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Appunti completi integrati col libro
CLINICA ORTOPEDICA Argomenti • Artrosi • Cifosi e Lordosi • Deformità congenite • Distacchi epifisari • Distorsioni • Fratture Arto Inferiore • Fratture Arto Superiore • Fratture Bacino • Fratture Vertebrali • Lussazioni • Scoliosi Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ pag. 24. pag. 12. pag. 2. pag. 48. pag. 52. pag. 41. pag. 28. pag. 39. pag. 35. pag. 49. pag. 16. Pagina 1 di 59 DEFORMITÀ CONGENITE DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA Questa patologia era denominata, in passato, anche Lussazione congenita dell’anca. È caratterizzata, alla nascita, da insufficiente sviluppo (displasia) delle due componenti articolari dell’anca e da concomitante lassità capsulo-legamentosa. Tali anomalie congenite rappresentano il substrato predisponente comune per quadri clinici diversi a seconda dell’età nella quale l’affezione è diagnosticata e trattata. Solo questa condizione è veramente presente alla nascita e, quindi, congenita 1. È un’affezione frequente spesso diagnosticata tardivamente e solo la diagnosi neonatale permette nella quasi totalità dei casi una guarigione completa. Si può associare ad altre deformità. Cenni di anatomia normale Nel bambino normale alla nascita la cavità cotiloide è rappresentata da una calotta sferica cartilaginea (cartilagine acetabolare) risultante di tre porzioni: iliaca, ischiatica e pubica, incompletamente ossificate e non ancora saldate tra loro. La porzione iliaca comprende la parte superiore o tetto dell’acetabolo ed appare separata da quella ischiatica e pubica da cartilagine di accrescimento che prende il nome di cartilagine a Y o ipsilonica (fig. 43). Il bordo della cavità cotiloidea è rivestito da un orletto fibro-cartilagineo denominato limbus che darà origine al ciglio cotiloideo nell’adulto (fig. 47). Il normale sviluppo dell’articolazione prevede le sollecitazioni meccaniche che la testa del femore esercita concentricamente ed uniformemente sulle pareti dell’acetabolo stesso ed avviene per tre meccanismi: 1) accrescimento interstiziale delle cartilagini acetabolare e ispilonica; 2) ossificazione endocondrale delle cartilagini; 3) ossificazione periostale sulla superficie esterna dell’ala iliaca che determina approfondimento dell’acetabolo. Misurazioni e valori di riferimento • Angolo di inclinazione: l’angolo esistente tra asse del collo del femore e asse della diafisi; nel neonato è un po’ più ampio dell’adulto: 130°-135° rispetto a 125°; si parla, quindi, di valgismo fisiologico dell’anca neonatale. • Angolo di declinazione: l’angolo che l’asse del collo del femore forma con un piano passante per i due condili femorali; nel neonato è un po’ più ampio dell’adulto: 35° rispetto a 15°-20°; si parla, quindi, di antiversione del collo del femore neonatale. N.B. Se questi ultimi due valori tendono a restare ampi, si parla si coxa valga anteflessa. • Angolo C di Hilgenreiner: in RX antero-posteriore; il tetto dell’acetabolo presenta una inclinazione di 25°-30° rispetto all’orizzontale, ricoprendo sufficientemente la testa dell’acetabolo, rappresentato da un abbozzo cartilagineo radiotrasparente; la sua ossificazione inizia al 3°-4° mese dopo la nascita e appare centrata nella cavità cotiloide (fig. 44). • Diagramma di Ombredanne: in RX antero-posteriore; è risultante dall’incrocio tra la linea orizzontale condotta per le due cartilagini ipsiloniche e le due perpendicolari abbassate bilateralmente dal punto più esterno del tetto cotiloideo; il nucleo dell’epifisi prossimale femorale appare, nel neonato sano, nel quadrante infero-interno (fig. 57). • Ogive di Shenton: in RX antero-posteriore; sono linee curve continue che in un soggetto normale seguono, bilateralmente, il profilo del margine inferiore della branca ileo-pubica e del collo femorale. 1 Non sono da considerarsi condizioni congenite predisponenti: l’eventuale lussazione della testa del femore (si parla di anca lussabile alla nascita – vedi oltre), così come l’eventuale perdita di rapporti articolari per malformazione embrionaria. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 2 di 59 • Criteri di Bertold: distanza h tra la linea bisipsilonica e la parte ossificata più alta del femore (> 5mm) o la distanza d tra il punto più alto del femore ed il bordo inferiore dell’ileo (< 18 mm – fig. 23 QA). • Metodo ecografico di Graf: questa tecnica prevede la valutazione ecografica dell’anca anche nel neonato in cui l’ossificazione non è ancora iniziata. • Il fronte di ossificazione della testa del femore (placca epifiso-metafisaria) è costituita da cellule a palizzata responsabili di iperecogenicità, visibile a mezzaluna; la parte formata dalla cartilagine è anecogena. • L’emibacino è formato dall’ala iliaca, ipercogena, che si prolunga in basso e medialmente a formare il cotile con il pube e l’ischio; ecograficamente: 1) dall’esterno all’interno: si ha un’eco non molto densa corrispondente al tessuto fibroadiposo dalla metafisi iliaca inferiore fino al fondo della cavità cotiloidea (coda di ravanello), ed una zona anecogena della cartilagine ipsilonica; 2) dall’alto al basso: il tetto cartilagineo ha forma di triangolo anecogeno, delimitato in alto dalla parte ossea iperecogena del tetto e, lateralmente, dall’alto al basso, dal tessuto fibroso ecogeno del periostio prima, e del pericondrio dopo, che si continua con la capsula. Medialmente alla capsula il tetto cartilagineo termina con un piccolo triangolo iperecogeno, il labrum, formato da fibre collagene, che in condizioni normali avvolge la testa femorale e diviene visibile dal 1°-2° mese in poi. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 3 di 59 I punti di repere da evidenziare sono, in ordine: ala iliaca, labrum, coda di ravanello, fronte di ossificazione. Questi punti di repere permettono di tracciare delle linee ed angoli: • Linea di base: unisce il ciglio cotiloideo al punto di inserzione della capsula (punto di trasformazione del pericondrio in periostio). • Linea del tetto cotiloideo: unisce il ciglio osseo al bordo inferiore dell’osso iliaco (fondo del cotile); questa linea intersecata con quella di base forma l’angolo α (angolo del tetto osseo), che stabilisce il limite tra anca normale (>60°) e patologica. • Linea del tetto cartilagineo: unisce il ciglio osseo cotiloideo al labrum acetabolare; questa linea intersecata con quella di base forma l’angolo β (angolo del tetto cartilagineo), che stabilisce il confine tra anca centrata (>77°) e decentrata. Epidemiologia La frequenza della DCA varia nei diversi Paesi e nelle diverse razze, presente fino al 2,5 per mille, risultando quasi sconosciuta nella razza nera. La percentuale generale va dallo 0,6 al 2% considerando le lussazioni e fino al 6% considerando i vari stadi di malattia. In Italia la frequenza varia dallo 0,1 allo 0,6%, considerando la lussazione, ma aumenta considerando le anche lussabili e displasiche. Il rapporto maschi/femmine è di 1:5; il lato destro è colpito nel 20% dei casi, il sinistro nel 33% dei casi, la bilateralità arriva al 47%. Il fattore familiare è del 3 - 12%. Etiopatogenesi • Fattori genetici: differente razza e presenza di familiarità. Le displasie su base genetica del cotile e del femore sono da considerarsi solo fattori predisponenti, ma da soli non determinano la lussazione. • Fattori meccanici: sono preponderanti, spt nelle primipare; sono chiamati in causa la presentazione podalica, spt quelle con iperflessione ed extrarotazione delle anche, così come la macrosomia, l’ologodramnios ecc., quindi, in definitiva, tutte le condizioni di sproporzione tra utero e feto. Alcuni lavori recenti (Dunn, Seringe ecc…) hanno dimostrato che la lussazione può avvenire: • Durante la vita fetale: quando si instaura conflitto meccanico. • Non può avvenire durante il parto perché i traumi ostetrici comportano distacco epifisario prossimale del femore anziché una lussazione. • Dopo la nascita: se l’anca è instabile, cioè lussabile. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 4 di 59 L’anca stabile, cioè non lussabile, nonostante la presenza di displasia cotiloidea e/o femorale, non può produrre la migrazione della testa del femore fuori dal cotile e, quindi, la patologia. Classificazione A scopo didattico si usava definire la DCA in diversi stadi subentranti: • Prelussazione o displasia propriamente detta. • Sublussazione. • Lussazione. • Lussazione inveterata. Ad oggi, invece, si è capito che il carattere subentrante non è presente e che la lesione principale di partenza è l’anca lussata o sublussata in utero. Da qui: • Anca displasica. • Anca lussabile: che può evolvere in sublussabile e stabile (in entrambi i casi è riscontrabile la displasia), o può evolvere in anca normale. • Anca lussata riducibile: può evolvere in anca sublussata o in lussazione inveterata. • Anca lussata irriducibile: con certa evoluzione in lussazione inveterata. Anatomia Patologica Le lesioni variano per il feto, neonato, lattante e bambino. FETO, NEONATO E LATTANTE Si riconoscono, essenzialmente: • Anche lussate e sublussate. • Anche displastiche. Nelle anche lussate e sublussate: • Capsula: lassa nella sua parte postero-inferiore (chambre de luxation). • Legamento rotondo: allungato, nastriforme, talvolta atrofico o assente. • Limbus cotiloideo: talvolta assente o più spesso deformato in eversione o inversione; il cotile perde la rotondità diventando ovale; presenza di una salienza smussa nella porzione postero-superiore del bordo dell’acetabolo definita neo-limbus (Ortolani). • Testa del femore: un po’ appiattica per l’appoggio anomalo e per la pressione del legamento rotondo. • Collo femorale: angoli di inclinazione e declinazione aumentati = coxa valga anteversa. Secondo Dunn si parla di DCA: • I grado: sublussazione con limbus everso. • II grado: lussazione intermedia con limbus in parte everso, in parte invertito. • III grado: lussazione con limbus invertito. Nelle anche displasiche: Le anomalie morfologiche riguardano esclusivamente il cotile, che risulta: • Primitiva: non mostra beneficio con trattamento e non mostra evoluzione verso lussazione. • Secondaria: ad una lussazione spontaneamente ridotta all’atto del parto (specie dopo presentazione podalica), o dopo un trattamento. BAMBINO ALL’ETÀ E DOPO LA DEAMBULAZIONE • Displasia cotiloidea: cotile insufficiente per mancanza di copertura antero-superiore della testa del femore associata a coxa valga anteversa. • Sublussazione: anomalia a carico del polo antero.superiore dell’acetabolo, là dove poggia la testa femorale più o meno anteversa. Allontanamento della testa del femore dal fondo del cotile e la sua risalita verso il bordo dell’acetabolo. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 5 di 59 • Lussazione: è inveterata; la testa è risalita, generalmente, in sede superiore al cotile, ed è quasi sempre irriducibile. Vi è la presenza di un neocotile e se la testa del femore vi poggia, si parla di lussazione appoggiata, se invece è libera nei muscoli glutei si definisce non appoggiata. È riscontrabile deformazione della testa del femore, ulteriore distensione ed ipertrofia della capsula e del legamento rotondo, notevole accorciamento dei mm. pelvi-femorali (adduttori ed ileo-psoas – qui il tendine distale del muscolo passa a ponte sulla capsula articolare, strozzandola nella porzione centrale, con la classica deformazione a clessidra). È presente la cosiddetta doccia di migrazione, che è un solco osseo scavato dal progressivo spostamento verso l’alto della testa femorale che si estende dal cotile ormai abbandonato fino alla zona dell’ala iliaca ove è collocata la testa. Esame clinico L’esame clinico prevede raccolta anamnestica su evoluzione della gravidanza, della primiparietà, della gemellarità, della presentazione, della modalità del parto, nonché della presenza di antecedenti familiari. Disporre il bambino supino su tavolo duro in modo che il bacino non ruoti, completamente nudo, ben rilassato (provocando il riflesso di suzione). Osservare la posizione spontanea delle coscie: se sono in abduzione sono probabilmente normali; l’atteggiamento asimmetrico delle coscie è dubbio per l’anca con limitazione in abduzione. • Studio di ab-adduzione: abduzione a neonato supino con ginocchia flesse a 90° è di 70-85°; se inferiore a 50° si parla di limitazione per retrazione degli adduttori ⇒ effettuare la prova del tono degli adduttori (stretching rapido fino a 70°, ritorno alla normalità e poi stretching dolce fino a 70°: se c’è limitazione l’anca è a rischio). Adduzione a paziente prono, con ginocchio flesso a 90°; prima si abduce l’anca e poi la si adduce. Se l’arto non raggiunge la linea mediana del corpo si ha retrazione degli abduttori ⇒ si ha rischio all’altro arto perché risulta in adduzione per obliquità del bacino e retrazione degli adduttori. – In questa posizione si studia anche la lassità della capsula legamentosa con la prova di Trelat o della squadra ⇒ si effettua extrarotatazione dell’anca che, se affetta da patologia, può determinare contatto tra margine laterale del piede e piano del letto. • Scroscio articolare: si può apprezzare, a volte, anche uditivamente; lo scrosci è rilevabile nei movimenti di adduzione per lo più nelle stesse posizioni; ha carattere di benignità, ma è da controllare sempre. • Segno di Savariaud: consiste nell’accorciamento dell’arto affetto, nel passaggio dalla posizione supina a quella seduta, mantenendo le ginocchia estese. • Manovre di studio dell’instabilità: • M. di Le Damany – rivela un’anca lussabile: pz supino con arti addotti ed anche flesse a 90°, si pone palmo della mano sul ginocchio fless, police su faccia interna della coscia e medio su regione trocanterica; adducendo ulteriormente l’anca e spingendo i femori posteriormente, l’anca può lussare; lasciando la presa ritorna alla normalità. • M. di Ortolani – rivela un’anca lussata riducibile: posizione del pz e delle mani come la precedente. Si pratica movimento di abduzione e lieve extrarotazione delle cosce, tirando vero l’alto e spingendo sul grande trocantere verso l’avanti e medialmente; l’anca lusata si riduce con una netta sensazione di scatto. Se si lascia la presa, l’anca rilussa facilmente. • M. di Barlow – rivela un’anca instabile con Ortolani negativa. Pz supindo, una mano stabilizza la pelvi con pollice sul pube e le dita sul sacro, l’altra mano circonda l’arto da esaminare ad anca flessa a 90° e ginocchio completamente flesso, ponendo il medio sul grande trocantere e il pollice sulla faccia interna della coscia; si porta la coscia in abduzione intermedia (circa 40°). Prima parte: spingi con pollice indietro e verso l’esterno alla radice della coscia ⇒ se la testa femorale scivola sopra il bordo posteriore dell’acetabolo, l’anca è Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 6 di 59 • • • • • lussabile. Seconda parte: pressione in avanti con medio ⇒ se l’anca scivola in avanti con testa del femore che scivola nell’acetabolo, l’anca è lussata ma riducibile. Alla fine dell’esame clinico si definiscono: Anca normale: tutti segni negativi. Anca riducibile: Ortolani e/o Barlow +; Anca irriducibile: rara – unico segno della limitazione netta dell’abduzione. Anca lussabile: Le Damany e/o Barlow + con fuoriuscita della testa. Anca dubbia: scroscio o limitazione con instabilità. Imaging • Ecografia secondo Graf: secondo la metodica di Graf, bisogna riscontrare i punti di repere, tracciare le linee di base, del tetto cotiloideo e del tetto cartilagineo, con la misurazione degli angoli α e β. Se l’angolo α > 60° e β > 77°, si ha anca normale e centrata. • anche displasiche (stadio 2A+,2A-,2B), con angolo alfa tra 50° e 60°; • anche critiche e "decentering hips" (stadio 2C, D), con angolo alfa tra 43° e 49°; • anche decentrate (stadio 3A, 3B), con angolo alfa minore di 43°. Molto rare sono le anche di stadio 4 ("femore calvo"), in cui non è possibile effettuare una misurazione, poiché i punti di repere non sono più rilevabili per la marcata lussazione e deformazione del margine cotiloideo e del labbro acetabolare. Anche con angoli β > 77° sono decentrate. • RX: varia in base all’età ed agli stadi. • Primi mesi di vita: per l’incompleta ossificazione si fa ricorso all’ECO. • 4-6 mesi: permette di evidenziare la displasia dell’anca mediante il riscontro della tipica triade di Putti: 1) angolo C di Hilgenreiner risulta aumentato finanche i 45°, continuandosi quasi sulla stessa linea del profilo dell’ala iliaca (fig. 57a): sfuggenza ed esagerata inclinazione del tetto acetabolare; 2) ipoplasia o mancanza del nucleo della testa del femore; 3) allontanamento del nucleo femorale riscontrabile nel quadrante infero esterno nel diagramma di Ombredanne. • Sublussazione: persistenza della sfuggenza del tetto e ulteriore allontanamento e risalita della testa del femore con interruzione dell’ogiva di Shenton. • Lussazione: sfuggenza del tetto acetabolare e spianamento del cotile; perdita completa dei rapporti articolari e testa del femore in sede iliaca; eventuale impronta scavata nell’ala iliaca (neo-cotile) e doccia di migrazione; deformazione della testa del femore; ipoplasia, antiversione e valgismo del collo femorale (coxa valga anteversa). Diagnosi Alla nascita va effettuato sempre l’esame clinico da ripetere più volte nel corso dei primi mesi di vita; in caso di sospetti, va effettuata l’ECO secondo Graf, ed eventualmente anche l’ecografia dinamica dell’anca. Verso il 4° mese va effettuata anche la RX. La diagnosi differenziale tra lussazione su base displastica e acquisita (trauma, osteoartritica, paralitica) si basa su indagine anamnestica e sul quadro radiografico, che mostra, in questi ultimi casi, una conformazione normale del cotile e dell’epifisi femorale nelle forme traumatiche e paralitiche; nelle forme infettive (artriti acute da piogeni, osteoartriti tubercolari ecc…) è evidente la presenza di ampie lesioni distruttive dei componenti articolari. Più la diagnosi è tardiva, più il trattamento risulta difficile, più i rischi iatrogeni aumentano e più diminuisce la possibilità di una restitutio ad integrum, perché diminuisce il potenziale evolutivo del cotile. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 7 di 59 Trattamento • Nelle anche displasiche (alterazioni displasiche cotiloidee e femorali), si tratta solo nel IV-V mese se residua, dopo controllo radiografico, con divaricatore. • Nelle anche lussate riducibili può essere utilizzato un cuscino divaricatore a permanenza che mantiene le anche ridotte, alla nascita o dopo 2 mesi. Se l’applicazione è difficoltosa si può applicare anche un’ortesi di Pavlik. • Nelle anche lussate irriducibili si può usare un’ortesi di Pavlik, anche se la percentuale di insuccessi è alta. In questi casi si può lasciare libero il soggetto e al 3° mese ridurre l’anca mediante una trazione progressiva, con i metodi Over Head o Sommerville-Petit; quando il controllo radiografico mostra la discesa della testa del femore nell’acetabolo si applica un apparecchio gessato pelvi-malleolare bilaterale che mantenga le anche in flessione a 110°, abduzione a 60°-70° e rotazione neutra. • Nelle anche lussabili o sublussabili non vi è bisogno della riduzione, ma solo di stabilizzazione, mantenendo le anche flesse in abduzione mediante un cuscino divaricatoe, di tipo Milgram o altro. • Terapia cruenta: nelle lussazioni inveterate dopo il 4°-5° anno di età; si concreta mediante una miotenotomia, apertura della capsula articolare, rimozione degli ostacoli fibrosi e riduzione della testa del femore in cavità acetabolare, il tutto integrato con la creazione di un sistema di contenimento della testa femorale, in modo da poter compensare il deficiente sviluppo del tetto acetabolare. Esiti Possono verificarsi rigità articolari, a seguito del’apertura della capsula; può residuare un lieve valgismo, che può essere anche solo apparente per l’eccessiva antiversione del collo del femore (possono correggersi da sé durante l’accrescimento – per questo non si effettua più l’osteotomia di centramento). Questa patolotogia predispone sempre alla coxartrosi. PIEDE TORTO CONGENITO È tra le anomalie scheletriche più comuni rilevabili alla nascita. È un’affezione solitamente bilaterale e si può presentare con differenti gradi di gravità. Può accompagnarsi frequentemente a displasia dell’anca, e ad altre alterazioni dello scheletro, per cui bisogna porre molta attenzione alla diagnosi radiografica di tutto l’apparato locomotore. In caso di bilateralità, si può avere la stessa lesione ad entrambi i piedi, o diverse. Epidemiologia L’incidenza di PTC resta più o meno stabile. Va da 1-2 per la razza caucasica ai 3-4 per la razza orientale su 1000 nati vivi. La percentuale aumenta in caso di aborto spontaneo, specialmente in patologie cromosomiche (trisomia 13, trisomia 5+, trisomia 18). Il sesso maschile prevale con un rapporto 2:1. In figli di consanguinei aumenta l’incidenza al 20-30%, così come in figli di portatori si ha un aumento al 25%. Definizione e classificazione Per PTC si intende una deformità del piede, presente alla nascita, caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo compongono, cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo-tendinee e delle fasce. Lasciata a se stessa, ad eccezione del piede talo-valgo (vedi dopo), esita in una modificazione strutturale dello scheletro del piede per cui la deformità diviene sempre più difficilmente corregibile. Esistono 4 varietà di piede torto congenito. In ordine di frequenza: • Piede equino-cavo-varo-addotto-supinato. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 8 di 59 • Piede talo-valgo. • Metatarso addotto. • Piede refless-valgo / astragalo verticale. Etiopatogenesi Il preciso determinismo della malattia è sconosciuto. L’eziopatogenesi è forse multifattoriale. • La teoria della mal posizione resta la principale e la più accreditata (⇑ incidenza in donne con retroversione uterina o utero bicorne). • Retrazione fibrosa delle strutture muscolo-tendinee e capsulari della gamba e del piede: l’ipotrofia dei muscoli della gamba nel PTC è pressoché costante, ed è difficilmente corregibile, anche dopo lunghi cicli di FKT. • Difetti del tubo neurale: nel 10% come la mielodisplasia; in questi casi la DD non risulta molto difficile perché la patologia si presenta in un quadro malformativo sindromico, spt in casi di mielocele o mielomeningocele; resta più difficile in caso di spina bifida occulta. • Alterazioni genetiche del tono muscolare: patologie come artrogriposi e S. di FreemanSheldon; va ricordato il fenomeno noto come Incremento della deformità da acinesia fetale (Fetal Aknesya Deformation Sequence): la riduzione dei movimenti fetali degli arti comporta squilibrio tra muscoli agonisti ed antagonisti con peggioramento della deformità distale.2 • Displasia Distrofica: alterazione genetica da aumentata tensione capsulo-tendinea. Cenni di anatomia radiologica normale Alla nascita alcune strutture del piede sono ossificate, altre no. In particolare alla nascita si apprezza il nucleo di ossificazione del calcagno e dello scafoide; nel mesopiede è presente solo il nucleo di ossificazione del cuboide; per quanto riguarda l’avampiede sono ossificati solo i metatarsi e le falangi. All’età di 6 mesi compare il nucleo di ossificazione del 3° cuneiforme e le epifisi distali di 1° e 5° falange prossimale. Ai 18 mesi compiono le epifisi delle falangi intermedie, mentre lo scafoide e gli altri cuneiformi sono presenti non prima dei 2-2,5 anni. In condizioni normali l’astragalo ed il calcagno sono moderatamente divergenti, ed in entrambe le proiezioni (antero-posteriore e letero-laterale), i loro assi formano angoli di circa 30-40°; questo angolo si definisce angolo di Kite e con l’accrescimento può ridursi ad un minimo di 25-35°. In condizioni normali l’astragalo e lo scafoide sono, nelle due proiezioni, allineati l’uno all’altro, e lo stesso vale per calcagno e cuboide. PIEDE EQUINO-CAVO-VARO-ADDOTTO-SUPINATO Questa forma è il PTC propriamente detto. È la varietà più frequente (70-75%), predilige il sesso maschile ed è frequentemente bilaterale. • Articolazione astragalo-calcaneare: il calcagno è varo e tende a ridurre l’angolo di Kite, sovrapponendosi all’astragalo. Sul piano laterale, il margine posteriore tende a risalire, per il tendine d’Achille ispessito e retratto. Nei casi gravi l’asse del calcagno può risultare anche parallelo a quello dell’astragalo.3 • Articolazione astragalo-scafoidea: lo scafoide lussa medialmente, fino a prendere contatto, nei casi gravi, con il malleolo interno. Con lo scafoide tutte le ossa si portano in adduzione. • Articolazione calcaneo-cuboidea: perdita dei rapporti articolari, fino a completa lussazione mediale del cuboide. Di conseguenza tutte le capsule ed i tendini si ispessiscono, con fibrosi e retrazione. 2 Durante lo studio ECOgrafico prenatale si raccomanda sempre una valutazione dinamica del feto sollecitandone i movimenti. 3 Paragone di Farabeuf: come una barca il calcagno vira adducendosi, beccheggia abbassando la sua estremità anteriore ed alzando quella posteriore, rulla supinandosi (inclinandosi sulla sua faccia esterna). Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 9 di 59 Per quanto attiene ai muscoli, bisogna ricordare che sul fulcro astragalo-calcaneare agiscono quattro gruppi muscolari: tricipite surale posteriormente, estensori del piede anteriormente, tibiale anteriore e tibiale posteriore medialmente, perionieri lateralmente. Il sinergismo normale si perde. Gradi • I grado: deformità modesta e non si riscontra notevole resistenza nel tentativo di riportare il piede in atteggiamento ortomorfico. • II grado: sul piano frontale il piede forma con la gamba un angolo di 90° e si apprezza resistenza nel tentativo di correggere l’atteggiamento vizioso. • III grado: sul piano frontale il piede forma con la gamba un anglo acuto, < 70-80°e la faccia dorsale guarda addirittura plantarmente. La prognosi è legata alla tempestività del trattamento. Tratamento Fin dalla nascita bisogna effettuare manipolazioni, correggendo tutte le componenti della deformità, spt per la sub-lussazione astragalo-scafoidea e calcaneo-cuboidea ⇒ trazione longitudinale. Ottenuto il rimodellamento, verso i 40-60 gg, si applica un femoro-podalico fino al ginocchio (flessione a 90° per rilassare il tricipite surale), da cambiare ogni 8-10 giorni. dopo 3-4 gessi, intorno, solitamente, ai 4-5 mesi di vita, si procede alla correzione chirurgica delle deformità residue, con allungamento del tendine d’Achille mediante plastica a Z e capsulotomia delle articolazioni tibio-tarsica e sotto-astragalica per ottenere una normale anatomia del retropiede. Dopo l’intervento si gessa per altri 30-40 giorni, dopo di che si comincia con un ciclo di FKT giornaliero. Di notte va usato un tutore ortopedico per 6-12 mesi, facendo, inoltre, imparare al bambino a dormire supino. PIEDE TALO-VALGO Il piede si presenta in atteggiamento opposto al precedente, cioè in massima flessione dorsale: in alcuni casi la superficie dorsale del piede è a contatto con la regione anteriore della tibia. La flessione plantare è possibile solo passivamente. Può essere bilaterale e non è infrequente l’associazione con DCA o piede equino-cavo-varo-addotto-supinato all’altro arto. L’angolo di Kite è più ampio del normale, ed in visione laterale l’angolo astragalo-clacaneare > 60°. A livello delle strutture molli si può verificare retrazione del tendine del muscolo tibiale anteriore, che può condizionare i tempi e modi di trattamento. Per il trattamento, ci si avvale di manipolazioni per indirizzare il piede in equino, correggendo conteporaneamente il valgismo. Generalmente tende a correggersi da sé. Tra una manipolazione e l’altra bisogna applicare presidi ortopedici per mantenere la correzione: tutore costituito da una vulva di plastica eseguita su calco gessato del piede in correzione; potendo persistere l’incremento dell’angolo astragalo-calcaneare, con conseguente piede piatto pronato, bisogna utilizzare plantari dinamici modellati. Interventi cruenti sono mirati all’allungamento dei tendini dorso-flessori del piede. METATARSO ADDOTTO Non si parla più di “metatarso varo” perché in questa condizione è solo l’avampiede addotto, mentre il retropiede è in linea con la gamba. Le alterazioni anatomo-patologiche riguardano solo i rapporti tra mesopiede e avampiede. In particolare lo scafoide si lussa medialmente e con esso il primo cuneiforme e il primo metatarso; può associarsi una componente di supinazione più o meno accentuata. È frequente la retrazione capsulo-tendinea mediale ed una retrazione del tendine del muscolo adduttore del 1° dito. Per quanto attiene al trattamento, anche qui bisogna effettuare manipolazioni nei primi giorni di vita, riportando l’avampiede in posizione normale, tenendo fermo il calcagno. Tra una manipolazione l’altra si possono usare tutori regolabili. Non servono, di norma, più di 40-60 gg di trattamento. In caso contrario, si utilizzano ortesi e/o si provvederà ad un trattamento cruento con la resezione del tendine del muscolo adduttore del primo dito. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 10 di 59 PIEDE REFLESSO-VALGO / ASTRAGALO VERTICALE Altrimenti detto “piede a dondolo”; è una rara forma caratterizzata da inversione della volta longitudinale. Risulta, nella maggioranza dei casi, sostenuto da disturbi neurologici centrali (Paralisi Cerebrali Infantili), periferiche (mielodisplasia), oppure è legato a patologie muscolari (miopatie) o nervose (neuropatie periferiche progressive). L’alterazione anatomo-patologica è caratterizzata dalla presenza dell’astragalo in posizione verticale, a continuare idealmente l’asse tibiale ⇒ il calcagno posteriormente e i metatarsi anteriormente tendono a dirigere verso l’alto, configurando “il dondolo”. Il trattamento prevede manipolazioni e chirurgia per riporre l’astragalo in posizione normale. TORCICOLLO Il torcicollo è una deformità caratterizzata da permanente deviazione laterale e rotatoria del capo. Se ne distinguono forme congenite ed acquisite. TORCICOLLO CONGENITO MIOGENO È la forma più frequente. Sembra prevalere nel lato destro e nel sesso femminile. È riferibile alla retrazione fibrosa del muscolo sterno-cleido-mastoideo di un lato, con accorciamento e minore elasticità del capo sternale e/o clavicolare del muscolo. Comporta, in definitiva, un atteggiamento coatto caratteristico in flessione verso il lato affetto e rotazione verso il lato opposto. La patogenesi prevede la teoria meccanica: posizione abnorme del feto nella cavità uterina con ischemia unilaterale dello sterno-cleido-mastoideo, con conseguente retrazione fibrosa.4 Si ha un maggiore interessamento del capo sternale. Alla nascita è obiettivabile un ematoma muscolare od una vera e propria infiltrazione emorragica interstiziale. L’aspetto muscolare è spesso fibroso, quasi cicatriziale. La sintomatologia prevede: • Atteggiamento obbligato del capo in flessione omolaterale e rotazione controlaterale. • Palpazione del fascio muscolare che si tende come una corda ruotando ulteriormente il capo controlateralmente alla lesione. • Emiatrofia dello scheletro cranio-facciale: scoliosi facciale e convergenza delle linee orizzontali del viso; l’orecchio al lato colpito è più piccolo, l’occhio è abbassato e la spalla è sollevata. • Eventuale scoliosi cervicale. Bisogna effettuare RX per escludere alterazioni ossee. Il trattamento è chirurgico e va attuato il più precocemente possibile: si basa sulla sezione del capo sternale e clavicolare e nella sezione dei foglietti di sdppiamento della fascia superficiale. Si applica, poi, un corsetto a minerva con diadema, per circa 2 mesi in atteggiamento di ipercorrezione. ALTRI TIPI • Torcicollo congenito osseo – S. di Klippel-Feil: è raro. L’atteggiamento vizioso del capo è legato ad anomalie congenite vertebrali: sinostosi atlanto-occipitale, emisponsilie, sinostosi ed aplasie vertebrali ⇒ sempre anomala brevità del collo. Il trattamento prevede solo tutori. • Torcicollo acquisito osteoarticolare: da processi infiammatori acuti o cronici del tratto cervicale (reumatismi, discopatie, tbc, ecc…) e da fattori traumatici distorsivi del rachide. • Torcicollo acquisito vario o sintomatico: da astigmatismo, diplopisa, disturbi labirintici, mastoidei, ascessi oro-faringei, miopatia, isterismo, altro. Trattare la causa. 4 Sono state abbandonate le teorie traumatiche, infiammatorie ed embrionarie. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 11 di 59 DISMORFISMI E DEFORMITÀ SAGITTALI DEL RACHIDE CIFOSI E LORDOSI I dismorfismi o deformità sagittali del rachide sono le sue patologiche deviazioni posteriori (CIFOSI) o anteriori (LORDOSI), in varia misura irriducibili, conseguenti ad alterazioni strutturali discolegamentose ed ossee vertebrali a varia eziologia. Poiché le deviazioni si iscrivono all'interno delle fisiologiche curvature del rachide, quest'ultime possono risultare esageratamente aumentate (ipercifosi toracica o dorso curvo, iperlordosi lombare), diminuite (dorso piat-to, dorso cavo, ipolordosi, cifosi lombare) o alterate nella loro normale distribuzione (cifosi del passaggio dorso lombare, cifosi cervi-co-dorsale). Considerando i valori in gradi Cobb alla valutazione radiologica in stazione eretta la fisiologica cifosi toracica in età evolutiva è compresa tra i 20-25° e i 40-45°. Al di sotto dei 20-25° Cobb si definisce "dorso piatto", mentre al di sopra dei 45°-50° Cobb si definisce come ipercifosi toracica. Per la regione lombare non sono stati definiti con altrettanta precisione i valori di riferimento: il range di normalità può comunque essere considerato variabile tra i 20-25° ed i 50°-65°. La fisiologica lordosi può raddrizzarsi fino ad arrivare anche ad invertirsi (cifosi lombare) oppure può accentuarsi. Dalle curve strutturate sono da distinguere, in età pre-pubere e adolescenziale, per la loro minore importanza clinica, le curve funzionali del tutto correggibili (dorso curvo o cifosi posturale, iperlordosi lombare posturale) che tuttavia potenzialmente possono andare incontro a strutturazione. Il disagio psicologico (immagine del proprio corpo, stima di sè) conseguente alla deformità toracica non va sottovalutato. CIFOSI Ipercifosi posturale Il dorso curvo posturale consiste in un aumento della cifosi dorsale generalmente accompagnato da un'accentuata lordosi lombare. Talvolta la cifosi può essere anche molto marcata, ma rimane comunque clinicamente discretamente mobile, facilmente e volontariamente correggibile. Secondo Hanberg gli atteggiamenti cifotici dell'età giovanile sarebbero da attribuirsi in prevalenza ad una ipostenia dei muscoli erettori del tronco cui consegue un'accentuazione della curva fisiologica. Alla componente muscolare si sovrappone difficoltà neuromotoria di controllo posturale.5 Alla radiografia i corpi vertebrali hanno contorni di normali dimensioni e non vi sono segni né di cuneizzazione né di irregolarità delle limitanti. Sono generalmente curve ben correggibili ma potenzialmente possono andare incontro a strutturazione con conseguente rigidità; è anche possibile che un grave dorso curvo posturale dell'età giovanile possa in età adolescenziale divenire un Morbo di Scheuermann (con il riscontro di cuneizzazione vertebrale), ed in questi casi il riscontro di alterazioni dei corpi vertebrali è molto precoce. OSTEOCONDROSI VERTEBRALE GIOVANILE (M. DI SCHEUERMANN / DORSO CURVO GIOVANILE) La cifosi toracica (dorso curvo) adolescenziale (giovanile) di Scheuermann è la forma più frequente di ipercifosi, avendo un'incidenza media stimata dall'1% all'8% della popolazione. È una osteocondrosi localizzata a livello dei piatti cartilaginei epifisari superiore ed inferiore, in più corpi vertebrali. Ciò determina minore accrescimento in altezza nella parte anteriore dei corpi vertebrali. L'eziologia è ancora incerta: la maggior parte degli autori chiama in causa primitive alterazioni istopatologiche delle cartilagini fertili con successiva inibizione dell'accrescimento somatovertebrale correlato a fattori meccanici secondari. 5 Spesso è presente un atteggiamento psicologico di introversione, chiusura. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 12 di 59 Clinicamente si presenta come una patologia indolore, caratterizzata da progressivo incurvamento del dorso (ipercifosi) e iperlordosi lombare di compenso. Spesso alla deformità si associa una rachialgia dorsale legata al movimento e alla postura (dorsalgia meccanica), che a volte è il sintomo che per primo porta il paziente dal medico. Nella forma classica, tre o più corpi vertebrali adiacenti presentano radiologicamente, di solito nel tratto toracico medio, una deformità a cuneo anteriore di 5 o più gradi; talvolta, tuttavia, sono cuneiformi solo una o due vertebre. Le tipiche alterazioni delle limitanti somatiche (addensamenti, ondulazioni, noduli di Schmorl, anomalie delle apofisi anulari) possono interessare anche le vertebre non cuneiformi o, al contrario, non essere neppure presenti nelle vertebre cuneiformi. La cifosi di Scheuermann è generalmente considerata lieve sotto i 50°, di media gravità tra 50-70°, severa oltre i 70-75°. Il trattamento, in tutti i casi, prevede l’applicazione di tutori ortopedici antigravitari (due prese, sternale e pubica, che contrastano la terza dorsale), alternata a cicli di ginnastica attiva ed esercizi di rettificazione della colonna. I criteri radiografici più importanti per la diagnosi di malattia di Scheuermann sono: • Una vertebra cuneizzata di 5 o più gradi. • Presenza di irregolarità dei piatti terminali. • Un aumento oltre la norma del valore angolare della cifosi tora-cica (maggiore di 40-45°). • Restringimento apparente dello spazio discale. Esiste anche il Morbo di Scheuermann lombare atipico o Scheuermann tipo II (stando alla classificazione di Blumenthal). Questa condizione, relativamente poco conosciuta, si riscontra a livello del passaggio toraco-lombare o del rachide lombare sotto forma di cifosi angolare, di solito assai poco appariscente per il coinvolgimento di solo una o due vertebre; è frequentemente causa di lombalgia, specie in presenza di sollecitazioni meccaniche eccessive. CIFOSI DORSO LOMBARE E' una cifosi lunga perché scende sotto D12, includendo nel tratto cifotico anche L1-2 (e talvolta anche altre vertebre lombari). Può essere di origine posturale: l'ipostenia della muscolatura e lo scarso controllo del tronco portano il paziente a "sedersi" sulla propria schiena, con inversione della parte superiore della fisiologica lordosi. Può essere dovuta, inoltre, ad una malattia di Scheuermann tipo II. Questa condizione predispone a rachialgie già nel giovane adolescente ed ancor di più nell'adulto per gli esiti di natura degenerativa a distanza e quindi va trattata a prescindere dal valore angolare. LORDOSI IPERLORDOSI LOMBARE La lordosi lombare raramente richiede un trattamento: è infatti una zona del rachide totalmente mobile interposta tra due tratti rigidi (le cifosi sacrale e toracica) che si riconfigura in base alle richieste funzionali determinate dalla necessità posturale rispetto ai punti fissi dati dall'orientamento del bacino e dall'orizzontalità dello sguardo. Quindi un aumento della lordosi in ortostasi è generalmente secondaria a un incremento della cifosi toracica e/o ad una antiversione del bacino. Sono poi da considerare con particolare attenzione i rari casi di iperlordosi causati da deformazione congenita del rachide lombare, da stenosi spinale negli acondroplastici e secondari a procedure di shunt lombo-peritoneali. ANAMNESI Il momento dell'anamnesi non può mai essere trascurato, perché ci può orientare verso possibili secondarismi che non possono essere mancati. E' quindi importante raccogliere le notizie circa l'anamnesi familiare, fisiologica e patologica remota. Determinante è indagare sui dolori vertebrali, anche saltuari o lievi, che spesso si associano al M di Scheuermann. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 13 di 59 Esame obiettivo Determinazione dell’assetto sagittale del rachide con la raccolta di alcuni parametri numerici che risultano poi essenziali nel monitoraggio della patologia. • In ortostasi: osservazione generale del paziente facendolo salire su un podoscopio a luce polarizzata che fornisce infine informazioni sul tipo di appoggio plantare e di carico degli arti inferiori. Si osserva tutta la cute, specie in corrispondenza del rachide: la presenza di ipercromie, nevi, angiomi, neurinomi può segnalare altre patologie. Osservando il paziente • Lateralmente: è possibile valutare la presenza di spalle antepulse, anteposizione o retroposizione del tronco e del capo, antiversione o retroversione del bacino. Determinante inoltre verificare se la cifosi si prolunga nella zona lombare, se ci sono punti di incremento della flessione anteriore, se risultano zone in cui le spinose sono più prominenti posteriormente e se questi punti sono localizzati all'apice della cifosi o meno. In questi casi spesso si associa una caratteristica forma a losanga della muscolatura paravertebrale che risulta allontanarsi dalla linea mediana a causa dell'incremento lo-calizzato della curvatura. In caso di cifosi dorsolombare spesso si osservano caratteristici ispessimenti della pelle in corrispondenza delle spinose lombari sporgenti. • Anteriormente: si notano pliche addominali anomale con strie arrossate in corrispondenza della parte alta del tronco in caso di ipercifosi e dell'addome alto in caso di cifosi dorsolombare. Valutare altre deformità toraciche (difetti costali, sternali, presenza di pectus excavatum o carenatum). • Posteriormente: si possono quindi notare la simmetria o l'asimmetria di spalle, scapole e triangoli della taglia. • Eterometria arti inferiori: ponendo i pollici dell'esaminatore su SIAS, SIPS ed ali iliache e valutando la simmetria in altezza. • Misurazioni: il filo a piombo e gli inclinometri. • Filo a piombo: distanza in millimetri tra le apofisi spinose di C7, di T12 e di L3 ed il filo a piombo tangente all'apice della cifosi. Secondo Stagnara i valori a livello di C7 ed L3 devono essere tra i 25 ed i 40 mm. Con il medesimo filo a piombo si può quindi esaminare l'eventuale presenza di uno strapiombo sul piano frontale: si misura in millimetri la distanza da C7 del filo a piombo fatto passare per le pliche interglutee. • Inclinometri: valutazione delle curve sagittali del rachide; constano, nella loro forma più comune, di un telaio rettangolare di supporto a un goniometro a scala circolare con un indice pesante. Essi si dispongono, a paziente in stazione eretta naturale, su tre punti di repere del rachide: T1 (caudalmente all'apofisi spinosa C7), T12-L1, e S2 (linea congiungente le SIPS), Dalla somma degli angoli (a + ß) letti su T1 e T12 si ottiene l'angolo di superficie della cifosi toracica e dalla somma degli angoli (ß + γ) letti su T12 e S2 si ottiene l'angolo di superficie della lordosi lom-bare. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 14 di 59 • Superficie delle curve sagittali del rachide: esistono inoltre strumenti un po' più sofisticati, tra i quali ricordiamo l'Arcometro di D'Osualdo; si tratta di uno strumento messo a punto per valutare l'assetto sagittale del rachide. Si basa su tre barre metalliche orizzontali posizionate lungo il rachide del paziente in ortostasi (a livello di C7, estremità distale cifosi, apice cifosi) e collegate tra loro da un'asta metallica graduata. Applicando lo strumento è possibile calcolare la corda e la prominenza dell'arco cifotico e quindi determinare i gradi della cifosi stessa. • Flessione anteriore: l'eventuale presenza di patologie scoliotiche associate all'ipercifosi è necessaria una valutazione dei gibbi scoliotici. In questa posizione si valutano alcuni gruppi muscolari chiave nel determinare una possibile alterazione sagittale dei cingoli. Supino e prono: valutazione dell’elasticità di gruppi muscolari importanti dei cingoli. • Radiografia L'esame radiografico principe per lo studio dell'ipercifosi è la radiografia laterale in ortostasi ed in telemetria a due metri di distanza dal rachide con le braccia flesse a 45° e le mani poggiate su di un supporto. Il paziente deve tenere la testa diritta. Se al test di Adams si verifica la presenza di una scoliosi significativa, è importante associare una proiezione anteroposteriore. Si calcola poi il grado di cifosi e lordosi con il metodo di Cobb. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 15 di 59 La cuneizzazione vertebrale può essere eventualmente calcolata segnando le linee parallele ai piatti terminali e misurando gli angoli così formati. Trattamento Nelle forme iniziali consiste nell’applicazione di corsetti antigravitari, di tipo Millwaukee, Boston o Chenau, modificati per cifosi mediante spinte dorsali. Nei casi gravi si applicano corsetti gessati. Nei casi molto gravi (Cobb > 50°-60°), si effettua trattamento chirurgico effettuando correzione della deformità e artrodesi vertebrale per via anteriore o posteriore. corsetto Chenau LA SCOLIOSI Definizione È una deviazione vertebrale che si manifesta su di un piano obliquo, essendo somma di una inflessione laterale e di una rotazione delle vertebre. Tale deviazione non si corregge spontaneamente alla flessione del tronco in avanti e si manifesta clinicamente con un gibbo costale o lombare. Aspetti anatomo-patologici quali la rotazione e la cuneizzazione vertebrali sono sempre costanti e rendono rigida ed evolutiva, in grado variabile, la deformità. rotazione Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ cuneizzazione Pagina 16 di 59 Questa patologia ha caratteri peculiari e distintivi. • Strutturazione vertebrale: rotazione dei corpi vertebrali verso la convessità della curva, e rotazione verso la concavità delle apofisi trasverse. • Fissità: la rotazione non è riducibile alle manovre di sottrazione del carico o di distensione attiva (sospensione). • Gibbo: a livello dorsale la rotazione vertebrale è responsabile della rotazione della gabbia toracica e della formazione di una sporgenza caratteristica (gibbo). A livello lombare la rotazione provoca la superficializzazione delle masse paravertebrali lombari. • Evoluzione: con il procedere dell’aumento della entità angolare, aumentano proporzionalmente il grado di rotazione e la gravità del gibbo costale o lombare. Tali caratteristiche permettono di differenziare la scoliosi dagli atteggiamenti scoliotici: la prima, o scoliosi “organica”, rappresenta un disfmorfismo del rachide; i secondi, o scoliosi funzionali, non sono altro che paramorfismi visibili quando la colonna è sotto carico. L’esame clinico e radiografico, a prima vista, possono risultare molto simili. L’atteggiamento scoliotico: • Non è evolutivo. • Non presenta gibbo costale o lombare alla visita clinica. • Non presenta rotazione vertebrale ad esame attento delle radiografie. Epidemiologia Mediante screening scolastici durante il periodo di massima incidenza della malattia (6-15 anni), si è registrata un’incidenza molto variabile, dal 4 per mille al 7 per cento. Secondo Shands ed Eisberg, l’incidenza è dell’1,9% e solo nello 0,5% si registra scoliosi > 20°. Classificazione Genesi Età Sede curva primitiva Entità deviazione • Idiomatiche • Neonatali • < 20° • Toracica • Congenite • Infantili • 20° - 40° • Lombare • Acquisite • Giovanili • > 40° • Toraco-lombare • Adolescenziali • Doppia primaria6 • Cervico-toracica Altri caratteri classificativi sono: autorisolvenza/evoluzione e convessità (dx o sx). Da notare, in particolare: • Curve infantili incidono ugualmente tra i due sessi e sono, per il 90%, sinistro-convesse, ulteriormente divisibili in autorisolventi (resolving) ed evolutive. • Curve giovanili, di gran lunga le più frequenti e scoliosi dell’adolescente sono molto spesso a sede toracica e destro-convesse nel 90% dei casi, e con un’incidenza m:f = 1:4. Etiopatogenesi 6 Anche dette combinate dorsali e lombari: in presenza di doppia curva si definisce la scoliosi doppia primaria (toracica e lombare, doppia toracica…). Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 17 di 59 Nel corso della storia sono esistite svariate teorie: ineguale lunghezza delle coste (Stromeyer nel 1838), teorie meccanicistiche (Meyer nel 1866), debolezza muscolare congenite (James nel 1956), primitiva alterazione del senso dell’equilibrio ed asimmetria muscolare (Yamada nel 1971). Ad oggi le teorie più accreditate, sebbene l’etiologia risulti ancora sconosciuta, sono: • Teorie metaboliche: secondo Stearns, Glauber e Ponesti; alterato bilancio proteico fortemente negativo, aumento di α1-globuline ed α1-glicoproteine, alterazione mucopolisaccaridi. • Teorie ereditarie: Cowen, Hall e MacEwen; molti fratelli/sorelle o intere famiglie affette. Ereditarietà dominante a penetranza ed espressività variabile, legata al cromosoma X. • Teorie ormonali: la rilevazione che la scoliosi incide in 4 f su 1 m nell’epoca dell’età puberale, permette di ipotizzare un ruolo ormonale. Secondo Ascani e La Rosa si ha una iperincrezione di Gh; quest’ipotesi è suffragata dal riscontro di un’altezza media maggiore negli scoliotici. Le scoliosi idiopatiche o essenziali rappresentano il gruppo più importante e cospicuo (80-90%). Si riscontrano, come detto precedentemente, nel 2% dei soggetti in età prepubere, con netta prevalenza per il sesso femminile. Le scoliosi congenite (emispondili +/- sinostosi,7 di smorfie della cerniera lombo-sacrale – emisacralizzazione, schisi posteriori – sinostosi costali. Le scoliosi acquisite sono riferibili a lesioni della cartilagine di accrescimento dei metameri vertebrali (condrodistrofia spondilo-epifisaria, esiti di traumi o flogosi), lesioni dell’apparato neuro-muscolare (postumi di poliomielite, ipertonie asimmetriche della muscolatura vertebrale negli spastici, ecc…), a lesioni toraciche (fibrotorace, esisti di toracoplastiche per empieni, tbc…), ed a lesioni ossee sistemiche o a focolaio (osteoporosi, neurofibromatosi, rachitismo ecc…). Un gruppo a parte tra le forme acquisite è rappresentato dalle cosiddette scoliosi statiche, secondarie, cioè, ad una obliquità del bacino dovuta a dismetria degli arti inferiori di modico grado (1-3 cm). ANATOMIA PATOLOGICA Ogni localizzazione della scoliosi presenta caratteristiche anatomopatologiche elementari definibili: • Curvatura principale o primitiva: prodotta direttamente dall’agente eziologico della scoliosi. Può interessare ognuno dei tre distretti rachidei (dorsale, cervicale, lombare), oppure ognuno dei loro tratti di passaggio. Si distingue per le forti modifiche strutturali delle vertebre. • Curve secondarie o di compenso: sono secondarie quelle curve che si sviluppano nei tratti sopra e sottostante la curva primitiva, al fine di compensare lo strapiombo creatosi. • Vertebra apicale: ogni vertebra posta all’apice della curva, sul piano frontale, la più distante dall’asse normale. • Vertebre estreme: ogni curva ha due vertebre poste ai limiti, e rappresentano la zona di transizione (vertebra neutra) tra curve di senso opposto. • Rotazione: tutto il tratto interessato dalla curva ruota intorno all’asse longitudinale, con torsione delle vertebre su sé e i corpi si portano sul lato convesso della curva. 7 A livello cervicale si parla di S. di Klippel-Feil: accorciamento del collo e atteggiamento coatto per ridotta escursione. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 18 di 59 • • • • • • • • Deformazione dei corpi: di entità decrescente dalla apicale alle estreme; danno sullo sviluppo encondrale dalle sollecitazioni del carico che hanno agito asimmetricamente. Sviluppo di cuneizzazione verso il lato concavo della curva (vertebre trapezoidali). Gibbo: deformazione del torace per spinta sulle coste delle apofisi traverse delle vertebre dorsali; si sviluppa il gibbo costale posteriore (dal lato della convessità della curva dorsale), cui si accompagna sempre un gibbo costale anteriore (dal lato della concavità della curva dorsale). Si evidenzia osservando il paziente flesso in avanti, sia d’avanti che di dietro. È possibile, ovviamente, misurarlo, ed è ottimo metro di evoluzione. Organi interni: modificazioni quali ipertrofia cuore destro, stasi piccolo circolo ecc… VARIETÀ PRINCIPALI DI SCOLIOSI Lombari: curva principale estesa da D11 a L3, con apice su L1-2; le curve di compenso, a grande raggio, si sviluppano sul tratto dorsale e lombosacrale. Dorso-lombari: solitamente c’è una curva molto ampia estesa da D6-7 a L2-3; la vertebra apicale è rappresentata per lo più da D11-12; è frequente uno strapiombo. Toracico-lombare: due curve principali, disposte ad S italica; quella dorsale va da D5-10, quella lombare va da D11 a L3 con apice su L1-2. Dorsali: curva primitiva che interessa in genere 6 vertebre da D4-6 a D11-12 e la vertebra apicale è D8-9; si hanno due curve di compenso, una cervico-dorsale e una lombare. Cervico-dorsali: molto rare; si ha una curva primitiva, a raggio piccolo, estesa per 5-6 vertebre e con apice su D1-2. scoliosi dorsale Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ scoliosi dorso-lombare scoliosi lombare Pagina 19 di 59 scoliosi dorsolombare scoliosi doppia primaria (combinata/doppia curva) EO E SINTOMATOLOGIA La sintomatologia insorge ed evolve in maniera subdola e senza alcuna compromissione delle condizioni generali. Va valutato il paziente sia frontalmente che dorsalmente. • Strapiombo: allineamento tra protuberanza occipitale e linea interglutea con filo a piombo. L’allontanamento può essere scoliotico, da atteggiamento scoliotico o da scoliosi statica; per DD provi a fare “sospensione” e “soletta”. • Incurvamento laterale della linea risultante dall’unione di tutte le apofisi spinose. • Slivellamento biscapolare – bispinoilaco ant.sup., con perdita parallelismo. • Scapola: abbassamento di una scapola rispetto all’altra. • Mammelle: nelle bambine come per la scapola. • Triangoli della taglia asimmetrici. • Tronco/bacino: eventuale strapiombo. • Gibbo: valutazione e misurazione in mm. QUADRO RADIOGRAFICO L’esame va praticato su RX della colonna “in toto”, comprendendo anche il bacino; va effettuato a paziente in stazione eretta (in carico), in posizione supina (fuori carico), ed eventualmente in sospensione (con il collare di Sayre - DD per atteggiamento scoliotico). In proiezione frontale si può obiettivare una scoliosi statica, correggibile mediante l’uso di solette ortopediche. L’esame viene effettuato anche con il massimo bending. Che cosa si ricerca con l’RX? • Forma: alterazioni di forma delle vertebre (cuneizzazione e aspetto trapezoidale), max in vertebra apicale e minima in vertebre estreme. • Rotazione: entità della rotazione dei corpi vertebrali, tanto maggiore quanto più l’immagine delle spinose si sposta verso la concavità della curva e i corpi verso la convessità. • Sede: della curva primitiva. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 20 di 59 • Età scheletrica del rachide: si effettua mediante il test di Risser. Si misura il grado di “copertura” delle creste iliache da parte dei rispettivi nuclei di ossificazione; tale copertura si sviluppa generalmente in sincronia con la ossificazione delle cartilagini epifisarie delle vertebre, nell’arco di tempo di 26 mesi circa, iniziando (Risser I) intorno ai 13 anni e terminando completamente (Risser 5) intorno ai 15 anni. Valutazione da 0 a 5 secondo lo sviluppo del nucleo di ossificazione nelle creste iliache: • 0: manca il nucleo di ossificazione. • 1: inizio dell’ossificazione. • 2: listella incompleta. • 3: listella completa. • 4: inizio saldatura. • 5: saldatura completa e maturità ossea. • • Maturità ossea: a livello delle epifisi della mano sinistra del soggetto mediante il confronto dell’atlante radiografico di Greulich e Pyle. Grado della curva. Esistono due diversi metodi per studiare il grado della curva, quello di Cobb e quello di Risser-Ferguson Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 21 di 59 METODO DI COBB Si tracciano sul radiogramma le tangenti al piatto superiore dell’estrema superiore della curva e al piatto inferiore dell’ estrema inferiore. Si tracciano in seguito le perpendicolari a queste tangenti. L'incontro fra le perpendicolari descriverà un angolo il cui valore è espressione della entità della deviazione scoliotica. Metodo di Risser-Ferguson È più preciso del precedente ma è più difficile da eseguire. Si individua sul radiogramma il centro delle vertebre estreme (prossimale e distale) della curva e della vertebra apicale. Si tracciano in seguito i segmenti di retta che congiungono rispettivamente il centro della vertebra estrema prossimale a quello della vertebra apicale e il centro della vertebra estrema distale a quello della vertebra apicale. La congiunzione delle due semirette darà origine a un angolo che è espressione dell'entità della curva scoliotica. Le deformità vertebrali rendono spesso molto difficoltosa l'individuazione dei centri vertebrali. Attualmente le scoliosi si classificano in 7 classi in base all’angolo di Cobb: I. 0°-20°. II. 21°-30°. III. 31°-50°. IV. 51°-75°. V. 75°-100°. VI. 101°-125°. VII. > 125°. PROGNOSI Nelle forme statiche, precocemente diagnosticate e trattate, la prognosi è buona. Nelle scoliosi idiopatiche, se esiste familiarità, la prognosi è variabile per le variabili forme cliniche. In particolare la chiusura delle cartilagini epifisarie vertebrali arresta la progressiva evoluzione della malattia: ciò avviene in genere intorno ai 16-17 anni, salvo variazioni dell’età scheletrica accertabili con il test di Risser. La crisi puberale rappresenta il periodo più temibile per la progressione della deformità per il culmine dell’attività osteogenetica. Tre fattori principali da considerare: • Età: tanto peggiore la prognosi quanto maggioreè l’intervallo di tempo dall’inizio della patologia fino all’arresto. • Curvatura: max gravità in scoliosi dorsali e poi, dorso-lombari, combinate, lombari. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 22 di 59 • Grado di deviazione: a pari condizioni (stesso tipo di curva e stessa età), la prognosi è tanto migliore quanto minore è il grado. È da sfatare il mito che la scoliosi si arresta all’arresto della crescita ossea, perché è falso, almeno in parte; scoliosi con Cobb > 50°-60° hanno alte probabilità di peggiorare in età adulta. La scoliosi vera non è determinanta da posture errate o carichi eccessivi (zainetto, banco, posizione seduta, modo di dormire); queste condizioni sono, infatti, reversibili sempre alla rimozione della causa. Predispongono, però, allo sviluppo di atteggiamento scoliotico. • • • TRATTAMENTO Atteggiamento scoliotico: ripetuti e prolungati cicli di ginnastica e controlli posturali periodici. Scoliosi statiche: correzione mediante rialzo in modo da ripristinare il parallelismo biscapolobispinoiliaco ant./sup. Se avanza, si effettua trattamento per le forme idiopatiche. Se la dismetria è forte (> 5-6 cm) bisognerebbe effettuare chirurgia per allungamento arto. Forme idiopatiche: • 10°-20°: osservazione attenta e istituzione di un programma di esercizi di ginnastica e/o nella pratica di attività sportiva. I casi che mostrano evoluzione oltre i 20° in epoca prepuberale, necessitano un trattamento con busti ortopedici; agiscono tutti con il meccanismo dei tre punti di spinta. Esistono due prototipi principali. Millwaukee Boston È costituito da un corsetto dinamico che agisce in distrazione mediante le aste regolabili e l’appoggio occipito-mentoniero. Le pad di spinta ottengono la correzione. Ideale per curve toraciche, toracolombari e doppie primarie. Più tollerato dai pazienti perché bene occultabile; è il prototipo dei corsetti bassi, indicato nelle curve lombari e toraco-lombari. Esistono indicazioni precise per l’uso di questi corsetti: 1) Cobb 20°-35°; 2) paziente prepuberale; 3) flessibilità della curva > 50%; 4) progettazione e costruzione su misura; 5) collaborazione della famiglia e del paziente. Nel tempo non si ottiene mai regressione. N.B. Nei casi che peggiorano o casi rigidi ai test di deflessione sin dall’inizio, si preferisce un corsetto gessato, che ottiene una correzione da mantenere con il corsetto lionese. Con opportune spinte collocate a livello del gibbo costale, realizza la correzione della deformità (deflessionederotazione). I risultati sono, qui, eccellenti. • > 35°-40°: sia dall’inizio del trattamento che in caso di insuccesso dei corsetti, è indicato ricorrere alla chirurgia della deformità; oggi si effettua la correzione della curva mediante uso di barre metalliche, uncini o viti transpeduncolari (tecnica di Cotrel e Dubousset – fissazione segmentaria). In tutti i casi è necessario effettuare ginnastica e sport vari, per mantenere il trofismo, tono e forza muscolare. Necessaria è anche la ginnastica respiratoria. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 23 di 59 ARTROSI / OSTEOARTROSI È una artropatia cronica evolutiva caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine delle articolazioni diartrodiali (articolazioni mobili fornite di cartilagine, membrana e liquido sinoviale – tutte strutture che possono essere coinvolte). Si manifesta clinicamente con dolore, limitazione funzionale, atteggiamenti viziosi (compaiono, di norma, dopo qualche tempo dall’inizio del processo patologico). Classificazione Epidemiologia L’OA rappresenta l’artropatia più frequente nella popolazione. La prevalenza aumenta con l’età ed il picco di massima frequenza è tra i 75 e gli 80 anni. Colpisce prevalentemente i soggetti maschi prima dei 50 anni, e poi le femmine oltre i 50 anni. Fattori di rischio Tra questi, l’infiammazione è molto importante, poiché danni pregressi facilitano l’insorgenza di patologia artrosica (tipico è il riscontro di artrosi post-artritica nei soggetti con AR). Fisiopatologia Il condrocita svolge un ruolo importantissimo perché produce costituenti della matrice cartilaginea (collagene, GAG, C-6-S, C-4-S, K-S e A-JA) e vari enzimi (spt metallo-proteasi, catepsine, elastasi e collagenasi) che servono al ricambio della matrice. L’alterazione della sua attività è sicuramente alla base del processo patologico di OA. A questo sicuramente si aggiungono altri fattori, come la perdita di quantità e qualità dei PTG, che causano una minore resistenza meccanica, cui contribuisce il deficit del sistema di pompaggio dell’acqua e tutto ciò è legato alla senescenza. Ancora, traumi e microtraumi, spt se continuativi, possono favorire la presenza di elemento extracartilagineo nell’articolazione, in modo da amplificare il danno. Le articolazioni più colpite sono: • Arti superiori: TMC, MCF, IFD e IFP. • Arti inferiori: anca, ginocchio, prima articolazione MTF. Fasi della patologia • Precoce: dolore intermittente e risposta positiva ai FANS. • Tardiva: dolore continuo e assenza di risposta ai FANS. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 24 di 59 Anatomia patologica Le lesioni si riscontrano costantemente, anche se variamente accentuate in rapporto al grado evolutivo della patologia. • Cartilagine: lesioni di tipo erosivo e produttivo; le lesioni erosive sono distribuite a chiazze sulla cartilagine di rivestimento e si sviluppano nelle sedi di maggior carico – articolazioni diartrodiali –, determinando assottigliamento, fissurazioni e ulcerazioni della con diminuzione dello spessore; le lesioni di produttive si sviluppano nelle zone non sottoposte a carico – aree marginali – con la produzione di osteofiti (becco osseo), per l’ossificazione della cartilagine e delle inserzioni capsulari. È spesso riscontrabile anche alterazione del colore in senso giallastro. • Osso subcondrale: si ha sclerosi nelle zone sottoposte a carico, con aumento dello spessore delle trabecole; queste si alternano a zone di rarefazione che possono confluire, formando: • Pseudocisti o geodi: vescicole nella trama ossea per irruzione del liquido sinoviale, con frammenti cartilaginei, trabecole necrotiche ecc… • Eburneizzazione: aumento dello spessore dell’osso quando la cartilagine scompare. • Membrana sinoviale: edema, congestione, iperemia, ipetrofia ed ispessimento dei villi che presentano frange esuberanti. • Capsula: edema, ispessimento e fibrosclerosi. Quadro clinico • Dolore: di tipo meccanico, presente dopo movimento e che diminuisce a riposo. Il dolore presenta un ciclo a 3 tempi: è vivo all’inizio del movimento (es. mattino), si attenua durante l’attività, si riacutizza dopo affaticamento (es. sera). • Rigidità mattutina o dopo inattività, ma, a differenza dell’AR, è presente per max 30 minuti. • Limitazione funzionale è progressiva. • Tumefazione: piuttosto rilevante, ed è “dura”, legata all’alterazione dell’articolazione; può essere “molle”, per la presenza di versamento. È tipico il riscontro di crepitio durante la palpazione dell’articolazione in moto. Aspetti radiologici generali Riduzione della rima articolare, sclerosi dell’osso subcondrale nelle zone sottoposte a carico, pseudocisti (geodi)e osteofiti (becco osseo) nelle zone non sottoposte a carico. Aspetto psicologico Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 25 di 59 Lo stress, l’abbandono, la depressione, possono alterare la percezione del dolore, con formazione di circoli viziosi ed aumento del problema: sickness behaviour! Esami bioumorali Quando è possibile il prelievo, l’analisi del liquido sinoviale dimostra carattere non infiammatorio, con cellule nucleate che non superano i 1000 elementi/mm3. Terapia generale Cure fisiche e riabilitative la devono fare da padrone, in aggiunta a terapie termali o fangoterapia. Importantissimo è l’abolizione dei fattori di rischio come alcool, fumo, obesità ecc… I trattamenti farmacologici prevedono l’uso di FANS (spt paracetamolo) e steroidi per via generale o intrarticolare, e decontratturanti. Si possono aggiungere, inoltre, terapie di fondo: • Antiartrosici sintomatici lenti: condroitin-solfato, SAMe. • Condroprotettori: glucosamina solfato e diacerina. La terapia fisica prevede: calore, massaggi, ginnastica funzionale ecc… trova indicazione nelle forme iniziali e nel pre e post-operatorio. I trattamenti chirurgici prevedono la deposizione intrarticolare di acido jaluronico e/o l’applicazione di protesi; altre tecniche sono la atrodesi (rara) e l’osterotomia.8 Anca - Coxartrosi La coxartrosi è una delle forme più bastarde di OA; è molto frequente (1% degli adulti); colpisce, in genere, i soggetti che hanno oltrepassato i 50 anni. Si ha dolore alla marcia e limitazione funzionale progressiva. Il dolore è inizialmente avvertito all’inguine e/o alla parte anteriore della coscia, ma può anche interessare il lato interno della coscia e può essere riferito al ginocchio; nei casi avanzati il dolore può essere anche ininterrotto. Obiettivamente si osserva un atteggiamento viziato, favorito dalla contrattura muscolare in adduzione, flessione e rotazione esterna della coscia. N.B. Questo meccanismo è alla base del riscontro dei un arto inferiore apparentemente più corto all’EO, che può evidenziare quasi sempre ipotonia e ipotrofia del quadricipite. Il paziente ha sempre zoppia di fuga. All’Rx si riscontra un’alterazione totale dell’articolazione con la presenza di osteofiti qua e la; sono presenti, inoltre: riduzione rima articolare, sclerosi subcondrale, osteofitosi, geodi. Per la DD valutare sempre il dolore che qui recede caratteristicamente a riposo. Nelle forme primitive sono caratterizzate da rapporti acetabolo/testa femore normali. Le forme secondarie sono riferibili a: • Sublussazione da DCA. • Osteocondrosi dell’anca (M. di Waldenstrom-Legg-Calvé-Perthes). • Epifisiolisi. • Pregresse flogosi. • AR. • Pregressi traumi. Il trattamento prevede l’artroprotesi; questa si effettua mediante svariate tecniche: si inserisce una componente cotiloidea formata da una coppa in lega di titanio (polietilene, metallo o ceramica), nell’acetabolo; questa è destinata ad accogliere l’estremità cefalica (acciaio inossidabile, lega di metallo, ceramica) della componente femorale. Queste componenti si possono cementare all’osso, oppure possono essere rivestite di idrossiapatite che favorisce lo sviluppo osseo in sede periprotesica, assicurando un ancoraggio migliore e duraturo. In caso di coxartrosi con variazione del normale angolo di inclinazione (valgismo), si procede con una osteotomia in attesa dell’attuazione dell’intervento chirurgico. 