterali (PAPE e LCA); 4) combinate). Le dirette prevedono
lesione di LCP e quasi sempre anche LCA.
Sintomatologia
Si basa sul dato anamnestico, dolore e sensazione di crack, con tumefazione ecc…; si ha sempre un
intervallo libero, seguito da episodi di cedimento articolare, con dolore e idrartro.
• Ballottamento rotuleo eventuale.
• Ipotrofia quadricipite ex non usu.
• + ai test in base al danno.
• Limitazione escursione articolare.
È sempre necessario ripetere l’RX. La prognosi è buona se le lesioni sono trattate bene. Il
trattamento prevede la riparazione delle lesioni centrali e meniscali se associate, ed è simile a
quello già esposto per le lesioni acute.
LESIONI TRAUMATICHE DEI MENISCHI
Si possono verificare sia isolatamente che in associazione con le lesioni capsulo-legamentose, a
seconda delle diverse intensità e modalità di trauma. Sono molto frequenti e rappresentano i 2/3 di
tutte le lesioni del ginocchio. Il menisco più colpito è quello interno. Più esposti gli adulti
maschi per le attività svolte.
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Patogenesi
Sono tutti traumi indiretti che provocano asincronismo tra i movimenti di flesso-estensione del
ginocchio e rotazione di tibia rispetto al femore a piede fisso.
• Da semiflessione a estensione con valgismo ed extrarotazione: il menisco interno è sollecitato a portarsi anteriormente mentre è fissato posteriormente dal condilo mediale del femore.
• Da semiflessione a estensione con varismo ed intrarotazione: il meccanismo esterno è sollecitato a portarsi anteriormente mentre è fissato posteriormente dal condilo laterale del femore.
• Da iperflessione (posizione accosciata) a estensione con intrarotazione: è frequente nelle
attività lavorative che costringono all’accosciamento per lungo tempo.
NB Citazione a parte merita il calcio a vuoto: brusco passaggio dalla posizione di flessione a
massima estensione o iperestensione.
Anatomia patologica
MENISCO INTERNO – Frequentemente è interessato il corno posteriore al triangolo d’appoggio.
• Fissurazione longitudinale.
• Fissurazione semilunare a manico di secchio: frammento isolato.
• Dislocazione del frammento nella gola intercondiloidea con blocco articolare spesso irriducib.
• Interruzione del manico di secchio in due porzioni libere nella cavità articolare.
• Disinserzione del paramenisco dalla capsula articolare.
MENISCO ESTERNO – Prevalentemente il terzo medio.
• Rotture trasversali dal margine libero sino al paramenisco.
• Rotture del corno posteriore.
NB A lungo andare, la cartilagine di rivestimento dei condili femorali, nei punti corrispondenti alla
rottura meniscale, può presentare alterazioni da disturbi meccanici come condrite e
condromalacia, presupposti per lesioni artrosiche.
Sintomatologia
Si basa sui dati anamnestici e sintomi specifici di danno meniscale, diversi in fase acuta o cronica
SINDROME MENISCALE ACUTA
Anamnesi
• Episodio distorsivo.
• Dolore e sensazione di “qualcosa che si è spostato nell’articolazione e poi è tornato a posto”.
• Blocco transitorio in flessione.
EO
• Blocco in flessione eventuale (generalmente dovuto a rottura a manico di secchio).
• Tumefazione del ginocchio per coesistente rottura capsulo-legamentosa.
• Dolore vivo alla pressione sulle rime articolari interna o esterna.
SINDROME MENISCALE CRONICA
Anamnesi
• Storia di blocchi in flessione e sensazioni di scatto.
• Anamnesi di episodi distorsivi, spt durante sport.
• Sensazione di instabilità.
• Idrarti recidivanti e dolori articolari saltuari.
EO
• Test di iperflessione +: dolore in sede meniscale, con eventuale scatto, percepito alle rime
articolari nel passaggio da iperflessione a flessione del ginocchio.
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McMurray test +: dolore vivo, associato a scatto, all’interlinea interna o esterna,
rispettivamente nella sollecitazione in extrarotazione o intrarotazione della gamba a ginocchio
in massima flessione.
Grinding test +: pz prono con ginocchio flesso a 90°. Dolore alla rima articolare interna o
esterna rispettivamente intrarotando o extrarotando la gamba, con pressione su pianta del piede.
Dolore alla pressione sulle rime articolari.
Ballottamento rotuleo eventuale.