8 In particolar modo utilizzata per la coxartrosi: si effettua la resezione di un cuneo osseo per correggere eventuali alterazioni assiali e per ripristinare le zone di scarico del peso normali. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 26 di 59 Ginocchio - Gonartrosi L’OA del ginocchio, conosciuta anche come gonartrosi è molto frequente ed invalidante. Colpisce spt le donne e le articolazioni femororotulea e femorotibiale. È spesso secondaria a traumi o flogosi. La sintomatologia è tipica. Il dolore, anteromediale, di tipo meccanico, si attenua a riposo. Si può avere contrattura dolorosa post-inattività. Può peggiorare con versamento. Spesso l’impotenza funzionale è tardiva. Frequente l’ipotonia e/o ipotrofia del quadricipite. Nelle fasi avanzate è frequente la deviazione assiale. Alla Rx il reperto tipico, oltre a quelli già citati (osteofitosi, restringimento rima articolarte ecc…), è l’appuntimento delle spine intercondiloidee, specialmente tibiali. Frequenti sono i distacchi degli osteofiti. Il trattamento medico prevede a volte anche infiltrazione locale di cortisonici cronodose ed il lavaggio articolare per via artroscopica. Eventuali deviazioni assiali possono essere curate con osteotomia correttiva. Si può effettuare artroprotesi con sostituzione delle due estremità articolari. La FKT è fondamentale. Colonna vertebrale L’artrosi al rachide si localizza, principalmente, nei tratti lombare e cervicale. Le alterazioni principali sono due: • Artrosi anteriore intersomatica: spondiloartrosi; si riscontra frequentemente, ma colpisce solo le articolazioni diartrodiali (ipofisarie, unco-vertebrali e costovertebrali). È legata a progressiva disidratazione e perdita dell’elasticità, degenerazione e schiacciamento di uno o più dischi intervertebrali. A causa della degenerazione discale, le sollecitazioni presso rie si concentrano sui bordi e corpi vertebrali, con sclerosi delle limitanti superiore ed inferiore, e con sviluppo degli osteofiti marginali. Ciò può comportare la spondilosi deformante. • Artrosi posteriore interapofisaria: consiste nella comparsa delle tipiche alterazioni artrosiche a carico delle apofisi articolari posteriori. La sintomatologia è caratterizzata sempre da: dolore e rigidità articolare, spesso accompagnata da contratture muscolari e riduzione della normale lordosi cervicale e lombare. Frequente è il riscontro di cervicoartrosi. QUADRI CLINICI • Cervicobrachialgia: compressione a livello del forame intervertebrale per formazione di osteofita o per protusione discale. Le radici più frequentemente colpite sono C5, C6, C7. si ha dolore, disturbi sensitivi, iporeflessia bicipitale, stiloradiale e tricipitale. TC e RM sono utilissimi per la diagnosi. È una sindrome da compressione radicolare. • Artrosi dorsale: è frequente e con pochi sintomi, ma determina riduzione dell’altezza e cifosi. • Artrosi lombare – lombosciatalgia/lombalgia:9 determina, invece, lombalgia, per compressione radicolare e determina la cosiddetta sindrome del nervo sciatico, con dolore irradiato alle natiche, alla faccia posteriore della coscia, al cavo popliteo ed al polpaccio, fino al primo dito del piede. !!!!!!!!!! Questo è importante elemento di DD con le spondiloartriti, caratterizzate dalla sciatica mozza. COMPLICANZE • Sindromi midollari: mielopatia da spoldiloartrosi. Gli osteofiti si generano sui bordi posteriori delle vertebre; attuano compressione sul sacco meningeo e sul midollo. • Sindromi vascolari: cervicocefalalgia da compressione dell’arteria vertebrale; conseguono svariati disturbi: algie cervicali e nucali, cefalea, nistagmo, vertigini ecc… (S. Neri-Barré-Lieu). • Sindromi radicolari: cervicobrachialgie e lombosciatalgie. I segni RX sono legati a osteofitosi e restringimento degli spazi discali. Il trattamento varia: • Artrosi cervicale: terapia medica e FKT (massoterapia, laser, trazioni cervicali); nei casi gravi si può ricorrere al collare di Shanz. Cruenta: artrodesi per via anteriore o liberazione di una radice. 9 Vedi capitolo su Lombalgie/Lombosciatalgie/Cruralgie (CAP 6) per le differenti sintomatologie. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 27 di 59 • Artrosi lombare: terapia medica e FKT. Nei casi resistenti si può utilizzare busto ortopedico o terapia cruenta con artrodesi, laminectomie ecc… Mano L’OA della mano è abitualmente classificata come OA primaria, in quanto non sembra dipendere da alcuna causa evidente. L’aspetto più classico è rappresentato dalla formazione di tumefazioni dure sulle superificie dorsale delle IFD, chiamate noduli di Heberden, tipicamente nelle donne ed in età avanzata. L’interesamento delle IFP è più raro. Le tumefazioni qui presenti sono definite noduli di Bouchard ed hanno consistenza più molle rispetto alle altre. L’interessamento classico riguarda, inoltre, la TMC con la rizartrosi del I dito (segno della mano quadrata), con sublussazione esterna del primo dito e riduzione della rima articolare. Va posta particolare attenzione per la DD: • Artrite psoriasica: anch’essa interessa le IFD, ma si associa a onicopatia. • AR: interessamento delle IFP, ove si trovano erosioni associate a osteoporosi periarticolare, assenti nell’OA. Il trattamento prevede l’uso di valve sagomate limitanti, ionoforesi, ultrasuoni ecc… in casi rari si può effettuare artrodesi trapezio-metacarpica in posizione funzionale, con rimozione del trapezio e plastica tendinea. !!! Altre localizzazioni sono al piede, alla caviglia ed alla spalla. FRATTURE DELL’ARTO SUPERIORE FRATTURE DELLA CLAVICOLA Sono fratture frequenti, a tutte le età. Generalmente per trauma indiretto come la caduta sul moncone della spalla. La frattura interessa il terzo medio. È spesso composta e nei bambini è a legno verde. Quelle complete sono tipiche: frammento mediale che si porta in alto e posteriormente (mm. Sterno-cleido-mastoideo) e laterale che si porta in basso (deltoide e peso arto). La sintomatologia è tipica: • Difesa: spalla abbassata, braccio accostato al torace, gomito flesso sostenuto dall’altra mano, capo deviato verso il lato leso per evitare tensione muscolare. • Deformità della regione. • Dolore: spontaneo e a pressione. • Motilità preternaturale. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 28 di 59 Le complicazioni precoci sono rare, come la lesione della vena succlavia da frammenti del focolaio di frattura. Le tardive sono la viziosa consolidazione con danno estetico e pseudoartosi dell’adulto. La terapia prevede: • Neonati e fino a 2 anni: bendaggio alla Desault (esuberante attività ossea), anche con scomp. • Bambini > 2 anni: se esiste scomposizione si effettua la trazione alla Petit per 20-25 gg.; questa prevede una serie di anelli (ascelle e inguine) collegati tra loro posteriormente a incrocio. La trazione posteriore e in basso permette il posizionamento corretto della frattura. • Adulti: se c’è scomposizione, si effettua osteosintesi con il chiodo di Rush, per evitare lesioni vascolo-nervose. Fratture della Scapola Sono fratture rare ed interessano diversi settori: corpo, apofisi, collo-glena; quest’ultima, di non facile riscontro con RX, prevede indagine TC. Nelle fratture di corpo e apofisi si applica bendaggio alla Desault, mentre nelle fratture di collo-glena è opportuno una osteosintesi cruenta con ricostruzione della superficie articolare, spt se esiste scomposizione. Fratture dell’Estremità Prossimale dell’Omero Fratture del collo chirurgico10 Sono frequenti nell’anziano, per l’osteoporosi tipica. Spesso indirette per cadute su spalla, gomito o mano, atteggiata a difesa. Esistono diversi tipi: • Composta: infrazione o frattura non composta. • Scomposizione modesta con angolatura e ingranamento reciproco dei frammenti. • Penetrazione diafisaria nella spongiosa epifisaria. • Dislocazione del frammento distale verso il capo ascellare. • Frattura-lussazione: frattura e lussazione della testa nell’omero verso il cavo ascellare. La sintomatologia è tipica: • Difesa. • Deformità eventuale a “colpo d’ascia” del terzo superiore del braccio. • Tumefazione per stravaso ematico e/o spostamento frammenti. • Segno di Hennequin: ecchimosi tipica che interessa la faccia interna del braccio, la cavità ascellare e la faccia laterale del torace anche fino alla cresta iliaca. Il dato anamnestico importante e di sospetto, spt in anziani, è: dolore acuto, scroscio e impotenza funzionale, insorti dopo una caduta. DD con lussazione scapolo-omerale. Le complicazioni immediate sono la lussazione della spalla, che necessita trattamento d’urgenza; le tardive sono le viziose consolidazioni e la rigidità (più o meno marcata anche grazie al grande recupero funzionale dell’articolazione della spalla). La consolidazione è, in genere, di 30 gg. Anche nell’anziano. Il trattamento prevede: • Frattura composta o modesto spostamento: Desault o tutore per 20-25 gg. • Spostamento accentuato: si effettua riduzione con trazione transolecranica e immobilizzazione toraco-brachiale. Si può effettuare osteosintesi con chiodi di Rush per abbreviare i tempi di immobilizzazione. Nei soggetti anziani, per evitare l’immobilizzazione toraco-brachiale, si applica il tipico gesso pendente (brachio-antibrachiale dal terzo medio dell’omero al polso, con un peso al gomito ed una bretella passante al collo). • Fratture con lussazione: correzione cruenta se la riduzione incruenta è difficoltosa. FRATTURE DELLA GROSSA TUBEROSITÀ Sono fratture meno importanti, ma molto più frequenti delle precedenti. Possono essere isolate o fratture-lussazioni scapolo-omerali. Avvengono per trauma o per strappamento. La 10 Il collo chirurgico è la zona limitante l’estremità prossimale ed il corpo dell’osso; limite passante al di sotto delle due tuberosità. La zona ristretta tra la testa dell’omero e le due tuberosità, invece, è il collo anatomico. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 29 di 59 sintomatologia è limitata al dolore e all’impotenza funzionale. La terapia è limitata al tutore o alla Desault per 20gg. Possono essere causa di impingement per risalita della grossa tuberosità; in questi casi è necessaria la riduzione cruenta ed osteosintesi. FRATTURE DEL COLLO ANATOMICO Sono fratture rare e costituiscono una vera e propria decapitazione dell’omero. Spesso evolvono verso la necrosi avascolare. Necessitano di immobilizzazione in tutore o Desault per 25-30 gg, previa eventuale riduzione incruenta se c’è scomposizione. FRATTURE DELLA TESTA DELL’OMERO Sono fratture rare. • Infrazione e infossamenti: tutore o Desault per 30gg. • Scoppio: rimozione chirurgica dei frammenti e sostituzione protesica della testa dell’omero. Fratture della Diafisi Omerale Sono tutte le fratture comprese tra una linea passante poco al di sotto del collo chirurgico e un’altra posta a 4 cm. circa sopra epicondilo ed epitroclea. Sono lesioni frequenti nell’adulto, spt maschio: per trauma diretto la frattura risulta spesso trasversale o poco obliqua; nei traumi indiretti la frattura spesso è obliqua o spiroide, spt se la dialisi omerale è sollecitata a flettersi o torcersi, con presenza quasi costante di un terzo frammento con interposizione di lembi muscolari. La scomposizione è più frequente nelle fratture alte per l’azione delle masse muscolari (deltoide, grande pettorale, bicipite e tricipite). La sintomatologia prevede: • Dolore spontaneo e provocato. • Impotenza funzionale completa. • Deformità angolare con eventuale accorciamento di qualche cm. • Mobilità preternaturale. • Tumefazione di tutto il braccio ed ecchimosi finanche all’avambraccio. Le complicazioni immediate sono l’esposizione del focolaio e le lesioni del nervo radiale. Il nervo mediano decorre medialmente nel braccio; passa all’altezza della diafisi omerale sulla faccia anteriore dell’omero, proseguendo accostato alla vena basilica nel sottocutaneo. Il nervo ulnare nel braccio decorre nella loggia anteriore nel terzo superiore e nel terzo medio; nel terzo inferiore, invece, decorre nella loggia posteriore coperto dal capo mediale del tricipite; al gomito percorre il solco trocheo-epitrocleare dell’omero, insinuandosi, all’avambraccio, tra i due capi prossimali del muscolo flessore ulnare del carpo. Il nervo radiale, invece, ha decorso particolare: superata l’ascella, passa sotto il muscolo grande rotondo e profondamente al capo lungo del muscolo tricipite, nella loggia posteriore, accostato all’omero (solco radiale), tra capo mediale e laterale del tricipite, fino al setto intermuscolare laterale che perfora, per disporsi nell’interstizio tra i muscoli brachioradiale e brachiale anteriore, sulla faccia anteriore dell’avambraccio. Frequentemente si verifica stiramento, contusione o compressione del nervo, anche da parte dei frammenti di frattura. La sezione subtotale o totale è più rara ed avviene per la vicinanza a margini aguzzi o taglienti di frammenti ossei. La sintomatologia in questo caso è tipica: • Impossibilità ad estendere mano e falangi prossimali (mano cadente). • Impossibilità ad abdurre il pollice. • Anestesia al lato esterno del dorso della mano e del pollice. • Conservata motilità alle falangi distali, comandata da mm. lombricali ed interossei (n. ulnare). L’evoluzione di questa lesione è benigna se non vi è danno irreversibile (EMG dopo 15gg.). Complicanza tardiva non eccezionale è la pseudoartrosi, spt per fratture trasversali del terzo inferiore della diafisi ed in quelle spiroidi (interposizione di masse muscolari ecc…). Il trattamento è vario. Incruento: • Immobilizzazione in toraco-brachiale per 2-3 mesi preceduta, se c’è scomposizione dei frammenti, da trazione continua transolecranica o mediante gesso pendente. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 30 di 59 • Immobilizzazione in toraco-brachiale per 30 gg (o gesso pendente) e applicazione di un tutore funzionale fino a consolidazione avvenuta. Il trattamento cruento prevede: • Se vi è deficit del nervo radiale mediante neurolisi o neuroraffia e sintesi della frattura. • Osteosintesi nelle fratture multifocali o spiroidi ed toilette focolaio se esposta. • Chiodi endomidollari (tipo Rush) per fratture trasversali. Dopo la sintesi si applica un tutore per 30-40 gg. FRATTURE DEL GOMITO Fratture sovracondiloidee dell’omero Una buona percentuale dei casi prevede interruzione scheletrica solo per infrazione o per infossamento; spesso sono composte. Colpiscono principalmente i bambini tra 5 e 10 anni. Si distinguono in: • F. per estensione: sono le più frequenti; quasi sempre per caduta a terra con il palmo della mano a difesa con il gomito sollecitato in iperestensione. L’epifisi distale dell’omero (paletta omerale) si sposta dorsalmente, attratta in alto dal tricipite; il frammento diafisario si sposta in avanti e distalmente. • F. da flessione: generalmente indiretto per caduta sul gomito sollecitato in iperflessione; qui la paletta omerale si sposta anteriormente e il frammento diafisario si sposta posteriormente. Le variazioni sul piano frontale prevedono valgismo o varismo. La sintomatologia prevede: • Tumefazione in toto per edema e forte stravaso. • Dolore vivacissimo spontaneo, alla palpazione e a qualsiasi tentativo di movimento. • Eventuale deformità in valgismo o varismo. • Ecchimosi sulla faccia anteriore del gomito. N.B. DD con lussazione di gomito: nelle fratture il triangolo di Hüter (delineato da tre apici: epicodilo omerale, epitroclea omerale e apice dell’olecrano – normalmente ha base verso l’alto costituita dalla linea epicolido-epitroclea, e apice verso il basso rappresentato dall’apice dell’olecrano; si valuta con braccio in semiflessione) è normale e i rapporti tra i tre punti di rèpere sono conservati. Le complicazioni sono varie. Quelle immediate si riconducono principalmente a lesioni nervose: • Nervo radiale (vedi percorso sopra), spt per estensione, potendo essere uncinato dal frammento superiore. Si configura il quadro clinico della mano cadente (frat. diafisi omerale – vedi sopra). • Nervo mediano può essere leso, ma è difficile per la protezione offerta dal ventre del m. brachiale anteriore. Se presente, si ha: 1) impossibilità a chiudere completamente la mano a pugno (mm. flessori delle falangi distali delle prime quattro dita); 2) mancata opponibilità del pollice (m. opponente del primo dito); 3) anestesia della faccia palmare delle prime tre dita e della metà mediale del quarto dito. • Nervo ulnare è raramente colpito, decorrendo nella doccia epitrocleo-olecranica. Si ha deficit solo tardivo per consolidazione viziosa in valgismo con suo stretching. Le complicanze recenti sono principalmente vascolari e temibilissime. Sono rappresentate essenzialmente dalla sindrome di Volkmann. La sindrome di Volkmann è una complicanza ischemica causata da: • Spasmo dell’arteria omerale per contusione o stiramento. • Inginocchiamento dell’arteria causata da spostamento dei frammenti. • Compressione graduale esercitata sul tronco arterioso dall’ematoma di frattura che si raccoglie tra il piano osseo e le fascie aponeurotiche inestensibili del gomito e dell’avambraccio. • Applicazione precoce di fasciature o gessi quando ancora l’ematoma non è scomparso. La patogenesi è caratterizzata da una serie di alterazioni arteriose (in primis l’obliterazione dell’arteria omerale), venose e nervose che interferiscono e si aggravano a vicenda compromettendo il trofismo e la vitalità dei tessuti di avambraccio e mano, spt per i muscoli flessori della mano e dita. Ciò determina una Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 31 di 59 retrazione fibrosclerotica dei muscoli con riduzione della distanza tra i punti di inserzione. FASE PRODROMICA Nelle prime ore successive al trauma o all’applicazione di apparecchi troppo costrittivi: dolore lancinante all’avambraccio con irradiazione all’ascella e alla mano; edema della mano e delle dita che sono fredde e cianotiche; riduzione mobilità delle dita. FASE SI STATO Si instaura dopo 2-3 settimane di trattamento. Si ha deformità ad artiglio della mano con polso flesso a 90°, prime falangi iperestese e falangi terminali flesse; ipotrofia dei muscoli dell’avambraccio (piastrone duro); parestesie ed anestesie con interessamento atipico dei tessitori dei nervi mediano e radiale. Le complicanze tardive sono molteplici: • Gomito varo: disturbo estetico e funzionale (contrasto con il valgismo fisiologico di 15°). • Gomito valgo: nessun particolare problema, ma può determinare stretching ulnare con il quadro tipico della mano benedicente (iperestensione metacarpo-falangea e falangi prossimali 4° e 5° dito e flessione falangi distali, ipotrofia eminenza ipotecare e del 1° spazio interdigitale - 1° adduttore – anestesia della faccia del 5° dito e metà ulnare del 4°). • Ossificazioni periarticolari – osteoma del brachiale anteriore: causa spesso rigidità. Compare dopo 20-25 gg dal trauma, con radioopacità nubecolare in corrispondenza della faccia flessoria del gomito. Può aumentare in estensione e intensità, spt se sono effettuate brusche manovre di mobilizzazione e rieducazine passiva. Il trattamento è variabile. • Frattura: è incruento e mira a risolvere o evitare le crisi ischemiche. Va effettuato d’urgenza. MAI applicare subito bendaggi o gessi. Se la frattura è composta si applica inizialmente solo una valva gessata dorsale con immobilizzazione a 90°; solo dopo si applica un brachiobrachiale. Se la frattura è scomposta si effettua trazione transolecranica con paziente supino e braccio verticale a 90°. La trazione è offerta da pesi collegati alla staffa, a sua volta collegata ai fili transolecranici. La controtrazione è data dal peso del corpo. Così si facilita il deflusso del sangue e si evitano le complicanze ischemiche. Con questo metodo l’edema si risolve in 4-5 gg e si potrà applicare un toraco-metacarpale per 20-25 gg e poi potrà fare riabilitazione. • Complicanze vascolari: profilassi o rimozione delle fasciature/gessi. Eventuale fasciotomia. • Eventuali esiti: trattamento chirurgico, spt per correggere varismo o eccessivo valgismo ed evitare stretching dell’ulnare. • Deformità di Volkmann conclamata: ridurre la distanza tra i punti di inserzione prossimale e distale dei flessori della mano e delle dita. FRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE Sono fratture molto comuni e sono al secondo posto tra le fratture di gomito. Il trauma è spesso indiretto per caduta su mano atteggiata a difesa. La lesione può essere: • Fissurazione. • Frattura parcellare o marginale con o senza scomposizione. • Fratture trasversali subito sotto il capitello prima della tuberosità bicipitale (decapitazione del radio e eventuale angolazione o capottamento del capitello stesso). La sintomatologia è caratterizzata da: 1) dolore alla pressione in un punto preciso (sede subepicondiloidea, dove normalmente si sente ruotare il capitello radiale in prono-supinazione); 2) limitazione dolorosa alla prono-supinazione; 3) scarsa limitazione alla flesso-estensione. Il trattamento è vario: • Senza scomposizione: immobilizzazione brachio-metacarpale per 20gg. • Scomposte nell’adulto: riduzione cruenta con sintesi del capitello con piccole viti o fili di Kirschner. Nelle fratture pluriframmentarie si asporta il capitello. • Bambini: tentare sempre riduzione incruenta e poi la cruenta. Evitare sempre asportazione capitello per evitare valgismo del gomito. Dopo intervento, brachio-metacarpale per 15-20 giorni. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 32 di 59 Fratture dell’Olecrano Sono fratture frequenti, tipiche dell’età adulta. Il trauma è spesso diretto per caduta su gomito in flessione, o indiretto per caduta su mano atteggiata a difesa. Il trauma diretto, di solito, determina isolamento a tutto spessore dell’olecrano, isolandolo dall’ulna. La frattura può trovarsi, inoltre, all’apice, e spesso avviene per strappamento da parte del tricipite. In questi due casi si ha sempre interposizione di materiale fibroso nella diastasi. La sintomatologia prevede: 1) tumefazione ed ecchimosi del gomito; 2) depressione interframmentaria in regione olecranica a gomito flesso a 90°; 3) impossibilità di estensione attiva. Le complicanze sono caratterizzate principalmente dall’esposizione. Il trattamento è incruento solo nelle fratture incomplete e non scomposte con brachio-metacarpale per 25-30 gg. Il trattamento cruento avviene nelle fratture complete, spt se esiste diastasi. I meccanismi principali sono: • Sintesi mediante vite infissa in senso cranio-caudale dall’apice dell’olecrano alla diafisi ulnare. • Emicerchiaggio metallico ancorato a due fili di Kirschner, introdotti nell’olecrano, con eventuale legame a chiodi di Rush. Altre fratture di gomito Sono rappresentate dalle fratture intercondiloidee a V o a T dell’epifisi distale di omero, dalle fratture della coronide dell’ulna, da quelle della troclea (med), epitroclea e condilo (lat). Non sono lesioni molto frequenti, ad eccezione di quelle di condilo e epitroclea che rappresentano dei veri e propri distacchi epifisari (vedi dopo). Fratture dell’Avambraccio Fratture associate di Radio e Ulna Sono fratture biossee della diafisi di radio e ulna, dette anche fratture di antibraccio. Sono frequenti nei bambini. Avvengono per danno indiretto, spesso per caduta sul palmo della mano. In questi casi ne normali curvature di radio e ulna si inflettono sino alla rottura che, tipicamente, avviene al terzo medio-inferiore della diafisi. Negli adulti il meccanismo è generalmente diretto e il tipo di frattura è spesso condizionata dal punto di applicazione dell’agente lesivo. Dal punto di vista anatomo-patologico, esistono diverse varianti. • Decalage: si ha spostamento rotatorio “ad peripheriam” di un frammento del radio intorno al suo asse longitudinale ed intorno a quello dell’ulna. Il decalage ulnare è sempre modesto per lieve rotazione del frammento distale. Il radio soggiace all’azione dei muscoli pronatori (pronatore rotondo e quadrato) e supinatori (bicipite e breve supinatore). In condizioni di integrità scheletrica, la posizione del radio è controllata volontariamente. In condizioni di frattura, questi muscoli possono agire in maniera diversa sui segmenti di frattura: • Sopra inserzione distale del pronatore rotondo: frammento prossimale ruota in massima supinazione per azione dei supinatori; frammento distale ruota in massima pronazione per azione dei pronatori. • Distalmente all’inserzione del pronatore rotondo: frammento prossimale si semipronosupinazione per azione dei supinatori e del pronatore rotondo; frammento distale in pronazione per azione del pronatore quadrato. • Angolazione: spostamento angolare rispetto agli assi delle ossa. Ne può risultare una deformità a X, a K, a losanga ecc… • Accavallamento: sotto l’azione dei muscoli dell’avambraccio, i frammenti distali tendono sempre a risalire entro i limiti consentiti dalla membrana interossea. Tutti gli spostamenti possono associati tra loro. La sintomatologia prevede: dolore vivo spontaneo o provocato, impotenza funzionale, motilità preternaturale, deformità angolare varia, ecchimosi, tumefazioni, crepitazioni. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 33 di 59 Le complicazioni sono divise in precoci, quali esposizioni, compromissione rara dell’ulnare o del radiale, sindrome ischemica di Volkmann (rara), e tardive, quali pseudoartrosi (eccezionale nel bambino), ritardo di consolidazione o consolidazione viziosa (spt decalage – molto invalidante perché determina riduzione del movimento di prono-supinazione). Il trattamento è vario. • Bambini: incruento anche se con scomposizione. La riduzione avviene in narcosi, su letto ortopedico, applicando una trazione distalmente ed una controtrazione prossimamente: ciò riduce l’accavallamento. Si effettua, poi, un movimento di supinazione per correggere il decalage, con orientamento dei frammenti. Successivamente si applicherà un brachiometacarpale con gomito a 90° e atteggiato in semipronosupinazione per 45 giorni. • Adulti: si tende sempre a intervenire cruentamente; l’intervento consiste nella sintesi mediante chiodi di Rush, oppure con placche metalliche avvitate, per facilitare il recupero funzionale ed abolire la lunga immobilizzazione gessata per 3-4 mesi per gli adulti. Altre fratture scheletriche dell’avambraccio • Frattura isolata di diafisi ulnare. • Frattura-lussazione di Montaggia: frattura isolata diafisi ulnare e lussazione capitello radiale. • Frattura isolata di diafisi radiale. • Frattura-lussazione di Galeazzi: frattura isolata diafisi radiale e lussazione epfisi distale ulnare. Si trattano tutte incruentamente con brachio-antibrachiale per 2-3 mesi. Fratture del Polso e della Mano Frattura di Poteau-Colles È la frattura extra-articolare più frequente. È per trauma indiretto, per caduta sulla mano atteggiata a difesa, in estensione. La rima di frattura ha decorso trasversale, interessando la metafisi distale radiale cui seguono diversi spostamenti. • Ingranamento: incuneizzazione dell’apice del frammento radiale prossimale nella spongiosa del frammento distale (assenza di crepitio e motilità preternaturale). • Radializzazione: il frammento distale si sposta in senso radiale. • Dorsalizzazione: il frammento distale si sposta in senso dorsale. La frattura è sempre associata allo strappamento della apofisi stiloide ulnare per l’inserzione del legamento triangolare. La sintomatologia è tipica: • Segni generici di frattura: dolore spontaneo e alla pressione e al movimento, tumefazione, ecchimosi al polso e alla mano, impotenza funzionale, no crepitio e motilità preternaturale. • Orizzontalizzazione linea bistiloidea legata all’ingranamento. • Deformità a baionetta del profilo frontale della mano sull’avambraccio per la radializzazione. • Deformità a dorso di forchetta del profilo laterale (sagittale) del polso, per dorsalizzazione; il profilo della mano si dispone parallelamente e dorsalmente a quello della mano. Le complicazioni immediate sono l’esposizione della frattura e la lesione del nervo mediano. Quelle tardive sono spt la consolidazione viziosa (con o senza contenzione di frammenti) e l’osteoporosi delle ossa del carpo e della mano (s. di Sudek tipica degli anziani).11 La pseudoartosi della stiloide ulnare è frequente e di solito ben tollerata. Il trattamento è solitamente incruento e prevede la riduzione in narcosi con il ripristino della superficie articolare distale del radio. Al letto ortopedico si effettua una forza traente sul pollice ed una controtrazione in senso flettente sul frammento radiale distale, fino al ripristino degli angoli; si 11 Ciò avviene spesso se la frattura consolida senza il ripristino della normale inclinazione (linea bistiloidea) sul piano frontale (25°), sia sul piano sagittale (10°); ciò determinerà un disturbo estetico, ma anche un deficit funzionale, per riduzione della flessione della mano. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 34 di 59 prosegue con immobilizzazione in gesso per 30-35gg: per i primi 20gg con un brachio-metacarpale e poi con un antibrachio-metacarpale per altri 15-20gg. Frattura di Goyrand – Colles inversa La dislocazione del frammento epifisario sul piano sagittale avviene in senso inverso; identica è, invece, la sede e il decorso della rima di frattura. È rara. Si verifica per caduta con la mano in flessione. Il frammento distale radiale si palmarizza e, sebbene tutti i reperti siano simili a quelli della Colles classica, sul piano sagittale si ha l’aspetto a ventre di forchetta. Il trattamento è analogo, ma durante la riduzione si effettuano manovre correttive in senso estensivo. Fratture dell’epifisi distale di Radio Interessano in vario grado la superficie articolare. Le più semplici si irradiano prossimamente isolando solo una porzione della glena e sono definite marginali o cuneiformi. Quelle complesse, invece, possono interessare tutta l’epifisi, con rime di frattura a V, T, Y, interessando raramente anche la metafisi, configurando un vero e proprio scoppio. Il trattamento è semplice, con immobilizzazione in gesso per 35 giorni. Nelle complesse si preferisce usare un fissatore esterno per garantire ripristino dei normali rapporti articolari. Fratture dello scafoide Le fratture del carpo sono relativamente rare. Al contrario lo scafoide è sede frequente di lesione per trauma indiretto da caduta sulla mano o per traumi a pugno chiuso. La sintomatologia prevede dolore sordo, spontaneo, che aumenta con palpazione sulla tabacchiera anatomica e dalle sollecitazioni sul 1° metacarpo. La diagnosi è con RX. Le complicanze non sono eccezionali, a causa della vascolarizzazione terminale: necrosi avascolare del frammento prossimale e pseudoartrosi. Il trattamento prevede l’immobilizzazione in gesso dell’avambraccio, del carpo, metacarpo e 1° falange del 1° dito. Bisogna effettuare controllo RX periodico. La consolidazione dura circa 3 mesi. Fratture dei metacarpi e delle falangi della mano Sono fratture molto frequenti e generalmente dovute a trauma diretto. Sul lavoro si verificano anche fratture con lesione della cute, dei tendini, dei muscoli e anche maciullamenti. Possono interessare tutte le sedi: epifisi, diafisi, metafisi prossimale (fratture della base) e metafisi distale (frattura sottocapitale). Spesso è presente scomposizione, ma è difficile da ridurre. Il trattamento prevede apparecchio gessato con le dita in semiflessione. Fratture instabili o irriducibili: riduzione e sintesi cruente. Di particolare interesse è la frattura del 1° metacarpo, tipica dei pugili. Un frammento resta sempre in rapporto con l’osso trapezio e il 1° metacarpo si disloca sempre dorsalmente = frattura-lussazione di Bennet. Clinica: dolore spontaneo e provocato e tumefazione costante. Il trattamento prevede riduzione immediata mediante trazione assiale e pressione alla base del primo dito e poi contenimento in gesso antibrachio-metacarpale inglobante il 1°dito, per 30 giorni. A volte si necessita di sintesi temporanea mediante filo di Kirschner (base del metacarpo al trapezio). FRATTURE VERTEBRALI Sono divise in meliche ed amileiche, a seconda che la lesione si accompagni o meno a danno midollare, da ricercare sempre; si dividono inoltre in dorso-lombari e cervicali. Fratture Dorso-Lombari Rappresentano l’80% di tutte le fratture vertebrali. Più colpite sono: I L, XII D, II L. Si verificano più nei maschi e nell’età adulta,m per traumi che tendono a iperflettere il rachide (cadute su piedi o natiche, caduta di gravi dall’alto ecc…). Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 35 di 59 • Corpo vertebrale: se si trova nel punto di massima curvatura si schiaccia per compressione tra i metameri sopra- e sotto-stanti. • Frattura-lussazione: avviene se c’è frattura anche dei peduncoli, delle lamine o delle apofisi articolari; ciò può determinare compressione midollare. • Fratture isolate dei peduncoli: traumi da torsione intermetamerica. • Apofisi traverse / spinose: una o più; fratture isolate da strappamento. • Crolli (schiacciamenti): in età senile e nel sesso femminile spt in menopausa; il primum movens è l’osteoporosi della parte somatica delle vertebre, spt quelle dorsali; sono spesso misconosciute o trattate tardivamente. Le fratture per trauma diretto avvengono per bastonate, colpi d’arma da fuoco ecc… Esiste una ben specifica classificazione delle fratture dorso-lombari: • Anteriori: • Discoarticolari: danno limitato al disco e al piano osteocartilagineo (lamina limitante). All’RX si nota interruzione della limitante e lieve infossamento in spongiosa subcondrale. • Somatiche: il piano articolare ed il disco appaiono indenni. Il trauma è presente alla spongiosa equatoriale della vertebra, schiacciando a cuneo il corpo; poco danno al disco. • Discosomatiche: sia disco che spongiosa; frammenti di disco penetrano la spongiosa. All’RX il disco appare schiacciato a cuneo o anche frantumato; forte danno al disco. • Posteriori: • Apofisarie. • Dei peduncoli. • Delle lamine. • Degli istmi. Nelle fratture di apofisi trasverse e spinose non c’è danno al disco. Al contrario, le lesioni delle apofisi articolari, degli istmi e delle lamine, si associano sempre a fratture discoarticolari. • Totali: • Senza dislocazione. • Con dislocazione. Queste lesioni totali con dislocazione sono caratterizzate, più che da lesioni discali, da restringimenti dell’arco neurale, con problemi di compressione midollare; ciò è assente nelle lesioni senza dislocazione, ma può sempre succedere. La sintomatologia è dominata da: • Dolore locale e spontaneo ed alla pressione sulla spinosa corrispondente. • Rigidità del rachide lombare. • Contrattura muscolare antalgica. • Gibbo: deformità ad angolo acuto del rachide riscontrabile per gravi schiacciamenti. Le complicazioni sono principalmente due: compressione midollare (o radicolare per lesioni sotto L2 – il midollo qui si continua con le radici della cauda), e la discopatia degenerativa. Compressione midollare È frequente e molto temibile. Le alterazioni commotive o contusive del midollo spinale sono frequenti, rare le compressioni o sezioni. Esistono diverse fasi. Nella fase iniziale la sintomatologia è indipendente dall’entità del danno anatomopatologico. Si manifesta con: paraplegia (paralisi flaccida), areflessia e anestesia più o meno estesa, in rapporto al livello di lesione. Si ha paralisi sfinteriale ed eventuale shock. Regredito lo shock, in rapporto alla diversità del danno neurologico, si può assistere alla regressione graduale della sintomatologia appena descritta, che avviene in 8-10 gg; se non avviene, bisogna sospettare un danno permanente, diverso in base ai livelli: Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 36 di 59 • Sopra il cono: la porzione distale riprende la sua funzione per automatismo midollare, con paralisi spastica (iperreflessia osteotendinea, Babinski +, cloni e contrazioni, possibilità di automatismo vescicale). • Al cono e cauda equina: assenza di automatismo vescicale. Altre complicanze possono insorgere, portando il pz alla cachessia ed all’exitus: piaghe da decubito (sacro, calcagno, trocantere ecc…), cistiti e cistopieliti (ristagno urinario e ripetuti cateterismi), edemi, tromboflebiti degli arti inferiori (vasoparalisi), infezioni broncopolmonari. Discopatia degenerativa È sempre tardiva; la guarigione delle fratture del corpo vertebrale è legata all’entità della lesione del disco che non ha capacità riparative. La lesione ossea si risolve sempre in un periodo massimo di 3 mesi. Il danno può essere compensato da osteofitosi marginale e sinostosi (saldamento a ponte) con il corpo vertebrale adiacente, salvando il disco da ulteriori sollecitazioni. Se ciò non avviene, si instaura la discopatia degenerativa: processo degenerativo associato a dolore persistente o che si aggrava. • Dolore locale, spontaneo o provocato. • Contrattura muscolare con rigidità. • Insufficienza al carico. • Comparsa eventuale o accentuazione di gibbo. All’RX si riscontra sempre: • Restringimento spazio intersomatico. • Sclerosi limitante. • Turbe trofiche della spongiosa subcondra: geodi, sclerosi e rarefazione ossea. La rigidità e l’ipotrofia muscolare sono responsabili dell’insorgenza di queste sindromi dolorose tardive. Ciò avveniva spessissimo in era pre-radiografica, ed era conosciuta come sindrome di Kümmel-Verneuil. Questi AA. credevano che alla base ci fosse una insufficiente riparazione ossea e si tendeva a immobilizzare in apparecchi gessati i pz per tantissimo tempo, favorendo la rigidità e l’ipotrofia muscolare; si formava un circolo visioso. La prognosi è buona nelle lesioni amieliche. Al contrario, nelle meliche è sempre grave. Il trattamento varia in base al tipo di frattura. • Somatiche e discosomatiche: • Modesto schiacciamento: no riduzione e immobilizzazione con busto rigido per 90 giorni. • Schiacciamento anteriore: riduzione entro i primi giorni reclinando il pz in iper-lordosi su lettino ortopedico (evitare formazione precoce di callo fibroso); poi gessetto ortopedico in iperestensione per 30 giorni senza carico; poi per altri 60 giorni un busto rigido. • Schiacciamenti da osteoporosi: busto iperestensore e terapia medica. Sempre ciclo di FKT dopo. • • Discoarticolari: busto gessato o busto rigido per 30-40 gg e poi FKT. Isolate delle apofisi trasverse o spinose: brevissima immobilizzazione in busto di stoffa e stecche per 15-20 giorni per attenuare dolore econtrattura muscolare e riprendere deambulaz. • Fratture totali: no manovre riduttive. Immbolizzazione per 3 mesi; eventuale chirurgia. Il trattamento delle complicanze prevede: • • Complicanze neurologiche: no laminectomia decompressiva. Prima TC e RMN e poi eventuale correzione chirurgica con rimozione dell’ostacolo. Fondamentale la terapia di prevenzione dei decubiti, delle complicanze settiche, degli atteggiamenti viziosi, rieducazione vescicale e motoria del paziente. Discopatia degenerativa: eventuale artrodesi vertebrale. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 37 di 59 Fratture Cervicali In ordine di frequenza e di gravità, quelle delle prime due vertebre cervicali sono più rare e meno gravi; la grandezza del canale rachideo è molto ampia a questo livello, e perciò le complicanze midollari sono meno importanti. Se esistono lesioni midollari, portano quasi sempre a exitus. Atlante Per compressioni sul capo; le faccette articolari occipitali sono disposte dall’esterno all’interno e dall’indietro all’avanti e trasmettono forze sull’atlante che tendono ad allargarlo trasversalmente; l’osso si rompe, quindi, nel punto più debole: arco posteriore. Clinicamente si riscontra: dolore, rigidità del capo, nevralgia del territorio del nervo occipitale; si tratta con immobilizzazione in minerva gessata per due-tre mesi e FKT. Epistrofeo Interessa generalmente l’apofisi odontoide che si frattura alla base. La lesione si verifica per compressione e flessione anteriore del capo. Spesso si associa a lussazione e sublussazione della prima vertebra. Sintomatologia e trattamento analoghi a quelle dell’atlante. Ultime 5 vertebre Sono fratture meno frequenti delle dorso-lombari, ma sono molto esposte a complicanze neurologiche; i traumi che le generano tendono a schiacciare o flettere bruscamente il collo (urto contro il parabrezza, caduta di gravi, tutti su fondali bassi ecc…). Tipi di fratture: • Discoarticolari: della limitante e della spongiosa subcondrale. • Discosomatiche: con frammentazione e/o scoppio del corpo vertebrale; qui il frammento posteriore può dislocarsi e restringere il canale midollare. • Del margine antero-inferiore del corpo vertebrale: per iperestensione (colpo di frusta) e strap-pamento da parte del legamento longitudinale anteriore che vi si inserisce. • Frattura-lussazione: frattura del corpo vertebrale e delle apofisi articolari con conseguente lussazione e restringimento del canale midollare. • Frattura salvatrice dell’arco: frattura lussazione con associata frattura dell’arco posteriore della stessa vertebra = assenza di compressione midollare. La sintomatologia prevede: atteggiamento coatto del capo; dolore spontaneo, accentuato alla pressione sulla spinosa corrispondente al focolaio di frattura; contrattura muscolare: torcicollo. Se esistono complicanze midollari si avrà: • Tetraplegia flaccida con assenza di riflessi. • Paralisi vescicale e rettale. • Paralisi respiratoria: per lesioni superiori alla III vertebra. • Paralisi del diaframma: origine del nervo frenico dalla III radice cervicale. • Turbe da fratture meliche dorso-lombari (broncopolmoniti, decubiti, cisto-pieliti…). Il trattamento mediante riduzione incruenta è molto difficile da effettuare; va effettuata immobilizzazione mediante minerva gessata per 2-3 mesi. Se coesiste lussazione-sublussazione, si può applicare la fionda di Glisson: paziente supino con trazione al mento e all’occipite. Tale tecnica è, però, poco tollerata perché rende impossibile mangiare; si preferisce, quindi, la trazione transparietale alla Crutschfield: la staffa di trazione è infissa nel tavolato esterno dei due parietali. Dopo la riduzione si usa una minerva gessata per due-tre mesi. Se la riduzione è instabile, si procede con trattamento cruento come per le fratture dorso-lombari. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 38 di 59 FRATTURE DEL BACINO FRATTURE CHE NON INTERROMPONO LA CONTINUITÀ DEL CINGOLO PELVICO Non sono gravi, non presentano particolari complicazioni e guariscono senza esiti particolari. Sedi: • Spina iliaca anteriore superiore. • Spina iliaca anteriore inferiore. • Ala iliaca. • Ischio. • Sacro (fratture isolate) • Coccige. Queste fratture prevedono riposo a letto su piano rigido per 20-40gg. Fratture che interrompono la continuità del cingolo pelvico Sono fratture relativamente frequenti (lavoro e traffico). Hanno particolare importanza e vanno diagnosticate precocemente perché si associano spesso a complicazioni degli organi pelvici. Il trauma è riconducibile a sollecitazioni trasversali (tendono ad avvicinare le due ali iliache), sagittali (ovalizzazione trasversale del bacino), verticali (dissociamento di un emibacino dall’altro). Ne esistono diversi tipi particolari: • Frattura doppia verticale di Malgaigne: frattura longitudinale della porzione posteriore dell’ala iliaca (in prossimità della sincondrosi sacro-iliaca), associata a frattura ischio-pubica ed ileo-pubica, oppure associata a disgiunzione della sinfisi pubica. • Frattura quadrupla verticale di Tanton: è rara. È la frattura di Malgaigne bilaterale. Si associa sempre a gravi danni degli organi interni. È tipica delle frane. • Frattura di Voillemier: frattura delle branche ilio-pubica ed ischio-pubica, con frattura longitudinale della porzione alare del sacro, in corrispondenza dei forami sacrali. • Frattura bilaterale del pube: frattura verticale che interessa bilateralmente le branche ischiopubiche ed ileo-pubiche. Il frammento a farfalla si sposta verso la cavità pelvica, mentre gli emibacini tendono ad aprirsi a libro. • Frattura monolaterale del pube: una delle due branche o entrambe, ma sempre monolaterale. È il tipo di frattura meno grave. Le complicazioni sono tante e varie. La lesione ossea isolata non è gravissima, quanto le complicanze immediata (generali o locali) che l’accompagnano. NB. Difficile diagnosi solo con RX, necessaria TC bacino, spt 3D, RM, ECO. L’approccio deve sempre includere il chirurgo spec. • Shock: secondario a contusione degli organi pelvici. • Lesione app. urinario: le più frequenti. Interessano vescica e uretra. La rottura di vescica si verifica in stato di replezione dell’organo: può essere intra- o extraperitoneale. La rottura intraperitoneale è più rara e si manifesta con versamento di sangue e urina nella cavità; la rottura extraperitoneale si manifesta con raccolta di sangue e urina nello spazio perivescicale, nelle fosse iliache ecc… La rottura dell’uretra, spt la porzione membranosa, si manifesta con disuria, uretrorragia, dolore alla palpazione perineale e rettale, impossibilità di cateterismo. • Lesioni visceri addominali: rottura di ansa intestinale, di un mesentere, del colon ecc… • Lesioni vascolari con profuse emorragie se ai grossi vasi come arteria e vena iliaca (trombosi). La sintomatologia è legata alla completa impotenza funzionale degli arti inferiori, dolore diffuso a tutto il bacino, accentuato dalla pressione bimanuale sulle ale iliache (frequente anuria). Il trattamento è cruento in urgenza, spt per le complicanze. Se non esistono complicanze, il trattamento prevede immobilizzazione a letto su piano rigido per 30-40 gg, con bacino sostenuto da un’amaca e fasciato per evitare diastasi ossea. È possibile effettuare sintesi ossea cruenta (placche, viti, fissatori esterni ecc…). Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 39 di 59 Fratture del Cotile La maggior parte di queste fratture si verifica o per caduta o durante incidenti automobilistici, per l’urto del ginocchio contro il cruscotto. Il danno è sempre diretto e la testa del femore agisce da ariete contro la parete posteriore, superiore o contro il fondo dell’acetabolo. Frattura del cotile senza lussazione Urto moderato e assenza di modificazione rapporti articolari. Le fratture sono diverse: • Ciglio: solo il ciglio posteriore del cotile. • Ciglio-parietali senza spostamento: parete e ciglio posteriore senza dislocazione dei frammenti. • Ciglio-parietali con spostamento di uno o più frammenti del ciglio e della parete posteriore. • Tetto-parietali: tetto e parete posteriore del cotile con o senza scomposizione dei frammenti. • Fondo del cotile: variabile per grandezza e dislocazione dei frammenti. Non sufficiente solo la RX, necessaria stratigrafia o TAC. La sintomatologia è caratterizzata da impotenza funzionale totale, dolore spontaneo alla pressione su grande trocantere e dalla successione sul calcagno. La complicanza è sempre una più o meno grave artrosi d’anca. Il trattamento varia in base ai tipi di lesione. • 1, 2 e 5: ciglio, ciglio-parietali senza spostamento e fondo; iniziale riposo a letto; poi scarico completo dell’anca con gesso o tutore pelvicondiloideo e staffone di scarico. Dopo 4 mesi, si passa al carico. • 3 e 4: ciglio-parietale con spostamento e tetto-parietali; si altera la funzione continente e portante dell’articolazione, per cui si necessita di riduzione cruenta e osteosintesi e poi vedi su. Frattura del cotile con lussazione posteriore della testa femorale Urto di particolare intensità. La porzione superiore o postero-superiore del cotile si distacca e la testa del femore si disloca posteriormente. Qui le lesioni ossee sono molto evidenti, potendo interessare una porzione più o meno ampia della cavità acetabolare. Generalmente la frattura determina distacco di un frammento osseo triangolare (ma è possibile la pluriframmentazione). La testa del femore si sposta in alto e posteriormente. La capsula articolare è lacerata in tutta la porzione posteriore e disinserita dal bordo cotiloideo, privata delle sue connessioni vascolari (presupposto per artrosi). La sintomatologia è legata a grave shock, impotenza funzionale totale e vivissimo dolore. Le complicazioni sono varie: • Immediate: lesione del nervo grande sciatico con paralisi dei muscoli innervati dallo sciatico popliteo esterno (no flessione dorsale e pronazione piede, anestesia sulla faccia laterale della gamba e del dorso del piede); la lesione avviene per stretching, raramente per strappo. Un'altra complicanza può essere l’irriducibilità della frattura per interposizione di frammento osseo. • Tardive: recidiva alla lussazione per mancata ricostruzione del cotile, necrosi avascolare della testa del femore, artrosi dell’anca per incongruenza dei rapporti articolari e per il danno subito dalla cartilagine articolare. Il trattamento prevede la riduzione in urgenza della lussazione in anestesia generale. Si applica, poi, una trazione transcondiloidea femorale: evitare recidiva e diminuire pressione tra testa e cotile. Si procede, poi, alla ricostruzione cruenta della parete cotiloidea ed alla sintesi con viti, cambre ecc… Successivamente si usa apparecchio gessato pelvipodalico con scarico dell’anca mediante appoggio sulla tuberosità ischiatica. Il carico attivo dopo almeno 4 mesi. Frattura del cotile da sfondamento centrale e lussazione intrapelvica È un casino! L’urto di forte intensità determina frattura del fondo e sfondamento e dislocazione intrapelvica della testa femorale con incarcerazione. il quadro clinico è dominato dallo shock e dalla impotenza funzionale totale. Tra le complicanze si ha l’artrosi dell’anca, sempre grave che può determinare rigidità ed anchilosi. Il trattamento è generalmente incruento: trazione lungo asse Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 40 di 59 femorale e trocanterico (transcondiloideo e transtrocanterica); segue immobilizzazione in pelvipodalico per due mesi. Il carico diretto dopo 4 mesi. In irriducibilità si ricorre al trattamento cruento. FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE FRATTURE DELL’ESTREMO SUPERIORE DEL FEMORE Spt negli anziani per danni di modesta entità all’anca, come banali cadute. Il fattore predisponente principale è l’osteoporosi, spt per le donne. Esistono zone più o meno colpite da questo processo. La zona cervicale del femore, infatti presenta tre zone di rinforzo: • Branca interna – sistema cefalico: a partire dalla corticale postero-mediale, si dirige verso la porzione superiore della testa del femore anteriormente. • Braca esterna – sistema trocanterico: a partire dalla corticale postero-mediale, si dirige verso il grande trocantere anteriormente. • Braca trasversale – sistema arciforme: a partire dalla corticale esterna infero-trocanterica della diafisi femorale si dirige alla porzione inferiore della testa. Parimenti, queste branche formano una zona di minore resistenza: il triangolo di Ward; questa zona è più soggetta a lesioni e tende ad aumentare d’ampiezza nel corso del tempo. Classificazione Le lesioni sono classificate in base a rapporto tra lesione e inserzione distale della capsula. La capsula ha inserzione a livello del collo del femore: nella porzione anteriore si inserisce a livello della linea intertrocanterica; nella porzione posteriore si inserisce a livello della metà del collo femorale. Si disegna, così, un piano immaginario obliquo dall’indietro all’avanti e dall’interno all’esterno che divide il collo in una porzione mediale (intrarticolare) e laterale (extrarticolare). La prognosi varia, inoltre, in base al tipo di lesione (mediale o laterale), per il tipo di vascolarizzazione. Il settore mediale è irrorato solo dai rami provenienti dalle a. capsulari (circonflessa anteriore e posteriore, rami ascendenti della circonflessa del femore), data l’obliterazione dell’a. del legamento rotondo in età senile: i rami penetrano nell’osso a livello dell’inserzione distale e risalgono medialmente. Una frattura mediale (a monte dell’inserzione), interrompe il circolo endo-osseo, disturbandone la consolidazione e la nutrizione. Il settore laterale (base impianto collo, regione trocanterica e sottotrocanterica) è irrorato dalle a. capsulari e anche dalle a. traversa (ramo della circonflessa del femore); una frattura a questo livello lascia indenne la circolazione endo-ossea. • • Fratture mediali: sottocapitate (zona adiacente testa del femore) e medio-cervicali o transcervicali, sempre intrarticolari. Fratture laterali: basicervicali (base collo anatomico), pertrocanteriche (spessore del grande trocantere fino al piccolo trocantere), sottotrocanteriche, tutte extrarticolari. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 41 di 59 L’azione muscolare tende a spostare i frammenti ossei. Il segmento distale ruota sempre verso l’esterno ed è tirato verso l’alto; il segmento prossimale si sposta poco grazie alla robusta capsula, ma può seguire il frammento distale se si ha ingranamento. Gli spostamenti hanno varia entità. La sintomatologia varia in base al livello della frattura. • Fratture laterali: extrarotazione netta dell’arto (pz supino il margine esterno del piede sul letto), dolore in regione anca esterna, impotenza funzionale, accorciamento dell’arto e risalita trocant.). • Fratture mediali: no accorciamento ed extrarotazione o modeste, dolore inguinale, impotenza funzionale ridotta (specialmente nelle fratture ingranate). Sempre effettuare RX. La prognosi, come detto precedentemente, è molto più buona per le fratture laterali che non per le mediali, a causa della vascolarizzazione “precaria”. Le complicazioni sono: • Precoci: sempre generali; broncopolmoniti ipostatiche da scarsa ventilazione polmonare, piaghe da decubito (spt sede sacrale), cistopieliti (stasi urinaria), flebotrombosi ecc… Ognuna può aggravare il quadro generale, fino all’exitus del paziente. • Tardive: sempre locali. • Pseudoartrosi del collo del femore: è rara e solo per fratture mediali, anche dopo osteosintesi; all’RX la rima di frattura è visibile, i margini sono sclerotici, il collo è ridotto in lunghezza o anche scomparso per riassorbimento. • Necrosi asettica della testa: appannaggio solo delle fratture mediali. Si riscontra nelle fratture più mediali, quelle sottocapitate, anche dopo corretta osteosintesi. È subdola: persistenza e aumento progressivo del dolore all’anca. All’RX si riscontrano zone di addensamento (necrosi spongiosa) e deformazione del profilo (schiacciamento trabecole). • Viziosa consolidazione: responsabile dell’insorgenza di artrosi, se in varismo; in valgismo è ben tollerata. Il trattamento varia in base alla frattura. • Mediali: trattamento cruento di sintesi o di protesizzazione. L’osteosintesi del collo è effettuata nei meno anziani e nelle fratture con modesta o assente scomposizione. L’intervento consiste nel compattamento dei frammenti e avvitamento mediante viti di diverso tipo. Il pz può muovre l’arto a letto e la deambulazione va dopo pochi giorni con carico su arto dopo 3 mesi. La protesizzazione è l’intervento elettivo, spt se ci sono molti frammenti, o per lesioni sottocapitate. Consiste nella rimozione chirurgica di testa e collo e loro sostituzione con protesi di metallo o altro ancorata alla diafisi mediate uno stelo endomidollare. Per evitare alterazioni al cotile, si usano oggi le protesi biarticolari. Dopo pochi giorni dall’intervento, si può deambu-lare con bastoni canadesi. • Laterali: anche qui si può effettuare intervento cruento, spt dopo riduzione transcondiloidea. La sintesi si effettua mediante vite-placca: una vite è inserita dalla porzione sottotrocanterica fino alla testa del femore; a questa vite è collegata una placca che, poggiando sulla corticale esterna, ad essa è adesa mediante altre viti transossee. Non sussistendo il pericolo di necrosi, il carico può essere molto precoce. • Pseudoartosi nelle fratture mediali: rimozione di eventuali mezzi di sintesi e protesizzazione. • Necrosi asettica: identico trattamento. • Consolidazione in varismo: osteotomia correttiva. Fratture della Diafisi Femorale Necessari fortissimi traumi, come gravi incidenti del lavoro o del traffico e perciò l’età media è la più colpita. Si localizza spesso al terzo medio e più di rado al altri livelli e frequente è la presenza di diversi frammenti. Nei bambini la rottura è spesso incompleta e sottoperiostea, evitando frammenti e migliorando la prognosi. La lesione determina sempre angolazioni varie: • Seno aperto internamente: spt fratture prossimali con spostamento del frammento prossimale all’esterno e in avanti (glutei e psoas) e del segmento distale all’inteno ed in alto (adduttori). Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 42 di 59 • Seno aperto esternamente: spt fratture distali con spostamento del frammento prossimale all’interno (adduttori) e del frammento distale all’indietro (bicipite femorale e semitendinoso e semimembranoso) e tende alla flessione (gemelli). • Accavallamento dei frammenti, spostamenti laterali, rotazioni ecc… La sintomatologia è dominata da: • Deformità per procurvamento o escurvamento della coscia, accorciamento o rotazione dell’arto. • Dolore spontaneo e provocato al minimo spostamento, intollerabile. • Impotenza funzionale completa. Esistono diversi tipi di complicanze. Quelle immediate sono: shock pressoché immediato; embolia adiposa rara; interposizione di fasci muscolari e lembi di tessuto tra i frammenti che possono limitare la riduzione ossea. Quelle tardive sono: rigidità del ginocchio da prolungata immobilizzazione in gesso, pseudoartrosi, viziosa consolidazione. Il trattamento è variabile. Nei bambini la consolidazione è più rapida (45 gg) e il trattamento è incruento: trazione transcheletrica, riduzione e immobilizzazione in pelvipodalico. Negli adulti il trattamento, di norma, è cruento per la necessità di abbreviare i tempi di recupero. Si effettua inchiodamento midollare o fissatori esterni, spt in lesioni con molti frammenti. L’intervento di inchiodamento può essere effettuato a cielo aperto o a cielo chiuso. Spesso si usano, nelle fratture plurifocali e pluriframmentate, i chiodi bloccati. Dopo pochi giorni si ottiene una sintesi solida che permette i movimenti e la deambulazione con bastoni canadesi dopo 2-3 settimane. Fratture del Ginocchio Fratture sovracondiloidee di femore Non sono frequenti. Colpiscono di solito i giovani. Interessano la metafisi distale di femore, subito sopra il massiccio epifisario, distaccandolo, quando complete, totalmente; in questi casi, inoltre, vi è sempre uno spostamento del frammento distale posteriormente (mm. gemelli) e l’apice della frattura può determinare compressione, danno o lesione di arteria poplitea e nervo sciatico popliteo interno. Si rende, in questi casi, necessario il controllo costante di polso pedideo e controllo dei mm. flessori del piede. Il trattamento è incruento se non esiste spostamento. Se è presente, si usa la classica placca a L avvitata. Consolidano in 40-50 giorni. Fratture dei condili femorali Sono monocondiloidee o bicondiloidee, con una rima di frattura a Y o a T. Raro è lo scoppio epifisario. Accadono spesso per caduta o per stress in varismo o valgismo. Si trattano spesso cruentamente, con osteosintesi con viti, seguita da immobilizzazione in femoro-podalico per 40 gg. Fratture della rotula Le fratture della rotula sono molto frequenti, specialmente negli adulti. Il trauma è spesso diretto, come l’urto al cruscotto in auto, e si rende sempre necessario un controllo al cotile per eventuale danno indiretto. Le fratture sono: • Comminute. • Trasversali: possono presentare anche lesione del tendine del quadricipite e dei legamenti alari, con interruzione della continuità ed interposizione di lembi di tessuto fibroso tra i frammenti; in questo caso il frammento distale è tirato verso l’alto e quello distale resta in basso. • Sagittali: rima di frattura verticale con legamenti alari indenni e la tensione del quadricipite non determina spostamenti né diastasi. • Parcellari: necessaria attenzione nella DD con rotula bipartita, condizione bilaterale di incompleta saldatura tra diversi nuclei di ossificazione. • Infrazioni. La sintomatologia è tipica nelle fratture trasversali complete: Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 43 di 59 • • • • • Solco trasversale, a occhio nudo e alla palpazione. Tumefazione e emartro. Dolore spontaneo e alla palpazione. Motilità preternaturale – solo nelle condizioni gravi che ledono anche i legamenti. Impotenza funzionale nell’estensione e conservazione della flessione (anche se limitata dal dolore). La diagnosi si basa sempre su indagine RX (anche del cotile). Bisogna porre DD con rottura del tendine del quadricipite (il solco si apprezza solo in fase di contrazione muscolare e la patella si apprezza tutta intera) e con la rottura del legamento rotuleo (dolore localizzato distalmente alla patella che è più su rispetto alla controlaterale). Le complicazioni sono immediate (escoriazioni, flittene, esposizioni, associazione di frattura del cotile) e tardive (pseudoartrosi, rigidità del ginocchio per aderenze e prolungata immobilità, artrosi femoro-rotulea). Il trattamento prevede u approccio incruento (nelle infrazioni o rotture longitudinali con ginocchiera o tutore per 20-30 gg) e cruento (cerchiaggio metallico dopo toiletta, tutore per 30 gg e FKT). Frattura del piatto tibiale La frattura può colpire il condilo estrerno, quello interno o entrambi. Si può configurare una frattura a V, T, Y, con apice in alto. Queste fratture possono avvenire per caduta, per traumi diretti, come un paraurti di un’auto, e cmq tutte le forti sollecitazioni varizzanti o valgizzanti. Si parla di infossamento quando si ha una frattura di un emipiatto o di un emicondilo con sprofondamento nella spongiosa epifisaria del piatto stesso e livellamento della superficie articolare. Si parla, invece, di frattura verticale, quando un si ha completo isolamento di un emipiatto. Spesso le due alterazioni coesistono. La sintomatologia varia: • Lesioni lievi: modesto infossamento, infrazione; si ha dolore al carico e alla pressione. • Lesioni più gravi: infossamento notevole, diastasi interframmentaria, scomposizione; si ha: • Tumefazione notevole con diastasi e slargamento epifisi prossimale della tibia e emartro. • Ecchimosi alla gamba e poplite. • Dolore vivissimo alla palpazione su uno o entrambi i condili. • Impotenza funzionale al carico e alla particolarità. • Deformità in varismo o valgismo. Le complicazioni sono immediate (rottura di uno o più legamenti, eventuale compromissione dello sciatico popliteo esterno a livello della testa del perone) e tardive (artrosi, per incongruenza delle superfici articolari, ginocchio varo o valgo per insufficiente riduzione della frattura, lassità articolare). Il trattamento prevede esami quali stratigrafia o TAC per meglio definire il danno. • Assenza di livellamento: immobilizzazione in femoro-podalico per 40 giorni, no carico per 60g. • Infossamenti e fratture scomposte: intervento cruento di ricostruzione del piatto tibiale. Nel semplice infossamento, si ricostruisce il piatto tibiale risollevandolo, con la spongiosa subcondrale, inserendo pezzi di osso tibiale metafisi prossimale; poi si sostiene con una vite. Le viti possono essere usate anche nei distacchi epifisari e nelle fratture verticali. Segue sempre immobilizzazione in femoro-podalico per 30-35 gg.; carico dopo 3 mesii. Fratture delle spine tibiali Sono rare. Possono essere isolate, bilaterali, o di tutta la l’eminenza intercondiloidea. Si verificano per trauma diretto: strappamento dei crociati per ipersollecitazioni in estensioni o valgismo. Si ha dolore, emartro, impotenza. Il trattamento è di norma incruento: femoro-podalico per 40 gg. Se lo spostamento è eccessivo con alterazione dei crociati, si passa alla via cruente seguita da ginocchiera gessata per 30 giorni. Altro tipo di solidarizzazione è quella con fili a ponte sul piatto tibiale, effettuata in artroscopia. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 44 di 59 Fratture di Gamba Si intende la frattura di tibia e perone contemporaneamente nel loro tratto diafisario. Sono molto frequenti, sia nel bambino che nell’adulto, sia per trauma diretto che indiretto: in questo caso si hanno fratture spiroidi per la torsione delle ossa sul proprio asse longitudinale, prima di tibia e poi di perone, la cui frattura è sempre più prossimale. Esistono diversi tipi di frattura: • A legno verde o sottoperiostee, tipiche dell’infanzia. • Trasversali complete (diretto), spesso al terzo medio della dialisi. • Oblique (indiretto), anche queste al terzo medio. • Spiroidi (indiretto); in genere la tibia si frattura al terzo medio o inferiore e perone più su. • Bifocali. • Con un terzo frammento. • Pluriframmentarie (diretto). Le fratture complete, a due frammenti, la scomposizione costituisce la regola; si associa sempre angolazione (valgismo o recurvato), risalita frammento distale (contrattura dei muscoli della loggia laterale e posteriore), rotazione frammento distale (gravità con rotazione esterna). La sintomatologia è modesta nelle fratture a legno verde e sottoperiostee, caratterizzate da dolore sul focolaio di frattura; è molto spiccata nelle fratture complete: dolore vivo, impotenza funzionale, deformità per accavallamento dei frammenti e angolazione, eventuale ecchimosi e tumefazione. Le complicazioni sono immediate (esposizione e mortificazione di ampie zone cutanee e flittene cutanee per turbe circolatorie da edema); esistono complicanze precoci (irriducibilità della frattura per interposizione lembi muscolari o piccoli frammenti ossei nella rima di frattura, instabilità della riduzione nelle fratture spiroidi con formazione di asola periostale12); esistono complicanze tardive (ritardo di consolidazione, anche in rapporto alle caratteristiche ossee e del circolo ematico ed alla scarsa superficie di contatto tra i frammenti, viziose consolidazioni). Il trattamento varia. • Incruento: nei bambini, nelle lesioni incomplete e non scomposte dell’adulto. Se esiste scomposizione si provvederà alla riduzione mediante trazione transcalcaneare su telaio di Braun per alcuni giorni, dopodichè si tenderà a correggere, con eventuali manovre ed in anestesia generale, le ulteriori scomposizioni presenti. A riduzione ottenuta, si effettua immobilizzazione gessata con femoro-podalico con ginocchio flesso per almeno 30gg e poi a ginocchio esteso in carico per altri 40-50 giorni; infine gambaletto per altri 30-40 gg. Si può ricorrere, spesso, all’uso di gesso funzionale per evitare prolungate immobilizzazioni. • Cruento: spt nelle fratture complete di gamba dell’adulto. Ciò mira ad evitare alterazioni dei trofismo dei tessuti e prolungate immobilizzazioni e rigidità articolari. Nelle fratture spiroidi si usano viti transossee; nelle fratture trasversali e oblique si preferisce l’inchiodamento endomidollare a cielo chiuso se possibile; nelle fratture bifocali, pluriframmentarie e del terzo prossimale/distale si preferisce l’uso del chiodo bloccato; in quelle pluriframmentarie gravi si usa, infine, il fissatore esterno. Tutte queste tecniche evitano immobilizzazione gessata per troppo tempo e permettono il carico diretto dopo appena 20-30 gg. FRATTURE DEL COLLO DEL PIEDE E DEL PIEDE Fratture dei Malleoli I meccanismi secondo cui avvengono le fratture dei malleoli sono le eccessive sollecitazioni in varismo-adduzione-supinazione (frattura malleolo laterale), valgismo-abduzione-pronazione (malleolo mediale) e iperflessione plantare (margine psoteriose distale di tibia). 12 L’apice aguzzo e tagliente di un frammento può perforare il periostio restandone incarcerato. Il periostio, dotato di eccellente elasticità, permette la riduzione mediante trazione energica; quando si allenta la presa, però, il periostio, proprio grazie alla sua elasticità, scompone nuovamente il frammento richiamandolo nell’asola. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 45 di 59 • Monomalleolare: eccessiva sollecitazione in var-ad-s e val-ab-p o i-p; il malleolo si può fratturare all’apice o alla base d’impianto. In questa seconda evenienza può inclinazione verso l’interno o verso l’esterno, in dipendenza dalla pressione esercitata dall’astragalo o dai legamenti. È frequente, in queste fratture, la lesione dei legamenti della sindesmosi interossea con conseguente diastasi intermalleolare (diastasi della pinza tibio-peroneale). La frattura del solo margine posteriore distale di tibia è detta frattura di Destot. • Bimalleolare: se le sollecitazioni meccaniche in var-ad-s continua, oltre la rottura del malleolo laterale, si può avere frattura del malleolo mediale per urto dell’astragalo. Viceversa, se le sollecitazioni meccaniche in val-ab-p continuano, l’astragalo urta contro il malleolo laterale, fratturandolo; si possono associare a sublussazione laterale del piede. • Trimalleolare di Cotton: comprende anche la lesione del margine posteriore della tibia. Possono associarsi o meno a lussazioni laterali o posteriori del piede. • Di Dupuytren: frattura malleolo mediale e frattura sopra malleolare di perone (5-7 cm dall’apice distale); persistenza di sollecitazione in val-ab-p. • Di Maisonneuve: frattura malleolo laterale e frattura spiroide alta del perone per sollecitazione in val-ab-p associata a forte componente rotatoria. In tutti i casi si può verificare una sublussazione o lussazione dell’astragalo e, quindi, di tutto il piede, all’interno, all’esterno o posteriormente. La sintomatologia prevede dolore e tumefazione locale nelle infrazioni e nelle modeste fratture di malleolo. Negli altri tipi si ha anche ecchimosi, dolore spontaneo e non solo al carico o palpazione, impotenza funzionale. NB Ricercare sempre diastasi della pinza tibio-calcaneare con RX comparativa delle caviglie. Eventuali colpi d’ascia nelle fratture con lussazione o sublussazione per spostamento e disassiamento. Le complicazioni sono immediate (esposizione e turbe vascolari nelle forme con lussazione), precoci (flittene, flebiti e flebotrombosi), tardive (osteoporosi post-traumatica – sindrome di Sudek – osteoporosi del malleolo tibiale da disassiamento, i9nstabilità articolare, viziosa consolidazione con artrosi post-traumatica e limitazione funzionale). Il trattamento varia. • Incruento: fratture monomalleolari senza spostamento – gambaletto gessato per 30 giorni; fratture monomalleolari con diastasi della pinza – femoro-podalico a ginocchio flesso per 20 gg e poi gambaletto per altri 20gg. • Cruento: fratture bi- e tri- malleolari scomposte o lussazioni dell’astragalo; irriducibilità della frattura; persistente diastasi della pinza - osteosintesi con chiodino o vite malleolare, spt riassorbibile. Dopo sempre immobilizzazione per 45 gg e poi FKT. FRATTURE DELL’ASTRAGALO Sono fratture rare ma meritano un cenno importante per le gravi conseguenze. Per traumi indiretti, spt per iperflessione del piede, che tende a spingere il margine anteriore dell’epifisi distale della tibia contro il sottostante astragalo fino a fratturarlo. • I grado: senza spostamento dei frammenti. • II grado: separazione e sublussazione del corpo dell’astragalo. • III grado: fuoriuscita completa dell’astragalo dalla pinza bimalleolare. N.B. Queste condizioni determinano sempre alterazione nutritizia alla testa ed al corpo dell’astragalo. Le sedi di lesioni possono variare: • Schiacciamento del corpo. • Frattura della testa. • Frattura di Shepherd: frattura dell’apofisi posteriore. !!! In DD con l’os trigonum: sesamoide di facile riscontro in sede retroastragalica. Una RX comparativa all’altra caviglia è dirimente. La sintomatologia prevede: dolore alla pressione ed alla prono-supinazione; tumefazione ed ecchimosi al collo ed al dorso del piede; deformità, spt se si associa lussazione posteriore. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 46 di 59 Le complicazioni sono immediate (turbe pascolo-nervose), tardive (necrosi asettica con gravi conseguenze – si riscontra con l’addensamento dell’astragalo in contrasto con l’osteoporosi diffusa del piede legata all’immobilizzazione – e l’artrosi della sottoastragalica – si manifesta con dolori vivi durante il cammino per sollecitazioni in varismo-supinazione e valgismo-pronazione – o l’artrosi tibio-tarsica). Il trattamento è sempre cruento se c’è lussazione o sublussazione: riduzione e sintesi della frattura mediante fili di Kirschner transcutanei o una o più viti. Immobilizzazione in gambaletto per 40 gg nelle fratture composte e almeno 60 per le scomposte. Periodi minori solo nelle fratture parcellari o dell’apofisi posteriore. Fratture del Calcagno Sono molto frequenti, spt per gli adulti e per trauma diretto (caduta dall’alto sui talloni). Il calcagno è un osso spugnoso rivestito da una corticale molto sottile che si ispessisce in corrispondenza della superficie articolare antero-laterale per le maggiori sollecitazioni dell’astragalo; qui raggiunge unop spessore di 5mm, costituendo il cosiddetto talamo. I rapporti articolari tra calcagno e astragalo sono definiti tra loro dall’angolo tuberositario di Böhler: è l’angolo risultante dall’incrocio di due rette; la prima passa per il punto più elevato del talamo e il punto più prominente della grande apofisi e l’altra passa per il punto più elevato del talamo e il punto più prominente della grande tuberosità. VN = 25°-40°. • Fratture extratalamiche: isolate delle apofisi. • Tuberosità posteriore: se localizzata distalmente all’inserzione del tendine d’Achille, può aprirsi a “becco d’oca”. • Piccola apofisi: strappamento da parte delle strutture legamentose. • Grande apofisi: molto rara. • Isolate del corpo: pre- e retro-talamiche; qui bisogna sempre cercare eventuale infossamento che possono modificare i rapporti astragalo-calcaneari. Le fratture possono avere rima trasversale, obliqua, sagittale, irradiatesi posteriormente o anteriormente. • Pluriframmentarie. La sintomatologia prevede: dolore spontaneo, al carico, alla pressione bidigitale, alla percussione, ecchimosi a sede plantare, deformità per slargamento del retropiede e appiattimento della volta longitudinale, impotenza funzionale. All’RX bisogna sempre ricercar l’angolo tuberositario di Böhler, secondo il quale si distinguono: • Infossamento I grado: ridotto a 10-15° • Infossamento II grado: annullato. • Infossamento III grado: invertito. Le complicanze immediate citiamo solo l’esposizione, oltretutto rara; tra quelle tardive citiamo l’osteoporosi, l’artrosi della sottoastragalica, il piattismo del piede (causa di facile stancabilità alla stazione eretta ed alla deambulazione). Il trattamento varia: • Incruento: frattura solo delle apofisi e nelle fratture del corpo in cui l’ancolo tubero-articolare di Böhler è conservato; gambaletto gessato per circa 2 mesi con caratteristiche di carico. • Cruento: tutte le lesioni con infossamento per cui è necessario ripristinare l’angolo tuberoarticolare; si effettua riduzione con viti, fili, mini placche e poi si usa il gambaletto; infine calzatura ortopedica con plantare per ripristinare la volta longitudinale. NB IL trattamento è sempre cruento nelle fratture a becco d’oca della tuberosità posteriore. Altre fratture del piede • Scafoide, cuboide e cuneiformi: sintomatologia blanda e ecchimosi nelle lesioni parcellari; dolore vivo ed anche tumefazione nelle gravi. Nelle lesioni con lussazione di scafoide si ha deformità (cavismo e sporgenza dell’osso sul dorso del piede); gambaletto per 1 mese. • Metatarsi: alla diafisi, al collo (sottocapitate), all’epifisi prossimale (di base); spesso d atrauma diretto, raramente da stress o da durata. Frequente quella della base del V metatarso, nelle Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 47 di 59 • distorsioni dell’avamnpiede, per strappamento del peroneo breve che vi si inserisce. Necessario stop di 30 gg.; in quelle da durata lo stop è di 3 mesi. Falangi: diretti, spt alluce; tutela con bendaggi adesivi per 15-20 gg. DISTACCHI EPIFISARI Sono lesioni frequenti, appannaggio dell’infanzia e dell’adolescenza. In queste età le cartilagini di coniugazione sono punti di minore resistenza, creando una discontinuità ossea tra diafisi ed epifisi. Il distacco consiste nella separazione traumatica di un nucleo d’accrescimento fisiario dalla rispettiva sede d’impianto. • Distacchi puri: soluzione di continuo coincide con la cartilagine di coniugazione. • Distacchi misti: soluzione di continuo che interessa anche l’estremità distale del tessuto osseo sul quale si impianta la cartilagine di coniugazione. Secondo la classificazione di Salter e Harris esistono 5 tipi di distacchi epifisari • I: puro. Periostio non compromesso. Durante l’infanzia. Le complicanze sono rare. • II: è il più frequente. Il periostio mantiene la sua continuità in corrispondenza della frattura, ma è interrotto a livello dell’epifisi. Accade spesso dopo i 10 anni. L’epifisi porta con se un frammento metafisario. La ripresa è ottima. • III: si ha distacco epifisario dal resto dell’epifisi salda e dalla cartilagine dell’accrescimento. Spesso dopo i 10 anni. La zona di accrescimento è quasi fusa. Il periostio sembra integro. • IV: la soluzione di continuo distacca parte della metafisi, interessa la cartilagine di accrescimento, distacca un nucleo di accrescimento epifisario. Il periostio si rompe all’altezza della frattura metafisaria. Può avvenire a tutte le età. La crescita può essere alterata. • V: avviene per carichi severi sull’asse longitudinale delle ossa. I nuclei di accrescimento sono compressi e perdono le potenzialità di crescita. Possono derivarne crescite con deviazioni angol. I distacchi possono verificarsi, inoltre, con dislocazione del nucleo epifisario (spostamento). Nei distacchi epifisari senza spostamento, è opportuno sempre fare RX comparativa. La sintomatologia prevede: dolore in sede metafisaria, tumefazione, impotenza funzionale, eventuale deformità per spostamento. Le complicazioni sono immediate (esposizione, infezione, turbe pascolo-nervose ecc… come per le fratture). Le tardive sono rappresentate dalle deformità per alterazione di osteogenesi. Per la prognosi, i distacchi guariscono sempre molto bene senza esiti, spt i tipi I, II e III. Nel IV e nel V si ha alterazione dell’accrescimento più o meno grave con deformità a distanza di tempo. Il trattamento è d’urgenza e la riduzione in narcosi va effettuata con rapidità. La contenzione è gessata per evitare recidive da scivolamento, spt per la detumefazione dell’arto in gesso. • Epifisi distale di Radio: è il più frequente. Come Colles o Colles invertita. È generalmente di tipo misto, accompagnata da frammento di cilindro diafisario. Frequentemente sussiste spostamento dorsale e radiale, con quadro clinico simile alla Colles. Si riduce come Colles. Si possono usare fili di Kirschner e poi immobilizzazione in brachio-metacarpale per 30gg. • Capitello radiale: non molto frequente; se esiste scomposizione si impone riduzione e fissazione temporanea con filo di Kirschner e brachio-metacarpale per 20 gg. • Condilo omerale esterno: frequente, spt a 4-5 anni, per caduta su gomito. È generalmente misto. Il nucleo, per i muscoli inseriti, si sposta distalmente e lateralmente ruotanto di 180°. Trattamento sempre cruento con filo di Kirschner e brachio-metacarpale per 30gg. • Epitroclea: 10-11 anni. È di solito puro e sotto l’azione dei mm. epitrocleari si disloca distalmente. Trattamento come sopra. • Epifisi prossimale di omero: frequente e spesso riferibile a trauma ostetrico, nel quale la sintomatologia può far sospettare esistenza di paralisi del plesso brachiale. Nei bambini non è molto frequente ed è misto. Se non c’è spostamento, si applica Desault per 20-30 gg. Se cìè spostamento, riduzione transolecranica e contezione toraco-metacarpale. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 48 di 59 • • • Distale di tibia: più frequente dell’arto inferiore. Di solito 12-16 anni. È misto e si associa anche a frattura del nucleo epifisario ed anche a frattura sovramalleolare del perone. Gli spostamenti non sono notevoli. La sintomatologia è come quella di fratture del piede. Eventuale riduzione in narcosi e femoro-podalico per 30 giorni; poi gambaletto per 30 gg senza carico. Epifisi prossimale di tibia: rara. Femoro-podalico per 45 gg, previa riduzione di scomp. Epifisi distale del femore: misto e raro. Trattamento come su. LUSSAZIONI Lussazione: perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un’articolazione. Sono molto meno frequenti delle fratture. Colpiscono principalmente gli adulti ed in ordine: spalla, gomito, dita, anca e ginocchio. Si distinguono in: • Complete: perdita totale dei rapporti articolari. • Sublussazioni: perdita parziale dei rapporti articolari. • Recenti: entro 24-36 ore. • Inveterate: verificate in periodo precedente. • Recidivanti: riprodotte in un periodo di tempo più o meno lungo per traumi anche modesti. • Abituali: se si riproducono con facilità, anche senza traumi. • Volontarie: se possono essere provocate dal paziente stesso. Le recenti sono dovute a traumi indiretti di intensità tale da superare la resistenza delle robuste strutture capsulo-legamentose. La sintomatologia preved: 1) deformità della regione; 2) caratteristica resistenza elastica apprezzabile nei tentativi di mobilizzazione; 3) impotenza funzionale. Le complicazioni sono immediate e tardive. Le immediate sono: 1) frattura-lussazione, 2) irriducibilità della lussazione; 3) turbe vascolari e nervose; 4) rara esposizione. Le tardive sono: 1) trasformazione in lussazione abituale (anche poi volontaria) per l’eccessivo danno capsulolegamentoso o per inadeguato trattamento; 2) necrosi asettica del capo articolare; 3) ossificazione articolare con possibile rigidità; 4) lassità articolare. Il trattamento prevede sempre la riduzione, quasi sempre per via incruenta; ciò va fatto entro le prime 24 ore. Poi immobilizzazione per 15-20 gg. La terapia cruenta è per le lussazioni irriducibili. Lussazione di Spalla – Lussazione Scapolo-Omerale Completa perdita dei normali rapporti articolari tra testa dell’omero e cavità glenoide. È la più frequente. Può avvenire in qualsiasi direzione, per l’alta mobilità della spalla. Esistono due gruppi principali: • Anteriori: • Sotto-coracoidea. • Sotto-glenoidea. • Intracoracoidea. • Sotto-clavicolare. • Sopracoracoidea. • Posteriore: • Sotto-acromiale. • Sotto-spinosa. La più frequente è la sotto-coracoidea e ci limitiamo a questa. Il meccanismo patogenetico è quasi sempre la caduta sulla mano o sul gomito, con arto a difesa e successivamente sollecitato in elevazione e reiezione; più raramente il trauma è per caduta sul moncone della spalla. La sintomatologia è tipica: • Appiattimento del profilo della spalla, con accentuazione profilo acromiale (se. della spallina). • Abduzione obbligata del braccio per 20-40°. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 49 di 59 • • Dolore e accentuazione ai tentativi di adduzione del braccio. Reperto palpatorio di assenza della testa omerale nella sua sede normale (cavo ascellare o regione sottoacromiale). • Reperto palpatorio di tumefazione sottoclavicolare. Le complicazioni sono diverse, immediate e tardive. IMMEDIATE • Frattura-lussazione di spalla: frattura a diversi livelli come il collo anatomico, il collo chirurgico (tipico degli anziani) o del trachite. Aggravamento quindi sempre fare RX. • Lesione del nervo circonflesso: è abbastanza frequente, dovuta a stiramento o strappamento delle sue fibre. Il nervo ha fibre motorie (mm. deltoide) e fibre sensitive (cute della regione deltoidea); per sicurezza e ragioni medico-legali, bisogna ricercare sempre la lesione, saggiando la sensibilità cutanea, data l’impossibilità di abduzione dell’arto. TARDIVE • Lussazione inveterata: il mancato trattamento adeguato non permettono più la riduzione per via incruenta. Si verifica una retrazione della breccia capsulare con suo ampliamento; da qui la testa dell’omero può fuoriuscire e lussarsi. La glena è vuota e si colma di tessuto fibroso, i muscoli periarticolari si atrofizzano, la testa omerale si deforma e decalcifica. • Lussazione recidivante e abituale: è una delle più frequenti, dovuta a insufficiente immobilizzazione di una lussazione recente. Può formarsi, infatti, un locus minori resistentiae, in corrispondenza del quale si può verificare recidiva della lussazione. Più spesso è presente una ben definita lesione anatomo-patologica, non diagnosticabile all’RX. Si verifica, infatti, il distacco dal bordo glenoideo di capsula e parte antero-inferiore del cercine (ciglio) fibrocartilagineo. Ciò amplia la cavità glenoide e non ripara. Sollecitazioni anche irrilevanti possono determinare recidiva. A lungo andare l’instabilità peggiora e la lussazione diventa abituale e volontaria. La prognosi è buona se il trattamento è appropriato. Nei pz < 20 anni, la recidiva avviene spesso. Negli adulti > 40 anni meno frequentemente. Il trattamento è sempre d’urgenza. • Nelle recenti si attua la riduzione in narcosi con due manovre: • Manovra di Kocher: 1) rotazione esterna e abduzione dell’arto a gomito flesso; 2) adduzione dell’arto, sempre ruotato esternamente, verso il torace e trazione verso il basso; 3) rotazione interna e intrarotazione e adduzione dell’arto al tronco. • Manovra di Ippocrate e Galeno: a pz supino, trazione dell’arto esteso e lievemente abdotto. L’operatore incunea il proprio calcagno nudo nel cavo ascellare e effettua controrotazione dell’arto. Manovre di intra- ed extrarotazione possono favorire tale procedimento. Durante queste manovre si appalesa sempre una sensazione di scatto ovattato. Si effettua sempre RX e poi Desault per circa 20 gg. • Lussazioni-frattura del collo chirurgico non si effettuano tali manovre, ma si procede con trattamento chirurgico e osteosintesi mediante chiodi, viti, fili di Kirschner. • Lussazioni-frattura di collo anatomico, per pericolo di necrosi asettica, si effettua asportazione della testa dell’omeriìo e protesizzazione. • Lussazioni inveterate si effettua, in caso di insuccesso della riduzione, chirurgia. • Lussazioni recidivanti e abituali si effettua chirurgia con ricostruzione capsulare e del cercine glenoideo, sia a cielo aperto che in artroscopia. Lussazione Acromio-Clavicolare Può essere incompleta o completa. Si verifica se si supera la resistenza del legamenti acromioclavicolari e spt dei più robusti legamenti coraco-clavicolari (trapezoide e conoide). È frequente negli sportivi e dovuta a caduta sul moncone della spalla. nelle sublussazioni la sintomatologia è modesta: dolore provocato sulla rima articolare acromio-clavicolare. Nelle lussazioni si ha vivo Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 50 di 59 dolore e segno del tasto di pianoforte: la pressione esercitata dal dito dell’esaminatore riduce la lussazione, ma questa recidiva appena la pressione cessa. Necessaria RX comparativa. Complicazioni immediate sono rare. Quelle tardive possono essere: 1) artrosi acromio-clavicolare; 2) calcificazioni coraco-clavicolari asintomatica. Il trattamento prevede immobilizzazione di spalla per 15-20 gg nelle sublussazioni e riduzione e fissaggio dell’articolazione cruenta (fili, placche) e poi immobilizzazione per 25-30 giorni. Lussazione del Gomito Dopo la spalla è la più frequente. Colpisce i bambini e l’età adulta. Si verifica per sollecitazioni in iperestensione (caduta su mano atteggiata a difesa con gomito in estensione). Abitualmente le due ossa dell’avambraccio lussano posteriormente e ciò si appalesa all’EO mediante il riscontro di deformità e inversione dell’angolo di Hüter (triangolo immaginario normalmente con base sulla linea intercondiloidea dell’omero e vertice sull’apice dell’olecrano – in semiflessione).13 Le complicazioni immediate sono l’associazione con frattura di coronide ulnare e/o capitello radiale e rara è l’esposizione. Le tardive sono rappresentate dalla rigidità, da ossificazioni periarticolari, artrosi post-traumatica. Lussazione dell’Anca È rara e tipica dell’adulto. Si verifica per violenta sollecitazione lungo l’asse del femore, a coscia flessa e in adduzione (urto al cruscotto con gambe accavallate). La testa femorale, fuoriesce dalla cavità cotiloide e si disloca. La lussazione tipica è posteriore in fossa iliaca esterna (lussazione iliaca); con altri meccanismi patogenetici, può lussare anche verso la spina ischiatica (lus. ischiatica), ma anche in sede anteriore, con lussazione otturatoria o pubica. È sempre un evento grave. La sintomatologia prevede: • Shock. • Dolore violentissimo. • Atteggiamento irriducibile della coscia in flessione, adduzione e rotazione interna (varietà iliaca e ischiatica) o in flessione, abduzione e rotazione esterna (varietà pubica o otturatoria). • Resistenza elastica ai movimenti passivi. • Impotenza funzionale. Le complicazioni sono immediate e tardive. Le immediate: • Irriducibilità: interposizione del cercine acetabolare tra testa femorale e cavità cotiloide. • Frattura del cotile. • Lesione del nervo sciatico, generalmente reversibile, per contusione o stiramento da parte della testa femorale, quasi sempre sono colpite le fibre dello sciatico popliteo esterno (incapacità a flettere dorsalmente e pronare il piede, anestesia sulla faccia laterale della gamba e del dorso p.). Le complicanze tardive sono rappresentate dall’artrosi post-traumatica e dalla necrosi asettica della testa del femore. Il trattamento prevede sempre la riduzione incruenta da attuarsi entro poche ore con manovre atte a far ripercorrere a ritroso il tragitto seguito durante il trauma. Poi segue immobilizzazione per 30 giorni a letto, poi 30 gg di pelvi-condiloideo con staffane di carico, poi 2-3 mesi di deambulazione assistita. LUSSAZIONI DELLE VERTEBRE Le vertebre possono dislocarsi senza frattura. Sono rare e di appannaggio esclusivo del tratto cervicale inferiore C3-C7; nel tratto dorsale e lombare le vertebre hanno una conformazione delle apofisi articolari particolare, quindi la dislocazione metamerica si associa sempre a frattura. La dislocazione può essere di vario grado, da 1-2 mm a tutta l’ampiezza del corpo vertebrale con restringimento del canale midollare. • Sublussazione. 13 DD con fratture sovracondiloidee dell’omero in cui il triangolo è normale. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 51 di 59 • Lussazione cavalcante: apofisi articolari a contatto solo degli apici. • Lussazione incastrata o incarcerata: le apofisi articolari si accavallano completamente. La sintomatologia si compendia nel dolore, rigidità, contrattura, atteggiamento in flessione, sporgenza della vertebra sottostante. Le complicazioni sono legate a deficit neurologici e sofferenza midollare e radicolare. La sofferenza radicolare prevede deficit degli arti superiori, mentre la sofferenza midollare prevede vere e proprie tetraplegie. Il trattamento consiste nella riduzione mediante fionda di Glisson o con staffa transparietale alla Crutschfield. Altre Lussazioni • Metacarpo-falangee: frequenti, ma di facile riduzione e blocco per 15gg. • Sterno-clavicolare: rara, per caduta sul moncone della spalla. Si appalesa salienza dell’estremità sternale della clavicola che spesso esita in deformità. • Capitello radiale: di norma si associa a fratture della diafisi ulnare: lesione di Monteggia. Spesso c’è sublussazione, tipica nei bambini, per brusche trazioni dell’avambraccio (caduta e genitore che tira il braccia). Si può avere una dislocazione incompleta del capitello radiale e il bambino ha atteggiamento di pronazione obbligata (pronazione dolorosa). • Polso: molto rare, spt dell’epifisi distale dell’ulna, quella tra radio e carpo (varietà anteriore e posteriore – simili a Colles e Goyrand), retrolunare del carpo (tutto il capro si lussa dorsalmente, ad eccezione del semilunare che resta in contatto il radio mediante il legamento triangolare). • Ginocchio: rara. Dislocazione dell’epifisi prossimale della tibia anteriormente ai condili femorali (lussazione anteriore) oppure posteriormente o lateralmente (lussazione posteriore o laterale). Quella anteriore può dare distensione dello sciatico popliteo esterno. Possono verificarsi anche lussazioni di rotula. • Collo del piede e piede: rare. Sono lussazioni tibio-tarsica, sottoastragalica (rispetto a scafoide o calcagno). Rarissime quelle medio-tarische e tarso-metatarsali, generalmente associate a frattura di scafoide e metatarsi. Frequente la lussazione metatarso-falangea del I dito. DISTORSIONI Distorsione: insieme di lesioni capsulo-legamentose prodotte da una sollecitazione che tende a modificare i reciproci rapporti dei capi articolari. Sono lesioni frequenti nell’età adulta e colpiscono, in ordine di frequenza: ginocchio, collo del piede, gomito, dita, rachide. Il trauma è sempre indiretto ed imprime all’articolazione una sollecitazione esagerata nei normali piani del movimento articolare o, spesso, secondo piani diversi. • Lievi: semplice distensione dei legamenti o della capsula; lacerazioni parcellari di fasci fibrosi. • Gravi: rotture di uno o più legamenti, disinserzione con eventuale strappamento della corticale ossea, lacerazioni capsulari ecc… La sintomatologia prevede: • Dolore nei punti di inserzione o sul decorso dei legamenti interessati, alla pressione o alle sollecitazioni e manovre semeiologiche. • Tumefazione: per emartro e/o infiltrazione nei tessuti molli. • Segni di lassità articolare: eventuali; in dipendenza dalla lacerazione completa di uno o più legamenti. Le complicazioni: • Calcificazioni para-articolari: al gomito è l’osteoma del brachiale anteriore; al ginocchio è la calcificazione del capo prossimale del L.C.I.. • Rigidità / lassità articolare. La prognosi è buona nelle distorsioni lievi; in quelle gravi, spt se non ben trattate, possono residuare lassità articolari predisponenti a futuri cedimenti, traumi distorsivi recidivanti, modifiche artrosiche. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 52 di 59 Anche nelle forme gravi il trattamento consiste nell’immobilizzazione con tutela rigida (gessata, vetroresina, tutore), previo intervento di ricostruzione eventuale. Nelle forme lievi si può effettuare bendaggio elastico. L’immobilizzazione va tenuta sempre per almeno 15-20 gg, per riassorbire edema e riparazione strutture legamentose. Distorsioni del Ginocchio Anatomia del ginocchio È un ginglimo angolare (troclea), costituita da femore, tibia e rotula. La superficie articolare del femore è offerta dai due condili, con interposta la faccia rotulea (troclea femorale); la superficie articolare della tibia è data dalle cavità glenoidee scavate sui due condili. Anteriormente si trova la rotula, osso sesamoide, compreso nel legamento rotuleo. Due fibrocartilagini, menisco mediale (una vera semiluna) e laterale (quasi una O completa)14, di forma semilunare, più spesse alla periferia, si interpongono tra le superfici articolari delle due ossa lunghe. I due menischi aderiscono perifericamente alla capsula articolare, in corrispondenza delle spine anteriori e posteriori della eminenza intercondiloidea, mediante il legamento trasverso anteriore e il legamento posteriore del menisco laterale (legamento di Wrisberg – particolarmente sviluppato in rapporto con l’estremità interna del menisco laterale). I menischi hanno una zona interna, definita triangolo d’appoggio, avascolare e poco deformabile, destinata a sopportare le forze di pressione esercitate dai condili femorali; all’esterno, invece, presentano una struttura ben vascolarizzata e innervata, fibroelastica e ben deformabile, chiamata paramenisco (muro meniscale), che si continua con la corrispondente porzione della capsula articolare. La loro funzione è quella di distribuire il carico su ampie superfici, spostandosi durante i movimenti di flesso-estensione (vedi oltre). Tra menisco esterno e capsula articolare, all’unione tra 1/3 medio e 1/3 posteriore, si forma uno jatus di minore resistenza che giustifica la maggiore mobilità del menisco stesso e lo rende meno vulnerabile agli stress. La capsula fibrosa unisce tra di loro le ossa. Si inserisce in dietro al femore, 1 cm sopra la cartilagine articolare e sui lati circa 5-6 mm sopra; anteriormente aderisce al contorno della patella; in basso la capsula si attacca ai condili tibiali, 4-5 mm sotto la cartilagine articolare.15 L’articolazione del ginocchio possiede diversi legamenti che formano due compartimenti divisi. Il comparimento centrale è composto dal pivot centrale (pilone) è costituito dai due legamenti crociati, che restano fuori dalla sinoviale: quello anteriore si tende dalla fossa intercondiloidea anteriore alla faccia mediale del condilo laterale del femore; quello posteriore punta sul condilo mediale con tragitto inverso. Anteriormente il legamento rotuleo, cordone fibrosi ed appiattito, si estende dall’apice della rotula alla tuberosità anteriore della tibia. Sul margine superiore della rotula si inserisce il tendine del quadricipite. Dai margini laterali della rotula si spiccano orizzontalmente due lamette fibrose, 14 Mnemonicamente OECI. La capsula articolare è molto sottile e lassa e permette che si determini un vasto cul di sacco della sinoviale che si solleva tra femore e la faccia posteriore del quadricipite. In questo spazio è presente la borsa sopra-patellare, una struttura sinoviale tesa da fibre muscolari provenienti dai fasci profondi del vasto intermedio: muscolo tensore della sinoviale del ginocchio. 15 Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 53 di 59 i legamenti alari (retinacoli) della rotula che si fissano agli epicondili femorali. Posteriormente giungono alla capsula fasci di rinforzo: il legamento popliteo obliquo e arcuato. Il primo proviene dal tendine del muscolo semimembranoso e si porta verso il condilo laterale del femore; il secondo è formato da fasci che convergono dalla tibia e dalla fibula verso la fossa intercondiloidea. Particolarmente robusti si presentano i legamenti collaterali; hanno forma di cordone cilindrico. Quello laterale, 5 cm circa, dall’epicondilo laterale del femore si porta alla parte antero-laterale della testa della fibula; quello mediale, nastriforme, lungo circa 9 cm, dall’epicondilo mediale si estende alla parte superiore del margine mediale della tibia, assumendo con la capsula maggiore aderenza. I legamenti collaterali, formano, insieme ad altri legamenti, altri compartimenti. Il compartimento mediale è costituito dal LCI, dal legamento posteriore obliquo (porzione posteromediale della capsula articolare) e dal tendine del m. semimembranoso. Il LCI è formato da un fascio superficiale, la cui parte posteriore costituisce il legamento obliquo, ed un fascio profondo costituito da due componenti, lig. menisco-femorale e lig. menisco-tibiale. In questo compartimento si crea anche il PAPI (punto d’angolo postero interno), formato dal corno posteriore del menisco interno, dal tendine del semimebranoso, dal lig. posteriore obliquo. Il compartimento esterno è costituito dal LCE, dal tendine del m. popliteo e dal tendine del m. bicipite femorale. In questo compartimento si crea il PAPE (punto d’angolo postero esterno), formato dal corno posteriore del menisco esterno , dal LCE e dal tendine m. popliteo. Su PAPI e PAPE agiscono delle forze ben definite che permettono lo slittamento all’indietro durante la flessione dell’arto: la tensione del m. semimembranoso sul PAPI e del m. popliteo sul PAPI; ciò permette lo scivolamento e una piccola deformazione in flessione dei menischi. Lo scivolamento anteriore dei menischi durante l’estensione dell’arto, è legata all’azione dei legamenti menisco-rotulei per azione del m. quadricipite. LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE ACUTE Patogenesi e Anatomia patologica I traumi di diverso tipo impegnano diversamente le strutture capsulo-legamentose: • Valgismo-flessione-rotazione esterna: LCI, PAPI, LCA. • Varismo-flessione-rotazione interna: LCE e LCA. • Valgismo-estensione: LCA e LCP. • Varismo-estensione: PAPE, LCP e LCA. • Retropulsione tibia: trauma sagittale in corrispondenza dell’epifisi prossimale della tibia con ginocchio in flessione; lesione LCP. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 54 di 59 • Iperestensione forzata: lesione LCA. Le lesioni possono essere centrali (LCROC associati o meno a alterazioni periferiche), periferiche (capsula, LCOLL), raramente totali. Possibili in tutti i casi le lesioni meniscali (vedi dopo). Esistono diversi gradi di danno: • I grado: semplice distensione o distrazione di fasci. • II grado: lacerazione legamentosa parziale. • III grado: lacerazione totale o avulsione legamentosa dalla inserzione ossea. Sintomatologia Si basa preliminarmente sul dato anamnestico di trauma al ginocchio, con improvviso dolore e sensazione di crack, come se qualcosa fosse andato fuori posto; segue instabilità al carico. Possiamo rilevare: • Atteggiamento in lieve flessione con impossibilità alla estensione. • Impotenza funzionale più o meno accentuata. • Tumefazione del ginocchio e eventuale ballottamento rotuleo per idrartro/emartro. • Dolore spontaneo diffuso e intenso. N.B. In alcuni casi di lesione grave il dolore può essere diminuito o assente per interruzione di vie sentitive afferenti, o per diffusione dell’emartro in sede extrarticolare (riduzione tensione della capsula). • Dolore a pressione sui compartimenti mediale e/o laterale. • Instabilità articolare, di facile riscontro a poche ore dal trauma; dopo giorni la contrattura muscolare antalgica rende difficile il riscontro di questo elemento. Esistono un “cuofano” di prove semeiologiche da poter effettuare per evidenziare l’instabilità articolare che possono, inoltre, suggerire la lesione più probabile. • Test di abduzione: stress in valgismo (mano a piatto a lato esterno del ginocchio e l’altra alla faccia interna del piede); da effettuare in estensione ed in flessione (30°). + in flessione = LCA; + in estensione = LCA e LCP. • Test di adduzione: stress in varismo con manovra opposta alla precedente, in estensione e flessione. + in flessione = PAPE; + in estensione = PAPE + LCP. • Test del cassetto anteriore: a ginocchio flesso a 90° a pz supino, sollecitazione in senso posteriore-anteriore sull’estremità prossimale della tibia; in posizione neutra, in rotazione interna e rotazione esterna; + in neutra = LCA; + in esterna = compartimento mediale e LCA; + in interna = LCA e LCP. • Test del cassetto posteriore: sollecitazione in senso antero-posteriore sull’estremità prossimale della tibia, con pz supino e ginocchio flesso a 90°; + = lesione LCP. • Jerk test: mano al calcagno e mano alla faccia esterna del ginocchio con arto in estesione; si effettuano movimenti di flesso estensione, dopodiché si effettua una rotazione interna di almento 20°; è + se si avverte una sensazione tattile e visiva di scatto alla faccia esterna del ginocchio; indica lesione LCA. • Lachman test: a ginocchio in lieve flessione, una mano tiene la coscia ferma, un’altra tiene l’estermità prossimale della tibia, sollecitandola verso l’alto e verso il basso; + se si sublussa la tibia = lesione LCA. • Test di gravità: pz supino con anche flesse a 90°, gambe flesse a 90° e calcagni appoggiati su piano rigido; + se si sublussa verso il basso la tibia = lesione LCP. RX e diagnosi Effettuare sempre RX in due proiezioni degli arti per escludere fratture concomitanti o distacchi ossei parcellari a livello delle inserzioni legamentose. La diagnosi è essenzialmente clinica, ma potrebbe essere necessario effettuare esame clinico in narcosi. Utile complemento è la TC e la RMN. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 55 di 59 Complicazioni IMMEDIATE Associazione eventuale di frattura di emipiatto tibiale o delle eminenze intercondiloidee o deficit dello sciatico popliteo esterno (rara) nelle lesioni varizzanti. TARDIVE • Instabilità di ginocchio: cedimento improvviso e insicurezza sotto carico per lesione LCA. • Calcificazione di Pellegrini-Stieda: calcificazione dell’estremo prossimale del LCM, secondaria alla disinserzione dal condilo femorale mediale: dolori persistenti e instabilità. Prognosi È legata al trattamento ed alla natura delle lesioni (periferiche o dei legamenti crociati), ed al loro grado (distensione, lacerazione parziale, rottura o disinserzione), ed alla loro associazione, ed alla tempestività del trattamento. Lesioni del pivot centrale non riparano spontaneamente e si richiede l’intervento di ricostruzione a cielo aperto o in artroscopia. Trattamento • Lesioni periferiche lievi: bendaggio elastico per 15-20 gg; eventuale artrocentesi e ginocchiera gessata o tutore femoro-malleolare per 20-30gg e FKT per le più gravi. • Lesioni centrali: spt per LCA è chirurgico mediante trapianto tendineo (semitendinoso, gracile, rotuleo, quadricipite) o sutura termino-terminale, reinserzione ossea ecc… Dopo si usa un femoro-malleolare per 30-45 gg con mobilità guidata graduale. N.B. Alcuni AA. preferiscono evitare la riparazione del pivot centrale a dopo la riparazione delle altre lesioni, ottenute per via incruenta. CRONICHE Patogenesi Lesioni croniche o lassità croniche sono dovute, in genere, a lesioni del pivot centrale; sono legate a mancato riconoscimento o trattamento, trattamento inadeguato, deterioramento secondario della stabilità (sport, lavori pesanti), dopo chirurgia. Le lassità sono divise in rotatorie e dirette. Nelle rotatorie il LCP è integro e funge da perno centrale di rotazione: 1) antero-mediali (compartimento interno e LCA); 2) antero-laterali (LCA e compartimento interno); 3) postero-laterali (PAPE e LCA); 4) combinate). Le dirette prevedono lesione di LCP e quasi sempre anche LCA. Sintomatologia Si basa sul dato anamnestico, dolore e sensazione di crack, con tumefazione ecc…; si ha sempre un intervallo libero, seguito da episodi di cedimento articolare, con dolore e idrartro. • Ballottamento rotuleo eventuale. • Ipotrofia quadricipite ex non usu. • + ai test in base al danno. • Limitazione escursione articolare. È sempre necessario ripetere l’RX. La prognosi è buona se le lesioni sono trattate bene. Il trattamento prevede la riparazione delle lesioni centrali e meniscali se associate, ed è simile a quello già esposto per le lesioni acute. LESIONI TRAUMATICHE DEI MENISCHI Si possono verificare sia isolatamente che in associazione con le lesioni capsulo-legamentose, a seconda delle diverse intensità e modalità di trauma. Sono molto frequenti e rappresentano i 2/3 di tutte le lesioni del ginocchio. Il menisco più colpito è quello interno. Più esposti gli adulti maschi per le attività svolte. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 56 di 59 Patogenesi Sono tutti traumi indiretti che provocano asincronismo tra i movimenti di flesso-estensione del ginocchio e rotazione di tibia rispetto al femore a piede fisso. • Da semiflessione a estensione con valgismo ed extrarotazione: il menisco interno è sollecitato a portarsi anteriormente mentre è fissato posteriormente dal condilo mediale del femore. • Da semiflessione a estensione con varismo ed intrarotazione: il meccanismo esterno è sollecitato a portarsi anteriormente mentre è fissato posteriormente dal condilo laterale del femore. • Da iperflessione (posizione accosciata) a estensione con intrarotazione: è frequente nelle attività lavorative che costringono all’accosciamento per lungo tempo. NB Citazione a parte merita il calcio a vuoto: brusco passaggio dalla posizione di flessione a massima estensione o iperestensione. Anatomia patologica MENISCO INTERNO – Frequentemente è interessato il corno posteriore al triangolo d’appoggio. • Fissurazione longitudinale. • Fissurazione semilunare a manico di secchio: frammento isolato. • Dislocazione del frammento nella gola intercondiloidea con blocco articolare spesso irriducib. • Interruzione del manico di secchio in due porzioni libere nella cavità articolare. • Disinserzione del paramenisco dalla capsula articolare. MENISCO ESTERNO – Prevalentemente il terzo medio. • Rotture trasversali dal margine libero sino al paramenisco. • Rotture del corno posteriore. NB A lungo andare, la cartilagine di rivestimento dei condili femorali, nei punti corrispondenti alla rottura meniscale, può presentare alterazioni da disturbi meccanici come condrite e condromalacia, presupposti per lesioni artrosiche. Sintomatologia Si basa sui dati anamnestici e sintomi specifici di danno meniscale, diversi in fase acuta o cronica SINDROME MENISCALE ACUTA Anamnesi • Episodio distorsivo. • Dolore e sensazione di “qualcosa che si è spostato nell’articolazione e poi è tornato a posto”. • Blocco transitorio in flessione. EO • Blocco in flessione eventuale (generalmente dovuto a rottura a manico di secchio). • Tumefazione del ginocchio per coesistente rottura capsulo-legamentosa. • Dolore vivo alla pressione sulle rime articolari interna o esterna. SINDROME MENISCALE CRONICA Anamnesi • Storia di blocchi in flessione e sensazioni di scatto. • Anamnesi di episodi distorsivi, spt durante sport. • Sensazione di instabilità. • Idrarti recidivanti e dolori articolari saltuari. EO • Test di iperflessione +: dolore in sede meniscale, con eventuale scatto, percepito alle rime articolari nel passaggio da iperflessione a flessione del ginocchio. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 57 di 59 • • • • • McMurray test +: dolore vivo, associato a scatto, all’interlinea interna o esterna, rispettivamente nella sollecitazione in extrarotazione o intrarotazione della gamba a ginocchio in massima flessione. Grinding test +: pz prono con ginocchio flesso a 90°. Dolore alla rima articolare interna o esterna rispettivamente intrarotando o extrarotando la gamba, con pressione su pianta del piede. Dolore alla pressione sulle rime articolari. Ballottamento rotuleo eventuale. Ipotrofia ex non usu del quadricipite. Diagnosi Differenziali Condizioni che possono determinare blocchi articolari. • Topo articolare: da osteocondrosi dissecante del ginocchio o frattura osteocondrale. • Sublussazione o lussazione della rotula. • Residuo sclerotico di frammento di LCA se rotto precedentemente e non corretto. • Prodromi di artrosi. • Condropatia delle superfici articolari del femore. In questi casi fare sempre RX, TC ad alta risoluzione, RMN (gold-standard). Prognosi Lasciare in sede un menisco determina fenomeni reattivi della sinoviale (idrarti recidivanti), blocchi articolari, accentua ipotrofia del quadricipite, favorisce astrosi. La meniscectomia totale determina artrosi del ginocchio precoce. Trattamento • Meniscectomia selettiva per via artroscopica: parziale o subtotale (tra paramenisco e triangolo). • Meniscectomia totale: rotture di menisco associate a degenerazione cistica. • Meniscopessi: dei tratti del paramenisco, capace di riparazione. Le meniscectomie in artrosi permettono carico dopo pochissimo tempo. Le meniscopessi necessitano di un periodo di immobilizzazione del ginocchio e ripresa graduale del carico. Distorsione del Collo del Piede Sono frequenti. Interessano l’articolazione tibio-peroneo-astragalica. L’anatomia dell’apparato legamentoso del piede prevede, come per il ginocchio, diversi compartimenti. Il compartimento esterno è formato dai legamenti: • Collaterale esterno: fasci peroneo-astragalico anteriore e posteriore, peroneo-calcaneare. • Tibio peroneale: fasci anteriore e posteriore. Il compartimento interno è formato dal solo legamento interno deltoideo con i fasci calcaneare, astragalico, scafoideo. Il meccanismo traumatico consiste nel 90% dei casi in eccessive sollecitazioni del piede in varismo-supinazione e valgismo-pronazione con la rottura, rispettivamente, del compartimento esterno ed interno. Può associarsi, in entrambi i casi, la rottura della pinza tibio-peroneale (legamenti tibio-peroneali anteriori e posteriori) con diastasi. La sintomatologia prevede: • Tumefazione precoce. • Ecchimosi tardiva. • Dolore locale spontaneo e alla palpazione. • Impotenza funzionale. All’EO: Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 58 di 59 • Test dell’inversione +: abnorme mobilità alla supinazione per lesioni esterne e abnorme mobilità alla pronazione per lesioni interne. • Segno del cassetto: traslazione anteriore del piede nella manovra combinata di sollecitazione posteriore della gamba e anteriore del piede. La diagnosi prevede sempre EO e RX comparativa per la diastasi intermalleolare. Il trattamento varia. Per lesioni lievi (senza lassità legamentosa): bendaggio elastico adesivo per 15 giorni. Nelle distorsioni gravi senza lassità legamentosa: gambaletto per 25 giorni. Nelle lesioni gravi con lassità: intervento cruento di sutura termino-terminare e poi gambaletto per 15 giorni e poi tutore rigido per 15 con carico. Disorsioni del Rachide Cervicale Interessano il rachide inferiore C3-C7. La patogenesi è sempre imputabile a sollecitazioni di iperestensione del collo per brusca accelerazione del corpo (tamponamento) o, meno frequentemente, per iperflessione del collo per brusca decelerazione del corpo (impatto frontale). Di norma, ad una iperestensione segue sempre la iperflessione e viceversa (contraccolpo). Il meccanismo lesivo può complicarsi per torsione o compressioni varie. Le lesioni possono essere più o meno gravi a carico di legamenti, capsule delle articolazioni interapofisarie, dischi; può associarsi contusione radici nervose per momentanea sublussazione vertebrale e restringimento del forame intervertebrale. La sintomatologia prevede: dolore, rigidità cervicale, contrattura muscolare (torcicollo), rachialgia ad irradiazione distrettuale (fi. 81 e 82 Morlacchi) Questa è la sindrome da contraccolpo – whiplash injury. La diagnosi e anamnestica e sintomatologia. RX solo lesioni ossee e EMG solo dopo 2 settimane. Il trattamento prevede l’uso di un collare rigido e terapia medica (antalgica, decontratturante e antinevritica) e minerva per 15-20gg; chirurgia per lesioni ossee. Å alexys3 S.U.N. Napoli Æ Pagina 59 di 59