Ipotrofia ex non usu del quadricipite.
Diagnosi Differenziali
Condizioni che possono determinare blocchi articolari.
• Topo articolare: da osteocondrosi dissecante del ginocchio o frattura osteocondrale.
• Sublussazione o lussazione della rotula.
• Residuo sclerotico di frammento di LCA se rotto precedentemente e non corretto.
• Prodromi di artrosi.
• Condropatia delle superfici articolari del femore.
In questi casi fare sempre RX, TC ad alta risoluzione, RMN (gold-standard).
Prognosi
Lasciare in sede un menisco determina fenomeni reattivi della sinoviale (idrarti recidivanti), blocchi
articolari, accentua ipotrofia del quadricipite, favorisce astrosi. La meniscectomia totale determina
artrosi del ginocchio precoce.
Trattamento
• Meniscectomia selettiva per via artroscopica: parziale o subtotale (tra paramenisco e triangolo).
• Meniscectomia totale: rotture di menisco associate a degenerazione cistica.
• Meniscopessi: dei tratti del paramenisco, capace di riparazione.
Le meniscectomie in artrosi permettono carico dopo pochissimo tempo. Le meniscopessi
necessitano di un periodo di immobilizzazione del ginocchio e ripresa graduale del carico.
Distorsione del Collo del Piede
Sono frequenti. Interessano l’articolazione tibio-peroneo-astragalica.
L’anatomia dell’apparato legamentoso del piede prevede, come per il ginocchio, diversi compartimenti. Il compartimento esterno è formato dai legamenti:
• Collaterale esterno: fasci peroneo-astragalico anteriore e posteriore, peroneo-calcaneare.
• Tibio peroneale: fasci anteriore e posteriore.
Il compartimento interno è formato dal solo legamento interno deltoideo con i fasci calcaneare,
astragalico, scafoideo.
Il meccanismo traumatico consiste nel 90% dei casi in eccessive sollecitazioni del piede in
varismo-supinazione e valgismo-pronazione con la rottura, rispettivamente, del compartimento
esterno ed interno. Può associarsi, in entrambi i casi, la rottura della pinza tibio-peroneale
(legamenti tibio-peroneali anteriori e posteriori) con diastasi.
La sintomatologia prevede:
• Tumefazione precoce.
• Ecchimosi tardiva.
• Dolore locale spontaneo e alla palpazione.
• Impotenza funzionale.
All’EO:
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Test dell’inversione +: abnorme mobilità alla supinazione per lesioni esterne e abnorme
mobilità alla pronazione per lesioni interne.
• Segno del cassetto: traslazione anteriore del piede nella manovra combinata di sollecitazione
posteriore della gamba e anteriore del piede.
La diagnosi prevede sempre EO e RX comparativa per la diastasi intermalleolare.
Il trattamento varia. Per lesioni lievi (senza lassità legamentosa): bendaggio elastico adesivo per
15 giorni. Nelle distorsioni gravi senza lassità legamentosa: gambaletto per 25 giorni. Nelle lesioni
gravi con lassità: intervento cruento di sutura termino-terminare e poi gambaletto per 15 giorni e
poi tutore rigido per 15 con carico.
Disorsioni del Rachide Cervicale
Interessano il rachide inferiore C3-C7. La patogenesi è sempre imputabile a sollecitazioni di iperestensione del collo per brusca accelerazione del corpo (tamponamento) o, meno frequentemente,
per iperflessione del collo per brusca decelerazione del corpo (impatto frontale). Di norma, ad una
iperestensione segue sempre la iperflessione e viceversa (contraccolpo). Il meccanismo lesivo può
complicarsi per torsione o compressioni varie. Le lesioni possono essere più o meno gravi a carico
di legamenti, capsule delle articolazioni interapofisarie, dischi; può associarsi contusione radici
nervose per momentanea sublussazione vertebrale e restringimento del forame intervertebrale. La
sintomatologia prevede: dolore, rigidità cervicale, contrattura muscolare (torcicollo), rachialgia ad
irradiazione distrettuale (fi. 81 e 82 Morlacchi)
Questa è la sindrome da contraccolpo – whiplash injury.
La diagnosi e anamnestica e sintomatologia. RX solo lesioni ossee e EMG solo dopo 2 settimane. Il
trattamento prevede l’uso di un collare rigido e terapia medica (antalgica, decontratturante e
antinevritica) e minerva per 15-20gg; chirurgia per lesioni ossee.
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